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Lecce, 2 aprile 2011

UN EURO

L’Ora del Salento

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Siamo in guerra di Nicola Paparella Non sappiamo se i ribelli della Cirenaica che hanno messo in crisi il potere di Gheddafi abbiano avuto aiuti e suggerimenti da Parigi o dall’Occidente, né sappiamo se i veri protagonisti della guerra di Libia abitino tutti in Africa o non anche in Europa, come qualcuno è portato a credere. Quel che sappiamo è che l’insurrezione libica è totalmente diversa dalla rivolta del pane scoppiata a Tunisi all’inizio dell’anno, ed è diversa pure dall’insurrezione egiziana e da quella siriana. Lungo tutta la costa africana del Mediterraneo si sta giocando, come su un grande scacchiere, una sorta di partita che, con effetto domino, sta radicalmente modificando la configurazione politica dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ma il caso libico è del tutto diverso. In Libia hanno avuto un peso evidente le interferenze occidentali, di cui negli ultimi mesi si parlava in molte capitali, tranne forse che a Roma, dove l’attenzione era rivolta altrove. E questo spiega perché in Libia è stato “necessario” l’intervento armato che, come sempre, denuncia inequivocabilmente la sconfitta della diplomazia e della politica. Quando il negoziato lascia il posto alla ostentazione della forza, è inevitabile il conflitto, e quando il conflitto viene gestito con le armi, il risultato è la guerra, che è sempre guerra, con tutto ciò che essa comporta. È guerra, anche se i nostri aerei non sparano missili, come ci si ostina a ripetere. Se anche sparassero soltanto cioccolatini, tanto per ingannare i radar e consentire ad altri di sparare i loro missili, non cambierebbe di molto la situazione: siamo in guerra. Anche noi. Con i nostri aerei, con le nostre navi, con le nostre basi. E quindi dobbiamo prendere atto che i nostri corteggiamenti nei confronti di Gheddafi non sono andati a buon fine. Gli abbiamo dato miliardi, gli abbiamo concesso tutto quel che ha voluto, pur di evitare un conflitto e poi, invece, nel conflitto ci siamo cascati. Verranno giorni in cui sarà opportuno capire le ragioni e il senso del fallimento della politica italiana in Libia. Si dovrà capire dove e come si sia sbagliato. E soprattutto perché si è sbagliato. Oggi, però, dobbiamo preoccuparci di rendere meno sporca questa guerra che è sporca come ogni altra guerra e forse anche più di qualche altro recente conflitto internazionale. È sporca, perché gli obiettivi sono diversi da quel che si dice e perché tattica e strategia sono in mano diverse o rispondono a logiche diverse. È sporca perché c’è un costante disprezzo della vita e della dignità della persona: da una parte si costringono le persone a far da scudo umano per proteggere istallazioni strategiche e dall’altra si bombarda senza andare tanto per il sottile. CONTINUAA PAG. 2

SETTIMANALE CATTOLICO

IL QUARESIMALE DELL’ARCIVESCOVO

Nuova serie, Anno XXI, n. 12

O Dio, padre della luce, tu vedi le profondità del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito, perché vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo, e crediamo in lui solo, Gesù Cristo, tuo Figlio nostro Signore

In questa IV domenica di Quaresima la liturgia della Parola ci presenta il simbolo della luce, cristologico, ecclesiale, sacramentale, segnatamente battesimale. I Padri della Chiesa hanno, quasi unanimemente, letto il miracolo della guarigione del cieco nato, come icona del cammino battesimale. Nella tradizione orientale il battesimo è chiamato ‘illuminazione’. L’Apostolo Paolo nel brano della lettera agli Efesini, ricorda che l’inserimento in Cristo mediante il battesimo, opera nella nostra vita e con forza ci invita ad uscire dalle trame dell’oscurità e delle tenebre del peccato: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce”. Il dono della fede, ricevuto nel battesimo ci ha condotti alla luce della contemplazione e alla scoperta del volto di Cristo. Tra le righe del racconto evangelico possiamo notare una particolare sottolineatura: il dono della vista restituita al cieco non è tanto il segno di una particolare potenza del Signore, quanto la rivelazione di ciò che Gesù è per l’uomo, per noi: Io sono la luce del mondo.

IV DOMENICA DI QUARESIMA

Luce nel Signore Ma molto spesso, è una esperienza che sperimentiamo in noi stessi e osserviamo negli altri, c’è il dramma della luce/Cristo rifiutata. Il rifiuto si trasforma in incredulità, tenebra e assenza di Dio. L’accoglienza ci trasforma e trasfigura in luce del Signore. Sentiamo la forza della parola di Gesù che quasi in conclusione del racconto evangelico, dice con autorità: “È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”. La ricchezza della luce viene a noi donata dal Cristo che si fa incontro a noi talvolta condannati a brancolare nelle tenebre o nella illusione di una luce che confonde e impedisce

Lecce, 2 aprile 2011 di cogliere i tratti nitidi della verità della storia. La luce viene da Lui. Non c’è nessun altro che ci possa guarire dalle tenebre che il peccato può ispessire in noi. Non è difficile essere guariti da questa cecità. Non c’è bisogno di andare a Lui. È Cristo stesso che si fa incontro e senza che noi glielo chiediamo spalma il fango - come non pensare al gesto creativo del Signore Dio della Genesi? - e ci manda all’acqua di Siloe a lavarci. Nel vangelo di Giovanni l’acqua è il simbolo dello Spirito, della nuova nascita. Pensiamo al dialogo con Nicodemo! La luce nuova che ci viene donata opera il vero, grande miracolo: Credo, Signore! Il gesto che il cieco compie: si prostrò dinanzi a lui, dice non una semplice adesione intellettuale. Riconosce in Gesù il Signore, la presenza stessa di Dio. È quanto viene chiesto a noi! Ancora una volta preghiamo e invochiamo: Padre della luce, apri i nostri occhi perché vediamo colui che hai mandato, Cristo Gesù, e crediamo in lui solo.

SUORE SALESIANE 125 ANNI DEI SACRI CUORI

Al servizio dell’uomo sulle orme di Filippo Una serie di eventi per celebrare l’anniversario della Congregazione

A TREPUZZI OPERE POCO NOTE

Del Cino quattro altari e Il Palazzo Petrucci

AGGIORNAMENTO PER DOCENTI DI RC

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La relazione educativa al servizio della persona

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L’Ora del Salento

Lecce, 2 aprile 2011

primopiano

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EDITORIALI IN GUERRA O IN MISSIONE DI PACE?

Il sogno di don Tonino: l’Italia In difesa dei civili, vittime arca di pace e non arco di guerra della follia del Rais Dopo le iniziali incertezze, il velo pietoso delle parole umanitarie si è sfilacciato ed è apparso chiaro che proprio di guerra si tratta, e che allora… guerra sia! Obiettivi strategici raggiunti, postazioni nemiche colpite, la “missione” (!) sta già riportando importanti successi… Ci sono morti? Ci sono feriti? Quanti? Chi sono? Civili, militari, ribelli, mercenari, amici o nemici? O più semplicemente tanti esseri umani, anche inermi e innocenti. Questa è la guerra e la sua prima vittima è proprio la verità. L’informazione diventa propaganda. Ai reportage si impedisce di mostrare tutto. Le ricostruzioni mediatiche e le dichiarazioni ufficiali possono diventare un’arma di assuefazione di massa. “Qualche giorno prima che Sarkozy decidesse di bombardare – ha dichiarato il vicario apostolico di Tripoli mons. Martinello - si erano aperti spiragli veri di mediazione. Ma le bombe hanno compromesso tutto”. Benedetto XVI, all’Angelus del 27 marzo, ha ribadito l’urgenza di “sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le parti coinvolte (…)” e ha rivolto l’accorato appello “per l’immediato avvio di un dialogo che sospenda l’uso delle armi”. Con ben altra tempestività avremmo dovuto mettere in atto tutte le abilità diplomatiche, le vantate amicizie personali, le strategie del dialogo, l’invio di osservatori Onu. Solo lo scambio culturale, la cooperazione sociale e l’apertura fra le religioni potrà sostenere validamente la coscienza civile e democratica della gente libica e dei popoli che nel nordafricana e nel medioriente stanno dando vita alla primavera della loro libertà.

L’Ora del Salento SETTIMANALE CATTOLICO

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Per molti anni invece abbiamo preferito gli interessi legati al petrolio, i colossali affari della vendita di armi made in Italy e più recentemente gli accordi per bloccare i flussi migratori nei lager dell’orrore… “Il dio interesse è un dio assoluto, totalitario, a cui tutto va immolato. Anche a costo di imprigionare innocenti, torturarli, privarli di ogni diritto, purché accada lontano da qui. In Libia.” (Pax Christi, 2 settembre 2010). Almeno noi cristiani e le nostre comunità, volendo educare alla vita buona del Vangelo e testimoniare con coerenza la pace di Gesù, dovremo mantenere alta la profezia della Chiesa che denuncia ogni guerra come avventura senza ritorno spirale di lutti e di violenza, inutile strage. “Le esigenze dell’umanità ci chiedono di andare risolutamente verso l’assoluta proscrizione della guerra e di coltivare la pace come bene supremo, al quale tutti i programmi e tutte le strategie devono essere subordinate”(Giovanni Paolo II, 12 gennaio 1991). La rinuncia alla guerra perciò significa anche ripensare la politica e la legislazione riguardante la produzione e il commercio delle armi. Non potrebbe per esempio l’Italia rifiutare la sua partecipazione al folle investimento di 15 miliardi di euro previsti per la realizzazione di 131 cacciabombardieri F-35? E significa anche un impegno più efficace per costruire giustizia economica per i Paesi più poveri e garantire accoglienza dignitosa nel rispetto dell’universale diritto di umanità. L’Italia, riscoprendo le sue radici cristiane, è chiamata a protendersi nel Mediterraneo non come arco di guerra ma come arca di pace. (don Tonino Bello) Salvatore Leopzzi

PENSANDOCI BENE...

Ci troviamo di fronte ad un intervento militare per fini umanitari oppure siamo di fronte ad una vera e propria guerra (economica) ammantata da ideali pacifisti? È difficile dare una risposta esaustiva a questa domanda, soprattutto quando in gioco ci sono migliaia e migliaia di vite umane. Proviamo, allora, a partire da un punto fermo e, cioè, dalla rivolta della popolazione libica, in gran parte costituita da giovani, che sull’esempio di altri paesi vicini, è scesa in piazza, a metà febbraio, manifestando contro la dittatura del colonnello Gheddafi con l’obiettivo di ottenere maggiori diritti politici. Nell’ex colonia italiana, infatti, il potere è concentrato, da oltre quarant’anni, nelle mani di Gheddafi: non esistono partiti, non esiste l’associazionismo, non vi è traccia di democrazia, dal momento che la Legge 71 punisce con la pena di morte chiunque voglia costituire associazioni e organizzazioni non gradite al governo. La rivolta parte dalla Cirenaica, precisamente dalle città di Beida e Bengasi, ma rapidamente si estende a tutto il paese. La risposta del dittatore Gheddafi è una repressione durissima, che nel volgere di una settimana causa oltre diecimila morti. Un vero e proprio genocidio, sotto gli occhi dell’Europa e di un paese amico e vicino come l’Italia. Del resto, il colonnello Gheddafi ha intessuto, negli anni, rapporti di amicizia e di cooperazione non solo con l’Italia, ma anche con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, collaborando contro il terrorismo e impegnandosi contro il programma per la costruzione d’armi di distruzione di massa e in materia di politiche migratorie. La Libia, inoltre, dispone di importanti riserve di idrocarburi ed è il primo fornitore di petrolio e di gas dell’Italia. Questo spiega perché la repressione di Gheddafi, oltre a cogliere impreparata l’Europa, mette in serio imbarazzo i paesi amici, in primis l’Italia, che indugiano sul da farsi. Il governo provvisorio della Libia libera

di Giuseppina Capozzi

chiede, invano, per due settimane all’Onu di dichiarare una “no fly zone” per impedire al colonnello di far volare i suoi aerei da guerra e sganciare bombe sui civili. Europa e Stati Uniti esitano ancora. Alla fine, con l’appoggio, inizialmente, della Lega Araba, l’Onu decide d’intervenire e il 19 marzo parte l’operazione “Odissea all’alba”, che vede in campo cinque paesi: gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e il Canada (anche se la Francia, anticipando i tempi, mostrava già da tempo una certa premura nell’attaccare la Libia). Ora al di là delle ipocrisie, l’intervento dell’Onu ha messo sì in luce la necessità di un’azione di forza a scopo umanitario, ma è altrettanto chiaro come l’obiettivo sia la sostituzione dell’attuale governo libico con un nuovo governo, che dovrà essere scelto dal popolo in rivolta contro Gheddafi. È fuori di dubbio, a questo punto, che i Paesi che stanno partecipando all’azione militare, vista l’importanza strategica della Libia in termini energetici, si aspettano dei riconoscimenti dal futuro governo di Tripoli. L’azione che si sta realizzando in Libia è una guerra a tutti gli effetti, che mira a difendere i civili dalla follia del raìs, ma che punta anche a demolire tutte le infrastrutture militare libiche, mettendo in conto l’eliminazione fisica di Gheddafi. La realtà è questa, nulla togliendo ad un’azione militare che punta a difendere un popolo, che ha diritto a realizzare un governo democratico e libero, dando vita a quello che il presidente Napolitano ha definito “il suo personale risorgimento”. È giusto essere accanto ad un popolo minacciato in maniera sempre più concreta dalla follia di Gheddafi, ma è altrettanto giusto domandarsi come mai questa stessa fermezza non la si usi nei confronti di tanti altri paesi in cui, ogni giorno, vengono violati i sacrosanti diritti umani, senza che alcuno gridi allo scandalo o implori giustizia! Antonio Buccoliero

AZIONE CATTOLICA

Bioetica e amore per la vita Il 2 aprile Assemblea regionale Il neologismo ‘bioetica’ nasce con V. R. Potter negli anni ‘70 per rispondere ai nuovi interrogativi relativi al rapporto tra scienze naturali e vita, ed è oggi una disciplina che si occupa delle questioni morali collegate alla ricerca biologica e alla medicina. Ha, però, sviluppato significati e connotazioni diverse. L’orientamento cattolico interviene a livello fondativo, per strutturare una antropologia della persona che faccia riacquistare alla vita il suo spessore di vera umanità. Nell’orizzonte cristiano S. Cipressa affida alla “biofilia” il compito di contrastare la tendenza attuale alla necrofilia, intesa come disprezzo per la vita e avversione per tutto ciò che la vita può diventare. Mentre la necrofilia è orientata verso il passato, con una paura del futuro che è negazione della vita, il biofilo ama la vita incondizionatamente considerandola come dono e, di conseguenza, come destinata al dono stesso. Rispetto a chi vede il destino umano legato esclusivamente all’attività dell’uomo, l’amore per la vita nella prospettiva cristiana affonda le sue radici antropologiche nel mistero trinitario. Ma la ricchezza del cristiano è nella storia stessa: la Chiesa del passato e del presente ha sempre operato scelte coraggiose. Sul tema della vita ha espresso insegnamenti suggestivi e colmi di significato così rilevante, da offrire indicazioni di spessore unico e spunti di riflessione ineguagliabili. Il paradigma bioetico che il magistero propone è teologico e antropologico al tempo stesso. Si può parlare di un cristocentrismo di tipo normativo. Il Concilio

Vaticano II ha indicato chiaramente questa dinamica antropologico-cristiana che, però, fatica ad essere tradotta nella vita quotidiana. La biofilia, cioè l’amore per la vita come connaturata all’essere umano; la ragione sapienziale, aperta, umile, rispettosa dell’alterità, opposta alla ragione strumentale o calcolante; la libertà di orientarsi secondo volontà ed intelletto pienamente responsabili: sono le grandi sfide e provocazioni che il cristianesimo pone all’uomo di oggi. Il respiro cristiano, aperto al confronto con ottiche diverse, può rappresentare il compendio di una nuova antropologia di modello personalista: la persona centro di una bioetica che guarda la sacralità e la qualità della vita secondo un’ottica teleologica che mira al valore della vita stessa. La prospettiva cristiana della Resurrezione, come vittoria della vita sulla morte, non può che arricchire ed ampliare la riflessione sulla finalità della nostra esistenza. La relazione con Dio, di tipo verticale e soprannaturale, consente all’uomo di relativizzare il contesto mondano della vita. Questa assume, quindi, la dimensione di dono che trova nella relazione con l’altro il suo significato essenziale. La risposta del credente è nella promozione della vita in tutte le sue forme, operando le sue scelte secondo fede e ragione; il tutto nella certezza che lo Spirito Santo guida l’uomo a cogliere i segni della presenza divina nella storia, orientandola verso soluzioni più umane. info@giuseppinacapozzi.it

Dopo la stagione delle assemblee parrocchiali e diocesane in tutta Italia, l’Azione Cattolica si appresta a vivere il passaggio successivo: le assemblee regionali. Il XIV Consiglio regionale elettivo dell’AC pugliese si svolgerà sabato 2 e domenica 3 aprile presso l’auditorium della Scuola media “Alessandro Volta” di Monopoli , in provincia di Bari. A partecipare saranno i delegati di tutte le associazioni di Azione Cattolica delle diocesi pugliesi, compresa quella leccese. L’assemblea avrà anche un carattere pubblico: sabato 2 aprile alle ore 16 è previsto infatti un incontro aperto a tutti dal titolo “Costui abiterà il mondo: la Puglia in cammino per la Legalità”. La Delegazione regionale della Puglia infatti vuole soffermarsi sul tema della legalità nella nostra terra e lo fa con l’ausilio di esponenti di spicco della società civile: Aldo Pecora, Presidente dell’Associazione “Adesso ammazzateci tutti” e don Paolo Turturro, animatore dell’associazione “Dipingi la Pace”. A moderare l’incontro sarà il giornalista Rai Vito Giannulo. Le conclusioni dell’incontro pubblico saranno affidate a Vincenzo Di Maglie, delegato regionale di AC. Durante l’incontro ogni associazione diocesana presenterà un “martire della legalità”, attraverso l’ausilio di sistemi multimediali. Il fine, come spiegato dalla delegazione regionale, è quello di offrire “un percorso di riflessione sulla propria realtà diocesana, riscoprire figure significative che si sono impegnate nell’ambito della legalità, responsabili o semplici soci, aderenti e non, del presente o del passato. Focalizzare l’attenzione su una di queste figure e produrre elaborati”. Salvatore Scolozzi

CONTINUA DALLA PRIMA

Siamo in guerra Già nel primo giorno, fra gli obiettivi distrutti c’era un ospedale, e nessuno ci ha spiegato perché. Molti osservatori documentano l’uso di uranio impoverito, questo micidiale composto presente negli ordigni di ultima generazione, che sconvolge la vita di chi partecipa al conflitto e delle popolazioni che abitano sui territori sconvolti dalla guerra. Ed è sporca perché nessuno ancora ha avuto il coraggio di avviare un effettivo negoziato per la pace; preoccupati soltanto di scavalcare il proprio vicino nella corsa ad accaparrarsi le prime posizioni nella gestione degli affari che si potranno realizzare in quella regione. Come sempre, per altro, quando gli Stati perdono il rispetto della vita e della persona. Nicola Paparella


L’Ora del Salento

Lecce, 2 aprile 2011

primopiano

IL CINO NASCOSTO

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DOVE

SCOPERTE NELLA MATRICE DI TREPUZZI Opere seicentesche dello scultore e architetto leccese

Quattro altari e Palazzo Petrucci tra i tesori preziosi dell’artista Nel transetto della chiesa matrice di Trepuzzi - città poco distante da Lecce - tre altari - il primo dedicato a San Giacomo, il secondo a San Domenico e l’ultimo a Sant’Anna - aiutano a comprendere meglio l’arte scultorea di Giuseppe Cino (1635 - 1722) che di questi altari, appunto, sarebbe l’autore. Per chiarezza precisiamo che qui si è preferito usare la intitolazione originaria degli altari. Tutti, come detto, sono nel transetto ed esattamente nel braccio sinistro quello di San Giacomo (a destra della porta piccola di accesso alla chiesa); gli altri due, invece, posti sulla parete di fondo del braccio destro - rispetto alla porta che attualmente conduce alla sagrestia sono rispettivamente: quello di San domenico a destra e quello, infine, di Sant’Anna a sinistra. Tutti, nel corso dei secoli passati, sono stati rimaneggiati e privati delle loro tele. Un confronto fra le parti scultoree (volti, elementi vegetali ed architettonici) di questi altari consente intanto

di affermare che essi, nelle loro parti originarie, sono riferibili ad uno stesso esecutore, il Cino, appunto. Ma andiamo con ordine in quanto il percorso che ha portato a questa attribuzione è complesso ed ha come punto centrale l’altare di San Giacomo. La storiografia ancora una volta recentemente ha confermato quest’ultimo altare a Giuseppe Zimbalo (1620 - 1710) senza fornire però elementi documentari e stilistici; tale attribuzione è quindi una affermazione senza dimostrazione nel senso che non sappiamo su quali basi essa sia stata fatta e non è possibile, pertanto, verificarla nel merito. Lo studio che ci ha portato a riconoscere la mano del Cino si è articolato in due fasi: la prima è stata di verificare che le forme scolpite dei tre altari fossero incompatibili con opere coeve dello Zimbalo; il secondo passo è stato poi quello di verificare se ci fossero, invece, elementi di vicinanza stilistica ed esecutiva con opere del Cino, anche in questo caso, il più possibile

coeve ai tre altari. È apparso perciò prioritario capire quando, seppur con buona approssimazione, i tre altari, e quello di San Giacomo più di tutti, siano stati realizzati. Fondamentali a tal proposito sono sia le Visite Pastorali condotte dai Vescovi di Lecce - in particolare quelle a partire dal 1670 - e poi gli atti rogati da Spedicato Antonio, notaio in Trepuzzi, fra il 1653 ed il 1706. Nella Visita Pastorale del 27 maggio 1670 nessuno dei tre altari è citato, segno che a tale data essi non esistevano; nella Visita immediatamente successiva, quella del 1676, essi sono, invece, segnalati. La loro attuale posizione corrisponde a quella originaria. È possibile cronologicamente essere anche più precisi perché in un atto rogato il 17 ottobre 1671 dal notaio Spedicato si fa riferimento ad un legato pio “[…] in altari Gloriosae Sanctae Annae erecto per Universitatem huius oppidi intus parochialem ecclesia […]”; in un altro atto rogato stesso notaio- il 27 luglio 1672, l’altare

IL CONFRONTO

Con lo Zimbalo differenze di luci e forme Andiamo a vedere adesso cosa Giuseppe Zimbalo realizzava in questi stessi anni. Si considerino tre opere leccesi già attribuite dalla storiografia a questo secondo scultore e che possiamo stilisticamente confermargli. Esse sono il portale maggiore della Cattedrale e, soprattutto, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli due altari quello datato (1665) dei Beati Gaspare de Bono e Nicola de Longobardi nonché quello dello Spirito Santo. Si confrontino poi i volti dei due angeli che nell’altare di San Giacomo sorreggono lo stemma dell’allora Marchese di Trepuzzi Marino Condò (cavaliere dell’ordine di San Giacomo della Spada di cui in questo stemma è visibile la croce) e della moglie Isabella de Ligorio con quelli di analogo soggetto presenti nei citati altari dello Zimbalo. Essi sono palesemente diversi. Una forte analogia stilistica, invece, è fra questi angeli dello stemma Condò-de Liguori ed i volti presenti in un’opera attribuita al Cino come l’altare di San Carlo che è nella leccese chiesa di Santa Irene; e si potrebbe continuare confrontando il San Giovannino che domina l’altare di San Giacomo con l’angelo destro sommitale posto sul datato (1687) altare (dalla storiografia attribuito pure al Cino) di Sant’Andrea nella Cattedrale leccese. Va detto che questa assonanza di forme trova riscontro - compatibilmente con il naturale evolversi nel tempo dello stile del Cino - anche nelle sue più tarde e documentate opere. Nella Matrice di Trepuzzi vi è poi una altra opera attribuibile sempre al Cino. Sulla controfacciata della chiesa, a fare da cornice al fonte battesimale, vi sono parti di un altare sul quale sono i simboli della Passione di Cristo. Ripercorriamone brevemente la

storia. L’altare (o meglio ciò che di esso è sopravvissuto), ancora oggi nella sua posizione originaria, viene citato per la prima volta nella Visita Pastorale del 3 giugno 1680. Della sua fondazione si fa riferimento in un atto del 28 giugno 1677 rogato da Giovanni Tommaso Caputo, notaio in Novoli. A questa data l’altare è “[…] erigendo […]”; il committente, Donato Perrone, ebbe l’assenso dalla Curia Episcopale leccese il 18 luglio di quello stesso anno. Per meglio circoscriverne cronologicamente la realizzazione ricordiamo infine un atto del 16 gennaio 1680 rogato da Leonardo Giaconia, notaio in Lecce, dove si scrive “ […] celebrandae missae praedictae in detta cappella della Schiovazione di Nostro Signore quae edificata fuit a prefato quondam Donato Perrone […]”.Questo altare rimase invariato fino alla Visita Pastorale del 24 maggio 1792 fatta da mons. Salvatore Spinelli. Questi

infatti suggerì di “[…] farsi alla porta maggiore (della Matrice) un tamburo o sia parapetto ben lavorato per levarsi l’inconveniente di guardare l’Altare Maggiore ed il Clero la Piazza, essendovi specialmente vicino alla chiesa una bottega di ferraro dove continuamente si legano delli bovi et altri animali. […]”. Nella Visita Pastorale immediatamente successiva, quella del 16 settembre 1822, fatta da mons. Nicola Caputo, il fonte battesimale risulta spostato a sinistra della porta maggiore (prima era a destra); l’altare della “Schiovazione”, poi, non è più in elenco ed il dipinto (ancora esistente oggi) con la rappresentazione della Deposizione che in esso era collocato per volontà del committente Donato Perrone compare, invece, nel primo altare a destra entrando nella chiesa. Tale altare nella Visita Pastorale del 1792 era ancora sotto il titolo di Sant’Oronzo.

di San Domenico è definito come “ […] noviter erecto […]”. Non è da escludere quindi che anche l’altare di San Giacomo possa essere riferibile allo stesso periodo degli altri due. A ciò aggiungiamo un documento che attesta con certezza la presenza del Cino a Trepuzzi e nella Matrice per giunta. Il 9 ottobre 1670 (sottolineamo

come tale data sia significativamente ben incastrata fra quella della Visita Pastorale del 1670 e quella del 17 ottobre 1671) “[…] Josepphus Cinus lupiensis […]” fa da padrino di battesimo. La notizia è nel “Liber Baptizatorum incipiens ab anno 1670 usque ad annum 1714” che è presso l’archivio parrocchiale della matrice di Trepuzzi.

CHI È

L’autore dell’Antico Seminario Giuseppe Cino (1635 - 1722) è una delle figure più rappresentative della scultura ed architettura barocca salentina. Egli è il documentato e stilisticamente verificato autore dell’Antico Seminario di Lecce e di buona parte delle sculture che lo decorano nonchè di altre significative opere come l’autografo altare del Rosario nella chiesa Matrice di Martignano. La sua rilevanza è però delimitata da una curiosa cornice storiografica che possiamo riassumere in questi termini: le prime occasioni in cui egli compare come artista - soprattutto scultore - sono dei primi anni Ottanta del Seicento. Per esempio al 1683 risalgono alcuni documenti che attestano la sua presenza a Mesagne per la costruzione della chiesa di Sant’Anna. Immediatamente successivi sono l’altare del Crocifisso, un tempo nella Cattedrale leccese, e l’altare di Sant’Andrea ancora oggi in quest’ultima stessa chiesa. Nel 1683 Cino ha 49 anni che nella vita di un artista, oggi, ed all’epoca ancora di più quando l’attività cominciava a 15 anni se non prima addirittura, costituiscono un punto di arrivo. Cosa ha realizzato Cino nei suoi primi 50 anni? I quattro altari della Matrice di Trepuzzi sono storiograficamente importanti perché aumentano di fatto l’arco temporale della sua produzione di circa un decennio spingendo indietro il catalogo delle sue opere sino agli inizi degli anni Settanta del Seicento. Questi ultimi anni furno importanti per il Cino e videro la sua emancipazione dal padre, Ferdinando, come attesta l’atto rogato il 3 settembre 1673 da Giovanni Tommaso Tangolo, notaio in Lecce. Solo un anno prima, il 1672 e quindi negli stessi anni degli altari di Trepuzzi, Salvatore Petrucci, marito di Lucrezia Giugni di Lecce (il loro stemma partito è sul portale principale) fece realizzare, come attesta l’epigrafe angolare, il suo palazzo di Trepuzzi posto di fronte alla Matrice. Stilisticamente gli elementi scolpiti che decorano la facciata del palazzo riconducono allo stile dei 4 altari nella vicina Matrice. Ricordiamo alcuni documenti significativi proprio di questi anni. Il 6 marzo 1681 Giuseppe Cino assieme al fratello Giovanni, di poco più giovane, fu chiamato dai frati del leccese convento di San France-

sco di Paola a fare una perizia relativamente al loro “[…]dormitorio principale[…]” che, si legge nella perizia, “[…] sta così fracassato, rotto et in male stato che minaccia gran ruina in modo che quando soffia vento o fa mal tempo li Padri son necessitati di fuggirne e salvarsi in altro loco per il pericolo che cascando vi morerebbero. Onde havendolo ben considerato insieme con altri pratici della mia professione che si dovesse gittare a terra prima che da se stesso ruinasse, perché così, non solo li Padri si levarebbero da questo continuo batticuore e pericolo evidente di lasciarsi la vita, ma ancora sgarrandolo si veniano a levarsi li pezzi intieri e le legnami delle coverte che poi serverebbero per la nuova fabrica, che altrimente ruinando da se stesso si fracasserebbe il tutto con molto danno et interesse del convento[…]”. A proposito del suo rapporto con questo convento nella stessa perizia il Cino fa scrivere “[…] dove molte volte ho fabricato secondo l’occorrenza […]”; va detto inoltre che nel suo testamento egli chiederà di essere sepolto proprio nella chiesa di questo convento. Non appare repentino pensare, pertanto, che i lavori di ricostruzione di quella parte del convento cui si riferisce la data maggio 1694 - incisa sulla chiave di una volta del chiostro possa essere a Giuseppe Cino ascrivibile. I resti di una opera attribuibile pure al Cino sono nella Matrice di Arnesano sull’altare di San Giuseppe Patriarca (si veda in particolare il volto d’angelo che al centro è immediatamente al di sopra del dipinto); e cosi pure attribuibili allo stesso artista sono i due volti d’angelo - nella facciata principale della chiesa leccese di Santa Teresa - posti subito al di sotto delle due nicchie inferiori con le statue del Battista e di San Giovanni Evangelista. A proposito di tale facciata va detto che la storiografia l’ha attribuita a Giuseppe Zimbalo ma anche in questo caso non sono stati forniti ne documenti ne analisi stilistiche. Ad onor del vero sulla stessa facciata la mano dello Zimbalo è riconoscibile solo nel portale; quindi compare, come detto, il Cino, appunto, e poi ancora un altro artista che realizza altri volti d’angelo. Sulla base di questi elementi la presenza di così tante mani, esecutivamente parlando, a rigor di logica non depone a favore ne di Cino ne di Zimbalo in merito alla paternità di questa facciata.


L’Ora del Salento

Lecce, 2 aprile 2011

ecclesìa IL PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA

di Mauro Carlino

Cristo, luce per chi non riesce a vedere

In questa domenica di Quaresima, il Signore si presenta come la luce del mondo, che dona la vista ai ciechi. È questo uno degli effetti straordinari del Sacramento del Battesimo, che è, per eccellenza, il Sacramento della luce. Il catecumeno, immergendosi nella fonte, riceve l’illuminazione dello Spirito Santo e, divenendo nuova creatura, ottiene una visione del mondo che non aveva mai potuto sperimentare prima. È questo il senso profondo che la Chiesa vedeva prefigurato nel brano evangelico odierno. Vediamone quindi i dettagli, con il desiderio di riscoprire anche quest’aspetto del nostro Battesimo. La scena inizia con una domanda dei discepoli, i quali esprimono una mentalità diffusa al tempo di Gesù: il cieco nato è un peccatore, ma egli non ha colpa, in quanto fin dalla nascita presenta questa malattia; di conseguenza, il peccato deve risalire ai suoi progenitori. Al contrario, il Signore ricorda che la malattia, nel progetto salvifico del Padre, è presente nel cieco, affinché si manifesti in lui la gloria, la potenza di Dio. Il rivelatore di tale gloria è precisamente il Figlio, il quale, finché è nel mondo, ne è la vera luce. Con questa espressione, Gesù afferma che, fino a quando il mondo intero non lo scaccerà via, egli sarà la vera salvezza di questo mondo. Viceversa, il mondo sarà immerso nelle tenebre quando vorrà auto-salvarsi, allontanando la vera Luce dal suo orizzonte. È questo il primo insegnamento sul Battesimo. Grazie al Sacramento, infatti, nasce e si espande la Chiesa nel mondo, la quale è la Comunità dei figli della Luce, che testimoniano la presenza salvifica di Dio su questa terra. Dopo essersi proclamato Luce del mondo, il Signore compie il gesto che manifesta la sua gloria: sputa per terra, fa un poco di fango e lo “unge” sugli occhi del cieco. In queste azioni è facile scorgere l’atto creatore di Dio che dal fango crea Adamo. Gesù manifesta la sua divinità, esprime che Egli è il Creatore, “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”. Il Signore sta, dunque, per modellare una “nuova creatura”. Infine, Gesù intima al cieco di andarsi a lavare nella piscina di Siloe, cioè nella piscina dell’Inviato. Il cieco, dunque, è chiamato ad immergersi nella fonte del Messia, ossia l’Inviato, l’Unto del Padre, il Signore Gesù. In questo consiste la novità del Battesimo cristiano: siamo immersi in Cristo! Se poi volessimo comprendere per intero il segno, dovremmo rifarci ad Ezechia, il quale costruì la piscina di Siloe e un canale che la riforniva di acqua. Tale canale fu scavato sul fianco orientale del monte Sion (2 Re 20,20). In tale immagine si può scorgere come il vero canale che alimenta la piscina del Battesimo è il cuore squarciato di Cristo, trafitto precisamente dalla “parte orientale”, nella città di Sion. Egli è il nuovo Tempio ed il definitivo Battesimo. Pertanto il miracolo si può chiudere con l’affermazione del cieco, dinanzi ai dubbi della gente: “Sono Io”, o meglio: “Io sono”. Con tale appellativo, il cieco si rifà alla proclamazione della divinità di Gesù, in quanto ormai gli appartiene: è una nuova creatura, che ha recuperato qull’immagine e somiglianza di Dio, che il primo Adamo aveva perduto. Pertanto può adorare Dio in spirito e verità, divenendone suo discepolo.

DOCENTI DI RELIGIONE CATTOLICA

Corso di aggiornamento organizzato dalla diocesi di Lecce

La relazione educativa al servizio della persona Nei giorni dal 5 al 7 aprile p.v., presso l’Auditorium della Parrocchia di S. Giovanni Battista, si terrà un corso di aggiornamento rivolto agli insegnanti della religione cattolica, organizzato dall’Ufficio Scuola e Insegnamento della Religione Cattolica dell’Arcidiocesi di Lecce. Ricco di significato è il titolo dato alle giornate “La relazione educativa al servizio della persona”, una relazione che intende riscoprire la bellezza dell’educare attingendo dal Vangelo. Con il saluto ufficiale ai partecipanti, martedì 5 aprile alle ore 16, mons. Domenico D’Ambrosio, Arcivescovo di Lecce, darà il via a questi incontri presentati dalla dott.ssa Marcella Rucco, Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Lecce. Prenderà forma, così, un percorso che procederà dalla riflessione biblica a quella didattica, in un susseguirsi ordinato di interventi. Nella stessa giornata, il prof. Giuseppe De Virgilio, docente di Sacra Scrittura dell’Ateneo della Santa Croce di Roma, esporrà la relazione dal titolo “La pedagogia di Gesù nei Vangeli: prospettive per l’insegnamento della religione cattolica”. In questo particolare ambito disciplinare, infatti, non è possibile

prescindere dal Vangelo, essendo esso il codice della pedagogia cristiana che ha ispirato i tratti sostanziali della figura dell’insegnante, di cui si parlerà ampiamente durante il secondo giorno dell’incontro. Mercoledì 6 aprile alle ore 16, la prof.ssa Loredana Perla, docente di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Bari, disserterà su una relazione dal titolo “Gli insegnanti-Maestri e la relazione educativa”. Chi inizia alla fede o ad essa vuole generare, deve essere credibile, affidabile, come si mostrò il Cristo. Nell’incontro con la Sua persona non si percepiva alcun segno di frattura tra le parole e i gesti, ed è proprio da questa integrità che nasceva la sua autorevolezza. Nella pedagogia in generale, ma ancor più nell’educazione alla fede, l’iniziatore deve essere affidabile dal momento che la sua missione specifica, oltre ad essere inquadrata nella missione evangelizzatrice della Chiesa, rimane la formazione integrale della persona umana. D’impronta propriamente pedagogica-didattica sarà, invece, il tema trattato giovedì 7 aprile, sempre alle ore 16, dal prof. Marcello Tempesta, docente di Pedagogia Generale

dell’Università del Salento. Nel titolo del suo intervento “Qualità della relazione, qualità dell’apprendimento”, emerge chiaramente l’intenzione di mettere in luce un rapporto tanto apparentemente logico quanto difficile da realizzare su piano concreto. Al termine di ogni giornata, dibattiti e laboratori tematici permetteranno una partecipazione più attiva da parte del pubblico di uditori, essendo esso quotidianamente a contatto con la realtà educativa che si presenta - oggi, più che in passato - come un compito complesso, costantemente sfidata dai rapidi mutamenti sociali, economici e culturali. ‘La relazione’ protagonista di questo dibattito, indica la carta vincente per un miglioramento qualitativo della scuola e, conseguentemente, della società. Al contrario, quando la scuola realizza il suo progetto formativo trascurando la dimensione relazionale, si impoverisce e viene vissuta per accogliere la domanda educativa, spesso implicita ma reale, alla quale non si risponde con una sterile neutralità e appiattimento. Info: tel. 0832.244609 www.irclecce.it S.C.

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L’AGENDA DELL’ARCIVESCOVO

Domenica 3 aprile 2011 Ore 10.30 - Conferisce le cresime nella parrocchia Ausiliatrice di Monteroni Ore 16 - Incontra presso le Sorgenti Emmanuel il Gruppo dei Cursillios Ore 18.30 - Conferisce le cresime a Novoli-Matrice

Lunedì 4 aprile 2011 Mattina - Udienze Ore 19 - Partecipa alla conferenza sugli Orientamenti del Decennio presso la parrocchia S. Lazzaro

Martedì 5 aprile 2011 Ore 16.30 - Partecipa all’apertura del corso di formazione per gli Insegnanti di Religione Cattolica

Ore 19 - Partecipa al 3° Martedì di Quaresima a S. Lucia di Lecce

Mercoledì 6 aprile 2011 Mattina - Udienze

Giovedì 7 aprile 2011 Giornata di ritiro. In serata visita la erigenda nuova chiesa di Merine

Venerdì 8 aprile 2011 Mattina - Consiglio Presbiterale Ore 18 - Partecipa alla presentazione della Nuova Enciclopedia di Bioetica presso l’Aula Magna della Corte d’Appello di Lecce

Sabato 9 aprile 2011 Ore 19 - Amministra le cresime nella parrocchia S. Maria della Porta

PAGINE DI STORIA

Gli scout di S. Maria dell’Idria una lunga esperienza di condivisione Agli inizi di questo ventesimo secolo, credo il 7/3/2004 i 4 Gruppi Agesci della Città di Lecce si diedero Convegno nella mia Chiesa di S. Antonio da Padova (S. Giuseppe, alla piazza S. Oronzo di Lecce. Era la seconda domenica di Quaresima e si chiudeva la Settimana della Fede, voluta dal nostro pastore mons. Cosmo Francesco Ruppi sin dalla Sua venuta tra noi dal gennaio del 1989. Quell’anno non c’era un Cardinale a celebrare quel giorno festivo di chiusura delle Conferenze nsulla Fede. E in onore del Santo Padre, il futuro Beato papa Giovanni Paolo II. Aveva tenuto la conferenza conclusiva, sabato della 1^ di Quaresima, la sera innanzi il cardinale Saraiva Martins, Prefetto della Congragazione per le cause dei Santi e si apprestava a Celebrare la Messa Solenne della domenica della Trasfigurazione il giorno seguente; sicuro di esser libero in quel giorno dagli impegni romani. Infatti si trattava della proclamazione di un Beato e non toccava a Lui presentarne al Santo Padre la Sua figura carismatica; (come invece avveniva per la proclamazione dei Santi) bensì al Vescovo competente del territorio nel giorno della morte di Lui. La Santa Sede, però a sera inoltrata del sabato innanzi gli diede ad intendere che egualmente si doveva trovare in S. Pietro perché responsabile di quel Dicastero. Fu allora che l’Eccellentissimo mons. Cosmo Francesco Ruppi, prendendo il coraggio a due mani mi chiese tempestivamente se poteva venire nella mia Chiesa in piazza S. Oronzo per chiudere la settimana di celebrazioni quaresimali col convegno scout che già era in programma. Io felicissimo accettai e all’indomani alle ore 9 la mia chiesa era colma di ragazzi e ragazze scout. A 7 anni da quella data ora ricordiamo il ventennale della seconda fondazione degli Scout Agesci a di Santa Maria dell’Idria tenutasi il 27/2 u.s.. I Capi Gruppo dell’attuale Gruppo Scout Agesci Lecce 2 ricordavano il ventennale della loro fondazione presieduto da S.E. mons. Cristoforo Palmieri allora Parroco ed ora, tra noi, Vescovo Missionario di Rreshen in Albania. Il ventennale voluto dal Gruppo Scout è all’insegna dello slogan “Si impara da piccoli a diventare grandi”. È proprio con questo slogan che il Gruppo Scout Agesci Lecce 2 “Santa Maria dell’Idria” ha voluto ricordare la sua ormai ventennale presenza nella Parrocchia. Nato dalla forte volontà di un diverso modo di stare insieme per i giovani dell’allora Parroco Padre Cristoforo Palmieri, ora Vescovo di Reshenn (Albania) e dalla disponibilità del Lecce 1, Gruppo Scout operante nella Parrocchia di Santa Rosa e del suo Parroco, l’amato mons. Vito De Grisantis, ha mosso i primi passi nel lontano 1986 con un Branco misto di 30 lupetti. È divenuto gruppo autonomo nel 1990 e da allora, confidando sempre e soltanto nell’aiuto del Signore e nel sostegno dei parroci che negli anni si sono succeduti, cercando di guardare sempre oltre e lanciare il cuore oltre l’ostacolo, ha continuato la sua attività contando oggi più di ottanta iscritti. Il 26 e 27 febbraio nella sua attività in Parrocchia il Gruppo tutto - educatori, ragazzi e genitori

- ha voluto fermarsi per ritrovare le sue radici, fare il punto della strada per il lavoro svolto in questi anni ma soprattutto ritrovare nuovi slanci per continuare a essere per i bambini, i ragazzi, i giovani palestra di vita attraverso la vita all’aperto, la condivisione, la coeducazione, l’essenzialità, la relazione autentica con l’altro, l’accoglienza del diverso. Le attività si sono concluse con il ringraziare il Signore di tutte le occasioni e le opportunità di crescita per ciascuno e per tutti i componenti il Gruppo, con la Celebrazione Eucaristica presieduta da mons. Cristoforo Palmieri a cui ha partecipato la comunità parrocchiale. “...guardate lontano, e anche quando credete di star guardando lontano, guardate ancora più lontano!” Aggiungiamo in appendice un prezioso intervento scritto dal prof. Gerardo De Benedetto, Chirurgo della Clinica Petrucciani di Lecce dove l’inizio del movimento nella nostra Regione per merito del suo nonno paterno prof. Vito De Benedetto che ancor si ricorda nella memoria dei Salentini. Vito De Benedetto nacque a Gallipoli l’11 settembre del 1899. Conobbe Napoli, Agnes la sorella minore di Lord Baden-Powell che era venuta in Italia nel 1914 per dare il benvenuto al fratello di ritorno da un viaggio in piroscafo, forse il viaggio di nozze. Ed a Napoli conobbe B.P. Aderi al Reci ( Ragazzi Esploratori Cattolici Italiani) e poi nel 1916 seguendo il Conte di Carpegna fondò l’Asci (Associazione Scout Cattolici Italiani) della quale ne divenne il Segretario per tre anni. Fu un acceso sostenitore della sostituzione dell’originale motto “stai pronto”, divenuto poi “estote parati” con un motto in esperanto, lingua ad invocato destino universale che però non ebbe mai futuro. Egli diceva che “come lo scoutismo rende fratelli i ragazzi, così l’esperanto ne avrebbe annullato le distanze”. Sostenne sempre la lotta per combattere la prevenzione e la diffidenza che ancora esistevano circa tale associazione alla quale si era soliti riferirsi come un sistema educativo straniero, laico ed in odore di massoneria, oltre che protestante perché Baden-Powell era anglicano. In Puglia con mons. Ridola e don Gualtiero Lacirignola si adoperò per fondare centri di scoutismo cattolico dal 1956. Il Progetto era difficile ma venne affrontato con entusiasmo e con successo. Fù Rover e dirigente attivo sia a Lacce che a Roma. Morì a Roma il 22 aprile 1973 Oronzo De Simone


L’Ora del Salento

Lecce, 2 aprile 2011

catholica

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CHIESA DI LECCE

Le attività di aprile Domenica 3 Week-end formativo per operatori di pastorale familiare, Lecce, Parrocchia “S. Lazzaro”, h. 9.30 / 12.00 Martedì 5 Catechesi biblica: “La parola di Dio nella pastorale e nella missione della Chiesa” Relatore: don Giuseppe De Virgilio, Pontificia Università “Santa Croce” Roma Parrocchia “S. Lucia” – Lecce, h. 19.00 Giovedì 7 Scuola di Pastorale - Parrocchia “S. Giovanni Battista”, h. 17.00 / 20.00 Venerdì 8 Consiglio Presbiterale - Curia, h. 9.30 Lectio Patrum Lupiensis: S. Cipriano di Cartagine - Seminari a cura dell’Issr - Istituto Marcelline - Aula Magna, h. 19.00 Incontro dei Diaconi - Parrocchia “S.

Sabino”, h. 19.00 / 21.00 Domenica 10 Ritiro mensile per le Religiose Istituto Suore d’Ivrea (via Martiri d’Otranto, 27) Lunedì 11 Precetto Pasquale dei Magistrati Monastero delle Benedettine, h. 9.00 Martedì 12 Precetto Pasquale Guardia di Finanza - Rettoria “S. Francesco da Paola”, h. 8.30 Incontro di formaz. missionaria per animatori parrocchiali - Ist. Marcelline, h. 16.00 Catechesi biblica: “Come interpretare oggi la Sacra Scrittura” Relatore: don Sebastiano Pinto, Facoltà Teologica Pugliese - Molfetta Parrocchia “S. Lucia” - Lecce, h. 19.00 Giovedì 14

Verso nuove frontiere di Bioetica: “Persona e impegno etico” Relatore: prof. Michele Indellicato, Università di Bari Università del Salento - Pal. Codacci-Pisanelli (Porta Napoli), h. 17.00 Scuola di Pastorale - Parrocchia “S. Giovanni Battista”, h. 17.00 / 20.00 Venerdì 15 Incontro dei Preti giovani - Nuovo Seminario, h. 9.30 Sabato 16 Gruppo Giovani “Miriam”: “Gesù, un amico speciale” Monastero Suore Carmelitane Arnesano (via per Materdomii), h. 17.00 / 19.00 Domenica 17 delle Palme Via Crucis Diocesana nel Centro storico con conclusione nell’Anfiteatro, h. 20.00 Giovedì 21 Nel ricordo dell’istituzione della Ss.

Eucaristia Chiesa di Santa Teresa, h. 9.15: Ora Media Cattedrale, h. 9.30: Messa Crismale Cattedrale, h. 19.00: Messa “in Cœna Domini” Venerdì 22 Nella Passione e morte del Signore Gesù Cattedrale, h. 9.00: Ufficio delle Letture presieduto da mons. Arcivescovo Cattedrale, h. 19.00: Commemorazione della passione e morte del Signore Gesù Giornata per le opere della Terra santa (colletta obbligatoria) Sabato 23 Vegliando in silenzio presso il Sepolcro Cattedrale, h. 9.00: Ufficio delle Letture presieduto da mons. Arcivescovo Cattedrale, h. 22.30: Veglia Pasquale

Domenica 24 Pasqua di risurrezione Cristo è risorto! È veramente risorto! Giovedì 28 - venerdì 29 aprile - 1 maggio Terzo Convegno Ecclesiale Regionale - “I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi” San Giovanni Rotondo Venerdì 29 “PrayerLab” Laboratori della fede per ragazzi e ragazze delle Scuole superiori Seminario Arcivescovile, h. 19.45 / 21.30 Sabato 30 Pellegrinaggio della Chiese di Puglia a San Giovanni Rotondo “Incontra Samuel” Week end vocazionali per ragazzi Seminario Arcivescovile (inizio: sabato, h. 16.30 - fine: domenica, h. 12.00)

BIOETICA E BIOFILIA LA RELAZIONE DEL PROF. SALVATORE CIPRESSA Proseguono gli appuntamenti con Seminari di Bioetica organizzati dall’Issr di Lecce in collaborazione con l’Unversità del Salento

Giovanni Paolo II: l’uomo non può vivere senza amore Appare quasi come una profezia il tema trattato nel secondo appuntamento dei seminari di Bioetica tenutosi il 24 marzo scorso nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce. Ad intervenire, questa volta, è stato uno dei coordinatori dell’iniziativa, il prof. don Salvatore Cipressa, docente di Teologia Morale presso lo stesso Istituto. La sua relazione ha un titolo paradigmatico: “Bioetica e Biofilia”. Un vero e proprio controcanto alla marcia di morte che la realtà sta componendo nel pentagramma di queste ultime settimane. Quando è stato messo a punto il programma del presente ciclo di incontri, non si potevano certo prevedere gli eventi che stiamo vivendo: dai disastri naturali, le cui conseguenze si propagano a livello planetario, all’esito dell’ormai malconcia rete di relazioni, che vede anche il nostro Paese prender parte a ‘confronti’ che poco hanno a che vedere con il senso di umanità. L’unica risposta veramente sana ai problemi e alle contraddizioni dell’esistenza umana, nonché senso ultimo dell’etica cristiana, è la biofilia, un incondizionato amore per la vita. La biofilia si concepisce come un progetto di speranza per l’uomo, come amore per la vita, come possibilità di realizzare un’umanità migliore. Ma per realizzare tale progettualità la bioetica ha bisogno di conservare chiara la sua identità, di essere essa stessa etica della vita per saper riconoscere il bene e non cedere ad interessi o ideologie di parte. L’identità della bioetica, che è l’identità stessa dell’uomo, è percepibile quando si ama. Parafrasando il Cogito ergo Sum cartesiano, il prof. Cipressa, ha voluto riflettere sulla locuzione “Amo dunque sono”: non si tratta di pensare, ma di essere e l’identità dell’uomo è l’amore. Nella misura in cui si ama si è. Se non si è capaci di amare si percepisce non l’esperienza di un qualunque fallimento, bensì la frustrazione radicale ed esistenziale. Viceversa, nella misura in cui si ama si sperimenta la pienezza interiore e la bellezza della vita. In questa stessa direzione vanno le parole che Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato in eredità nella sua prima enciclica Redemptor hominis: “L’uomo non può vivere senza l’amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente”. I termini vivere e amare si conferiscono significato vicendevolmente. Amando si diventa capaci di orientare tutto verso la vita e di trasformare anche la morte in vita, la necrofilia in biofilia. In realtà, l’essere umano è biologicamente orientato alla biofilia ma è potenzialmente tendente alla necrofilia. L’amore per la vita costituisce l’orientamento fondamentale della persona, un preciso impegno etico che deve tradursi in comportamenti rispettosi della vita il cui valore, già percepibile a livello razionale, è meglio riconosciuto quando la ra-

SEGNALI DI LAICALITÀ/21

di Tonio Rollo

Ci vediamo nel cortile

gione viene illuminata dalla fede. Non bisogna dimenticare, infatti, che il concetto di vita è insieme antropologico e teologico, impegna l’uomo e Dio. Un Dio che costituisce le radici della vita, un Dio “amante della vita” (Sapienza 11,26), il biofilo per eccellenza. Partendo da queste riflessioni si intende annullare la sterile contrapposizione tra bioetica laica e bioetica cattolica in favore di una bioetica senza aggettivazione, ma semplicemente umana. Una bioetica che, nel pieno rispetto della persona, argomenti e prenda decisioni secondo la recta ratio. Solo una bioetica che considera la vita un dono è in grado di riconoscere e scegliere il bene, in maggior misura in una realtà come quella odierna ove prevalgono atteggiamenti ideologici e antiumanistici. Per contrastarli, la bioetica è chiamata ad orientarsi verso la biofilia, a riscoprire le proprie radici, a rispettare il proprio quadro di valori e a rivedere il proprio statuto epistemologico. Perché la vita è un valore troppo alto: un valore che non può essere negoziabile, ideologizzato o strumentalizzato per fini di varia natura. Serena Carbone

Uno dei peccati meno confessati sembra essere quello legato alle omissioni, cioè al bene che si sarebbe potuto fare, ma non si è fatto. E forse, secondo qualcuno, è uno dei peccati più pesanti (nel senso che spinge più in basso) che possa legarsi “come macina al collo” del “perfetto cristiano”. Ma a questo punto la domanda che nasce spontanea è: ma di quale omissione ci si macchia di più? Secondo i soliti noti si tratta della mancanza di dialogo. Già, noi Chiesa rischiamo di parlarci addosso, ma non vogliamo mai parlare con gli altri, sia perché non sapremmo che cosa dire, sia perché non sapremmo come motivare gli slogan, le frasi fatte che ripetiamo. Ma questo è un problema di cui non deteniamo il copyright! È vero anche questo! Si tratta di un problema comune a tutte le grandi religioni, le filosofie di vita e le ideologie che assolutizzano l’esistenza di un uomo. Si parla, si condanna senza sapere perché si dice e per quale reato si sentenzia. Lo slogan è uno scudo che protegge, ma che non permette il confronto è il dialogo. Sia ben chiaro che dialogo vuol dire avere due persone che, l’una di fronte all’altra, presentano una tesi, le premesse da cui nasce, motivazioni a supporto e le ragioni per cui vale la pena vivere. Giacché si tratta di un confronto che vuole costruire qualcosa “si vede ciò che unisce” e, senza rinnegare le proprie convinzioni, si vede cosa si può fare insieme. Si evitano così integralismi, muri-contro-muro, arroccamenti e scomuniche reciproche senza-se e senza-ma. E’ quello che in certi casi viene chiamato lo spirito di Assisi, con riferimento all’incontro interreligioso di 25 anni fa quando i diversi leader religiosi si incontrarono nella cittadina umbra per pregare contemporaneamente (ma non insieme) per la pace nel mondo. Ma si è mai tentata questa strada? Certo che sì! Ecco alcuni esempi (che peccano di completezza, speriamo!), alcuni del passato prossimo e altri del presente, che dovrebbero dovuto aprire una strada a tutti i livelli ecclesiali. Il primo è il Concilio Vaticano II quando la prima discussione interna e universale della Chiesa Cattolica fu aperta anche ai rappresentanti delle altre confessioni religiose. Il secondo esempio è dato dalla Cattedra

dei non credenti voluta a Milano dal card. Martini: “L’idea della ‘cattedra’ mi è venuta dalle meditazioni che ho tenuto in Duomo, a partire dalla Scrittura, a migliaia di giovani e poi anche ad adulti. Dopo tanti anni occorreva escogitare altre forme. Tra le tante possibili ho pensato a coloro che non sono immediatamente presenti nel fanurn, nel tempio, e ho sentito il desiderio di ascoltare altri, quanto più possibile diversi da noi. Diversi da noi, ma dotati di una tensione spirituale, carica di forza. Sentivo inoltre che nelle nostre parole di comunità cristiana si presupponeva molto, o troppo, di ciò che c’era di più profondo; si passava in certo modo sopra alle grandi opzioni fondamentali, o ai più si richiamavano come ovvie, oppure si offriva qua e là qualche supporto apologetico senza però guardare al fondo. Mi dicevo: occorre creare luoghi, situazioni, trovare qualcuno che ci aiuti, che abbia il coraggio di cominciare. Evidentemente, sarebbero state necessarie alcune condizioni: la volontà sincera di confrontarsi; l’accoglienza, umile, benevola di ciascuno verso l’altro; il desiderio di lasciarsi interrogare dall’altro, senza bisogno subito di rispondere rimbeccando o correggendo o chiarendo, ma lasciando che le interrogazioni prendessero la forma del proprio corpo e della propria esperienza”. L’idea del card. Martini ha dato i suoi frutti. Basti pensare al Convegno ecclesiale di Palermo quando diversi intellettuali italiani (Cacciari, Zincone, Galli delle Loggia) si confrontarono ss’identità della Chiesa in Italia vista dal di fuori. Un momento simile lo abbiamo avuto in diocesi della fase preparatoria al Sinodo diocesano presso l’Ekotecne. L’ultimo, da seguire e approfondire, ci è offerto da Benedetto XVI e il card. Ravasi con il Cortile dei Gentili, chiamato così per ricordare il luogo all’interno del Tempio di Gerusalemme dove i fedeli si confrontavano con le altre “genti” prima di entrare nel Santuario. Si tratta di un percorso itinerante che, dopo Bologna e Parigi, passerà da Tirana, Firenze, poi ci sarà Barcellona, Stoccolma, Valencia, Quebec, Praga e anche Milano. E noi che dividevamo tutto tra sacro e profano; eravamo pronti a cacciare gli altri dal Tempio; ci vedevamo tra di noi nel cortile, ma solo per giocare.


L’Ora del Salento

Lecce, 2 aprile 2011

welfare

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i tutt e lass in c

di Antonio Silvestri

Truffe ad anziani e pensionati: consigli utili

Tentano di derubare un pensionato fingendosi ispettori dell’Inps, ma l’uomo capisce il raggiro e chiama i Carabinieri. La notizia, recente, non riguarda il nostro territorio, ma ci offre l’occasione per trattare nuovamente l’argomento “truffe agli anziani pensionati”. Nel caso citato i due truffatori, finiti in manette per tentato furto aggravato, si sono recati presso l’abitazione di un pensionato di 78 anni chiedendo di vedere il libretto della pensione ed altri documenti. Si è quindi ripetuta la frequente scena di una truffa - stavolta solo tentata - a danno di pensionati. Di solito, le vittime, anziani e spesso bisognosi, attratti dal miraggio di un aumento o impauriti dal controllo in corso, si distraggono ... ed è quello il momento in cui i truffatori colpiscono, portandosi via i loro risparmi. Al riguardo, l’Inps ha da tempo diffuso alcuni precisi consigli: se una persona tenta di farsi ricevere in casa, è opportuno non far entrare nella propria abitazione chiunque si dichiari impiegato o comunque incaricato dell’Inps. Ma anche farsi dire il nome della persona, l’Agenzia Inps a cui dichiara di appartenere ed il motivo per cui si è presentata, quindi controllare telefonicamente presso la stessa Agenzia Inps l’attendibilità di tali notizie. Gli argomenti usati dai malintenzionati sono sempre diversi: tra questi la prospettiva di un aumento, il dubbio che l’importo corrisposto non sia esatto, controlli sui numeri di serie delle banconote, la minaccia che la pensione stessa possa essere ridotta o addi-

La salute prima di tutto di Domenico Maurizio Toraldo

rittura revocata, la necessità di conoscere le coordinate del conto bancario o postale per accreditare somme. Va sottolineato che a nessun titolo i dipendenti dell’Inps sono autorizzati a richiedere, accettare o consegnare a domicilio somme di denaro, né tantomeno a controllare gli importi riscossi o le banconote ricevute. Pertanto, chi dovesse ricevere visite a domicilio a nome dell’Inps, è opportuno che segnali ciò tempestivamente ai numeri di pronto intervento 113 e 112. Gli uffici dell’Inps sono comunque a disposizione per qualsiasi chiarimento e per fornire ogni assistenza volta a chiarire i dubbi degli interessati. Ricordiamo, infine, che è anche possibile chiamare il numero telefonico gratuito 803164 del Contact Center Inps, senza prefisso da tutta Italia. Diverso è, invece, il caso in cui si riceva una telefonata a nome dell’Inps. L’Ente, infatti, in caso di necessità, utilizza il telefono per acquisire più sollecitamente notizie occorrenti alla definizione delle pratiche. Ricevere, quindi, telefonate di tale natura non costituisce di per sé un fatto eccezionale. Ma se le telefonate contengono richieste di carattere personale o patrimoniale tali da sembrare sospette, è consigliabile chiedere - prima di fornire le risposte - il nome della persona, il suo numero telefonico e l’Agenzia Inps a cui dichiara di appartenere, per controllare telefonicamente - presso la stessa Agenzia - che le richieste provengano effettivamente dall’ente previdenziale.

I COLORI DELLA VITA

di Fabio Scrimitore

Strasburgo: il crocifisso rimane in aula Il 30 giugno del 2010, a Strasburgo, soltanto due giudici della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, il dott. Giorgio Malinverni svizzero, ed il dr. Kalaydjieva, di nazionalità bulgara, si sono dissociati dalla decisione della maggioranza. Gli altri 15 giudici hanno voluto accogliere il ricorso con il quale, il 28 gennaio del 2010, il Governo Italiano, specialmente per iniziativa del ministro Gelmini e del suo collega agli Esteri, Frattini, aveva impugnato la sentenza, con cui la sezione di primo grado della stessa Corte Europea aveva dato ragione alla signora Soile Lautsi, l’irriducibile olandese, madre di due alunni dell’Istituto Comprensivo “Vittorino da Feltre” di Abano Terme, che non riesce proprio a tollerare la presenza del Crocifisso nell’aula dei figlioli. Grande era stato l’entusiasmo, espresso il 3 novembre del 2009 dai sostenitori d’una laicità radicale della Scuola di Stato, quando ebbero modo di apprendere che la Corte Europea di Strasburgo aveva dichiarato che la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche costituiva violazione del diritto all’istruzione, riconosciuto dall’articolo 2 del Protocollo addizionale n. 1, allegato alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Corrispondentemente, non meno grande è stato l’entusiasmo che ha avvertito la scorsa settimana la larghissima maggioranza della popolazione italiana, nel sentire che il Collegio giudicante d’ultimo grado della Corte Europea d’Alsazia, contrariamente a quanto aveva deciso la sua prima sezione, aveva riconosciuto che la presenza del Crocifisso in aula rispetta pienamente il diritto che i genitori hanno affinché ai loro figlioli sia impartito l’insegnamento previsto, secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche. Nell’organizzazione del servizio scolastico - hanno precisato i più alti Giudici di Strasburgo - non si può non riconoscere allo Stato nazionale una certa discrezionalità, che consenta di conciliare il rispetto dei diritti del cittadino europeo, con la tutela degli stili di vita della comunità nazionale. Si supererebbe il limite di tale discrezionalità, riconosciuta allo Stato, soltanto nei casi in cui la legge nazionale avesse introdotto, o introducesse, nell’organizzazione delle attività didattiche modalità tali da trasformare la formazione educativa degli alunni in vera e propria azione di indottrinamento. I Giudici di Strasburgo non si sono limitati a questa pur importante affermazione di principio, ma hanno voluto verificare quali sono le reali modalità organizzative della scuola italiana, ed hanno così potuto prendere atto, in particolare, che le disposizioni regolamentari, che obbligano ancora i Dirigenti scolastici a far tenere esposto il Crocifisso nell’aula, non hanno nessunissima possibilità di esercitare alcuna influenza sul processo educativo degli alunni, neppure nei riguardi dei bambini della scuola primaria.

di Vinicio Russo

ILFISCO ED I CITTADINI

Pneumologo

Nuovo test per la diagnosi di tubercolosi Messo a punto un nuovo test diagnostico sperimentale in grado di distinguere rapidamente le persone con tubercolosi attiva da quelli con l’infezione latente. A individuare il nuovo strumento uno studio preliminare realizzato da ricercatori italiani che, se saranno confermati da un campione di popolazione più ampio, permetterà l’uso di un nuovo sistema diagnostico utile per più efficaci strategie di controllo di questa patologia riemergent. E Evento a cui è dedicato, l’incontro al Policlinico Gemelli di Roma, in cui gli esperti faranno il punto sui dati della Tbc in Italia, aspetti clinici, diagnosi immunologica e nuove strategie vaccinali. A individuare il nuovo test sperimentale un gruppo di ricercatori dell’università Cattolica di Roma, dell’Istituto nazionale di malattie infettive Spallanzani di Roma e dell’Università degli studi di Sassari, in uno studio che sarà pubblicato sulla rivista internazionale Plos One. A oggi la diagnosi di infezione da Mycobacterium tuberculosis viene ancora eseguita con il test intradermico della tubercolina, sviluppato agli inizi del XX secolo, usato come mezzo di screening per determinare la diffusione dell’infezione nella popolazione. “Il test della tubercolina spiega Delia Goletti, tra i coordinatori della ricerca presso l’Istituto Spallanzani di

Roma - presenta numerosi svantaggi, primo tra tutti non è in grado di distinguere tra infezione da Micobatteri ambientali (in genere non pericolosi per l’uomo) e da M. tuberculosis. Recentemente è stato introdotto un nuovo test, che prevede un prelievo di sangue, basato su proteine specifiche di Mycobacterium tuberculosis: è in grado di identificare in modo selettivo coloro che hanno la tubercolosi, e quindi questo è un avanzamento rispetto alla tubercolina”. Tuttavia, continua Goletti, “il test del sangue, così come il test della tubercolina, non è in grado di distinguere persone con infezione tubercolare latente da quelli con malattia tubercolare attiva (polmonare o extra-polmonare), e quindi malati”. “I risultati del nostro studio - afferma Giovanni Delogu che assieme a Giovanni Fadda ha coordinato il gruppo di ricerca dell’Università Cattolica di Roma - dimostrano che è possibile distinguere i soggetti infettati da quelli malati, utilizzando un test in cui il sangue prelevato dal paziente viene messo a contatto con una proteina del bacillo, chiamata Hbha”. “La proteina Hbha che può essere utilizzata con successo in questi test - continua Delogu - deve avere caratteristiche particolari e per tali motivi è difficile da produrre”.

La nuova città dell’uomo riparte dalla persona L’obiettivo della città dell’uomo è ridare centralità alla persona-comunità. La persona non è da confondere con l’individuo isolato, senza rapporti, ma è da considerare come un essere che ha forti e continue relazioni sociali, per cui va vista al centro della comunità. La situazione odierna vive gravi difficoltà economiche; tutta la società è in grande sofferenza; vanno perciò rinforzati e rinnovati i sistemi di protezione sociale della persona umana affinché essa possa godere dei suoi diritti fondamentali messi in grave pericolo. Ecco allora che il compito di progettare e costruire la nuova città dell’uomo acquista significato e ne identica più facilmente gli obiettivi e i metodi. Ci ò vale per tutti gli ambiti. Un amministratore che guarda prima di tutto alla persona può progettare in maniera più efficace i propri interventi, sia per ciò che riguarda l’urbanizzazione (oggi selvaggia e non aggregante; và riscoperta, ad esempio, la centralità della piazza), sia per i servizi alla persona, sia per l’ambiente che per la stessa struttura burocratico-amministrativa. Il cristiano è chiamato ad incarnare il Vangelo tramite una conversione autentica che si traduce in attenzione e servizio verso gli ultimi in vista dell’unico giudizio di Dio, sulla carità: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”(Matteo 25, 3536). Il fine ultimo della vita di un cristiano non può essere perciò il profitto o il consumismo, ma è rappresentato dall’elaborazione di un grande progetto di una città-comunità basata sui princìpi del bene comune, della solidarietà e della fraternità. E’ necessario un ritorno alla vita sobria, ma non sufficiente se non supportato da scelte di solidarietà prossime e universali. La nuova città dell’uomo è parte integrante dell’intera umanità. Ecco allora la necessità di un’opera umile ma rigorosa e costante di educazione sociale e politica - nello spirito del Vangelo e dell’insegnamento sociale della Chiesa - a livello delle Chiese locali e impegnando il laicato cattolico. Sono di grande incoraggiamento e di sprone le parole di Giuseppe Lazzati che dopo essere stato ispiratore, è stato anche via illuminata da seguire: “È inutile piangere sul latte versato di un’insufficiente presenza dei cattolici nella vita del paese, se non si provvede in modo adeguato a dare ai cattolici stessi, e in particolare ai laici cattolici, a coloro che sono dentro la vita del paese in tutte le sue espressioni, una struttura spirituale e culturale che li renda soggetti attivi e costruttori di un nuovo progresso nel cammino della civiltà ”. Può essere questa la via da percorrere, e nello stesso tempo un modo per recuperare i tanti cattolici delusi dalla “politica” ma decisi a vivere le proprie scelte evangeliche nel mondo, mediante nuovi luoghi di formazione all’impegno sociale e politico e tramite modi nuovi di dialogo e di confronto, sia militando personalmente in differenti partiti politici che organizzandosi in gruppi di attività sociali e politiche.

Avete solo terreni e fabbricati? 730: l’abitazione principale conta Il suo reddito va considerato per verificare se si è al di sotto del limite che esonera dalla dichiarazione. Il contribuente che possiede solo redditi fondiari (terreni e fabbricati) fino a 500 euro non ha l’obbligo di presentare la dichiarazione. Il limite va verificato considerando anche l’abitazione principale e le relative pertinenze. La regola è stata ribadita dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 35/E del 25 marzo, allo scopo di evitare errate interpretazioni di una delle tabelle inserite quest’anno nelle istruzioni al 730/2011 per semplificare il linguaggio della modulistica. La tabella in questione è quella denominata “Casi di esonero con limite di reddito”, nella cui intestazione c’è l’indicazione generale in base alla quale “il reddito complessivo deve essere calcolato senza tener conto del reddito derivante dall’abitazione principale e dalle sue pertinenze”. Un’indicazione che, quindi, potrebbe anche condurre a “fraintendimenti”. Lo si ribadisce: se si è in possesso soltanto di redditi fondiari, nel calcolo del limite di reddito che esonera dall’obbligo di dichiarazione (500 euro) occorre tener conto anche di quello prodotto dall’abitazione principale e dalle sue pertinenze. La risoluzione fa l’esempio di un contribuente che possiede esclusivamente redditi fondiari, derivanti da un terreno (reddito imponibile di 450 euro) e dall’abitazione principale (reddito di 800 euro). In questo caso, il reddito da considerare è la somma dei due, compresi, cioè, anche gli 800 euro prodotti dall’abitazione principale. Dal momento che l’importo totale - 1.250 - supera il limite di 500 euro, quel contribuente deve presentare la dichiarazione.


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Lecce, 2 aprile 2011

obiettivo

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COMUNICAZIONE E MISSIONE VERSO COMUNITÀ-LABORATORIO L’impegno: “Uscire dal tempio” utilizzando strumenti ormai insostituibili per l’annuncio integrale del Vangelo

Parrocchia e media: qualificante impegno per i laici La valorizzazione del laicato riguarda in modo considerevole la carità intellettuale, e quindi la cultura e la comunicazione sociale. Il necessario rapporto tra fede, ricerca dell’intelletto e strumenti massmediali impegna, infatti, la vocazione e la missione di tutti i battezzati, chiamati a confrontarsi positivamente con i moderni linguaggi. Si pensi alle tante esperienze realizzate nelle parrocchie con i centri culturali che animano le comunità con cineforum, pubblicazioni, dibattiti, mostre, rassegne d’arte e di cinematografia, rappresentazioni teatrali, musical, concerti, radio locali, aule multimediali, corsi d’informatica, siti Internet e social network. Eppure, il notevole impegno profuso dagli operatori pastorali nell’annunciare il messaggio cristiano a volte richiede di essere dotato di modalità espressive maggiormente idonee ad entrare in comunicazione con le gente immersa nella cultura mediatica. E coloro che sono al servizio della Parola in certe circostanze sono pregiudizialmente autolesionisti nel non valorizzare la singolarità dei propri media, mentre potrebbero avvantaggiarsi degli elementi di libertà offerti nel rileggere in modo diverso e confacente al Vangelo le tante interpretazioni totalizzanti. È opportuno, pertanto, che le parrocchie optino con decisione di usare gli strumenti di comunicazione d’ispi-

razione cristiana, cooperando a migliorarli e potenziarli. Certo, non mancano limiti e carenze, perché è difficile coniugare le attività che producono cultura mediatica con mentalità e modelli di comportamento relativistici diffusi nella cultura contemporanea: l’impegno dell’evangelizzazione esige, come affermano da molto tempo Papa e Vescovi, una conversione pastorale che testimoni una nuova relazione tra comunità ecclesiale e opportunità massmediali. C’è bisogno di giornali, radio, televisione, Internet, teatro, sale di co-

munità che sostengano una chiara interpretazione cristiana degli eventi, entrando nel cuore della realtà sociale ed ecclesiale con competenza professionale e pastorale. Non è proprio facile leggere la quotidianità, non solo in modo coerente con i criteri della giustizia, della solidarietà, della pace e della vita, ma anche secondo i principi della verità sull’uomo alla luce della Rivelazione e del Magistero. Sicuramente, ci sono strumenti d’ispirazione cristiana noiosamente autocelebrativi, superati, monotoni,

insignificanti e moralistici. Sono necessari, invece, percorsi cognitivi e formativi che coniughino il radicamento nella vita civile mediante il confronto con il messaggio cristiano e la testimonianza ecclesiale. È chiamata in causa primariamente la parrocchia e in modo particolare il laicato, che deve considerare la comunicazione sociale come efficace sostegno all’azione pastorale, passando da un limitato interesse ed un incerto impegno ad una nuova attenzione. La comunità diventa così laboratorio di un rinnovato rapporto Chie-

sa-mondo, non solo per sostenere il quotidiano nazionale e il settimanale diocesano, interagire con il sito diocesano e a quello parrocchiale, allargare la partecipazione alle iniziative parrocchiali. “Uscire dal tempio” adoperando i mass media significa utilizzare le nuove risorse della tecnica non per sostenere nuove forme di alienazione, ma per realizzare ulteriori possibilità di sviluppo delle relazioni interpersonali, che comunque rimangono insostituibili nell’annuncio evangelico. Adolfo Putignano

ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE Nei secoli la diatriba tra scienza e fede ha visto l’alternarsi di teorie, inquisizioni, abiure e confutazioni che però lasciano ancora oggi molti nodi irrisolti. Sull’argomento, il prof. Giuseppe De Cecco ha tenuto due interessanti incontri nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce. Il primo appuntamento, quello del 21 marzo scorso, lo ha visto impegnato in una relazione dal titolo “Scienza e fede” in cui, già dalle prime battute, ha inteso chiarire la profondità di tale questione spesso erroneamente ridotta ad una semplicistica ambivalenza sacro-profano. Nell’incontro del 22 marzo, invece, protagonista è stato “Il mistero nella scienza e nella religione”. La scelta dell’argomento - che a prima vista può apparire anacronistico - è stata suggerita dalla nostra stessa epoca che, se da un lato manifesta un diffuso senso del sacro, dall’altro non passano certo inosservate le simpatie per un mondo senza scienza e senza pensiero razionale. Viviamo, infatti, in una società impregnata di tec-

Il mistero nella scienza e nella religione nologia, ma sempre più assediata da nuovi profeti, impeti di irrazionalità e falsa ricerca del meraviglioso. Che posto occupano, dunque, in questa società scienza e fede? Nella lettera alla granduchessa Cristina di Lorena, Galilei scriveva più o meno così: “dal cardinale Baronio intesi che l’intenzione dello Spirito Santo è di insegnarci come si vada in cielo e non come vada il cielo”. È forse nelle parole del noto filosofo la risposta all’esasperato contrasto che caratterizza queste due entità. Scienza e fede sono due cose ben distinte e, come tali, andrebbero trattate: mescolarle è un grosso errore, metterle in contrasto per far prevalere una delle due è ancora più grave. Naturalmente, si può essere al contempo scienziato e fedele, ma è indispensa-

bile che lo ‘scienziato fedele’ non faccia dipendere la scienza dalla religione o viceversa. Un rischio facile, questo, dal momento che scienza e fede non sono poi così lontane tra loro: condividono lo stesso obiettivo, la conoscenza, ed entrambe nascono dalla condizione esistenziale dell’uomo che riconosce in sé ed in ciò che lo circonda un mistero, qualcosa che richiede spiegazione. Per suo stesso carattere, il mistero si colloca al vertice di una tensione tra nascondimento e rivelazione, tra chiusura e apertura, desiderio di espansione e necessità di tacere. Sul piano del possesso e della trasmissione della conoscenza, dunque, la nozione religiosa di mistero evolve in quella di gnosi che, nelle religioni intellettualistiche, indicava una dottrina segreta riservata a pochi eletti.

Da questi brevi accenni è possibile capire come, nel corso dei secoli, il termine mistero sia stato confuso con quello di magia, che ha la pretesa di dominare la forza della natura ritenendosi, altresì, capace di rivelare i tempi e i modi di agire. Come nel medioevo - osserva il prof. De Cecco - anche oggi magia e scienza costituiscono un intreccio non facilmente inestricabile: si pensi all’attesa di effetti magici della scienza, in particolare dei pazienti verso la medicina. In questa visione, la fede non annulla il mistero, anzi gli dà una veste nuova, quella di Cristo che rende scienza e fede un supporto l’una per l’altra. La scienza è necessaria alla fede affinché non scada in integralismo o in credulità, in modo da recuperare il ruolo dell’intelligenza nella vita dell’uomo. Dal canto suo, la fede è utile alla scienza perché essa mantenga una certa umiltà e non perda di vista il punto centrale che è l’uomo, mantenendosi al suo servizio. S.C.

In vista del Convegno sul laicato, il collega Vinicio Russo, ha pubblicato un volume per Lupo editore

Progettare da laici cristiani la città dell’uomo a misura d’uomo Il testo nasce da un interrogativo, insistente e doveroso per un fedele laico: “Se un giorno fossi chiamato ad amministrare la mia città, come tradurrei in impegno concreto i princìpi del Cristianesimo che da sempre caratterizzano la mia vita di credente?”. Lo scritto vuole essere uno strumento per la riflessione, la formazione ed il confronto ed è rivolto nello specifico ai laici cattolici che vogliono impegnarsi nel mondo e in politica, ma anche a tutti i Christifideles e a coloro che guardano con attenzione alla amministrazione della propria comunità cittadina. I diversi riferimenti ai documenti del Magistero ecclesiale rappresentano il presupposto per comprendere il ruolo che la Chiesa stessa ha avuto nel tempo, con una particolare attenzione a partire dal Concilio Vaticano II, fino alle recenti prese di posizione di Papa Benedetto XVI e della Conferenza Episcopale Italiana. La Dottrina sociale trova il suo fondamento essenziale nella Rivelazione biblica e nella Tradizione della Chiesa. Il principale punto di partenza che ispira ogni azione del cristiano, è la Parola, il Verbo che diventa vita in Cristo incarnato, natura ed origine di tutto ciò che il credente compie nella vita quotidiana. I cattolici per un impegno politico devono ripartire dal Vangelo e dai docu-

menti del Magistero, ma attraverso quali vie? Giorgio La Pira sosteneva che è controproduente affermare che la politica è una cosa ‘brutta’, che la politica ‘trasforma negativamente le persone’. No: l’impegno politico, cioè l’impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti a cominciare dall’economico, è un impegno di umanità e nello stesso tempo, di “santità”. Parlare oggi di bene comune, politica responsabile, fraternità, città dell’uomo a misura d’uomo: tutto questo può apparire lontanissimo da una cronaca politica divisa tra la tragicommedia boccaccesca delle lussurie dei Potenti e i drammi e le dolorose lacerazioni dei lavoratori nel referendum sul contratto alla Mirafiori. Eppure è giusto e doveroso, per responsabilità e amore verso il nostro Paese, levare una obiezione di coscienza: cercare, ognuno dal proprio ambito di impegno, di andare controcorrente per non conformarsi alla mentalità di questo mondo, come ammoniva S. Paolo. E Martin Luther King, nel suo sermone appunto su questo brano paolino, sottolinea come il cristiano sia un’anticonformista. Potremmo dire che il cristiano è sempre un extracommunitario in questa “valle di lacri-

me”: perché la sua Patria è nei cieli. E proprio questa ‘coscienza escatologica’ non estranea il cristiano dalla storia, ma anzi lo proietta nella società e nella politica, con la forza di una libertà che non si può imbrigliare e frenare: il cristiano è perciò “servo di tutti ma schiavo di nessuno”, come ci ricordava mons. Michele Mincuzzi, citando l’orazione della Messa votiva allo Spirito Santo (Dalla Prefazione di Fulvio De Giorgi). Ecco allora che il compito di progettare e costruire la nuova città dell’uomo acquista significato e ne identica più facilmente gli obiettivi e i metodi. Ciò vale per tutti gli ambiti. Un amministratore che guarda prima di tutto alla persona può progettare in maniera più efficace i propri interventi, sia per ciò che riguarda l’urbanizzazione (oggi selvaggia e non aggregante; và riscoperta, ad esempio, la centralità della piazza), sia per i servizi alla persona, sia per l’ambiente che per la stessa struttura burocratico-amministrativa. Il cristiano è chiamato ad incarnare il Vangelo tramite una conversione autentica che si traduce in attenzione e servizio verso gli ultimi in vista dell’unico giudizio di Dio, sulla carità: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete

ospitato, ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Il fine ultimo della vita di un cristiano non può essere perciò il profitto o il consumismo, ma è rappresentato dall’elaborazione di un grande progetto di una città-comunità basata sui princìpi del bene comune, della solidarietà e della fraternità. Un ritorno, allora, alla

vita sobria è opportuno e necessario, ma non sufficiente, se non supportato da scelte di solidarietà prossime e universali. La nuova città dell’uomo è parte integrante dell’intera umanità. La nuova città dell’uomo. Progettare, da laici cristiani, la città dell’uomo a misura d’uomo, Vinicio Russo, euro: 11.00, pagine: 150. Anna Rita Favale

L’AUTORE Sposato con tre figli, vive a Cavallino (Lecce). Laureato in Lettere e in Scienze dell’Educazione, è docente incaricato di “Progettazione per la Cooperazione” presso l’Università del Salento e consulente progettuale di Cooperazione Internazionale. Ha fondato la ong CTM e ne è stato Presidente per oltre dieci anni. Ha pubblicato testi e articoli sulle tematiche della pace, della solidarietà e dello sviluppo dei popoli. È giornalista pubblicista dal 1986. Il lavoro nella cooperazione allo sviluppo gli ha permesso di conoscere diversi Paesi dell’Africa, dell’America Latina, dell’Est e del Medio Oriente. Specializzato alla Bocconi come manager in servizi socio-sanitari, è cresciuto in ambito ecclesiale col suo impegno nella Caritas (diocesana e nazionale),

nelle Missioni e in altri settori della Chiesa di Lecce (settimanale diocesano, Casa della Pace, ecc.). La tesi dell’ultima laurea in Scienze Religiose, dal titolo: La nuova città dell’uomo. Progettare, da laici cristiani, la città dell’uomo a misura d’uomo, è divenuta la base per l’attuale pubblicazione. Ha pubblicato: Lele - Martire per nonviolenza, Emi - Edizioni, Bologna, 1989. CTM - Movimondo - Solidarietà e sviluppo, Manni Editore, Lecce, 1996. E lo chiamano sviluppo Povertà disuguaglianza e potere nel Mondo, Manni Editore, Lecce 1998. Venti di pace. Teoria e prassi della solidarietà internazionale Martignano - Libano: vent’anni di cooperazione decentrata, (Il gemellaggio: ponte di solidarietà e di pace) a cura di L. Sergio, edizioni Kurumuny, 2010.


L’Ora del Salento 11

Lecce, 2 aprile 2011

zoom CAMPI SAL.NA/ I “no” dei Comuni del Nord Salento non fermano la Regione

NOVOLI/ L’anniversario il cortometraggio

L’ospedale “S. Pio” chiude

Mingo uno spot sulla vita

Il regolamento deliberato il 15 di marzo dal Commissario straordinario dell’Asl di Lecce, Paola Ciannamea, ha sancito la definitiva chiusura dell’Ospedale “San Pio da Pietralcina” di Campi Salentina previsto dal piano sanitario della Regione Puglia. La popolazione del Nord Salento e le istituzioni locali hanno sperato invano in una correzione di rotta da parte del Presidente Nichi Vendola e dell’Assessore regionale alla Sanità Tommaso Fiore. A nulla sono valse le innumerevoli iniziative e le manifestazioni promosse per evitare il rischio a lungo paventato. Il dissenso ad oltranza dei cittadini non ha persuaso il governo regionale. “Abbiamo voluto credere ad una presa di posizione a favore dell’Ospedale di Campi, senza se e senza ma, da parte della maggioranza che sostiene il governo regionale e in particolare del Partito Democratico. Niente; - esprime la propria delusione il Sindaco di Campi, Roberto Palasciano - siamo stati, come comunità del Nord Salento, espropriati di una struttura ospedaliera e, con essa, del sacro santo diritto alla salute. Di questo, sia l’esecutivo che le forze politiche regionali dovranno assumere per intero la responsabilità, anche per non aver mai voluto effettivamente confrontarsi con le istituzioni e le comunità locali. Deludente e inconsistente è sembrata l’azione del gruppo del PD Regionale che, salvo rare eccezioni, si è appiattito sulle scelte dell’Assessore Fiore senza saper incidere in alcun modo sulle scelte dallo stesso effettuate in nome di un risanamento economico della Sanità pugliese che invece aveva ed ha bisogno di ben altre ricette. Alla luce di tutta

questa vicenda ritengo necessario riconsiderare il mio ruolo all’interno del Partito Democratico e, comunque, continuare a far sentire, in rappresentanza della comunità nord salentina, la voce netta e chiara di totale dissenso riguardo alla decisione di chiudere il San Pio di Campi”. Esprime il proprio rammarico anche l’Assessore provinciale, Massimo Como: “È davvero un peccato, e lo dico come cittadino, che una struttura così moderna, ben attrezzata e che ha richiesto un ingente investimento economico venga chiusa. È un peccato che venga chiusa come un problema da debellare perché i conti non tornano, senza guardare ai gravi disservizi che la Sanità dovrà pagare a scapito dei cittadini, appesantendo il carico del Fazzi di Lecce che sta già per scoppiare. L’Ospedale di Campi ha subito l’abbandono delle istituzioni e dei consiglieri regionali, malgrado la nostra comunità

RADIO E DINTORNI

abbia costituito un importante bacino di voti per alcuni di loro, mi riferisco ad Antonio Maniglio, a Dario Stefàno e a Loredana Capone. Rassegnati o disinteressato hanno lasciato andare la situazione alla deriva, senza lottare. Basta vedere il caso degli ospedali di Poggiardo e S. Pietro Vernotico, dove l’intervento risoluto di consiglieri regionali come Antonio Gianfreda e Giuseppe Marino hanno evitato la chiusura delle strutture. Per non parlare delle responsabilità del sindaco Palasciano che si è mosso troppo tardi, ha fatto una battaglia di principio ma non c’era convinzione, lo ritengo un intervento di facciata”. Non manca la replica del Primo cittadino di Campi: “In qualità di sindaco ho coinvolto le istituzioni del territorio dell’Unione dei Comuni del Nord Salento e ho istituito un Comitato permanente ritenendo che questa fosse una battaglia da portare avanti unitaria-

di Alberto Marangio

mente a difesa del diritto alla salute. E le iniziative sono tante, tutte condivise e tutte bipartisan. Dire adesso che si poteva fare di più è facile ma non aiuta in nessun modo a modificare l’esito delle decisioni assunte dal governo regionale verso il quale confermo la mia avversione non solo riguardo al merito delle scelte ma anche al metodo praticato che, mai e sul serio, ha previsto una consultazione con le istituzioni del territorio”. Gli adempimenti riferiti al Piano di rientro adottato il 30 novembre 2010 con delibera della Giunta regionale fissano il crono-programma di dismissione e trasferimento delle varie unità riguardo al “San Pio da Pietrelcina” con il seguente calendario: mentre sono già stati disattivati i reparti di Chirurgia e Ortopedia, dal 15 aprile saranno sospesi i ricoveri in Medicina e in Lungodegenza, dal 15 giugno prossimo sono sospesi i ricoveri presso il reparto di Psichiatria e dal 1° luglio prossimo, infine, sarà chiusa l’unità di Pronto soccorso. Tutti i reparti saranno, di volta in volta, trasferiti e accorpati all’ospedale “Vito Fazzi”di Lecce. Le difficoltà economiche in cui versa la Sanità della Regione Puglia compromettono così i criteri di erogazione dei servizi a favore della sanità pubblica e quindi il diritto alla salute dei cittadini. La soppressione di reparti e la mobilità di personale che dovrà delocalizzarsi e affogare altre strutture già sovraffolate, come il “Vito Fazzi”, probabilmente non riuscirà a porre rimedio alla situazione finanziarie ed è certo che non contribuirà a migliorare la qualità dei servizi stessi. Sara Foti Sciavaliere

Parla ai giovani, ma vuole far riflettere soprattutto gli adulti, “L’Anniversario”, il cortometraggio interpretato e diretto da Mingo De Pasquale, storico inviato di Striscia la Notizia. Girato interamente in Puglia, il lavoro cinematografico vuole aiutare a riflettere con ironia sul pressante tema della sicurezza stradale. Ecco perché, alla presentazione di sabato 26 marzo scorso, nello splendido teatro comunale di Novoli, in provincia di Lecce, c’erano soprattutto le scolaresche, in rappresentanza di tutti i giovani del Salento. Ma c’erano anche le Istituzioni, con il sottosegretario Alfredo Mantovano che ha confermato l’interesse del Ministero degli Interni per il progetto che, come confermato dallo stesso Mingo, dovrebbe “essere diffuso e distribuito a livello nazionale, soprattutto nelle scuole”. Presenti all’incontro anche la vicepresidente della provincia di Lecce, Simona Manca, il sindaco di Novoli, Oscar Marzo Vetrugno e la presidente della fondazione “Città del Libro”, Novella Guarino, oltre a rappresentanti della cultura e dell’associazionismo pugliese. Tra gli ospiti anche Rosario Tornesello, caposervizio del Quotidiano di Lecce e Giuseppe Vernaleone di Tele Rama. Ad organizzare l’anteprima l’Associazione “Campus Giovani”, da oltre un ventennio impegnata nella promozione della cultura tra i giovani del Nord Salento, che proprio con Mingo testimonial lanciò già nella scorsa estate la campagna per la sicurezza sulle strade: “la vita non è uno scherzo prendila sul serio”. “L’Anniversario” è un lavoro diretto, coinvolgente ed efficace. In poco più di dieci minuti racconta il viaggio rituale di una coppia che, ogni anno, ritorna sul luogo dove, vent’anni prima tutto è cominciato. “Il tema finale è quello degli incidenti stradali dei ragazzi spiega Mingo - che pure affronto parlando della vita e della bellezza di viverla appieno. Mi rivolgo a tutti - continua - con una leggera ironia che vuole aiutare ad affrontare il problema”. Oltre a Mingo, protagonisti del cortometraggio sono Serena Garitta, Moreno Morello, Daniela Mazzacane e la piccola Annabella Cutri. Il soggetto è di Mingo De Pasquale mentre la sceneggiatura è stata scritta da Michele Bia. Direttrice della fotografia è Roberta Allegrini, la produzione del corto è di Mec Produzioni. Lucia Buttazzo

APOLOGETICA di Roberto Cavallo*

In radio, i 150 anni dell’Unità d’Italia

Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale

Nell’arco del mese appena terminato, l’anniversario per i 150 anni dell’Unità d’Italia ha coinvolto l’intero panorama radiofonico nazionale in una maniera decisamente inattesa. Tante le emittenti che hanno modificato i palinsesti e in particolare le abituali playlist in funzione dell’evento, riproponendo musiche vecchie e nuove e, soprattutto, sottolineando il significativo contributo fornito da queste nella maturazione di un’identità nazionale. Rtl 102.5, ad esempio, ha celebrato la ricorrenza dedicando la propria programmazione alla musica degli anni tra il 1930 e il 1960, giunta a noi attraverso le voci di artisti come Domenico Modugno, Claudio Villa e Nilla Pizzi. Così anche Radio 101, che ha combinato canzoni della tradizione e interviste a testimonial rappresentativi dell’eccellenza italiana, in qualità vincitori di premi Oscar o Nobel, di campioni dello sport, di artisti acclamati anche all’estero. Radio 24 ha realizzato nella serata del 16 marzo lo speciale “Notte tricolore”, collegandosi in diretta con le piazze di molte città ed aprendo i propri microfoni a chiunque volesse raccontare il proprio anniversario, mentre Radio DeeJay ha voluto festeggiare investendo soprattutto sulla propria immagine, modificando per l’occasione il tradizionale claim “One nation, one station” nell’insolito “Una nazione, una radiostazione”. È stata tuttavia ancora una volta Radio3, infine, ad orientarsi verso la soluzione più ambiziosa, puntando come sempre anzitutto sulla qualità dei contenuti offerti. Dal 17 marzo fino a domenica 20, infatti, in aggiunta agli speciali realizzati da ciascun programma, sono stati proposti quattro appuntamenti ricchi di significato per il passato ed il futuro del Paese. Nella mattina di giovedì 17, ad esempio, è stato trasmesso il concerto diretto nel 1946 da Arturo Toscanini per l’inaugurazione del ricostruito Teatro alla Scala di Milano, mentre in serata Radio3 Suite si è collegata con il Teatro dell’Opera di Roma, dove - alla presenza del Presidente della Repubblica - si è festeggiato l’anniversario con il “Nabucco” di Giuseppe Verdi, diretto dal maestro Muti; venerdì 18, in collegamento con il Teatro Regio di Torino, sono stati poi proposti “I vespri siciliani” dello stesso Verdi, mentre domenica è stata infine trasmessa la diretta del concerto tenutosi presso il palazzo del Quirinale. Merita infine di essere ricordata la possibilità, offerta da Radio3, di recuperare anche in altre momenti la straordinaria programmazione fino ad ora accennata, un’opportunità come sempre realizzabile semplicemente collegandosi al sito www.radio3.rai.it.

“Deve essere frustrante essere uno storico dell’Europa medievale: per quanto si lavori e per quante prove si producano a dimostrazione del contrario, è ancora estremamente diffusa la convinzione che il Medioevo fu un periodo intellettualmente e culturalmente sterile, e che la Chiesa null’altro lasciò in eredità all’Occidente se non la repressione”. Con queste parole esordisce lo storico americano Thomas E. Woods Jr. nel suo volume “Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale”, tradotto e pubblicato in Italia da Cantagalli (Siena, 2007, pagg. 270). L’immagine dei “secoli bui” prodotta dall’Illuminismo e veicolata dalla scuola pubblica resiste, infatti, anche agli approfondimenti scientifici più qualificati e rigorosi. Ben vengano allora testi come quello di Thomas Woods, che fanno giustizia degli innumerevoli luoghi comuni anti-cristiani. I detrattori del Medio Evo sorvolano, per esempio, sul fatto che fu proprio nell’Europa dei cosiddetti “secoli bui” che si sviluppò, grazie alla Chiesa cattolica, il sistema universitario. Woods sottolinea come il dibattito intellettuale in quelle università fosse libero e privo di restrizioni: “L’esaltazione della ragione umana e delle sue capacità, l’impegno in un dibattito rigoroso e razionale, una promozione dell’indagine intellettuale e dello scambio di idee - tutti elementi promossi dalla Chiesa - fornirono la cornice alla Rivoluzione scientifica, un fenomeno sconosciuto alle

altre civiltà.” (pagg. 1112). Se generalmente si riconosce il contributo dato dai monaci medievali alla preservazione dei classici attraverso la copiatura dei codici (ma Umberto Eco con “Il nome della rosa” mirava a minare pure questa certezza!), non molto si sa di quanto i monaci fecero per bonificare il territorio, dando all’Europa una rete di fattorie modello e di centri di allevamento. Non a caso ancora oggi i prodotti delle erboristerie monastiche (per quanto di esse rimane) sono particolarmente apprezzati e ricercati. Ma soprattutto si dimentica che, come ricorda un altro storico anglosassone, Christopher Dawson, “…la Chiesa dovette assumersi il compito di introdurre la legge del Vangelo tra popoli che consideravano l’omicidio l’occupazione più onorevole e la vendetta sinonimo di giustizia”. Era il mondo dei barbari, della cui lingua i Romani erano appena riusciti a mettere insieme le parole “bar, bar, bar”, da cui probabilmente è derivato il termine “barbaro”. Quel mondo sconosciuto e feroce, che aveva mandato a pezzi l’impero di Roma, fu trasformato dalla Chiesa in una nuova civiltà. Lo vedremo meglio la settimana prossima. * www.recensioni-storia.it


Lecce, 2 aprile 2011

le nostre città

L’Ora del Salento 12

SOLETO/Una statua della Madonna per i paesi del Salento

I passi di Maria di Nazareth Vi è una statua che rappresenta una deliziosa immagine di Maria, la quale partendo dalla sua città, sin dal 1998, ha visitato le principali capitali del mondo incontrando di volta in volta nuovi popoli. La Vergine, che è stata appena restaurata dall’autore, V. Mussner di Ortisei, per un breve periodo sta peregrinando in Puglia prima di ritornare nella sua sede naturale: La Basilica dell’Annunciazione a Nazareth. L’attuale iniziativa è curata dal francescano P. Michele Perruggini, delegato per la Peregrinatio dal Custode di Terra Santa, M.R.P. Pierbattista Pizzaballa. Nel suo cammino, la Vergine, si appresta altresì, a visitare luoghi speciali come case di riposo per anziani, ospedali per bambini, reparti oncologici, carceri, tutti luoghi questi, intrinseci di dolore che necessitano dell’illuminazione della fede. In questi giorni la statua di Maria di Nazareth, è giunta, dopo un lungo peregrinare, nel Santuario Madonna delle Grazie di Soleto. Dopo gli applausi e l’entusiasmo dettati dal suo arrivo, l’omelia è stata accompagnata da un devoto silenzio dentro il quale ognuno racchiudeva pensieri, speranze, invocazioni. Quanti dolori caratterizzano questo tempo, quante sofferenze, quanta precarietà. La gente è addolorata perché ha perso i suoi punti di riferimento. L’uomo è confuso, smarrito, ma Maria è qui per ricordare che nessuno è solo e che nulla è impossibile a Dio. Si è detto che tanti prodigi accompagnano il passaggio di Maria e proprio di questi prodigi si è parlato con P.

Michele, da ringraziare per la sua particolare disponibilità e per quella luce percettibile nei suoi occhi quando racconta di Maria. Il primo prodigio è che Maria tocca i cuori e lo fa permettendoci di ricostruire il nostro cammino attraverso una sofferenza redentiva. Il cammino di Maria, quello che Lei ha vissuto e che propone a noi è: leggere con gli occhi della fede la sofferenza, il disagio, la solitudine che quotidianamente attanagliano le nostre vite, per ricevere in dono lo Spirito e possedere il Regno. L’invito imperioso è prendere in mano la propria situazione e metterla nelle mani di Cristo, perché in questo modo tutto ciò che ci procura dolore non potrà più fare paura e non avrà il potere di condurre alla disperazione. Una sola è la strada: camminare con Cristo così come ha fatto Maria. Gli altri prodigi della Madonna, raccontati da P. Michele riguardano le guarigioni fisiche, di cui lui stesso è stato testimone e le guarigioni morali, quelle dell’anima come la speranza che Maria di Nazareth lascia nei cuori dei suoi fedeli. A quanti leggono quest’articolo, si augura la pace del cuore e la serenità dell’anima. M. Giulia Bray

È nata la nostra cuginetta Irismaria. Benvenuta tra noi. Riccardo, Mariele e Alessandra.

CAMPI SAL./Il nuovo mosaico di Alberto Giangrande

La vendemmia, storia e cultura “Aure pregne di vita per vendemmia festanti”: quando Alberto mi confidò l’ambizioso progetto di creare un grande pannello in mosaico che celebrasse, o meglio elevasse un inno, anzi un epicedio, all’attività tutta umana, che dette il nome ad una cultura, in cui oggi non ci riconosciamo più, la cultura contadina, l’unica cultura hominis, intorno a cui è intessuta la nostra civiltà mediterranea e cristiana, fatta di lavoro, il durus labor virgiliano, che vince le durezze della vita; durus, ma religiosamente accettato; durus ma fondato sulle virtù, che il Cristianesimo ha sublimato nella fede, nella speranza e nella carità; durus, ma non tale da riempire il tempo senza lasciare uno spazio alla riflessione , al ripiegamento, alla riconciliazione, mi venne in mente la figura di uno spirito libero, laico, severo osservatore e lucido e coraggioso critico di un mondo affascinato dai luccichii accattivanti, che deprimono, deturpano e snaturano il senso della vita. Era Niccolò…ma gli piaceva essere Ugo, era un greco, ma sposò l’italianità tradita nella sua “serenissima” Venezia, disgustato dai festini di una città “d’evirati cantori allettatrice”, “ramingo” ma per scelta, con la nostalgia di una patria ideale, Firenze, cui lasciare “non di

tesori eredità, ma di liberal carme l’esempio”, e dai “Sepolcri” prendemmo in prestito l’immagine carica di significati morali e civili. ….E … sì! … perché Bacco, che troneggia al centro della composizione con l’aureola di grappoli copiosi e lussureggianti, è solo l’icona, il simbolo antico della fertilità legata all’ebbrezza, che dà vitalità, dinamismo, genialità, che si snoda coralmente e si completa nelle figure umane che si integrano nel groviglio di pampini, tralci, cesti, botti, includendo con le loro fisionomie espressioni sorridenti alla vita, che si rinnova, o nostalgiche, o pensose…tutto un mondo morto e sepolto, che l’artista, pazientemente ricostruisce pezzetto pezzetto con perizia di artigiano, ma con quella istanza segreta, latente, che non si esibisce mai e che è implicita al manufatto, meglio alla creazione, la provocazione culturale. L’opera finita è stata presentata, il 18 marzo scorso dalla trasmissione televisiva “Salento da amare” di Telerama in un servizio della brava e sensibile Giuliana Coppola, commentato alla presenza di un gruppo di amici dell’artista nel suo laboratorio. Ennio Monastero

La marcia A tubo di Abbate QUANDO LA BANDA PASSÒ Compositori e marce

di Antonio Martino

Dopo aver riflettuto sui possibili percorsi uditivi relativi all’inno nazionale, si torna alla marcia sinfonica “A tubo!” di Ernesto Paolo Abbate. I passaggi “stereofonici” (secondo segmento), evidenziati nei numeri precedenti, annunziano il giungere di un vero e proprio tema, il quale viene anticipato da un brevissimo tappeto sonoro realizzato dai soli flicorni contrabbassi e dal contrabbasso ad ancia. Non può sfuggire la terminologia usata, in questo caso, nell’indicare la presenza di uno sfondo sonoro e non armonico perché l’articolazione delle parti avviene attraverso la sola presenza dei flicorni contrabbassi sia nel tempo forte sia nel tempo debole: è una singolare scelta timbrica utile a realizzare un’immediata presenza del sostegno armonico ma senza esplicitare la reale fragranza accordale; a sostenere tale situazione viene utilizzata solo la grancassa affinché alimenti una coloritura più profonda e scura. Il terzo segmento giunge subito dopo, realizzato dall’intervento dei clarinetti contralti, del sassofono soprano, dei sassofoni contralti, del sassofono tenore, del sassofono baritono, delle cornette in sib., delle trombe in mib., del flicorno sopranino, dei flicorni soprani, dei flicorni tenori e dei flicorni baritoni. La melodia ha una configurazione sonora impostata sulla scala minore armonica e con del materiale ritmico - melodico usato in parte nel secondo segmento. Così si concretizza una nuova idea alimentata da una tensione timbrica e controbilanciata da un dinamismo molto leggero e

soffuso in grado di stabilire un contatto privilegiato con l’ascoltatore. La risposta giunge attraverso il gruppo di strumenti momentaneamente “a riposo” nella fase di proposta: compaiono i primi e secondi clarinetti soprani, il clarinetto piccolo in mib., gli oboi e i flauti per descrivere un movimento ascendente ricco di emotività e solarità. Tale situazione prosegue con l’innesto di una nuova proposta affidata esclusivamente al clarinetto piccolo in mib e ai soli primi clarinetti soprani su un assetto dinamico del pianissimo; il sostegno ritmico - armonico è realizzato dai secondi clarinetti soprani (divisi in tre parti) con singole crome staccate sul tempo debole e dai clarinetti contralti con una serie di coppie di crome staccate. L’intervento di sostegno è supportato anche dal sassofono soprano, dai sassofoni contralti, dal sassofono tenore, dal sassofono baritono e dai corni; questi ultimi, insieme ai primi tre strumenti, amplificano l’azione d’intervento dei secondi clarinetti soprani, mentre il sassofono baritono appoggia con fermezza l’intervento dei clarinetti contralti. Il risultato che ne consegue è un intenso bozzetto timbrico imbevuto di una leggiadra fragranza sonora quasi volesse spiccare il volo per raggiungere più intense coloriture timbriche - dinamiche. L’ascoltatore percepisce l’evidente l’itinerario distribuito su due macro gruppi dell’organico strumentale: ottoni e ance si ricorrono per realizzare un affascinante dialogo tra le parti.


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Lecce, 2 aprile 2011

le nostre città FUORI DAI DENTI

di Loredana Di Cuonzo

La riedizione di uno studio di Zichichi riapre il dibattito

Se la tv inganna? Eccome! Il grande mistero del tempo Wikipedia è uno dei fenomeni della “Società della Conoscenza” . Un sistema open source che sempre più si arricchisce di contenuti scientifici, condivisi, controllati nella loro attendibilità. Abbiamo cercato il termine mistificazione. Questo quanto ne è venuto fuori: “L’inganno o la mistificazione consistono (...) nella deformazione a proprio vantaggio della realtà altrui”. Una definizione di Amedeo Benedetti, uno scrittore italiano. Continua l’enciclopedia on line: “La mistificazione è pertanto molto usata nella guerra, nella propaganda, in politica, e nella teoria dei giochi, oltre che, ovviamente, nei rapporti interpersonali”. Tre “luoghi” su quattro ci sembrano più che mai oggetto di cronache quotidiane. La nota storica che segue potrebbe avere un vago sapore consolatorio: “La mistificazione è spesso usata, da tempo immemorabile, e con disparati fini, in ambito letterario e storico, con il confezionamento di opere, documenti e fonti storiche false”. Un esempio potrebbe essere la “Donazione di Costantino”. E veniamo all’ambito dei mass media: “un caso tipico di utilizzo della tecnica di distrazione si ha quando viene dato grande spazio a una notizia poco importante, ma di forte impatto verso il pubblico, per evitare di parlare di altre notizie considerate “scomode””…. sic!. La mistificazione c’è anche in natura. Wikipedia ci ricorda che “alcune delle tecniche di mistificazione si ritrovano... nel caso dei polpi che spruzzano una nuvola d’inchiostro per sfuggire ai predatori (tecnica della distrazione) o che cambiano colore per confondersi con l’ambiente circostante (tecnica della mimetizzazione)”. Tanto premesso, verrebbe da chiedersi come pos-

siamo classificare l’azione di Rita Dalla Chiesa in onda tutte le mattine alle 11 sull’ammiraglia Mediaset nel programma Forum. Il fatto è presto descritto: nella puntata andata in onda venerdì scorso si era discussa una causa tra due, falsi, coniugi separati aquilani. In questa falsa “causa” la donna chiedeva all’ex marito 25 mila euro per poter rilanciare la sua attività di vendita di abiti da sposa. Lui rifiutava in quanto sosteneva che l’Aquila è ormai distrutta e che l’investimento sarebbe stato un fallimento. La moglie insisteva affermando che tutte le attività hanno riaperto in paese e, in seguito a questa considerazione, per ben due volte ringraziava il Presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, per quanto fatto poiché ormai la cittadina, a suo dire, sarebbe in piena ricostruzione. Agli autori tutto questo non bastava e alla figurante, parlando degli sfollati del terremoto, si faceva affermare che: “Sono rimasti fuori solo trecento, quattrocento persone che stanno in hotel perché gli fa pure comodo, mangiano, bevono e non pagano nulla, pure io ci vorrei andare”. Il 6 aprile prossimo sarà l’anniversario del sisma che ha devastato la città abruzzese e la situazione è nota a tutti. Tra le indignate reazioni degli aquilani riportiamo quella dell’Assessore alle Politiche Sociali della città, che si è scagliato contro la condut-

trice Mediaset, accusandola di aver “ospitato in tv due falsi cittadini aquilani per dar voce a una devastante rappresentazione di una tragedia”. La Dalla Chiesa ha reagito con veemenza respingendo le accuse e affermando con toni arrabbiati: “Vergogna a me? Vadano a rivedersi tutto quello che noi abbiamo fatto per l’Aquila. Io spot per il Presidente non ne ho mai fatti”. Peccato che Marina, questo il nome “d’arte” della sedicente aquilana, sia stata raggiunta dal quotidiano la Repubblica, e sembra pronta a confermare la tesi della montatura: “Io non c’entro nulla - avrebbe dichiarato - ho chiesto di partecipare alla trasmissione e quando gli autori hanno saputo che ero abruzzese, mi hanno chiesto di interpretare quel ruolo. Mi hanno spiegato loro quello che avrei dovuto dire”. 300 euro, pare, sia stato il compenso per applaudire al governo. Riprendiamo la definizione del termine oggetto oggi di riflessione, mistificazione: “L’inganno o la mistificazione consistono (...) nella deformazione a proprio vantaggio della realtà altrui”. A ciascuno le sue considerazioni.

NOZZE D’ORO 1961 - 3 APRILE - 2011 A Emilia e Salvatore gli auguri e la gratitudine dei figli, dei nipoti e di tutti i famigliari per cinquant’anni d’amore esemplare

Il grande problema del tempo affascina sin dalle origini l’uomo. È probabilmente la dimensione più misteriosa dell’esistenza non solo dell’uomo, ma di tutta la creazione, e su di essa sono stati versati oceani d’inchiostro, dai manoscritti arcaici alle trattazioni filosofiche, alle teorie scientifiche, alla poesia. Perfino i Pink Floyd si sono interrogati in “Time” sul significato del tempo metropolitano e sul senso dell’attesa che da esso sembra scaturire (“sciupi e perdi le ore in una via fuorimano / gironzolando in una parte della tua città / aspettando che qualcuno o qualcosa ti mostri la via”), ma un po’ tutti ci si sono cimentati. Come non ricordare le inquietanti riflessioni di un Eliot che già prima della conversione citava l’ecclesiaste (“Ci sarà tempo per uccidere e creare / e tempo per tutte le opere dei giorni”) e la visione del paradiso dantesco di un non-luogo in cui cadono tutte le differenze e movimenti, dove il tempo non ha più senso? La scienza ha contribuito da sempre ad alimentare queste domande, fin dai tempi in cui era tutt’uno con la riflessione filosofica, fino alla scoperta dell’intima relazione spaziotempo fatta da Einstein, che ha rivoluzionato il modo d’intendere la realtà. Per rimanere nel campo della scienza, la ristampa del volume di Antonino Zichichi “L’irresistibile fascino del tempo” (Tropea edizioni, 299 pagine) ci aiuta a capire come uno dei più importanti studiosi delle forze subnucleari e dell’antimateria affronti la grande questione. Tutti sanno che Zichichi è credente, ed è nota la sua produzione divulgativa finalizzata al riconoscimento del Grande Progetto divino. Il che, operato da uno scienziato di fama internazionale, è segno di come la ricerca scientifica non abbia messo una tombale parola “fine”

alle possibilità del riconoscimento della creazione intelligente, come molti invece sostengono. Qui si parla di tempo, della sua più intima essenza, del fatto che esso vada solo in una direzione: “Finora nessuno ha capi to qual è il meccanismo fondamentale che sta alla base di questo formidabile fenomeno, tanto importante per la nostra vita”. Il mistero rimane tale, insomma, ma intanto lo scienziato ci ha fatto riflettere su cose che ci sembravano scontate, come il passare del tempo. Il sottotitolo del volume, “Dalla resurrezione di Cristo all’universo subnucleare”, ci fa capire che l’autore ritiene indissolubilmente legate la ricerca del significato del tempo e l’attività di una Mente creatrice ed ordinatrice. Non solo: Zichichi attribuisce alla fede, anzi, alla mistica, il merito di aver permesso l’esatto (ovviamente con approssimazioni) calcolo umano di quello che noi chiamiamo tempo. “Parlare nel Terzo Millennio di una concezione mistica del Tempo non è assurdo come qualcuno potrebbe pensare. Non esiste infatti alcuna scoperta scientifica che possa essere portata come prova per negare l’esistenza di questa dimensione legata alla sfera trascendentale della nostra esistenza”. Il messaggio è deciso: non esiste contraddizione tra la ricerca scientifica e la fede, perché, dice Zichichi, più si va avanti con questa ricerca e più si capisce che dietro ogni cosa c’è un Piano creazionale. Anche nella ricerca finalizzata ad agganciare la nostra nozione di tempo alle stagioni c’è dunque una traccia di tra-

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scendenza. Perché all’origine del nostro calendario, dice Zichichi, c’è la “figura splendida di abate, Dyonisius Exiguus, venuto dal Caucaso (…) che studiò con passione religiosa le date in cui nacque Gesù e in cui avvenne la sua Resurrezione”. La “straordinaria precisione” del calendario gregoriano prende spunto dalla ricerca di Dionigi il piccolo. Il tempo ci trascina inesorabilmente via, causa la perdita dei cari e la nostra stessa: tutti i grandi ne hanno parlato, da Eraclito a Orazio, da Petrarca a Goethe, di cui Zichichi cita il celebre grido lanciato nel Faust: “Fermati o tempo, sei così bello!”. Ma ci piacerebbe davvero il fermarsi del tempo? No, dice lo scienziato-credente, p erché significherebbe fare della parte un tutto, una totalità senza movimento, mentre noi siamo sì una parte, ma che sta tornando ad un Tutto dal quale un giorno è stata separata. È vero dunque, secondo quest’ottica, ciò che la fede ha sempre saputo, e non solo in campo cristiano, che la vita è un cammino di ritorno durante il quale talvolta intravediamo la Casa da cui ci siamo staccati. Libro dunque interessante per capire alcune riflessioni che pone la scienza contemporanea, anche se spesso le spiegazioni non sono del tutto comprensibili, se a leggere è un non addetto ai lavori, e anche se permane una vis autoreferenziale che può ingenerare un qualche fastidio nel lettore. Marco Testi

di Alessandra De Matteis

Nessuno mi può giudicare di M. Bruno Torna al cinema l’allegra compagnia di amici toscani, ossia la saga di “Amici miei”, che fa un salto nel passato e diventa “Amici miei - come tutto ebbe inizio”. Nella Firenze del tardo 400, quella di Lorenzo De’ Medici si rincontrano gli spensierati amici che non sono pronti a crescere, bensì a far baldoria. Duccio, Cecco, Jacopo, Manfredo e Filippo sono fautori di scherzi e, neanche la peste li fa desistere dalle loro “zingarate”. Anzi, quella drammatica situazione pare la più fertile per agire liberi e indisturbati e dare seguito ai loro scherzi. Una città rinchiusa e spaventata è infatti l’ideale per far cadere dei malcapitati nelle beffe organizzate dai cinque amici per esorcizzare la paura della morte con la vita. E quando, dopo l’ultima beffa ai danni del le-

gnaiolo ed eroe del calcio in costume Alderighi, sembrano scarseggiare le vittime, perché non prendere di mira a sua insaputa proprio uno di loro? È così che Cecco diventa oggetto di una memorabile bravata dei goliardici amici. Bravata in cui giocherà la sua parte anche Lorenzo il Magnifico in persona. Neri Parenti, che firma la regia del film, sceglie come protagonisti di questo prequel volti noti del cinema e della Tv nostrana come: Christian De Sica, Michele Placido, Giorgio Panariello, Paolo Hendel, Massimo Ghini, Massimo Ceccherini. Come si poteva prevedere, il film è molto simile ai cinepanettoni e, non può essere paragonato ai suoi predecessori. Tutto sommato, il regista si impegna a costruire una commedia ben funzionante e completa. Inoltre, per riuscire nel suo obiettivo si fa aiutare dallo sceneggiatore

Piero De Bernardi che firma anche il soggetto con Leo B e nv e nuti e Tu l l i o Pine lli (gli autori dell’originale, cui è dedicato il film). Purtroppo però, tutto questo non basta a far rivivere la commedia italiana di un tempo. Di “Amici miei” del passato c’è veramente poco, manca il colpo di genio e la risata scaturita da sketch intelligenti. In ogni caso, come quasi ogni film prodotto da Luigi De Laurentis, anche “Amici miei - come tutto ebbe inizio” è destinato a fare il boom al botteghino, la formula ridere senza riflettere sembra essere sempre vincente.


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Lecce, 2 aprile 2011

appunti

P. Torday. Vita avventurosa di P. Torday È una vivace satira inglese quella in cui Paul Torday crea il suo quarto romanzo, “Vita avventurosa di Charlie Summers”, pubblicato in Italia da Elliot. Paul Torday è famoso per il suo lavoro d’esordio, il bestseller internazionale “Pesca al salmone nello Yemen” pubblicato nel 2006, e poi successivamente con “La ragazza del ritratto” si conferma come uno dei più originali autori inglesi contemporanei. In “Vita avventurosa di Charlie Summers” Torday ripropone lo stesso stile ironico usato in “Pesca al salmone nello Yemen” che gli ha regalato il successo e la fama. Ma, come nella vita reale, non c’è solo da ridere, non è solo una sorta di commedia dell’arte, ma si soffre, si piange come accade nella vita vera. Il romanzo racconta la sto-

ria di Hector Cletwide-Tolbot, detto Eck per gli amici, e del suo alter ego, Charlie Summers, due uomini apparentemente molto diversi, come il giorno e la notte, ma che mostreranno di essere anche molto simili nel loro intimo. Hector Cletwide-Tolbot ha prestato servizio come ufficiale in Afghanistan, e, dopo l’uccisione per errore di un gruppo di civili, fatto che ha sconvolto la vita di Eck, e costretto a lasciare l’esercito ed a tornare in Inghilterra. Eck è devastato dai sensi di colpa e la possibilità di reintegrarsi nella vita di tutti i giorni gli viene offerta dall’amico Bilbo, un ex compagno di scuola intelligente e brillante, proprietario di una società di servizi finanziari, la Mountwilliam Partners, che gli offre un lavoro di public relation, semplice ed ottimamente retribuito. In verità Eck capisce poco e

c@ttolici in rete argo

IL POLLICE

APPROFONDIMENTI Nel linguaggio televisivo contemporaneo i talk show vengono chiamati approfondimenti, anche se poi in gran parte o quasi si trasformano in esibizioni linguistiche e personali, se non addirittura in accese discussioni e risse furiose, al limite della credibilità. Facendo sorgere il sospetto che, alla fine, sia stato tutto voluto, stabilito e previsto. Costruito, insomma. è un po’ diverso, a quanto pare con “Niente di personale” (La7, ore 21,10), il programma serale di attualità della rete di Gad Lerner e Lilli Gruber condotto da Antonello Piroso che si sposta dalla domenica al martedì, non sappiamo se per ovvie esigenza di palinsesto o per far concorrenza a “Ballarò”, mettendone in evidenza le differenze, non ultima il fatto di una conduzione che potremmo definire notevolmente educata, che sviluppandosi nella direzione dell’intervista cerca di mettere in luce i migliori, o anche i più veri, aspetti del personaggio di turno. Come accaduto, perfino, con un Vittorio Sgarbi, quasi confidenziale.

lor@delavoro di Samuele Vincenti È di recente pubblicazione uno studio della Banca d’Italia, “La mobilità del lavoro in Italia: nuove evidenze sulle dinamiche migratorie”, che traccia una mappa della mobilità dei lavoratori italiani nella propria nazione e restituisce il governo e agli interessati un quadro della situazione migratoria all’interno dei confini nazionali. Ciò che emerge ad un primo esame dei dati raccolti è che nel periodo 1990-2005 interessato dallo studio, i trasferimenti di residenza nel Centro Nord sono aumentati, confermando il continuo trasferimento dei meridionali verso il settentrione. Fin qui, niente di nuovo, ma l’elemento che desta maggiore attenzione è l’intensificarsi del-

Tommaso Dimitri

niente di finanza ma quello che serve a Bilbo sono i numerosi contatti di Eck con uomini ricchi e facoltosi della buona società inglese. Poi, a convincerli ad investire forti somme di denaro nei fondi della società ci penserà lo scaltro Bilbo. In breve tempo Eck si ritrova ricco e soddisfatto anche se all’orizzonte inizia a delinearsi la scura nube dell’imminente crisi economica. Ed infatti in questo romanzo Torday mette in scena la recente e non ancora superata crisi economica e finanziaria raccontandoci una società alle prese con sfide e problematiche inattese che necessitano di soluzioni a cui la ricca borghesia europea non sembrava affatto preparata. Durante un viaggio nel sud della Francia dedicato al golf e agli affari insieme all’amico di sempre, Lord Henry Newark, i

due si imbattono in un bizzarro personaggio, Charlie Summers, un uomo strambo, curioso, improbabile ma a suo modo anche affascinante, che racconta ai due amici dei suoi affari in Francia e che è stato costretto ad allontanarsi dall’Inghilterra a causa dei guai che aveva con l’ufficio delle tasse, uno spiacevole “equivoco” a sentir lui. Charlie Summers vive di espedienti e di progetti strampalati, è uno “sfigato”, un perdente che cerca di non cedere, di non arrendersi inventando sempre diverse avventure economiche sempre una più strampalata dell’altra. E sono proprio questi aspetti di lui che affascinano i due amici tanto da invitarlo a trovarli nel caso in cui si trovasse dalle parti di Gloucestershire. Charlie non si fa aspettare molto. Poco tempo dopo si presenta a casa di Henry chiedendo un posto dove

marialucia andreassi

stare ed un piccolo investimento di den ar o per lanciare il suo ultimo progetto: una linea giapponese di cibo per cani. A questo punto le vite di Henry, Eck e Charlie si incontrano nuovamente e dopo una serie di vicissitudini sarà proprio Charlie a regalarci un finale per questo originale romanzo interessante ed inatteso. Ve lo consiglio. Paul Torday, Vita avventurosa di Charlie Summers, Edizioni Elliot, 16.50

M U S I CALM E NTE Totus Tuus Network Anna Rita Favale per gli amici cattolici Alle Cantelmo Max Gazzè

Totus Tuus Network (www.totustuus.info) è una rete sul web nata da un gruppo di amici che già davano vita a siti e varie altre forme di iniziative in internet. La storia è lunga! Tutto cominciò nel febbraio 1997, quando i primi cattolici che tentarono di evangelizzare attraverso internet furono ovunque accolti da un clima di aperta ostilità. Fu per questo che qualcuno si adoperò per far nascere la prima comunità virtuale di identità integralmente cattolica e fruibile da tutti: il 13 maggio 1997, festa della Madonna di Fatima, nacque il primo newsgroup di lingua italiana (esiste ancora) con visibilità mondiale. La caratteristica particolare dei siti prodotti da quel primo piccolo gruppo di amici è stata quella di “rispondere sempre alle stesse domande” che i diversi interlocutori, per la stragrande maggioranza avversi al cattolicesimo, ponevano. Quali le domande? Un coordinatore della prima ora ci risponde: “Ci chiedevano ripetutamente: perché non volete il monopolio statale sull’educazione? Perché dite che l’aborto è un omicidio? Non vi vergognate delle crociate, dell’inquisizione, ecc.? Perché non vi piegate a quel che dice la maggioranza? Non vedete che la preghiera è tempo perso?”. Per rispondere al continuo riproporsi delle solite accuse questi volontari hanno iniziato a selezionare testi, commenti e informazioni autorevoli del mondo scientifico, accademico e del magistero della Chiesa pubblicandoli sul web. Durante il Grande Giubileo dell’anno 2000, quella dozzina di amici conosciutisi in internet decisero di collegare in qualche modo le loro iniziative in un network che hanno chiamato Totus Tuus.La rete non racchiude un solo portale ma diversi siti: www.totustuus.net è il network; www.paginecattoliche.it è la raccolta dei testi che spaziano dalla teologia alla liturgia, dalla morale alla politica, dalla spiritualità alla cultura, i documenti ufficiali della Congregazione della Dottrina della fede e un collegamento con il sito e i documenti di www.ratzinger.us, “Gli amici di Ratzinger”. In particolare possiamo trovare tutti i testi dei Concili, il Denzinger, tutte le Encicliche e dei “libri gratis”, antichi e nuovi, in versione e-book. Basta navigare per trovare una miriade di informazioni! Un veloce motore di ricerca riesce a rovistare non solo all’interno del sito ma in tutti i siti collegati con la rete. Buona navigazione.

Giovedì 7 aprile le Officine Cantelmo di Lecce ospiteranno il concerto del cantautore romano Max Gazzè nell’ambito del progetto “Officine della musica”, realizzato dal Comune di Lecce. Max Gazzè, cantante, bassista e compositore appare sulla scena musicale italiana con la pubblicazione del suo primo cd “Contro un’onda del mare” nel 1996, ma sarà il suo secondo album “La favola di Adamo ed Eva” a dargli la notorietà, anticipato da due hit di grande successo “Cara Valentina” e “Vento d’estate” (disco per l’estate ‘98) cantata con Niccolò Fabi. La popolarità si estende a un pubblico ancora più ampio con la partecipazione al Festival di Sanremo “Sezione Giovani” con il brano “Una musica può fare”; Max tornerà a Sanremo l’anno successivo con “Il timido ubriaco” e nel 2008 con il brano molto apprezzato dalla critica “Il solito sesso”. Numerose le collaborazioni con importanti artisti italiani tra i quali Carmen Consoli, Daniele Silvestri, Mao, Alex Britti, Ginevra Di Marco, Paola Turci e Marina Rei con le quali nel 2007 ha portato avanti il fortunato tour “Di comune accordo” che ha toccato diverse città italiane. Nel 2010 debutta come attore nel film di Rocco Papaleo “Basilicata Coast to Coast”: il brano “Mentre dormi”, colonna sonora del film, ha anticipato l’uscita del suo ultimo album “Quindi?”, che ha portato Gazzè in giro per festival e club italiani. Il 7 aprile, Lecce presso Officine Cantelmo. Inizio spettacolo ore 22. Ingresso: 13 euro, 10 euro ridotto solo in prevendita. Info: www.officinedellamusica.org

Mobilità dei lavoratori italiani: studio della Banca d’Italia

l’emigrazione dei giovani meridionali più scolarizzati. E il trend è in continua crescita: nel 2005 i trasferimenti di residenza tra comuni italiani sono stati oltre un milione e 300 mila, facendo così registrare il picco più alto degli ultimi quindici anni. Lo studio rileva anche il contributo dell’incremento degli stranieri residenti in Italia e la loro maggiore propensione migratoria rispetto agli italiani: del totale dei trasferimenti, infatti, il 14 per cento interessa proprio gli immigrati non europei. La mobilità di breve raggio è molto alta nel Centro Nord ed è aumentata di quasi il 40 per cento rispetto al passato: 3 persone su 4 che si cancellano da un comune, si iscrivono in uno

della stessa regione. Al sud, al contrario, la mobilità di breve raggio interessa appena 11 persone ogni mille abitanti e, nel periodo considerato, è diminuita di oltre il 13 per cento. L’elemento che ha maggiormente contraddistinto i flussi migratori degli ultimi anni è stato la “fuga” dal Mezzogiorno delle persone con un più elevato titolo di studio. Tra il 2000 e il 2005 sono emigrati oltre 80 mila laureati, pari in media annua a 1,2 ogni 100 residenti con un analogo titolo di studio. L’Emilia-Romagna è la regione più attrattiva, con un saldo netto medio nel quinquennio 2001-2005 di 4,4 persone ogni mille residenti. I saldi netti sono negativi in tutte le regioni del Sud con l’uni-

ca eccezione dell’Abruzzo. Il deflusso di persone è particolarmente marcato in Campania e Calabria. Negli ultimi anni è anche aumentata un altro tipo di mobilità, definita come “pendolarismo di lungo raggio”. Lo studio della Banca d’Italia chiarisce che i pendolari di lungo raggio sono quegli occupati che lavorano in una località lontana da quella di residenza, così lontana da rendere improbabile rientri frequenti nel tempo. Nel 2007, circa 140mila residenti nel Mezzogiorno (pari al 2,3% degli occupati dell’area) lavoravano al Centro Nord; sono spesso giovani che non hanno ancora raggiunto la stabilità dal punto di vista familiare né occupazionale, in preva-

lenza di sesso maschile e più istruiti. All’aumentare del raggio della mobilità cresce la quota degli occupati di sesso maschile che passa da circa il 56 per cento, quando lavorano nello stesso comune in cui risiedono, a oltre il 76 per cento, quando lavorano in una provincia non confinante. La quota di impiegati e dirigenti tra gli occupati che lavorano lontano dal comune di residenza è quasi due volte quella degli stanziali. Circa un pendolare di lungo raggio su tre ha iniziato il lavoro attuale da meno di un anno e ha un contratto a tempo determinato, quasi il triplo rispetto alle corrispondenti percentuali degli stanziali. Dallo studio emerge inoltre

che ad incidere fortemente sulle scelte migratorie delle persone sono le opportunità lavorative. Il 13 per cento dei migranti (20 per quelli che emigrano dal Mezzogiorno) sono disoccupati l’anno precedente al trasferimento di residenza; l’anno successivo circa un migrante su due che era disoccupato ha trovato un’occupazione. I più fortunati restano gli occupati nel settore pubblico che tendono a lavorare o nel comune di residenza (60 per cento dei casi a fronte del 54 nel complesso degli occupati) o in un comune distante da quello di residenza, situato in una provincia non confinante con quella di residenza (2,2 per cento a fronte dell’1,6).


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Lecce, 2 aprile 2011

lo sport Non ci sono alternative per riaprire la corsa della salvezza. Il rientro di Di Michele, sia pure a mezzo servizio, è una notizia che fa ben sperare

L’ASSIST di Paolo Lojodice

Lecce, battere l’Udinese C’è l’imbarazzo della scelta a pescare tra le dichiarazioni decise e bellicose, di parte Udinese, per la partita di domenica al Via del Mare. Nel dopo sosta per gli impegni della Nazionale, a Lecce arriva l’Udinese miracolosa di Guidolin, oppure di Sanchez, o ancora di Di Natale, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Così con una serie lunghissima di ben tredici risultati utili consecutivi la squadra friulana, con 56 punti in classifica, in scia di Napoli, Inter e Milan, lancia il suo assalto alla Champions da Lecce, con il vantaggio di conoscere già il risultato del match clou che nell’anticipo di sabato pomeriggio oppone Milan e Inter. Che l’obiettivo dei friulani sia almeno la qualificazione in Champions League rientra ormai nella logica delle cose e non potrebbe essere diversamente per una squadra che le statistiche svelano come la più performante in assoluto nel 2011; di più l’ingranaggio congegnato da Mister Guidolin sembra perfettamente rodato, oleato, privo di difetti di fabbrica, come se il passaggio a vuoto nelle prime cinque tornate del campionato appartenesse alla routine di un processo ad “alta resa” calcistica, ma soprattutto finanziaria, che ormai la società bianconera friulana ci propone con successo da anni. Così, a il tecnico di Castel-

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L’ALTRO

VOLLEY B2

franco Veneto vive per una stagione di più la propria storia personale, negli anni uguale a se stessa, vissuta su panchine se non di primissimo rango, comunque all’insegna di un risultati di indubbio valore, e dalle dichiarazioni rilasciate in settimana ai media emerge ancora una volta la reale cifra interpretativa del pensiero di Guidolin: “Andare oltre i limiti delle squadre che alleni: la salvezza, il record di punti, le Coppe”. Ma andare oltre i limiti può significare osare l’inconfessabile e sei punti con otto giornate e uno scontro diretto, all’ultima giornata contro il Milan, lascerebbero aperta la porta a qualche fatto inatteso: “Penso che il primo posto sia una cosa un po’ eccessiva - la dichiarazione del tecnico è affidata ai taccuini della Stampa - ma di certo vogliamo arrivare a quel giorno per giocarci qualcosa di importante. E adesso è la qualificazione alla Champions League”. Tanto basta per la partita di Lecce e proprio in merito all’incontro del Via del Mare, dalle pagine web dell’Udinese Calcio dichiara: “Ci attende una gara tutt’altro che semplice. I salentini lottano con orgoglio e qualità per mantenere la categoria e hanno messo tutti in difficoltà al “Via del Mare”. Noi non facciamo calcoli e non sprechiamo energie pensando ai risultati delle altre squadre. Abbiamo entusiasmo e voglia di continuare a crescere. Sap-

piamo che il momento è cruciale e che siamo circondati da squadre di grande valore”. A fare eco al suo allenatore, ma con meno tatticismo, lo svizzero Almen Abdi - probabile sostituto a centrocampo dello squalificato Pinzi, la cui assenza è controbilanciata dalla squalifica di Giacomazzi - per il quale il precedente poker inflitto ai salentini all’andata appartiene ad altro registro: “Al ‘Via del Mare’ sarà un’altra storia. I salentini non hanno niente da perdere, ma noi vogliamo tornare dalla Puglia con l’intera posta in palio. Il prossimo turno - continua Abdi - rappresenta un’occasione più unica che rara perché le nostre dirette avversarie si affrontano l’una contro l’altra. Una nostra vittoria a Lecce aprirebbe scenari importanti”. Anche Maurizio Domizzi, baluardo della retroguardia di mister Guidolin, in vista della partita contro i giallorossi di De Canio ripercorre il cammino della sua squadra e del momento magico che l’intero ambiente sta vivendo. “Ad inizio stagione non potevamo immaginare di essere quarti in classifica a otto giornate dalla fine. Tutto è cambiato dopo il successo di Torino. Eravamo gasati dalla vittoria interna ottenuta contro l’Inter e i tre punti conquistati sul campo della Juventus ci hanno fatto prendere coscienza della nostra forza. Poco dopo è arri-

vato il poker di Genova e così abbiamo costruito la striscia di 13 risultati utili consecutivi. I nostri obiettivi sono cambiati in corso d’opera e adesso arriva il momento più importante di tutta la stagione, il margine d’errore si riduce al minimo”. Per il difensore romano, inoltre, il pericolo di cali di concentrazione in questo momento così delicato è scongiurato: “La penso come il mister: il prosieguo del nostro cammino non sarà influenzato da amnesie. C’è la voglia da parte di tutti di continuare questa cavalcata trionfale fino alla fine. Sarebbe un delitto rovinare tutto sul più bello”. I giallorossi, ben lontani dal favorire qualsiasi sogno di gloria dei friulani, attendono per far parlare… il campo.

PORT di Paolo Conte

Squinzano con un piede in B1 a quattro giornate dal salto. Ugento si allontana dalla vetta

Cinica, pragmatica e spietata. Sono queste le tre componenti che racchiudono la forte personalità della Parsec 3.26 Squinzano, capolista incontrastata del campionato. In realtà il distacco dalla seconda in classifica Ugento è piuttosto esiguo (+4), ma il sestetto di coach De Vitis continua a dimostrare lucidità e freschezza nel amministrare e gestire le pressioni di un primato che, da qui ad un mese, può valere la B1. Per il momento la scaramanzia regna sovrana nello spogliatoio gialloblu, consapevole di dover affrontare le quattro gare restanti come quattro finali. Con ormai alle spalle gli esorbitanti successi consecutivi ai danni di Martina, Oria e Galatina, la Parsec 3.26 si accinge a disputare una delle trasferte più insidiose della competizione: Altamura. La Domar, con 41 punti in graduatoria, siede in pianta stabile sulla quarta poltrona del torneo e il -5 dalla terza Aurispa Alessano la-

scia pensare ad un ultimo assalto alla zona play-off. Un match che sulla carta può favorire l’inseguitrice Minniebet Ugento, impegnata tra le mura amiche del Tiziano Manni contro l’agevole Francavilla. Nel frullato delle emozioni di questa stagione il sali-scendi dal trono della vetta, ha visto per lunghi tratti protagonista la squadra di coach Cavalera. Un ennesimo ribaltone al foto-finish non è da escludere totalmente, anche se la risicata vittoria al tie-break sul Casarano brucia ancora; partita che ha concesso agli squinzanesi di costruirsi la strada per quella che potrebbe essere la fuga decisiva. Dietrologie a parte, i falchi di Ugento, forti dei 53 punti in classifica, sono sicuri di un vagone a tinte giallorosse nel treno dei play-off oltre alla consapevolezza di aver disputato un campionato ai massimi livelli entusiasmando la calda piazza ugentina. Non un mera onorificenza quindi; anche se il chiodo fisso dei Falchetti è finire col becco davanti per dare il giusto me-

rito ad un girone di andata da leccarsi i baffi. Lo testimonia il match della ventiquattresima giornata che aprirà le danze alla madre di tutte le partite: Ugento - Squinzano. Una “guerra sportiva” che non attanaglia le questioni alessanesi. L’Aurispa, ancorata ormai da mesi al terzo posto della competizione con 46 lunghezze, deve difendersi dagli ultimi attacchi della Domar Altamura. L’ennesimo derby del Salento nella tana del Galatina impone concentrazione e calma olimpica. Archiviato il roboante successo per 3 a 1 sull’Oria, l’obiettivo dei ragazzi di coach Medico è tentare il bis e avvicinarsi ulteriormente al traguardo dei play-off. Fare i conti con la bestia ferita Galatina non sarà impresa facile. La S.B.V., reduce dal pesante k.o di Ugento, venderà cara la pelle dinanzi al suo pubblico con l’obiettivo di finire bene il campionato. Per la truppa di Montinaro, i 33 punti recitano il sesto posto solitario in classifica, risultato di una stagione senza

lode e senza infamia. Simile destino accomuna il Galatone, impegnato nell’ imminente trasferta di Castellana. L’ultimo successo al tie-break ai danni del Paglieta ha fatto il paio con la vittoria di Agnone e i 32 punti in graduatoria permettono al Galatea Volley di fare un pensierino al sesto gradino della competizione. Facce distese anche a Casarano per il +7 sulla zona a rischio. La sconfitta più dolce della stagione rossoblu a beneficio dell’Ugento con il risultato di 2 a 3, ha permesso agli uomini di coach Licchelli di muovere la classifica e dare un seguito alla larga vittoria per 0 a 3 in quel di Paglieta. Trenta punti che significano salvezza e la possibilità di scalare ancora posizioni complice una classifica corta verso l’alto. Il vicino impegno esterno di Martina Franca è l’adatto banco di prova per fornire continuità di risultati al termine di una stagione tribolata e ricca di emozioni contrastanti.

MONDO Un “contropiede” per rilancira sui valori Calcio d’inizio per la quinta edizione della Clericus Cup. Presentato ufficialmente venerdì 25 marzo, quello che è stato da tutti ribattezzato come “il mondiale vaticano”, vedrà scendere in campo 16 squadre con 368 seminaristi e sacerdoti dei collegi pontifici, provenienti da 65 diverse nazioni. Tra le novità di quest’anno la prima partecipazione ufficiale di un Vescovo nella squadra del Collegio Urbano e la presenza in panchina, come mister, di un grande ex del calcio italiano, Felice Pulici, indimenticabile portiere della Lazio che ha vinto lo scudetto e oggi allenatore degli Agostiniani. La Clericus richiama immediatamente l’idea di una sorta di Mondiale. Ci piace però l’idea di accostare a questa splendida manifestazione anche l’idea dell’Olimpiade, perché essa, tra le tante suggestioni, ha anche quella di “accendere la luce” su realtà che restano in ombra nella normalità. Ci sono discipline sportive delle quali per anni non si parla quasi mai, ma che, in occasione delle olimpiadi, diventano patrimonio di tutto il Paese: così il canottaggio, il nuoto, la scherma. È bello pensare che anche la “Clericus” porti con sé questo effetto “illuminante”. La Clericus non è solo un campionato. Dentro e dietro la manifestazione c’è lo splendido universo dello “sport in oratorio”, vissuto quotidianamente in migliaia di parrocchie di tutta Italia. Uno sport quasi sempre poco visibile, uno sport che punta ogni giorno alla vittoria più difficile e più bella: educare alla vita ogni ragazzo ed ogni ragazza che incontra. Ed allora ben venga la Clericus, occasione unica e irripetibile per accendere i riflettori sul rapporto uomo di sport e uomo di fede, tra chiesa e sport, tra ragazzi e vita in Oratorio. Uno sport che oggi è capace di giocare in “contropiede” di fronte all’urgenza educativa del nostro tempo e di fronte alla crisi di valori dello sport moderno. Dove quel “giocare in contropiede” significa rilanciare sui valori e confermare una presenza. Siamo presenti, sia per mettere in campo tutte le potenzialità che lo sport può offrire sui temi educativi, come pure per aiutare il sistema sportivo a recuperare quei valori che talvolta si perdono lungo il cammino. Uno sport che non solo non è di serie B, ma che rappresenta una delle più grandi Eccellenze che si possano immaginare. Uno sport che vuole rispondere alla fiducia e all’attesa che tutta la Chiesa italiana ha nei confronti di chi utilizza l’attività sportiva come “strumento” per far incontrare i valori veri della vita e per far crescere la speranza nelle persone. Marco Calogiuri

La nostra Quaresima è durata sei mesi, ora con l’animo in festa vogliamo lodare e ringraziere il Signore per il ritorno di Mino, impegnato in Afganistan in missione di pace. Grazie a tutti coloro che ci sono stati vicini con la preghiera. Famiglia Malerba


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