2011 - L'Ora del Salento

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Lecce, 4 giugno 2011

UN EURO

L’Ora del Salento

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE

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Nuova serie, Anno XXI, n. 20

Un grazie e un saluto di Domenico U. D’Ambrosio L’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi ha concluso la sua feconda e operosa giornata terrena nel vespro di domenica 29 maggio. È andato incontro a Colui che ha saputo annunziare e far conoscere con ogni mezzo. La Chiesa di Lecce e la Chiesa sorella di Termoli-Larino non possono non esprimere al Datore di ogni bene la loro gratitudine per aver goduto delle premure pastorali e dell’afflato appassionato per il Vangelo di Mons. Cosmo Francesco Ruppi. Nel telegramma di partecipazione al lutto della comunità diocesana a me giunto tramite il Segretario di Stato Card. Bertone, Benedetto XVI sottolinea il generoso ministero e la peculiare attenzione all’evangelizzazione attraverso i mezzi della comunicazione sociale del compianto nostro presule. Questa è stata una delle grandi priorità pastorali che hanno imposto all’attenzione di tanti il ministero di evangelizzatore che ha connotato l’intero servizio episcopale del nostro Pastore. Nei molti messaggi di cordoglio e solidarietà a me pervenuti, si sottolinea la grande massa di bene che egli ha saputo donare attraverso i suoi scritti e la sua presenza nei mezzi di comunicazione sociale. In molti mi ricordano la scoperta della santità nella rubrica che per anni ha presentato, in un grappolo di secondi, la misura alta della vita cristiana dei nostri Santi famosi e non, da lui riportati alla riflessione e all’attenzione dei radioascoltatori. Come vescovo della Chiesa di Lecce che ha raccolto il suo testimone, ho avvertito in questi due anni la indomita e insonne fatica di Mons. Ruppi nel donare alla Chiesa che ha servito per oltre venti anni, uno stile di presenza, di animazione, di attenzione, in grado di accogliere e di dare risposte alla crisi del sacro che attraversa il moderno areopago. Non si può non ricordare la grande esperienza di Chiesa che ha fatto vivere alla nostra comunità nella lunga stagione del Sinodo Diocesano e che ha avuto come primo protagonista il Beato Giovanni Paolo II in visita apostolica a Lecce nelle due memorabili giornate del 17 e 18 settembre 1994. I frutti del Sinodo Diocesano: la partecipazione laicale alla vita della Chiesa, la sua ministerialità, il grande dono del diaconato permanente, la pastorale vocazionale, l’entusiasmo e la vivacità della pastorale giovanile, il grande impulso per una Chiesa vicina e tra le case della gente (penso ai numerosi, nuovi complessi parrocchiali), sono ricchezza consegnata alla nostra Chiesa, da custodire, arricchire e curare, Come non ricordare il dialogo fecondo che Mons. Ruppi ha saputo portare avanti tra le due massime realtà culturali della nostra Città, l’Università del Salento e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose? E il suo tenace impegno nel perseguire e ottenere, come Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese, l’istituzione della Facoltà Teologica Pugliese? Non possiamo dimenticare l’attenzione e il dialogo, a volte difficile e faticoso, cercato e ottenuto con le istituzioni pubbliche deputate al servizio della comunità civile. Ma c’è una dimensione del ministero episcopale del nostro Arcivescovo che va privilegiata e sottolineata. È la dimensione della carità vera che lo ha avuto interprete fedele e testimone coraggioso di attenzione, di accoglienza, di servizio ai molti che, profughi da terre attanagliate dalla povertà e dalla mancanza di libertà, qui cercavano rifugio. È la grande stagione dell’accoglienza, dell’apertura delle case e del cuore della Chiesa e dell’intera comunità da lui mobilitata per dare serenità e speranza ai molti disperati che, in fuga dalle loro terre, sono approdati sulle nostre coste dove hanno trovato un grande cuore spalancato e pronto alla politica del cuore. Migliaia di questi nostri fratelli non si sono sentiti ospiti o stranieri perché in loro Mons. Ruppi, memore della parola di Gesù, “ero straniero e mi avete accolto e ospitato”, ha saputo vedere il Cristo povero, affamato, rifiutato. Per questo suo impegno nel quale ha trascinato in una sorta di gara di esercizio di amore l’intera comunità, ha sofferto molto, ha dovuto bere talvolta il calice amaro dell’incomprensione e degli attacchi ingenerosi e ingiustificati. Nel silenzio ha continuato a donare, servire, amare. Carissimo fratello, carissimo padre e pastore, ci hai donato molto con generosità totale, con amore impagabile, con intelligente e sapiente acume pastorale. Forse non ti abbiamo restituito molto del tanto che ci hai donato. Siamo certi che avendoti perduto qui in terra come padre, maestro e consigliere, ti abbiamo guadagnato come nostro avvocato presso il Buon Pastore che ci hai annunziato, ci hai fatto conoscere e ancor più amare. Ti diciamo grazie. Ricordati di tutti noi ora che sei nel Paradiso.

SETTIMANALE CATTOLICO

LA CHIESA DI LECCE SALUTA MONS. RUPPI

Le parole dell’Arcivescovo prima di lasciare questa terra mentre Suor Maria Angel e il dott. Francesco Giacovazzo lo assistevano ad Alberobello nel passaggio verso il Cielo

“La vita è mistero. Tutto è miracolo”

Lecce, 4 giugno 2011

Un grande uomo di Nicola Paparella È morto un grande uomo. L’ho conosciuto quarant’anni fa e posso dirmi testimone di molti episodi significativi della sua straordinaria personalità. L’ho seguito in Terra Santa ed ho visto quanto profonda e sofferta fosse la sua preghiera, sempre attenta alle vicende del mondo, ai bisogni degli ultimi, alle attese della Chiesa, alle sofferenze di chi gli chiedeva aiuto. Sapeva dialogare con tutti ed amava incontrare le persone, individuandole nei loro nomi, nella loro dimensione domestica e nelle relazioni pubbliche. Aveva uno straordinario senso delle istituzioni per le quali cercava sempre di valorizzarne le funzioni e i ruoli sociali, mettendo però al primo posto la gente, il popolo, i cittadini. Soffriva per la disoccupazione e soprattutto per il disagio dei giovani. Mi chiedeva spesso notizie di quel che fanno gli studenti, di quali fossero le loro ansie, di quali prospettive venivano loro offerte. Disponeva di una buona cultura, sapeva far tesoro della storia e poteva contare sulle sue non comuni doti di intelligenza. Dinanzi alle difficoltà, cercava di capire dove si nascondessero le radici dei problemi e quando la situazione gli diventava chiara, allora riusciva ad avere un guizzo di intelligenza creativa. Ed erano le sue intuizioni che poi trasformava in progetti. Sapeva essere deciso e, nel contempo, umile. Una volta individuata la soluzione di una difficoltà, amava parlarne con i suoi collaboratori, interpellava esperti ed autorità, con cui metteva a confronto quanto egli aveva già ipotizzato, e poi passava rapidamente all’azione. Prudente nelle valutazioni, deciso nelle scelte, tenace nella progettazione, perseverante nella realizzazione dei suoi disegni: ecco mons. Ruppi. Un uomo d’azione, che sapeva riflettere, che accettava il confronto - anche critico - e poi agiva senza risparmiare fatiche, per sé, innanzi tutto, e per i suoi collaboratori. Amava la Chiesa di Lecce. Era sempre legato al suo paese natio e ai luoghi nei quali la Provvidenza lo aveva mandato; ma per la Chiesa di Lecce aveva un sentimento di particolare tenerezza, così come una speciale attenzione rivolgeva ai destini della città e alle turbolenze politiche che talvolta l’attraversavano. In più occasioni si fece promotore di dialogo, garante di patti collaborativi, animatore di intese basate soltanto sul senso dell’amicizia e sul criterio della buona volontà. Nelle sue premure pastorali un posto centrale lo avevano i sacerdoti, per i quali pregava incessantemente e per i quali sapeva essere paterno e solidale, maestro ed amico. Molto si è speso per i problemi della famiglia e soprattutto per i giovani. Tanto ha fatto per la città e per la Chiesa di Lecce. Oggi, dal cielo, fa ancora sentire le sue parole di incoraggiamento, il suo invito a servire la Chiesa, ad onorare le istituzioni, ad amare la città.


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Lecce, 4 giugno 2011

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE La testimonianza IL MINISTRO del sen. Pellegrino. “Nel debito complessivo La Chiesa di Puglia perde una guida “Con la scomparsa di mons. Rup- “Quella di oggi è una giornata di doloche Lecce ha verso pi la Chiesa pugliese perde una guida re ancor più profondo per chi come il suo Arcivescovo spirituale, un uomo di grande cuore, me ha conosciuto mons. Ruppi ed ha un servitore di Dio che ha dato tanto avuto la possibilità di instaurare con deve iscriversi anche soprattutto alla comunità cattolica sa- lui un rapporto di leale e proficua colil miglioramento dei lentina, guidandola per oltre un ven- laborazione umana ed istituzionale. tennio. La sua intensa attività pasto- Non possiamo dimenticare, ad esemrapporti tra Comune rale è stata testimonianza di una Chie- pio, il suo grande impegno nell’emere Provincia, che Ruppi sa militante, impegnata quotidiana- genza migratoria che investì la Puglia mente in tutti i settori della società ci- dopo il 1989. Il dolore ed il vuoto di seppe con fermezza vile e in ogni momento della vita pub- oggi sono colmati dalla certezza che la blica”. Lo dichiara il ministro per i Rap- sua opera non potrà essere dimentiimporre ad Adriana porti con le Regioni Raffaele Fitto. cata”. Poli Bortone ed a me”

IL SOTTOSEGRETARIO

Profonda fede Nel momento in cui mons. Ruppi è fra le braccia di quel Padre a cui ha consacrato se stesso, due elementi emergono, fra gli altri, a segnare i venti anni del suo episcopato a Lecce: l’essere vicino a ciascuna singola persona al momento giusto, con un rapporto individuale che è il solo sul quale poter costruire; la capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo, frutto non solo di una naturale tenacia ma anzitutto di una profonda fede. Alfredo Mantovano

Una vita per promuovere il dialogo L’Ora del Salento mi chiama ad un impegno difficile: ricordare l’arcivescovo Ruppi, in un momento in cui è ancora così vivo il dolore per la sua scomparsa, acuto lo smarrimento per la perdita di un punto di riferimento prezioso trovato nella parte finale della mia esperienza politica, dopo che a lungo con lui avevo avuto un rapporto segnato da rispetto, ma anche da una sostanziale distanza, che l’Arcivescovo seppe con garbata fermezza addebitarmi quando, in occasione di uno dei nostri rari incontri ufficiali, guardandomi negli occhi ebbe a dirmi. “Senatore cosa sarebbe la sua bella città senza le sue cento chiese?”. Tutto cambiò pochi mesi

L’Ora del Salento SETTIMANALE CATTOLICO Iscritto al n. 517 del Registro stampa del Tribunale di Lecce

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dopo la mia elezione a Presidente, della Provincia quando con mia sorpresa l’Arcivescovo mi invitò a seguirlo in Moldavia per poter constatare di persona quanto la Chiesa salentina stesse facendo da anni in quel difficilissimo paese di frontiera. Fu per me quasi una folgorazione, una esperienza commovente nel vedere come gli operatori e le suore di Regina Pacis si impegnassero nella assistenza e recupero dei ragazzi di strada di Chisinau, una infanzia e una adolescenza ridotte ad una condizione di angosciante abbandono dalla dissoluzione dell’impero sovietico e la crisi economica e sociale che ne era derivata. L’Arcivescovo percepì l’intensità della mia commozione, da quel momento abbandonando il prudente riserbo, con cui fino a quel momento si era rapportato al primo presidente della Provincia di Lecce, non appartenente ad un partito cattolico. Da allora il nostro rapporto divenne sempre più intenso e per me prezioso nello svolgimento del compito amministrativo, in cui ero impegnato; una consuetudine amichevole il caffè che quasi ogni lunedì mattina (spesso su mia richiesta) mi offriva nella quiete del palazzo vescovile, dove a lungo restavamo a ragionare sui problemi della nostra terra e più in generale su quelli del nostro avventurato paese, che l’Arcivescovo analizzava con estrema lucidità proponendo soluzioni, di cui mi colpiva il pragmatismo e l’assoluto buon senso; come quando seppe convincermi che spettasse alla Provincia farsi carico del restauro finale del campanile dello Zimbalo semplicemente anticipando fondi che la Regione aveva già impegnato, ma di cui non era possibile una sollecita erogazione. Nel debito complessivo che Lecce ha verso il suo Arcivescovo deve iscriversi anche il miglioramento dei rapporti tra Comune e Provincia, che Ruppi seppe con fermezza imporre ad Adriana Poli Bortone ed a me, quando (eravamo suoi ospiti a cola-

zione guardandoci negli occhi con il suo sguardo severo ci disse che era il bene comune ad imporci una collaborazione istituzionale, che andasse al di là della nostra contrapposizione politica.

Di questa collaborazione resa possibile dal suo magistero, fortemente volle che restasse testimonianza nel lungo dialogo a tre voci apparso nel libro intervista “Dialogo per la città”. Colpito dalla

triste notizia per me inaspettata (non sono trascorsi molti giorni da un nostro lungo colloquio telefonico) con occhi velati dalla commozione ho provato a rileggere le domande che Ruppi in quel li-

bro mi rivolge, nella speranza di trovare risposte nuove e migliori in un dialogo che sappia continuare anche in ciò che “dopo la morte non è morte”. Giovanni Pellegrino

DALLA CASA PER ANZIANI DI ALBEROBELLO

Lo diceva ogni mattina: “sono nelle mani del Signore” Se ne è andato così ringraziando tutti. Ciao, ciao con la mano e ha accasciato la testa come per dormire. C’è voluto qualche minuto per capire che non stava sognando, ma si era nuovamente rimesso in viaggio come era sua abitudine. Per questi due ultimi anni in cui ho avuto l’onore di conoscerlo e accompagnarlo ovunque andasse, non mi ha meravigliato affatto questo suo modo di andarsene. Senza troppe parole o cerimonie, nessun lamento, se ne è andato come è vissuto: impeccabile, lucido fino all’ultimo secondo e preparato, perché lui non si azzardava mai ad improvvisare in niente nemmeno con la morte. E con la morte, ma soprattutto con il dolore, ci aveva fatto amicizia già da molto tempo. Prima di conoscerlo così intimamente, lessi un suo articolo in cui ringraziava per la sua malattia, che considerava un “dono del Signore”. Con molta onestà, e ora un po’ di vergogna, pensavo ad una frase ad effetto, tipica del giornalista navigato quale lui era. Ma poi, in questi due anni, ho avuto il dono di vedere in faccia la vera dignità di un uomo di fronte al dolore e alla mia età (30 anni), credetemi, fa spavento. Ti senti piccolo, debole e stupido, ti rendi conto che ogni tuo problema, ansia o dolore è un inezia ridicola, inutile, e che essere uomini è tutt’altra cosa: è saper fare amicizia con il dolore e portarselo appresso fino all’ultimo secondo, senza rinunciare mai al tuo dovere. L’ho visto ansimare durante una predica, con la mia paura che non riuscisse a terminarla, ma l’ha conclusa come tutte le cose che cominciava. Abbiamo scritto fino a tre giorni prima un articolo per la Gazzetta sul prete presunto pedofilo di Sestri Ponente, dove chiedeva a tutti noi di essere fermi nella condanna del male, ma anche di perdonare perché è lì e soltanto lì che si

riconosce un buon cristiano. Sabato mattina ha registrato le sue ultime parole per Telenorba, ha rilasciato dichiarazioni, risposto al telefono a tutti, nonostante le nostre timide proteste. Mai un giorno che non fosse sbarbato, mai senza il crocefisso al collo e il rosario in tasca. Mai un lamento, mai. “Sono nelle mani del Signore”, mi diceva ogni mattina, quando gli chiedevo come stesse e se avesse dormito. Ha lasciato tutto in ordine, nulla fuori posto, e non perché si fosse rassegnato ad un evidenza, ma perché lui era fatto così, e da chi gli stava vicino e soprattutto da me, ha sempre preteso lo stesso impegno di sempre. Oggi mi vien da piangere; quando una mattina mi sgridò per una mia trascuratezza e poi mi disse: “ricordati, tuo padre ti vuole bene, ma io te ne voglio di più!” e non era una frase fatta, lui non le usava mai, le frasi fatte; non ne aveva bisogno, centellinava ogni sillaba, ogni vocabolo, collocandolo nella giusta prospettiva. Voleva tanto che facessi il giornalista e mi ha insegnato praticamente a tenere la penna in mano, ad essere responsabile di ogni mia singola parola e non smetteva mai di ricordarmi che dovevo scrivere per i poveri e per i semplici. “Se non ti capiscono loro, tu non sai scrivere!”. E quanto avevi ragione don Cosimo! Questo riesco a dire adesso mentre giace a pochi metri da me e sto scrivendo perché a trent’anni ancora non so piangere. Ma pazienza. Prima di lasciarci, mentre stava riposando la mattina, ha aperto gli occhi, ha visto suor Miriam e gli ha detto: “La vita è un mistero, tutto è un miracolo”. E poi “ciao, ciao”. E se n’è andato. Grazie don Cosimo, ti voglio tanto bene. Francesco Giacovazzo


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LA MORTE DI MONS. RUPPI

DOVE

IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE Per quasi quarant’anni, l’Arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi, mi ha voluto, in maniera costante e crescente, un gran bene, fraterno e filiale. Ancor di più, alla mia Rosaria, immenso dono perduto, da lui definita una “santa donna” che, immancabilmente, citava nelle nostre frequenti telefonate, con promessa di orante suffragio. Don Cosmo, così mi piace, oggi, chiamarlo per la prima e ultima volta, possedeva - tra l’altro - in sé un folgorante carisma di splendente umanità.

Don Cosmo, un folgorante carisma di splendente umanità

IL DIFENSORE CIVICO DELLA PROVINCIA DI LECCE

Grazie per aver scelto di ‘tornare’ a Lecce Con mons. Ruppi si poteva parlare di tutto, tranne della sua malattia. Egli, pur avendo la gioia di condividere problemi e riflessioni con gli altri, rifiutò sempre di esternare la sofferenza atroce che nascondeva dietro un sorriso. Volle, però - e questo è stato un altro insegnamento da non dimenticare - soffrire in mezzo agli altri, come gli altri, rifiutando le insistenti premure del personale del “Fazzi” per qualche piccola comodità. Perciò, la notizia che il corpo mortale di mons. Cosmo Francesco Ruppi, una volta ottenute le necessarie autorizzazioni, riposerà per sempre a Lecce, ci riempie di orgoglio ed aumenta la nostra commozione per la sua scomparsa ma, allo stesso tempo, ci invita ad una riflessione attenta ed umile. Lo ringraziamo per aver chiesto di essere sepolto nella sua città di elezione, a cui ha dedicato per più di venti anni ogni pensiero ed attività, con il forte carisma che rendeva superabili le cose per altri insuperabili. Aveva conquistato il cuore dei leccesi dal primo incontro, da quando, attraversando le strade per raggiungere il duomo, lo vedemmo colloquiare con il sindaco della Città, Francesco Corvaglia, come fossero stati amici da sempre ma, contempo-

raneamente, abbracciando con lo sguardo indagatore e penetrante i singoli cittadini come gli antichi palazzi. Furono le emozioni di quel giorno indimenticabile, a tornare alla mente di molti quando ci interrogammo sull’immenso dolore da lui provato per le accuse che, già soltanto ad essere pensate, erano l’assurda risposta ad un’operosa attività fatta di soluzioni concrete ai bisogni della comunità e di singoli. Un suo intervento - un intervento che portò il Salento all’attenzione del mondo, tanto che in molti chiesero il conferimento del Nobel in riconoscimento dell’accoglienza ai profughi riporta alla mente l’immediata organizzazione del Centro Regina Pacis. Mentre altri discutevano, incerti, scoraggiati, impotenti su cosa fare, mons. Ruppi aveva già realizzato una struttura efficiente per accogliere, sfamare, assistere migliaia di disperati giunti sulle nostre coste. Ricordo di aver accompagnato a San Foca esponenti del governo, colleghi parlamentari, giornalisti i quali, dopo aver visto, si chiedevano come fosse riuscito il Vescovo di Lecce a creare dal nulla quanto occorreva all’inaspettato ed imprevedibile afflusso di bambini, uomini, donne, e ridare loro una speranza. Diversamente da

noi, storditi da una vicenda che mai pensavamo di dover fronteggiare, mons. Ruppi conosceva cosa fare perché sapeva che la carità smuove le montagne. Da quella straordinaria vicenda, che meriterebbe una ricerca globale, venne il resto: la costruzione del nuovo seminario, la ristrutturazione del vecchio in museo diocesano, i lavori per il restauro del duomo e della piazza per citare alcune opere legate al nome di mons. Ruppi mentre non va trascurato l’instancabile impegno religioso in una diocesi, vasta ed impegnativa, che in lui subito si riconobbe, affascinata dall’impegno di fedeltà e di servizio alla Chiesa ed all’uomo. Una volta, dopo avere letto la rubrica che curava su “Famiglia Cristiana” ed ascoltato alla radio un suo intervento, gli chiesi come trovasse tempo per fare tutto. Sorrise e non rispose perché sapeva di dover rendere conto soltanto a Dio di come utilizzava i minuti: una volta, però, mi avvertì che il tempo, per i cristiani, è la scala per salire al Cielo. Con il suo stile e con la capacità di coinvolgimento, mons. Ruppi riusciva a superare ogni difficoltà. Ricordo il giorno in cui il magazzino a San Foca era vuoto: una telefonata in dialetto ad un imprenditore barese risolse il problema, e non per una settimana.

LA TRIENNALE D’ARTE SACRA

Un grande impegno per la cultura in questa città Quasi in chiusura del suo testo pubblicato sul catalogo della Quinta Triennale d’Arte Sacra Contemporanea, apertasi il ventuno marzo duemilanove nell’Antico Seminario di Piazza Duomo in Lecce, S.E. Mons. Cosmo Francesco Ruppi Arcivescovo Metropolita di Lecce, ormai prossimo a ritornare nella natìa Alberobello, scriveva: “Con entusiasmo e con gioia, pertanto, apriamo le porte di questa Quinta Triennale, con l’augurio che essa continui nel tempo e contribuisca ad arricchire una Città già nota per le sue innumerevoli opere d’arte”, nella conferma di quel fervore e di quel trasporto, che oltre quindici anni prima lo avevano spinto, coinvolgendoci da subito e sin dai primi “pensieri”, a riflettere sulla necessità di riannodare “i fili dispersi di un rapporto interrotto tra Chiesa e Arte”, anche in questo estremo lembo d’Italia. Così, nel centenario della nascita di Paolo VI, il Papa degli artisti, l’idea di Monsignor Ruppi si concretizzò nella costruzione di un omaggio allo scultore Armando Marrocco, della prima edizione di “Exempla” nella storicità di

ventidue presenze tra le quali Lucio Fontana, Giacomo Manzù, Gaetano Martinez, Lorenzo Guerrini e Umberto Mastroianni, e del Premio “Paolo VI” evento propedeutico alla nascita della Galleria d’Arte Sacra Contenporanea. Ormai una realtà, quest’ultima, dell’intero territorio centromeridionale, ricca, attualmente, delle opere di ben quaranta artisti di varia estrazione e di varia modalità operativa. E non è casuale, per quanto ci riguarda aver individuato nella “Lettera agli artisti” che S.S. Giovanni Paolo II volle rendere pubblica il quattro aprile del millenovecentonovantanove, una sorta di riscontro, ovviamente casuale, dell’intuizione di Monsignor Ruppi, e del lavoro realizzato insieme, sollecitandoci a riflettere sul tema della bellezza, da intendersi come “l’espressione visibile del bene”, e quindi a realizzare nell’anno giubilare un giusto e doveroso omaggio all’opera sacra di Giacomo Manzù (quanto mai eccezionale ed unica la testimonianza di Monsignor Loris Francesco Capovilla!), uomo ed artista ricco di tormenti e di grandi emozioni. Francesco Messina, Luciano

Minguzzi e Mimmo Paladino, questi i nomi degli scultori sui quali abbiamo voluto porre successivamente lo sguardo, e con essi anche oltre cento artisti impegnati a definire dapprima un percorso storico all’interno del XX secolo e quindi due attenzioni tematiche quali l’Eucaristia e il Battesimo, passando da Mario Schifano a Jean Guitton, a Omar Galliani, a Mark Ivan Rupnik, a Floriano Bodini, a Carlo Mattioli, a Mario Ceroli, a Robert W. Carroll, a Carmelo Cappello e ad altri ancora. Rammentando, altresì, come la rinnovata attenzione nei confronti dell’arte e della sua contemporaneità abbia poi portato alla presenza di alcuni artisti locali nelle nuove chiese parrocchiali. E ci piace che oggi, nel giorno del ritorno alla Casa del Padre di Monsignor Ruppi, artefice, maestro e compagno in questa splendida avventura che è la Triennale d’Arte Sacra, i segni del ritrovato dialogo tra Chiesa ed Arte, siano lì a testimoniare il suo grande impegno nei confronti della cultura ed il suo amore per la l’arte e per questa città. Toti Carpentieri

Così accadde anche il giorno in cui discusse con il ministro del bilancio dell’epoca sul finanziamento dei lavori per il duomo e per la piazza. Il ministro lo ascoltò e capì subito che la sua eventuale resistenza non avrebbe retto al travolgente impeto del presule, il quale chiedeva decoro per la casa di Dio ma anche valorizzazione per la piazza testimone della cultura salentina. Le considerazioni utilitaristiche, con le quali anche i credenti spesso immiseriscono le iniziative più belle, fecero pensare ad alcuni che la visita a Lecce di Papa Giovanni Paolo II fosse stata voluta più per considerazioni personali che per offrire una nuova opportunità alla conversione a Cristo. Mai l’amarezza lo turbò e ripeteva spesso “io rispondo al Signore: Egli è il mio unico giudice”. Mons. Ruppi introdusse la consuetudine del messaggio alla Città a conclusione della processione del Santo Patrono Oronzo. Non fu mai occasione per festeggiare, ma per interrogarsi ed interrogarci su come ognuno vivesse il suo impegno a favore degli altri. Rileggere i messaggi, ora che conosciamo la volontà di mons. Cosmo Francesco Ruppi di essere sepolto a Lecce per attendere con noi la Resurrezione, sarebbe cosa utile e doverosa. Giorgio de Giuseppe

Amava le persone, tutte, riconoscendo in loro - deboli o potenti, peccatori o puri spiriti - l’immagine e la somiglianza a Dio. Perciò, una appropriata definizione sulla sua vita di Uomo, di Sacerdote e di Vescovo, che per riposo conobbe solo la veglia, può così sintetizzarsi: “è stato un Uomo di Dio e di Popolo e non solo del Popolo di Dio”. Questa sua pregnante, premurosa vocazione per l’Uomo, orientata alla redenzione, alla tutela e al transito verso il Divino, resta il più appropriato sigillo del suo magistero episcopale. Una caratteristica, che, di certo, derivava dal suo vincolo di Prete, illuminato dalla grazia di Dio, ma anche del suo saper essere - passi il termine - “uomo di mondo “ nel senso più alto della parola. Infatti, è stato sempre attento a scrutare la società nella sua interezza, tanto, da divenire in ogni occasione, un “interventista” nel sacro e nel profano, convinto che più si immergeva nei problemi universali e più riusciva a sollevare le miserie della terra verso la protezione e la misericordia dell’Altissimo. Esercitò, in conseguenza, una sua smisurata inclinazione all’accoglienza, divenendo - a prescindere dal colore della pelle - il soccorritore del bisogno incombente, seguendo, in ogni caso, la sorgiva inclinazione del cuore, non sempre accettata dalle leggi umane, che spesso sciupano l’universale impeto della Carità, ancella della Fede e della Speranza. Lo aiutava, in ciò, la sua preziosa dote aggiuntiva di infaticabile comunicatore e giornalista, sempre pronto a penetrare le problematiche mondiali, da lui recepite e trattate in una miriade di pubblicazioni, concedendo al Verbo fortezza educativa verso il bene e la buona vita del Vangelo. Tanta luce si è davvero spenta? Per noi credenti, continua ad ardere e splendere accanto al Creatore, da dove ci assicura che, pur se profondamente rattristati, orfani non siamo. Per i secoli, paterno, ci attende nella Cattdrale, della sua e nostra Lecce di cui rimane cittadino onorario. Giacinto Urso


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LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE Reazioni in città IL SINDACO e in tutto il Salento Lecce non potrà dimenticare alla notizia la sua lunga e feconda presenza alla guida dell’Arcidiocesi, della scomparsa né le tante testimonianze dell’Arcivescovo. del suo operoso impegno quali arcivescovile, Antonio Gabellone: ilil seminario rilancio della facoltà un segno indelebile di Scienze Religiose e il ricordo indimenticabile della visita nel cammino di S.S. Giovanni Paolo II della Chiesa locale per cui mons. Ruppi spese e del nostro territorio il meglio delle sue energie

LA SENATRICE Era una bellissima persona. Poteva apparire burbero, ma in realtà era di una sensibilità notevole. Abbiamo vissuto insieme un periodo bellissimo per la nostra città. È stato il vescovo che è riuscito a far riconciliare me e Giovanni Pellegrino. Lo ha fatto con garbo e discrezione, ma anche con convinzione, come era nella sua indole

Per sempre nei nostri cuori L’improvvisa scomparsa di un uomo che ha guidato i fedeli dell’Arcidiocesi di Lecce per tanti anni, amorevolmente e con determinazione, non può che aver lasciato nel cuore di tutti un profondo dolore, ma al tempo stesso la certezza di un ricordo positivo per tutto ciò che mons. Ruppi ha lasciato alla realtà lupiense con la sua instancabile azione materiale e spirituale. Anche il Primo Cittadino di Lecce, Paolo Perrone, sottolinea come questa scomparsa rappresenti una grave perdita per la Puglia, definendo mons. Ruppi “una delle figure più rappresentative, prezioso punto di riferimento anche per la cultura meridionale”. Egli ha sottolineato quanto l’Arcivescovo Emerito si sia dimostrato infaticabile fino all’ultimo momento, pur aggredito dal male, fornendo sempre il suo contributo di valente opinionista su quotidiani e riviste, in favore della crescita socio-culturale della nostra Regione. “Lecce non potrà mai dimenticare la sua lunga e feconda presenza alla guida dell’Arcidiocesi, né le tante testimonianze del suo operoso impegno - ha concluso il Sindaco, ricordando poi alcuni segni tangibili dell’incessante attività profusa negli anni dal compianto pastore d’anime - quali il seminario arcivescovile, il rilancio della facoltà di Scienze Religiose e il ricordo indimenticabile della visita di Sua Santità Giovanni Paolo II per cui mons. Ruppi spese il meglio delle sue energie”. La Senatrice Adriana Poli Bortone esprime tutta la sua commozione nell’aver appreso la notizia della scomparsa dell’Arcivescovo, e ricorda la sua figura tracciandone i caratteri principali in maniera accorata. “Era una bellissima persona. Poteva apparire burbero, ma in realtà era di una sensibilità notevole. Mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso, personale ancor prima che politico. E mi voleva bene, quanto gliene volevo io”. Ha rivelato che tra qualche giorno gli avrebbe fatto visita nella sua Alberobello. “Abbiamo vissuto insieme un periodo bellissimo per la nostra città. È stato il vescovo che con tanta delicatezza è riuscito a far riconciliare me e Giovanni Pellegrino. Lo ha fatto con garbo e discrezione, ma anche con convinzione, come era nella sua indole”. Conclude poi con rammarico: “Con lui se ne va un pezzo di storia della città di Lecce”. “La morte dell’Arcivescovo Emerito di Lecce, mons. Cosmo Francesco Ruppi, addolora e colpisce nei sentimenti più profondi l’intera comunità della provincia di Lecce e l’Amministrazione Provinciale, che in queste poche parole sento di rappresentare nella sua interezza” dichiara Antonio Gabellone, Presidente della Provincia di Lecce. “Il mio ricordo va oggi a una

persona forte, temprata dalla tenacia con cui ha guidato la Chiesa del Salento”. Richiama poi alla memoria i risultati ben visibili dei suoi 20 anni di cammino spirituale in Puglia: la visita di Giovanni Paolo II nel Salento, l’inaugurazione della maestosa opera cristiana del “Nuovo Seminario Pastor Bonus”, l’apertura di centinaia di chiese di culto, il recupero di altrettante chiese riconsegnate al prestigio artistico ed alla fede dei cristiani, la “straordinaria opera di accoglienza e carità con cui questa terra ha aperto le braccia a chi soffre, a popoli a noi così vicini. Il mio ricordo, dunque, personale, da credente, va a una figura che ha lasciato un segno indelebile, nel cammino della Chiesa di Lecce e del Salento”. “Austero nel costume istituzionale, erudito nelle cose di Dio e nelle cose del mondo, pastore autentico nel rapporto con le persone”. È così che Lorenzo Ria ricorda l’Arcivescovo, con-

siderato affettuosamente “uomo e vescovo del nostro tempo, sempre attento alle dinamiche della società e della politica, mai impreparato di fronte alle emergenze sociali che il nostro Salento ha vissuto”. Una sottolineatura particolare all’amore che egli provava per la Chiesa, e da cui il suo apostolato non poteva prescindere. “Amore che si declinava in un confronto anche forte e autorevole con le istituzioni politiche e civili - spiega Ria - verso le quali sapeva dimostrare un’apertura non comune, all’insegna della cooperazione e dell’autonomia tra le parti. Amore che veniva fuori prepotentemente nelle tante iniziative sociali e umanitarie di cui è stato promotore”. Un monsignore che grazie al suo ruolo di primate della Chiesa salentina e al suo sostegno diretto al volontariato diffuso, ha dato un contributo qualitativo fondamentale “perché il

Salento diventasse civiltà dell’accoglienza e fosse davvero una comunità attenta ai bisogni degli svantaggiati, seguendo anche l’esempio di Filippo Smaldone, fondatore di una comunità che ha in cura ragazzi con difficoltà fisiche e di comunicazione verbale, beatificato proprio negli anni dell’episcopato di Ruppi. A lui, guida indimenticata e autorevole della Chiesa salentina, va il mio saluto e il mio affettuoso ricordo”. “La scomparsa di mons. Cosmo Francesco Ruppi è un dolore grande che avverto personalmente, oltre che come cattolico e come salentino”. Lo dichiara il capogruppo del Pdl alla Regione, Rocco Palese, che aggiunge: “Ho avuto la fortuna di conoscere bene mons. Ruppi, i suoi insegnamenti e il suo grande amore per l’opera caritatevole che è stato chiamato a svolgere e che ha svolto sempre con passione. Nei tanti anni trascorsi a capo

della Conferenza Episcopale Pugliese e al servizio del Salento, ha dato ed ha fatto tanto per la nostra Terra, non solo diffondendo la parola di Dio, ma anche realizzando opere e progetti concreti. La sua scomparsa lascia un grande vuoto, ma anche un enorme patrimonio umano e religioso di cui il popolo salentino gli ha dato atto in vita e continuerà a dargli atto ricordandolo sempre con grande amore”. Un ottimo ricordo di mons. Ruppi anche nella memoria dell’on. Ugo Lisi, il quale afferma che “se il Salento fu segnalato per ricevere il Premio Nobel per la pace, lo si deve proprio a mons. Ruppi il quale, negli anni ’90, si mise in prima linea allorquando ci fu da accogliere i migranti che provenivano dall’altra sponda dell’Adriatico. Personalità forte e tenace, ha lasciato un segno profondo nel nostro territorio che tutti ricorderemo sempre”. G.P.L.

La Puglia perde il Pastore della quotidianità Tutti gli esponenti del mondo politico sono concordi nell’evidenziare come mons. Ruppi non sia stato solamente un esponente della gerarchia ecclesiastica, ma prima di tutto un uomo, che si è sempre impegnato attivamente per garantire alle tante “pecorelle smarrite” della sua Diocesi un aiuto concreto, a partire dai loro più semplici bisogni. “Il Salento perde non solo un valido esponente della Chiesa, ma anche un uomo forte e deciso, che ha rappresentato un punto di riferimento importante nella storia religiosa, politica e sociale di Lecce e del Salento”. È quanto dichiara il consigliere della Regione Puglia e presidente di “Moderati e Popolari”, Antonio Buccoliero, il quale esprime il suo cordoglio per la scomparsa del già Arcivescovo di Lecce. “Mons. Ruppi - prosegue Buccoliero - è stato il vescovo dell’accoglienza e della comunicazione, capace di intercettare le nuove esigenze della comunità civile e di rivolgerle, con fermezza, al mondo politico e istituzionale; ha sempre guardato alla concretezza di un messaggio cristiano, che non poteva e non doveva procedere slegato dalle dinamiche sociali e culturali della comunità, ma doveva essere fonte di ispirazione e di azione concreta. Sono certo che questa sua forza e questa sua concretezza sapranno essere un costante monito per quanti lo hanno conosciuto”. “Certo è - conclude Buccoliero -

che la scomparsa di un uomo dalla forte personalità come mons. Cosmo Francesco Ruppi lascia sempre un vuoto difficile da colmare”. Il Consigliere Comunale Wojtek Pankiewicz vuole ricordare in particolare, tra le iniziative del Prelato, “l’XI Sinodo Diocesano, il 1° dopo il Concilio Vaticano II, convocato a 163 anni dall’ultimo Sinodo leccese, per una nuova evangelizzazione nel Terzo Millennio. Scelta per la quale, a mio avviso, gli dobbiamo essere particolarmente grati. Il Sinodo, inaugurato da S.S. Giovanni Paolo II, il 18 settembre 1994, nella sua storica Visita a Lecce, giunse felicemente al traguardo, centrando in pieno gli obiettivi sinodali, cioè la verifica della situazione ecclesiale e della nostra esistenza cristiana, il rilancio dell’impegno di evangelizzazione e la testimonianza della carità”. Salvatore Capone, Segretario Provinciale Pd Lecce, definisce mons. Ruppi il “pastore del vivere quotidiano”, affermando che con lui si è spento “l’arcivescovo che incarnava, in tutta la sua autenticità, lo spirito pastorale della Chiesa. Il suo modo di vivere la missione che gli era stata affidata travalicava i perimetri consacrati e si insinuava tra le pieghe della sofferenza e del bisogno che la nostra società crea”. Uno di quegli uomini, dunque, per cui la Chiesa è nell’esistenza quotidiana, “nei luoghi e nei momenti in cui l’umana sorte si fa dolore, quegli anfratti della vita in cui la parola sacra di-

venta, più che in ogni altro, conforto e salvezza. Ma per lui quelli erano anche i luoghi e i momenti in cui il Verbo diventa concretamente operoso, quei frangenti in cui Dio si fa uomo tra gli uomini, e la fede non si predica ma si pratica”. Sono innumerevoli i ricordi che il Segretario ha di mons. Ruppi, e in particolare resteranno scolpite nella sua memoria “la passione, l’impegno e la saggezza” di quest’uomo che ha vissuto la sua missione evangelica. “Con mons. Ruppi il gregge, del quale anche io mi onoro di far parte conclude Capone - perde sì il suo pastore, ma conserverà per sempre la consapevolezza di avere imparato, grazie ai suoi insegnamenti, a trovare la via”. Il Consigliere Regionale Pdl Save-

rio Congedo ha invece appellato il Presule “un infaticabile costruttore di Carità, un riferimento autorevolissimo, uno stimolo costante, un consigliere acuto, saggio e lungimirante per chiunque fosse al servizio della nostra Terra, una fucina sempre operante di buone idee e di conseguenti opere”. Egli asserisce che il Salento è cresciuto in questi ultimi tempi anche grazie al suo prestigio ed alla sua capacità di fare e di comunicare, che “hanno contribuito fortemente a tenere accesa la luce sulla nostra Terra, a far conoscere la civiltà e l’umanità della nostra gente e - conclude a farci crescere e migliorare. Non lo dimenticheremo”. Grazia Pia Licheri


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Lecce, 4 giugno 2011

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE

Un uomo saggio e lungimirante Un fedele testimone del Vangelo Ricordi più che positivi e intrisi di affetto profondo, quelli che hanno legato il nostro compianto Presule a movimenti ecclesiastici e laici, come la Congregazione delle Suore Discepole del Sacro Cuore, la Cisl, il Rinnovamento nello Spirito Santo e l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme. D’altronde, il suo contributo si è dispiegato in ogni ambito durante tutti questi anni. La scomparsa dell’Arcivescovo Ruppi è una grande perdita per la Congregazione delle Suore Discepole del Sacro Cuore. “Una comunità religiosa che egli ha amato fin dall’inizio del suo episcopato leccese e che ha voluto con sé, nella sua casa di Alberobello, anche dopo la sua partenza da Lecce - afferma Madre Giulia Cavallo, Superiora Generale della

“Pastore al passo con i tempi. Ha fatto dell’accoglienza e della grande capacità di ben comunicare le priorità del suo mandato episcopale e di ogni scelta pastorale”

Al suo ultimo viaggio È profondo il rammarico che emerge dalle parole del Sen. Rosario Giorgio Costa, il quale in maniera sintetica e al tempo stesso esaustiva ha saputo pennellare un ritratto dell’operato che l’Arcivescovo Emerito ha svolto. “Lo ricordo come fosse ieri - afferma - impegnato con il dinamismo di un tenace pastore d’anime alla guida della sua diocesi. Quando con concretezza e lungimiranza volle la realizzazione del grande Centro Polivalente aperto alle nuove visioni sociali del Mediterraneo, e si dedicava instancabilmente alla valorizzazione delle tante chiese del capoluogo salentino”. Ricorda poi l’impegno profuso nell’accogliere migliaia di profughi che approdavano fortunosamente sulle nostre coste, ed il sostegno ai poveri e bisognosi che potevano bussare alla sua porta, sicuri di ricevere una risposta anche alle proprie impellenze materiali. “Dopo aver lasciato la Diocesi per raggiunti limiti di età, il legame con Lecce non si era mai interrotto, grazie anche alla presenza di rubriche ed interventi che continuava a tenere sulla carta stampata. Ora afferma il Senatore - ci mancheranno anche quelli”. Anche il Presidente del Gruppo Udc alla Regione Puglia, Salvatore Negro, che ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa di mons. Cosmo Francesco Ruppi, oltre alla fede, ne sottolinea la lucida e ponderata concretezza. “Ci lascia un messaggio profondo di carità e tante opere realizzate in vent’anni di lavoro e sacrificio alla guida della Diocesi di Lecce e della Conferenza episcopale pugliese”. Anche Negro ha messo in evidenza il sacrificio con cui Ruppi si fece carico del problema immigratorio, e dei nuovi poveri che lui considerava la grande scelta della Chiesa. “Furono anni di impegno e di sacrifici intensi per la Chiesa di Lecce, ma anche di mortificazioni personali per mons. Ruppi, superate con la forza della fede”. “Ho avuto la fortuna di incontrarlo più volte nel mio percorso politico - ha continuato il capogruppo Udc - di lui colpiva la determinazione e la forza morale. Sapeva dialogare con il mondo politico guardando alle persone che aveva di fronte più che al colore del partito di appartenenza; esortava tutti a lavorare insieme per la “ripresa civile, morale e sociale della società”, per “costruire un futuro di solidarietà e di pace”. Le sue parole erano sempre incisive e lasciavano un segno in chi lo aveva di fronte. Comunicava con i gesti e con lo sguardo prima ancora che con le parole”. Il Presidente afferma infine che della sua figura resterà “un ricordo affettuoso e un insegnamento umano e di fede profonda, che porteremo sempre dentro di noi”. Cosimo Durante, Consigliere Capogruppo Pd della Provincia Lecce e Sindaco di Leverano, lo

considera “il vescovo per eccellenza di questi anni, non solo per la sua diocesi ma per l’intero Salento e la Puglia, un uomo di grande statura culturale e spirituale, uno straordinario testimone del nostro tempo, la cui morte non cancella le mille battaglie che ha portato avanti per la Chiesa, per i poveri, per i giovani e le donne del nostro territorio”. Prosegue collocando mons. Ruppi tra i pochi che hanno saputo amare la terra salentina, alla quale ha indicato la retta via. “La sua operosa laboriosità rimane il ricordo più bello e vero del suo insegnamento. L’Arcivescovo, che per vent’anni ha vissuto a Lecce da guida e pastore del suo gregge, lascia un patrimonio di buoni esempi e una grande carica affettiva per chi lo conosciuto di persona e lo ha avuto accanto”. Il Consigliere è certo, comunque, che “la sua terra adottiva non lo abbandonerà mai e lui riposerà in eterno qui, nel cuore della sua amata Lecce”. “Cordoglio e forte partecipazione personale ai sentimenti di tristezza e dolore che in questi momenti uniscono i salentini per la morte dell’Arcivescovo Emerito di Lecce, mons. Ruppi” sono espressi dal Presidente del Gruppo Consiliare del PDL alla Provincia di Lecce, Biagio Ciardo, anche a nome dell’intero gruppo di maggioranza a Palazzo dei Celestini. “Ruppi - ricorda Ciard o- anche per la politica salentina, oltre che per la società e le famiglie di questo territorio, ha costituito per oltre 20 anni uno stimolo costante, un riferimento puntuale e

autorevole, per la Chiesa del Salento e per la sua azione quotidiana”. “Il suo è stato un passaggio indelebile da questa terra, un punto di svolta nell’operatività cristiana e nell’azione di carità della Chiesa” conclude Ciardo, ricordando “la visita di Sua Santità Giovanni Paolo II al Salento e a Lecce in particolare, la convocazione del Sinodo Diocesano, la realizzazione di grandi e durature opere, come le chiese di nuova costruzione o il Seminario”. Anche il presidente di Confindustria di Lecce, Piernicola Leone de Castris, ha sottolineato come il Presule sia sempre stato in prima linea e abbia rappresentato un punto di riferimento culturale e sociale per le famiglie, per i giovani, per gli imprenditori. “Un pastore al passo con i tempi, che ha fatto dell’accoglienza e della capacità di ben comunicare le priorità del suo mandato episcopale. Deciso, fermo, forte, coraggioso nelle scelte, di cui si assumeva in prima persona ogni responsabilità - prosegue de Castris - lascia un vuoto incolmabile nella società civile e, in particolare, in tutti coloro che lo hanno conosciuto ed apprezzato anche per le opere tangibili che ci ha lasciato”. La sua conclusione, icastica e significativa, esprime bene con una metafora il modo in cui i leccesi vivono la dipartita di un grande Arcivescovo. “Il valore del suo messaggio cristiano rimarrà fulgido esempio per la comunità salentina che, idealmente, lo abbraccia nel suo ultimo viaggio”. G. P. L.

Congregazione delle Suore Discepole del Sacro Cuore - fin da luglio 2009, tre suore della nostra congregazione hanno vissuto ad Alberobello insieme con lui, godendo della sua presenza amabile e della sua assistenza spirituale”. Le suore hanno assistito l’Arcivescovo in tutto il periodo della sua malattia, fino al momento della morte. “Per sua volontà, la nostra Congregazione resterà ancora presso la Casa per anziani della fondazione “Giovanni XXIII”, adempiendo ad espresso desiderio di Mons. Ruppi. E noi siamo contente di esaudire questa volontà - sostiene la Superiora - per essere al servizio delle persone anziane ospiti, che egli ha amato e servito”. La Cisl di Lecce esprime il più sentito cordoglio per la scomparsa di mons. Cosmo Francesco Ruppi, già arcivescovo metropolita della diocesi leccese. “Ricordiamo di mons. Ruppi - ha dichiarato Piero Stefanizzi, anche a nome della Segreteria e di tutta l’organizzazione cislina - l’instancabile opera nell’ambito della Chiesa di Lecce e l’azione di accoglienza, attraverso il centro Regina Pacis di San Foca, nei confronti dei disperati che sbarcavano sulle coste del Salento. Il suo impegno è stato un esempio per tutti ed ha rappresentato un momento di reale fratellanza e di concreto aiuto nei confronti di persone che cercavano nel nostro Paese il riscatto morale e materiale. Grazie all’impegno di mons. Ruppi la città di Lecce può vantare una moderna struttura adibita a Seminario che fu inaugurato dal Giovanni Paolo II, il Santo Padre che accolse l’invito di mons. Ruppi e che suggellò un momento indimenticabile per la Diocesi di Lecce e per tutto il territorio salentino”. Mons. Ruppi, come ha aggiunto Piero Stefanizzi, è stato anche un attento osservatore delle problematiche giovanili, sollecitando interventi in favore di una fascia della popolazione bisognosa di trovare un inserimento nella società e nel mondo del lavoro. Il Presidente Nazionale Salvatore Martinez, il Comitato e il Consiglio Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, “elevano al Dio del Cielo preghiere in suffragio dell’anima del caro Arcivescovo emerito di Lecce”. Il Presidente afferma: “Di S. E. mons. Cosmo Francesco Ruppi rimarrà sempre vivo il ricordo di un’amicizia spirituale e di una paternità sempre operosa verso gli ultimi, esigente verso i primi, gravida di speranza per il futuro e di amorevole servizio alla Chiesa”. “La morte del nostro caro Arcivescovo Metropolita Granpriore dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme mi rattrista e mi addolora”, ha asserito il Cerimoniere dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Ennio Maria Frassanito, il quale ha poi rivelato una sua vicenda personale in relazione alla morte prematura della cara consorte: “io stavo perdendo la fede, e lui, con la sua squisita e sempre cordiale accoglienza, mi fu sempre di conforto materiale, ma soprattutto spirituale”. Aldo De Matteis, del Rinnovamento nello Spirito, lo ha definito “uomo lungimirante, sapiente e dotato di una grande intelligenza”, che ha segnato la sua vocazione cristiana. “Testimone del Vangelo della carità, ha saputo coniugare la fede alle opere come pochi hanno fatto e fanno all’interno della Chiesa. Non è mancata un’udienza nella quale egli non abbia espresso gratitudine e apprezzamento per il cammino ecclesiale del Rns auspicando sempre maggiore impegno”. De Matteis ricorda poi la sua presenza a Rimini, occasione durante la quale mons. Ruppi fu uno dei primi vescovi a dire “è tempo che usciate fuori! La Chiesa, il mondo hanno bisogno di voi!” Da qui ebbe inizio la missione del Rinnovamento in Moldova. “Mons. Ruppi ci ha introdotto e sospinto nel cammino ecclesiale in cui orgogliosamente ci ritroviamo. Gli ho voluto bene, e personalmente sono grato a Dio per averlo incontrato e conosciuto”, ha concluso. G. P. Lich.


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Lecce, 4 giugno 2011

LA MORTE DI MONS. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE L’AZIONE CATTOLICA DIOCESANA

Una vicinanza fatta di consiglio e di preghiera L’Azione Cattolica dell’Arcidiocesi di Lecce si unisce alla preghiera della Chiesa per l’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi, oggi tornato alla casa del Padre. I ragazzi, i giovani e gli adulti dell’Associazione elevano al Signore il ringraziamento e la lode per tutti i doni che attraverso la fecondità del suo oltre ventennale episcopato ha profuso sulla nostra amata Chiesa e sulla nostra Associazione. I cuori di tutti noi sono uniti nella gratitudine per l’amore pastorale che ci ha manifestato attraverso le ricchezze dell’insegnamento, della testimonianza e della sollecitudine al servizio senza mai remissione di continuità, tanto nei tempi delle gioie che delle sofferenze. “Esorto l’A.C. - aveva scritto l’arci-

vescovo in una lettera all’Associazione diocesana - a farsi in mezzo al Popolo di Dio, vivace annunciatrice e testimone della fede, a promuovere la santità feriale della vita e a mettersi generosamente a servizio dell’animazione evangelica delle realtà temporali”. L’Azione Cattolica di Lecce continuerà a spendersi nell’impegno dell’evangelizzazione, anche raccogliendo l’eredità di mons. Ruppi. In oltre ventun’anni di episcopato l’Azione Cattolica ha vissuto affianco al pastore tanti eventi importanti per la nostra Chiesa: tra tutti, la venuta a Lecce del beato Giovanni Paolo II, la celebrazione del Sinodo diocesano, le tante opere di accoglienza e di carità, la realizzazione del nuovo Seminario arcivescovile.

“Il suo grande cuore di Padre ha continuato ad amare e sostenere la nostra A.C. diocesana attraverso un’ininterrotta vicinanza espressa in tanti momenti personali ed associativi - spiega Massimo Vergari, presidente diocesano dell’AC di Lecce -. Mons. Ruppi ha sempre assicurato preghiera e benedizioni, esortando continuamente la presidenza, il consiglio diocesano e tutti gli aderenti a spendersi con slancio sempre maggiore per le necessità pastorali e sociali della nostra terra. L’alto valore del suo ministero episcopale lo pongono in alto nella pace celeste. Assicuriamo il ricordo nella preghiera in tutte le realtà associative parrocchiali e una tenerezza speciale nel cuore di tutti”.

IL RAPPORTO CON I LAICI

“Ascoltava come un padre...” Tutto avrei potuto immaginare tranne che avrei dovuto scrivere un coccodrillo per quel vescovo per il quale, nei primi anni del suo episcopato leccese, sembrava che tutti i salmi finissero con lo stesso gloria: professore a destra… professore a manca. Non si pensava che quel male che negli ultimi tempi aveva solo apparentemente rallentato il suo dire e il suo scrivere avesse potuto vincere in modo così improvviso. Eppure da quando le locandine dei giornali locali hanno strillato la scomparsa di quello che per venti anni è stato il “mio” vescovo tante immagini sono ritornate a galleggiare nello lago dei miei ricordi, anche perché gran parte di quel bacino si è formato proprio durante il suo ventennio. Per questioni anagrafiche la mia infanzia è stata minerviana, la mia adolescenza seminaristica mincuzziana e la mia vita da laico ecclesialmente impegnato a livello diocesano è stata ruppiana, nella buona e nella cattiva sorte - si direbbe in altri ambiti. Mons. Ruppi è stato il vescovo che mi ha chiamato all’insegnamento della Religione Cattolica nei licei del capoluogo, ha avallato il mandato a coordinare il Settore Adulti dell’Azione Cattolica per sette anni e mi ha scelto per due volte come presidente diocesano della stessa storica Associazione, da lui tanto amata e seguita; è stato il vescovo che mi ha voluto nella delegazione della diocesi prima al convegno ecclesiale di Palermo e poi a quello di Verona; è stato il vescovo che mi chiamò a coadiuvare il nascente Istituto di Scienza Religiose nella fase della riorganizzazione della storica Biblioteca Innocenziana all’interno dell’Antico Seminario; come è stato sempre lui ha chiamarmi alla collaborazione più attiva a queste pagine e ad accettarmi come unico laico all’interno della Segreteria del Sinodo diocesano. Solo una volta l’ho chiamato io, per benedire il mio matrimonio ed è stato felice di esserci. è stato uno dei pochi casi in cui gli sposi hanno dovuto attendere il celebrante. Certamente posso dire che siano stati anni di fedele collaborazione, certamente non di idilliaca intesa, ma lui era il mio vescovo, il vescovo di Lecce. E lo è stato finché il Santo Padre lo ha voluto. Poi è diventato il predecessore del “mio vescovo”. Ho sempre detto e cercato di met-

tere in pratica quello che penso siano alcuni punti fermi della vocazione laicale che ha la necessità di avere un rapporto costante con il proprio vescovo anche se distinto da esso, sia per una questione di identità che di missione. In moltissimi casi, non in tutti, posso testimoniare la costante tensione verso l’indipendenza che pretendeva dal laicato nei confronti della Gerarchia, come se dovesse essere un valore da maturare e dimostrare, nonostante quello che i più credevano. Anche se rimaneva profondamente vescovo con una cura viscerale nei confronti dei suoi preti per i quali era pronto a tutto, a difenderli con le unghie e con i denti, contro tutti e nonostante tutto. Ha avuto le sue idee e le sue visioni della realtà, qualche volta con una osservazione quasi esclusiva ed era difficile che cambiasse opinione, particolarmente quando veniva dalle “sue” fonti autorevoli; comunque ascoltava, come ascolta un Padre che ha di fronte un figlio che ne ha combi-

Autorevolezza della cattedra e cordialità del carattere Tu devi venire ad insegnare nel mio nuovo Istituto Superiore di Scienze Religiose - disse mons. Ruppi, con quel tono, fra il curiale ed il familiare, che sarebbe stato il suo inconfondibile tratto di indimenticabile uomo di Chiesa, portato naturalmente a coniugare l’autorevolezza della sua cattedra con la cordialità del suo originario temperamento. E ponendo, in segno di amicizia, la larga sua mano sulla spalla dell’intimidito vice-provveditore agli studi, continuò: nulla può compiacere più dello sguardo d’uno studente che senta di poter cogliere dagli insegnamenti quotidiani dei suoi docenti il senso della vita, nascosto fra le formule matematiche, i testi di letteratura e le teorie scientifiche. Il sorriso d’amichevole assenso del buon preside Scipione Navach, fine letterato e mite cultore di Dante, ed amico d’antica data di mons. Ruppi, suggellò l’assenso alla proposta, nella solennità dell’Episcopio di Lecce, an-

cor rifulgente dei colori e delle voci della festa d’accoglienza del 29 gennaio 1989. Tu devi far da Preside nel mio Liceo - disse a distanza di vent’anni mons. Ruppi, con l’immutato stile di chi, per storica esigenza di rappresentanza, non può rendere sempre trasparente la natura più interiore del suo animo. Vieni fra i ragazzi e le studentesse della mia scuola, ed aiuta i miei insegnanti a far continuare la bella tradizione formativa del Ginnasio-Liceo Giovanni Paolo II, che tanta cura e tanti sacrifici mi ha richiesto. Sono molto malato - mi confessò il sabato precedente il Natale del 2008 e mi dispiace di non poter dare ancora per molto quanto le giovanette e gli studenti del mio Liceo meritano. I suoi occhi avevano i flebili riflessi della malinconia di chi sente di non poter ancora pensare in grande, come aveva fatto anche lungo il ventennio che ha donato al suo Liceo. Fabio Scrimitore

nata una delle sue o che non ha fatto quello che lui si sarebbe aspettato. Tante volte invitava ha avere uno sguardo al di sopra delle parti evitando di essere catturati o etichettati come di parte. Come, è pur vero, tante volte ci invitava ad evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento, specialmente in ambito sociale. Forse con il suo sguardo vedeva quei pericoli che noi giovani esuberanti non riuscivamo a vedere. Forse aveva paura di perderci o di vederci con la cravatta sbagliata. Da quando si era chiuso nel suo riserbo diplomatico, come lo chiamava lui, da quando non era più il “mio vescovo” le nostre strade si sono incrociate poche volte, ma a distanza mi sono limitato a leggerlo, ad ascoltarlo con discrezione. Dopo aver appreso l’ultima “notizia” me lo sono immaginato lì davanti alla porta del Paradiso mentre si faceva largo per raggiungere San Pietro: Santità, c’è qui con me un amico, il direttore Agnes! Tonio Rollo

La sua eredità raccolta nelle pagine del Sinodo

L’estremo saluto ad un Vescovo che per venti anni ha profuso per la Chiesa che è in Lecce tutto se stesso, con la ricchezza dei doni di cui lo ha ricolmato lo Spirito, è colmo di ricordi e di gratitudine. Preghiera e azione hanno ritmato le sue giornate di impegno, ma anche il sacrificio a causa delle difficoltà, affrontate sempre con forza d’animo e nella piena fiducia in Dio e in Maria. Tra i ricordi resta centrale per me quello del grande evento, il Sinodo fortemente voluto nella prospettiva di riprendere con più lena il cammino sulla strada maestra tracciata dal Concilio. Un momento di grazia lungo sei anni, vissuto dal Pastore e dalla comunità ecclesiale, nella piena disponibilità all’ascolto dello Spirito e in una rinnovata tensione spirituale per andare più avanti e salire più in alto. La sua eredità, oltre le grandi opere realizzate, è raccolta nelle pagine della Costituzione sinodale, ricca di indicazioni operative mirate ad una nuova evangelizzazione. Un ricordo più vivo, perché fa parte della mia esperienza personale di collaborazione professionale e volontaria, è il suo amore ed il suo impegno per il Liceo “Giovanni Paolo II”, voluto come un servizio non solo per i seminaristi, ma anche per ragazze e ragazzi esterni, le cui famiglie chiedevano per i figli una seria preparazione scolastica ed un’educazione cristiana. Anche questa è una piccola parte della sua grande eredità, che vive e può avere ancora un futuro Grande è la gratitudine per l’intensità con cui ha esercitato il suo triplice munus di insegnare, santificare, riunire e guidare il popolo di Dio. I frutti del suo lungo servizio lo accompagnano ora nell’incontro con Dio Reno Sacquegna


Lecce, 4 giugno 2011

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IL TESTAMENTO SPIRITUALE LADI MORTE DI MONS. RUPPI S.E. MONS. COSMO F. RUPPI IL SALUTO DELLA CHIESA DI LECCE

el momento in cui vedo scemare le mie forze e avverto che il Signore mi sta già chiamando, professo la mia fede nell’unico Gesù, il Messia Salvatore che è morto ed è risorto. È la fede che mi ha sempre sostenuto nella mia vita sacerdotale e nella vita episcopale, tenendo conto che ho scelto il motto giovanneo: “Fides victoria nostra”.

È

vero che la fede mi ha sostenuto nelle dure battaglie della vita; mi ha dato forza e gioia, anche nel fuoco della persecuzione giudiziaria che mi ha lambito mentre difendevo, da padre, don Cesare Lodeserto. La mia fede è stata sempre fondata sulla fede nel Risorto ed è stata alimentata dalla devozione alla B. V. Maria, dal sacrificio, dal lavoro, dalla preghiera. Ho avuto il dono della fede nel Battesimo e l’ho alimentata dall’esempio del mio papà, uomo di fede e di fedeltà alla Chiesa, e soprattutto della mamma, che mi ha fatto da padre e madre fino alla sua esistenza terrena. Questa fede ha trovato nel popolo cristiano delle parrocchie di Termoli-Larino e Lecce la costante conferma, perché ho incontrato tanti credenti, pieni di dolore e di gioia, ma ricchi di fede: ho sempre trovato conferma nella mia fede dalle celebrazioni, dagli incontri coi malati, dagli incontri col “popolo minuto”, dal popolo sano, fatto col lavoro e la sofferenza.

L

a mia fede è sulla Parola di Dio, la Bibbia, che ho sempre enunciato, ma è anche nel Magiste ro del Papa, successore di Pietro e vescovo di Roma, al quale ho sempre professato obbedienza assoluta e generosa. Ho avuto la gioia di ospitare due volte Giovanni Paolo II a Termoli il 19 marzo 1983 e a Lecce nei giorni 17 - 18 settembre 1994. Sono stato ricevuto molte volte in Udienza, anche a tavola, e ho misurato la sua fede e la sua tenacia nel servire la Chiesa con forza e gioia. Ho ricevuto tanti insegnamenti, che conservo nel cuore e ai quali ho ispirato la mia condotta pastorale. Col tempo, quando c’è stato il fenomeno dell’accoglienza nel “Regina pacis” ho capito che la fede senza le opere è morta: la fede ha la conferma della carità. È cresciuta anche la speranza, soprattutto nella tarda età, col sopraggiungere delle sofferenze.

L’Ora del Salento

oggi deve essere testimone della fede, ma deve anche essere testimone di speranza e testimone di carità. Dio sa quanto è cresciuta nel mio animo la virtù della speranza: da piccina piccina, è diventata grande; mi ha sostenuto nei miei ricoveri in ospedale e a Pisa mi ha fatto essere sereno di fronte alla scoperta del cancro al polmone; mi ha sorretto negli esami molteplici, nella cura non lieve delle sedute chemioterapiche; mi ha sottoposto alle cure più svariate, accrescendo la fede nella presenza di Dio nella mia vita. Da ragazzo ho sperimentato largamente la povertà; da vecchio sperimento il valore della sofferenza fisica e lascio a tutti la lezione di accettare la sofferenza e i dolori, pensando alla sofferenza della Croce di Cristo che mi ha detto più volte negli ultimi anni: “se vuoi venire dietro di me, prendi la tua croce e seguimi”.

U

na parola speciale vorrei consegnare ai tanti sacerdoti che ho avuto la gioia di ordinare: “siate pieni di gioia! Servite con sacrificio la Chiesa, dispensate speranza e diffondete carità, col vostro esempio. Conservo, nella memoria di Dio, tutti i sacerdoti che ho incontrato nel mio lungo episcopato: quanto sono stati buoni e amabili con me! Un clero meraviglioso: quelli di Termoli-Larino e quelli di Lecce; quanti sacrifici essi fanno nella vita! Quanto devo ad essi in compatimento, affetto e amicizia. Tutti ricordo al Signore; per tutti prego; a tutti chiedo la preghiera. Un pensiero voglio lasciare alle Suore, a quelle che mi hanno sempre assistito, alle care Discepole del Sacro Cuore e alle Suore Salesiane dei SS. Cuori, felice, per queste ultime, di aver visto il loro fondatore arrivare alla venerabilità, alla beatificazione e alla canonizzazione. Sono certo che San Filippo, San Pio da Pietrelcina, tutti i Santi di cui ho parlato e scritto negli ultimi anni, insieme a Maria, hanno pregato per me e sono alla porta del cielo.

A A A

i fedeli lascio tutto il mio affetto e la mia esor tazione ad essere testimoni della fede e vivere con gioia e con impegno la stagione conciliare.

l fratello, ai parenti tutti, lascio il mio invito a ricordarsi di me nelle preghiere ed essere de onostante sia chiamato alla successione apo gni del nome e della eredità che ci hanno lastolica, ho fatto tanti peccati, e sento di dover sciato i genitori, onorando con la vita il Battesimo. chiedere perdono a Dio, soprattutto per i peccati di omissione. Se ho offeso qualcuno, chiedo sinlla Fondazione “Giovanni XXIII” che mi ha ceramente perdono e perdono le offese che sono staaccolto da vecchio e che ho amato come cre te recate, forse involontariamente, a me: voglio laatura, l’invito ad essere segno della carità di sciare questa terra con la pacificazione interiore, con Cristo: gli anziani e i vecchi hanno bisogno di amola tranquillità di essere perdonato da Dio e dagli uo- re! Questa è stata la casa della carità. Sia così! mini: miseremini mei! Alberobello, 10 marzo 2011

N L

ascio ai fedeli tutti e particolarmente ai sacer doti l’invito ad essere uomini e donne di fede: la fede ci salva e ci salverà in eterno. Il prete


L’Ora del Salento 11

Lecce, 4 giugno 2011

zoom

LECCE/Presso il Polo Oncologico di Lecce celebrazione eucaristica per ricordare la beatificazione di Giovanni Paolo II

Un grande apostolo della sofferenza Nel pomeriggio del 19 maggio scorso, presso il Polo Oncologico “Giovanni Paolo II” di Lecce, l’Associazione “Giovanni Paolo II” ha ricordato la Beatificazione dell’indimenticabile Pontefice polacco, avvenuta il giorno 1° maggio. Prima della Celebrazione Eucaristica, i Volontari si sono incontrati con mons. Pierino Liquori per una conversazione sul tema: Giovanni Paolo II, Apostolo della sofferenza del Terzo Millennio. Il relatore ha messo in evidenza alcuni concetti espressi dal Papa nella Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”, riguardo il senso cristiano della sofferenza umana. La lettera è stata resa nota al mondo intero il giorno 11 febbraio 1984, memoria della Madonna di Lourdes. Mons. Liquori ha voluto sottolineare questa data particolare in quanto in essa si celebra anche la Giornata Mondiale del Malato, fortemente voluta dal Beato Giovanni Paolo II. Il relatore ha detto che quando il Papa parlava di volontariato, intendeva dire: Apostolato, Vocazione e Solidarietà, in quanto il volontario è apostolo del dolore perché risponde ad una chiamata offrendo non solo la sua presenza ma tutta la solidarietà di cui è capace. Ha proseguito evidenziando un pensiero del Papa fatto ai medici nel 1987: Mai come nel caso dei malati oncologici il compito è particolarmente delicato. È importante stabilire un dialogo tra l’ammalato e il medico. La medicina non deve fermarsi al solo aspetto terapeutico, ma

deve dilatarsi all’intera persona. L’uomo soffre in modi diversi non sempre contemplati dalla medicina. L’ammalato ha tutto un mondo che è interessato nel dolore, esso ha un Io che vive la condizione di sofferenza come una dimensione esistenziale molto complessa in termini di passato, di vissuti personali e di emozioni; si trova con due ferite da curare: una fisica ed una spirituale. Importanti sono le terapie mediche quanto le terapie spirituali. Ha continuato nel suo discorso il relatore, mettendo in evidenza il fatto che oggi occorre diffondere la cultura della solidarietà. Ha detto anche: Quando manca il senso della solidarietà vuol dire che manca l’amore all’ammalato. Ha proseguito don Liquori dando una chiave di lettura su come deve essere il volontaria-

to: Il vero e proprio volontariato deve essere visto non solo come attenzione verso l’altro, ma essere inteso come un arricchimento personale nel fare il bene altrui, non solo far del bene ma farsi del bene. Su quest’argomento ha fatto riferimento alla parabola del buon samaritano. I primi due personaggi, ossia il sacerdote e il levita, videro e passarono oltre, mentre il terzo, un samaritano, vide l’uomo ferito, ne ebbe compassione, gli si fece vicino e gli fasciò le ferite; poi lo portò a una locanda e si prese cura di lui (cfr. Lc 10,33-34). Tale parabola ci indica come deve essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo. Il buon samaritano ha accolto nella sua mente e nel cuore una persona che non conosceva; ha dimostrato così di essere il prossimo di quell’infelice. Il volontario ospita in lui

l’ammalato, con tutto il suo mondo fisico-psichico o fisicomorale. È l’uomo o la donna dell’ascolto! Viene da porsi un’altra domanda, continua mons. Liquori: qual è lo scopo della malattia e a che serve?. Ha soggiunto il relatore che la sofferenza, seguendo la parabola evangelica, è necessaria per sprigionare nell’uomo l’amore, quel dono, cioè, disinteressato del proprio Io in favore degli uomini sofferenti, i quali invocano senza sosta un altro mondo, quello dell’amore umano, quell’amore spontaneo e disinteressato. Il buon samaritano, ha affermato ancora mons. Liquori, fa il bene in funzione di una relazione con Cristo, perché lui stesso è presente in quel fratello sofferente e che il servizio dell’uomo è un servizio reso a lui. Ha portato come esempio

l’opera grandiosa della Beata Madre Teresa di Calcutta, la quale associava sempre la Celebrazione Eucaristica al servizio, infatti, diceva: ho incontrato Gesù nell’Eucarestia, ora vado a servirlo nei malati. Nell’omelia della Santa Messa, lo stesso sacerdote ha esordito così: è bello incontrarsi davanti al Libro Santo e all’altare del Signore. Le Scritture ci provocano, l’altare ci offre. Afferma ancora il celebrante: davanti alla Parola bisogna aprire il cuore e, se non abbiamo il cuore e la mente rivolti a Cristo, la Parola rimane sterile. L’altare ci invita all’accoglienza che è dono, come è dono la vita di Gesù e la sua Pasqua che ci ha fatto dalla croce. E attraverso il dono del sacerdozio ministeriale, noi continuiamo nei secoli a diffondere quello che lui

ci ha dato per la vita: se stesso. Noi davanti all’altare e davanti a lui viviamo una relazione d’amore. Mons. Liquori ha concluso l’omelia invitandoci a chiedere al Signore che la sua Parola ci scardini dalle nostre sicurezze per accogliere lui, nel mondo vince solo l’amore: Gesù è amore. Conclusa la Celebrazione Eucaristica, Myriam di Gesù, vice presidente e Silvana Cleopazzo, segretaria dell’Associazione Volontari Ospedalieri Giovanni Paolo II, a nome di tutti i soci hanno offerto a mons. Liquori un omaggio come segno di gratitudine e riconoscenza per aver accolto l’invito facendoci trascorrere un pomeriggio carico di spiritualità, conoscendo più a fondo il Beato Giovanni Paolo II. Il presidente, padre Vincenzo Caretto, ha ringraziato i presenti e i volontari, con l’augurio che altri fratelli in Cristo si associno a quest’opera caritatevole verso chi è sofferente. Tommasa Greco

Coloro che desiderano avere ulteriori informazioni sull’associazione, possono chiamare padre Vincenzo al seguente numero di cellulare 348.6519723 o possono incontrarlo personalmente ogni pomeriggio prima della Santa Messa che si celebra ogni giorno alle ore 17.00 nella Cappella del Polo Oncologico, sita al primo piano. Si può inoltre contattare, la vice presidente, Myriam di Gesù al cellulare: 389.6821306.

Le riflessioni dei volontari alle sollecitazioni di don Liquori. Un’occasione per riscoprire il ruolo del volontario ospedaliero

Un vero cenacolo di carità operosa Conclusa la conversazione, don Pierino Liquori ha proposto a noi, membri dell’associazione, alcune domande sulle quali ci siamo confrontati a lungo. A continuazione, riportiamo le nostre riflessioni affinché quanti leggeranno questa bella esperienza, rimangano arricchiti spiritualmente, con l’auspicio che altri laici impegnati nella Chiesa Santa di Cristo, si uniscano a noi per consolidare questo Cenacolo di carità operosa, che interagisce presso i nostri fratelli provati dal dolore. Descrivere gli atteggiamenti interiori che vi portano ad esercitare il volontariato. Per ognuno di noi, volontari ospedalieri Giovanni Paolo II, il motivo che ci ha portati in questo Polo Oncologico è diverso. Per tutti però c’è un comun denominatore: portare Gesù agli ammalati perché gli ammalati cerchino lui. Per alcuni l’amore grandissimo verso i sofferenti è la risposta al desiderio di fare qualcosa per il Signore, il sofferente per eccellenza. Questo li ha portati a comprendere che nella vita, dare in realtà è ricevere e il donarsi un arricchimento continuo perché condividere particolari momenti difficili con chi soffre, aiuta a crescere, a divenire migliori. Ancora, per altri, la sofferenza vissuta personalmente ha accresciuto quella sensibilità che li ha portati a leggere le pagine del dolore altrui con gli occhi di chi ha già letto quel libro, ed è così che interessarsi

dell’ammalato non è per curiosità ma per comprensione, per condivisione ed è il mezzo per sentirsi meglio, utile e perché no, necessario. C’è chi, invece, ha fatto questa scelta perché spinto dal desiderio di far comprendere che bisogna dare un senso alla sofferenza, che non va mai intesa come punizione divina, perché Dio ama i suoi figli. Siamo noi che abbiamo contribuito alla distruzione di ciò che il Creatore aveva così mirabilmente creato e distruggendo con il progresso ciò che ci circonda, abbiamo distrutto noi stessi. Per altri è stata una chiamata di Gesù e la risposta è stata l’offerta di se stessi perché lui potesse arrivare ad ogni ammalato, ogni giorno, per dare il conforto della sua presenza attraverso la figura dei Ministri Straordinari della Comunione che, portando l’Eucaristia a chi soffre, sperano di lenire il dolore, di confortare gli sfiduciati, di non farli sentire soli. Infine, per altri, essere volontari al servizio della sofferenza era necessario per colmare quel vuoto interiore che rischiava di sommergerli, annientandoli. Così, pur consapevoli dell’impegno di tanta parte del proprio tempo, hanno deciso di condividere il peso emotivo della sofferenza dei fratelli. Siete convinti che la sofferenza è medicina per guarire cuori egoisti che non rendono la società più umana? Essere volontari è sentire nel proprio cuore il desiderio di servire Cristo nei fratelli. Animati da questa forza, noi, “Volontari

Ospedalieri Giovanni Paolo II”, percorriamo le diverse Unità Operative del Polo Oncologico per offrirci all’altro, a chi, in un letto di ospedale, si sente solo, dimenticato, disperato. A volte però le delusioni, il non sentirsi accettato ma respinto, ignorato e a volte contestato, ci porta a demordere perché ci sentiamo svuotati, inutili, incapaci, demotivati. Tutto questo non va sottovalutato ma affrontato. Il volontario ospedaliero, per essere tale, deve per forza annegare il suo Io, il suo egoismo, nell’oceano dell’infinita misericordia divina, dimenticandosi di se stesso per ricordarsi dell’altro. Allora si che amiamo per amarci e, benché carichi dei nostri problemi e delle nostre sofferenze, avremo la forza di lasciarli fuori dal cancello dell’ospedale per rivestirci del camice del servizio, indossando la Croce dell’Amore e il cartellino che ci identifica come volontari ospedalieri. Ed ecco che parleremo di altruismo non più di egoismo, non sarà ripiegarsi su se stessi ma creeremo un’apertura a 360° per accogliere chi soffre per consolarlo, confortarlo, ascoltarlo, curandone lo spirito con iniezioni d’amore. La nostra umanità lieviterà noi stessi e così diventeremo lievito per altri. Diventando migliori riusciremo a pensare all’ammalato nella sua interezza, non vedremo in lui solo la malattia da curare, così come spesso accade per alcuni medici, ma vedremo l’uomo che ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui come uomo nella sua totalità. Curare lo spirito spes-

so aiuta il corpo a reagire meglio e si può affrontare il decorso con più serenità e speranza. Ed ecco il volontario che si spende accanto agli ammalati nella recita del Rosario o, nel periodo quaresimale, nel pio esercizio della Via Crucis; o accanto all’ammalato che, non potendosi muovere da solo, viene accompagnato per ascoltare la Santa Messa. Portare Gesù a chi soffre, perché chi soffre vada da Gesù. Questo è anche e soprattutto il nostro compito. E allora sì che dopo aver fatto questo ci sentiremo servi inutili. Il Signore ci dia, come ha detto don Pierino Liquori, l’entusiasmo di agire nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Chi è il malato per voi volontari, nel cammino della vostra vita, una persona passiva o attiva? Per noi, “Volontari Ospedalieri Giovanni Paolo II”, che abbiamo deciso di intraprendere nella nostra vita questo cammino, inteso come missione, chiamata, l’ammalato è sempre una persona attiva, nel senso che nell’incontro stimola e provoca nella nostra umanità, disponibilità ed empatia. Da ciò scaturisce un processo di crescita morale e spirituale secondo una circolarità di servizio nel dare e nel ricevere. Il grande Papa polacco, ce lo ha insegnato, nell’Enciclica Salvifici Doloris, parla di venerazione per l’uomo malato, per cui noi volontari dobbiamo avere cura di ogni ammalato che visitiamo, dobbiamo manifestare per loro amore, perché culla

della vita è l’amore che apre, nelle situazioni più complesse e difficili, alla solidarietà e alla speranza. In realtà è proprio così: accostarsi a un ammalato, soprattutto in ospedale, dove tutto si legge in termini ultimi, fa pensare a un rapporto sterile, poco costruttivo. Invece, noi volontari, forti del dono di noi stessi, nella piena consapevolezza che servire l’ammalato è servire Cristo, combattiamo, insieme a chi soffre, il dolore, la pena, la rabbia, la disperazione. Con la capacità di donarci, operando anche nel silenzio, offriamo anche quell’ascolto che si traduce in formule d’amore scritte dal nostro tacere. La nostra presenza accanto a chi soffre, pur sempre discreta, vissuta in punta di piedi, vuole riempire di senso, di significato, quei momenti difficili che sembra a volte soffocarli, attanagliarli, nella morsa della paura, del dolore fisico, morale, e perché no anche spirituale. Noi “Volontari Ospedalieri Giovanni Paolo II”, abbiamo deciso di metterci al servizio dei fratelli per offrire il meglio di noi stessi a vantaggio del benessere dell’ammalato, per creare un rapporto tessuto di fili d’amore, di comprensione, di condivisione per far capire che non è solo ma che qualcuno si è accorto di lui. E allora, quando un’ammalata rivolto ad una volontaria, l’ha chiamata dottoressa, dinanzi al suo diniego, si è espressa dicendo: Ma sei la dottoressa del mio cuore!, si comprende quanto ci offrono gli ammalati che segna la nostra vita in

modo indelebile e ci danno la forza di proseguire sul nostro cammino, al loro servizio, al servizio di Gesù. Cosa si può fare perché il volontariato non si fermi all’atto del servizio ma sia sensibilizzazione di tutte le realtà sociali? Tradurre il servizio nel proprio stile di vita fa si che nella nostra cerchia di amicizie, ma anche in seno alla famiglia, si possa diffondere la giusta sensibilità verso gli ammalati, diventare noi, volontari in un certo senso, riferimento e stimolo spirituale, religioso, cristiano, per altre realtà apparentemente assopite nei propri interessi. È necessario diffondere la cultura della solidarietà, perché, se manca il senso di essa, manca l’attenzione all’altro, invece, bisogna avere a cura la persona dei malati, perché l’uomo è corpo e spirito. Il compito del volontario, non deve quindi esaurirsi nelle mura dell’ospedale, ma con la sua esperienza di volontario deve proiettarsi anche nel mondo esterno, nei luoghi di lavoro, nelle case, nelle parrocchie, per cui la sua presenza diventa sociale, culturale, politica, religiosa perché è necessario raggiungere chiunque, persone e istituzioni che possano realmente interessarsi sul modo di prendersi cura dei malati, “... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato” (Mt 25,35). Myriam Di Gesù


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Lecce, 4 giugno 2011

le nostre città Itinerario all’insegna della spiritualità tra Leuca e Alessano

SAN PIETRO IN L./ Il patrimonio statuario di M. SS. Assunta

Un viaggio di fede per l’Issr di Lecce Restaurato l’antico Crocifisso

Appena cinque mesi fa, si commemorava il XX anniversario dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce con un convegno dal titolo “La bellezza della fede trasfigura in bellezza la vita”; la scorsa domenica, questa gioia di vivere l’abbiamo vista ritratta sui volti di quanti hanno partecipato al viaggio a S. Maria di Leuca, organizzato dallo stesso Istituto. Dopo la Santa Messa nel Santuario, particolare entusiasmo ha suscitato l’incontro con il Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli e il preside della Facoltà Teologica Pugliese, mons. Salvatore Palese. Il Vescovo di Lecce, mons. Domenico D’Ambrosio, trattenuto in sede da impegni pastorali, ha inviato un saluto. Considerando la formazione teologica come una forma di diaconia messa al servizio delle comunità, mons. Palese ha augurato agli studenti di proseguire con entusiasmo il percorso intrapreso, in modo che un’esperienza di fede pensata diventi un progetto di fede vissuta e operante. Nell’Issr di Lecce convergono ben quattro diocesi del Salento ma soprattutto, citando il preside, “il Salento ha mille e mille campanili e quando suonano tutti insieme può diventare un gran concerto”. Questa stessa sinfonia è creata dalla nostra realtà accademica che, anche per l’impegno di chi lo dirige, si colloca in maniera vivace nella cultura della città. Pieno consenso trovano queste parole nel pensiero di S. E. mons. Vito Angiuli che, dopo i saluti all’uditorio, esprime affettuose parole di ringraziamento al Preside della Facoltà Teologica Pugliese non solo per aver dato avvio ad una istituzione accademica in una re-

gione come la nostra, lunga e diversificata, ma anche per esser riuscito nell’ardua impresa di raccordare gli istituti superiori di scienze religiose, anch’essi dislocati in aree geografiche diverse. Un sentito ringraziamento, il Vescovo ha rivolto, infine, a mons. Luigi Manca di cui ha elogiato non solo la grande competenza scientifica ma anche le straordinarie doti umane e sacerdotali, che lo rendono amabile perché capace di dialogo e relazioni fraterne vissute con grande umiltà. “Per certi versi gli Istituti hanno importanza perché è la che si vede in maniera più chiara come la teologia abbia per soggetto l’intero popolo di Dio”: con queste parole mons. Angiuli evidenzia una forma di “declericalizzazione” della teologia. Oltre al soggetto, però, cambiano anche le finalità della teologia. In che modo il popolo di Dio fa teologia? È la questione che il Concilio ha posto alla Chiesa, riconsegnando al popolo di Dio la liturgia, l’azione pastorale, la preghiera e soprattutto la riflessione teologica; non più soltanto una riflessione scientifica della fede destinata a rimane a vantaggio di una chiesa chiusa su se stessa, ma un modo per far comprendere che la chiesa siamo tutti noi. È, difatti, il rapporto con la cultura e le istituzioni che la rappresentano a mettere in gioco il pensare teologico. È un legame che va a beneficio del dialogo culturale e interculturale, ma anche a beneficio della teologia perché vuol dire porsi domande che vengono dalla vita, dal confronto con l’altro. A conclusione della giornata, a segnare un altro momento di profonda riflessione, la visita alla tomba di don Tonino

Bello, un piccolo anfiteatro di speranza nel cimitero del paese. È un luogo che, paradossalmente, non trasmette malinconia ma è capace di raggiungere le coscienze in modo diretto senza emettere fiato, senza rumore alcuno che irrompa in quel rispettoso silenzio. Un luogo in cui si continua a sentire viva la sua presenza che parla di comunione, di amore e di Dio. Un luogo per riunirsi attorno a lui come quando era in vita. Niente è lì per caso, ogni cosa ha un suo perché. Alle spalle della tomba, su un muro con una simbolica porta orientata ad est, la frase: “In piedi costruttori di pace!”, ricordando il saluto con il quale don Tonino si rivolse al convegno nazionale di Pax Christi, associazione da lui diretta. Accanto alla tomba un albero di ulivo i cui frutti sembrano essere Rosari, foulard, un tenero peluches, un foglietto con le proprie intenzioni, una foto: oggetti lasciati da chi ha messo nelle mani di don Tonino una propria personale preghiera. Ad accogliere i visitatori, don Luigi Ciardo, parroco della Chiesa Matrice di Alessano, assieme a Giancarlo Piccinni, vicepresidente della Fondazione don Tonino Bello. Particolarmente commuoventi sono state le parole di quest’ultimo che, in riferimento all’esperienza di Sarajevo, ha ricordato il forte contrasto tra il dolore e la morte che don Tonino portava negli occhi per quello che aveva visto e il messaggio di speranza che riversava sui poveri. Dai poveri, infatti, viene la salvezza. Da loro che sono al contempo gli ultimi della società e gli unici che possono far attecchire in questo mondo la semente della nonviolenza. Serena Carbone

Continua il programma intrapreso dal parroco don Domenico Fiore, con la restauratrice dott.ssa Benedetta Pandiello, esperta in restauri lignei e pittorici, per il recupero del patrimonio statuario della Chiesa Matrice “Maria SS. Assunta”. Dopo i restauri, condotti a ripristinare lo stato originario della statua vestita della Madonna Immacolata (2007), opera che versava nel più totale degrado, al recupero dei due monumentali candelieri lignei (2008), posti all’accesso del cappellone della Madonna del Carmine, per passare al recupero della maestosa statua di San Francesco da Paola (2009), che sicuramente potrebbe essere, dalla cura della sua fattura, attribuita alla bottega di Nicola Fumo, lo stesso artista che ha realizzato l’Assunta posta sul altare maggiore, si termina con il restauro del Crocifisso ligneo (2011). Il Crocifisso appartiene all’arredo sacro del primo nucleo della chiesa che occupava l’area tra l’attuale sacrestia e il retrostante spazio dell’altare maggiore e successivamente al terremoto del XVII sec. fu abbattuta, per far nascere l’attuale chiesa, un opera d’arte, che Michele Paone nel saggio sulle “Fabbriche salentine del Settecento” attribuisce a Giuseppe Cino (1644 - 1722), grande esponente dell’architettura del Barocco Leccese che progettò a Lecce pregevoli capolavori tra cui la chiesa di Santa Chiara, il Seminario, Santa Maria delle grazie e numerosi altre edifici sia religiosi che civili. Il Crocifisso, secondo fonti storico-artistiche, è l’opera mobile più antica esistente nell’intero ambito comunale, risalente al sec. XVI (datazione tratta, dal testo “San Pietro in

Lama, storia società territorio e religiosità di un feudo del vescovo” di M. Cazzato, A. Costantini, G.Vallone edito da Mario Congedo editore, Galatina, 1998) e grazie alla sua pregevole fattura, è stato tramandato ai successivi ampliamenti della chiesa, fino ad arrivare ai nostri giorni e per volontà del parroco, esposto all’adorazione di tutti i fedeli nel giorno del venerdì santo. Si tratta di un crocifisso ligneo, caratterizzato da un attento studio dell’anatomia e delle proporzioni, con un risultato all’insegna dell’essenziale, che esalta la dignità sublime e l’armonia dell’opera, attribuito ad artista ignoto. L’intervento durato diversi mesi, finanziato dalla parrocchia, sotto la costante visione della dott.ssa Antonella di Marzo e della dott.ssa Silvana Traversa, funzionari della so-

printendenza P.S.A.E della Puglia, è avvenuto usando la tecnica del restauro introdotta da Cesare Brandi, cioè mirata al ritrovamento dello stato originario dell’opera d’arte senza commettere un falso storicoartistico, dove l’integrazione dev’essere sempre riconoscibile da vicino e invisibile a distanza e qualsiasi intervento fatto deve facilitare gli interventi successivi. Grazie alla sensibilità di persone, come il parroco di questa comunità, che si può preservare un patrimonio artistico ecclesiastico cosi pregevole, fonte di ricchezza storicoculturale, che i nostri padri ci hanno tramandato e sta alla nostra consapevolezza, di ricevere un tale dono, a preservarlo per farlo giungere nelle migliori condizioni alle future generazione. Pierluigi Martino

NOVOLI/ I sessant’anni della Grotta di Lourdes

Un anniversario significativo Nel 2010 la Chiesa ha ricordato i 60 anni dalla proclamazione del domma dell’Assunzione della Beata Vergine al cielo nel suo corpo. Il popolo di Novoli a quell’evento fu preparato con una settimana di animazione mariana che si concluse, in concomitanza con la proclamazione a Roma il 1 novembre, con la Consacrazione di tutte le famiglie al Cuore Immacolato di Maria. In seguito si volle lasciare un segno sensibile di quei giorni e si pensò ad un monumento alla Vergine riproducendo alla destra della Chiesa dei Passionisti una Grotta delle apparizioni di Lourdes. Ci si affidò al bravo architetto novolese Cino Mazzotta per il progetto, e al cav. Giuseppe Rampino, di Trepuzzi, per la realizzazione, che riuscì veramente meravigliosa. Il monumento fu pronto nell’aprile 1951 con una statua dell’Immacolata in marmo bianco di Pietralata, del peso di circa 4 q.li, scolpita da Nello Galeotti. Fu benedetto il 18 aprile dal Vescovo mons. Francesco Minerva, da poco alla guida della diocesi di Lecce. L’idea del monumento, condivisa dalla comunità dei passionisti, fu del P. Giacomo dell’Addolorata (Pesce), un altita-

liano da qualche tempo nella famiglia passionista di Novoli. P. Giacomo era predicatore e conferenziere assai ascoltato. Percorse le parrocchie d’Italia in un apostolato missionario che si manifestò incisivo e entusiasta, specialmente negli anni seguenti la seconda guerra mondiale, quando si trattò di orientare con forza i cattolici italiani nelle nuove responsabilità ecclesiali e civiche. Molto dedito allo studio e dotato di una singolarissima erudizione, P. Giacomo ebbe, una fede veramente eccezionale nella Vergine Maria. Moltiplicò al massimo l’effetto della sua parola consegnandola anche alle stampe con un’opera in cinque grossi volumi che ebbe notevole successo in due edizioni, il “Mariale”. Dal maggio 1948 al 1960 in particolare percorse tutto il Salento con una predicazione tutta improntata sulla spiritualità mariana, denominandola “Crociata Mariana”. Ancora oggi la Grotta è stata ed è meta di piccoli frequenti Pellegrinaggi di individui e pic-

coli gruppi che si affidano alla Vergine Maria. Non è raro vedere sostare singole persone in ogni momento della giornata in preghiera e periodicamente ci sono incontri interparrocchiali in varie circostanze. Dall’estate del 1999 la Grotta offre accoglienza a numerosi fedeli di Novoli e dei dintorni raccolti per la celebrazione della Messa festiva vespertina alle ore 21, con l’intenzione di pregare per i giovani “prima dello sballo” al sabato sera. Alla conclusione del “mese di maggio” la comunità passionista ricorderà l’importante anniversario, con la partecipazione della Polifonica “S. Gabriele dell’Addolorata” che offrirà un concerto di canti mariani. Salvatore Semeraro


L’Ora del Salento 13

Lecce, 4 giugno 2011

le nostre città LECCE/ Presso l’Istituto Marcelline la presentazione del libro realizzato dai bambini

SQUINZANO/ Le Notti di S. Giovanni

C’era una volta... favole e colori

Teatro, musica e spettacolo

“C’era una volta…”, il classico incipit che evoca serene immagini familiari è stato scelto dalle insegnanti della Scuola dell’Infanzia dell’Istituto Marcelline per la raccolta di fiabe presentata il 20 maggio scorso nello splendido Salone dell’Istituto, alla presenza di personalità del mondo della cultura, di fronte ad una platea gremita da genitori. L’evento significativo in sé, acquista vieppiù rilevanza e spessore in quanto l’intera raccolta, testi, personaggi, disegni, sono scaturiti dalla fantasia, dai sogni di allievi di cinque anni che hanno frequentato la Scuola dell’Infanzia delle Marcelline nel periodo compreso tra il 2004 e il 2010. Sei anni intensi distribuiti in una raccolta vivace e fresca che ci riporta il mondo incantato dei bambini con la loro straordinaria capacità di guardarsi intorno con occhi che svelano la magia e a volte il mistero delle cose, le più quotidiane. Non è un caso che poeti come Pascoli, artisti come Kandinsky, abbiano ricercato nella parola e nel segno infantili la primigenia autenticità del reale. Sfilano nella raccolta una serie di personaggi che affascinano già nei titoli delle fiabe: “La mucca sorridente”, “Il bimbo felice”, Un fiocchetto di neve”, “La strega e la fatina”, L’uccellino e il lupo”, per citarne solo alcuni. Non è dunque l’adulto che narra dalla sua prospettiva, ma il bambino che racconta i propri bisogni, le proprie preoccupazioni, il proprio immaginario agli adulti, “abbassandoli” a sé, predisponendoli all’ascolto, riportandoli alla loro infanzia, obbligandoli ad una rigenerante epifania, in un percorso bidirezionale profondamente dialettico. Un tipo di dialettica che necessariamente viene meno

nella dimensione consueta, pur utile e valida, adulto-bambino nel raccontare fiabe. A riprova di ciò la testimonianza di una mamma, Laura De Donno, che confessa come la sua partecipazione alla presentazione del libro fosse dettata, inizialmente, non da un reale interesse quanto da un senso di dovere per il suo ruolo di rappresentante dei genitori e quale attestazione di stima nei confronti delle insegnanti che tanto si erano prodigate. Tuttavia racconta come nel susseguirsi degli interventi le si apriva una realtà che l’aveva prima solo sfiorata, presentandole tutta una serie di interrogativi sul suo essere madre: I miei figli sono “al centro”? E se si in che modo? So stimolarli ad esprimere la loro sfera emotiva e comunicativa, o tendo ad imporgli la mia? Gli sto insegnando a coltivare la dimensione del racconto, la gioia e, perché no, la tristezza dei colori che contraddistinguono gli umori, le giornate, o magari anche solo un attimo della loro giovane vita? Ho dedicato del tempo a spiegare

RADIO E DINTORNI

che paura e tristezza sono emozioni nobili al pari della felicità? [….] Io soddisfo semplicemente i loro bisogni (magari per sbrigarmi prima) o li educo anche al desiderio, al saper aspettare?”. Questa mamma ha incontrato sulla sua strada uno di quei momenti di svolta che mettono in crisi il precedente modo di vedere la realtà e ciò è avvenuto per un libro di fiabe scritto e disegnato dal bambini della Scuola dell’Infanzia. Quanto sopra dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la centralità di questo primo livello nella formazione del bambino/a, nell’influenzare cioè quello che diventerà da adulto/a. I progetti e le attività che si svolgono durante la scuola dell’infanzia forgiano infatti la consapevolezza di sé, ampliano gli orizzonti, esorcizzano paure e timori, pongono le basi per lo svilupparsi di sentimenti positivi verso gli altri, di cura e protezione verso l’ambiente. A livello cognitivo la scuola dell’Infanzia permette di stabilire competenze di base e, soprattutto, di fondare l’abitudine, alla curiosità, motivazione indi-

di Alberto Marangio

Radionorba, è già estate con “Sete di radio Tour” Al via il 4 giugno la terza edizione del “Sete di radio Tour 2011”, il radio live show organizzato da Radionorba. Dopo i successi delle precedenti stagioni (75.000 le presenze nelle piazze visitate l’estate passata), nel corso della nuova edizione saranno dieci gli appuntamenti trasmessi tra luglio e settembre dall’avveniristico studio radiofonico viaggiante di Radionorba, un tir lungo 18 metri che da sempre accompagna la kermesse. Quattro i protagonisti dei weekend programmati in ciascuna delle città raggiunte: Cristobal e Stefania Sorrentini il sabato, on-air direttamente dallo studio mobile; Veronica e Marco Guaggi la domenica, ai quali spetterà invece condurre non solo la diretta, ma anche gli spettacoli in programma. Entrambe le coppie intratterranno dunque il pubblico in radio e in piazza per tre ore (dalle 21 alle 24), trasmettendo la musica più ascoltata del momento e lanciando gli artisti invitati nelle varie tappe: cantanti come Daniele Silvestri, Caparezza, Luca Barbarossa, Max Pezzali, Paolo Belli, Raf ed altri ancora. Tra questi, anche le salentine Alessandra Amoroso, Emma Marrone e Dolcenera, nonché un nome di primissimo piano sul quale gli organizzatori ancora non si sbilanciano, preferendo per il momento mantenere uno stretto riserbo. In partenza questo sabato da Massafra, prima data di un lungo tabellone, “Sete di radio Tour” toccherà nei prossimi mesi il Salento in due occasioni. La prima tappa prevista è rappresentata - così come lo scorso anno - da Otranto (9 e 10 luglio), dove tra l’altro verrà conclusa la parte iniziale della kermesse; in seguito alla ripresa della manifestazione, sarà invece Gallipoli ad ospitare lo staff di Radionorba (27 e 28 agosto). L’edizione 2011 si chiuderà infine il 10 settembre a Bari, ultima data di un calendario che, oltre ad aver toccato le sei province pugliesi, prevede anche un weekend in Basilicata (l’appuntamento della prossima settimana è infatti fissato a Matera). Infine, ricordiamo che - come negli anni precedenti - sarà possibile partecipare al “Sete di radio Tour” anche concorrendo ai contest proposti ogni giorno su Radionorba, grazie ai quali gli ascoltatori avranno tra l’altro la possibilità di vincere un soggiorno nelle città toccate da ciascuna tappa della manifestazione. Inoltre, tra le nuove iniziative pensate dagli organizzatori, va segnalato in modo particolare il concorso “Dj per un giorno”, che offrirà al vincitore finale la possibilità di farsi apprezzare nel ruolo di speaker al fianco dei professionisti di Radionorba.

spensabile per muoversi nel contesto di “educazione permanente”, non solo richiesto dai tempi, ma anche garanzia di flessibilità mentale. Prestigiosi gli interventi che nel corso della presentazione hanno messo in luce aspetti particolare del mondo dell’Infanzia. Il pedagogista prof. Nicola Paparella ha messo in rilievo la funzione catartica del racconto nella vita e nella crescita del bambino. Dramma dell’infanzia violata, sempre più di grande attualità, è stato il tema dell’intervento del dott. Luigi Russo, psicologo, mentre la dott.ssa Teresa Romano ha sottolineato la funzione dei libri come mezzo di trasmissione di cultura e di conoscenza. Grande merito è stato da tutti riconosciuto alle insegnanti curatrici del progetto: Marinella Miceli, Nicoletta Tarantino, Teresa Poidomani, Angela Vizzino, Antonella Tulipano, Simona Saracino, Loredana Elia che hanno guidato i loro allievi con professionalità e passione. Un plauso va anche all’istituto Marcelline che ha saputo valorizzare il potenziale umano e professionale delle sue insegnanti e sostenerle nella realizzazione del progetto. Su questa prerogativa si è incentrato l’intervento della dott.ssa Marcella Rucco, Dirigente Scolastico Provinciale, che ha riconosciuto il grado di eccellenza raggiunto dalla scuola dell’infanzia dell’Istituto Marcelline, che si pongono tra le realtà di prestigio, nell’ambito del panorama dell’Istruzione e della Cultura leccese. L’auspicio è che la Scuola ritrovi la dignità di fondamentale mezzo di formazione ed allora - citando Frato “ii banchi fioriranno”. Lucia Buttazzo

Dal 14 giugno al 24 luglio si svolgerà a Squinzano, presso Villa Cleopazzo, il consueto e sempre atteso appuntamento con le “Notti di san Giovanni”. Venti serate all’insegna del teatro e dello spettacolo che animeranno le notti squinzanesi. Ben quattro le compagnie teatrali coinvolte: la Busacca teatro stabile del Salento, il Laboratorio teatrale del Nord Salento, la compagnia “Teatro a vita” e la Compagnia “Ghefiura”. Proprio quest’ultima aiuterà il Laboratorio teatrale dei piccoli dell’oratorio don Nicola Leone ad aprire la manifestazione. La Ghefiura avrà infatti il compito di presentare i piccoli nel recital “Vacanze salentine” scritto e diretto da Mariluce Vespucci. Ben 5 serate, fra cui l’ultima dell’intero ciclo, saranno animate dalla compagnia la “Busacca” (16 giugno, 3-10-21 e 24 luglio), che delizierà gli spettatori con: “Tutti pazzi per i soldi” di Ray Cooney, “Rinaldo in campo” di Garinei & Giovannini, “Il cilindro” e “Sabato, domenica e lunedì”di Eduardo De Filippo e “L’uomo, la bestia e la virtù” di Luigi Pirandello. Due sole serate per il Laboratorio teatrale del Nord Salento (23 e 30 giugno) che comincerà con un exploit di ben quattro atti unici di Achille Campanile (Centocinquanta la gallina canta, L’inventore del cavallo, L’orrenda parola, Visita di condoglianze) per poi passare, la seconda serata, alla “Lisitrata” di Aristofane. Una farsa in due atti sarà invece rappresentata il 14 luglio dalla compagnia “Teatro a vita”, “Tutti i guai vengono per nuocere” scritta e diretta da Gino Cesaria. Per finire la Compagnia “Ghefiura” di Squinzano ci delizierà per due serate (7 e 17 luglio) con “Il tranello del limoncello” per la regia di Alessandro Garofalo e “Vitabella” scritta e diretta dallo stesso Garofalo. Otto serate saranno dedicate al cinema quasi tutto italiano. Si comincerà il 21 giugno con “Nessuno mi può giudicare” con Raoul Bova e Paola Cortellesi, per continuare il 28 con “Thor” diretto da Kenneth Branagh, l’1 luglio sarà la volta di “Habemus papam” di Nanni Moretti, mentre il 5 ritroveremo la Cortellesi, questa volta in compagnia di Luca Argentero, in “C’è chi dice no”. Di nuovo un film straniero l’8 luglio, “Il discorso del re” con Colin Firth e Geoffrey Rush, mentre il 12 assisteremo a “Qualunquemente” con Antonio Albanese, il 13 Angelina Jolie e Johnny Depp ci coinvolgeranno con “The tourist” e il 19 le serate cinema termineranno con “Manuale d’amore 3” con Riccardo Scamarcio, Carlo Verdone e Robert De Niro. Il 15 luglio si assisterà a una serata d’onore con “Todo el amor” uno spettacolo dal vivo con Michele Placido. Gli appassionati delle notti di San Giovanni potranno effettuare un abbonamento per dieci serate teatrali, al costo di 10 euro presso la biblioteca Villa Cleopazzo, l’edicola Luigi Rucco in Piazza Risorgimento, l’edicola Fabio Epifani in via Gorizia, sempre a Squinzano, mentre a Trepuzzi presso la farmacia Rampino in Via del corso. In alternativa si potrà pagare 3 euro per ogni singola serata teatrale e 2,50 per quelle cinema (gratis i bambini sino a un metro d’altezza). Valentina Polimeno

APOLOGETICA di Roberto Cavallo*

1861: ma l’Italia c’era già prima Secondo la “vulgata” ufficiale il Risorgimento costituirebbe il radioso riscatto della civiltà italica dopo secoli di decadenza dovuti alla presenza sul territorio italiano della sede universale della Chiesa cattolica. Ebbene, se è vero che l’unificazione politica è ormai un fatto acclarato e oggi sicuramente da difendere, il Risorgimento quale espressione culturale che ha accompagnato quel particolare processo di unificazione, rappresenta invece oggettivamente più una cesura che un segno di continuità nella millenaria storia degli italiani, più un momento di divisione che di unione, più un aspetto problematico che un valore condiviso. Francesco Pappalardo, storico e saggista, lo spiega in dettaglio nei primi capitoli di un suo agile volumetto: “L’Unità d’Italia e il Risorgimento” (D’Ettoris Editori, 2010, Crotone, pagg. 76). Mentre lo Stato italiano è sorto nel 1861, scrive Pappalardo, “a nazione Italia esiste da quasi un millennio come unità culturale, pur nella diversità delle sue componenti, e si è formata all’interno della Cristianità occidentale, nei secoli dell’Alto Medioevo, sulla base di una preziosa eredità romana, a sua volta maturata in un complesso mosaico di lingue e di stirpi” (pag. 12). Tuttavia, il passaggio dal XVIII al XIX secolo segna - anche per l’affermazione culturale di movimenti come il romanticismo - un momento di non ritorno per molti costituendi (o appena sorti) Stati europei. In questo periodo, infatti, la dimensione nazionale - fino ad allora considerata come un semplice aspetto, fra i tanti, della

vita associata - diventa un valore supremo, quasi trascendente, a tal punto che “[…] sostituisce la legittimazione religiosa del potere e giustifica qualsiasi decisione politica” (p. 25). In quest’ambito un ruolo fondamentale in Italia viene svolto da Giuseppe Mazzini (1805-1872) che, fondando nel 1831 la società segreta Giovine Italia, è tra i primi a prefigurare l’unificazione della Penisola su basi utopiche e con linguaggi totalmente estranei al corpo sociale: “…l’unità che egli auspica è quella di una società completamente nuova, da costruire sulla demolizione degli ordinamenti preesistenti e degli stessi valori, spirituali e storici, comuni alle popolazioni italiane… La nuova Italia s’identifica dunque con un’identità astratta e gli italiani sono “da fare” mediante un radicale rinnovamento della società, un’opera di pedagogia collettiva” (p. 26). Se questo è vero, la famosa citazione del marchese Massimo d’Azeglio - fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani -, non sorprende più di tanto e appare finalmente in tutto il suo vero, drammatico, significato. L’Italia a cui si riferiva d’Azeglio, evidentemente, non era quindi l’Italia reale, quella dei mille campanili e da secoli esistente, ma per l’appunto la nuova idea - disegnata a tavolino e integralmente sostitutiva della realtà - portata avanti dalle élite illuminate e non di rado legate alla massoneria. * www.recensioni-storia.it


L’Ora del Salento 14

Lecce, 4 giugno 2011

appunti

Carlos Ruiz Zafon. Le luci di settembre Per tutti gli appassionati di Carlos Ruiz Zafon è solo da qualche giorno in libreria il suo ultimo romanzo tradotto in Italia “Le luci di settembre”. Ormai gli affezionati del popolare scrittore spagnolo sanno che Zafon scrisse la sua “Trilogia della nebbia” agli inizi degli anni ’90 ma a quell’epoca le sue opere videro la luce solo in patria, solo successivamente furono tradotte in italiano. Sappiamo che inizialmente Zafon si dedicava ad un pubblico molto giovane, il romanzo più famoso di questa letteratura per ragazzi è “Il principe della nebbia”. In seguito si dedicò ad un pubblico più adulto. Nella “Trilogia della nebbia” lo stesso Zafon sottolineava, in una lettera introduttiva, che i volumi erano destinati soprattutto ad un pubblico di giovani lettori, il romanzo di oggi, “Le luci di

settembre” scritto nel 1995, è l’ultimo di questa trilogia che, dopo il grande successo de “L’ombra del vento” raccolto sia in Spagna che in Italia, è riuscito a ritagliarsi una bella fetta di pubblico anche nel nostro Paese. La grandezza di Zafon sta nella sua scrittura avvincente, coinvolgente, che rende il lettore quasi un complice tanto è immerso nella lettura. E poi la grandissima capacità descrittiva che riesce a dare vita a personaggi enormemente coraggiosi e di straordinaria umanità. “Quanti ricordano la notte in cui morì Armand Sauvelle giurano che un lampo purpureo attraversò la volta del cielo, tracciando una scia di cenere ardente che si perdeva all’orizzonte; un bagliore che sua figlia Irene non potè mai vedere, ma che avrebbe stregato i

suoi sogni per molti anni”. I fatti raccontati ne “Le luci di settembre” si svolgono nell’estate del 1937 tra Parigi e le coste della Normandia. Simone Sauvelle, dopo la morte del marito, è costretta ad abbandonare Parigi insieme ad i figli Irene e Dorian, a causa dei debiti accumulati dal marito. Si trasferisce così in un paesino sulla costa dal paesaggio sublime e tragico. Qui, in una piccola baia nei pressi de La Rochelle, Simone, cambia vita e cambia lavoro. Viene assunta come governante nella villa di Lazarus Jahn, un ricco commerciante di giocattoli che vive nella faraonica residenza Cravenmoore insieme alla moglie che però è molto malata. Qui Simone riesce a trovare finalmente la serenità alla quale ambiva. Lazarus è un tipo amichevole e disponibile con i nuovi arrivati e

non perde occasione per far bella mostra dei suoi giocattoli meccanici, talmente ben fatti che sembrano godere di vita propria. Inutile dire quanto i ragazzi di Simone apprezzino queste dimostrazioni del padrone di casa. Irene ha quindici anni e presto fa amicizia con la giovane cuoca della villa, Hannah, e soprattutto con suo cugino Ismael, un giovane ed affascinante marinaio, appassionato di racconti misteriosi e storie del passato. Ed è proprio lui, che un giorno in cui la sua barca a vela raggiunge l’isolotto del faro, le racconta la storia delle luci di settembre che riguarda una giovane donna morta in circostanze misteriose. Anche nella villa del signor Jahn ci sarà una morte violenta e misteriosa, quella della cuoca Hannah.

marialucia andreassi L’ombra di un mistero aleggia sempre sui romanzi di Zafon, ed è proprio una misteriosa ombra che sembra impossessar si della tenuta di Cravenmoore. Cosa sta succedendo alla villa? E quali sono i segreti nascosti che non si vogliono e non si possono rivelare? Irene ed Ismael cercheranno di fare luce tra i misteri che avvolgono la residenza e che cambieranno per sempre la loro vita. Lo consiglio a tutti gli appassionati dello scrittore spagnolo.

Carlos Ruiz Zafon, Le luci di settembre, Mondadori, € 19.00

c@ttolici in rete

Giovanni Costantini

SALENTO

argo

Ti racconto una storia

IL POLLICE

MONTECARLO Tra i tanti circuiti che identificano un mondiale di automobilismo, quello di Montecarlo ha un fascino tutto suo, legato al luogo ovviamente, ma anche al fatto di essere un percorso urbano che rimanda ad imprese sportive memorabili che affondano nella storia stessa dell’automobilismo internazionale e dei Gran Premi. Non fosse altro che per quella pressoché inesistente possibilità di sorpasso, in un percorso denso di difficoltà, di fascino e di spettacolarità. E bisogna dire che la trasmissione propostaci dalla prima rete Rai “Gran Premio di Monaco di F1. Pole position” (Rai Uno, ore 13,40) ha pienamente risposto alle aspettative degli spettatori, da una parte per la sua bella impostazione, dall’altra per quanto i piloti hanno saputo offrire nel corso della gara in un succedersi di eventi imprevedibili e imprevisti che hanno messo, come suol dirsi, il sale sulla coda, oltre che per quello che il caso ha voluto che accadesse. Lasciandoci alla fine tutti soddisfatti per quanto visto e per quanto sperato, non ultimo il desiderio di un Alonso sul gradino più alto del podio.

lor@delavoro di Samuele Vincenti Al via da qualche giorno il portale europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), un quadro comune europeo di riferimento che collega fra loro i sistemi di qualificazione di paesi diversi, fungendo da dispositivo di traduzione utile a rendere le qualifiche più leggibili e comprensibili tra paesi e sistemi europei differenti. Il progetto, fortemente voluto dalla Commissione Europea, ha il duplice scopo di promuovere la mobilità transfrontaliera dei cittadini e agevolarne l’apprendimento permanente. L’EQF, in effetti, mira a collegare i quadri e i sistemi nazionali di qualificazione di vari paesi basandosi su un riferimen-

Tommaso Dimitri

Il sito che oggi visitiamo è dedicato alla raccolta di storie e racconti: www.piccolestorie.it. Il sito, che è nato un venerdì 17 di quasi 10 anni fa, al di là di ogni scaramanzia Carmine Pascarella di Cervino piccolo comune della provincia di Caserta), vuole raccogliere racconti e storie che fanno bene all’Anima. È partito con circa 300 storie e oggi siamo più di 600. È passato un po’ di tempo dall’ultima aggiunta ma i commenti sono molto recenti. Infatti il sito, costruito in Php, permette a chiunque di aggiungere non solo una storia che può essere caricata all’interno delle categorie predisposte, ma anche di aggiungere un commento per evidenziarla tra le altre. Tutto è in mano ai visitatori che possono rendere moderna e accattivante una storia anche se inserita da molto tempo ma rimangono sempre sotto gli occhi di tutti. Le categorie, che forse andrebbero articolate con più dettagli, sono: Anima (107 storie), Consigli (130), Dio (103), Famiglia (37), Natale (27), Società (122) e Tenerezza (78). Accanto ad un menù di scelta rapida secondo le categorie, troviamo alcuni box di statistica e ricerca che possono influenzare la nostra ricerca: gli ultimi commenti (aggiornati al 30/05/2011), le storie meno lette (quota minima 2160 visite per una storia dal titolo “La foresta”), le più visitate (quota 10.539 per la storia “Pagato in pieno”), le più scaricate (“L’albero degli amici” 3821 volte). Ogni storia è autonoma e si presenta con il titolo che sovrasta la pagina, un’immagine fotografica (alcune foto sono molto belle e graficamente ben curate), l’indicazione dell’autore e la fonte da cui è stata tratta, il click per inviare la foto ad un amico per e-mail e il modulo per inserire un commento o inviare una nuova storia. L’aggiornamento è immediato e veloce. Si può ricercare una storia inserendo una sola parola e rapidamente sono elencate tutte quelle storie in cui è presente la parola scelta. La ricerca è rapidissima (grazie al formato Php del sito). ( c o s ì

s i p r e s e n t a

l ’ a u t o r e :

Il 7 giugno Niccolò Fabi a Lecce Niccolò Fabi figlio d’arte, il padre Claudio è stato uno dei più importanti produttori discografici degli anni Settanta, è un artista riccioluto, dagli occhi penetranti e dalle dolci melodie, per il quale però la vita è incredibilmente cambiata a partire dal 3 luglio 2010, infausta data di scomparsa della piccola figlia Olivia di 2 anni stroncata da una meningite fulminante. Il 30 agosto 2010, Niccolò Fabi organizza al Casale sul Treja, a Mazzano Romano, Parole di Lulù, la festa di compleanno per la figlia Olivia. L’evento, inizialmente immaginato per un piccolo gruppo di amici, col passare delle settimane diventa un grande concerto a cui partecipano oltre cinquanta musicisti e più di ventimila persone. Durante le dodici ore del concerto, attraverso offerte libere e l’acquisto di magliette, vengono raccolti i fondi a favore di Medici con l’Africa Cuamm per la costruzione del reparto pediatrico dell’ospedale di Chiulo in Angola. A novembre viene pubblicato il singolo Parole parole cantato da Niccolò Fabi con Mina. I proventi dalla vendita della canzone vengono ugualmente devoluti per l’ospedale di Chiulo. Il 7 giugno si chiuderà a Lecce, nella suggestiva cornice dell’Anfiteatro Romano, il Solo tour del cantautore romano, che ha registrato il tutto esaurito in tutte le tappe e che avrà un’appendice a Longiano (FC) dove ad aprile ha preso il via. Si prevede una esibizione artistica intensa ed essenziale, con un live colto e raffinato e la sensibilità da paroliere tipica di Niccolò Fabi, con arrangiamenti senza filtri in occasione delle canzoni di maggior successo. “Se essere artista” racconta lo stesso Niccolò “è anche e soprattutto inseguire nuove idee, non accontentarsi, porsi nuovi ostacoli e superarli, allora un concerto in cui si è soli sul palcoscenico diventa una tappa fondamentale, quasi obbligata di ogni percorso di crescita artistica”. Per l’assessore alla Cultura Massimo Alfarano, il concerto a Lecce di Niccolò Fabi rappresenta un vero e proprio evento culturale per la città, considerata l’autorevolezza e lo spessore del cantautore romano, in particolare se si pensa che lo stesso si svolgerà nel cuore del borgo antico e all’interno di uno dei suoi contenitori simbolo, l’Anfiteatro Romano, che tra l’altro a breve sarà oggetto di un meritato restyling che ne migliorerà e valorizzerà la storicità e bellezza.

EQF: quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente

to comune europeo: i suoi otto livelli, che prendono in considerazione l’intera gamma di qualifiche previste, da un livello di base (Livello 1, ad esempio uscita dall’istruzione primaria) ai livelli più avanzati (Livello 8, ad esempio i dottorati). E, come strumento per la promozione dell’apprendimento permanente, l’EQF include tutti i livelli delle qualifiche acquisite nell’ambito dell’istruzione generale, professionale e accademica, nonché della formazione professionale, occupandosi inoltre delle qualifiche acquisite nell’ambito dell’istruzione e della formazione iniziale e continua. Gli otto livelli di riferimento sono descritti in termini di risultati dell’apprendimento.

L’EQF riconosce che i sistemi d’istruzione e formazione in Europa differiscono al punto che è necessario spostare l’attenzione sui risultati dell’apprendimento perché sia possibile effettuare raffronti e dare vita a una cooperazione fra paesi e istituzioni diverse. Nell’EQF, il singolo risultato dell’apprendimento viene definito da ciò che un individuo conosce, comprende e sa fare al termine di un processo di apprendimento. L’EQF si concentra pertanto sui risultati dell’apprendimento (piuttosto che sugli input, quali la durata del periodo di studi), che vengono delineati secondo tre categorie: conoscenze, abilità e competenze. Ciò significa che le qualifiche, in combinazioni

differenti, si riferiscono a un ampio ventaglio di risultati dell’apprendimento, incluse le conoscenze teoriche, le abilità pratiche e tecniche e le competenze sociali, che prevedono la capacità di lavorare insieme ad altre persone. Lo sviluppo del Quadro europeo delle qualifiche ebbe inizio nel 2004 in risposta alle richieste degli Stati membri, delle parti sociali e di altre parti interessate concernenti la creazione di un riferimento comune necessario a incrementare la trasparenza delle qualifiche. La Commissione, con l’aiuto di un gruppo di esperti sull’EQF, presentò una proposta relativa ad un quadro articolato in otto livelli basato sui risultati dell’apprendimento, vol-

ta ad aumentare la trasparenza e la trasferibilità delle qualifiche nonché a promuovere l’apprendimento permanente. Questa proposta fu successivamente pubblicata e sottoposta ad una consultazione in tutta Europa nella seconda metà del 2005. La consultazione sulla proposta della Commissione fu estremamente positiva, ma richiese comunque una serie di chiarimenti e semplificazioni. La Commissione decise allora di modificare la proposta, sulla base dei consigli di esperti di tutti e 32 i paesi coinvolti e delle parti sociali europee: il testo rivisto venne adottato come proposta dalla Commissione il 6 settembre 2006. Negoziata con successo la proposta nel corso del 2007 da parte di Parla-

mento europeo e Consiglio, l’adozione formale dell’EQF è stata ratificata nel febbraio 2008, ed il portale europeo, disponibile all’indirizzo http:// ec.europa.eu/dgs/ education_culture/ index_it.htm, è consultabile da qualche giorno. Nelle ambizioni dei promotori, l’EQF si pone come strumento ambizioso e di ampia portata che concerne i sistemi di istruzione e formazione, il mercato del lavoro, l’industria, il commercio e i cittadini. Per i fruitori, fungerà da vademecum per sfruttare le proprie competenze nei diversi caontesti europei ed aumentare il bagaglio di esperienze che giocano un ruolo fondamentale nella ricerca di un posto di lavoro.


L’Ora del Salento 15

Lecce, 4 giugno 2011

lo sport Non decolla ancora alcuna trattativa per cedere il club. Intanto si avvicina la nuova stagione e il mercato è ancora bloccato. Novità clamorose all’orizzonte?

L’ASSIST di Paolo Lojodice

Lecce, il futuro prossimo ancora in alto mare Scocca la seconda settimana, entro la quale si colloca il termine temporale di dieci giorni, stabilito dal Patron Semeraro, all’indomani della fine del campionato, per individuare possibili acquirenti dell’U.S. Lecce. Dieci giorni per affrontare una questione di così radicale importanza, pare un arco di tempo oggettivamente fin troppo ridotto, anche la semplice vendita di un motorino usato richiederebbe qualche giorno di pazienza in più, il passaggio di mano per una società di calcio di serie A, obiettivamente sembra cosa ancora più complessa, a meno che non vi siano intese o ipotesi precedenti all’annuncio di Giovanni Semeraro, un po’ più concrete e sostanziose. A meno di repentine evoluzioni solo un rincorrersi di voci, accompagnate da talune smentite provenienti direttamente dalla Società di via Templari in merito ad una presunta richiesta di acquisizione di bilanci e conoscenza dello stato patrimoniale del Lecce, da parte di due cordate imprenditoriali del Nord interessate all’acquisto del pacchetto societario. La sola conferma da parte della Società è il mandato assegnato a due istituzioni bancarie vici-

ne alla famiglia Semeraro, al fine di mediare e individuare eventuali gruppi o corate interessate all’acquisto dell’U.S. Lecce. Più che semplici “rumors” sono le attese in merito agli interessamenti di mercato per quelli che sono gli attuali prezzi pregiati del Lecce: il terzino sinistro algerino Mesbah e il portiere Rosati rientrerebbero nei programmi di più club interessati all’acquisto del diritto delle loro prestazioni sportive, al punto che ne potrebbe derivare un’asta, ipotesi ben conciliante con gli interessi della società giallorossa, interessata a far cassa nel miglior modo possibile anche in funzione di quella che potrà essere, qualora non si dovesse fare avanti alcun acquirente per il pacchetto societario, la ventilata forma di autogestione. Dalla possibile cessione dei due atleti, l’incasso per le finanze giallorosse dovrebbe essere stimato in circa 6,5 milioni di euro, con l’algerino le cui quotazioni si possono aggirare intorno ai 2.5 - 3 milioni e alimentate dall’interessamento del Parma, del Genoa e del Malaga, mentre per il portiere il ritocco in alto da 3 a 3,5 milioni ambito dal Napoli e dallo stesso Genoa. Una somma di tutto rispet-

to per poter affrontare una fase di rafforzamento su un’intelaiatura già definita lo scorso anno al 70% circa, sotto l’era di De Canio. Già perché quella di de Canio sembra ormai una epoca trascorsa nonostante il sussulto in avvio di settimana che poteva renderlo disponibile ad un secondo e clamoroso ritorno ma a condizione che cambiasse la compagine societaria. Suggestioni ancora non ancora del tutto accantonate nel immaginario collettivo visto che, a ragion veduta, al tecnico lucano va la gran parte del merito della salvezza. Ancora un rinforzino per le casse leccesi potrebbe arrivare dalla cessione della quota di comproprietà con il Piacenza, per il diritto alle prestazioni sportive di Cacia. L’attaccante reggino, dopo la deludente esperienza leccese ha disputato un buona buona stagione in

B, collezionando 17 reti e innalzando le proprie quotazioni a circa 5 - 6 milioni di euro. In caso di cessione un buon dividendo impinguerebbe ulteriormente le finanze giallorosse. Per i resto, dinamiche già note sulla piazza leccese intese a rinnovare i prestiti già in atto, a partire da Tomovic al Genoa, ma anche Sini e Bertolacci alla Roma; così come per Donati all’Inter. Poche altre incertezze visto che il resto della squadra è ancora sotto contratto con scadenze variabili da un anno come per Vives; Ferrario, Oliveira, Grossmuller, Corvia, Ofere, Jeda per due anni; Piatti, Giacomazzi e Brivio per altri tre. Ancora nebuloso il nome di chi guiderà la squadra: alle suggestioni di De Canio e dello stesso indimenticato Rossi, si aggiungono percezioni più dirette che evocano i nomi di Montella, Di Carlo, Torrente e Sannino; mentre sembra ormai certa la reintroduzione della figura del Direttore Sportivo dopo la parentesi di De Canio in alterità in quel ruolo di fatto mai sostenuta dalla stessa società; per il ruolo di D.S. la scelta sembra diretta a Paolo Cristallini. A parte questo, si sta… sospesi, in attesa di chi opererà a pieno titolo sulle leve del vapore.

M

L’ALTRA

USICA

A Tricase, di scena l’Oh yes day A Lecce, Salento in Tango Domenica 5 giugno si terrà a Tricase l’evento socio-musicale battezzato con il nome di “Oh yes day”. La giornata, organizzata con cura dallo Shake Bar, dall’Associazione Mobbasta e dal tormentone “Si ma, sberla?!” si svolgerà in Piazza Galileo Galilei con il patrocinio del comune di Tricase. La manifestazione artistica promuoverà la cultura dell’Hip-Hop e metterà in evidenza le quattro arti del Writing (graffiti), della Breakdance, del Rap e dei Deejay, con la stuzzicante novità del 1° Salento Scratch Contest. Quest’ultima competizione vedrà andare di scena i più talentuosi dj del genere musicale che si daranno battaglia a colpi di “graffi”. La gara metterà in palio per il vincitore una borsa professionale da dj e una maglietta del brand “Si ma, Sberla?!”. L’acuta idea che ha permesso di lanciare il primo Oh yes day nel territorio nostrano, è scaturita dalla scarsa presenza di iniziative

e di raduni dediti all’esaltazione dell’Hip-hop in generale. L’evento, oltre a voler enfatizzare l’arte e la musica, ha come principale scopo avvicinare alla cultura del Rap le nuove generazioni e favorire i valori della socializzazione e dell’aggregazione. Il raduno avrà inizio alle ore 10.30 e fornirà sei pannelli con colori a tempera e acquerelli per chiunque voglia esprimere le proprie capacità di pittura. Anche per i più abili writer saranno messi a disposizione i bianchi muri di piazza Galileo Galilei; esibizioni artistiche le quali si alterneranno con le performance delle principali band hip-hop della scena salentina. Dalle 16 fino alle 20 spazio allo “1° Salento Scratch Contest” dove si sfideranno ben otto DJ’S sotto la lente di ingrandimento della giuria composta da DeePowa, Kosmic, Fab3r e Cordella, che avranno l’arduo impegno di decretare il miglior “Turn Table DJ”. Il cast musicale vedrà esprimersi in dei live show i cantanti Malaffare,

Trap Studio (Kleane & Guaio) e Resina Sonora, senza escludere l’importanza delle selezioni di “Mr Nero” e “Lu Tola”. Successivamente la serata si concluderà con le note dei “Rasta Resti”, una tribute band del mitico Bob Marley. Inoltre la giornata dell’arte sarà impreziosita da discipline come lo skateboard, il frisbee freestyle, e dalla presenza di artisti di strada ed esperti in giocoleria che daranno allegria e renderanno ancor più goliardico l’intero contesto.

Paolo Conte

“Salento in Tango” è il Festival Internazionale che si terrà dal 6 al 12 giugno 2011 a Lecce. Ci saranno concerti ed eventi musicali, mostre fotografiche e artistiche, e anche elementi caratteristici della tradizione salentina, quali le milonghe, cioè serate in cui gli appassionati si ritroveranno a ballare tango argentino. Il tango è stato dichiarato ufficialmente patrimonio culturale dell’umanità dalla sezione dell’Unesco che riconosce a beni “intangibili” l’importanza per la salvaguardia della conoscenza e dell’espressione. Tra gli eventi musicali abbiamo l’8 e 9 giugno, presso l’ex Convento di Santa Chiara, Vico Santa Chiara, Brindisi, lo stage con l’ospite d’onore del Festival Javier Girotto, grande nome della musica internazionale, argentino di origine pugliese, conosciuto come sassofonista jazz e leader degli Aires Tango. Girotto ha trascorso diversi anni per motivi di studio nella scuola di Boston. Periodo molto proficuo in quanto gli ha permesso di approfondire gli studi di composizione e arran-

giamento e improvvisazione del sax, delineando quelle caratteristiche che lo contraddistingueranno poi, in futuro. E il 9 giugno, alle 20.30, concerto “Improvvisare Tango” con Girotto al sax, presso il chiostro dell’Accademia di belle arti, via Libertini 3. I musicisti presenti: Fulvio Palese al sax, Luigi Botrugno al pianoforte, Luca Alemanno al contrabbasso, Ovidio Venturoso alla batteria, Umberto Summa alle percussioni e Rachele Andrioli, voce. Seguirà una milonga. Per il 6 giugno, dalle 21:00, milonga di benvenuto sotto la Luna a Porta Rudiae. Il 7, dalle 20.00, “La via del Tango” in via Libertini. Il 10, dalle 22.00, Gran milonga, al Grand hotel Tiziano, viale Porta d’Europa, Lecce,

con Laura Melo e Ricardo Barrios. Loro sono due ballerini che si sono esibiti con le migliori orchestre argentine, inclusi Color Tango, Juan José Mossalini, Hyperion e Tango Seis. L’11 giugno dalle 22.00, stesso luogo, si esibiranno Lucila Cionci e Rodrigo ‘Joe’ Corbata che hanno iniziato a ballare insieme nel 2007, dopo un lungo percorso individuale di danza e di insegnamento. ‘Joe’ ha diretto una propria compagnia, Tango Bizzarro, in tour in tutto il mondo per 4 anni. Nel 2008 Lucila è stata scelta da Sally Potter per un ruolo nella Carmen rappresentata all’English National Opera. Seguirà unamilonga di saluto. Per la serata del 12 giugno, dalle 22.00, “El Patio de el Tango”. Al Castello Carlo V mostra fotografica per l’intera settimana. Il Festival è realizzato con il patrocinio di Regione Puglia - assessorato al Mediterraneo, Provincia, Comune, Accademia di belle arti e Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce. Vincenza Sava


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