L'Alligatore-anno4_numero2

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Anno 4 Numero 2


Tra gli obiettivi che l’Alligatore si è sempre posto, c’è quello di creare dialogo queste pagine, eventuali iniziative “extracurricolari” e seminariali promosse dai professori. Alla luce di ciò, questo numero dedica maggior spazio proprio a questi progetti, senza che il taglio di rivista giurisprudenziale che da sempre ha contraddistinto l’Alligatore venga meno. Niccolò Scremin Se vuoi collaborare con noi scrivi a: redazione@lalligatore.org

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Anno 4 Numero 2

Rivista fondata da: Rocco Steffenoni, Eduardo Parisi, Sandro Parziale, Daniele Rucco



L’ALLIGATORE La rivista degli studenti di giurisprudenza della Statale di Milano Redazione: Francesco Bertolino, Erik Brouwer, Pietro Cesareo, Filippo Croci, Giulia De Martini, Anna Ferrari, Laura Piccoli, Giulia Pirola, Serena Santini, Niccolò Scremin, Adriana Spina, Valentina Todeschini, Alberta Trombetta, Ferdinando Vella, Martina Zini Hanno collaborato: Avv. Andrea Dalmartello, Stefano Mele, Lorenzo Capelli, Elisabetta Casano, Mariachiara Falco, Debora Guerra, Roberta Mauri, Prof. Alberto Toffoletto, Avv. Edmondo Tota, Fulvio Volpi

La rivista è attualmente diretta da:

Niccolò Scremin

Ringraziamo i professori e i ricercatori della Facoltà che ci hanno sostenuto in questa iniziativa

Milano, Luglio 2013


dell’Università degli Studi di Milano derivante dai fondi previsti per le attività culturali e sociali.

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INDICE

Diritto Penale e Penitenziario Erik Brouwer, Valentina Todeschini e Ferdinando Vella Dentro la pena: processo e detenzione

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Elisabetta Casano, Mariachiara Falco, Debora Guerra e Roberta Mauri Omofobia: evoluzione della disciplina e situazione attuale

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Diritto del Processo e Contenzioso dell’Unione Europea Anna Ferrari Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di tariffe minime delle Società Organismi di Attestazione (SOA)

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Informatica Giuridica Adriana Spina Cyber warfare, cyber sicurezza o cyber spie?

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Diritto Commerciale Giulia Pirola La nuova primavera dell’economia in Italia

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Rubrica Lorenzo Capelli Recensione de “La grande bellezza”

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DIRITTO PENALE PENITENZIARIO

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Dentro la pena: processo e detenzione Erik Brouwer, Valentina Todeschini e Ferdinando Vella Il percorso di studi in giurisprudenza, così come si è sviluppato nella tradizione universitaria italiana, è stato spesso criticato con l’accusa di formare giuristi dall’ampio bagaglio teorico, ma scarsa preparazione pratica. Effettivamente, se si pensa ai metodi con cui affrontiamo i vari ambiti del diritto, non si può evitare di notare, fatta eccezione per qualche seminario, l’assenza di studi sui casi e di analisi di sentenze, nonché della comprensione dei meccanismi che stanno dietro ai tribunali, alle aule del Parlamento, alle decisioni degli organismi internazionali. Più del 90% delle ore passate in università sono costituite da lezioni frontali e studio sui libri. Questo non fa altro che aumentare quell’enorme problema che in Italia è la distanza tra il mondo della formazione ed il mondo del lavoro. E’ certamente di fondamentale importanza la creazione di solide basi teoriche, poiché queste rappresentano il presupposto essenziale per l’approccio a qualsiasi questione pratica. Ma se già gli antichi avevano fatta loro l’importanza di preparare i loro allievi al mondo del lavoro, costruendo delle lectiones in cui si accostavano ai passi del Corpus Iuris delle questio su casi pratici, perché questo passo indietro dopo 1000 anni? Fortunatamente, vi sono anche nella nostra università iniziative che permettano di analizzare il diritto oltre le pagine dei codici. Tra queste, abbiamo ritenuto interessante voler raccontare tre incontri organizzati dal dipartimento C. Beccaria, rivolte agli studenti dei corsi di diritto penale tenuti dai professori Dolcini, Gatta e Basile. VISITA AL TRIBUNALE DI MILANO E PARTECIPAZIONE A DEI PROCESSI PER DIRETTISSIMA Il Palazzo di Giustizia di via Freguglia rappresenta non solo una delle più importanti istituzioni presenti sul territorio lombardo, ma anche, e soprattutto, il luogo in cui si sono svolte alcune delle vicende che hanno serispecchia pienamente lo stile architettonico dell’epoca (sulla storia della costruzione del palazzo vedi: www.procura.milano.giustizia.it). L’enorme namente mantengono una propria organizzazione. Particolare menzione merita la sala in cui si riunisce l’Associazione Nazio-

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nale Magistrati (ANM) in quanto, oltre ad essere il primo luogo di visita degli studenti all’interno del Palazzo, questa è dedicata a due giudici assassinati da Prima Linea duranti gli anni di piombo: Guido Galli, giudice e professore alla Statale di Milano, ucciso proprio all’interno dell’università (nei pressi dell’aula 309, oggi a lui dedicata) il 19 marzo 1980, ed Emilio Alessandrini, anch’egli giudice del pool antiterrorismo, ucciso il 29 gennaio 1979. Le foto dei due giudici, insieme a quella dell’avvocato Ambrosoli e dei giudici Falcone e Borsellino, sono oggi esposte su due facciate del Palazzo di Giustizia. La visita degli studenti viene guidata, oltre che dai professori Dolcini e Gatta, da due magistrati: il dott. Romanelli, Procuratore Aggiunto della Repubblica, ed il dott. Narbone, Sostituto Procuratore e segretario dell’ANM. La prima parte della visita si svolge nell’appena citata sala Galli-Alessandrini e prevede una breve introduzione sull’organizzazione del Tribunapresso il Tribunale di Milano sono entrambi procuratori, pare opportuno l.11/2007 cd. Riforma Mastella), la Procura della Repubblica è organizzata secondo un modello quasi gerarchizzato, che prevede al suo vertice il Procuratore capo della Repubblica, assistito da 8 Procuratori Aggiunti. Sotto di questi troviamo tra gli 80 e gli 85 Sostituti Procuratori. La Procura è poi suddivisa in 7 dipartimenti, corrispondenti ad altrettante macro-aree contro la Pubblica Amministrazione, tutela dei soggetti deboli, terrorismo (dedicato principalmente agli infortuni sul lavoro e alla colpa professiorezione affari semplici, che si occupa del recepimento di tutte le notizie di reato a carattere di serialità, ed una sezione dedicata all’esecuzione delle sentenze La specializzazione dei magistrati che si occupano di ogni macro-area viene in parte imposta per legge, in parte gestita dallo stesso tribunale a seconda del tipo o del metodo d’indagine. Ad esempio, particolari vincoli internazionali impongono al nostro paese che chi tratta di materie riguardanti soggetti deboli debba possedere una particolare specializzazione in tale ambito. Le aree di specializzazione talvolta possono anche essere create anche su iniziativa dei magistrati. Di particolare rilievo, ad esempio, è stata la creazione del pool “Mani Pulite”, voluto dal Pubblico Ministero

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Borrelli per contrastare il fenomeno della corruzione durante gli anni ’90. Pool di questo tipo hanno lo scopo di aiutare i magistrati nella condivisiodel Tribunale è suddivisa per aree di specializzazione, le quali, però, non sempre coincidono con quelle della Procura. Si punta in futuro, comunque, Esaurita la parte introduttiva, gli studenti vengono accompagnati dal dott. Narbone ad assistere ad un processo per direttissima. Tale speciale modalità di giudizio è stata scelta per la brevità della stessa: mentre un processo ordinario quasi mai si conclude in un’unica udienza, i processi per direttissima si caratterizzano proprio per un’estrema speditezza del procedimento. Vale la pena ricordare che quasi tutte le udienze sono aperte al pubblico ed assistervi rappresenta senz’altro un’esperienza molto interessante e formativa per ogni studente di giurisprudenza. di reato o la confessione del reo. La maggior parte degli arresti avviene il giorno o la notte prima del processo e riguardano reati minori, quali furti, violenze (risse e aggressioni) o spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti. Il processo avviene in maniera veloce proprio poiché, data l’evidenindagini. In attesa del processo, i soggetti in stato di fermo, trascorrono la notte in camera di sicurezza, così da evitare il fenomeno delle c.d. “porte girevoli” (ingressi/uscite dal carcere in un lasso di tempo molto breve di persone ancora da giudicare o di autori di reati di modesta gravità). Ogni giorno, presso il Tribunale di Milano, sono presenti tre giudici che si occupano dei processi per direttissima, giudicando circa 20/25 persone. La prima fase del processo prevede la pronuncia del giudice sulla legittimità dell’arresto e le disposizioni sul rilascio o sulla conferma della detenzione cautelare (carceraria o domiciliare) dell’imputato, sempre che non venga espresso immediatamente il giudizio. Il processo per direttissima è l’unico in cui il giudice si esprime sia sulla convalida dell’arresto, sia sul reato. La seconda fase prevede quindi il giudizio, nel quale vengono contestati all’imputato i capi d’accusa e vi è un breve dibattimento. L’imputato può sempre chiedere un termine per parlare con il proprio difensore, in tal caso il giudizio viene rimandato, ma si svolge comunque sempre entro 15 giorni dal fermo. L’imputato (o il suo difensore) ha anche la possibilità di chiedere il ricorso al patteggiamento o al processo breve. Qualche considerazione personale

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Tra le cose che più hanno colpito gli studenti, vi è sicuramente l’impatto umano che i processi per direttissima hanno suscitato. Gli imputati sono, infatti, spesso persone in uno stato di emarginazione sociale, spinte a deDurante la visita gli studenti hanno assistito a processi in cui tra gli impudel Grana Padano da rivendere, per procurare a sé e alla sua famiglia del quanto la rete sociale dello Stato italiano sia fatta di maglie ancora troppo larghe, che fanno mancare la dovuta assistenza a numerosi soggetti in situazioni economiche o psichiche profondamente problematiche, i quali sono spesso costretti a far ricorso al crimine per la soddisfazione di quei bisogni o di quei disagi che la società non riesce a sanare. Altro terreno di discussione è stata l’organizzazione del sistema giudiziario in Italia, ed in particolare in merito alla separazione delle carriere dei magistrati e alla lentezza dei processi. Riguardo a quest’ultimo problema, il dott. Narbone ha attribuito la colpa di tale lentezza a tre fattori: la mancanza di personale (e, in particolare, di personale specializzato), l’assenza di meccanismi validi alternativi al processo ordinario (come il favoreggiamento dei tentativi di conciliazione) e l’enorme mole di lavoro posta a carico dei magistrati, effetto, probabilmente, delle prime due cause citate. Riguardo alla separazione delle carriere, l’opinione del magistrato, non condivisa da tutti, è che una netta separazione delle carriere, che impedisca una qualsiasi passaggio, ad esempio, tra ruolo di procuratore e ruolo Questo perché l’assunzione di cariche diverse può permettere di affrontare i processi da numerosi punti di vista, facendo acquisire al magistrato un’importante esperienza nei metodi di indagine, di giudizio, di valutazione e di acquisizione delle prove, che non si potrebbe avere svolgendo un unico ruolo per tutta la carriera. VISITA AL CARCERE DI SAN VITTORE Com’è strutturato il carcere di San Vittore Quello di Piazza Filangeri a Milano è un carcere antico. Come ci spiega accompagnato da una giovane assistente psicologa, alcuni dei principali problemi che riguardano il carcere derivano dall’inadeguatezza della

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inglese Jeremy Bentham: quella del panopticon (“che lascia vedere tutto”), una struttura costituita da una torre centrale circondata da sei raggi, nei quali troviamo le celle: in origine il “guardiano” aveva, dalla torre, il totale controllo sulla situazione. Oggi due dei raggi sono chiusi per il rischio carcere, che oggi ospita circa 1600 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 712 persone: oltre il doppio. Ma per l’ispettore è meglio che quei raggi, per ora, rimangano chiusi. Se infatti riaprissero domani il tasso di sovraffollamento invece di diminuire crescerebbe, con evidenti ricadute sulle condizioni di vita dei detenuti e sul lavoro degli agenti di poreparto femminile, sono separati dal mastodontico corpo del panopticon, benché siano ovviamente ad esso collegati. La prima area in cui il detenuto il detenuto e provvedono a schedarlo: tutti i dati saranno poi inviati telematicamente al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) che ha sede a Roma. Gli agenti accompagneranno poi il detenuto all’interno della struttura centrale passando per il primo raggio: questo, al piano terra, consiste in un lungo e basso corridoio con volta a botte, evidente ed inquietante residuo ottocentesco. Qui gli verranno fornite le coperte per la branda, per poi essere accompagnato al raggio di destinazione. Com’è organizzato realmente il carcere Il carcere di San Vittore è principalmente utilizzato per i detenuti in attesa di giudizio: solo un quinto di essi infatti è stato condannato con sentenza passata in giudicato. Anche per questo motivo la permanenza media al suo interno è relativamente breve, dai 3 agli 8 mesi circa. Un dato importante inoltre è che la maggior parte dei detenuti, oltre tre quinti, è di origine extracomunitaria. I reati più comuni per cui si rischia di essere condotti nel carcere di San Vittore sono di solito legati alla piccola criminalità: furto, spaccio di sostanze stupefacenti, lesioni personali e rissa sono le ipotesi più tipiche. Come già anticipato, i raggi agibili attualmente sono quattro, ognuno dei quali viene destinato per particolari categorie di detenuti. Il famigerato terzo raggio, passato agli onori della cronaca per aver visto tra i suoi corridoi alcune personalità dello spettacolo o della politica (i cosiddetti detenuti eccellenti), è anche il raggio le cui condizioni di vita sono le migliori e il cui tasso di sovraffollamento è assai minore rispetto

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agli altri. In realtà, come ci spiega serenamente l’ispettore, queste scelte non derivano da una volontà di privilegiare un detenuto piuttosto che un altro. La collocazione del detenuto è infatti uno dei compiti più complessi sia sull’ordine interno del carcere sia sulla persona del detenuto. Bisogna separare i reati più gravi da quelli meno gravi e più comuni, per cercare di evitare che, a causa del contatto tra detenuti, il carcere diventi ”Università del Crimine”; bisogna saper riconoscere e separare membri appartenenti a gang di strada rivali (in particolare, ci informa l’ispettore, quelle sudamericane) per evitare risse ed accoltellamenti, che restano tuttavia all’ordine del giorno; si devono isolare i cosiddetti protetti, cioè coloro il cui status o reato commesso risente di una considerazione sociale tale da far temere ed è necessario, dunque, distinguere i detenuti comuni da quelli “occasionali”, che probabilmente non hanno mai vissuto l’esperienza del carcere e per i quali un inserimento non ponderato può scatenare gravi problemi (l’ispettore ricorda ad esempio i drammatici anni di Tangentopoli). Nel sesto raggio, che abbiamo avuto la possibilità di attraversare, le conno, bisogna stare in piedi o per terra. Le celle sono poi dotate di una minuscola cucina con annesso fornelletto a gas, e di una latrina. La possibilità tutto questo il detenuto cerca di ricreare il più possibile una situazione di (soprattutto nel reparto femminile) e sulle brande troviamo tantissimi vestiti e oggetti personali, probabilmente consegnati dai familiari. Il carcere provvede per tre pasti al giorno, ma il detenuto, come abbiamo visto, può cucinare il cibo da sé, che può comprare con soldi propri: infatti se il detenuto viene trovato in possesso di denaro durante la perquisizione oppure lo guadagna grazie ai lavori interni, può utilizzare questi soldi per comprare dei beni all’esterno del carcere. Questo compito spetta al cosiddetto spesino, un detenuto alle dipendenze della direzione carceraria che raccoglie le ordinazioni dei compagni e provvede alla spesa. Sono modi questi per sfuggire alla quotidianità e con cui si cerca di evadere dai sei/sette metri quadrati che formano la propria cella. Salendo al piano superiore, nel primo raggio, si arriva al corridoio in cui vengono detenuti i giovani adulti. Alcuni di loro giocavano a ping-pong su un tavolo in fondo al corridoio, altri ridipingevano il bagno. Ad alcuni

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di loro viene poi data la possibilità di lavorare nella piccola biblioteca del carcere, che ci verrà mostrata. Scendiamo poi nel reparto femminile, costituito da due corridoi lunghi e stretti. Esso è controllato esclusivamente da agenti penitenziari donna, ed è forse la sezione che funziona meglio nel carcere, in quanto le attività sono molte e ben distribuite. È da evidenziare che nel carcere gli uomini sono in totale circa 1.600, mentre le donne sono poco più di 100. Quali attività possono svolgere i detenuti all’interno del carcere Il primato per il numero e la qualità delle attività lavorative e formative nelle carceri di Milano spetta al carcere di Bollate, in cui la maggior parte dei detenuti è stata condannata con sentenza passata in giudicato: lì dunque è possibile un’organizzazione e un’amministrazione delle attività Innanzitutto sono molti, oltre duecento, i detenuti impiegati nella gestione quotidiana del carcere, lavoratori dipendenti e stipendiati dal Ministero della Giustizia: mentre noi camminavamo per i lunghi corridoi dei raggi, abbiamo visto addetti al servizio di distribuzione dei pasti, addetti alla pulizia dei corridoi, giovani adulti che gestivano la biblioteca, e anche un cameriere del bar interno. Ovviamente la richiesta di lavoro è molto alta, e gli agenti di polizia penitenziaria che selezionano il personale devono fare riferimento ad una lista la cui preferenza dipende dal tempo della permanenza in carcere e dalla data della domanda. Le attività formative più importanti vengono svolte soprattutto nel reparto femminile, dove la percentuale di condannati con sentenza passata in giudicato è più alta. Alle detenute viene infatti data in gestione una piccola serra in un cortile ricavato in uno spazio aperto e soprattutto un vero e proprio laboratorio di tessitura: si tratta infatti della Sartoria San Vittore, il cui progetto di coniugare alta moda e reinserimento dei detenuti è ben riuscito. Qui vengono prodotti vestiti, toghe per magistrati ed avvocati, abiti da sposa, sciarpe e accessori, che verrano poi venduti in un negozio nel centro di Milano. In tutto il laboratorio vi sono ritagli di riviste e di quotidiani che celebrano il buon funzionamento dell’attività e che raccontano di come alcune grandi aziende si siano rivolte proprio a loro per la fabbricazione di vestiti. Qualche considerazione personale A causa delle innumerevoli cronache quotidiane riguardanti le carceri nel nostro paese, entrando a San Vittore pensavo di varcare la soglia di un inferno sulla Terra. Mi sono invece trovato davanti ad una condizione mol-

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to più complessa e sfaccettata di quanto avessi mai potuto immaginare. Innanzitutto poter camminare tra i detenuti comuni come si cammina per la strada ha immediatamente cancellato il pregiudizio per cui da una cella si esce solo per picchiarsi all’aria aperta o in mensa, per passare informazioni a qualche boss della malavita o per evadere. La drammaticità della vita all’interno del carcere è molto più profonda e meno spettacolare: essa consiste soprattutto nell’estenuante attesa di un giudizio, per chi ancora lo attende, o, per chi lo ha già avuto, del giorno in cui le porte del carcere si apriranno. Prima di entrare ero convinto che questa fosse una banalità, un assioma senza bisogno di dimostrazione: eppure vedere con i propri occhi il luogo in cui ogni giorno vengono registrati decine di detenuti e respirare l’aria immobile delle celle mi ha fatto comprendere più di mille a dura prova i nervi dei detenuti da una parte e degli agenti penitenziari dall’altra. Sì, perché i co-protagonisti silenziosi della vita carceraria sono proprio loro, che devono affrontare ogni giorno problemi che vanno ben oltre la gestione ordinaria della vita tra quelle mura e che non possono sbagliare mai: pena il comune utilizzo di termini come “secondino” o “carcerieri” e una recezione distorta delle loro responsabilità nei confronti dei disagi del carcere. Disagi che in alcuni casi trasformano l’attesa, già di per sé abbastanza dura, in un calvario. Vi sono alcune zone di questo carcere (in particolare il sesto raggio) le cui pessime condizioni materiali hanno causato feriti, risse, scioperi della fame, malattie e, nei casi più gravi, suicidi, che spesso sono stati evitati grazie all’intervento della polizia penitenziaria. È ormai assodato che il problema del sovraffollamento non può essere risolto se non da un concreto intervento del legislatore che ormai si attende da anni e per il quale sono state fatte le battaglie più dure (da ricordare l’ultimo monito del presidente Giorgio Napolitano, che ha scelto di usare come pulpito proprio il carcere di San Vittore). Senza questo intervento non solo le vite dei detenuti vengono messe ogni giorno in serio pericolo, ma viene messo in dubbio anche uno dei principi fondanti della nostra Costituzione: quello sancito dall’art. 27, comma 3, per cui la pena “deve tendere alla rieducazione del condannato”. Emozionante è stato anche sperimentare momenti in cui il peso dell’esperienza carceraria si è sentito di meno, come la visita alla sartoria del reparto femminile. Oltre ad essere stato l’unico esempio di applicazione vera dell’art. 27 che abbia visto dentro San Vittore, ho capito che anche da un minuscolo laboratorio ricavato da una stanza adibita a chissà quale scopo originario possa nascere qualcosa di utile, rieducativo e unico per chi ci lavora… ma anche per

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noi osservatori. VISITA AL CARCERE DI BOLLATE Dopo un rapido controllo all’ingresso, entriamo accompagnati da due volontari. A seguito di una veloce e sommaria spiegazione per quanto attiene la struttura, ci trasferiamo nella biblioteca, dove avviene l’incontro con i detenuti, tramite scambio di opinioni e racconti di vita. A seguire una visita per l’intera struttura accompagnati solamente dai detenuti (nessun agente della polizia penitenziaria a sorvegliarci), con i quali c’è stata dunque la possibilità di un confronto più diretto, più umano e sincero. Com’è strutturato il carcere di Bollate La seconda casa di reclusione di Bollate, situata nella zona nord-ovest a custodia attenuata per detenuti comuni. Il progetto era sperimentale e prevedeva di ospitare esclusivamente detenuti impegnati in attività lavorative o formative che avessero volontariamente optato per questa destinazione detentiva attraverso una sorta di contratto tra il detenuto e l’amministrazione penitenziaria (www.associazioneantigone.it). A causa però del sovrannumero di detenuti presenti a S. Vittore, negli anni alcuni reparti di Bollate sono stati adibiti allo sfollamento di quest’ultimo. Ad oggi, il carcere accoglie all’incirca 1200 detenuti a fronte di una castione numerosi volontari e all’incirca 400 agenti di polizia penitenziaria (un agente ogni 3 detenuti circa). Ospitati a Bollate sono prevalentemente detenuti con casi passati in giudicato, la maggior parte tossicodipendenti e detenuti comuni non socialmente pericolosi, ma anche, in percentuale minore, ergastolani e condannati per violenze carnali. All’interno delle mura è presente un’altra struttura, la sezione femminile, che ospita circa 80 detenute ma che costituisce carcere a sé: non vige pertanto all’interno lo stesso regime del maschile. Com’è organizzato internamente il carcere Il carcere è strutturato in settori, per cui il primo e il terzo ospitano i detenuti che hanno scelto di scontare la pena a Bollate, il secondo reparto ospita detenuti tossicodipendenti, il quarto è stato destinato allo sfollamento di San Vittore, il quinto ospita detenuti che lavorano all’esterno e v’è poi il Reparto Staccata, che ospita i giovani adulti provenienti dall’istituto per minori Cesare Beccaria e, all’interno di questo, la sezione isolamento, quella che i detenuti appellano come “la parte degli schifosi”, cioè gli autori

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di reati sessuali. I settori si diramano dal corridoio principale, e sostanzialmente nei vari settori ci sono le celle, cioè il “posto letto” dei detenuti. A Bollate, raccontano i detenuti non c’è la classica “ora d’aria”, ma si può liberamente uscire nei cortili adibiti quando si vuole e frequentare a piacere le innumerevoli realtà sorte all’interno del carcere ad opera di detenuti o di cooperative esterne. Il carcere di Bollate offre una possibilità di rieducazione del condannato e di reinserimento dal punto di vista lavorativo, formativo e ricreativo-culturale. Lo stesso si rende così conosciuto all’esterno come struttura simbolo di reclusione rieducativa (si veda dichiarazioni del Ministro Cancellieri, 3.6.2013 “…Bollate è un modello straordinario che dobbiamo esportare. L’impegno sarà portare la cultura, l’organizzazione che c’è a Bollate in modo che si estenda sempre di più. È il modo più umano, più intelligente e più civile per dare risposte al mondo del carcere” www. giustizia.it) Quali attività possono svolgere i detenuti all’interno del carcere Dal punto di vista lavorativo: a Bollate sono presenti diverse cooperative all’interno della struttura carceraria, dove i detenuti possono lavorare; più precisamente, vi sono svariati call center (3, telecom…), l’inserimento multe del comune di Milano, un servizio di catering, una falegnameria, una il nome di Cascina Bollate, cooperativa nata nel 2007 che si impegna nella produzione di qualità di piante insolite. È un vivaio, attivo tutto l’anno, e le piante sono facilmente acquistabili via internet (www.cascinabollate. org). Il lavoro per i detenuti costituisce sia fonte di reddito per il mantenimento del “soggiorno” (la permanenza in carcere difatti ha un costo, che i detenuti sono tenuti a pagare una volta usciti), sia preziosa opportunità di reinserimento nella società. Racconta un detenuto: “un carcerato quando esce è come un bambino. Cosa fa? Deve essere aiutato, è completamente solo. Spesso gli affetti cedono al peso del tempo.” Non c’è dubbio che poter lavorare mentre si sta scontando la pena o addirittura imparare un mestiere costituisce una preziosa opportunità per i detenuti e per la società. Inoltre, costruire dei ponti con aziende esterne è vantaggioso anche per li in materia contributiva. Dal punto di vista formativo: a Bollate spesso i detenuti, una volta entrati, decidono di continuare/ completare gli studi, alcuni anche di laurearsi, chi in scienze dell’educazione, molti in giurisprudenza presso l’Università Sta-

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tale di Milano. Tutto ciò è fomentato dalla fornitissima biblioteca, gestita da detenuti, che si trova all’interno del carcere. Dal punto di vista ricreativo-culturale: c’è un laboratorio artistico, una palestra, una sala musica attrezzata con diversi strumenti e pronta per incidere ed una compagnia teatrale gestita dalla cooperativa Estia, che organizza spettacoli e corsi di teatro con attori-detenuti. Se la sala musica è completa e organizzatissima, lascia senza parole il teatro: una struttura in legno completa di travi per la luce, spalti capienti e palcoscenico molto spazioso. Dal 2005 il carcere ha la sua rivista, CarteBollate, periodico bimensile a colori, gestito da una redazione composta da una trentina di persone, uomini e donne, che tratta di giustizia, ordinamento penitenziario, attualità, arte e cultura, e alla quale ci si può abbonare anche da esterni con 25 euro annui (per tutte le info: www.ilnuovocartebollate.org). Dal 2007 poi, all’esterno della struttura, nel cortile del carcere è attiva l’associazione Asom (associazione salto oltre il muro: www.cavallincarcere.it), che utilizza i cavalli e la loro cura per attuare dei percorsi riabilitativi della devianza sociale. L’ambizioso progetto dell’associazione è di divenire la prima scuderia europea all’interno di un carcere e i detenuti stanno lavorando a questo progetto costruendo box con materiali di riciclo. Molti detenuti, ad oggi 150 circa, godono del regime di uscita ex art 21 ord. pen., che disciplina il lavoro all’esterno, e dunque la possibilità per i detenuti di uscire per lavorare o studiare (alcuni frequentano le lezioni all’università, altri vanno a studiare nelle biblioteche) a seconda della tipologia di pena dopo un certo periodo di reclusione (1/3 della pena o minimo 5 anni, 10 anni per gli ergastolani). Durante la visita a tratti riecheggiano nella mente le parole di alcuni detenuti: dopo il processo ci sono generalmente 3 vittime: la prima, la più diretta e grave, è la vittima dell’atto criminale. Poi, il detenuto, che dovrà pagare inevitabilmente sulla propria pelle la responsabilità dei propri atti, mentre la terza vittima è la famiglia, che rimane lacerata dal gesto di un singolo. All’interno della struttura di Bollate sono presenti appositi spazi clima che alleggerisce la tensione che la situazione in sé costituisce, come il giardino con parco giochi. Qualche considerazione personale Quando si arriva a bollate, subito si capisce che non è un carcere normale. Lo si comprende all’interno della struttura, lo si potrebbe intuire fuori

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cemento squadrata. Come si può immaginare, Bollate viene spesso criticato in quanto la sua organizzazione non è assimilabile allo standard carcerario medio italiano. Le critiche più accese si rivolgono al cosiddetto regime lassista di questo carcere: quello che è contestato è una sorta di eccessivo paternalismo nei come “stanno anche troppo bene”. Chiaramente, e questa è anche l’opinione dei condannati con cui abbiamo avuto la possibilità di confrontarci, non si possono lamentare a Bollate le tipiche situazioni delle carceri italiane a tutti tristemente note. Questo carcere che sembra essere un “unicum” nel panorama italiano però non è (anzi, non dovrebbe essere) nulla di straordinario. Semplicemente, a Bollate si applica quello che l’ordinamento penitenziario italiano prevede, consentendo così il raggiungimento della tutela costituzionale garantita ai detenuti. Semplicemente, Bollate mira recidiva stimato intorno al 10 %, contro la media nazionale del 70%. Non di rado si sentono ripetere queste parole, che auspicherebbero una pena maggiormente volta ad espiare la propria colpa, alla sofferenza e alla disintegrazione del proprio sé, e non di rado queste parole provengono dalle perite bocche degli studenti di giurisprudenza, i quali, si presume, desiderio di vendetta, di giustizia in qualche modo, ma tende a seguire la via umorale del “caso eclatante”. Crediamo che quest’esperienza di contatto diretto con i detenuti sia imper ciò che si è direttamente conosciuto. Uno dei motivi per cui spesso di espiare una pena risiede proprio nella collocazione spaziale in carcere sideriamo “altro” da noi, diversi, distinti. E in questo senso, le strutture carcerarie non aiutano, collocate come spesso sono in periferia e costruite in blocchi asettici di cemento armato. Se invece riconosciamo il detenuto toto a noi, allora forse riusciremo con più lucidità a ragionare di questi temi. Presa coscienza della portata formativa ed umana dell’esperienza svolta,

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ci auguriamo che il resoconto di queste attivitĂ possa spingere sempre piĂš ce non solo di sapere, ma anche di ponti con il mondo. FONTI: svolgere servizi di volontariato in carcere sono rintracciabili negli appositi siti citati nel testo.

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Omofobia: evoluzione della disciplina e situazione attuale Elisabetta Casano, Mariachiara Falco, Debora Guerra e Roberta Mauri L’omofobia è la paura e l’avversione irrazionale che si basa sul pregiudizio, nei confronti dell’omosessualità e di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (LGBT). L’unione Europea la considera analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo. Con il termine “omofobia” si indica quindi un insieme di sentimenti, pensieri e comportamenti avversi all’omosessualità. principali prospettive. La prima fa riferimento ad un’ accezione pregiudiziale che considera omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti personali e sociali contrarie all’omosessualità, come ad esempio la convinzione che l’omosessualità sia patologica, contro natura e socialmente pericolosa. La seconda è invece un’accezione che considera come omofobia tutti quei comportamenti che ledono i diritti e la dignità delle persone le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli considera l’omofobia come un’ irrazionale paura e repulsione nei confronti dei LGBT. Questo fenomeno si manifesta sia nella sfera pubblica che in quella privata, sotto forme diverse che vanno da discorsi intrisi d’odio e istigazioni grano fatti penalmente rilevanti e possono essere inquadrati nell’ampia categoria criminologica degli hate crimes, ossia quei crimini commessi nei confronti di determinati soggetti a causa della loro appartenenza ad un religione e all’orientamento sessuale. Guardando, infatti, alle statistiche tato, tra l’altro, alla raccolta dei dati in materia di giustizia- si evince la consistenza dei reati ispirati da discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, inferiori numericamente solo ai delitti motivati da discri-

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all’Inghilterra e al Galles, negli anni 2011-2012, i quali registrano 43.748 crimini di tale natura. Ciò che più colpisce è che, disaggregando il dato sulla base dei diversi fattori di discriminazione emerge che l’82% è rappresentato da crimini a sfondo razziale, immediatamente dopo, con una percentuale pari al 10% del totale si posizionano i crimini ispirati da odio omofobico, 4.252 crimini. Si può quindi affermare che, se tradizionalmente l’hate crime era il crimine d’odio razziale, oggi quest’ultimo si contende il campo con i delitti ispirati da omofobia. All’interno di questa categoria rientra anche quella dei così detti hate speeches cioè i discorsi intrisi d’oche effettivamente rientra nella categoria di hate speech e una che invece risponde alla forma legittima di espressione del pensiero, è problematico. salità intercorrente tra la parola e i suoi possibili effetti: occorre cioè vapossa essere sanzionata in modo costituzionalmente legittimo. Per il giurista, e per il penalista in particolare, il tema delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale rappresenta un rinnovato stimolo tra diritto penale e morale, tra reato e peccato. Il primo e più risalente approccio del diritto penale al tema dell’omosessualità consiste nella repressione. Il tabù omosessuale trova la sua prima fonte formale nel precetto biblico secondo il quale “non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole e chiunque praticherà qualcuna di queste abominazioni, ogni persona che le commetterà, sarà eliminata dal suo popolo”. Se l’intero spettro della vicenda umana è percorso da costanti persecuzioni nei confronti delle persone omosessuali, quindi, lo si deve in modo particolare proprio alla tradizione biblica e ai precetti contenuti sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento. Pressoché ovunque le persone omosessuali e i rapporti omosessuali sono stati, ove non lo siano ancora tutt’oggi, sanzionati con pene terribili che vanno dalla La prima vera svolta storica, quanto alla depenalizzazione dell’omosessualità, risale al 1791, subito dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese, quando l’Assemblea Costituente abolì la pena capitale prevista per il delitto di sodomia. Qualche anno più tardi, nel 1810, Napoleone promulgò il primo codice penale, che faceva propri in parte i principi rivoluzionari -

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fosse ammissibile per la legge punire reati senza vittima (come l’eresia o la stregoneria). Successivamente i legislatori decisero di intervenire nuovamente sulla sfera morale, reintroducendo il delitto di sodomia. Vennero così introdotte leggi a protezione della morale e della pubblica decenza; cativa interruzione di una repressione e di una discriminazione millenarie. In alcuni paesi fu la giurisprudenza a dare una sferzata a questo dibattito, attraverso quella che possiamo chiamare “giurisprudenza del coming out”, Nell’esperienza degli USA, di spiccato rilievo, a riguardo, è una pronuncia della Corte Suprema risalente al 2003, relativa al caso Lawrence. La questione sollevata da tale caso era stata precedentemente risolta attraverso il caso Bowers, già nel 1986, ma in modo opposto. La domanda era: la sanzione penale volta a reprimere i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti contrasta con il diritto individuale al rispetto della vita privata? La risposta della corte fu che: “il fatto che la maggioranza della popolaziote perché la legge continui a proibirla”. Su questa premessa si evidenziano aree nelle quali lo Stato non può intervenire, tra le quali, le decisioni dell’individuo in materia di relazioni interpersonali e sessuali. Inoltre è da considerare che le leggi anti-sodomia rappresentano una grave violazione del principio di uguaglianza e sono quindi incostituzionali in quanto trattano le persone omosessuali diversamente dalle altre. E ancora alla base di tale decisione vi è il corretto assunto che il rapporto omosessuale tra adulti consenzienti non sia dannoso per la società: la sua repressione “cozza” dunque con il principio di offensività, per cui un reato deve essere offensivo di un bene giuridico, non può consistere in una condotta che non presenta vittime (Bentham e Beccaria). Di qui la conclusione che la Costituzione Federale si oppone alla conservazione delle norme penali in materia di comportamenti omosessuali nella sfera privata. Attraverso tale sentenza la corte suprema degli USA scolpisce una regola universale valida in ogni Stato laico del nostro pianeta. L’Europa nella decriminalizzazione dei comportamenti omosessuali è arrivata prima degli USA. Fondamentale una pronuncia della Corte Edu del 1981, sul caso Dudgeon, nella quale la Corte si domanda, in relazione ad una legge del Regno Unito, se l’incriminazione di comportamenti omosessuali sia compatibile con

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il rispetto dovuto alla vita privata a norma dell’art. 8 CEDU. Nel merito, questa sentenza anticipa largamente la decisione americana del 2003. La corte di Strasburgo ravvisa nella previsione del reato di sodomia un’interferenza da parte dello Stato nella sfera privata dei cittadini, escludendo nel contempo che tale interferenza risponda alle necessità di una società democratica, ai sensi dell’art. 8 CEDU. Per la corte tale necessità non esiste nemmeno in relazione alla “protezione della morale”: non esiste dunque ti omosessuali. Tali norme non hanno alcun fondamento e devono essere abrogate. La sentenza della Corte ha investito tutti gli allora 21 Stati membri del consiglio di Europa, che dal 1981 sono stati indotti a cancellare dai propri codici penali le norme anti-sodomia. Il diritto al rispetto della vita privata ha comunque una dimensione sovranazionale, possiamo dire globale, ed è per questo che la svolta giurisprudenziale che parte dal caso Dudgeon ha portato ad una serie di decisioni rese in altre parti del mondo: a oggi tutti gli ordinamenti a democrazia avanzata hanno abolito le norme che punivano gli atti omosessuali. Il 18 dicembre 2008 l’Unione Europea ha richiesto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’approvazione di una risoluzione volta a depenalizzare universalmente il reato di sodomia. Il testo della risoluzione è stato discusso ma non ha trovato una solida maggioranza in seno all’assemblea, è stato dunque convertito in una Dichiarazione approvata da sessantasei Stati e che quindi non solo non è vincolante, ma non fa neppure parte delle risoparticolarmente vigoroso dalla Santa Sede. Comunque nonostante tutti gli sforzi fatti, restano numerosi ordinamenti che prevedono ancora sanzioni gravi nei confronti delle persone omosessuali come in Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati e Iran. L’Italia, invece, si libera dell’incriminazione dei comportamenti sessuali prima di altri stati Europei. Nella legislazione preunitaria, un reato in questa materia è presente nel codice penale del Regno Lombardo-Veneto e nel codice Sardo-Piemontese del 1859, precisamente all’art. 425 il quale recita che “qualunque atto di libidine contro natura [...], se vi sarà intervenuto scandalo o vi sarà stata querela, sarà punito con la reclusione”. Si tratta di eccezioni destinate però a diventare la regola nel 1861, allorché il codice Sardo-Piemontese viene esteso alla quasi totalità dei territori italiani (a eccezione della Toscana e dell’ex regno delle due Sicilie dove

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ce penale dell’Italia unita, il Codice Zanardelli. Sullo sfondo di tale scelta però si intravede una motivazione velata di ipocrisia, infatti la ragione della depenalizzazione della sodomia in Italia non risiedeva nell’esigenza di garantire maggiori libertà, ma fu dettata dalla volontà di lasciare che di queste cose si occupasse la Chiesa, con metodi sanciti non dal diritto bensì dalla morale. Zanardelli infatti affermò a chiare lettere che i rapporti omosessuali non dovessero comparire tra i reati espressamente previsti e la ragione stava nella volontà di delegare alla Chiesa la repressione di tali comportamenti. Questo ragionamento fu fatto proprio anche dal suo successore, Alfredo Rocco, nell’emanazione del nuovo codice penale del 1930. Il legislatore fascista aveva previsto, nel progetto del 1927, un reato di relazioni omosessuali all’art. 528, il quale recitava: “chiunque compia atti di libidine su persona dello stesso sesso, ovvero si presta a tali atti, è punito, se dal fatto derivi pubblico scandalo, con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da 1 a 5 anni se: 1) il colpevole, essendo maggiore degli anni 21, commetta il fatto su persona minore degli anni 18; 2) se il fatto l’omosessualità non si presentasse all’epoca in forma allarmante. Si parla in questi casi di “tolleranza repressiva”, una sorta di accordo implicito stipulato in astratto a livello sociale per cui non si avrà nessuna repressione penale in cambio di una condotta di vita che mantenga l’omosessualità nell’ombra. Tuttavia la scelta fu contestata dalla cultura fascista che, pur in assenza di norme incriminatrici rese le persona omosessuali vittime di discriminazione, arbitri e violenze. ormai improponibili in un paese di civiltà occidentale, il discorso sull’omosessualità si colloca su un altro piano: il problema ora è quello di contrastare con leggi incriminatrici il fenomeno dell’omofobia. Venendo ai nostri giorni, possiamo constatare come l’esperienza italiana in materia di contrasto all’omofobia, se confrontata con il panorama legislativo europeo, sia a dir poco sconfortante: il nostro paese non dispone infatti di leggi anti-omofobia, né contempla norme penali che incriminino o aggravino i fatti che risultino discriminatori. Neppure nella nostra Carta Costituzionale vi sono riferimenti espliciti a tali fattispecie. Soltanto in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, l’Italia possiede

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una normativa: si tratta di una legge del 1975, successivamente accompagnata dalla legge Mancino del 1993. Manca tuttavia in questo contesto una legge che protegga le persone omosessuali e transessuali dalla violenza e dai discorsi d’odio. avanzata nel 2009. Il percorso per la proposta iniziò nel novembre 2008 quando venne presentato alla Camera un Ddl che estendeva la legge del alla discriminazione per motivi razziali , etnici, nazionali, religiosi anche quella per l’orientamento sessuale. Accanto a questo ddl , ne era stato depositato un altro, ispirato da una logica diversa, che introduceva nel codice penale una circostanza aggravante o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato. Nel corso del dibattito della commissione parlamentare incaricata, i due Ddl sono stati riuniti in uno solo, che prevedeva unicamente una circostandalla Commissione Giustizia della Camera, emergevano parecchi dubbi spressione “orientamento sessuale”). La Camera pervenne così all’affosvenne sottoposto a discussione parlamentare il 13 ottobre 2009, i deputati Buttiglione, Vietti e Volontè proposero di esaminare la legittimità costituzionale del testo, sollevando una pregiudiziale di costituzionalità. La conseguenza fu quella di evitare una discussione sul merito. La pregiudiziale richiamava l’attenzione sulla mancanza di una chiara che la sollevarono, ricomprenderebbe “qualunque orientamento compresi dotto un trattamento differenziato fondato su un elemento irragionevole e che avrebbe portato alla violazione degli articoli 3 e 25 della Costituzione. Con una seduta lampo la Camera ha votato e approvato questa pregiudiziale, affossando cosi la proposta di legge. L’obiezione sollevata dai redattori della pregiudiziale è completamente infondata ed è anzi il risultato di una certa ignoranza in materia: l’orientamento sessuale infatti, non corrisponde a nessuna delle condotte citate. Alcune di queste sono infatti pratiche sessuali, altre psicopatologie e comunque spesso corrispondono già in parte ad azioni punite dal codice penale.

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La Camera ha in sostanza ritenuto, con la sua votazione favorevole a quella fobia si tradurrebbe nella protezione di criminali; quindi in sostanza per il nostro legislatore l’omosessuale resta una persona malata, imprigionata in un corpo deviante, quando non criminale. Inoltre gli estensori della pregiudiziale vorrebbero far accettare che l’eletabile. Ma non è cosi: la stessa discriminazione razziale e i reati a sfondo razziale, che sono già puniti nel nostro ordinamento a partire dalla legge Mancino, richiedono l’accertamento della volontà dell’agente, rispetto al quale il giudice non si è mai sottratto nè potrà sottrarsi. Un secondo tentativo di riempire il vuoto legislativo in materia di tutela dei diritti degli omosessuali, fu operato dall’onorevole Paola Concia nel novembre 2010: il disegno di legge prevedeva l’introduzione nella parte speciale del codice penale di due aggravanti agli art 599-bis e 615-quinquies c.p., con un aumento di pena sino a un terzo per tutti i delitti contro la persona quando siano commessi “ in ragione dell’omosessualità o transessualità della persona offesa”. Per la seconda volta però la Camera ha votato contro la proposta di legge, anche in questo caso accogliendo pregiudiziali di costituzionalità sul Ddl contro l’omofobia. La pregiudiziale presentata da Udc, Pdl e Lega è passata con 293 voti favorevoli, 250 contrari e 21 astenuti. La stessa Concia ha denunciato che “ la maggior parte del parlamento ha scelto di stare dalla parte dei violenti e non delle vittime delle violenze e delle discriminazioni”. Fabrizio Cicchitto, capogruppo della Camera ha risposto affermando di non aver tenuto un atteggiamento omofobo ma, al contrario, di aver voluto considerare i gay come cittadini uguali agli altri e proprio per questo che come tale ammetterebbe una diversità, sostanzialmente incostituzionale. Posizione contraria è stata assunta da Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità del governo Berlusconi, per la quale il popolo della libertà, col voto in Commissione, avrebbe perso un’occasione: il testo infatti non prevedeva il reato di omofobia, ma introduceva aggravanti per i reati commessi a scopo discriminatorio. La Carfagna ha inoltre sottolineato che il testo del Ddl era una norma di stampo europeo. Ultima novità inerente alla questione è stato l’annuncio di Bersani, alla convention romana organizzata dall’ Arcigay, di una legge sull’omofobia

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entro brevi termini e di un’altra, sulle unioni civili fra persone dello stesso sesso. Nel corso dell’appuntamento, organizzato dalle principali associazioni italiane LGBT, a cui hanno partecipato, oltre al Pd, anche esponenti di Sel, Rivoluzione Civile e Movimento 5 Stelle, Bersani ha anche promesso di estendere la legge Mancino ai reati motivati da omofobia e trans fobia e di prendere in considerazione “ la legge tedesca sulle unioni omosessuali e tradurla nella legislazione italiana”, compreso “il nodo del riconoscimento del bambino, che cresce all’interno di un nucleo familiare omo genitoriale, a vedere riconosciuto dalla legge di legame affettivo con il genitore non biologico, soprattutto nei casi di malattia o morte del genitore biologico”. L’Arcigay ha registrato positivamente la posizione del Pd sul matrimonio, ma la cosiddetta “proposta tedesca” è stata giudicata dal presidente dell’organizzazione, Flavio Romani, “ancora troppo distante da quel minimo che omosessuali e lesbiche italiani, le loro famiglie, e gli italiani si attendono da un gruppo politico che si dice realmente progressiva e che si batte per l’uguaglianza formale e sostanziale di tutti ed è già vecchia rispetto al quadro normativo europeo”. Per quanto riguarda invece il panorama europeo, l’esperienza francese è senz’altro emblematica. Questo paese ha assistito negli ultimi anni ad tali fenomeni ha emanato diverse leggi. La tutela contro la violenza omo2003-239 del 18 marzo 2003 al Capitolo IX prevede Disposizioni relative alla lotta contro l’omofobia. Essa ha introdotto l’art. 132-77 nel codice penale francese, prevedendo una circostanza aggravante qualora il reato “sia commesso in ragione dell’orientamento sessuale della vittima” e chiarendo che “la circostanza aggravante è integrata allorché il reato è preceduto, accompagnato o seguito da propositi, scritti, utilizzo d’immagini, oggetti o atti che attentano all’onore o alla reputazione della vittima o di un gruppo di persone di cui la vittima fa parte in ragione del loro orientamento sessuale vero o supposto”. Anche la successiva “loi n. 2004-204 portant adaption de la justice aux evolutions de la criminalitè del 9 marzo un aggravamento di pena in caso di discriminazione omofobica, che interessa anche reati contro il patrimonio come il furto e l’estorsione, nonché il reato di minacce (artt. 228-18,1, 312-2 del Code Pénal). In particolare la novella francese prevede l’ergastolo in sostituzione della pena della reclusione sino a trent’anni nel caso dell’omicidio volontario. Sono previste

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altresì pene aggravate nel caso dell’omicidio preterintenzionale (20 anni di reclusione anziché 15 anni), nel caso di violenze da cui conseguano lesioni gravissime (15 anni anziché dieci anni di reclusione, accompagnata dalla pena dell’ammende di 150.000Euro), nonché nel caso della violenza sessuale (20 anni di reclusione anziché 15 anni). Occorre ricordare che la legislazione francese si caratterizza anche per la che in ragione anche dell’orientamento sessuale”; l’art. 225-2 commina per ’imprisonnement unitamente alla pena dell’ammende re una persona, sanzione o licenziamento della persona a cagione del suo orientamento sessuale. La norma prevede inoltre un aggravamento di l’accesso al luogo pubblico. L’art. 433-7 prevede altresì una pena aumenpubblico servizio, nell’esercizio delle sue funzioni. Se nel panorama europeo si stanno compiendo dei passi in avanti nella tutela dei diritti delle persone omosessuali, nel resto del mondo vi sono ancora paesi dove l’omosessualità è combattuta e denigrata. L’esperienza nigeriana ne è un esempio lampante: non solo manca uno spirito tollerante, ma, al contrario vi è un vero e proprio accanimento nei confronti degli omosessuali. L’Assemblea Nazionale della Nigeria ha approvato un emendamento secondo cui chi si batterà per i diritti degli omosessuali verrà punito con cinque anni di carcere. Il provvedimento, rinominato dalla stampa “Same Sex Prohibition Act”, è volto a zittire una minoranza che negli ultimi mesi sta cercando di contrastare in tutti i modi, un governo omofobo che oltre a permettere l’espulsione di quindici sospetti omosessuali dall’Accademia della Difesa nigeriana di Kduma, non ha condannato la folla che nel maggio 2012 aveva picchiato e insultato ad Abujia una coppia di omosessuali. La situazione di grave omofobia della Nigeria ha preoccupato il Dipartimento di Stato americano, secondo il quale lo stato, approvando questa legge, è venuto meno agli impegni internazionali. Il cieco orientamento nigeriano non è stato però frenato: anzi, il senatore Domingo Alaba Obende ha presentato in Parlamento un progetto di legge contrario ai matrimoni gay. È la terza proposta di questo tenore, dopo i tentativi del 2006 e del 2008. Secon-

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do Obende, il matrimonio tra persone dello stesso sesso “non può essere permesso né sul piano morale né sul piano religioso” in quanto proibito dalle religioni africane. Dello stesso tenore una proposta di legge tuttora in discussione che mira a punire quelle coppie omosessuali che si siano già unite in matrimonio o che abbiano provato a farlo. La pena consisterebbe in cinque anni di carcere e 230 euro di multa. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha dovuto fare i conti con il piano dei diritti umani è oggi quella di incrementare la creazione di norme che puniscano i comportamenti omofobi: non si tratta più quindi di abolire leggi incriminatrici dell’omosessualità. A questo proposito risulta di rilevante importanza la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. V, 9 febbraio 2012, che legittima gli stati membri a dotarsi di una legislazione penale che sanzioni l’omofobia. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito ad una questione sorta in Svezia: i ricorrenti (membri di un’associazione denominata National Youth) distribuiscono dei volantini in una scuola secondaria superiore, inserendoli all’interno degli armadietti; tali volantini contengono una propaganda omofoba e in particolare sostengono che l’omosessualità sia una “tendenza sessuale deviante” capace di sortire un effetto distruttivo sulla società. Gli omosessuali sarebbero inoltre i principali responsabili della diffusione del virus dell’HIV e dell’ AIDS e una “lobby omosessuale” sarebbe all’opera per occultare il to all’odio contro un gruppo raziale o etnico (hate speech) ai sensi della legislazione penale vigente in Svezia. Il primo grado della giustizia svedese condanna i convenuti, la Corte di Appello li assolve e la Suprema Corte rivolgono alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. I ricorrenti lamentano la violazione dell’articolo 10 comma 1 della CEDU che sancisce il principio della libertà di espressione, mentre la controparte chiede che venga riconosciuta l’applicabilità dell’articolo 10 comma 2 della stessa CDEU, in base al quale la libertà d’ espressione deve considerarsi un diritto condizionato : “L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica [...]”. La corte respinge il ricorso attestando l’esistenza dell’abuso di diritto ai sensi dell’articolo 101 CEDU. Durante il processo sono intervenute in qualità di “terzi ad adiuvandum”

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due organizzazioni internazionali come l’International Centre for the Legal Protection of Human Right e l’ International Commission of Jurists. Tali organizzazioni hanno denunciato il fatto che, nonostante l’aumento della diffusione dei discorsi omofobi, gli Stati membri non hanno adottato strumenti di contrasto a tale fenomeno. Due sono le direzioni nelle quali queste organizzazioni si sono mosse: dapprima hanno sottolineato come alla corte sia stata data con questo processo l’occasione di sviluppare e consolidare un adeguato orientamento giurisprudenziale in materia di hate speech omofobo. In secondo luogo hanno chiesto che nella legislazione vigente che tutela le vittime di hate speech l’omofobia fosse equiparata alla xenofobia e al razzismo: l’orientamento sessuale infatti è una caratteristica fondamentale per l’identità della persona ed è un segno distintivo di un identità collettiva, di soggetti che si riconoscono come gruppo. Questi i fatti. Occorre ora passare all’analisi delle argomentazioni della corte. L’ interferenza con l’ articolo 10 comma 1 è attestata, ma occorre desimo articolo. Detto in altri termini: la Suprema Corte Svedese, nel ritenere i ricorrenti colpevoli, ha violato il diritto alla libertà di espressione, ma ciò è stato fatto legittimamente in accordo con l’articolo 10 comma 2 oppure no? La risposta che la corte fornisce a tale domanda è positiva: l’interferenza con il diritto alla libertà di espressione è conforme alla legge svedese in quanto volta a tutelare la reputazione e i diritti del gruppo omosessuale poiché ciò costituisce una “misura necessaria in una società democratica”. A questo punto due sono le osservazioni da fare: si noti, innanzitutto, che la corte equipara l’omofobia al razzismo e alla xenofobia, inserendolo nella fattispecie dell’hate speech. in secondo luogo la sentenza costituisce una sorta di via libera e di legittimazione per gli stati alla creazione di un’apposita legislazione penale che sanzioni l’omofobia. Ma l’aspetto più interessante di questa sentenza è forse costituito dalle concurring opinions, in particolare da quella dei giudici Yudkivska e Villiger. La loro precisazione è assai rilevante: essi ritengono che si possa conhate speech, discorso d’odio omofobo che non riceve protezione dall’articolo 10 della CEDU. Secondo i due giudici infatti, il contenuto dei volantini incita all’odio, diversamente da quanto aveva ritenuto la corte nella sua intera composizione, secondo la quale la propaganda sarebbe stata grave e pregiudizievole ma non capace di istigare alla violenza. La questione, dunque, andrebbe oltre il bilanciamento tra la libertà di espressione

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e la tutela della dignità dei singoli gruppi: come si legge nella concurring opinion, “l’hate speech è distruttivo per la società democratica nella sua interezza, poiché i messaggi d’odio riceveranno credito, con il connesso risultato di discriminazione e forse persino violenza contro i gruppi di minoranza (...). Le statistiche sui crimini d’odio mostrano che la propaganda d’odio comporta sempre seri danni, in via immediata o potenziale. (...) Non è necessario aspettare che l’hate speech diventi un pericolo reale e imminente per la società democratica” . Ricordiamo che secondo le già citate la base dell’orientamento sessuale sono inferiori solo a quelli motivati da discriminazione raziale, con la conseguenza che i soggetti LGBT diventano vulnerabili in quanto vittime sistematiche di aggressioni immotivate. Tutto ciò va a sostegno della necessità che i paesi UE si dotino di una legislazione penale che sanzioni l’omofobia. Alla sentenza della Corte sono state mosse numerose critiche. Anzitutto la CEDU è stata accusata di aver agito in maniera timida e poco incisiva, dal momento che i volantini sarebbero ampiamente potuti rientrare nella categoria degli hate speech e si sarebbe persa “l’occasione di segnare una linea di tendenza nella giurisprudenza delle Corti internazionali” (cit. Luciana Goisis). Le distanze dalle Corti USA, generalmente restie a restringere le libertà personali se non quando rischino di sfociare in episodi di violenza, avrebbe potuto essere più marcate. Un’altra critica riguarda questo fatto: la Corte ha ritenuto cruciale per la sua decisione che i volantini fossero stati distribuiti all’interno di una scuola, destinati a giovani studenti più inclini ad essere suggestionati e che tali volantini fossero stati inseriti da. Non è possibile non soffermarsi sul fatto che tali elementi avrebbero potuto occupare una posizione secondaria, mentre sarebbe stato molto più rilevante riconoscere a questo gesto la natura di hate speech. diffusa l’omofobia. Le statistiche che parlano di crimini omofobi in aumento testimoniano un fatto che trova conferma nella nostra vita quotidiana: sempre più spesso infatti le cronache raccontano di violenze assolutamente gratuiti ai danni di soggetti omosessuali, senza contare che molte delle aggressioni non vengono denunciate per paura o per vergogna. Sempre più spesso l’hate speech risulta prodromico all’hate crime.

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FONTI: Spielmann, Vejdeland e altri c. Svezia (ric. N.1813/07) con commento di Luciana Goisis legge�, Emilio Dolcini

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DIRITTO DEL PROCESSO E CONTENZIOSO DELL’UNIONE EUROPEA

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Udienza alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Un rinvio pregiudiziale in tema di tariffe minime delle Società Organismi di Attestazione (SOA). Anna Ferrari Lussemburgo, Corte di Giustizia dell’Unione Europa. Un’aula giudiziaria di fondo alla stanza si trova l’alto scranno a forma di cavallo dove siederà la giuria e, dietro ad esso, le porte dalle quali i giudici faranno il loro ingresso. Noi, ventuno studenti del corso di Diritto del Processo e del Contenzioso dell’Unione Europea del professor Massimo Condinanzi, ci sediamo sulle poltrone gialle ricamate con la scritta CVRIA destinate al pubblico, muniti degli atti della causa. Si tratta di un rinvio pregiudiziale proveniente dal Consiglio di Stato italiano1 . Progressivamente l’ambiente si anima. Gli interpreti prendono posto nelle loro cabine laterali, protetti da un vetro insonorizzato. Francese, inglese, italiano, tedesco, svedese, olandese, to il bracciolo della poltrona si possono ascoltare le traduzioni. Questo è il primo approccio tangibile al principio di parità linguistica vigente tra gli Stati membri dell’Unione, secondo il quale tutte le lingue2 sono su un piano di assoluta parità, con la conseguenza che tutti gli atti provenienti dalle istituzioni europee vengono tradotti in ciascuna di esse. La lingua processuale della causa in questione sarà naturalmente l’italiano3 . Nel frattempo entrano gli avvocati delle parti, i referendari del giudice relatore e dell’avvocato generale e gli agenti della Commissione Europea. Si salutano e si stringono la mano. Prima sorpresa: il professor Condinanzi 1 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, com’è noto, si ripartisce in Corte di Giustizia, Tribunale e Tribunali specializzati. Tra questi ultimi, il solo ad essere istituito è, ad oggi, il Tribunale della funzione pubblica a partire dal 2004. In materia di rinvii pregiudiziali, sia di validità che di interpretazione, è competente esclusivamente la Corte di Giustizia che è il 2 Le lingue dell’Unione Europea sono ora ventiquattro da quando, a partire dal 1 luglio 2013, anche la Croazia è entrata nell’Unione. 3 Regolamento di procedura della Corte di Giustizia, art.37 c.3 “Nei procedimenti pregiudiziali, la lingua processuale è quella del giudice del rinvio”. Il giudice di rinvio, nel caso concreto, è il Consiglio di Stato italiano, quindi la lingua processuale sarà l’italiano. L’art.36 del detto regolamento elenca le lingue processuali. La lingua processuale è la lingua in cui, in via generale e a parte l’attivazione di alcune deroghe, si svolge tutto il processo davanti al giudice comunitario, sia nella fase scritta sia nella fase orale.

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entra con indosso la toga. Sarà lui a difendere una delle parti del processo! Rimaniamo stupiti perché dagli atti che avevamo letto non risultava il suo nome. C’è stata una sostituzione di avvocati tra la fase scritta e la fase orale4 , cioè tra l’avvocato che ha scritto le osservazioni e l’avvocato dell’udienza, di cui evidentemente non eravamo stati informati. Poco prima che l’udienza cominci, gli avvocati vengono chiamati fuori dall’aula, dove vengono loro ricordati i tempi di parola e si decidono preliminarmente i punti chiave sui quali si vuole che verta la discussione. Si tratta di una regola di prassi, non contenuta cioè nel Regolamento di Procedura della Corte di Giustizia. Una volta rientrati, prendono i rispettivi posti di fronte al banco della Corte, vicino a due leggii dotati di pedana proprio nel centro dell’aula. Fanno dunque il loro ingresso i cinque giudici5 generale6 e dal Cancelliere. L’udienza può avere inizio. Presentazione della causa La causa C-327/12 ha ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art.267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale7 (sezione sesta) per la corretta interpretazione della normativa comunitaria in materia di applicazione di sconti sui corrispettivi, con specidel diritto della concorrenza UE artt.101(divieto di intese fra imprese), 102 (divieto di abuso di posizione dominante)e 106 (imprese incaricate della gestione di pubblici servizi di interesse economico generale) TFUE, nonché degli artt.49 (divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento) e 4 L’art.20 dello Statuto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, protocollo allegato al TUE e al TFUE, prevede che la procedura davanti alla Corte si articoli in due fasi, una scritta e una orale. Peraltro la fase orale davanti alla Corte di Giustizia è meramente eventuale, come si evince dall’art.76 Regolamento di procedura della Corte di Giustizia. 5 Si tratta quindi di una sezione a cinque. Le sezioni alla Corte di Giustizia possono essere a tre, a cinque, grande sezione e la sezione plenaria, secondo l’art.251 TFUE. 6 Ex art.252 TFUE “La Corte di giustizia è assistita da otto avvocati generali”. L’avvocato generale svolge una funzione di amicus curiae, cioè presenta un’opinione –non vincolante- nell’interesse della legge che può essere d’aiuto ai giudici nella decisione, a cui però non partecipa (non sarà mai presente in camera di consiglio). Il suo atto più importante sono le conclusioni, che trattano tutte le questioni sollevate nella causa e fanno particolare riferimento alla giurisprudenza. Tuttavia le conclusioni possono essere omesse qualora la Corte ritenga che la questione non sollevi nuove questioni di diritto, ex art.20 Statuto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 7 Il Consiglio di Stato, come espresso all’art.100 Cost., ha sia funzioni consultive sia giurisdizionali per la giustizia amministrativa. È infatti giudice d’appello avverso le sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali. Si tratta dunque di un giudice di ultima istanza e, nel quo in un rinvio pregiudiziale.

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51 TFUE (deroga al divieto per le attività di uno Stato membro che partecipino ai pubblici poteri) e dell’art.15 della direttiva Servizi 2006/123/CE. Le parti Innanzi al Consiglio di Stato pende una causa tra: contro tratti pubblici di lavori nonché contro nonché contro Attestazione). Cosa sono le Soa. Le Soa, Società Organismi di Attestazione, sono società per azioni, quindi di diritto privato, che nel sistema italiano svolgono la zione ed esecuzione di appalti di lavori pubblici. Le imprese che vogliono partecipare ad una qualsiasi gara di appalto devono cioè previamente ottenere l’attestazione Soa, che è quindi titolo abilitativo e costituisce “conre che si hanno tali requisiti in relazione a lavori pubblici di valore superiore a 150.000 euro e inferiori a 2.000.000 euro. Le Soa sono sottoposte al controllo dell’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che è duplice: ex ante perché la stessa attività Soa è condizionata dall’autorizzazione dell’AVCP; ex post in quanto l’Autorità ha potere 207/2010). La normativa nazionale prevede un regime di tariffe minime, dapprima nel DPR 34/2000 art. 12 e 14 e allegato E, poi nel DPR 207/2010 art. 70 c.4 e c.58 e allegato C che lo sostituisce.

nonchè tutte le attività integrative di revisione o di variazione, sono soggette al pagamento di un corrispettivo determinato, in rapporto all’importo complessivo ed al numero delle di cui all’allegato C - parte I (…).” Comma 5: “Gli importi determinati ai sensi del comma 4 sono considerati corrispettivo minimo della prestazione resa.(…) Ogni patto contrario e’ nullo (…)”.

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La questione in breve. La Soa Nazionale Costruttori spa vuole applicare sconti sulle sue prestazioni per essere più competitiva sul mercato e quindi ottenere la disapplicazione delle tariffe minime previste per legge. Il Ministero dello Sviluppo e l’Autorità di Vigilanza, la Soa CQOP spa (che è la Soa più importante in quanto a tradizione storica e numero di attestazioni rilasciate) e la associazione Unionsoa (che è un’associazione di categoria) si oppongono sostenendo la inderogabilità delle tariffe minime in base al D.Lgs 163/2006 art.40 comma 4 lettera e)9. Riassunto della vicenda giudiziaria Tutto inizia il 14 gennaio 2010. La SOA Nazionale Costruttori, messa fuori dal mercato a causa di un provvedimento di revoca dell’Autorità di Vigilanza (annullato poi dal Consiglio di Stato), cerca di tornare ad essere competitiva. Chiede perciò al Ministero dello Sviluppo Economico e alla stessa Autorità il permesso di disapplicare il regime di tariffe minime per le prestazioni delle SOA e applicare così sconti sulle proprie prestazioni. Dal primo riceve una nota con parere negativo, dalla seconda una avanti al quale intervengono ad opponendum l’associazione Unionsoa e la Soa CQOP spa. La SOA Nazionale Costruttori sostiene che vada applicato l’art.2 del D.L. 223/200610 (cosiddetto decreto Bersani) convertito in legge 248/2006 che liberalizza le attività professionali e intellettuali e le norme comunitarie in materia di concorrenza. Il TAR con sentenza 4951/2011 accoglie il ricorso, affermando che il decreto Bersani si applica anche alle tariffe praticate dalle SOA e che il regime di inderogabilità del-

italiano è intenzionato a mantenere le tariffe minime. È inoltre utile rilevare che il D.Lgs 163/2006, cioè il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, è stato emanato in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE 10 D.Lgs 223/2006 art.2 Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali: “1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza re agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: para

metrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”.

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le tariffe minime è illegittimo, assorbendo così la questione comunitaria. Il Ministero dello Sviluppo insieme all’Autorità di Vigilanza, la SOA CQOP spa e Unionsoa presentano tre appelli al Consiglio di Stato che li riunisce. La SOA Nazionale Costruttori, che tra l’altro il 30 settembre 2011 viene posta in liquidazione e cessa l’attività, ripropone tra gli argomenti in sua difesa la normativa comunitaria non presa in considerazione dal Tar Lazio-Roma. Con sentenza parziale 3905/2012, la sezione sesta del Consiglio di Stato ritiene fondato l’appello e riforma la sentenza del Tar negando l’applicabilità del decreto Bersani alle tariffe SOA. Solleva però con ordinanza di rimessione un rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia la seguente interpretazione: se i principi comunitari in materia di concorrenza e gli articoli 101, 102 e 106 TFUE ostino all’applicazione delle tariffe previste dal DPR 25 gennaio 2000 n.34 e dal DPR 5 ottobre 2010 n.207 che l’ha sostituito, per l’attività di attestazione delle SOA. Il 10 agosto 2012 si instaura così la causa C-327/12 davanti al giudice dell’Unione Europea. Le parti presentano quindi alla Corte le loro memorie, a cui si aggiungono le osservazioni della Commissione dell’Unione Europea, quale soggetto che interviene sistematicamente nei rinvii pregiudiziali11 . Il Ministero dello Sviluppo e l’Autorità dei Vigilanza d’ora in avanti vengono rappresentati dal Governo italiano. Giustizia Il Consiglio di Stato ha già reso una sentenza parziale negando la derogabilità delle tariffe minime, sentenza che secondo le controparti di SOA Nazionale determinerebbe l’irricevibilità del rinvio. Tuttavia la Commissione fa notare che non è escluso che una pronuncia della Corte sia utile nel giudizio a quo per chiedere e ottenere da parte della SOA Nazionale un risarcimento dei danni. In tal caso, la pronuncia della Corte manterrebbe una sua utilità e il rinvio sarebbe ricevibile.

11 Ex art.23 Statuto della Corte di Giustizia, nei rinvii pregiudiziali la decisione del giudice causa , agli Stati membri e alla Commissione, nonché all’istituzione, all’organo o all’organismo dell’Unione che ha adottato l’atto di cui si contesta la validità o l’interpretazione”. Tali soggetti hanno diritto, nel termine di due mesi, di presentare alla Corte memorie ovvero osservazioni scritte. Per prassi, la Commissione interviene sempre in funzione di amicus curiae.

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Secondo quanto sostengono le controparti di SOA Nazionale Costruttori, le SOA sono organismi di diritto privato (lo stesso rapporto tra SOA e impresa è un contratto privatistico), ma svolgono una funzione pubblicistica . Si tratta quindi di un’ipotesi di esercizio privato di funzione pubblica. Il legislatore per esigenze di sem12

(cioè dalle amministrazioni aggiudicatrici, e in particolare dall’Albo Nazionale dei Costruttori), a dei soggetti privati. Tuttavia la natura giuridica pubblica o privata del soggetto non incide sulla natura giuridica dell’attidell’atto e il fatto che l’Autorità di Vigilanza ha poteri penetranti di controllo nei confronti delle SOA. A sostegno di tali affermazioni, viene citato l’art.40 comma 3 del DLgs 163/2006, a norma del quale “le SOA nell’esercizio dell’attività di attestazione per gli esecutori di lavori pubblici svolgono funzioni di natura pubblicistica”. Il Governo italiano afferma che le SOA non sono imprese, ma piuttosto pubbliche autorità che esercitano pubblici poteri, quindi non si applicherebbe loro il principio comunitario di concorrenza ex artt 101, 102 e 106 TFUE. Anche nel caso in cui la loro attività venisse considerata economica, tuttavia rientrerebbero nell’ipotesi derogatoria dell’art.106 c.2 (vedi oltre). La SOA Nazionale invece ritiene che la natura pubblicistica delle SOA non le sottrae dalle regole sulla concorrenza, tanto meno per quanto riguarda il prezzo. D’altra parte ci sono già stati degli esempi, come le società di revisione che svolgono appunto attività di revisione contabile nei confronti delle società quotate in borsa. La loro attività è pubblicistica (in quanto volta alla tutela del risparmio), ma sono sottoposte alle regole della concorrenza. Anche la Commissione sostiene quest’ultima tesi. Il Governo italiano, la SOA CQOP e la Unionsoa sostengono che permettere del mercato delle commesse pubbliche. Inoltre l’uniformità delle tariffe secondo i criteri delineati dai dd.PP.RR nn 34 del 2000 e 207 del 2010 ri12 DLgs 163/2006 art.40 comma 9: “Le attestazioni rilasciate dalle SOA devono indicare espressamente le referenze che hanno permesso il rilascio dell’attestazione e i dati da esse risultanti non possono essere contestati immotivatamente”.

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ne. Affermazioni di cui la SOA Nazionale Costruttori e la stessa Commissione fortemente dubitano, in quanto ritengono indimostrato che la concorrenza sui prezzi determini uno scadimento del servizio offerto dalle SOA. Per di più, la formula che determina il corrispettivo spettante alle SOA contenuta nel DPR 207/2010 è complessa e risulta poco chiaro come sia stata determinata esattamente. dell’art.106 c.1 e c.2 TFUE Nella causa viene inizialmente in particolare rilievo l’art.106 TFUE, il quale dispone al comma 1 che “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi.” cate come “imprese titolari di diritti speciali o esclusivi”, corrispondenti di questa norma- alle regole concorrenziali del mercato Ue, che tendenzialmente determinerebbero l’abrogazione delle tariffe minime. La Commissione invece esclude del tutto che le SOA abbiano tali diritti speciali o esclusivi perché non vede un particolare legame con lo Stato. Infatti a livello territoriale non esiste un numero chiuso per le SOA (che sono circa trentasette). Inoltre in base all’art.67 DPR 207/2010 c’è assenza di discrezionalità da parte dell’amministrazione nell’ammettere all’esercizio di SOA una società che è in possesso dei requisiti. Senonché entra in gioco il comma 2 dell’art.106 TFUE, che in deroga al comma 1, stabilisce che: “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico genetrattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione”.13 Se si applicasse questa previsione e si riconoscesse che le SOA offrono “servizi di interesse economico generale” (come ritiene il Governo italiano, hanno una funzione posta nell’interesse generale al buon andamento, alla correttezza e all’imparzialità delle procedure di aggiudicazione dei contratti

13 Enfasi aggiunta nella citazione dei commi 1 e 2 dell’art.106 TFUE.

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richiede imparzialità) potrebbero derogare alle regole della concorrenza, purchè non siano pregiudicati gli scambi intracomunitari. Tale pregiudizio non esisterebbe, a detta delle controparti di SOA Nazionale, perché il regime tariffario riguarda solo le SOA italiane, alle quali non devono ricorrere le imprese appaltanti degli altri Stati membri. La SOA Nazionale Costruttori naturalmente contesta la riconducibilità all’art.106 c.2 TFUE. Sulla nozione di impresa Come già ricordato, secondo il Governo italiano le SOA non sono imprese, ma pubbliche autorità dotate di pubblici poteri. Anche nel caso in cui roga alle regole comunitarie sulla concorrenza. La Commissione fa notare che secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo te nell’offrire beni o servizi su un mercato determinato. Anche lo Stato o un ente statale possono agire come impresa. L’attività SOA pare avere una certa rilevanza pubblica, ma ci sono elementi a favore della sua natura economica quali: 1 - l’attività viene svolta dietro corrispettivo ed in base alla reale domanda del mercato. 2 - Le SOA, società di diritto privato a scopo di lucro (quindi non imprese Occorre quindi decidere se le SOA costituiscono “imprese” ai sensi del diritto dell’UE, e quindi se la loro sia attività di natura economica. La Comne della Corte nel caso concreto. La SOA Nazionale Costruttori rileva che l’Autorità di Vigilanza potrebbe non avere la necessaria indipendenza di giudizio. Secondo l’art. 1 comma 67 della legge 266/2005 e la delibera della stessa Autorità del 15/02/2010, l’Autorità riceve dalle SOA dalla medesima controllate un contributo del 2% dei ricavi risultanti dal bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio potrebbe avere tutto l’interesse a che le SOA non riducano i loro corrispettivi applicando eventuali sconti perché essa stessa percepirebbe dei contributi inferiori.

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Il precedente14 Nella trattazione della causa viene più volte citata, come precedente giurisprudenza della Corte, la sentenza Cipolla in tema di tariffe minime professionali degli avvocati. La Corte aveva affermato che gli onorari minimi costituiscono una restrizione della libera prestazione di servizi, da valutare alla luce della sua proporzionalità al dichiarato obiettivo di tutela dei amministrazione. Quindi la tutela dei consumatori e buona amministrazione possono essere ritenuti motivi imperanti di interesse pubblico che 1 -idoneità del provvedimento nazionale di cui si discute nella causa principale a garantire la realizzazione dell’obiettivo. 2 - il provvedimento non vada oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo. nata al perseguimento dell’interesse pubblico sotteso, tenuto conto peral(e non, come nel caso degli avvocati, sostanzialmente dal Consiglio Nazionale Forense. Anche se nella precedente causa Arduino, la Corte non aveva le, fosse imputabile direttamente agli avvocati, riuniti in “associazione di imprese”, ai sensi dell’art. 101 TFUE). tazione ex art.49 e 51 TFUE e udienza di discussione Problema non indifferente è infatti che la tariffe minime SOA non derivano da una prassi o da un accordo fra imprese o da decisioni di associazione TFUE 15, ma piuttosto da un intervento del legislatore italiano. La Commissione allora ha suggerito alla Corte di valutare la questione delle tariffe minime alla luce degli articoli 49 e 51 TFUE, che riguardano la libertà di colata alle proprie decisioni precedenti, ma di fatto essa vi presta molta attenzione. 15 Art.101 TFUE: “Sono incompatibili col mercato interno e vietati gli accordi tra le imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, all’interno del mercato interno(…)”.

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stabilimento, e dell’art.15 Direttiva Servizi 2006/123/CE16 . Per dare la concesso l’udienza di discussione a cui noi studenti siamo stati presenti. In particolare la domanda è stata proposta dalla SOA Nazionale Costruttori che, oltre alla necessità di replicare oralmente sul riferimento nuovo agli artt. 49 e 51 TFUE e alla Direttiva Servizi, ritiene che occorra chiarire: 1 - se l’attività SOA sia o no attività professionale o d’impresa (infatti il Consiglio di Stato l’aveva esclusa dall’assimilazione alle attività libero professionali; 2 - che qualità imparzialità e correttezza non sono collegati con la tarifproprio dal D.P.R. n.34/2000 e dal D.P.R. n.207/2010 e sui quali esercita il controllo l’Autorità di Vigilanza. 3 - la portata dell’art.106 TFUE, visti i richiami non pertinenti. L’art.49 TFUE stabilisce il divieto di restrizioni alla libertà di prestazione di servizi nel territorio UE. Sono considerate restrizioni tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà. Questi effetti restrittivi possono prodursi quando una società, a causa di una normativa nazionale che introduca qualche restrizione all’esercizio stabile o transitorio di attività economica in un diverso paese UE, possa essere dissuasa dal creare entità subordinate e dall’esercitare le sue attività in altri Stati la Commissione. A tal proposito la SOA CQOP sostiene che il principio di libertà di stabilimento non è violato perché non è escluso che altri Organismi di attestazione di altri Stati possano chiedere di essere autorizzati dall’AVCP ad esercitare la loro attività sul territorio italiano, al pari delle SOA italiane e alle medesime condizioni. Nel caso concreto non c’è nessuna impresa estera che voglia entrare nel mercato italiano e sia rimasta penalizzata dall’inderogabilità delle tariffe minime ivi previste. Tuttavia la Commissione osserva che già in passato la Corte si è pronunciata in materia di libertà di stabilimento in cause pregiudiziali italiane nonostante la fattispecie fosse limitata a quel solo Stato membro. Infatti viene in tal caso in rilievo il principio del divieto di discriminazioni alla rovescia e dell’obbligo di non riservare all’operatore interno un trattamento potenzialmente deteriore rispetto a quello riservato all’operatore comunitario.

vincolata alle proprie decisioni precedenti, ma di fatto essa vi presta molta attenzione.

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A sostegno della tesi del Governo italiano, di SOA CQOP e Unionsoa viene in rilievo l’art.51 TFUE17 che escluderebbe dal principio di libera circolazione i soggetti che partecipano all’esercizio di pubblici poteri. Si tratta dunque di stabilire se le SOA italiane esercitino pubblici poteri.

da un motivo imperativo di interesse generale e proporzionate. In conformità a tali condizioni, gli Stati membri devono controllare le proprie risieda nella tutela dei destinatari dei servizi e/o della qualità di questi ultimi (si tratta infatti di imprese d’appalto informate e quindi in grado di valutare da sé i servizi resi dalle SOA), la Commissione nutre dubbi circa la proporzionalità delle tariffe in questione. La proporzionalità riguarda infatti l’idoneità della misura a raggiungere l’obiettivo e non andare al di là del necessario (ciò sembra invece avvenire per le SOA, stante anche la formula complessa e oscura di determinazione del corrispettivo base). Arriviamo dunque alla mattina piovosa del 16 maggio 2013, quando si tiene l’udienza di discussione. Gli avvocati ed agenti si alternano agguerriti al leggio nelle difese dei loro clienti, citando le norme nazionali e comunitarie e la giurisprudenza a sostegno delle loro tesi. Il professor Condinanzi rappresenta la SOA Nazionale Costruttori. La toga nera, un po’ grande, gli scivola leggermente da un lato mentre parla veloce. Fin troppo veloce. Tanto che gli viene chiesto di rallentare perché gli interpreti non riescono a seguire tutto quello che dice. A noi studenti viene da sorridere, dato che proprio il professore durante il corso aveva sottolineato l’utilità di parlare lentamente a motivo delle esigenze di traduzione simultanea. A parte ciò, ci pare che si destreggi egregiamente. Il giudice relatore e l’avvocato generale pongono domande per mettere meglio a fuoco alcune questioni toccate dagli avvocati. Parlano in francese, che per tradizione è la lingua veicolare alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, cioè la lingua comusapere come la Corte deciderà la causa ci vuole ancora tempo: l’avvocato 17 Art.51 TFUE c.1: “ Sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo (cioè il capo sulla libertà di stabilimento, ndr) per quanto riguarda lo Stato membro interessato, le attività che in tale Stato partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.

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generale annuncia le sue conclusioni per il 5 settembre 2013. Per noi la giornata continua con un paio di incontri con alcuni referendari, un breve saluto al giudice della Corte Antonio Tizzano e la visita alla biblioteca, che raccoglie la dottrina e la giurisprudenza piĂš rilevante di tutti gli Stati membri. rarsi su un terreno accidentato, in ragione dei forti e molteplici interessi in gioco. Se la Corte stabilisse che effettivamente la normativa italiana risulta contraria ai principi dell’Unione, il Consiglio di Stato sarebbe tenuto ad adeguarsi a tale decisione18 e a permettere, nel caso concreto, la disapplicazione delle tariffe minime. Ma ciò potrebbe portare ad una reazione a vi minimi delle prestazioni rese dalle Soa. FONTI: Torino, Giappichelli, 2009 Giappichelli, 2010 Nazionale Costruttori, osservazioni Unionsoa, memoria SOA CQOP, osservazioni del Governo italiano, osservazioni della Commissione Europea, sentenza del Consiglio di Stato N.3905/12

18 Le questioni risolte dalla Corte di Giustizia sono infatti vincolanti per le parti e il giudice del rinvio.

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INFORMATICA GIURIDICA

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Cyber warfare, cyber sicurezza o cyber spie? La comunità internazionale si arma di nuove regole sulla sicurezza informatica. Adriana Spina La tecnologia ha assunto un ruolo sempre più predominante, offrendo nuovi strumenti di interazione e comunicazione tra individui, ma anche trasformandosi ben presto in una vera e propria realtà virtuale, sostituendosi così in molte delle attività fondamentali che vengono svolte quotidianamente in primo luogo dagli uomini, ma anche dai governi stessi (anche in materia di difesa e sicurezza nazionale). In tale contesto si inserisce il fenomeno delle attività di cyberwarfare, prima come mera possibilità di controllare dispositivi elettronici sfruttando l’interconnessione della rete Internet, poi come vero e proprio ambiente operativo per condurre azioni di “guerra” attraverso il cyberspazio. cyberwarfare negli ultimi anni è andato sempre più diffondendosi e caratterizzandosi a livello internazionale come strumento utilizzato dai Governi delle maggiori ponell’acquisizione e analisi delle informazioni (spionaggio elettronico), ma anche nella violazione del perimetro di sicurezza dei sistemi di controllo e comunicazione dei Paesi “nemici” per facilitare operazioni militari cinetiche. formatiche, elettroniche e di telecomunicazione che causano incidenti a livello di sicurezza informatica sempre più complessi e transfrontalieri. In quest’ottica, uno degli episodi più eclatanti a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo è stato sicuramente l’attacco che ha colpito nel 2010 la centrale nucleare iraniana di Natanz attraverso un “virus” informatico. Il “virus” in questione è il famoso Stuxnet, creato – a quanto pare – dal Governo statunitense in collaborazione con quello israeliano con l’obiettivo di infettare l’hardware dei sistemi informatici di controllo industriale della centrifuga, riprogrammare la velocità di rotazione delle turbine e Di non secondaria importanza è anche la questione cinese. Secondo un report del 2013 (Data Breach Investigations1 ), gli attacchi informatici che 1 2013 Data breach investigations report - Verizon

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hanno colpito le aziende private americane nello scorso anno provengono per il 96% dalla Cina. Dopo velate accuse di concorrenza sleale da parte dell’Europa, nel mese di maggio il Pentagono ha esplicitamente parlato di un’attività di spionaggio informatico da parte della Cina non solo nei confronti delle aziende private, ma anche delle reti informatiche del ministero attraverso gli investimenti in ricerca e sviluppo fatti dagli Stati obiettivo delle attività di spionaggio. La Cina, attraverso le parole del ministero mato, con un comunicato postato sul sito, che due dei principali siti web dell’esercito locale sono stati vittime l’anno scorso di circa 144.000 cyberattacchi al mese, di cui quasi il 63 % provenienti dagli Stati Uniti. In seguito a tali episodi, i presidenti di Usa e Cina, si sono di recente incontrati in modo informale per aprire un dialogo proprio sulla cyber-sicurezza, in modo da gettare le basi per provare a stabilire delle regole comuni sul tema. Obama, in realtà, già da tempo aveva espresso il suo interesse nello stilare un preciso piano sulla cyber-security a protezione delle infrastrutture pubbliche e private della nazione, sfociato poi a gennaio 2013 in un DDS, in cui è emerso chiaramente il forte incremento non solo dei alle tecnologie e ai segreti industriali delle società americane. L’incontro, però, ha visto Obama in una posizione di debolezza rispetto a quella che ci si aspettava, in seguito alla diffusione della notizia di una diattraverso questa direttiva, chiedeva all’intelligence statunitense di stilare una lista di possibili bersagli nel mondo da colpire con cyber-attacchi, in modo da “far progredire gli obiettivi americani”. Secondo alcune dichiarazioni, tramite questo programma gli Stati Uniti sarebbero riusciti a sventare un attacco terroristico alla metropolitana di New York nel 2009, ma c’è anche chi afferma una perdita di credibilità da parte del Presidente stranieri, scelti facendo riferimento al principio “di buon equilibrio tra riavversari. Nonostante tale rivelazione, il leader cinese ha approvato la proposta di un gruppo di lavoro comune ai due Stati, che inizierà a lavorare nei prossimi mesi per cercare di controllare attraverso delle regole comuni il feno-

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meno dello spionaggio. Anche in Europa le istituzioni si stanno muovendo nella medesima direzione, infatti l’Unione Europea ha lavorato alla bozza della prima cybersecurity strategy. La Commissione Europea, in collaborazione con l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha pubblicato l’EU Cybersecurity 2 (plan to protect open internet and online freedom and opporunity), esponendo la propria opinione sulla prevenzione e la riposta agli attacchi informatici, con l’obiettivo di proteggere lo sviluppo dell’economia digitale. Tale strategia è basata su 5 priorità: 1 - Conseguire la resilienza informatica (capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d'uso e di resistere all'usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati); 2 - Ridurre drasticamente la criminalità informatica; 3 - Sviluppare la politica di difesa e le capacità connesse alla politica di sicurezza e di difesa comune; 4 - Sviluppare le risorse industriali e tecnologiche per la sicurezza informatica; 5 - Istituire una coerente politica internazionale del cyberspazio per l’Unione Europea e sostenere i valori fondamentali dell’UE. La strategia propone anche di istituire una rete di centri d’eccellenza contro la cyber-criminalità all’interno dei vari Stati membri. Tale rete dovrebbe essere costituita mediante la designazione di un’Autorità nazionale competente in tale ambito operativo. Il fulcro digitale della strategia è racchiuso nelle parole del Vicepresidente della Commissione, Neelie Kroes, che ha dichiarato che “a secure internet protects our freedoms and rights and our ability to do business”. Catherine Ahston, Alto rappresentante, ha confermato tale posizione, affermando che sia necessario assicurare i diritti fondamentali, la democrazia e lo stato di diritto nel cyber-spazio, mediante l’applicazione di regole, principi e valori promossi dall’Unione Europea. Una tale attenzione a questo settore è principalmente conseguenza delle stime effettuate sui dati preoccupanti riguardanti la sicurezza informatica: ogni giorno circolano 150.000 virus e vengono infettati 148.000 com2 EU Cybersecurity plan to protect open internet and online freedom and opportunity, 7/02/2013.

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te alle infrastrutture critiche informatizzate, con un danno eventuale di circa 250 miliardi di dollari. Tali rischi, inoltre, hanno indotto una buona tando di effettuare acquisti, operazioni bancarie on-line. L’Italia è tra gli ultimi Stati ad aver provveduto alla stesura di una propria normativa nazionale in tema di cyber-security, cominciando ad allinearsi alla strategia europea attraverso la riorganizzare dell’architettura istituzionale nel settore della sicurezza cibernetica, ma anche mediante la creazione di un’Autorità nazionale e di un CERT Nazionale, senza dimenticare l’importantissimo elemento dell’ information sharing tra pubblico e privato. Questo importante primo passo, contenuto nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24/01/2013, è stato pubblicato nel mese di marDirettiva recante indirizzi per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionale”3 . Il Decreto seguire per ridurre e prevenire i rischi di attacco, nonché quelle da seguire più presto in caso di crisi le funzionalità dei sistemi. Il CERT nazionale (Computer Emergency Response Team), costituito con il D.lgs. 28/05/2012, n.70, invece, a come obiettivo principale quello di informare tempestivamente sulle potenziali minacce che possono colpire le infrastrutture, i servizi delle imprese e i cittadini, garantendo loro un tura della sicurezza, ma anche ed in modo particolare partecipando alla cooperazione fra i vari CERT nazionali dei paesi UE ed il CERT europeo. Ruolo ugualmente importante è ricoperto dal CISR (Comitato interministeriale per la sicurezza della repubblica), con compiti di consulenza e proposta sulla politica dell’informazione per la sicurezza. Esso viene ad Nucleo per la sicurezza cibernetica. Anche la “reazione” italiana muove i suoi passi da una crescita esponenziale degli attacchi informatici, che secondo l’Assinform nel 90% dei casi

3 DPCM 24 Gennaio 2013 (GU Serie Generale n.66 del 19/3/2013).

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Come abbiamo avuto modo di vedere la protezione dagli attacchi informatici deve essere assicurata su più livelli. Se da un lato la Comunità internazionale ha sviluppato tecnologie sempre più avanzate, dall’altro non si per la sicurezza dei cittadini da simili minacce asimmetriche, quali quelle di cyber-warfare, ovvero per la loro riservatezza e privacy, ma anche per la sottrazione fraudolenta di informazioni riservate e di proprietà intellettuale. In tale panorama, proprio le norme paiono essere uno degli anelli NATO ha pubblicato un volume, il cosiddetto “Tallinn Manual”, contenente 95 “regole” per i Governi interessati a informatici dare una dimensione legale sul piano del diritto internazionale alle attività di cyber-warfare. della difesa americano come una possibile “Pearl Harbor digitale”.

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DIRITTO COMMERCIALE

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La nuova primavera dell’economia in Italia Giulia Pirola

sulle cosiddette Start up innovative ed il c.d. crowdfunding. Infatti, in seguito all’entrata in vigore il 20 ottobre 2012 del Decreto Sviluppo 2.0, contenente “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (D.L. 179/2012 convertito con l. 221/2012), le dinamiche di nascita e crescita di nuove imprese in Italia L’obiettivo che il nostro governo si è posto con la nuova normativa è quello di promuovere la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico e l’occupazione, in particolare giovanile. Si punta, così, ad una nuova cultura impiù appetibile per gli investitori stranieri, mediante l’istituzione delle c.d. Start up innovative, così come recita l’art. 25 del D.L. 179/20121 . Il provvedimento legislativo, pur nell’intento di promuovere la nascita e la crescita di nuove imprese, pone tuttavia limiti e requisiti stringenti che non semnuove imprese. Nel decreto sviluppo vengono annoverati i principi programmatici delle ; vengono, inoltre, introdotte deroghe alle norme ordinarie di diritto societario del codice civile, 3 4 se , e alle 5 pitali di rischio tramite portali on-line, il c.d. crowdfunding, demandandone la regolamentazione di dettaglio alla Consob6. Nel medesimo decreto 2

1 Convertito in L. 221/2012 2 Art. 25 d.l. 179/2012 3 Art. 26 d.l. 179/2012 4 Art. 29 d.l. 179/2012 5 Testo Unico della Finanza, d.lgs n. 58/1998 6 Documento 29 marzo 2013, http://www.consob.it/main/aree/novita/consultazione_crowdfunding_20130329.htm

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come la società di capitali (costituita anche in forma cooperativa) di diritto italiano ovvero la società europea residente in Italia, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione e che ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore determinati e rigidi requisiti: successivi ventiquattro mesi, la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria dei soci; (b) è costituita e svolge attività d’impresa da non più di 48 mesi; (c) ha la sede principale dei propri affari e interessi in Italia; (d) dal secondo anno di attività il totale del valore della produzione annua non deve essere superiore a 5 milioni di euro; (e) non può distribuire utili, né può averne distribuiti in passato; (f) deve avere come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; (g) non deve essere stata costituita da fusione, scissione societaria o da cessione di un’azienda o di un ramo di un’azienda; (h) deve possedere almeno uno di questi tre requisiti: 1) le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 20% del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start up innovativa; 2) l’impiego come dipendenti o collaboratori, in percentuale uguale o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o con un iter di ricerca in corso di svolgimento in una università italiana o straniera o, ancora, personale in possesso di

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istituti di ricerca italiani o privati ; 3) sia titolare, depositario o licenziatario di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topotamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività d’impresa. to a società di capitali che hanno il compito di sostenere la nascita e lo introdotto, le start up innovative dovranno essere iscritte in un’apposita sezione del Registro delle imprese e i requisiti d’accesso a tale regime entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio, il rappresentante legale della Start-up innovativa dovrà attestare, depositando tale dichiarazione presso il Registro delle imprese, il mantenimento del possesso dei requisiti previsti dal Decreto. È dunque chiaro che l’obiettivo di tali disposizioni degli oneri amministrativi e del quadro normativo. Altro punto rilevante è la deroga all’art. 2468 c.c.7, in virtù della quale, non solo le quote di partecipazione in Start-up innovative costituite in forma di Srl possono 8 , ma è addirittura possibile la raccolta dei capitali attraverso dei portali on-line, il c.d. crowdfunding9 . Tale deroga, riferita ad un tipo di imprese più rischiose, sembra quindi degna di nota relativamente alle prospettive di sviluppo di imprese appena nate, di solito nella forma di Srl; cionondimeno di fatto mette in discussione la ratio dell’art.2468. Oltre a quanto è stato detto risulta opportuna soffermarsi sul crowdfunding. Si tratta di piattaforme capitale di rischio da parte delle Start-up innovative. L’attività di gestione di tali portali viene riservata alle imprese di investimento e alle banche autorizzate ai relativi servizi di investimento, nonché ai soggetti iscritti in un apposito registro che dovrà essere istituito e tenuto dalla Consob, a condizione che questi ultimi soggetti trasmettano gli ordini riguardanti la 7 Art.2468 c.c. Della società a responsabilità limitata, “Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di sollecitazione all’investimento.” 8 Art.26, comma 5, d.l. 179/2012 9 Art.30 d.l. 179/2012

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di capitale esclusivamente a banche e imprese di investimento. Come riporta la Consob10 è anche vero che non mancano i rischi. Infatti se da una parte si prevede l’abbattimento dei costi di raccolta di capitale di rischio, l’accesso ai capitali con regole meno restrittive rispetto al ricorso a banche, la possibilità di raggiungere clienti e investitori intenzionati a offrire piccole cifre ed del capitale a soggetti poco competenti o consapevoli, con cui dover condividere le decisioni strategiche, così come problemi nel rendere note idee imitabili e in materia di riservatezza a fronte della necessaria trasparenza verso i nuovi investitori, senza contare i rischi di divergenza fra le valutazioni dell’imprenditore e quelle del gestore (ove sia offerto il servizio di valutazione dei progetti imprenditoriali). Ciononostante il regolamento, spiega la Consob, mira a supportare le start-up innovative, “garantendo ai piccoli risparmiatori che aderiscano alle iniziative di Crowdfunding un livello di tutela equivalente a quello assicurato alla clientela retail dagli intermediari autorizzati alla prestazione di servizi di investimento”. Sono quindi previsti obblighi, informativi, di correttezza, e operativi, nei confronti degli investitori. Non resta quindi che vedere come in concreto si realizzerà il bilanciamento tra l’esigenza di facilitare la raccolta di capitali di rischio da parte delle Start up innovative e quella di assicurare un adeguato livello di tutela degli investitori. Qualcosa però sembra comunque non funzionare nella nuova normativa. Leggendo l’art.25 combinato all’art.30 del d.l. 179/2012 si evince, infatti, che l’accesso all’attività di equity crowdfunding risulta ristretto alle sole società innovative che presentano i requisiti della Start up innovativa poc’anzi ricordati. Tuttavia imporre dei limiti così stringenti all’accesso di ne illustrativa del decreto legge, ossia la crescita sostenibile, attraverso lo sviluppo tecnologico e l’occupazione, in particolare giovanile operata dalle disposizioni in materia di imprese start up innovative. In altre parole, in un contesto come quello italiano, restringere anche i requisiti di accesso al crowdfunding per le imprese costituite da giovani, sembrerebbe andare nella direzione contraria rispetto alla volontà di dare impulso allo sviluppo economico e occupazionale. Inoltre il fatto che la maggioranza 10 Documento Consob 29 marzo 2013 (vedi fonti)

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del capitale sociale debba essere detenuto prevalentemente da persone nell’avvio dell’impresa e subito dopo, qualora eventuali fondi di Venture Capital11 fossero interessati a entrare nella società. Si aggiunga, poi, che le principali start up di successo in Italia non possiedono tra i fondatori, laureati o ricercatori universitari, come invece è previsto sempre dall’art.25. Il rischio è quindi quello di creare un settore di nicchia per pochi, con una conseguente riduzione dell’innovazione e dello sviluppo. Motivo per cui la Consob sta lavorando sul nuovo documento di regolamentazione dell’equity crowdfunding, di cui è prevista l’uscita per questo giugno. In uno scenario di questo tipo, contraddistinto da restrizioni e complicaria, introdotta nell'ordinamento con la legge n. 43 del 13 gennaio 1994, valore mobiliare equiparato per ogni effetto di legge alle cambiali ordinarie, girabile esclusivamente con la clausola «senza garanzia» o equivalenti sizioni approvate con regio decreto 14 novembre 1933, n. 1699, nonché l'indicazione dei proventi in qualunque forma pattuiti. se che le emettono un’attività di raccolta di denaro presso il pubblico dei risparmiatori. Se è vero che le obbligazioni sono titoli a medio termine, le 12 sono, tuttavia, titoli di credito a scadenza breve: la loro durata è compresa fra i 3 e i 12 mesi. Un’importante novità, introdot13 , consiste poi nella possibilità di emettere mutue assicuratrici diverse dalle banche e dalle micro-imprese. potenziale di sviluppo. L’investimento di venture capital si caratterizza per i seguenti elementi: a) fase di sviluppo: investe in idee imprenditoriali particolarmente promettenti approntati i prodotti/servizi da vendere e quindi nella fase di investimento in prodotto. b) ambiti tecnologici: investimenti in aree ad alto contenuto di innovazione c) rischio: le società in cui i fondi di venture capital investono sono caratterizzate dalla contemporanea presenza di un elevato rischio operativo, ovvero non ha ancora chiaro se la sa se avrà modo di recuperare il capitale investito. 12 Art.1 l. 43/1994 13 Art.32 D.l. 83/2012

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da società diverse da quelle che abbiano i propri titoli negoziati in mercati regolamentati o non regolamentati, purché abbiano, l'ultimo bilancio cerregistro dei revisori contabili e si avvalgono dell’assistenza di uno “sponsor” (es. una banca o impresa di investimento, una società di gestione del risparmio…ecc.), salvo per società diverse dalle piccole e medie imprese 14. nere è superiore a quello ottenibile con altre forme di investimento disponibili sul mercato monetario, la facile circolazione e la sicurezza dell’invemente facile in quanto essendo titoli di credito, esse incorporano il diritto al rimborso di chi si dimostra essere il possessore in base a una serie continua di girate. Inoltre, in quanto trasferibili mediante girata, vi si appone la clausola “senza garanzia”, così da liberare chi le cede (il girante) dalla responsabilità dell'eventuale mancato pagamento da parte dell'emittente, che rimane così unico obbligato cambiario. Per quanto attiene poi alla sicurezza, questa dipende dalla solidità patrimoniale della società emittente e dalle garanzie che l'impresa ha dovuto presentare. Lo strumento cambiario garantisce, in caso d'insolvenza, la possibilità di un'immediata esecutività sul patrimonio del soggetto emittente. Altro fattore vantagQuindi in questo modo le imprese possono reperire capitali sul mercato evitando il ricorso all'indebitamento bancario. In conclusione, dopo aver analizzato il decreto Sviluppo si può affermare che l’intento del legislatore fosse senz’altro apprezzabile ma la sua concreta attuazione, con le rimarchevoli in termini di nascita e crescita di nuove imprese. È chiaro, comunque, che allo stato attuale l’impresa italiana risulta duramente messtrumenti per rilanciare l’economia del nostro paese in una prospettiva di crescita, sviluppo ed innovazione.

14 Art.2 quater l.43/1994

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RUBRICA

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Recensione de “La grande bellezza” Lorenzo Capelli

Paolo Sorrentino a presentare il suo nuovo lungometraggio “La grande descrizione, un’ analisi soggettiva, una critica sociale, una denuncia rassegnata, o un insieme di citazioni e luoghi comuni: tutto questo, probabilIl Festival, giunto oramai alla sua 66ª edizione, è diventato un vero e proprio appuntamento per il regista napoletano, che dal 2001 ha realizzato giuria internazionale. Alcuni, come Le conseguenze dell’ amore, Il Divo e This Must Be the Place, hanno riscosso un modesto successo e un buon numero di premi, numerosi David di Donatello, Nastri d’argento e il Premio della giuria a Canconcorrere per la Palma d’ Oro, evidente testimonianza della non proprio rosea condizione in cui versa il nostro cinema, vuoi per la concorrenza ad alto livello, vuoi per i tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (meno 20 milioni di euro dal 2012), o per un momentaneo stallo intellettuale. Ciò che può rassicurarci, invece, è il fatto che ci siano ancora registi capaci dover rinunciare alle caratteristiche che contraddistinguono da 60 anni resto le critiche non si sono fatte attendere, a conferma di tale teoria. Apprezzato dalla stampa estera, ha ricevuto più attacchi e reazioni da quella italiana, forse per aver avuto la presunzione o soltanto l’ intenzione di raccontare Roma dopo La dolce vita di Fellini, per poi scoprire che in tutto questo tempo nulla è cambiato, anzi degenerato. La città che Sorrentino descrive sembra essere solo apparentemente la bellissima e antica “città eterna”: snaturata dal suo contesto e posta a di mondanità, inutili chiacchiericci, feste interminabili e ambienti viziosi. Roma appare d’un tratto disincantata, usurpata dalle qualità che l’ hanno

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resa cosi grande, dalla cultura, dalla storia e dal cinema stesso. Si ha l’ impressione che a rovinarla siano state le persone che la abitano, all’ interno di una società italiana moralmente decadente e in crisi esistenziale, una città contenitrice di differenti tipologie sociali, dalle più basse alle più solenni. Jep Gambardella, interpretato da un notevole Tony Servillo, è il soggetto che incarna tutti i mali di questa società romana, l’ interprete perfetto delcialità e sopravvivenza quotidiana. Il nostro protagonista è un frustrato scrittore sessantacinquenne, che una volta ottenuto largo successo con la pubblicazione di un libro, si è lasciato trascinare pericolosamente nel vorJep, dopo di allora, non ha mai più scritto nulla poiché, come egli stesso afferma: “Sono uscito troppo la sera”, così perso nella routine faticosa ed estraniante del suo vivere. E’ il re della festa, il personaggio mondano che conosce tutti e vuole farsi notare, anche se talvolta tra un gin tonic e l’ altro, ha alcuni momenti di lucidità e autocritica. Ormai, raggiunta una certa età, è riuscito a cogliere la triste essenza della sua vita e osservando con occhio cinico i personaggi ambigui di cui si attornia, ha come il desigonista tenta vane fughe ideali nel suo felice passato, si immagina il mare primo amore che tanto lo aveva segnato. Forse la “grande bellezza”, negli occhi del protagonista, la si può giusto un’ illusione, che si scontra brutalmente con il quotidiano, con gli squallidi personaggi che lo circondano e lo tengono attaccato al loro mondo. E’ una dolorosa rinuncia alle ambizioni, in una sorta di continua caduta morale e letteraria. E’ come se, in questo mondo decadente, non valesse la pena di esporsi più di tanto: meglio rimanere in disparte e osservare, giudicare, trovare una rassegnata conferma delle proprie scelte, nonostante il protagonista affermi di essersi “stancato di perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”. Paolo Sorrentino rivela come tra i poteri più alti della società si nascondano menzogne, contraddizioni e piccoli segreti. Nell’ altolocata società romana ritroviamo l’ ennesima conferma di questa mediocre umanità, incontrando alcuni strambi personaggi: la prostituta, interpretata da un’

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insolita Sabrina Ferilli, portatrice di un tragico segreto, la scrittrice “radical chic” serva di partito, raccomandata e tradita dal marito, l’ onesto scrittore senza più speranze (Carlo Verdone), il vescovo che parla solo di cibo e non sa nulla della religione, suore che partecipano a cene con strani personaggi. E poi, come in un circo, papponi, criminali, politici, snifIl nostro regista è attratto da tutto questo, dal fascino e dall’ interesse verso personaggi parassiti e situazioni squallide. Forse è proprio tale accurata descrizione di questo gruppo sociale che ha fatto storcere il naso alla critica italiana. I contenuti coraggiosi e irrivepresentata, in quanto carica di pregiudizi e di stereotipi che solitamente contarsi nei difetti, è un modo intelligente per compiere un’ autocritica ed un’analisi approfondita dei nostri limiti, che per certi versi rappresentano la nostra “grande bellezza”. Due buoni motivi per vederlo: Sorrentino manovra la macchina da presa con strepitosa maestria, tratribuiscono a creare delle scene poetiche ed esteticamente affascinanti e coinvolgenti, capaci ancora di meravigliare. ando un interessante contrasto tra sacro e profano, canti religiosi e coatti remix di ormai superate canzoni della Carrà e Renato Carosone. Il secondo motivo, ma potrebbe essere tranquillamente anche una scusa naturalmente la descrizione di una parte della nostra contraddittoria società, che sembra cadere “a pennello” sulle molteplici ambiguità italiane. A voi le analogie.

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