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Lecce, 9 aprile 2011

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L’Ora del Salento

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IL QUARESIMALE DELL’ARCIVESCOVO

Nuova serie, Anno XXI, n. 13

SETTIMANALE CATTOLICO

Eterno Padre, la tua gloria è l’uomo vivente; tu che hai manifestato la tua compassione nel pianto di Gesù per l’amico Lazzaro, guarda oggi l’afflizione della Chiesa che piange e prega per i suoi figli morti a causa del peccato, e con la forza del tuo Spirito richiamali alla vita nuova. Il nostro è un Dio della vita e per la vita. Non vuole la morte ma la vita e vince la morte con il dono rinnovato della vita, la sua per noi, perché proprio l’uomo che vive è e proclama la sua gloria. È un Dio che in Cristo Gesù si è fatto uno di noi con la nostra carne, con la nostra umanità e le sue espressioni di debolezza e fragilità. Così possiamo comprendere e spiegarci questo Gesù che si commuove, che piange per l’amico Lazzaro, come uno di noi. Manifesta la sua compassione, non si allontana dalle nostre fragilità, dai nostri sentimenti, quelli che più di ogni altro ci dicono della tenerezza dell’umanità che si condivide.

V DOMENICA DI QUARESIMA

La vita senza fine Con il brano evangelico della V di Quaresima/anno A, si conclude il trittico che ha aperto l’intelligenza del nostro cuore a comprendere l’identità di Gesù nei tre simboli: Gesù è l’acqua viva che disseta la nostra sete (la Samaritana: III domenica); Gesù è la luce vera che illumina ogni uomo (il miracolo del cieco nato: IV domenica); Gesù è la vita che vince la morte (Risurrezione di Lazzaro: V domenica). La Parola di questa domenica ci dà la risposta della fede al grande interrogativo dell’uomo di sempre di fronte alla morte. La Parola ci fa entrare nel

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mistero della vita che passa attraverso la morte. Nella prima lettura, la visione di Ezechiele annunzia la potenza dello Spirito che apre i sepolcri: “Farò entrare il mio Spirito e rivivrete”. Nel brano della lettera ai Romani, c’è la certezza della fede: “Colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali”. Nel miracolo di Lazzaro che era morto e torna invita, leggiamo in qualche modo l’anteprima della morte e risurrezione di Gesù, promessa di vita per chi crede: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”. In queste parole sta la straordinaria novità che dà risposta alla lotta e al rifiuto della morte. Ma solo lui, il Cristo, ha ricevuto dal Padre il potere di sconfiggerla. Lui solo, annientando il peccato, distrugge la morte. La vita che egli ci dà, non può essere annientata da nessuna morte: Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me… Anche a noi, oggi, come

alla sorella di Lazzaro, Gesù rivolge la domanda: Credi questo? La risposta che Gesù attende da noi, non può che essere quella di Marta: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. È la risposta della fede che ci pone in un rapporto vitale, unico con il Cristo che è risurrezione e vita. Abbiamo la certezza che Cristo si fermerà davanti ai sepolcri nei quali fin d’ora, noi suoi amici, seppelliamo con la storia dei nostri peccati, il dono della vita e griderà imperiosa la sua voce, come davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro: “Vieni fuori”. E dalle tante risurrezioni con le quali Gesù strapperà dalla morte il desiderio della vita che il peccato ottenebra, veniamo preparati al dono della vita senza fine che con la sua morte e risurrezione egli prepara e darà ai suoi amici.

diocesana e cittadina con l’animazione e la creatività della pastorale giovanile. L’itinerario previsto si snoderà a partire da Porta Napoli, dove all’inizio della Via Crucis arriverà, recata in spalla dai ragazzi della Parrocchia di Santa Maria della Porta, la Croce dei giovani che in questi mesi ha compiuto il suo pellegrinaggio nei paesi dell’intera diocesi, stimolando la preghiera, la riflessione e l’incontro nelle comunità, nelle piazze e nelle scuole. Le meditazioni saranno proposte dai giovani dell’equipe di Pastorale Giovanile che hanno provato a imma-

ginare pensieri, stati d’animo e preghiere dei protagonisti che hanno incontrato Gesù nelle ultime ore della sua vita terrena e lungo il percorso della via dolorosa: Giovanni Evangelista, Giuda Iscariota, Pietro, Pilato, Maria Maddalena, il ladrone che si prese gioco di Gesù in croce, la Madonna. L’itinerario della Via Crucis si concluderà nell’Anfiteatro Romano all’interno del quale il Vescovo Domenico rivolgerà il suo messaggio ai giovani e ai fedeli, aiutando ciascuno di noi a riflettere sul tema davvero incisivo: “Per me”.

DINO BOFFO ESCLUSIVA/Parla il direttore di Tv2000, la tv dei vescovi italiani

Anche in Italia i cattolici sono vivi e non tacciono Una lunga intervista. Piacevole però perché l’interlocutore è un uomo dalla personalità esperta e poliedrica: Dino Boffo. Per molti anni direttore del quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, incarico lasciato tempo fa a causa delle note vicende di cui fu vittima: “Non è del tutto vero che i cattolici siano stati assenti - ci ha detto parlando della questione morale nella politica italiana - perché i giornali cattolici nazionali e locali hanno fatto la loro parte e dunque si sono espressi. Io stesso sono stato vittima di un attacco proditorio personale proprio per aver parlato sul mio giornale e mi è stata fatta pagare”. Da qualche mese è il direttore della Tv della Cei, Tv 2000. Direttore, cominciamo dalla situazione mondiale, dalla guerra in Libia e dalla relativa emergenza dell’accoglienza qui in Italia e in Europa. Che la comunità internazionale dovesse interporsi tra le azioni violente e fratricide di Gheddafi contro il suo popolo è in tutta evidenza un intervento d’ingerenza umanitaria assolutamente dovuto. È tuttavia il modo in cui questo intervento è partito che, devo dire, non mi ha molto convinto. Secondo me, e non mi paredi essere il solo a pensarlo, ci doveva essere una consultazione più efficace tra gli alleati e soprattutto si doveva far in modo che non ci fossero interpretazioni surrettizie cioè che nessuno potesse pensare ad un intervento a sostegno di un popolo motivato da ragioni di politica interna degli alleati. Si tratta di un’ipoteca che non ha portato prestigio e che continua a gravare sull’intervento militare. Per questo ritengo che il Papa abbia fatto bene ad invocare il

ritorno più sollecito possibile alle armi della pace ed ha invocato che tacciano i cannoni perché a lungo andare la gente che si doveva proteggere finisce per non essere protetta. A quali interessi dei Paesi alleati si riferisce in particolare? In questo caso l’interesse della Francia è parso evidente. Agli osservatori più attenti non è sfuggito che Sarkozy si sia fatto paladino in maniera singolare dell’intervento, soprattutto per due motivi: potersi inserire al momento opportuno nella spartizione del petrolio libico, spartizione a cui era fino ad oggi escluso e, in secondo luogo, rialzare le proprie quotazioni alla vigilia della campagna elettorale che dovrebbe portarlo alla rielezione della presidenza della Repubblica. Dal canto suo, Cameron doveva tenere alto il prestigio di un Paese come la Gran Bretagna, all’indomani della sua salita al potere, e reggere il confronto

VIA CRUCIS A LECCE NEL CENTRO STORICO

‘Per me’, itinerario di fede dietro la croce

con il suo predecessore Blair. Gli Stati Uniti, invece, sono stati abbastanza lontani e anche con posizioni altalenanti. Il nostro governo, che è stato più prudente sull’intervento armato, diciamo che aveva un imbarazzo pregresso per i rapporti non limpidi ed esemplari che tutti avevano potuto vedere tra Gheddafi e lo stesso Presidente del Consiglio per cui si è capito che un certo disagio ci doveva essere. Ad ogni modo, fino ad oggi, mi pare che la missione umanitaria stia producendo degli effetti. Purtroppo ha causato anche dei morti che non ci volevano; le truppe di Gheddafi sono in ritirata, lui non si è ancora arreso, speriamo che lo faccia, perché nessuno deve augurarsi la morte di altri. Meglio che si arrenda, che si ritiri a vita privata e risparmi altre vite, che certamente saranno messe a repentaglio qualora decidesse di andare avanti ad oltranza. Vincenzo Paticchio CONTINUAALLE PAGG. 8 E 9

Dopo la Via Crucis sulle orme dei martiri missionari, vissuta lo scorso anno nella periferia della città, i giovani della diocesi stanno ultimando in questi giorni i preparativi in vista del nuovo itinerario della fede dietro la croce lungo le strade del centro storico della prossima domenica delle Palme, nella quale si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Gioventù a livello delle Chiese locali. I giovani leccesi hanno così risposto al desiderio del Vescovo Domenico che intende proporre la celebrazione della Via Crucis per l’intera comunità


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primopiano Nella edizione locale di un giornale nazionale abbiamo visto un titolo a caratteri cubitali che a proposito dei tagli alla sanità, diceva: Stop ai ricoveri. Chiude medicina. Poco più sotto, nella stessa pagina, la pubblicità di una concessionaria d’auto annunciava: Una data da festeggiare con lo champagne. O, se preferite, con il diesel. È evidente che sarebbe stato meglio evitare quell’accostamento. Ne parliamo, però, non per sorridere per un involontario incidente, ma per ragionare su come sia facile nella nostra cultura scambiare sogni e bisogni e sostituire al mondo dei fatti quello della carta e della pubblicità. È sorprendente notare quante siano le espressioni linguistiche

che la quotidianità sottrae agli incantesimi del mercato; ed è altrettanto sorprendente osservare come si cerchi di costruire, attorno ai prodotti, un mondo fantastico popolato di figure irreali che incantano e suggestionano, più di quanto non accada ad un bambino dinanzi alla vetrina del giocattolaio. Accedendo la televisione ci urge sapere che cosa stia accadendo nell’isola dei famosi e poco ci importa se in Libia si muore o se la Tunisia continua a giocare d’azzardo con il governo italiano, utilizzando i barconi dei clandestini come fiche da puntare alla roulette. Tra il reality e il mercato sotto casa si consumano i giorni, con la sola eccezionale variante della schedina giocata al tabacchino. In questa logica, nella quale an-

Sogni e bisogni che la rabbia per la disoccupazione e il rancore per le vessazioni del fisco, si stemperano nelle barzellette (sporche) che il premier racconta ai sindaci (con fascia tricolore), la vita si nutre di sogni e si lascia portare sulle ali del desiderio, alimentato dal mondo di carta che la pubblicità raccomanda lungo le strade della città. Il sogno. Ecco, il sogno risolve ogni cosa: spegne la protesta, alimenta il pensiero, anima le notti e guida, per noi, le macchine impazzite del sabato

sera. Il nostro bisogno è neve nel mondo di carta. Al suo posto ci sono desideri, necessità, ambizioni. Identità posticce. Ci avevano detto che i veri bisogni caratterizzano l’identità della persona, la rendono trasparente a sé medesima, la mettono in grado di agire e di conquistare il futuro, la fanno capace di progettare l’esistenza. … I bisogni. Non gli schiamazzi all’uscita dal bar, non le urla del reality che di reale ha soltanto la volgarità a basso costo. Ma è proprio questa la nostra condanna? Ma non è proprio possibile uscire da questo grigiore melenso, fatto di immoralità strisciante e di gratuita volgarità? E se facessimo voto di astinenza?

EDITORIALE Contro la libertà? Di fronte a una critica infondata e strumentale

L’Ora del Salento SETTIMANALE CATTOLICO

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Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Il problema, quindi, è a monte e la proposta dell’autodeterminazione è solo la riedizione di una lacuna antropologica, che da tempo soggiace alla nostra cultura. Sì, taluni diritti recenti – ma sono davvero diritti? – si sono imposti come frutto di una incompleta visione della persona. Aborto, fecondazione artificiale, eutanasia non sono forse stati presentati come espressione della facoltà di scegliere che cosa poter fare? Se i cattolici rifiutano queste scelte non lo fanno perché sono contro la libertà o perché fermi ad una visione religiosa, che sarebbe propria del passato. Lo fanno, invece, perché a loro sta a

PENSANDOCI BENE...

cuore il valore della persona: non si tratta di imporre una visione di fede, ma di riaffermare quanto di meglio i secoli ci hanno consegnato; la persona è un bene, indipendentemente dalle circostanze. Se dicono “no” a talune scelte è perché appaia meglio il “sì” incondizionato all’uomo. Se ritengono che alcuni principi – uno di questi è la difesa e la promozione della vita umana – non siano negoziabili è perché cedere in talune circostanze, aprirebbe ad innumerevoli cedimenti nei confronti di persone fragili, sole o emarginate. Sono convinti che la vita sia un bene non disponibile, non solo perché le

di Giuseppina Capozzi

Dov’è la vera libertà? Mai come oggi l’ambiente culturale e lo stile di vita hanno avuto modo di penetrare in modo così dispotico nelle coscienze. Gli stimoli ambientali generano una pressione informativo-educativa che presenta le tesi più diverse senza indicare quelle significative che trascendano l’uomo, comprendendolo. Venendo meno la ricerca di significato, le tesi proposte sono destituite da quella dimensione profonda che dà senso alla realtà. Si finisce, così, per operare una scelta nichilista: cioè una non-scelta. Ma la negazione di una realtà oggettiva conduce alla tristezza del cuore. Ne consegue la malattia dello spirito che, per Kierkegaard, è la perdita della possibilità di scegliere liberamente tra il bene e il male. La prospettiva perde in libertà per dipendere da pseudo-valori imposti dall’esterno: si tratta dell’indifferenza ai valori autentici! La libertà cui si inneggia, in questo periodo storico, diventa annullamento della identità, nella direzione della variabilità e mutevolezza. Frantumare la libertà in molteplici scelte, inoltre, determina un indebolimento della volontà che non consegue l’obiettivo della libertà autentica. L’uomo, infatti, pur condizionato dalla sua corporeità, cultura, educazione, poiché è essere spirituale può distaccarsi da se stesso, essendo libero di determinare in qualsiasi momento la destinazione di sé. è naturale, quindi, per l’uomo trascendere se stesso per amare l’altro e tendere alla verità. La verità è sete di conoscenza, di

desiderio, di sintonia con l’altro, di realizzazione di se stessi. Annientando il desiderio del vero, si perviene all’indifferenza, che è l’opposto della libertà. Si corre, così, il rischio di accorciare, soprattutto nei giovani, la misura del desiderio, della conoscenza, di perseguire il nulla. Ma la vera libertà è nella verità e la verità cristiana è sempre in sintonia con quella del cuore. L’Occidente secolarizzato per la prima volta nella storia sta tentando, afferma C. Caffarra, di edificare la sua umanità come se Dio non esistesse, riponendo la sua salvezza solo in se stesso. Questo conduce l’uomo alla disperazione per ostinazione, come la chiamava Kierkegaard. La scienza e la tecnologia moderne, pur non riuscendo a soddisfare il senso religioso, non hanno potuto neanche sopprimerlo. E l’homo indifferens, non cessando di essere homo religiosus, è alla ricerca di una religiosità sempre nuova. Diventa urgente, allora, rintracciare gli elementi costitutivi di una nuova stabilità dove, per nuova, si intende passato e presente nella prospettiva di un umanesimo integrale. Questo percorso può ripartire dalla realtà oggettiva dell’uomo in relazione. Ciò che davvero distrugge il nichilismo, come negazione di senso e individualismo assoluto, è infatti la partecipazione al destino dell’altro, la relazione con il prossimo, l’esigenza di incontro con qualcosa che è al di là della nostra vita terrena: l’espressione di Dio come trascendenza! info@giuseppinacapozzi.it

Sì, dovremmo proprio pensare ad una Quaresima di astinenza dai consumi volgari, dalle parole indigeste (quelle che gli altri pronunciano a proposito della nostra libertà), dalle immagini oscene, dalle persone immorali che non hanno diritto di entrare nelle nostre case attraverso la finestra della televisione. Dobbiamo cacciare via il vizio e l’immoralità; dobbiamo liberarci dai venditori di fumo, allontanarci da chi ci suggerisce di sognare. E invece dovremmo tornare a sperare. A credere. Ad aver fiducia nella dignità della persona, ricordandoci, ogni tanto, che è proprio per la salvezza di ciascuno di noi che un Giusto si lascio immolare sulla Croce. Nicola Paparella

“Vorremmo dire una parola che inducesse l’opinione pubblica a ritenere che una legge sulle dichiarazioni anticipate di fine vita è necessaria e urgente. Si tratta infatti di porre limiti e vincoli precisi a quella ‘giurisprudenza creativa’ che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno. Non si tratta di mettere in campo provvedimenti intrusivi che oggi ancora non ci sono, ma di regolare piuttosto intrusioni già sperimentate, per le quali è stato possibile interrompere il sostegno vitale del cibo e dell’acqua”. Card. Angelo Bagnasco

FINE VITA

Nel serrato dibattito sui temi del fine vita un’accusa, talvolta, rivolta ai cattolici, è che essi sarebbero contro la libertà, perché non accetterebbero che ciascuno possa disporre della propria o altrui vita, al punto da decidere il momento in cui porre fine ad un’esistenza. Così alla sacralità della vita – che sarebbe l’unica cosa che i cattolici riuscirebbero a dire – si oppone il concetto nuovo di autodeterminazione, espressione matura dell’uomo contemporaneo. Su questo tema vale la pena di fare alcune riflessioni. Intanto, il punto non è che cosa l’uomo possa fare ma, in ultima analisi, chi sia l’uomo.

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(prolusione Consiglio episcopale permanente - 28 marzo 2011) generazioni precedenti lo hanno creduto e vissuto, ma anche perché l’alternativa sarebbe il delirio di onnipotenza. Porre fine ad un’esistenza, come crearla in un laboratorio, non è togliere qualcosa a Dio, ma è togliere l’uomo a se stesso. Affermare che la vita non può essere lasciata all’arbitrio della decisione del più forte o, semplicemente, di chi la vive significa non impadronirsene. Per questo i cattolici dicono no al vitalismo, cioè al prolungamento di una vita, che naturalmente, è giunta al suo termine. Il rifiuto di far morire è cosa ben diversa dal lasciare morire. I cattolici sono contro una visione dell’uomo che condanna alla solitudine. In questa prospettiva errata l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere al suo auto-sviluppo ma non entrare in questo sviluppo. L’uomo, depauperato della sua origine trascendente, sarebbe solo un “farsi da solo”, senza una meta, che non sia la propria fine. La conoscenza diventa così un avvicinare “superficialmente” la realtà, nel senso che si coglie solo ciò che appare fisicamente. Le scienze si sono notevolmente sviluppate – e questo è un bene – ma spesso sono diventate l’unica fonte di conoscenza. Eppure, c’è qualcosa di altro: c’è tutto un mondo meraviglioso, che è quello spirituale, ugualmente vero e reale come quello materiale. Perché fermarsi? Ancora, se l’uomo è un “farsi da solo” conta solo quello che egli ha fatto o riuscirà a fare; questo diviene il criterio per stabilire il bene. “Se si può fare - si domandano

taluni - perché non farlo?” E, così, tutto quanto è tecnicamente possibile sarebbe anche eticamente lecito! Ma davvero il “farsi da solo” e il “poter fare” sono la verità sull’uomo? La vera autodeterminazione è altra cosa. Rientra nel dinamismo della libertà, sulle quali il pensiero cattolico offre spunti entusiasmanti. Romano Guardini (1885-1968), una delle maggiori figure della storia culturale europea, ha scritto: “Chi può fare ciò che vuole è ancora molto lontano dall’essere libero” (Lettere sull’autoformazione). L’uomo deve diventare libero, attraverso l’assunzione responsabile della verità su se stesso, attraverso l’accoglienza di un buon progetto, che egli riconosce al suo interno. I cattolici considerano fondamentale la libertà, perché può dare senso al bisogno di compimento della persona e al desiderio di felicità. Sono così liberi che non temono di andare contro l’opinione del momento, fosse anche quella pubblica. Vivono la libertà “esterna” non lasciandosi confondere da chi grida più forte o anche da chi segue la moda dell’opinione. In questo senso non sono schiavi di nessuno. Ma neanche di se stessi. “Quando un uomo è degno di essere detto libero? Se è, all’esterno, signore delle sue decisioni - afferma Guardini -. Se si rende indipendente dagli influssi degli uomini e delle cose, e se si comporta secondo i dettami che gli vengono dal dentro. Ma prima di tutto, se ciò che vi è di più profondo in lui, la coscienza, domina su tutto il mondo delle passioni e degli istinti”. Ecco la vera autodeterminazione! Marco Doldi


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primopiano

ARTE E FEDE

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DOVE

ALLA SCOPERTA DEI DUE ARTISTI Francesco Antonio e Giuseppe, nonno e nipote

Gli Zimbalo e la Matrice di Trepuzzi Tre stemmi e tre sculture di santi Un approfondimento, la statuaria di Giuseppe La facciata principale della chiesa matrice di Trepuzzi, al di sopra della sua porta principale, ha tre stemmi: l’uno datato (1603) con il simbolo della città, l’altro partito con le insegne del barone dell’epoca e di sua moglie ed infine, al centro, quello dedicato a San Pietro Apostolo un tempo titolare della chiesa. Si osservi in particolare lo stemma con San Pietro, nella sua parte inferiore è il volto di un angelo. Esso è analogo sia a quello esterno che nella chiesa di Sant’Elia a San Cesario di Lecce è al centro dell’architrave della porta maggiore sia al volto che è al centro della trabeazione a ridosso del portale principale di accesso alla chiesa leccese di Santa Croce. Tale datato portale (1606) - opera documentata di Francesco Antonio Zimbalo (1567, Lecce - 1632, ?) - consente quindi di attribuire i tre stemmi della Matrice di Trepuzzi proprio a questo Zimbalo. Nella stessa chiesa di Trepuzzi -

parete di fondo del transetto sinistro, a sinistra della porta piccola - è l’altare sotto il titolo un tempo di Santa Rosa da Lima. La cappella fu concessa il 16 febbraio 1695 (atto rogato da Angelo Perrone, notaio in Trepuzzi) e l’altare era allora ancora “[…] erigendo[…]”. Nella sua parte sommitale vi sono tre statue - al centro San Giuseppe, a sinistra Sant’Onofrio, a destra San Vito attribuibili a Giuseppe Zimbalo (16351710, Lecce). Il resto dell’altare è di altro esecutore il quale però compare negli stessi anni (fine Seicento) con Giuseppe Zimbalo nella realizzazione delle sculture poste sulla facciata inferiore della leccese chiesa del Rosario. La matrice di Trepuzzi ancora una volta si rivela scrigno di interessanti opere del Barocco leccese come già evidenziato nell’articolo a mia firma apparso nel precedente numero di questo periodico (L’Ora del Salento, Nuova Serie, Anno XXI, n.12, Lecce, 2 aprile 2011, pag. 3).

Questa analisi sulle sculture di Giuseppe Zimbalo è resa più complessa da aspetti di natura logistica legati al fatto che quanto qui presentato è costituito da opere mobili spesso senza data, collocate anche all’esterno e caratterizzate quasi tutte da uno stato conservativo tale da renderne non facile la lettura stilistica o per la corrosione del materiale lapideo o perché quest’ultimo è stato ricoperto nel corso del tempo da strati di tinteggiatura o perché, infine, troppo in alto posizionate. Chiariti questi limiti e sottolineate tutte le cautele del caso entriamo nel merito della questione. L’ultima attribuzione a Giuseppe Zimbalo in ordine di tempo è quella della statua di San Giusto in prossimità dell’attuale Porta Napoli (cfr. Mario Cazzato, Nel terzo centenario della morte di Giuseppe Zimbalo, Gli ultimi anni di Giuseppe Zimbalo (1635 1710) e una nuova attribuzione; Il Bardo, Dicembre 2010, pag. 3). Al di sotto della statua, su un blocco lapideo distinto, vi è una epigrafe che reca

incisa la data 1678. Tale attribuzione è fatta senza supporto documentario; quanto poi all’analisi stilistica l’architetto Mario Cazzato, autore di questa attribuzione, scrive: “[…] È inutile condurre un’analisi stilistica attributiva perché abbastanza ovvia. Basti ricordare che poco dopo quel 1678 lo Zimbalo completerà la colonna di S. Oronzo in piazza […] dove […] scolpiva la complessa fontana […] ”. La fontana, come noto, non esiste più e non possiamo quindi fare confronti; il capitello della colonna, poi, non è un esempio pertinente per una corretta comparazione stilistica con la statua di San Giusto. Da un punto di vista logico e metodologico tale attribuzione non è valida tanto più se ricordiamo quanto lo stesso studioso scrive a proposito di altre statue - zimbalesche -: “[…] quelle di San Gennaro e di San Ludovico di Tolosa, sicuramente di aiuto o di bottega come le statue della facciata della chiesa di Sant’Anna. […]” (cfr. Sculture di età barocca tra Terra d’Otran-

to, Napoli e Spagna; a cura di Raffaele Casciaro, Antonio Cassiano; Catalogo della mostra, Lecce, san Francesco della Scarpa 16 dicembre 2007 28 maggio 2008; pag. 137). Se, infatti, si confrontano la statua di San Giusto e quella di Sant’Andrea presente nella nicchia superiore sinistra della leccese chiesa di Sant’Anna si nota come le due opere siano talmente simili nei volti da lasciare legittimamente supporre che si tratti dello stesso autore. A questo punto la questione non è sciolta poiché lo studioso, non dichiarando le differenze fra Zimbalo ed il suo “aiuto”, lascia dubbi su chi sia il vero artefice di queste statue. Le due attribuzioni (quelle di San Giusto e delle le statue di Sant’Anna), infatti, così come esposte da Cazzato, possono essere lette nell’uno come nell’altro senso: o Zimbalo è autore della statua di San Giusto - e quelle di Sant’Anna quindi appartegono ad un aiuto - oppure il contrario. Qual’è Zimbalo e qual è l’aiuto, ammesso che uno ve ne sia stato in questo caso?

I confronti artistici tra i due scultori

Mani e occhi per definire un’opera

Attribuire ex novo un’opera ad un artista non è solo fare un nome ma, più propriamente, è esplicitare un percorso associativo prendendo come riferimenti opere che siano prima di tutto esistenti e poi il più possibile certe in quanto a paternità. In questo caso specifico il percorso che porta alle nostre attribuzioni si attua agganciando la statua di San Giusto e quella di Sant’Andrea ad opere che allo Zimbalo possono essere assegnate con evidenza documentaria e stilistica. Ciò è tanto più necessario per il fatto che essendo stata la carriera di questo scultore molto lunga potrebbero esservi state variazioni stilistico-esecutive dovute sia al tempo sia alla contingenza architettonica specifica dell’edificio e del luogo in cui le singole opere dovevano essere collocate. Si prendano in considerazione la statua di San Giovanni Evangelista in Sant’Anna e la Vergine con il Bambino che è sulla porta principale della leccese chiesa di Sant’Angelo (opera documenata nonchè stilisticamente assegnabile allo Zimbalo) ed in particolare, per ora, il volto del Bambino. I suoi particolari occhi compaiono analoghi tanto nella statua del San Giovanni Evangelista quanto in alcuni dei volti d’angelo presenti sugli angoli dei capitelli che inquadrano la porta laterale verso la piazza della Cattedrale leccese (la presenza dello Zimbalo è qui documen-

Le quattro statue della facciata di Sant’Anna sono riconducibili ad alcune sculture presenti nella vicina chiesa del Rosario: il Battista, il Beato

tata). L’estrema singolarità di questo modo di scolpire l’occhio di una figura (ma non solo) ci porta a concludere che, seppure con le cautele cui si accennava all’inizio, le 4 statue (San Pietro, San Paolo, San’Andrea, San Giovanni Evangelista) della facciata di Sant’Anna, sono, con buona probabilità, riferibili ad un unico autore ovvero proprio allo Zimbalo e non ad un aiuto. Ne consegue che la stessa statua di San Giusto poichè compatibile con quella di Sant’Andrea è con la stessa probabilità riferibile pure allo Zimbalo. Per completezza va detto che, nella acquisizione di abitazioni per la costruzione del Conservatorio di Sant’Anna cui è annessa la chiesa con le statue ora attribuite, in alcuni atti notarili si segnala fra i testimoni Giuseppe Zimbalo (cfr. atto del 26 marzo 1680 rogato da Staybano Vincenzo, notaio in Lecce); è vero però pure che i capitelli delle paraste interne (con l’eccezione di uno solo dubbio) ed esterne (quelle del piano inferiore) sono opere scultoree riferibili a Giuseppe Cino. Sulla

base di questi dati non abbiamo elementi i quali ci facciano dire con certezza che il progetto della chiesa sia esclusiva dello Zimbalo.

Giovanni da Colonia, il Beato Giacomo (nicchia destra del piano superiore), la statua di San Tommaso, il San Domenico e lo stemma domenicano posti al disopra della porta principale di ingresso nonché il volto dell’angelo posto sotto la nicchia inferiore esterna destra. All’interno della grande aula centrale le mensole che sostengono le statue di santi presentano volti d’angelo ricollegabili a quello posto sotto la detta nicchia esterna destra con la statua del Beato Giovanni da Colonia; ciò sembrerebbe delineare nella produzione scultorea dello Zimbalo l’inizio di una fase che è quella degli ultimi anni della sua vita e che trova, forse, uno dei primi esempi negli altari interni di Sant’Anna (in quello maggiore la sua mano è però presente solo in parte). Questa analisi comparata fra la chiesa di Sant’Anna (edificazione: 1 maggio 16801688) e le statue sommitali dell’altare di Santa Rosa nella Matrice di Trepuzzi consente di meglio circoscrivere la presenza dello Zimbalo nella facciata principale del Rosario - terminata forse nel 17(23), data incisa sul libro aperto fra le mani di uno degli angeli della balaustrata superiore, quando l’architetto era già morto - che rivela, in-

fatti, esecutivamente parlando, l’intervento di diversi artisti. Soffermiamoci su alcuni dettagli. La mano del Battista (facciata del Rosario) e la struttura singolare delle sue ginocchia riconducono rispettivamente a quella del mezzobusto raffigurante Sant’Anna posto sul cornicione marcapiano della omonima chiesa e quindi alla citata statua della Vergine con Bambino (Sant’Angelo, Lecce); questo tipo di ginocchio si ritrova analogo nella statua di Sant’Onofrio sull’altare di Santa Rosa (Trepuzzi). Altre statue riferibili alla mano dello Zimbalo sono: nel Duomo leccese quelle del San Fortunato e San Giusto (facciata laterale verso piazza), quelle di San Ludovico da Tolosa e San Gennaro (facciata principale, nicchie superiori); nella leccese chiesa di San Giuseppe, quelle collocate ai lati del primo altare entrando a sinistra dalla porta maggiore raffiguranti una San Francesco d’Assisi e l’altra Sant’Antonio di Padova. In quest’ultima statua vorremmo l’attenzione si soffermasse sul Bambino e sulla particolarità della sua struttura anatomica (ad esempio l’attacco di gamba-piede); ciò è visibile pure nel Bambino sostenuto dal San Giuseppe che è nell’altare di Santa Rosa.

Questa pagina come anche la pag. 3 dello scorso numero sono state curate da Fabio Grasso


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ecclesìa IL PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA

di Angelo Sceppacerca

Io sono la resurrezione e la vita

Una lunga pagina, un intero capitolo del Vangelo di Giovanni. La vita e la morte, l’angoscia per lo strappo di una persona cara e la gioia incontenibile di riaverla fra le braccia, meritano il nostro tempo. È il fatto accaduto sotto gli occhi dei discepoli, la morte e la resurrezione di Lazzaro, il fratello di Marta e Maria, amici carissimi del Signore. Un cadavere già in fase di decomposizione, torna in vita perché il Figlio di Dio lo chiama a venir fuori dalla tomba. Prima, Gesù si commuove, si intenerisce e scoppia a piangere. Le lacrime di Dio! Non so quale dei due misteri contenga l’altro. Dio ha potere sulla morte; lo intuiva già la fede dei grandi profeti di Israele, come Ezechiele (dopo la catastrofe dell’esilio babilonese il profeta ha la visione della resurrezione delle ossa secche), Isaia (Dio sopprimerà la morte per sempre e asciugherà le lacrime su tutti i volti) e Daniele (i morti si risveglieranno chi alla vita eterna chi all’orrore eterno). Questa speranza futura, proiettata alla fine dei tempi, è già data in Gesù; lui è la resurrezione e la vita. La nostra vita è distesa tra il già delle lacrime e il non ancora della consolazione e della speranza. In mezzo sta la fede nella resurrezione di Cristo. È questo il Vangelo di oggi. La domanda di Gesù a Marta, la sorella di Lazzaro, è la stessa rivolta a ciascuno di noi: “Io sono la resurrezione e la vita. Credi tu questo?”. Marta, invece di rispondere se ha capito o meno “questo” che Gesù le ha detto, dice che crede in lui e basta. Marta non crede perché ha capito tutto quello che Gesù le ha detto; per credere le basta che l’abbia detto lui. È la fede in Gesù che ci salva, non un percorso filosofico che ci porta, al più, a convincerci che siamo esseri mortali. Aver fede in Gesù non vuol dire che Lui ci risparmia il morire, ma che ci salva “nella” morte; non elimina il limite che è della natura, ma ci aiuta a scoprire che il limite non ci annulla definitivamente. C’è modo e modo di vivere e di morire. I seguaci del crocifisso risorto sanno che si può vivere l’amore fino a dare la vita. Se gli uomini sperimentano una vita che è per-lamorte, coloro che credono in Gesù conoscono una morte che è per-la-vita. Certo, occorre la fede, che è dono da chiedere, implorare, anche con le lacrime. Dio, che pure le ha conosciute, non resisterà alla richiesta. Alcune parole del Vangelo di oggi si ritrovano nelle memorie della sepoltura di Gesù e delle visite delle donne e dei discepoli alla sua tomba: sepolcro, grotta, pietra, piedi, mani, bende, sudario. In questo modo Giovanni ci conferma che la vicenda di malattia, morte, sepoltura e risurrezione di Lazzaro è un’anticipazione della Pasqua di Gesù. Anche le nostre vicende vanno comprese dinanzi alla speranza che il Signore ha vinto la morte e con la sua risurrezione ha inaugurato una vita nuova.

CAMPI SALENTINA

Il restauro di S. Maria del Carmine Ingiustamente ignorati dagli studiosi d’arte e di storia, la chiesa di S. Maria del Carmine e l’adiacente convento, sembrano oggi voler generosamente restituire i segni del loro eccezionale valore. Carmelitano di fondazione (1612) e cappuccino di adozione (1700), il complesso monumentale, al di là di interventi di manutenzione, sino alla fine del 1940 è pervenuto integro nella versione settecentesca. Da questa data in poi, invece, l’interno e la facciata della Chiesa sono stati totalmente alterati, attraverso interventi volti essenzialmente all’appiattimento formale e decorativo della singolare veste settecentesca. La concomitante ricorrenza nel 2012 sia del quarto centenario della fondazione che del cinquantesimo anno della erezione a parrocchia del convento, ha costituito occasione propizia per un impegno di tutta la comunità cittadina, orientato alla complessiva opera di salvaguardia. Realisticamente ed in considerazione delle mutate modalità di rinvenimento delle risorse finanziarie presso enti pubblici, l’unica fonte delle necessarie economie per il restauro di questo monumento è costituita dalla generosa iniziativa popolare. Tale

condizione garantisce, per contro, possibilità di approcci conservativi a piccoli passi. Dalla fine di luglio 2010 è stata avviata un’accurata azione conservativa della splendida iconografia originaria dell’interno della chiesa, ancor più impreziosito dal sorprendente rinvenimento dell’ apparato pittorico della volta e del coro della navata centrale. La sorprendente” generosità” del monumento è riuscita ad in-

L’AGENDA DELL’ARCIVESCOVO

Domenica 10 aprile 2011 Ore 10.30 - Amministra le cresime nella parrocchia S. Maria della Pace Ore 17 - Consacra il nuovo altare della Chiesa S. Francesco di Campi S.na Ore 19 - Amministra le Cresime nella parrocchia Matrice di Carmiano

tercettare anche la disponibilità di chiunque ha creduto che salvare questo luogo sacro fosse autentico atto di cultura, il solo che poteva garantire sopravvivenza alle nostre profonde radici civili e religiose. Domenica 10 aprile alle ore 17,00, Sua Eccellenza Mons. D’Ambrosio presiederà la celebrazione della S. Messa per la riapertura al culto della chiesa appena restaurata. Luciano Palazzo

Ore 19 - Partecipa al 4° martedì di Quaresima a S. Lucia di Lecce

Mercoledì 13 aprile 2011 Ore 20 - Incontra i cresimandi di Campi S.na

Giovedì 14 aprile 2011

Lunedì 11 aprile 2011

Ore 18 - Amministra le Cresime nella parrocchia di Strudà

Ore 9 - Celebra la S. Messa del precetto pasquale con i magistrati di Lecce nel Monastero delle Benedettine

Venerdì 15 aprile 2011

Martedì 12 aprile 2011 Ore 8.30 - Celebra la S. Messa del precetto pasquale con la GdF nella chiesa di S. Francesco di Paola

Mattina - Incontra i preti giovani Ore 18 - Celebra la S. Messa nella Chiesa dell’Addolorata

Sabato 16 aprile 2011 Ore 18.30 - Celebra la S. Messa a S. Lazzaro

PAGINE DI STORIA

Michele Mincuzzi, il penultimo Amministratore Apostolico a Lecce Il 7 dicembre ’88, vigilia dell’Immacolata Concezione, a 60 anni esatti dalla nomina di mons. Alberto Costa a Vescovo di Lecce il Nostro Venerato Arcivescovo emerito mons. Cosmo Francesco Ruppi veniva promosso alla Chiesa Metropolitana di Lecce. Cessava così il breve episcopato di mons. Arcivescovo Michele Mincuzzi (8 anni non compiuti) ed aveva inizio la ancor breve sua amministrazione apostolica dell’Arcidiocesi (7 dicembre ’88 - 26 gennaio ’89). Lo conoscevo sin dal ’54, quando ero alunno del Seminario giuridico di sant’Apollinare. Di Lui conservo ricordo indelebile della sua affabilità, umiltà e soprattutto impegno sociale,

AZIONE CATTOLICA

Domenica 10 aprile riapre al culto la chiesa dei Cappuccini

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La Puglia in cammino per la legalità Si è svolto sabato 2 aprile presso l’Auditorium della scuola media “A. Volta” di Monopoli l’incontro pubblico promosso dalla delegazione regionale dell’Azione Cattolica nell’ambito del XIV Consiglio elettivo. Filo conduttore della serata condotta dal giornalista Rai Vito Giannulo è stata la Legalità con un titolo tratto da libro del Profeta Isaia “Costui abiterà il mondo”. Per parlare di questo tema l’Azione Cattolica pugliese, guidata dal delegato Vincenzo Di Maglie, si è servita delle testimonianze di tre ospiti di spicco della società civile: don Paolo Turturro, animatore dell’associazione “Dipingi la Pace” e Aldo Pecora e Rosanna Scopelliti fondatori di “Adesso ammazzateci tutti” movimento antimafia nato a Locri (RC) in seguito all’omicidio del Presidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno nel 2005. Tre testimonianze molto forti che hanno saputo tenere alta l’attenzione di tutti i presenti provenienti dalle 18 diocesi pugliesi. Don Paolo ha parlato della sua esperienza antimafia a Messina e Palermo, mentre il giovane Aldo si è soffermato sull’esperienza del movimento nato da un semplice striscione di provocazione e indignazione. Rosanna Scopelliti, anche lei impegnata in “Ammazzateci tutti” con Aldo, è figlia del magistrato Antonino Scopelliti morto in un agguato nel 1991. Domenica 3, invece, spazio al consiglio regionale elettivo, con la relazione di Chiara Finocchietti, vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica per il Settore Giovani, e la discussione del documento che sarà portato alla prossima XIV nazionale che si svolgerà a Roma dal 6 all’8 maggio. Nel pomeriggio, poi, spazio alle votazioni per la delegazione regionale e per i candidati pugliesi al consiglio nazionale. Salvatore Scolozzi

che spesso lo sollecitava alla tribuna oltre i confini della regione pugliese. Ma in special modo quando spesso telefonicamente mi confidava ansie e speranze in cerca di un conforto. Ma qui ci fermiamo perché il merito di questo articolo richiede solo un ricordo del suo servizio in diocesi per delega della Santa Sede (meno di 60 giorni). Le cartelle di archivio della prima sezione di cancelleria (1600-1601) che poco fa mi ha passato il mio giovane successore per la bisogna. Il primo fascicolo è titolato: “Comunicazione della nomina di amministratore apostolico…”; il secondo invece: “Possesso canonico del neoarcivescovo”. Ma di quest’ultimo evento a Dio piacendo, scriveremo nell’altra puntata. Traduco il cennato decreto di nomina che lessi in quel giorno per dovere d’ufficio: “Per provvedere al governo pastorale della Chiesa Metropolitana di Lecce, il Santo Padre Giovanni Paolo, per divina provvidenza Papa II, col presente decreto di questa congregazione “pro episcopis” nomina e costituisce amministratore apostolico della Chiesa Metropolitana di Lecce, fino al possesso del suo successore l’Eccellentissimo Padre Michele Mincuzzi, finora Arcivescovo di Lecce, e a Lui concede diritti, facoltà e doveri propri di ogni vescovo diocesano a norma della legge canonica”. Così recita la nomina ad amministratore apostolico del presule che ricordiamo. Con biglietto autografo del 22 gennaio ’89 a me indirizzato per competenza in quella sede vacante, l’eccellentissimo vescovo Ruppi nominava suo rappresentante per il possesso canonico mons. Luigi Protopapa Arcidiacono del Capitolo Metropolitano di Lecce. Con altro biglietto, ricevevo l’incarico di trasmettere telegraficamente a firma dell’Arcidiacono Protopapa, a missione compiuta, l’insediamento medesimo al decano dei consultori della Diocesi di Termoli, perché si procedesse all’elezione del Vicario capitolare a norma del vigente codice di diritto canonico. Concludo queste memorie con una riflessione giuridica: dal 26 gennaio (sesto kalendas februarias) fino al 29 successivo, per soli tre giorni, come qui notavamo per l’insediamento del Vescovo Costa, chi di fatto ha rappresentato in Diocesi il nuovo Vescovo, già insediato e non ancora giunto fra noi? In archivio non risulta alcun documento di delega; tuttavia la prassi consolidata (consuetudine con vigore di legge) ci autorizza a credere, come è quasi sempre avvenuto in simili casi, che rappresentante sia stato nominato “vivae vocis oraculo” (a voce) il Vicario del vescovo Predecessore; appunto perché nel nostro caso la nomina fatta all’Arcidiacono per il possesso canonico si esauriva con quell’atto giuridico (come risulta dal biglietto di delega) e non riguardava i successivi giorni precedenti l’ingresso. Ma ciò non ha rilevanza perché mons. Protopapa era al contempo Arcidiacono del Capitolo e Vicario del vescovo Predecessore. Oronzo De Simone


L’Ora del Salento

Lecce, 9 aprile 2011

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CHIESA DI LECCE

Le attività di aprile Domenica 10 Ritiro mensile per le Religiose - Istituto Suore d’Ivrea (via Martiri d’Otranto, 27) Lunedì 11 Precetto Pasquale dei Magistrati - Monastero delle Benedettine, h. 9.00 Martedì 12 Precetto Pasquale Guardia di Finanza - Rettoria “S. Francesco da Paola”, h. 8.30 Incontro di formaz. missionaria per animatori parrocchiali - Ist. Marcelline, h. 16.00 Catechesi biblica: “Come interpretare oggi la Sacra Scrittura” Relatore: don Sebastiano Pinto, Facoltà Teologica Pugliese - Molfetta Parrocchia “S. Lucia” - Lecce, h. 19.00 Giovedì 14 Verso nuove frontiere di Bioetica: “Persona e

impegno etico” Relatore: prof. Michele Indellicato, Università di Bari Università del Salento - Pal. CodacciPisanelli (Porta Napoli), h. 17.00 Scuola di Pastorale - Parrocchia “S. Giovanni Battista”, h. 17.00 / 20.00 Venerdì 15 Incontro dei Preti giovani - Nuovo Seminario, h. 9.30 Sabato 16 Gruppo Giovani “Miriam”: “Gesù, un amico speciale” Monastero Suore Carmelitane - Arnesano (via per Materdomii), h. 17.00 / 19.00 Domenica 17 delle Palme Via Crucis Diocesana nel Centro storico con conclusione nell’Anfiteatro, h. 20.00

Giovedì 21 Nel ricordo dell’istituzione della Ss. Eucaristia Chiesa di Santa Teresa, h. 9.15: Ora Media Cattedrale, h. 9.30: Messa Crismale Cattedrale, h. 19.00: Messa “in Cœna Domini” Venerdì 22 Nella Passione e morte del Signore Gesù Cattedrale, h. 9.00: Ufficio delle Letture presieduto da mons. Arcivescovo Cattedrale, h. 19.00: Commemorazione della passione e morte del Signore Gesù Giornata per le opere della Terra santa (colletta obbligatoria) Sabato 23 Vegliando in silenzio presso il Sepolcro Cattedrale, h. 9.00: Ufficio delle Letture presieduto da mons. Arcivescovo Cattedrale, h. 22.30: Veglia Pasquale

Domenica 24 Pasqua di risurrezione Cristo è risorto! È veramente risorto! Giovedì 28 - venerdì 29 aprile - 1 maggio Terzo Convegno Ecclesiale Regionale - “I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi” San Giovanni Rotondo Venerdì 29 “PrayerLab” Laboratori della fede per ragazzi e ragazze delle Scuole superiori Seminario Arcivescovile, h. 19.45 / 21.30 Sabato 30 Pellegrinaggio della Chiese di Puglia a San Giovanni Rotondo “Incontra Samuel” Week end vocazionali per ragazzi Seminario Arcivescovile (inizio: sabato, h. 16.30 - fine: domenica, h. 12.00)

L’ISSR DOPO DIECI ANNI DON RAFFAELE, IL SACERDOTE E LO STORICO Un incontro per ricordare la fulgida figura con la presenza dell’Arcivescovo e la relazione di mons. Palese, preside della Facoltà Teologica Pugliese

De Simone, fedele alla Chiesa e appassionato dell’Unità SEGNALI DI LAICALITÀ/22

Stupisce l’insolito silenzio in un’aula gremita di gente. Una sorta di rispettoso urlo da cui trapela l’interesse di ‘rivivere’ una delle più fulgide figure di sacerdote leccese che ha dato onore alla Chiesa con i suoi studi, con lo spirito con cui ha affrontato la sofferenza e con le tante silenziose opere di carità. In questo clima si è svolto il 30 marzo scorso, presso la sala conferenze dell’antico seminario di Lecce, un incontro in memoria di mons. Raffaele De Simone, a dieci anni dalla sua morte. L ’ e v e n t o ,

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Dalla fontana alla palestra

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Domenico D’Ambrosio Arcivescovo Metropolita di Lecce e da mons. Oronzo De Simone, direttore dell’archivio storico diocesano nonché fratello di don Raffaele, è stato organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose e dall’Archivio Storico Diocesano. Un dibattito vivo, in cui non sono mancati i ricordi personali dei relatori che, attraverso le parole, hanno dato vita alle emozioni passate di chi ha conosciuto il compianto sacerdote, quasi a voler conferire un’anima a quel busto bronzeo che presiedeva l’assemblea. “Impareggiabile docente di storia della chiesa e uno dei primi delegati dell’ecumenismo”. Con queste parole mons. Luigi Manca, direttore dell’Issr di Lecce, ha voluto introdurre la figura di don Raffaele, ricordando le due passioni che in lui erano fuse insieme, l’una al servizio dell’altra senza condizionamenti reciproci. Nei suoi scritti si denota una spiritualità sacerdotale marcata da una non comune sensibilità e affabilità, insieme ad una incondizionata fedeltà alla chiesa e ad una carità tanto attenta quanto discreta. Con la sua passione ecumenica mons. De Simone ha anticipato ciò che nella chiesa oggi è di piena acquisizione, cioè che l’ecumenismo è ormai una via da cui non si può tornare indietro, una via per la quale don Raffaele ha offerto, giorno dopo giorno, la sua vita. Nel ripercorrere questi ricordi, una certa emozione traspare nella relazione del prof. mons. Salvatore Palese, Preside della Facoltà Teologica Pugliese, che è stato suo alunno nel seminario regionale di Molfetta. A concludere l’incontro le inestimabili parole di Oronzo De Simone, che hanno donato al folto pubblico un esempio da seguire. Serena Carbone

di Tonio Rollo

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IL GRAZIE DI DON ORONZO

Amato e indimenticabile fratello Ritengo doveroso scrivere su questo giornale, i sentimenti di gratitudine a mons. Arcivescovo, che ha voluto la decennale commemorazione del mio amato e indimenticabile fratello, don Raffaele. Con Lui ringrazio quanti hanno partecipato all’evento: presbiteri, laici, Autorità, alunni dell’Istituto e i tanti amici ammiratori di don Raffaele, beneficati dalla sua carità ed edificati dalla sua esemplare vita sacerdotale. Un particolare pensiero di gratitudine lo rivolgo al Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose, mons. Luigi Manca, promotore dell’iniziativa assieme all’Archivio Storico Diocesano, da mio fratello fondato. Ma il mio grazie va soprattutto a mons. Salvatore Palese, Preside della Facoltà Teologica Pugliese, di Lui un tempo affezionato discepolo e poi continuatore dell’Opera sua, che ha accolto l’invito di tratteggiare la memoria, evidenziando il pensiero e gli scritti di don Raffaele. Non posso tacere la gratitudine al Preside emerito del nostro Liceo Artistico, il chiarissimo prof. Lorenzo Ciccarese, che a Lui legato da particolari vincoli spirituali, lo ha voluto fissare nel bronzo in due artistici busti, inaugurati anni or sono dal Ministro dei Beni Culturali. Una quasi coincidente data, tre volte centenaria della nascita (20 maggio 1711), mi spinge a Lui associare la pia e sofferta esistenza di mons. Agostino de Simone, prima canonico di questa cattedrale e poi vescovo di Irsinia in Lucania, prozio del nostro trisavolo Oronzo, supplente al giudice del Circondario e Decurione della Città che il nostro Presule ha voluto si conservasse in Curia nel busto del primo Maccagnani scolpito nel 1871: una delle opere più riuscita e ammirata di tanto maestro. Due episodi, che altamente mi onorano e profondamente mi commuovono, conservo vivi nel mio cuore. Il primo è legato al carissimo Arcivescovo Emerito, mons. Cosmo Francesco Ruppi, già suo collega nell’insegnamento e nella biblioteca del Pontificio Seminario Pugliese, il quale, pochi giorni dopo il ritorno di lui alla casa del Padre, disse al Presbiterio Diocesano, riunito in ritiro spirituale, quanto gli aveva confidato p. Vincenzo Monachino, fondatore nel 1935 della Facoltà di Storia della Chiesa presso la Gregoriana: “Se don Raffaele fosse stato bene in salute, sarebbe divenuto il più grande storico della Chiesa in Italia”. Il secondo ricordo, molto più recente, è legato alla mia prima visita di dovere al nostro Arcivescovo, mons. D’Ambrosio, quando alla domanda se avesse conosciuto mio fratello, Egli, in forma dubitativa, mi rispose: “quello che era santo?”. Parole queste che ritengo quasi auspicio per un non lontano avvenire. O.D.S.

Come si fa passare dalla fontana alla palestra? Qualcuno si chiederà se si tratti di un nuovo percorso del gioco dell’oca o di moderne priorità o perfino di un nuovo gioco a quiz. Ma ripartiamo dal via. è stata questa la settimana del Consiglio Permanente della Cei e come ogni volta non potevamo farci scappare quanto i nostri Pastori dicono, propongono e programmano. Certo non li possiamo lasciare soli. Tra i temi caldi all’ordine del giorno ce n’erano alcuni veramente interessanti e stimolanti. Del resto tutti erano in attesa di quello che avrebbero detto su… questo o quell’altro argomento e tutti pronti ad interpretare parole e silenzi. Manco fosse la Sibilla Cumana con i suoi vaticini, che i venti scompigliano e rendono sibillini! In questa sede non prenderemo in considerazione i temi del debito morale che il nord del mondo ha nei confronti del sud. O della necessità che “si fermino le armi”, nella convinzione di quanto “la strada della diplomazia sia giusta e possibile”, oltre che “premessa e condizione per individuare una «via africana» verso il futuro”. Non prenderemo nemmeno in considerazione di quanto i rappresentanti dei vescovi italiani hanno detto sull’impegno concreto, immediato e congruo che l’Europa dovrebbe mettere in atto per evitare l’illusione di poter vivere sicura chiudendo le porte al grido dei popoli in difficoltà. Soltanto autentiche politiche di cooperazione potranno assicurare a tutti sviluppo e pace duratura - dice con fermezza il Consiglio Permanente. Ma noi poveri fedeli laici lo sappiamo e lo ascoltiamo, restando ammutoliti in attesa. Si potrebbe dire qualcosa riguardo al paradigma antropologico che sostituisce la persona con l’individuo, stravolge il rapporto tra verità e libertà, equipara la convivenza al matrimonio e riduce lo Stato da ordinamento per il bene comune a strumento chiamato a registrare il mero esercizio dei diritti individuali. Ma perché farlo? Cisono opinioni-

sti più dotti e puntuali che lo faranno. Noi segnaleremo un tema che per i fedeli laici può essere strategico: il passaggio dalla fontana alla palestra. Bagnasco: Ci piace pensare alle nostre parrocchie come a palestre dello Spirito, dove non si gestiscono burocraticamente incontri ed impegni, ma avvengono miracoli perché si cerca il Signore, ci si imbatte con il suo sguardo, ci si sente raccolti nella sua mano, e se ne ricava la vita trasformata, non più sottomessa al conformismo o sofferente per il giudizio altrui. Ecco la svolta epocale! Non c’era omelia o discorso riguardante la parrocchia che si citasse l’immagine giovannea (il papa buono) della fontana del villaggio dove tutti si avvicinano per rinfrescarsi, per vivere. Da domani si cambia rotta! Visto che viviamo in un tempo liquido o, soprattutto, un tempo in cui si consuma forse troppa acqua minerale e quindi bisogna cambiare similitudine. Quindi essendo in un tempo edonistico, dove si pensa alla forma fisica, alla necessità di smaltire le tossine che creano problemi alla salute e alla una sana mens, ecco l’immagine della palestra dello Spirito. Da qui quello che potrebbe essere un problema non marginale: quello del ruolo dei sacerdoti nelle parrocchie che da “fontanieri” rischiano di diventare “personal trainer” o, in senso comunitario, degli allenatori e preparatori atletici. In questo le immagini paoline aiutano molto. Ma concludono i vescovi: Qui si apre anche l’orizzonte della formazione permanente dei sacerdoti, non immuni dalle lusinghe di un individualismo che depotenzia la vita interiore e rischia di mortificare la perenne freschezza del ministero presbiterale. In qualche caso, se il fisico non accompagna, si può sempre far ricorso alla più classica immagine dell’agricoltore che può - dice Bagnasco - scorgere nell’ordinarietà della vita pastorale non una distesa polverosa di gesti ripetitivi, ma un campo seminato a Grazia. Siccità permettendo! D

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L’Ora del Salento

Lecce, 9 aprile 2011

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i tutt e lass in c

di Antonio Silvestri

Colf e badanti: contributi e denunce online

Per colf e badanti, questo mese - la scadenza, non dimentichiamo, è fissata a lunedì 11 aprile - diventa più semplice pagare i contributi Inps. Dal primo aprile 2011 sono infatti cambiate le modalità di versamento dei contributi previdenziali per le colf: i datori di lavoro domestico possono utilizzare una più vasta gamma di canali e strumenti di pagamento rispetto al passato. Con il bollettino Mav, inviato nei giorni scorsi dall’Inps al domicilio di tutti i datori di lavoro domestico, è possibile pagare presso gli uffici postali e gli sportelli bancari; attraverso il circuito Reti Amiche si può pagare presso le tabaccherie, gli uffici postali abilitati e gli sportelli bancari del gruppo Unicredit. Ma il pagamento può essere effettuato anche attraverso Pos virtuale, collegandosi al sito web dell’Inps (www.inps.it) o telefonando al numero verde 803.164, raggiungibile senza prefisso da tutta Italia. In caso di variazioni che incidano sull’importo da pagare nel trimestre, il datore di lavoro può utilizzare il sito web dell’Istituto per generare direttamente un nuovo Mav, o telefonare al numero verde per farsene recapitare uno aggiornato, oppure - infine - rivolgersi al network Reti Amiche dove provvedere direttamente al pagamento secondo le variazioni necessarie. Infine, per comunicare la cessazione di un rapporto di lavoro o una nuova assunzione, è sufficiente una telefonata al numero verde (803.164) o una segnalazione sul sito (www.inps.it), al quale accedere tramite Pin.

La salute prima di tutto di Domenico Maurizio Toraldo

Dal primo aprile scorso anche le domande di disoccupazione ordinaria e di indennità di mobilità ordinaria potranno essere presentate all’Inps esclusivamente attraverso il canale telematico. Si tratta di un ulteriore passo dell’Inps verso la completa telematizzazione delle domande di prestazione/ servizio, nell’ambito di un processo ormai avviato di crescita di efficienza amministrativa e di aumento della qualità delle prestazioni nei confronti dei cittadini e delle imprese. Il processo di digitalizzazione delle varie domande di prestazione avviene con gradualità, dopo un periodo transitorio durante il quale le consuete modalità di presentazione continuano comunque ad essere garantite. Terminato il periodo transitorio, le domande possono essere inoltrate solo usando il canale telematico. Il periodo transitorio per la domanda di disoccupazione ordinaria (circolare Inps n. 170/2010), di indennità di mobilità ordinaria (circolare n. 171/ 2010) e per le comunicazioni relative al rapporto di lavoro domestico (circolare n. 49/2011) è scaduto il 31 marzo scorso, per cui dal giorno successivo non è più possibile presentare le domande in modalità cartacea, ma solo via web (direttamente dal cittadino tramite Pin attraverso il portale dell’Istituto previdenziale, www.inps.it), al telefono (tramite il contact center integrato, al numero verde 803164), oppure tramite i patronati e tutti gli intermediari dell’Inps, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

I COLORI DELLA VITA

di Fabio Scrimitore

La preoccupazione dei supplenti del sud Il marito insegna matematica in una scuola media di Bobbiate, in quel di Varese. Anche se non è ancora riuscito a raggiungere la serenità del ruolo, fino a quest’anno ha potuto vivere con una certa fiducia nel futuro, perché le graduatorie degli aspiranti all’insegnamento della matematica nelle scuole delle Prealpi lombarde non sono tanto fitte di nomi, quanto quelle delle province meridionali. Così, da due anni, il professore insegna. Esattamente come è riuscito alla moglie, professoressa anch’essa di matematica, incaricata annuale anche lei in una scuola del varesotto. Da inguaribili meridionali, marito e moglie non hanno rinunciato alla speranza di ottenere un incarico più stabile, magari entrando in ruolo in una scuola pugliese. Per sostenere questa speranza, nell’aprile del 2007, hanno chiesto d’essere inseriti nelle graduatorie della più orientale fra le province d’Italia, ma nel biennio 2007/08 e 2008/09 avevano potuto raggranellar soltanto supplenze, e per brevi periodi. Sicché, con l’avvento della Gelmini in viale Trastevere, si erano fatti includere, oltre che nelle graduatorie della loro provincia di nascita e residenza, anche in tre province dell’antica Repubblica Cisalpina, dove, nonostante fossero stati inseriti in coda alle loro graduatorie, avevano potuto ricevere incarichi annuali, tanto nel 2009/2010, quanto in quest’anno corrente. Oggi sono molto preoccupati.Li angoscia la sentenza n. 41 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 4 ter, della legge n. 167 del 2009, con la quale la Gelmini aveva concesso ai supplenti la generosa possibilità di inserirsi, seppure in coda, nelle graduatorie di tre province, oltre che nella graduatoria della provincia in cui si erano fatti includere secondo l’ordine dato dal punteggio posseduto. In verità, tale concessione non era stata proprio un atto di generosità della Ministra bresciana; tutt’altro! Era stata una sorta di sofistico rimedio amministrativo, che avevano inventato i levantini consiglieri della Ministro, per eludere una precedente sentenza dello stesso anno 2009, con la quale la Corte Costituzionale aveva cancellato un precedente decreto ministeriale. Questo decreto consentiva, sì, agli aspiranti ad incarichi di insegnamento di trasferirsi in graduatorie di provincia diversa da quella scelta per la prima volta, anzi concedeva che gli aspiranti scegliessero ben tre nuove province, ma li relegava in coda alle graduatoria prescelte, a prescindere dal punteggio posseduto dagli stessi insegnanti. Nonostante fossero stati collocati al fondo delle graduatorie di matematica di Varese, i due coniugi pugliesi, però, avevano potuto insegnare nella regione dei laghi. Ma, sull’affannato capo dei supplenti del sud-est italiano pende, novella spada di Damocle, la lettera della scorsa settimana, con la quale i sofistici consulenti della signora Gelmini hanno chiesto ai supremi Consulenti del Consiglio di Stato se sia corretto - come loro ritengono - dare esecuzione alla prima delle due citate sentenze della Corte Costituzionale, per tornar, così, al tempo pre-gelminiano.

di Vinicio Russo

ILFISCO ED I CITTADINI

Pneumologo

Il biologo può solo elaborare diete “Il Tribunale di Roma, con la sentenza 3527 del 18 febbraio 2011, ha affermato che il biologo può solo suggerire o consigliare profili nutrizionali finalizzati al miglioramento dello stato di salute e mai, in nessun caso, può prescrivere una dieta come atto curativo, che rimane sempre un’attribuzione esclusiva del medico”. È quanto evidenzia l’Ordine provinciale dei medici, chirurghi e odontoiatri di Roma, che “difende la centralità e l’esclusività dell’atto medico: ora un’ulteriore recente sentenza di un Tribunale ribadisce entrambe”. Secondo l’Ordine - riporta una nota - numerose sono le invasioni di campo da parte di profili professionali non medici che determinano incertezze nei cittadini, con rischio di minore tutela della salute e anche di notevole incremento di costi economici. “Di fatto - avverte il presidente Mario Falconi - sta saltando definitivamente quel modello di assistenza che ha sempre individuato nel medico l’unico legittimo protagonista dell’atto medico. Continuiamo a pensare che i numerosi profili professionali non medici siano una ricchezza per l’intero sistema sanitario, ma ognuno deve esercitare nell’ambito delle proprie competenze”. Anche l’Ordine nazionale dei Biologi ha tentato di ottenere in un’aula di giustizia un pronunciamento che potesse attribuire, seppur in-

direttamente, alla categoria professionale dei biologi, competenze esclusive del medico, nella fattispecie inerenti la prescrizione di diete. Il Tribunale di Roma ha respinto l’istanza. La controversia era nata dalla citazione in giudizio del prof. Eugenio Del Toma che sulle pagine di un quotidiano, dedicate alla salute, aveva replicato all’affermazione di una lettrice, la quale sosteneva che “un biologo nutrizionista può svolgere la sua professione in totale autonomia senza la presenza del medico”. Per l’accademico chiamato in causa invece tale affermazione contrastava “con il buon senso, ancor prima che con altre fondamentali leggi sulla professione medica e quindi sull’esercizio abusivo della professione”. Per la parte promotrice del giudizio ciò era bastato per ritenere diffamata la categoria dei biologi: da qui la richiesta di risarcimento del danno all’onore e al decoro professionale. Nella causa era intervenuto l’Ordine provinciale dei medici, sostenendo, appunto, la centralità dell’atto medico anche in merito alla prescrizione della dieta per un paziente; a tale proposito aveva anche richiamato il parere del ministro della Salute del 15 dicembre 2009 che attribuisce la competenza di tale prescrizione esclusivamente al medico e riconosce al biologo solo la possibilità di elaborare e determinare (quindi non prescrivere) diete.

Salento e Lampedusa: lo stesso Nobel? “L’emergenza di questi giorni esige uno sforzo da parte di tutti per sentire l’appello che giunge da persone che rischiano la vita nei loro paesi. La Chiesa italiana, attraverso 93 diocesi e la Caritas, ha individuato 2.500 posti disponibili per l’accoglienza degli immigrati.”. È quanto ha detto il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Mariano Crociata, che ha poi sottolineato: “questo aiuto va offerto, benché siamo in uno stato di crisi, per risolvere problemi di sopravvivenza immediata. Diverso è il discorso in prospettiva, dove il sostegno ai problemi dell’immigrazione che ci si può attendere dai Paesi dell’Africa del nord deve essere affrontato con accordi sovranazionali”. Inoltre la Chiesa in Italia, insieme con i vescovi europei, sollecita le istituzioni dell’Unione Europea a farsi carico dell’emergenza dovuta allo straordinario afflusso. La questione immigrazione è complessa. Gli arrivi di queste settimane vanno affrontati nell’ottica di una emergenza temporanea ma con soluzioni che consentano di lavorare serenamente in una prospettiva di lungo termine. Qualcuno dirà che sono “belle affermazioni” ma poi nei fatti tutto diventa difficile. È vero se non si tiene conto che il Salento ha già affrontato simili emergenze almeno in tre altri momenti (dal 1991 al 2000) e per tre popolazioni differenti: gli albanesi, i kosovari, i kurdi. E’ stata sempre garantita una accoglienza dignitosa, nel totale rispetto delle persone che sbarcavano sulle nostre coste, e contemporaneamente è stato loro consentito di raggiungere le località verso cui erano diretti. Tranne che per gli albanesi, per kurdi e kosovari la situazione ha comportato solo una accoglienza temporanea e poi il 99 per cento di loro sono andati in altri paesi europei ed extra europei (Germania, Francia, Stati Uniti, ecc.). Le invasioni viste in televisione rimanevano tali: mai le nostre popolazioni con l’arrivo di kosovari e kurdi hanno trovato porti, spiagge o campi tenda invasi da persone che fuggivano. I lampedusani come i salentini. Un paese di poche migliaia di persone si sta prodigando per accogliere un numero altissimo di immigrati che fuggono da guerre, fame, dittature. Gli abitanti dell’isola di Lampedusa non possono essere lasciati soli. Accompagnarli e sostenerli non significa sfilare davanti alle telecamere e lanciare proclami più o meno populisti. I governanti hanno il dovere di dare risposte concrete e utili per fronteggiare tale situazione. Sarebbe stato sufficiente non abbandonare al degrado le strutture utilizzate per l’accoglienza negli anni passati e con una spesa minima ripristinarle. Rilasciando un permesso di soggiorno temporaneo (sei mesi) agli immigrati smistati nei vari centri si eviterebbero sovraffollamenti disumani in tendopoli costose e inadatte alla prima accoglienza. In questo modo gli altri Stati europei non potrebbero rimandarceli indietro, gli immigrati raggiungerebbero i luoghi di destinazione finale regolarmente, non fuggirebbero restando “clandestini” e diventando facile preda dei gruppi criminali. Basta volerlo e considerare gli altri persone con uguale dignità.

La giustizia tributaria e i cittadini Sono parti nel processo il ricorrente e il resistente. Il ricorrente è il contribuente, cioè il soggetto debitore del tributo. La parte resistente è l’Amministrazione che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto (in caso, ad esempio, di una richiesta di rimborso), ossia l’ufficio dell’Agenzia fiscale oppure l’ente locale o ancora l’Agente (ex Concessionario) del Servizio di riscossione per i vizi dell’avviso di mora. In particolare, per l’Agenzia fiscale è parte in giudizio: per i tributi diretti, l’Iva, nonché per tutte le imposte, diritti o entrate erariali o locali, entrate anche di natura extratributaria, l’Agenzia delle Entrate; per i diritti doganali e la fiscalità interna negli scambi internazionali, le accise sulla produzione e sui consumi, escluse quelle sui tabacchi lavorati, l’Agenzia delle Dogane; per le tasse ipotecarie, i tributi speciali catastali e l’imposta di bollo, l’Agenzia del Territorio.| L’assistenza tecnica consiste nell’obbligo di farsi assistere in giudizio da un difensore abilitato, ad eccezione delle c.d. liti minori. Per i non abbienti è prevista l’assistenza gratuita, affidata alla commissione del patrocinio a spese dello Stato, costituita presso ogni Commissione tributaria. Alcuni soggetti possono difendere il contribuente relativamente a qualsiasi materia, mentre altri solo in relazione a materie specifiche, attinenti all’attività esercitata dagli stessi. Possono rivestire la qualifica di difensore con competenza generale: se iscritti nei relativi albi, gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri, i periti commerciali e, se non dipendenti dall’amministrazione pubblica, i consulenti del lavoro; gli impiegati delle ex carriere dirigenziali, direttive e di concetto dell’Amministrazione finanziaria e gli ufficiali della Guardia di Finanza, collocati a riposo dopo almeno 20 anni di servizio effettivo, sempreché iscritti in appositi elenchi tenuti presso le Direzioni regionali delle entrate; funzionari delle associazioni di categoria che alla data del 15 gennaio 1993 erano iscritti nell’elenco tenuto dalle soppresse Intendenze di Finanza in base alla previgente normativa sul contenzioso tributario.L’obbligo di farsi assistere da un difensore abilitato non sussiste per le controversie: di valore inferiore a 2.582,28 euro. In tal caso pertanto il ricorrente può proporre direttamente ricorso e stare in giudizio personalmente; promosse direttamente da un soggetto in possesso dei requisiti per prestare assistenza tecnica (ad es. un avvocato per questioni che lo riguardano direttamente). Il valore della controversia coincide con l’ammontare del tributo contestato al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate. Per tributo contestato si intende la (sola o) maggiore imposta accertata. Se la lite riguarda esclusivamente l’irrogazione di sanzioni, il valore da considerare coincide con l’ammontare di queste. Per le liti minori, tuttavia, il giudice tributario può ordinare al ricorrente di munirsi di assistenza tecnica entro un termine determinato. Se alla sua scadenza non è stato conferito l’incarico a un difensore abilitato, il giudizio si estingue per inattività delle parti. Giangaspare Donato Toma


Lecce, 9 aprile 2011

obiettivo

PAPA WOJTYLA VERSO LA BEATIFICAZIONE

L’Ora del Salento

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A fronte di tante parole con le quali si discetta in vario modo sul tema del “fine vita”, si ritiene opportuno recare ad un pubblico più vasto il testo integrale del Testamento del Santo Padre Giovanni Paolo II, nel convincimento che a detto dibattito possa essere di sicuro proficuo ausilio

Testamento del Santo Padre Giovanni Paolo II Il testamento del 6 marzo 1979 Totus Tuus ego sum Nel Nome della Santissima Trinità. Amen. “Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (cf. Mt 24, 42) - queste parole mi ricordano l’ultima chiamata, che avverrà nel momento in cui il Signore vorrà. Desidero seguirLo e desidero che tutto ciò che fa parte della mia vita terrena mi prepari a questo momento. Non so quando esso verrà, ma come tutto, anche questo momento depongo nelle mani della Madre del mio Maestro: Totus Tuus. Nelle stesse mani materne lascio tutto e Tutti coloro con i quali mi ha collegato la mia vita e la mia vocazione. In queste Mani lascio soprattutto la Chiesa, e anche la mia Nazione e tutta l’umanità. Ringrazio tutti. A tutti chiedo perdono. Chiedo anche la preghiera, affinché la Misericordia di Dio si mostri più grande della mia debolezza e indegnità. Durante gli esercizi spirituali ho riletto il testamento del Santo Padre Paolo VI. Questa lettura mi ha spinto a scrivere il presente testamento. Non lascio dietro di me alcuna proprietà di cui sia necessario disporre. Quanto alle cose di uso quotidiano che mi servivano, chiedo di distribuirle come apparirà opportuno. Gli appunti personali siano bruciati. Chiedo che su questo vigili don Stanislao, che ringrazio per la collaborazione e l’aiuto così prolungato negli anni e così comprensivo. Tutti gli altri ringraziamenti invece, li lascio nel cuore davanti a Dio stesso, perché è difficile esprimerli. Per quanto riguarda il funerale, ripeto le stesse disposizioni, che ha dato il Santo Padre Paolo VI (qui nota al margine: il sepolcro nella terra, non in un sarcofago, 13.3.92).

Un foglio senza data Esprimo la più profonda fiducia che, malgrado tutta la mia debolezza, il Signore mi concederà ogni grazia necessaria per affrontare secondo la Sua volontà qualsiasi compito, prova e sofferenza che vorrà richiedere dal Suo servo, nel corso della vita. Ho anche fiducia che non permetterà mai che, mediante qualche mio atteggiamento: parole, opere o omissioni, possa tradire i miei obblighi in questa santa Sede Petrina.

Le aggiunte del 1 marzo 1980 Anche durante questi esercizi spirituali ho riflettuto sulla verità del Sacerdozio di Cristo nella prospettiva di quel Transito che per ognuno di noi è il momento della propria morte. Del congedo da questo mondo - per nascere all’altro, al mondo futuro, segno eloquente (aggiunto sopra: decisivo) è per noi la Risurrezione di Cristo. Ho letto dunque la registrazione del mio testamento dell’ultimo anno, fatta anch’essa durante gli esercizi spirituali - l’ho paragonata con il testamento del mio grande Predecessore e Padre Paolo VI, con quella sublime testimonianza sulla morte di un cristiano e di un papa - e ho rinnovato in me la coscienza delle questioni, alle quali si riferisce la registrazione del 6.III. 1979 preparata da me (in modo piuttosto provvisorio). Oggi desidero aggiungere ad essa solo questo, che ognuno deve tener presente la prospettiva della morte. E deve esser pronto a presentarsi davanti al Signore e al Giudice - e contemporaneamente Redentore e Padre. Allora anche io prendo in considerazione questo continuamente, affidando quel momento decisivo alla Madre di Cristo e della Chiesa - alla Madre della mia speranza. I tempi, nei quali viviamo, sono indicibilmente difficili e inquieti. Difficile e tesa è diventata anche la via della Chiesa, prova caratteristica di questi tempi - tanto per i Fedeli, quanto per i Pastori.

In alcuni Paesi (come p.e. in quello di cui ho letto durante gli esercizi spirituali), la Chiesa si trova in un periodo di persecuzione tale, da non essere inferiore a quelle dei primi secoli, anzi li supera per il grado della spietatezza e dell’odio. Sanguis martyrum semen christianorum. E oltre questo tante persone scompaiono innocentemente, anche in questo Paese in cui viviamo… Desidero ancora una volta totalmente affidarmi alla grazia del Signore. Egli stesso deciderà quando e come devo finire la mia vita terrena e il ministero pastorale. Nella vita e nella morte Totus Tuus mediante l’Immacolata. Accettando già ora questa morte, spero che il Cristo mi dia la grazia per l’ultimo passaggio, cioè la [mia] Pasqua. Spero anche che la renda utile anche per questa più importante causa alla quale cerco di servire: la salvezza degli uomini, la salvaguardia della famiglia umana, e in essa di tutte le nazioni e dei popoli (tra essi mi rivolgo anche in modo particolare alla mia Patria terrena), utile per le persone che in modo particolare mi ha affidato, per la questione della Chiesa, per la gloria dello stesso Dio. Non desidero aggiungere niente a quello che ho scritto un anno fa - solo esprimere questa prontezza e contemporaneamente questa fiducia, alla quale i presenti esercizi spirituali di nuovo mi hanno disposto. Giovanni Paolo II

Le aggiunte del 5 marzo 1982 Totus Tuus ego sum Nel corso degli esercizi spirituali di quest’anno ho letto (più volte) il testo del testamento del 6.III.1979. Malgrado che tuttora lo consideri come provvisorio (non definitivo), lo lascio nella forma nella quale esiste. Non cambio (per ora) niente, e neppure aggiungo, per quanto riguarda le disposizioni in esso contenute. L’attentato alla mia vita il 13.V.1981 in qualche modo ha confermato l’esattezza delle parole scritte nel periodo degli esercizi spirituali del 1980 (24. II - 1. III). Tanto più profondamente sento che mi trovo totalmente nelle Mani di Dio - e resto continuamente a disposizione del mio Signore, affidandomi a Lui nella Sua Immacolata Madre (Totus Tuus) Giovanni Paolo pp. II In connessione con l’ultima frase del mio testamento del 6.III 1979 (“Sul luogo /il luogo cioè del funerale/ decida il Collegio Cardinalizio e i Connazionali”) - chiarisco che ho in mente: il metropolita di Cracovia o il Consiglio Generale dell’Episcopato della Polonia - al Collegio Cardinalizio chiedo intanto di soddisfare in quanto possibile le eventuali domande dei su elencati.

Le aggiunte del 1 marzo 1985 Ancora - per quanto riguarda l’espressione “Collegio Cardinalizio e i Connazionali”: il “Collegio Cardinalizio” non ha nessun obbligo di interpellare su questo argomento “i Connazionali”; può tuttavia farlo, se per qualche motivo lo riterrà giusto. JPII

Misericordia di Dio voglia prestarmi le forze necessarie per questo servizio. 3. Come ogni anno durante gli esercizi spirituali ho letto il mio testamento del 6.III.1979. Continuo a mantenere le disposizioni contenute in esso. Quello che allora, e anche durante i successivi esercizi spirituali è stato aggiunto costituisce un riflesso della difficile e tesa situazione generale, che ha marcato gli anni ottanta. Dall’autunno dell’anno 1989 questa situazione è cambiata. L’ultimo decennio del secolo passato è stato libero dalle precedenti tensioni; ciò non significa che non abbia portato con sé nuovi problemi e difficoltà. In modo particolare sia lode alla Provvidenza Divina per questo, che il periodo della così detta “guerra fredda” è finito senza il violento conflitto nucleare, di cui pesava sul mondo il pericolo nel periodo precedente.

Gli esercizi spirituali dell’anno giubilare 2000 Quando nel giorno 16 ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il Primate della Polonia Card. Stefan Wyszyski mi disse: “Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio”. Non so se ripeto esattamente la frase, ma almeno tale era il senso di ciò che allora sentii. Lo disse l’Uomo che è passato alla storia come Primate del Millennio. Un grande Primate. Sono stato testimone della sua missione, del Suo totale affidamento. Delle Sue lotte: della Sua vittoria. “La vittoria, quando avverrà, sarà una vittoria mediante Maria” - queste parole del suo Predecessore, il card. August Hlond, soleva ripetere il Primate del Millennio. In questo modo sono stato in qualche maniera preparato al compito che il giorno 16 ottobre 1978 si è presentato davanti a me. Nel momento in cui scrivo queste parole, l’Anno giubilare del 2000 è già una realtà in atto. La notte del 24 dicembre 1999 è stata aperta la simbolica Porta del Grande Giubileo nella Basilica di San Pietro, in seguito quella di San Giovanni in Laterano, poi di Santa Maria Maggiore - a capodanno, e il giorno 19 gennaio la Porta della Basilica di San Paolo “fuori le mura”. Quest’ultimo avvenimento, per via del suo carattere ecumenico, è restato impresso nella memoria in modo particolare. 2. A misura che l’Anno Giubilare 2000 va avanti, di giorno in giorno si chiude dietro di noi il secolo ventesimo e si apre il secolo ventunesimo. Secondo i disegni della Provvidenza mi è stato dato di vivere nel difficile secolo che se ne sta andando nel passato, e ora nell’anno in cui l’età della mia vita giunge agli anni ottanta (“octogesima adveniens”), bisogna domandarsi se non sia il tempo di ripetere con il biblico Simeone “Nunc dimittis”. Nel giorno del 13 maggio 1981, il giorno dell’attentato al Papa durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, la Divina Provvidenza mi ha salvato in modo miracoloso dalla morte. Colui che è unico Signore della vita e della morte Lui stesso mi ha prolungato questa vita, in un certo modo me l’ha donata di nuovo. Da questo momento essa ancora di più appartiene a Lui. Spero che Egli mi aiuterà a riconoscere fino a quando devo continuare questo servizio, al quale mi ha chiamato nel giorno 16 ottobre 1978. Gli chiedo di volermi richiamare quando Egli stesso vorrà. “Nella vita e nella morte apparteniamo al Signore… siamo del Signore” (cf. Rm 14, 8). Spero anche che fino a quando mi sarà donato di compiere il servizio Petrino nella Chiesa, la

4. Stando sulla soglia del terzo millennio “in medio Ecclesiae”, desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa - e soprattutto con l’intero episcopato - mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontificato. “In medio Ecclesiae”… dai primi anni del servizio vescovile - appunto grazie al Concilio - mi è stato dato di sperimentare la fraterna comunione dell’Episcopato. Come sacerdote dell’Arcidiocesi di Cracovia avevo sperimentato che cosa fosse la fraterna comunione del presbiterio - il Concilio ha aperto una nuova dimensione di questa esperienza. 5. Quante persone dovrei qui elencare! Probabilmente il Signore Dio ha chiamato a Sé la maggioranza di esse - quanto a coloro che ancora si trovano da questa parte, le parole di questo testamento li ricordino, tutti e dappertutto, dovunque si trovino. Nel corso di più di vent’anni da cui svolgo il servizio Petrino “in medio Ecclesiae” ho sperimentato la benevola e quanto mai feconda collaborazione di tanti Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, tanti sacerdoti, tante persone consacrate - Fratelli e Sorelle - infine di tantissime persone laiche, nell’ambiente curiale, nel Vicariato della Diocesi di Roma, nonché fuori di questi ambienti. Come non abbracciare con grata memoria tutti gli Episcopati nel mondo, con i quali mi sono incontrato nel succedersi delle visite “ad limina Apostolorum”! Come non ricordare anche tanti Fratelli cristiani - non cattolici! E il rabbino di Roma e così numerosi rappresentanti delle religioni non cristiane! E quanti rappresentanti del mondo della cultura, della scienza, della politica, dei mezzi di comunicazione sociale! 6. A misura che si avvicina il limite della mia vita terrena ritorno con la memoria all’inizio, ai miei Genitori, al Fratello e alla Sorella (che non ho conosciuto, perché morì prima della mia nascita), alla parrocchia di Wadowice, dove sono stato battezzato, a quella città del mio amore, ai coetanei, compagne e compagni della scuola elementare, del ginnasio, dell’università, fino ai tempi dell’occupazione, quando lavorai come operaio, e in seguito alla parrocchia di Niegowi“, a quella cracoviana di S. Floriano, alla pastorale degli accademici, all’ambiente… a tutti gli ambienti… a Cracovia e a Roma… alle persone che in modo speciale mi sono state affidate dal Signore. A tutti voglio dire uno sola cosa: “Dio vi ricompensi”. “In manus Tuas, Domine, commendo spiritum meum”. A.D. 17.III.2000


L’Ora del Salento 11

Lecce, 9 aprile 2011

zoom LECCE/ Il coro Polifonico S. F. Smaldone ripropone musiche della tradizione ceciliana

CAMPI SAL./ Le memorie dell’Unità d’Italia

All’Istituto dirige Putignano

Italiani da 150 anni

In occasione della quinta domenica di quaresima, il 10 aprile 2011 il Coro Polifonico “S. F. Smaldone” diretto da Biagio Putignano proporrà alcune suggestive pagine della tradizione musicale ceciliana. In particolare saranno proposte alcune opere di don Pietro Magri (1873-1937), sacerdote e compositore, maestro di cappella del Duomo di Lecce dal 1910 al 1917 circa. Scrive Giulio Monaco nella prefazione al volume di Alberto Galazzo Le squille benedette pubblicato dalla Diocesi di Biella “…unico e irripetibile fu Pietro Magri e la sua opera: un’opera che alla lettura e all’esecuzione si rivela densa di contenuti e forte di espressività, a mala pena costretta nei limiti del rigore ceciliano, come a mala pena era contenuta la profonda umanità e la burbera bonarietà dell’uomo…”. Sottolinea il musicologo Alberto Galazzo come “…Le musiche magriane destinate alla liturgia non escono mai palesemente dai canoni codificati dal Cecilianesimo; ma non sono nemmeno compresse in essi. Ante litteram, l’autore riesce persino a ottenere quel coinvolgimento dell’Assemblea tanto caldeggiato oggi, quanto nemmeno troppo auspicato allora…”. Magri arriva in Puglia nel 1901, come “…missionario ceciliano…” nella diocesi di Bari, per poi accettare l’invito a dirigere la cappella musicale del Duomo di Lecce nel 1910. In aprile dello stesso anno dirige a Lecce l’oratorio Omaggio a Cristo Re, vantando la collaborazione del grande virtuoso del tempo, l’organista Ulisse Matthey e annoverando tra i coristi il giovane Tito Schipa. Successivamente Magri assumerà altri incarichi di prestigio in varie città italiane, per fare ritorno a

Il Coro Polifonico S. Filippo Smaldone e nel riquadro don Pietro Magri

Lecce nel marzo del 1925 per inaugurare il nuovo organo della Cattedrale costruito dalla ditta Inzoli. Si spegnerà ad Oropa nel luglio del 1937 lasciando incompiuto l’oratorio cui sta lavorando, Bernadette. Il Coro Polifonico “S. F. Smaldone” proporrà alcune pagine della copiosa produzione del compositore: in programma Vexila Regis op. 222, per tre voci eguali; L’agonia del Redentore op. 380 per coro a tre voci eguali composta nel 1921 e La Desolata op. 169 per coro a due voci eguali composta nel 1911. Sono pagine di grande partecipazione emotiva e di indubbia complessità: seppur destinate a cori amatoriali, sono caratterizzate da una scrittura vocale e strumentale complesse e ardite. Costituitosi alla fine del 2008 in seno all’omonima Parrocchia, il Coro Polifonico “S. Filippo Smaldone” di Lecce, si è distinto per la serietà delle

RADIO E DINTORNI

esecuzioni e per la scelta del repertorio che ha privilegiato opere di musica sacra di Autori Moderni e Contemporanei quali Arifon, Battmann, Perosi, Saint-Saëns, Gorecki, Messiaen, Donella, Frisina, Rugge, e dello stesso Putignano. Il coro è attivo grazie all’impegno e alla passione di Alessandra Bruno, Andrea De Lumè, Carlotta De Michele, Barbara Giustizieri, Tommaso Fasano, Rosaria Fruttaldo, Maria Grazia Fruttaldo, Cristina Fruttaldo, Cecilia Giannico, Salvatore Greco, Pasquale Marino, Francesco Marzo, Donatella Nicolardi, Lina Paladini, Cesare Pennetta, Adriano Perrone, Antonio Perrone, Diletta Pezzolla, Mario Rugge, Serena Scardicchio, Antonella Spedicato. All’organo siede Lorenzo Putignano, mentre la preparazione e la direzione artistica e musicale è affidata a Biagio Putignano.

di Alberto Marangio

Autore di musica sacra Biagio Putignano, compositore, è autore di pagine di musica sacra e liturgica. Ha composto la Messa di dedicazione per coro a quattro voci dispari e organo per la consacrazione della Chiesa Parrocchiale di “S. F. Smaldone” ad opera di sua Eccellenza mons. Cosmo Francesco Ruppi nel marzo del 2008. Titolare della Cattedra di Composizione presso il Conservatorio di Musica di Bari, ha studiato in Italia (Conservatorio di S. Cecilia) e all’estero (Ircam Parigi) conseguendovi i diplomi in Composizione, di Organo, di Musica Elettronica, di Direzione Corale e di Pianoforte.

Venerdì 1 aprile, alle ore 19:30, a Campi Salentina è stata inaugurata la mostra “Italiani da 150 anni”, uno degli eventi in programmazione nel calendario di iniziative previste per celebrare l’importante anniversario dell’unità nazionale. Sono intervenuti il sindaco, Roberto Palasciano, la dott.ssa Annalisa Bianco, direttrice dell’Archivio di Stato di Lecce, Egidio Zacheo, docente dell’Università del Salento, e Michele Emiliano, sindaco di Bari. Al primo cittadino del capoluogo regionale è stato affidato il compito di tagliare il nastro inaugurale presso i locali di Casa Prato in via San Giuseppe, dove è stata allestita l’esposizione ed è visitabile fino al 30 aprile, tutti i giorni dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 20.00. Si tratta di una mostra documentaria che comprende manoscritti, decreti, manifesti e registri che ricostruiscono le memorie storiche della cittadina di Campi nel periodo dell’Unità d’Italia. La fonte principale, a parte qualche collezione privata, è l’Archivio storico comunale, un notevole patrimonio cittadino, seppure sconosciuto ai più, e costituito da 3.429 pezzi archivistici, accuratamente inventariati, che abbracciano un arco di tempo che va dalla metà del ‘700 al 1945. Si deve agli amministratori cittadini che, circa vent’anni fa, compresero l’importanza della salvaguardia di questo bene, se oggi, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, l’Amministrazione di Campi ha potuto presentare al pubblico questa mostra di documenti, cronologicamente collocati al periodo immediatamente pre e post unitario. Lo scopo dell’esposizione è gettare uno sguardo su alcuni riflessi che le vicende del processo di unificazione produssero sull’organizzazione della vita di una comunità del Meridione d’Italia, appunto quella di Campi, e si articola in otto sezioni: Organizzazione dello Stato borbonico e del successivo Stato sabaudo; Ordine pubblico e giustizia; Istruzione pre e post unitaria; Sanità, opere pie, baliatico; Forze armate, guardia nazionale, leva e truppe, brigantaggio; Celebrazioni ed eventi locali; Economia e monte frumentario; Nuova denominazione del paese; Monetazione. I motivi di interesse sono rinvenibili in tutte le sezioni della mostra: da quella sul brigantaggio, che espone relazioni in cui si segnalava la presenza di bande di briganti nel nostro territorio, a quella sui “projetti”, che nei registri dell’epoca elenca i nomi fantasiosi dati ai trovatelli (nomi di battaglie delle guerre d’indipendenza, di eroi risorgimentali oppure derivati dalla botanica e dalla toponomastica), a quella sulla scuola, che a Campi aveva il suo nucleo nelle attività educative delle Scuole Pie calasanziane. I documenti esposti, inoltre, illustrano quali cambiamenti lo Stato unitario determinò, a cominciare dal nome della cittadina. Di fatto, con una circolare del Ministero degli Interni, tramite il Prefetto Elia, nel settembre 1862, il Consiglio Comunale di Campi fu invitato a deliberare sull’aggiunta o modifica della denominazione del paese per rimediare alle omonimie registrate con altri comuni del Regno d’Italia. Giungono sollecitazione ancora nel marzo 1864 chiamando il Consiglio Comunale a riunirsi in assemblea straordinaria per deliberare sulla questione e suggerendo di aggiungere a “Campi” l’aggettivo “Leccese”. È con un decreto di Vittorio Emanuele II, dell’8 maggio 1864 che la cittadina assunse invece il nome di “Campi Salentina”. Molte altre sono però le curiosità storiche che è possibile attingere dalla lettura dei documenti esposti nella mostra “Italiani da 150 anni”. Sara Foti Sciavaliere

APOLOGETICA di Roberto Cavallo*

Le “Interviste al volo” di Giovanni Paolo II

Radici cristiane

È curata da padre Federico Lombardi, direttore di Radio Vaticana, la prefazione al volume “Compagni di viaggio. Interviste al volo con Giovanni Paolo II” (Libreria Editrice Vaticana, 2011). Il testo di Angela Ambrogetti, giornalista vaticanista di lunga esperienza, è stato presentato nei giorni scorsi proprio presso la sede della Radio Vaticana, ad ormai poche settimane dalla solenne cerimonia di beatificazione dello stesso pontefice (prevista per il prossimo 1° maggio). Come documentato dall’opera, il pontificato di Karol Wojtyla ha avuto il merito di inaugurare una nuova anche era nel rapporto della Santa Sede con i professionisti della comunicazione, aspetto che all’interno del volume emerge in particolare dalle conversazioni con i giornalisti registrate in aereo, in occasione dei frequenti spostamenti internazionali di papa Wojtyla. Le conversazioni con la stampa, eterogenee quanto estemporanee, hanno infatti rappresentato nel corso dei viaggi apostolici una consuetudine, a sua volta nata dall’azzardo di un giornalista americano che, irritualmente, per la prima volta si rivolse a papa Wojtyla nel 1979 durante il suo primo viaggio a Santo Domingo, chiedendo quando il pontefice avrebbe visitato gli Stati Uniti. Da lì, un’abitudine continuata regolarmente, che ha generato un incredibile serbatoio di riflessioni, di giudizi, di battute e di analisi: contenuti che mai, fino ad ora, erano stati documentati o approfonditi a dovere. Lo spaccato fornito dal testo “Compagni di viaggio” restituisce così l’immagine di un pontefice disponibile, a tratti ironico, ma sempre animato dall’impeto di portare il Vangelo nel mondo. Come ricordato da padre Lombardi, durante gli spostamenti di Giovanni Paolo II i tecnici e i giornalisti della Radio Vaticana si trovavano a dover “correre dietro a un papa dall’attività e dalla creatività prorompente, in tutte le parti del mondo e nelle situazioni più diverse. La Radio Vaticana è colei che con i suoi tecnici ha registrato tutte queste conversazioni. Non era affatto facile trasmetterle, ma per fortuna le abbiamo conservate per la maggior parte”. Dal volume, ha concluso il direttore, “risulta con grande freschezza come era papa Wojtyla, con la sua straordinaria spontaneità e libertà espressiva, con la sua bonarietà e schiettezza nei confronti degli altri, anche di quel genere speciale di umanità che sono i giornalisti”, potendosi così cogliere uno spaccato “estremamente interessante e veritiero” del modo in cui Giovanni Paolo II comunicava.

Dinanzi alle invasioni barbariche per molte comunità l’unica speranza di salvezza era la fuga in posti più o meno inaccessibili: questa, per esempio, sembra essere stata l’origine di Venezia, quando i cittadini di Aquileia si rifugiarono nella laguna veneta per trovare scampo a morte sicura. Altri si riparavano presso i monasteri in cima ai monti. I monasteri in tutta Europa furono luoghi di accoglienza gratuita, ma divennero anche fari di conservazione del sapere e di impulso fecondo per le più svariate attività tecniche. Come scrive lo storico americano Thomas E. Woods Jr., nel suo volume “Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale”, tradotto e pubblicato in Italia da Cantagalli (Siena, 2007, pagg. 270), “… i monaci insegnarono metallurgia, introdussero nuove coltivazioni, copiarono testi antichi, preservarono la capacità di leggere e scrivere, furono i pionieri della tecnologia…” (pag. 53). Così intorno ai monaci (ben 37.000 in tutta Europa furono i monasteri dei soli benedettini!), oltre a campi ben coltivati vi erano officine dove si lavorava il ferro battuto, si conciavano le pelli, si costruivano macchine ed utensili, in un clima propositivo che favorì la prima rivoluzione industriale della storia. I barbari che dall’estremo Nord giungevano in Europa non potevano non restare affascinati da quello che il cristianesimo produceva anche in termini di civiltà. Non a caso l’università come oggi la conosciamo è una tipica istituzione medievale.

Prima non vi era alcunché di simile, quanto ad organizzazione in facoltà, corsi di studio, esami e lauree… Woods ricorda che fu la Chiesa a sviluppare il sistema universitario perché “fu l’unica istituzione europea che mostrò un interesse costante verso la conservazione del sapere” (pag. 55). Così anche se non è possibile indicare una data esatta per la nascita delle università di Parigi e Bologna, di Oxford e Cambridge, tuttavia possiamo dire con sicurezza che quelle università iniziarono a prendere forma verso la metà del XII secolo. Il papato svolse un ruolo centrale nell’agevolare la loro creazione e nell’incoraggiarle. Tutto ciò in concreto significava che una laurea presa in Italia o in Francia era tranquillamente spendibile in Inghilterra, e viceversa. L’autorità internazionale del Papa e dell’imperatore attribuiva garanzia europea agli sforzi di studenti e docenti. In certi casi, quindi, il certificato di laurea autorizzava ad insegnare in qualsiasi luogo: “Il primo testo in cui si trova riferimento a questo privilegio è il documento, firmato da Gregorio IX nel 1233, relativo all’Università di Tolosa, che sarebbe diventato un modello per le altre università… il privilegio conferito dai papi svolse un ruolo importante nell’incoraggiare la diffusione del sapere e lo sviluppo del concetto di comunità scientifica internazionale.” (pag. 57). Ma un’invenzione tutta medievale fu anche l’ospedale. Lo vedremo. * www.recensioni-storia.it


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Lecce, 9 aprile 2011

le nostre città TREPUZZI/Rappresentazione vivente della Passione di Cristo

LECCE/Alle Cantelmo la presentazione del libro su A. Maglio

Il Cristo tra cielo e fango L’Oriente che è in noi La Comunità Parrocchiale Maria SS. Assunta di Trepuzzi organizza, per il secondo anno consecutivo, la Rappresentazione Vivente della Passione di Cristo. Sono oltre cento i personaggi che, attraverso la loro voce e i loro gesti, ci faranno rivivere la più grande storia d’amore mai raccontata nei secoli. Già da due mesi, subito dopo il grande successo del Presepe Vivente visitato da oltre 4000 persone, tutta la comunità si sta preparando con grande entusiasmo e qualche sacrificio a realizzare quella che sarà una vera e propria opera teatrale itinerante che vuole essere principalmente una forma nuova di evangelizzazione sul mistero più grande della nostra fede. Il tema scelto quest’anno per la Passione Vivente è: “Tra cielo e fango”. Perché questo tema? Semplicemente perchè tutta la nostra vita, la nostra stessa storia personale, è un intreccio tra esperienze di cielo e situazioni di fango. Siamo tratti dalla polvere della terra, è vero, ma siamo fatti per conquistare il cielo, o meglio per essere cielo. Anche Cristo, nella sua “Passione” ha preso su di se il fango degli uomini e con la sua croce ci ha riaperto le porte del cielo. Il filo rosso che legherà le varie scene sarà il racconto della Passione secondo il Vangelo di Giovanni, è lo stesso racconto che ascoltiamo ogni anno nella Liturgia del Venerdì Santo. La vera novità di quest’anno è la nuova location: non più il centro storico di Trepuzzi ma il giardino di Villa Bianco, una meravigliosa villa dell’ 800 che si trova nel territorio di Trepuzzi in via Campi. La Passione Vivente si svolgerà sabato 16 e domenica 17 aprile a partire dalle ore 19.00 e

FISCOSENZAVELI

fino alle ore 24.00. Così come accaduto nella scorsa edizione, ogni 5 minuti si potrà entrare in gruppi di 30 persone accompagnati da una guida che aiuterà il gruppo a visitare le varie scene, tra le quali spiccano per notevole bellezza e intensità di dialoghi la lavanda dei piedi, la notte di Gesù nel Getsemani, il tradimento di Giuda, il processo di Pilato, la Crocifissione, la Pietà e ovviamente la Risurrezione. Ma queste sono solo alcune delle scene che si potranno visitare, scene tra l’altro totalmente ricostruite in uno splendido giardino, grazie al lavoro di giovani e sapienti maestri operai ed artigiani. Gli stessi testi che i personaggi interpreteranno sono stati scritti da una commissione parroc-

chiale così come anche i costumi di ogni comparsa sono stati realizzati con la sapiente maestria di alcune brave mamme della Parrocchia. L’intero percorso della passione dura all’incirca 45 minuti, un tempo prezioso nel quale ogni spettatore potrà sentirsi protagonista di questa storia d’ amore e di sangue che costituisce il pilastro della fede di milioni di credenti. Appuntamento, quindi, a sabato 16 e domenica 17 aprile per “tuffarsi” in una storia che di certo non vi lascerà indifferenti. Per info: parrocchia Maria SS. Assunta - Trepuzzi tel. 0832.758240; don Alessandro Scevola 3287094590 e-mail: ale.scevola@alice.it Nicola Rocca

Venerdì 15 aprile alle ore 17.30, a Lecce nella sala Congressi delle Officine Cantelmo, verrà presentato “L’oriente che è in noi. Una vita per il giornalismo”, prezioso volume che raccoglie alcuni dei più significativi articoli di Antonio Maglio. Edito da Glocal di Lecce, il libro è la testimonianza di importanti documenti scritti tra Salento, Europa e America, pubblicati sul “Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto” e sul “Corriere Canadese” del grande giornalista salentino che, con le sue intuizioni e un indomabile forza di volontà, ha contribuito a cambiare il panorama editoriale della Puglia .Maestro di vita e di giornalismo, di vasta e profonda cultura Antonio Maglio è riuscito a coniugare l’amore per la sua terra con una dimensione di pensiero europea. Ciò gli ha permesso di cogliere in anticipo sugli altri le linee di tendenza della Storia. Particolarmente feconde sono state le sue rigorose e appassionate ricerche storico antropologiche nell’area ionico salentina che hanno aperto alla sua fervida intelligenza l’indagine sui molteplici intrecci culturali che legano il Salento e con esso l’Italia e l’Europa all’Oriente. Attento studioso dei paesi dell’Est, si è interessato in particolare all’Ungheria. Su questi studi ha basato le sue riflessioni sull’importanza e la necessità del dialogo tra i popoli come mezzo di comprensione e di pace Lezione oggi di particolare, drammatica attualità. Brillante la sua carriera nel mondo dell’informazione. Direttore de “la Tribuna del Salento”, è stato il fondatore e l’animatore del Quotidiano, oggi “Quotidiano

di Puglia”, da lui da lui fermamente voluto La sua importanza di giornalista e il riconoscimento della sua valenza di uomo dalla grande personalità saranno ricordate da un premio, il Premio Mediterraneo di Giornalismo Antonio Maglio, presentato nel corso della serata. Numerose personalità del mondo accademico, del giornalismo, della cultura e delle politica saranno presenti a rendergli il dovuto omaggio. Dopo il ricordo da parte di Antonio Corcella, seguiranno i saluti delle autorità civili: il sindaco di Lecce Paolo Perrone, Vincenzo Romano, sindaco di Alezio, Antonio Gabellone, presidente dalla Provincia e Loredana Capone,vicepresidente della Regione Puglia. Testimonianze inedite, riflessioni, commenti saranno proposti da: Vincenzo Romano, sindaco di Alezio; Paolo Perrone, sindaco di Lecce; Antonio Gabellone, presidente della Provincia di Lecce; Loredana Capone, vicepresidente della Regione Puglia; Domenico Menniti, sindaco di Brindisi; Carlo Schilardi, consigliere di Stato; Claudio Scamardella, direttore del Nuovo Quotidiano di Puglia; Carlo Bollino, direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno; Alessandro Barbano, vicedirettore de Il Messaggero; Nicola Paparella, direttore de L’Ora del Salento; Elio Donno, consigliere dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti; Paola Laforgia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia; Raffaele Lorusso, presidente dell’Associazione della Stampa di Puglia; Francesco D’Andria direttore della Scuola di specializzazione in Archeologia, Università del Salento; Stefano Cristan-

te, presidente del corso di Laurea in Scienze della comunicazione, Università del Salento; Alessandro Laporta, direttore della Biblioteca Provinciale; Antonio Quarta, amministratore unico della Quarta Caffè; Anna Palmieri, Libreria Palmieri; Lino De Matteis, Glocal Editrice; on. Giacinto Urso, presidente del Comitato promotore delle iniziative in memoria di Antonio Maglio. Conclusioni di Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Coordinatore dei lavori Adelmo Gaetani, consigliere dell’ordine Nazionale dei giornalisti. Le conclusioni sono affidate a Enzo Jacopino, presidente dell’ordine nazionale dei giornalisti Il ricavato della vendita del libro sarà devoluto per le iniziative in memoria di Antonio Maglio, perché il suo giornalismo di alta qualità e di passione possa continuare a trasmettere l’alta lezione umana e morale. Lucia Buttazzo

a cura di Elena Palladino

Avvocato Specializzato in Diritto Amministrativo e Tr ibutario

La marcia A tubo di Abbate

Il procedimento amministrativo Con differenti sentenze sia della Commissione Tributaria che del giudice Ordinario, si è stabilito il principio giuridico che “anche l’agente della riscossione deve applicare nel proprio agere istituzionale, i principi del giusto procedimento amministrativo”. Con ciò s’intende evidentemente equiparare l’attività procedimentale dell’Ente riscossore a quella di tutte le altre pubbliche Amministrazioni, assoggettandola con ciò alla legge nr. 241/1990, così come novellata dalla legge nr. 15/2005. Nello specifico: “Gli agenti della riscossione sono chiamati ad agire con responsabilità, prudenza ed equilibrio quando adottano misure esecutive invasive della sfera giuridica e patrimoniale dei debitori del fisco” (Tribunale di Roma, 09.12.2010). La Commissione Tributaria Regionale di Bari (C. T. R. di Bari, Sezione VII del 12.04.2010 n.36) ha, poi, riconosciuto il diritto dei contribuenti al risarcimento dei danni arrecati loro da procedura esecutive. “Non è corretto l’operato dell’esattore che non è riuscito a provare la notifica della cartella e ha scritto ipoteca sull’immobile”. Unico presupposto per le procedure esecutive è quindi che sia decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella. Non possono essere azionate le procedure esecutive in mancanza di notifica della cartella di pagamento e il concessionario è tenuto a fornirne prova. *** Lo studio Palladino risponde al quesito di un lettore specificando le funzioni e la natura del fermo amministrativo: Il fermo è una misura cautelare; Può riguardare veicoli, aerei, navi; Può essere impugnato sia davanti al Giudice tributario (entrate fiscali) che davanti al Giudice ordinario (altre entrate). Attualmente vi è un alternativo orientamento giurisprudenziale circa la illegittimità del fermi sui beni strumentali (autoveicoli utilizzati per l’esercizio dell’attività d’impresa). *** Dal prossimo mese, questo studio fornirà notizie di carattere economico-finanziario. Si risponde ai quesiti al seguente indirizzo di posta elettronica: palladino@loradelsalento.it

QUANDO LA BANDA PASSÒ Compositori e marce

di Antonio Martino

continua... Non si fa attendere la risposta alla fase di proposta del clarinetto piccolo in mib. e dei primi clarinetti soprani nella marcia sinfonica “A tubo!” (terzo segmento) di Ernesto Paolo Abbate. Ne sono protagonisti i flauti, il clarinetto piccolo in mib. e i primi clarinetti soprani; il sostegno ritmico - melodico, già utilizzato nella prima frase, evidenzia i secondi clarinetti (divisi in tre parti), i clarinetti contralti, il sassofono soprano, i sassofoni contralti, il sassofono tenore, il sassofono baritono e i corni. Quasi al termine di questa risposta s’innesta, in levare, un crescendo dei flauti, degli oboi, del clarinetto piccolo in mib., dei primi clarinetti soprani (divisi in tre parti), dell’intera sezione dei sassofoni, ad esclusione del sassofono baritono, delle cornette in sib., delle trombe in sib., delle trombe basse, del flicorno soprano e dei flicorni soprani; tutti gli interventi degli strumenti si muovono verso un suono lungo, ben sostenuto e che man mano si diluisce nel tempo attraverso un diminuendo. In quest’ultima fase, parte dell’organico bandistico ripropone del materiale ritmico melodico, già evidenziato nel precedente numero ed indicato come bozzetto timbrico; sono chiamati ad intervenire, in un primo momento, i secondi clarinetti soprani, i clarinetti contralti, il sassofono baritono, i flicorni tenori e i flicorni baritoni; mentre i corni, i tromboni tenori, e i flicorni contralti realizzano un tappeto armonico sincopato. Il tempo forte viene affidato al contrabbasso ad ancia, ai flicorni contrabbassi e al suono

del piatto percosso. Nel secondo momento sono chiamati a rafforzare tale espediente, precedentemente esposto, tutti quegli strumenti interessati a prolungare il suono lungo e successivamente ad alleggerirlo. Ma all’improvviso un vuoto coglie impreparato l’ascoltatore. L’Abbate, attraverso una breve pausa di tutto l’organico strumentale, intende troncare il flusso melodico e garantire un “misurato respiro” per poter ripartire con il suo progetto compositivo. Una riflessione sulla scelta strategico progettuale porta il fruitore a comprendere la necessità della concreta fermata, al fine di migliorare l’attenzione e riprendere quell’energia indispensabile per riproporre in toto l’idea tematica già annunciata nel numero precedente. Nella seconda rilettura s’innesta un nuovo tema dal carattere leggero e suadente attraverso un aspetto direzionale rivolto verso l’alto, in cui tutta la banda partecipa con un’intensa modalità, ma con una serena tranquillità. Il nuovo assetto melodico viene portato avanti principalmente dal clarinetto piccolo in mib., dai primi clarinetti soprani, dai secondi clarinetti soprani (un’ottava sotto), dai clarinetti contralti, dal sassofono soprano, da i sassofoni contralti e dal sassofono tenore. L’assetto armonico viene curato dal sassofono baritono, dai corni, dai tromboni e dai flicorni contrabbassi. Nel prossimo numero si evidenzierà una particolare sottolineatura timbrica affidata a settori circoscritti dell’organico bandistico.


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Lecce, 9 aprile 2011

le nostre città FUORI DAI DENTI

di Loredana Di Cuonzo

MATINO/Nella Chiesa del Rosario la presentazione del libro di Cipressa

I numeri del nostro Paese fanno riflettere Bioetica per amare la vita 38% L’ultimo “numero” emerso dal nostro pallottoliere impazzito è quello della percentuale relativa al fenomeno dell’evasione fiscale, ormai giunta a livelli altissimi: si evadono 38 euro e 41 centesimi ogni cento euro che si dovrebbero versare in tasse. Ma qualcuno sa fare di meglio. In certe zone della Bella Italia l’evasione è ancora più alta: 66 euro ogni 100 versate. In altre scende a 10. Il dato emerge grazie alla nuova banca dati messa a punto dall’Agenzia delle entrate, DataBaseGeo, che servirà all’agenzia stessa per orientare i controlli della Guardia di Finanza. Un database articolato e sofisticato che incrocia indicatori di tipo finanziario, economico, sociale e demografico. Incrocia tenore di vita, luogo dove si abita, reddito dichiarato. Si evade in tutte le forme: dagli scontrini non battuti, all’Iva non versata, a parcelle richieste sottobanco. Varia però molto da regione a regione: l’evasione minima - al 10,93% - è nel gruppo di province di Milano, Torino, Genova, Roma, Lecco, Cremona, Brescia; la massima - 65,67% - tra Caserta e Salerno in Campania, Cosenza e Reggio in Calabria e Messina in Sicilia. A Bari, Napoli, Catania e Palermo l’evasione è del 38,19%. Si evade meno al Nord, è vero, ma in compenso proprio le zone dove il tasso di infedeltà fiscale è basso hanno redditi molto alti e le cifre in termini assoluti sono le più alte.

Dal 27, 8 al 40,6 % Il problema della disoccupazione, rappresenta da anni una delle piaghe maggiore del nostro Paese. Ogni anno, si attendono dati confortanti sull’argomento, ma, al momento, invano. Di recente sono stati resi

noti i tassi di disoccupazione che, in media, hanno caratterizzato il passato 2010. La situazione, appare subito preoccupante. L’Istat sottolinea come, dal 2004 ad oggi, il dato medio del 2010 sia indubbiamente il più alto. Si è passati dal 7,8% del 2009 all’8,4% dello scorso anno. E rispetto all’anno precedente, sempre fonte Istat afferma che l’occupazione è in calo dello 0,3%, attestandosi al 56,7%. Non basta: è in aumento dello 0,1% anche il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni, con un tasso del 38%. E, per concludere, il tasso di disoccupazione giovanile, nel 2010 è cresciuto del 2,4%, attestandosi su una media del 27,8%, con picchi del 40,6% relativamente alle donne del meridione.

30 milioni Nei 20 anni a cavallo tra ‘800 e ‘900 quasi 30milioni di italiani lasciarono lo Stivale per andare a cercare fortuna in America o frontiera. Di certo in un clima non ospitale i nostri connazionali riuscirono a ritagliarsi uno spazio che oggi si è tradotto nella pressocché perfetta integrazione, dopo almeno 5 generazioni, considerati 5 lustri il tempo per un cambio, appun-

to, generazionale. Le lunghe sofferenze però non dovrebbero esser dimenticate. Gli italiani subirono un gran numero di soprusi, restarono più lungo i poveri della totalità dei migranti europei. Bianchi sì, in una società razzista come quella americana del tempo, ma non sino in fondo. Additati prima come “wop” - termine americanizzato di guappo - con una chiara connot a z i one dispregiativa razziale, poi come paisà, infine come mafia, spaghetti, maccaroni, pomodoro, mandolino et ultra, non dovremmo oggi dimenticare che l’emergenza migranti meriterebbe di esser affrontata con maggior rispetto verso l’essere umano in quanto tale.

20mila Il numero dei migranti giunti in Italia sino all’inizio di aprile.

519 Dalla metà di marzo ad oggi tanti sono i dispersi nel Mediterraneo, quelli di cui abbiamo in qualche modo avuto notizia della loro partenza. Più di venticinque al giorno. Affogati. Sono quelli “ufficiali”, quelli che hanno chiamato con il satellitare mentre facevano rotta verso l’altro mondo. Il numero vero potrebbe essere spaventoso. Almeno il doppio. Forse il tripolo. Una tragedia nascosta.

1 milione e mezzo Questa la cifra che il premier avrebbe pagato se avesse portato a termine l’operazione immobiliare “salvalafacciaalampedusa”. Però poi ci ha ripensato. E ora il campo da golf che fine farà? Una questione da seguire con la massima attenzione. di Giovanni Napolitano

VITE MIGRANTI

La via Crucis del card. Josef Mindszenty La situazione personale e lavorativa del Cardinale non migliorò affatto durante il decennio ‘50-’60, anzi fu costretto a rassegnare le proprie dimissioni. Infatti, il Vaticano aveva trattato con il regime un accordo che un inviato speciale sottopose al Cardinale. Egli avrebbe mantenuto il suo titolo, ma doveva rinunciare alle sue funzioni, abbandonare in modo discreto l’Ungheria ed evitare tutto ciò che avrebbe potuto guastare i rapporti tra Roma e il regime. Inoltre non doveva pubblicare le sue Memorie. Così e a malincuore il Cardinale percorse la strada da Budapest alla cortina di ferro. A Roma fu ricevuto da Paolo VI con commossa gioia e cordialità che disse: “Tu sei e rimani arcivescovo di Esztergom e Primate di Ungheria. Continua il tuo lavoro e se dovessero subentrare difficoltà, rivolgiti a noi

con fiducia!”. Poi il Cardinale andò a Vienna per occuparsi dei cattolici ungheresi senza patria e interessarsi personalmente del tragico destino della sua nazione. Nel 1973 riprese i suoi viaggi pastorali che suscitavano ovunque grande attenzione pur continuando a lavorare alle se memorie. Il 1 novembre 1973 il Papa gli chiese “con grande riluttanza” di dimettersi dal proprio ruolo istituzionale. Ciò gli avrebbe procurato “maggiore libertà per le sue pubblicazioni”. Con cortese fermezza il Cardinale rifiutò, ma alla fine fu costretto a destituirsi, proprio a seguito delle pressioni del vaticano. Di ciò furono felici gli avversari politici. Imre Miklos, direttore dell’Ufficio per gli Affari Ecclesiastici a Budapest, dichiarò: “La destituzione di Josef Mindszenty è stata salutata con comprensione dall’opinione pubblica ragionevole e

progressista, sia all’interno che all’esterno degli ambienti ecclesiastici”. Ferito, ma indomito, il Cardinale Mindszenty riprese i suoi viaggi pastorali. Pur criticando l’Ostpolitik, sottolineò sempre la sua fedeltà al Santo Padre. Nell’ottobre 1974 pubblicò le sue Memorie con l’osservazione: “Se ora rendo noto tutto ciò, è solo per mostrare al mondo quale destino gli prepara il comunismo”. Continuò il suo apostolato ad un ritmo pericoloso per un uomo di 83 anni. A Bogotà (Colombia) lo colse la malattia che si aggravò durante il lungo volo di ritorno. L’operazione ebbe successo, ma il suo grande cuore alla fine cedette. Morì il 6 maggio 1975. Paolo VI, il presidente americano Ford e il cardinale König guidarono la manifestazione d’omaggio da tutto il mondo.

Si è tenuta domenica 27 marzo a Matino, nella Chiesa del Rosario, la presentazione del libro di don Salvatore Cipressa “Bioetica per amare la vita”. Un titolo che, alla luce degli ultimi fatti di cronaca nel Nord Africa e nel bacino del Mediterraneo, suona non solo come un augurio, ma soprattutto come un antidoto alla violenza che troppo spesso diventa infelice sfondo della pagine di cronaca. Tra i presenti all’incontro il dott. Giorgio Primiceri, Sindaco di Matino, e il dott. Carmelo Butera, Assessore alle Politiche Giovanili. Un importante contributo hanno dato il prof. Antonio Costa, docente presso l’Università del Salento, e il prof. Luca Cucurachi dell’Issr di Lecce che, oltre ad aver condiviso con il nutrito pubblico la loro riflessione, hanno mediato e promosso l’iniziativa. Sensazione condivisa da ospiti e uditori, quella di non essere ad una semplice presentazione di un libro, ma ad una vera e propria lezione di bioetica tenuta da colui che non è solo l’autore del testo in questione ma, soprattutto, un grande appassionato ed esperto del settore. Il recente lavoro, edito da Edb, presenta un percorso che, prendendo le mosse dal Magistero della Chiesa, espone i pilastri del pensiero teologico e morale in campo di bioetica. Antica, ma sempre attuale, la considerazione di partenza: l’uomo vive in tensione tra eros e thanatos, pulsione per la vita e pulsione per la morte. Due orientamenti, biologicamente presenti nell’uomo, che danno forma ad ogni nostra azione: la persona, infatti, pur essendo naturalmente strutturata per la biofilia, possiede psicologicamente un potenziale necrofilo come soluzione alternativa. Ma da quale di queste due tendenze ci lasciamo trascinare? Negli otto capitoli di cui si compone “Bioetica per amare la vita”, si affrontano i concetti di creazione, persona, relazione, malattia, viene chiarito il

senso della sofferenza e la necessità di un’assistenza integrale al malato. Inoltre, affrontando problemi concreti come quello relativo alla donazione degli organi, don Salvatore Cipressa giunge ad alcune considerazioni etico-deontologiche che vedono l’infermiere - in termini evangelici - come il buon samaritano dei giorni nostri. Nasce da qui l’esigenza di una bioetica “per la vita”, una bioetica che si concepisca come un progetto di speranza per l’uomo, come amore per la vita e come una possibilità di realizzare un’umanità migliore. Ma solo una bioetica amante della vita può liberarsi da concezioni ideologiche riduttive e utilitariste, disumane e necrofile, cui la re-

IN GALLERIA

altà oramai sembra rivolgersi. Bioetica e biofilia non sono, dunque, due realtà da contrapporre, né da giustapporre l’una accanto all’altra: queste due entità devono essere coniugate in maniera indissolubile, come anima e corpo. Giovanni Paolo II diceva: “Dio ha creato l’uomo per amore e lo chiama all’amore”. L’amore è, dunque, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano. L’eco di queste parole risuonano nel testo di don Salvatore Cipressa, un testo vuole essere un inno alla vita, un testo rivolto a tutti come suggerisce la dedica in esergo: “A chi ama la vita, a chi non riesce ad amarla”. Serena Carbone

di Alessandra De Matteis

Mia moglie per finta di Dennis Dugan Approda nei cinema italiani, nel giorno del pesce d’aprile “Mia moglie per finta” di Dennis Dugan, un rinomato chirurgo plastico, ha finto per anni di essere sposato, per due motivi: rimorchiare e non impegnarsi con le donne. Il giorno che finalmente incontra la ragazza dei suoi sogni e se ne invaghisce profondamente, decide di togliersi la fede. Quando però la ragazza scopre l’esistenza dell’anello, vuole conoscere l’ex moglie prima di andare avanti nella relazione. A Patrick non resta che trovarsi una moglie per finta. Chi lo conosce meglio della sua assistente Katherine, perfetta per impersonare il ruolo della consorte. Ispiratosi a “Fiori di cactus” (film del ’69 con Ingrid Bergman e Walter Matthau, che valse a Goldie Hawn l’Oscar per la parte che qui è di Brooklyn Decker) Dugan cerca di creare una pellicola vincente come

quella di Stanley Donen. Per farlo si serve di due grandi attori, tanto bravi quanto differenti: Jennifer Aniston e Adam Sandler. L’ex ragazza di “Friends”, la troviamo in gran forma. Non solo fisicamente ma anche professionalmente, riesce a calzare a pennello il ruolo a lei assegnato. Il protagonista Sandler, nonostante sembra che interpreti sempre la stessa parte in ogni suo film, confrontato con la prova data dalla Aniston lo vediamo qualche tono più sotto. Comunque i due insieme sono una perfetta coppia comica. Ma l’accoppiata vincente non è quella Aniston - Sandler. Il momento clou arriva con la bellissima Nicole Kidman, che veste dei panni insoliti e, insieme alla coprotagonista, riesce a mangiarsi lo schermo. è questo il momento che vale di più in tutto il film. “Mia moglie per finta”, non ha un soggetto originale, anzi

di originale ha be n poco, però riesce l o stesso a far ridere. Le situazioni sono ben costruite e vengono create delle belle gag, che riescono a far divertire. Inoltre, la colonna sonora firmata dai Police e la bellissima location delle Hawaii, danno quel qual cosina in più a tutto il film. Per chi si reca al cinema senza grandi pretese, ma con l’obiettivo di farsi un po’ di risate questo film è l’ideale, anzi per certi versi è proprio una bella commedia, specie se poi viene paragonata ai nostri cinepanettoni.


L’Ora del Salento 14

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appunti

Shilpi Somaya Gowda. La figlia segreta Questa settimana voglio parlarvi del romanzo d’esordio di Shilpi Somaya Gowda, “La figlia segreta” (Secret Daughter, il titolo originale) edito da Corbaccio. L’esordiente scrittrice è nata e cresciuta a Toronto da genitori indiani emigrati da Mumbai ed è già considerata come nuovo grande talento della letteratura indoamericana. In pochissimo tempo ha raggiunto i primi posti del prestigioso “Dallas Morning News” incassando commenti appassionati sia dalla critica che dai lettori con addirittura tredici edizioni del romanzo in pochi mesi. Ogni anno in India vengono uccise migliaia di bambine che hanno l’unica colpa, se di colpa si può parlare, di non essere nate maschio. Uno spregevole rituale che ha colpito talmente tanto l’autrice da spingerla a prendere la decisione di

scrivere una storia su questo tema. La Gowda ha immaginato cosa sarebbe potuto accadere se una di queste bambine si fosse salvata e le fosse stata data l’opportunità di vivere una vita migliore. L’autrice si chiede se a questa bambina fosse data l’opportunità di vivere in una bella casa con una famiglia amorevole e premurosa, di avere un’ottima educazione, di frequentare eccellenti scuole, sarebbe bastato o avrebbe avuto ugualmente il desiderio, l’esigenza di scavare nel proprio passato? Crescendo si sarebbe posti tutti i quesiti esistenziali che ci fanno chiedere quali sono le nostre origini? La maternità negata ed il dolore che ne deriva accomuna Somer e Kavita, due donne che non sanno neanche dell’esistenza l’una dell’altra, ma le cui vite sono destinate ad incrociarsi grazie alla figlia, an-

c@ttolici in rete argo

IL POLLICE

INVESTIGATE,

GENTE

Ormai di grande attualità, non fosse altro che per l’attenzione mediatica data, da un po’ di tempo a questa parte, agli ultimi accadimenti di cronaca nera, il Ris, ovvero quella settorialità delle indagini investigative collegata a metodologie rigorosamente scientifiche approda e riapproda sugli schermi televisivi di tutte le possibili reti con “Ris - Roma 2 Delitti imperfetti” (Canale 5, ore 21,10), in una trascrizione parzialmente fantasiosa di casi che, per molti versi, rimandano ad avvenimenti realmente accaduti. E dimenticati, ovviamente. Ben strutturati nella trama e nel racconto, i programmi in questione si muovono secondo ritmi alternanti a cui i protagonisti (molto spesso gli stessi interpreti di altre fiction, quasi che fossimo dinanzi ad una sorta di vera e propria compagnia stabile) conferiscono volto, partecipazione ed emozioni. Da Fabio Troiano alla bella e brava Euridice Axen, a Primo Reggiani, a Simone Gandolfo, impegnati tutti nella complessa e difficile caccia alla banda del Lupo, autore di un altro delitto.

lor@delavoro di Samuele Vincenti Il paesaggio rurale italiano sta subendo negli ultimi anni continui sconvolgimenti legati, per la maggior parte dei casi, ad interventi europei o nazionali pensati per incentivare la produzione di determinate specie floristiche o per la costruzione di impianti per la produzione di energia elettrica. Accade così che a stagioni di campi piantati a grano si alternino stagioni di immense distese di girasoli, e poi di altri prodotti ancora, fino alla desertificazione dei terreni e all’impoverimento delle risorse agricole. In controtendenza rispetto al passato, la Regione Puglia intende promuovere la tutela degli elementi caratteristici del paesaggio rurale e la conservazione della diversità genetica sia

Tommaso Dimitri

che se non si incontreranno mai. Il romanzo inizia con l’ambientazione in un piccolo e remoto villaggio indiano dove Kavita sta per partorire la seconda figlia femmina, e per evitare che il marito la faccia uccidere come era già accaduto con la prima sostenendo di non potersela permettere, con l’aiuto della sorella la porta in un orfanotrofio e racconta al marito che la bimba è morta naturalmente. Riporto uno stralcio di questo momento che ho trovato davvero toccante: “Raggiunge la capanna abbandonata al crepuscolo, senza dirlo a nessuno, dopo aver sentito le prime, inconfondibili, profonde spinte dentro di sé (...) Il suo respiro è pesante ma regolare, mentre aspetta che la stretta si allenti nel suo ventre gonfio (...) Cerca di soffocare le proprie grida finchè non ce la fa più.

Tra poco, lo sa, con lo stimolo a spingere, le sue urla richiameranno la levatrice del villaggio. Prega che il bambino nasca prima dell’alba, perchè suo marito raramente si sveglia prima del sorgere del sole. È la prima delle due sole preghiere che Kavita osa formulare per questo figlio, timorosa di chiedere troppo agli dèi”. Kavita straziata dal dolore per questa nuova perdita decide comunque di dare un nome alla sua bambina, la chiamerà Usha, che significa ‘alba’. E poi ci sono Somer e Krishnan che non possono avere figli e Krishnan, un medico di origini indiane, convince la moglie ad adottare una bambina da un orfanotrofio in India, convinto che l’arrivo della piccola possa rasserenare il rapporto con sua moglie e cementare la famiglia. Inizia qui la storia di Asha, ‘speranza’, il cui

marialucia andreassi nome viene cambiato perchè più semplice da pronunciare. Somer è un’americana, bianca, una pediatra di successo, ma la comunione di origini tra Krishnan e Asha non farà altro che allontanarla ancor di più dal marito rendendo l’accettazione di Asha solo parziale. Un romanzo emotivamente molto toccante che esplora i sentimenti della maternità, della perdita, delle differenze culturali di due famiglie attraverso la vita di una ragazza che rappresenta un anello di congiunzione indistruttibile. Bellissimo.

Shilpi Somaya Gowda, La figlia segreta, Corbaccio, 18.60

M U S I CALM E NTE Scienza e fede abitano Anna Rita Favale una casa comune Anansi la prima volta nel sud

Il Portale di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede, www.disf.org, nasce dall’esperienza e dai contatti scientifici maturati durante la preparazione e la pubblicazione del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. I documenti e i servizi presentati intendono venire incontro alla crescente necessità di informazione qualificata e rigorosa sui rapporti fra teologia, filosofia e pensiero scientifico. Il Portale è principalmente rivolto a coloro che operano nel settore dell’insegnamento, della pastorale della cultura, o si interessano agli aspetti interdisciplinari della ricerca scientifica. Il sito è molto veloce, interattivo e vuole abbracciare le diverse discipline secondo il criterio della sana e robusta razionalità, casa comune del percorso interdisciplinare. Il Portale Disf è diretto da tre docenti universitari: prof. Giuseppe Tanzella-Nitti; prof. Alberto Strumia; prof. Michele Crudele docente di Informatica e Direttore del Centro Elis di Roma. Il portale si avvale della collaborazione del Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei www.progettoculturale.it e le attività sono sostenute dal Progetto Stoq e con fondi erogati dalla John Templeton Foundation. Sir John Templeton (1912-2008) è scomparso l’8 luglio 2008 di polmonite. Tra gli obiettivi del Portale di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede: l’attenzione per il rigore metodologico, tipico della ricerca scientifica e filosofica, quale garanzia di ogni sincera ricerca della verità, anche nel delicato terreno degli studi interdisciplinari che coinvolgono la teologia e la religione; la profonda convinzione circa la necessità di una unità del sapere ove le diverse conoscenze provenienti dalle scienze, dalla filosofia, dall’arte, dalla morale e dalla religione possano trovare una integrazione nell’unità dell’esperienza intellettuale del soggetto conoscente; la consapevolezza che il pensiero scientifico è per sua natura aperto al pensiero filosofico, come mostrato sia dalla presenza di tematiche filosofiche fondamentali ricorrenti nell’analisi delle più svariate discipline scientifiche, sia dal riconoscimento di principi di carattere metafisico soggiacenti il metodo e la prassi conoscitiva delle scienze. Buona navigazione.

Prima volta nel Salento, nell’unica data per il sud Italia, grande ed atteso concerto di Anansi, fresco e giovane talento che, in seguito alla pubblicazione del suo secondo album e dopo la partecipazione al 61° Festival di Sanremo, parte in tour con tappa esclusiva a Lecce il 16 aprile presso le Officine Cantelmo. Una serata imperdibile per tutti gli amanti delle “positive vibrations” che durante il live di Anansi potranno immergersi nelle suggestive sonorità reggae, ska, patchanka, r’n’b/hip hop. Non solo. Ad impreziosire l’esibizione saranno importanti special guest con cui Anansi condividerà il palco: vari gli artisti di fama nazionale che irroreranno di buona musica uno spettacolo irripetibile. Tra essi, ospiti d’eccezione come Puccia, fisarmonicista degli Apres la Classe; Cico, il cuore e la voce dei Mamafrika; Pacoten, singer, producer e selecta tra i fondatori di Sankara Warriors e dell’etichetta Lumumba records. Un cantautorato energico dai ritmi in levare quello di Stefano Bannò a.k.a. Anansi, nome d’arte ispirato al dio ragno della mitologia afrocaraibica che, nel connubio tra eterogenee espressioni musicali, trova il giusto equilibrio per raccontare un mondo ideale in cui pace, tolleranza tra i popoli, intercultura, responsabilità sociale e amore non sono solo utopiche fantasie. Fresco di stampa il suo ultimo disco “Tornasole”, album di dieci tracce inedite in cui il cantautore dal volto gentile parte per un viaggio metaforico nella primavera dell’anima in un percorso che, traccia dopo traccia, restituisce una personale analisi della realtà. Appuntamento al 16 aprile ore 23.00 presso le Officine Cantelmo di Lecce Ingresso: 7 euro; 5 euro studenti universitari. Info: 328/8347924; 329/4499610.

Bando della Regione Puglia per la “Tutela della Biodiversità”

dando impulso alla coltivazione e all’inserimento di specie o varietà a rischio di estinzione, sia sostenendo la creazione di un sistema di mantenimento della biodiversità. E approva, con determinazione n. 252/2011 del dirigente del Servizio Agricoltura, il Bando per la presentazione delle domande di concessione degli aiuti previsti dall’Asse 2 “Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale”, misura 214, azione 3 “Tutela della biodiversità” del Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013. Gli aiuti sono rivolti ad imprenditori, singoli e associati, iscritti nel Registro delle Imprese Agricole della Camera di Commercio, Industria e Artigianato che, in base ad un legittimo titolo di possesso, conducono aziende agrico-

le, e, per favorire le giovani imprese, sono esclusi dal bando gli imprenditori titolari di pensione di vecchiaia o di pensione di anzianità di età superiore ai 65 anni. Per evitare speculazioni, il Programma predisposto dalla Regione (all. 8) specifica inoltre le risorse genetiche vegetali che i beneficiari degli aiuti, non a caso definiti come “coltivatori custodi”, devono impegnarsi a conservare in situ. Tutti gli impegni, specificati nel bando, devono essere mantenuti per una durata di 5 anni a partire dalla presentazione della domanda di aiuto. La disponibilità finanziaria complessiva per l’intervento avviato ammonta a 10 milioni di euro, distribuiti in base alle macrotipologie di coltura indicate

nel bando. Le domande di partecipazione devono essere compilate, stampate e rilasciate, in forma telematica, sul portale gestito dall’Agea, www.sian.it , a partire dal 31 marzo 2011 e fino al 16 maggio 2011, per il tramite dei Centri di Assistenza Agricola (CAA) o dei tecnici abilitati dalla Regione Puglia o dello stesso beneficiario. I tecnici che vorranno essere abilitati dalla Regione Puglia dovranno presentare al Servizio Agricoltura la richiesta di autorizzazione all’accesso sulla piattaforma che permette la compilazione telematica delle richieste. Per le domande telematiche presentate oltre il termine previsto, il premio è ridotto dell’1% per ogni giorno lavorativo di ritardo e in caso di ritardo oltre i 25 giorni solari, la

domanda è dichiarata irricevibile e non può essere ammessa a finanziamento. La procedura prevede, inoltre, l’inserimento dei dati territoriali e grafici nel Sit, sistema cartografico informativo regionale www.sit.puglia.it, con l’identificazione grafica degli appezzamenti, nel caso di colture erbacee, e delle singole piante, ove si tratti di colture arboree, oggetto della richiesta di impegno e di contributo. In base al punteggio attribuito, secondo i criteri di selezione riportati al paragrafo 8 del bando, e in relazione alla capienza finanziaria, sarà predisposto l’elenco delle domande rilasciate sul portale SIAN e risultate ammissibili alla successiva fase di istruttoria, e approvato con provvedimento

amministrativo nel quale saranno indicati, anche, i termini e le modalità di presentazione della domanda in forma cartacea e della documentazione da allegare. Per eventuali chiarimenti e specificazioni è stato istituito presso il Servizio Agricoltura dell’Area Politiche per lo Sviluppo Rurale, lungomare Nazario Sauro n. 45- Bari, un apposito sportello informativo il cui referente è il dott. Francesco Bellino, raggiungibile per telefono al 080/5405208, o per e - m a i l : f.bellino@regione.puglia.it Il provvedimento e il bando, comprensivo di tutti gli allegati, sono pubblicati nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 47 del 31 marzo 2011.


L’Ora del Salento 15

Lecce, 9 aprile 2011

lo sport L’ASSIST di Paolo Lojodice

La vittoria con l’Udinese ha ridato vigore ai giallorossi. La trasferta di Genova potrebbe consentire il salto decisivo verso una salvezza ancor più tranquilla

Lecce, contro la Samp si può “Nessuno ci sta a perdere e a retrocedere” - ha sentenziato De Canio alla fine della scorsa partita, vittoriosa sull’Udinese. L’espressione, più che esternare la legittima soddisfazione per il successo sull’accreditato avversario - giunto dopo tre cadute consecutive che avevano riportato i giallorossi nella zona rossa della retrocessione - raccontava l’intreccio di risultati e gli esiti dal fischio finale. La stessa affermazione, in apparenza ovvia e scontata, riassumeva però il senso della determinata ostinazione che ogni squadra respira in fondo alla classifica. Quella determinata ostinazione che, con il campionato agli sgoccioli e con spazi di recupero pressoché nulli, esalta o ridimensiona le speranze anche in presenza di una vittoria. “Nessuno ci sta a perdere e a retrocedere” è per De Canio il prologo alla lettura dei risultati che matureranno nelle restanti 7 giornate, perché, secondo il tecnico giallorosso “…la lotta sino alla fine sarà apertissima”. Nella sintesi formulata dall’allenatore sulle dinamiche e sugli scenari futuribili del fondo classifica, potrà accadere che il successo di una squadra possa essere in parte depotenziato nella risalita da analogo risultato delle contendenti, oppure, proprio come accaduto proprio per i salentini domenica scorsa, possa consentire, almeno per una settimana, di respirare con la testa… fuori dall’acqua:

“In una giornata che poteva essere negativa per noi, visto l’avversario che avevamo di fronte, ci siamo messi sotto altre squadre”. Uno slancio che prepara all’incontro con la Sampdoria guidata da tre domeniche da una vecchia conoscenza del Lecce, Alberto Cavasin, subentrato a Mimmo Di Carlo lo scorso 7 marzo, alla guida dei blucerchiati, con un contratto a tempo: 4 mesi. Proprio a Lecce Cavasin ha vissuto il suo momento migliore come allenatore, tre stagioni 1999 - 2002, concluse con l’esonero nel gennaio 2002, ma che portarono al tecnico trevigiano il riconoscimento della “Panchina d’Oro” proprio per il suo primo campionato (1999 - 2000). Nel suo periodo a Lecce il d.s. era Pantaleo Corvino e la squadra esprimeva giovani talenti di primo piano, così Cavasin potè ben procedere sui binari messi a disposizione dalla società, costruendo meglio il suo cliché che poi ha ben sfruttato in seguito, quello di tecnico grintoso, alla guida di “combattenti” - termine troppo spesso usato dal nostro - ma anche incline ad iperboliche celebrazioni della tifoseria di turno, troppo emozionali per essere vere fino in fondo. Reduce da un nuovo esonero nella Super League Svizzera - guidava il Bellinzona, 3 punti in 12 partite - l’arrivo di Cavasin sulla sponda doriana è probabile che sia dovuto proprio più alla sua fama di allenatore grintoso e pugnace, che a

indiscutibili meriti sportivi. La sostituzione dello stesso Di Carlo con Cavasin rappresenta una delle tante contraddizioni, al limite dell’autolesionismo, che la squadra ligure ha vissuto in questa stagione. L’ingaggio di Cavasin è stata, per il presidente doriano Garroni, conseguenza della necessità di scuotere l’ambiente, visto l’involuzione generale dovuta più che alle reali responsabilità di un tecnico capace come Di Carlo, ai veleni dei rapporti tormentati tra la società e quelli che fino alla scorsa stagione erano i due gioielli della formazione blucerchiata: Cassano e Pazzini. Infatti, le cessioni dei due nazionali a gennaio hanno poi lasciato il segno profondo negli equilibri della squadra e nella tifoseria ligure. Certamente a Cavasin spetta un compito arduo, sotto la Lanterna, cominciato, manco a dirlo, in maniera tutt’altro impeccabile: un punto in tre partite - ma di questo non si può fargliene una colpa diretta, in quanto subentrante - conquistato contro il Chievo al Bentegodi domenica scorsa, in una partita all’insegna del “non facciamoci del male”. Un risultato che sembra dettato da ragioni di opportunità meno da vis agonistica e, dalla dichiarazione rilasciata dal nuovo tecnico doriano alle pagine del sito ufficiale della Società, l’ombra del sospetto, a guarda bene, non è poi così lontana: “La classifica va vissuta per quello che è - taglia corto -. In questo momento non la guardo. Pen-

siamo positivo: ad esempio al Parma è rientrato nel gruppo delle squadre che dovranno lottare da qui alla fine del campionato per salvarsi”. Un punto di vista condivisibile anche da parte leccese, che però oltre a mettere nel mirino gli emiliani, punta domenica soprattutto i blucerchiati. De Canio, a differenza del suo omologo doriano, propone uno stile diverso, meno roboante ma altrettanto concreto e forte della prestazione espressa dai suoi contro l’Udinese, attende fiducioso i prossimi appuntamenti di campionato a cominciare proprio da quello di domenica a Marassi, con la squadra al completo e il… “problema” di un Bertolacci in più. Ad avercene di questi problemi!

MONDO Il Csi Lecce presente a Tezzano sul Brenta All’Alfa Fiera Hotel di Vicenza si è tenuto il 14° Gran Premio Nazionale di Corsa Campestre del Centro Sportivo Italiano: un evento nazionale che torna a Vicenza dopo 25 anni di assenza, come ha ricordato il Presidente del Comitato ospitante, Enrico Mastella: “Una manifestazione che ha richiesto un grande impegno” ha detto il presidente, salutando tutti i comitati partecipanti “ma non unicamente della presidenza provinciale: se questo evento è arrivato a Vicenza, il merito è delle società, dei giudici e di tutti coloro che lavorano con passione tutto l’anno con il Comitato”. La gara, che è partita con la categoria Esordienti si è tenuta nel Parco dell’Amicizia di Tezze sul Brenta, una località a circa 40 km da Vicenza. Tra 1603 partecipanti alla corsa campestre, divisi in 36 comitati provenienti da 14 regioni, il Csi di Lecce ha presentato i suoi migliori quattro atleti: Giulio Gatto classe 1994, Dario Rollo classe 1994, Cosimo Rucco classe 1985, Alessandro Santoro classe 1992, tutti provenienti dall’Asd Tre Casali di San Cesario, guidati magistralmente dal presidente Gigi Renis. Tra i partecipanti, anche 27 atleti disabili, o meglio, doppiamente abili, così come li ha chiamati il Presidente Nazionale Csi Massimo Achini che durante la classica riunione tecnica di apertura del Gran Premio Nazionale del Csi, ha voluto salutare e ringraziare, sottolineando come i grandi eventi nazionali Csi siano caratterizzati soprattutto dalle emozioni: “Gustiamoci le emozioni che questi eventi ci regalano: partecipare è una cosa che ti segna per la vita”. Il Presidente Achini ha colto l’occasione anche per portare il saluto e l’in bocca al lupo di due amici del Centro Sportivo Italiano, il presidente del Coni Gianni Petrucci e il presidente della Fidal, Franco Arese: “non è una cortesia istituzionale quella che hanno deciso di fare: non sono sorpresi solo dai numeri che il Csi riesce a mettere insieme, ma soprattutto dal cuore”. Un ringraziamento particolare alla Commissione Tecnica: “un impegno il loro, che non può essere sottovalutato”. Dal punto di vista dei risultati, pur essendo alla prima esperienza nazionale, ottimo si può considerare l’andamento delle gare. Si è classificato 11° nella cat. Allievi Dario Rollo, 39° Giulio Gatto su 83 partecipanti di categoria. Nella cat. Juniores si è piazzato al 10° posto Alessandro Santoro su 26 partecipanti di categoria, mentre nella cat. Seniores 41° Cosimo Russo su 84 partecipanti. Risultato ottimo nella classifica a squadre con l’undicesimo posto nella cat. Allievi per l’Asd Tre Casali. Soddisfatto anche il presidente provinciale Csi Lecce Marco Calogiuri che ha sottolineato l’impegno “per preservare la qualità educativa del Csi, sostenendo le società sportive che meritano di essere il vero cuore pulsante del Centro Sportivo Italiano; cercheremo di continuare a promuovere e rilanciare l’intero settore dell’atletica all’interno del Csi ed in collaborazione con la Fidal”.

Jeda con i ragazzi della parrocchia S. Filippo Smaldone per parlare della sua esperienza e dei valori dello sport

Cosa c’è dietro il calcio di oggi? La domenica pomeriggio, tanti occhi incollati agli schermi o al campo dagli spalti, cuori che scalpitano in attesa che quella sfera magica “color scacchiera” si insinui all’improvviso tra i polpacci tesi dei giocatori e sprofondi morbidamente nella rete avversaria. Un popolo di tifosi dalle speranze giallorosse vive insieme alla sua squadra, rimanendole fedele nella buona e nella cattiva sorte. Quello su cui spesso i seguaci di una squadra di calcio non si fermano a riflettere sono però i passaggi precedenti. Non gli ultimi quattro spostamenti del pallone prima del fatidico goal, intendiamoci. Qua si parla della Vita. In ogni calciatore, in ogni “mago del calcio”, venerato dall’opinione pubblica quasi come un dio, c’è prima di tutto una Persona, con idee, esperienze, scelte di vita e valori. Ed è su questo punto che appare doveroso soffermarsi un minuto. Lunedì 4 aprile i parrocchiani di San Filippo Smaldone di Lecce hanno incontrato uno di questi uomini, che ha avuto le capacità e la fortuna di entrare in una squadra di serie A, il nostro Lecce. Stiamo parlando del brasiliano Jedaias Capucho Neves, più comunemente noto come

Jeda. L’obiettivo del parroco, don Giovanni Serio, era appunto quello di far conoscere alle persone i retroscena di una popolarità che spesso non contempla e non considera l’etica che un individuo porta nel suo lavoro. I più entusiasti dell’evento sono stati i bambini, che hanno affollato il salone parrocchiale e partecipato con fervore ed entusiasmo all’intervista a cui Jeda ha risposto con grande affabilità e disponibilità. Osservando la scena risuonava nella mente una frase, “Lasciate che i bambini vengano a me”. D’altronde sono loro il domani, ed è dai piccoli che bisogna partire per sperare in un futuro migliore; proprio come ha fatto l’attaccante del Lecce, che ha lasciato il suo Paese all’età di 15 anni per riscattarsi da un Brasile umile, che offre poche possibilità di decollo professionale ed economico. Mentre racconta la sua storia, Jeda nomina più volte Dio, quasi per ricordare la sua gratitudine nei confronti dell’Essere senza il quale le sue aspirazioni non si sarebbero mai concretizzate in una realtà di serenità e soddisfazione. “È possibile raggiungere i propri sogni pur conservando dei valori?” gli chiede Francesco. “Non se ne può fare a

meno” è la sua risposta immediata: se ci si priva dei valori non si va da nessuna parte, o almeno non con una condizione di pace interiore. “Quali sono le difficoltà e le tentazioni più grandi che una persona incontra quando diventa famosa, popolare e ricca?” è l’interrogativo di Gabriele. “Non credo che i soldi, una bella macchina o la popolarità possano cambiare la vita - riflette il calciatore - e ringrazio Dio per avermi fatto restare nell’umiltà e nella coscienza di quello che faccio. Essere calciatore non significa essere diverso dagli altri, migliore o peggiore, perché ognuno si realizza in base alle sue doti naturali”. “Le nuove generazioni di giovani sono ancora disposte a difendere i propri valori e a fare sacrifici per raggiungere i loro obiettivi o sono viziate dalla possibilità di avere tutto subito, senza il minimo sforzo?” domanda invece Mirko. “Oggi senza dubbio siamo abituati a ottenere le cose più facilmente, ed è difficile per i genitori insegnare ai figli i valori veri - replica Jeda - È importante che la famiglia li trasmetta ai bambini, ma ognuno maturando e frequentando il mondo esterno può reagire in maniera diversa all’educazione ricevuta. Senza dubbio - afferma sor-

ridendo - i ragazzi dovrebbero imparare a sudare un po’ di più”. “Sentiamo parlare sempre più spesso di atti di vandalismo e violenza da parte dei tifosi più fanatici - ha riflettuto Marco, chiedendogli - Come si può liberare lo sport dal fantasma di questa mentalità degenerata?”. Il giocatore ha risposto che questo è un problema importante, perché i genitori hanno anche paura a portare i propri bambini negli stadi, per i rischi che si possono correre.

“Queste persone violente non possono essere nemmeno definite tifose. Il vero tifoso è colui che supporta la squadra, senza inutili atti di vandalismo”. Il dibattito si è poi spostato verso la considerazione dell’importanza dello studio anche per chi intraprende la carriera calcistica, perché i goleador che non hanno ricevuto istruzione sono rari: il più delle volte la cultura aiuta anche ad entrare a testa alta nel calcio. Piccoli e grandi hanno rivolto i più svariati que-

siti, e dalle risposte è emersa l’importanza del gioco di squadra, della capacità di non puntare il dito su chi sbaglia e non cercare i riflettori su di sé ma lavorare sempre coscientemente e per il bene del gruppo. Quando gli è stato chiesto da Mattia se abbia intenzione di restare nel Lecce per il prossimo anno, ha rassicurato i presenti: “La maglia giallorossa mi accompagnerà almeno per tre anni”. Grazia Pia Licheri


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