Newcert Magazine 25

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la Manutenzione la Manutenzione

Non può esserci gruppo di progettazione senza esperti di manutenzione

La sicurezza degli impianti: il ruolo degli Organismi di certificazione e ispezione

MM Maintenance and Facility

Management: Nuove sfide per la manutenzione

Muoversi in Libertà: La “manutenzione” della disabilità

La manutenzione delle infrastrutture: tra passato, presente e prossimo futuro

Redazione:

Jacopo Amati

Andrea Borgogno

Chantal Comegna

Laureana De Prado

Carmen Di Santi

Veronica Filosa

Maria Monica Foglia

Cristina Gatto

Enrica Giancola

Valeria Giuliani

Alessandro Giurelli

Fabio La Porta

Chiara Puzo

Hanno collaborato a questo numero:

Filippo Conti

Giorgia Feneri

Claudia Frizzarin

Luca Serpericci

Francesca Simone

Federica Terrone

Alessandra Tiveron

Giulia Gregorini

Lorenzo Nicolò Meazza

Aurelio Misiti

Antonio Rossi

Andrea Tiveron

Questo magazine non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.

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Il mondo di Newcert, ci presentiamo

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ll punto di Fabio La Porta, CEO di Newcert

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Non può esserci gruppo di progettazione senza esperti di manutenzione

10 "Muoversi in Libertà" Rubrica a cura di Claudia Frizzarin: La "manutenzione" della disabilità

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"Meravigliosa...mente" Rubrica a cura di Giulia Gregorini: "Non c’è salute senza salute mentale (OMS)": la cura del benessere psicologico

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La sicurezza degli impianti: il ruolo degli Organismi di certificazione e ispezione

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Rubrica a cura del CNIM: Estratto dello Statuto

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"MM - Maintenance and Facility Management": Nuove sfide per la manutenzione

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La UNI EN 15628 per la qualifica del personale di manutenzione

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"Il futuro è oggi"

Rubrica a cura di Andrea Tiveron: Le relazioni della manutenzione

30 #TeladoiolaISO

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La manutenzione delle infrastrutture: tra passato, presente e prossimo futuro

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"Responsabilità aziendale"

Rubrica a cura di Lorenzo Nicolò Meazza: Compliance 231 e misure di prevenzione

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Gli Itinerari Neronis: Dall’ospedale San Giovanni a San Gregorio Magno

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I vantaggi degli investimenti nella formazione professionale

Il mondo di Newcert, ci presentiamo

Il nostro nome è Newcert S.r.l.

Certificazione, qualità e professionalità sono i tratti distintivi della nostra realtà aziendale. Siamo una società operante nel settore delle certificazioni, in qualità di business partner di Organismi di certificazione accreditati italiani ed esteri La nostra sede è a Roma, ma operiamo su tutto il territorio nazionale con professionisti qualificati in grado di offrire servizi a tutti i tipi di aziende.

Grazie all’esperienza maturata nel corso degli anni, i nostri tecnici possiedono le competenze necessarie per assicurare la conformità di Organismi accreditati per la certificazione di Sistemi di Gestione (ISO/IEC 17021), di prodotto (ISO/IEC 17065), nel campo delle ispezioni (ISO/ IEC 17020) e nella certificazione del personale (ISO/IEC 17024)

Dal nostro oggetto sociale è invece esclusa l’attività di consulenza per l’implementazione dei Sistemi di Gestione (Qualità, Ambiente, Sicurezza, ecc )

Siamo apprezzati interlocutori di diverse realtà aziendali grazie al nostro impegno professionale e alla conoscenza delle normative e degli standard di settore

Tra gli elementi distintivi che ci vengono generalmente riconosciuti dai clienti, possiamo citare la competenza e la professionalità, l’esperienza nel settore e l’aggiornamento professionale continuo

Perché riusciamo a offrire un servizio di qualità così elevato? Perché siamo una vera e propria squadra! Lo spirito di gruppo fa sentire ogni membro del nostro team ben accolto e supportato, complice anche l’apertura mentale e il confronto costruttivo, obiettivi concreti della nostra modalità di relazione

Ci impegniamo con entusiasmo nel nostro lavoro perché lo troviamo davvero stimolante e sfidante, vista la grande varietà di aziende e settori nei quali operiamo. È anche per questo che siamo molto versatili nel nostro lavoro e troviamo estremamente formative e gratificanti le nostre missioni.

Nel corso degli anni siamo stati in grado di conquistare un ruolo sempre più attivo in questo settore, consolidando le competenze dei nostri professionisti nei settori della certificazione dei Sistemi di Gestione. Questo ci permette di essere considerati partner affidabili di enti di certificazione nazionale e internazionale. Inoltre siamo un punto di riferimento per i nostri clienti perché riusciamo a rispondere alle loro molteplici esigenze, anche in virtù della stretta collaborazione con esperti in settori integrativi

Da febbraio 2020 siamo soci del CNIM, Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione: questo ci consente di approfondire temi nevralgici per il miglioramento della produttività delle imprese e la sicurezza delle persone, nella consapevolezza che la Manutenzione è una questione di civiltà Per conto del CNIM il nostro amministratore cura i contenuti e l’aggiornamento del Magazine MM – Maintenance and Facility Management

Siamo anche associati all’UNI, Ente Italiano di Normazione, all’AICQ, Associazione Italiana Cultura Qualità Centro Insulare, dove abbiamo un nostro rappresentante presso il MAQ, Comitato Metodologie di Assicurazione della Qualità

Cooperiamo con importanti realtà formative e aiutiamo le organizzazioni e le persone a migliorare le loro competenze e abilità professionali. Operiamo in qualità di CFPT, Centro di Formazione Paritetico e Territoriale UNASF (Unione Nazionale Sicurezza e Formazione) – Conflavoro PMI (Confederazione Nazionale Piccole e Medie Imprese).

Nell’ambito della collaborazione con LL­C, operiamo con l’associazione ERCA European Register of Certificated Auditors per la Certificazione delle competenze professionali

Il punto di Fabio La Porta, CEO di Newcert

Care lettrici e cari lettori, vi presento con piacere l’ultimo numero del nostro Magazine, dedicato alla manutenzione. Si tratta di una scelta significativa per me, dato che da maggio sono Segretario Generale del CNIM

La manutenzione è spesso sottovalutata ma è cruciale per le infrastrutture, per migliorare la qualità della vita Il prof. Misiti, presidente del CNIM, sottolinea l’importanza di una manutenzione pianificata per la produttività, la competitività, la sicurezza e la sostenibilità ambientale

La dott.ssa Frizzarin di MIL –Muoversi in Libertà – applica il concetto di manutenzione al mondo della disabilità, dell’inclusione sociale e della

rimozione delle barriere architettoniche e culturali.

La dott ssa Gregorini spiega il ruolo della manutenzione del benessere psicologico, perché prendersi cura della mente è essenziale quanto prendersi cura del corpo

L’ing ra Feneri, presidentessa di UN.I.O.N., sottolinea la necessità di mantenere elevati standard di qualità e sicurezza attraverso verifiche e manutenzione continua

La norma UNI EN 15628 evidenzia l’importanza delle qualifiche del personale di manutenzione per garantire sicurezza ed efficienza operativa.

Il dott Tiveron riflette sulle

“relazioni della manutenzione”, analizzando gli aspetti della gestione e conservazione degli asset La digitalizzazione sta rivoluzionando questo campo, rendendo possibile una manutenzione predittiva e proattiva.

Il prof Rossi ci ricorda la centralità della manutenzione nella civiltà romana, con opere pubbliche come acquedotti e strade che dimostrano l’importanza di una manutenzione corretta per la longevità delle infrastrutture

Nella rubrica sui Modelli ex D Lgs 231/2001 a cura dell’avv Meazza trattiamo gli strumenti fondamentali di prevenzione.

L’itinerario Neronis di questo numero offre una prospettiva su come la manutenzione sia stata vitale sin dall’antichità, preservando il patrimonio culturale e garantendo la funzionalità delle strutture

La manutenzione è un concetto che abbraccia aspetti tecnici, sociali, psicologici e storici, richiedendo impegno, competenza e visione a lungo termine Spero che questo numero vi ispiri a vedere la manutenzione come un aspetto chiave per il benessere e la prosperità della nostra società

Buona lettura!

Non può esserci gruppo di progettazione senza esperti di manutenzione

Tempo di lettura: 2 minuti

Il prof. Aurelio Misiti è presidente e fondatore del CNIM – Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione, nato nel 1990 sotto l’alto patrocinio del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato Nel corso della sua lunga carriera, il professor Misiti è stato preside della facoltà di ingegneria dell’università “La Sapienza” di Roma, presidente dell’ACEA e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e commissario straordinario per le Grandi Opere del Sud. È stato, inoltre, assessore regionale ai Lavori Pubblici in Calabria, viceministro al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e deputato

parlamentare.

Benvenuto prof. Misiti. Lei ha fondato il CNIM, costituito per rispondere ai bisogni di una precisa scelta di politica industriale che individua in una corretta e ben pianificata manutenzione un importante elemento per migliorare la produttività e la competitività delle imprese, nonché la sicurezza delle persone, oltre che la salvaguardia dell’ambiente e l’uso razionale dell’energia. Ritiene ancora attuali queste tematiche?

In verità io non ho fondato il CNIM. So però che i miei

studi sulla qualità totale, su cui hanno lavorato molto i giapponesi, hanno certo influito sull’ambiente universitario e in particolare sulla facoltà di ingegneria, tanto che il Ministro dell’Università Ruberti, insieme al Ministro dell’Industria Bodrato, hanno deciso di far fondare il CNIM. Hanno convocato presso il CNEL a Villa Lubin le più grandi aziende italiane statali e private – ENI, IRI, ANAS, FS, ENIMONT, EDISON, ASSISTAL, ecc. – che il 4 maggio 1990 hanno fondato il CNIM – Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione

Nello stesso giorno sono stato chiamato, anche come preside della facoltà di ingegneria, a presiedere tale Comitato Nei 34 anni di vita il CNIM è stato determinante per affermare anche in Italia la cultura della manutenzione I collegamenti con quasi tutte le università del Paese, gli studi teorici che hanno determinato la possibilità di realizzare quattro convegni internazionali, hanno tutti consentito, in un Paese non attento a questa cultura, di indurre quasi tutte le università italiane a istituire corsi di manutenzione

Il Ministro Merloni e il Parlamento hanno inserito nel 1994, all’interno della legge

generale sugli appalti, il nostro suggerimento affinché ogni progetto di opera pubblica potesse contenere l’obbligo di prevedere il piano di manutenzione. Ci siamo resi conto che la formazione di laureati esperti di manutenzione sia, infatti, importantissima anche in fase di progettazione.

Siamo convinti che l’investimento per un’opera è circa il 40% per la sua costruzione, mentre il 60% è l’onere complessivo per gestire la manutenzione per almeno 30 anni Per questi motivi ritengo che non ci possa essere gruppo di progettazione per opere sia pubbliche che private senza la presenza degli ingegneri esperti di manutenzione

Lei è stato presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Che ruolo svolge la manutenzione nella gestione di ciascuna infrastruttura?

Il CNIM, insieme a esperti delle professioni e a professori universitari della Sapienza, ha prodotto un testo di “Linee Guida per la Manu­

tenzione delle Infrastrutture nel Territorio”, che è diventato un classico di riferimento per gli studenti universitari e per i progettisti. In esso sono esaminati i principali settori di interventi infrastrutturali in cui è sviluppata la manutenzione necessaria

I settori esaminati sono: gli edifici, i ponti, le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti, i porti, i sistemi idrici, ecc Si è anche sviluppata l’economia della manutenzione attraverso contributi essenziali di docenti economisti della Sapienza

Lei è autore del libro “Il viaggio dell’avvenire. I trasporti, gli scambi commerciali, le vie di comunicazione del ventunesimo secolo nel pianeta”. Quali scenari e quali nuove sfide prevede nel mondo dei trasporti e delle infrastrutture?

Il libro citato è stato da me scritto nel 1999 e in esso si descrive il futuro del pianeta caratteristico del XXI secolo I cambiamenti che si realizzeranno nei trasporti e

nell’ambiente in generale deriveranno dalle trasformazioni geopolitiche e soprattutto dalla produzione dell’energia

In quel libro si prevede, dopo la fine del bipolarismo, la fine prossima del mondo guidato da una potenza e quindi la fine del globalismo economico e finanziario. Li è previsto che il petrolio e il gas lasceranno il passo a un combustibile per i trasporti che non produce residui o inquinanti come, ad esempio, l’idrogeno.

Tutto questo in attesa della risoluzione delle problematiche che riguardano la fusione nucleare. Ciò dovrebbe avvenire negli anni del decennio 2050­2060 La scienza che porta alla Intelligenza Artificiale e alla conoscenza del cervello e della sua mappatura, comporterà un cambiamento profondo della vita sulla Terra e anche nello Spazio, magari sul pianeta Marte che è il più simile alla Terra.

© Di Aurelio Misiti Riproduzione riservata

"Muoversi in Libertà"

La “manutenzione” della disabilità

Tempo di lettura: 3 minuti

La dott ssa Claudia Frizzarin è la co­fondatrice e la Presidentessa di MIL – Muoversi in Libertà.

L’Associazione MIL, nata nel 2020, si fonda sull’abbattimento delle barriere architettoniche, oltre che dei pregiudizi e degli stereotipi che coinvolgono il mondo della disabilità

Claudia Frizzarin si occupa

della sensibilizzazione al “diverso” in modo creativo e culturale, mirando all’inclusione sociale e professionale delle persone con disabilità

“Muoversi in Libertà” non si riferisce esclusivamente alle barriere architettoniche che incontriamo ogni giorno, significa piuttosto consentire a chiunque di muoversi liberamente all’interno della società moderna

Oggi affrontiamo il significato della parola: “manutenzione” Questo termine può assumere diversi significati: tutto dipende dal contesto in cui si usa.

La definizione data nel dizionario online della Treccani è quella di “mantenere in buono stato qualcosa (…) ovvero quell’insieme di operazioni che vanno effettuate per tenere sempre nella dovuta efficienza funzionale qualcosa (…)”.

Nel mondo della disabilità questa parola assume diverse sfumature, bisogna fare manutenzione delle carrozzine, oliare gli ingranaggi, gonfiare le ruote o sistemare, ad esempio, le stampelle; insomma mantenere efficienti tutti quegli ausili che ci portano a vivere una vita autonoma e indipendente

Un’altra sfumatura è il ruolo del manutentore, colui che, sempre rimandando alla definizione della Treccani, “cura la manutenzione di un impianto, di una macchina e

Questa mansione lavorativa, molto spesso è legata alla ricerca di personale con disabilità, in quanto si pensa che un ruolo più operativo e pratico sia adeguato Ciò non tiene conto però che di disabilità ce ne sono un’infinità e che se una disabilità è “invisibile” non significa che le limitazioni che essa comporta siano diverse rispetto a chi ha una disabilità visibile

Nel corso delle mie diverse esperienze lavorative ho affrontato spesso la dualità disabilità/operatività Nello specifico, nel pensare di organizzare dei corsi di formazione destinati a chi, nella regione Veneto, utilizza il voucher rafforzato – una politica attiva dedicata alle persone con disabilità – notare come siano stati proposti solo corsi pratici di dog sitter, lavaggio cani, cucito, senza capire che anche per queste mansioni siano necessarie delle soft skills importanti.

Questo mi ha fatto riflettere su come la disabilità sia vista, dal punto di vista professionale, all’interno di un ruolo operativo e pratico e non in altri ruoli

Di base c’è un problema culturale, in cui le persone con disabilità non sono viste e previste nella società moderna, ma si pensa sempre dopo a loro, in un secondo momento, senza riconoscere il giusto valore e l’apporto che esse possono portare in

1700€ al mese, come contiamo poi le ore del weekend?

Lo si può notare dal fatto che l’assunzione delle categorie protette sia ancora legata a un obbligo e a una relativa multa, oppure dalle innumerevoli barriere architettoniche presenti in tutta l’Italia; ancora, lo possiamo notare dalla mancanza di servizi in tutti i territori, dalla scarsa presenza di taxi accessibili, e ancora, dalla mancanza di adeguate pensioni.

È vero che viviamo in una nazione fortunata, che mette a disposizione i progetti di vita indipendente, le pensioni, le assistenze domiciliari, ma sono misure che non bastano Se si pensa che per un progetto vita indipendente viene erogato, se si è fortunati, un contributo di 1000€ mensili e che per assumere un’assistenza personale per 40 ore settimanali (dal lunedì al venerdì) il costo è di

Le mie non vogliono essere polemiche fine a sé stesse, credo fortemente che in Italia abbiamo degli strumenti validi per sostenere le persone con disabilità in campo professionale, personale e sociale, ma credo altrettanto fortemente che sia necessario fare un cambio culturale e cominciare a prevedere la possibilità che ci siano persone con disabilità che vogliano fare carriera, che vogliano lavorare, che vogliano stare a casa, che vogliano studiare, come chiunque altro

In una società utopistica sogno che non ci si dovrà più preoccupare se un ufficio sia accessibile, perché lo si darà per scontato, che quando si va in ospedale o al bancomat per prelevare, il bancone e la tastiera non siano inarrivabili alle persone in carrozzina e

una società civile

Per arrivare a questo risultato è necessario portare avanti, giorno dopo giorno, un cambiamento culturale in modo che poi venga naturale non solo progettare e sperimentare, ma anche creare e costruire un futuro per tutti e tutte.

"Meravigliosa...mente" Rubrica a cura di Giulia Gregorini

“Non c’è salute senza salute mentale (OMS)”: la cura

del benessere psicologico

Tempo di lettura: 3 minuti

“Meravigliosa..mente” nasce dalla collaborazione con la psicologa e psicoterapeuta Giulia Gregorini grazie alla quale cercheremo di rendere la psicologia accessibile a tutti al fine di migliorare il nostro quotidiano

La psicologia, attraverso lo studio del comportamento umano, offre infatti una chiave di lettura su ciò che accade intorno a noi e può

guidarci nella vita di tutti i giorni, dandoci così un valido contributo nel migliorare il benessere di ciascuno di noi, consentendo di vivere una vita sana e soddisfacente Meravigliosa..mente è uno spazio pensato per tutti coloro che hanno voglia di informarsi su diversi temi “psicologici” che tratteremo in modo semplice e pratico.

gorini, secondo lei perché è più semplice prendersi cura del corpo che della mente?

Nonostante da tempo la cultura scientifica abbia superato la concezione dualistica di mente e corpo, che le vedeva come due entità scisse e separate, promuovendo una prospettiva olistica del concetto di salute, evidenziandone la matrice biopsico­sociale, nell’esperienza comune la salute fisica viene ancora percepita come prioritaria rispetto alla salute mentale.

Se si ha male a un dente è tendenzialmente automatico il ricorso al dentista, lo stesso non avviene per il disagio psichico. Le ragioni sono senz’altro molteplici, da rintracciare anche nella soggettività della persona ma è possibile identificare alcuni denominatori comuni.

Ben trovata Dott.ssa Gre­

In primis, il corpo è dotato di una concretezza più tangibile, il dolore è più facilmente identificabile e la ricerca della causa e della cura può appa­

rire più lineare La morte viene più spontaneamente associata a una malattia del corpo, sottovalutando che si muore anche per malattie della mente.

È importante attribuire al corpo un significato identitario, profondo e complesso da ricostruire a partire dall’unicità della persona

Viviamo in una società che promuove mediaticamente sempre più incisivamente il mito dell’apparenza, a scapito dell’essenza Sul corpo si proiettano ideali perfezionistici che talvolta nascondo fragili autostime.

La cura della salute mentale viene, seppur meno di un tempo, considerata “accessoria”, secondaria rispetto a quella prettamente medica. Non di rado, le persone si concedono uno spazio di ascolto di sé dopo l’esordio di malesseri fisici che non trovano riscontro medico.

È opportuno, infatti, ribadire, l’imprescindibile connessione corpo­mente e la correlazione tra il malessere psichico e i sintomi fisici ma, al contempo, è essenziale riconoscerne le diverse specificità Ciò significa che certamente prendersi cura del corpo ha indirettamente dei benefici sulla mente ma ciò non basta Una palestra, ad esempio, non può sostituire uno studio di psicoterapia e viceversa.

Infine, è anche importante

che gli psicologi si interroghino sull’utilizzo dei social network e sulla modalità con cui si trasmettono contenuti informativi È infatti fondamentale svolgere un’opera di sensibilizzazione senza cadere nell’eccessivo riduzionismo e semplificazione

Dottoressa, a proposito della correlazione mentecorpo, può spiegarci brevemente cosa si intende per “somatizzazione”?

Con il termine “somatizzazione” si indica un processo che conduce a esprimere, attraverso un organo o un apparato corporeo, la sofferenza psichica mediante la comparsa di sintomi ricorrenti non ascrivibili a una patologia medica

La somatizzazione può comparire anche in compresenza di un’accertata diagnosi medica, attraverso una

reazione ansiogena e comportamentale eccessiva

Il processo di somatizzazione si considera patologico quando è perseverante e pervasivo, compromettendo l’adattamento della persona e interferendo con le quotidiane abitudini di vita

La linea trattamentale più indicata non può prescindere da un’accurata valutazione diagnostica e generalmente integra l’approccio farmacologico e psicoterapeutico. È importante evidenziare che la somatizzazione può verificarsi anche nei bambini

La prevenzione in infanzia, nel suo campo professionale è importante?

Certamente La prevenzione è fondamentale, sia nei termini di promuovere un’educazione all’importanza della salute mentale, sia

nell’intercettazione precoce di segnali di disagio che meritano di essere ascoltati

Ciò aumenta la possibilità di efficacia del trattamento e contrasta il rischio di esacerbazione e cronicizzazione del disagio

A mio avviso, oggi si corre un rischio importante nel rapportarsi ai bambini Sui bambini si proiettano ideali perfezionistici, sin da molto piccoli essi vengono esposti ad aspettative di successo, efficienza, competitività e rapidità, con il rischio di promuovere sia ansia da prestazione, ma anche fragile autostima, intolleranza alla frustrazione.

Il bambino può reagire ad aspettative eccessive e idealizzate sia adeguandosi a quanto gli viene richiesto, interiorizzando un’amabilità legata alla performance (“sono amabile se sono bravo”), sia ribellandosi in maniera oppositiva, identificandosi in

una rappresentazione di sé svalutante, intrappolato in un vissuto di rabbia e senso di colpa, con il rischio di assumere la funzione di capro espiatorio nel sistema familiare

È cambiato il modo di fare ed essere famiglia, complici i mutamenti sociali, le difficoltà economiche e lavorative Un figlio, infatti, oggi viene “programmato”, spesso concepito come “ciliegina sulla torta” a coronamento della propria realizzazione. Ciò rischia di incentivare l’idealizzazione

L’altro versante del “bambino idealizzato” è il “bambino iper­fragile”. Si è passati infatti, da una prospettiva adultocentrica che ignorava i bisogni specifici del bambino, a una tendenza alla patologizzazione del bambino.

Spesso, naturali inclinazioni soggettive, tempi di sviluppo personali, destano negli adulti un senso di inquietudine e angoscia, vedendo il

bambino discostarsi dall’ideale

Ciò avviene perché i primi a essere intrappolati in ideali perfezionistici sono i genitori, che rischiano di utilizzare inconsciamente i “traguardi” del bambino come metro di misura della propria competenza genitoriale, non riuscendo a delineare quel confine chiaro e fondamentale tra sé e il figlio dotato di una propria soggettività

Ciò non significa sottovalutare la fondamentale attenzione alle relazioni significative L’essere umano non è una monade; nasce, matura ed evolve all’interno della relazione. È essenziale recuperare l’umanizzazione, sia per i più grandi che per i più piccoli, porre al centro l’essere persona e la ricerca di consapevolezza di sé, dei propri limiti e fragilità

© Di Giulia Gregorini Riproduzione riservata

La sicurezza degli impianti: il ruolo degli Organismi

di certificazione e ispezione

Tempo di lettura: 3 minuti

L’ing. Giorgia Feneri è presidentessa dell’Associazione

UN.I.O.N. Unione Italiana Organismi Notificati e Abilitati Auditor per diversi Sistemi di Gestione e formatrice dei tecnici e degli ispettori di impianti per il sollevamento e trasporto di persone e cose, vanta un’esperienza pluriennale in questo settore. Abbiamo avuto il piacere di ospitarla sul nuovo numero di Newcert Magazine

ispezione. Quali sono le principali sfide che tali Organismi affrontano oggi e in che modo UN I O N li aiuta a superarle?

Il che al giorno d’oggi certamente rappresenta una sfida significativa

Benvenuta presidentessa,

UN.I.O.N. è un’associazione che rappresenta e tutela gli Organismi che erogano servizi di certificazione e

Se consideriamo da un lato che l’industria degli ascensori sta vivendo una rapida evoluzione tecnologica con l’introduzione di sistemi avanzati di controllo, monitoraggio remoto, e soluzioni IoT e, dall’altro, un sistema normativo che non sempre va di pari passo con tale evoluzione, diventa evidente che gli Organismi devono costantemente aggiornare le loro competenze tecniche, metodologiche e operative affinché forniscano i propri servizi in linea con le innovazioni.

Vi è poi un tema di reputazione e credibilità degli Organismi notificati. Il principale rischio che da sempre esiste è che si possa peccare di parzialità, atteggiamento eticamente non consono oltre che praticamente dannoso. Anche su questo versante la sfida è continua in quanto non basta adottare rigorosi codici di condotta ma altresì fissare processi e procedure che ne devono assicurare il rispetto nel continuo, rendendo trasparente ogni fase decisionale Anche l’adozione di processi di controllo periodici circa la corretta applicazione delle procedure interne tese a evitare conflitti di interesse o l’errata loro applicazione dovrebbe divenire sempre più un valore cui gli Organismi devono ispirarsi nel loro agire quotidiano a rafforzamento del percorso di fiducia che caratterizza la vita di tali enti.

E, non in ultimo, altro tema molto importante sono i criteri di qualifica del personale che esegue ispezioni. Le regole attuali che prevedono almeno due anni di esperienza nel settore risultano di difficile applicazione e non più attuali a fronte dell’evoluzione della normativa del

I tempi di qualifica di un ispettore sono diventati un problema, rischiando di ridurre l’accesso a questa “professione” ai giovani L’attuale situazione impone agli Organismi interessati di impiegare come ispettori persone avanti negli anni che, seppure in possesso di una grande esperienza, potrebbero, a causa di questo, correre rischi maggiori nello svolgimento operativo delle verifiche e che, a seguito della loro quiescenza dall’attività lavorativa, rischiano di lasciare gli Organismi senza tutto il personale necessario a coprire il fabbisogno

Ecco, queste sono solo alcune delle sfide che si stanno affrontando Non sono gratis, richiedono effort importanti sia sul versante delle risorse economiche che su quello del personale che dovrà essere più formato e informato. Deve esserci una strategia improntata sull’adozione di un approccio proattivo indirizzato e strategico, coadiuvato dall’innovazione, la formazione continua e, non da poco, la collaborazione internazionale

Quali sono i benefici per un Organismo che decide di aderire a UN.I.O.N.?

Da più di 20 anni di attività UN.I.O.N. supporta, informa e forma i suoi soci con corsi di formazione finalizzati all’aggiornamento legislativo

in generale e sulle materie oggetto delle notifiche, in particolare autorizzazioni e abilitazioni Nel rispetto degli obblighi di legge, UN I O N ha attivato da molti anni vari canali di dialogo, ad esempio con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con Accredia, con enti privati e pubblici, con le Istituzioni –nazionali, regionali e comunitarie – affinché si possa favorire il controllo di impianti e prodotti non regolamentati È, inoltre, socio in importanti Federazioni per promuovere la cultura e la collaborazione fra gli iscritti; partecipa –attraverso un proprio delegato – alla Commissione Europea dei lavori del NB­Lift & Machinery.

È molto importante sottolineare che UN I O N assiste e tutela i suoi iscritti nell’ambito del settore in cui

operano attraverso tre gruppi di lavoro (GdL) con l’obiettivo di studiare, approfondire, proporre soluzioni tese a migliorare lo status quo, entrando in modo analitico su problematiche di carattere tecnico non ancora risolte Sono infatti attivi:

• Il GdL ex DPR 162/99 e s.m.i. e 2014/33/UE per ascensori e montacarichi;

• Il GdL DPR 462/01 per gli impianti di elettrici messa a terra, dispositivi e impianti di protezione contro le scariche atmosferiche e locali con pericoli di esplosione;

• Il GdL DM 11.4.11 art. 71, sulle attrezzature di lavoro: apparecchi di sollevamento e a pressione

UN.I.O.N. partecipa, inoltre, a entrambe le Commissioni “UNI Ascensori e Montacarichi” e “UNI Apparecchi di

Sollevamento”. L’Italia è il secondo Paese a livello mondiale in termini di ascensori installati. Il 70% degli impianti in servizio, tuttavia, è in funzione da più di venti anni e quasi il 50% da oltre trenta anni. Che peso ha la manutenzione nel garantire l’efficienza di un ascensore?

Effettuare una manutenzione regolare permette di identificare e risolvere potenziali problemi prima che si trasformino in guasti gravi; questo riduce significativamente i tempi di inattività non programmati e costosi interventi di riparazione garantendo che l’ascensore sia sempre disponibile quando necessario Inoltre, gli ascensori devono rispettare rigide normative di sicurezza ed effettuando una manutenzione preventiva si minimizza l’usura dei componenti prolungando la vita utile dell’ascensore Così facendo si garantisce che tutti i sistemi

di sicurezza siano sempre funzionanti e conformi alle norme

In sintesi, la manutenzione non è solo una pratica consigliata o un atto dovuto, ma una necessità per garantire l’efficienza, la sicurezza e la longevità degli ascensori, con benefici che si riflettono sia a livello tecnico che economico

Se mi posso permettere, oltre a effettuare una corretta manutenzione agli impianti, c’è l’obbligo di eseguire le verifiche periodiche Tale verifica è un processo essenziale per garantire la sicurezza, l’efficienza e la conformità normativa dell’ascensore stesso

Durante la verifica periodica, l’Organismo controlla diversi aspetti dell’ascensore:

1 Condizioni generali dell’impianto;

2 Dispositivi di sicurezza;

3 Efficienza dei sistemi di emergenza;

4. Funzionamento delle porte;

5 Controllo dell’ambiente di cabina;

6 Manutenzione della macchina e della sala macchine

In conclusione, effettuare regolari manutenzioni degli ascensori e sottoporli a verifica biennale è fondamentale per garantire non solo l’efficienza operativa, ma anche la sicurezza degli utenti e la longevità dell’apparecchiatura

© Di Giorgia Feneri Riproduzione riservata

MM ­ Maintenance and

Facility Management

Rubrica a cura del CNIM

Presidente: Prof Ing A Misiti

Segretario Generale: dott F La Porta

Comitato di Redazione: dott F La Porta, PhD ing M Migliarese Caputi, ing G Pavirani

Estratto dello Statuto: (Dall'art 1) Costituzione e sede

Sotto l’alto patrocinio del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato è costituita, a norma dell’art. 36 del Codice Civile, una Associazione denominata

COMITATO NAZIONALE ITALIANO PER LA MANUTENZIONE

“CNIM”

Il CNIM intende porsi come punto di riferimento nazionale per tutti i settori italiani di produzione di beni e di fornitura di servizi, al fine di concertare, con l’insieme delle parti interessate, specifiche azioni di promozione e di intervento nel campo della manutenzione.

Il CNIM si prefigge inoltre di diffondere nel tessuto industriale del paese, in particolare a vantaggio delle piccole e medie imprese, la conoscenza delle metodologie di manutenzione, sia manageriali che tecniche L’Associazione non ha fini di lucro

(Dall'art.2) Scopi

Sensibilizzare i diversi settori industriali e dei servizi sulle opportunità rappresentate dalla messa in atto del “progetto manutenzione”;

Informare i diversi settori circa gli sviluppi che avvengono nel campo della manutenzione, indicando le opportunità offerte sia dal mercato sia dalla legislazione;

Formare, individuati gli idonei giacimenti di cultura manutentiva nel Paese, il personale addetto alle attività di manutenzione mediante l’organizzazione di corsi e seminari sulla normativa di manutenzione come pure sulle metodologie tecniche e di gestione;

Assistere ed aiutare le imprese nella attuazione dei loro “progetti manutenzione”, promuovere l’offerta di servizi di manutenzione, destinati sia al mercato italiano che a quello estero, attraverso iniziative tendenti ad individuare e qualificare gli operatori italiani del settore.

(Dall'art.3) Membri dell’associazione

Possono far parte del CNIM:

le imprese italiane in qualunque forma costituite;

le società, associazioni, consorzi, enti pubblici o privati, ecc., che, per la loro attività, abbiano dato o possano dare un valido apporto per il conseguimento delle finalità del CNIM o che siano interessati ad usufruire dei servizi offerti dall’associazione medesima

Sono soci di diritto:

l’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) e il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano).

Nuove sfide per la manutenzione

Tempo di lettura: 1 minuto

Ho il piacere di contribuire a questa rubrica, in qualità di Segretario Generale del Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione (CNIM), da sempre (e statutariamente) impegnato per promuovere e diffondere la cultura della manutenzione in Italia

Un settore alle prese, come altri, con nuove sfide, rappresentate dalla sostenibilità ambientale e sociale, dalla transizione digitale, dalla capacità di gestione dei rischi e delle crisi, e dalla valorizzazione delle competenze, della diversità e inclusione

Il nuovo scenario in cui operiamo richiede di promuovere pratiche di manutenzione sostenibile attraverso la riduzione degli sprechi e l’ottimizzazione delle risorse; implementare programmi di formazione per sensibilizzare i professionisti del settore sulle tematiche ambientali e sociali.

La digitalizzazione rappresenta una grande opportunità per innovare i processi di manutenzione

Bisogna sviluppare competenze digitali avanzate tra i

professionisti della manutenzione, promuovere l’adozione di tecnologie digitali come, ad esempio, il Building Information Modeling (BIM) per la gestione degli edifici e delle infrastrutture.

La manutenzione efficiente è fondamentale per prevenire e gestire le crisi in vari ambiti, tra cui quello energetico, finanziario, della supply chain e della cybersicurezza

Il settore della manutenzione deve evolversi per rispondere alle nuove sfide e opportunità; siamo chiamati a: sviluppare programmi di formazione continua per i professionisti della manutenzione, con un focus sulle nuove tecnologie e metodologie, promuovere l’accreditamento e la certificazione delle competenze secondo le norme internazionali, incentivare la partecipazione a corsi e workshop internazionali per favorire l’aggiornamento e lo scambio di conoscenze

La diversità e l’inclusione sono fondamentali per un ambiente di lavoro innovativo e produttivo; è necessario in questo senso implementare programmi di sensibilizzazione e formazione per promuo­

vere l’inclusione e la valorizzazione delle diversità.

Le proposte presentate mirano ad affrontare le sfide del settore della manutenzione con una visione olistica.

Il CNIM da sempre mira a promuovere una cultura della manutenzione che sia sostenibile, digitale, resiliente, competente e inclusiva. Ringrazio tutti i membri e sostenitori del CNIM per il loro impegno e supporto nella realizzazione delle iniziative del Comitato. Condividiamo l’obiettivo comune di elevare gli standard della manutenzione in Italia e di contribuire al benessere e alla prosperità della nostra società.

© Fabio La Porta Segretario Generale Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione (CNIM)

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La UNI EN 15628 per la qualifica del personale di manutenzione

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“Prevenire è meglio che curare”: questa frase sintetizza in maniera perfetta l’importanza della manutenzione come elemento fondamentale per l’organizzazione di tutte le attività lavorative aziendali Una corretta manutenzione non è solo importante per la gestione degli asset, ma anche per la prevenzione di guasti e infortuni, oltre che per l’analisi dei rischi correlati a questi processi Il risparmio ottenuto grazie alla manutenzione è notevole sia in termini di costi che di tempo.

Esistono diversi tipi di manutenzione, ognuno con specifiche competenze e

apposita formaziona richiesta. Le due macrocategorie principali sono:

• Manutenzione ordinaria: riguarda le azioni e/o gli interventi di ripristino che conferiscono continuità al funzionamento dell’asset;

• Manutenzione straordinaria: riguarda la volontà di intervenire (anche in modalità invasiva) al fine di migliorare l’efficienza generale dell’asset, che può anche uscirne modificato sensibilmente.

All’interno di queste categorie si distinguono ulteriori tipi di manutenzione:

• Manutenzione autonoma:

include le azioni necessarie per identificare usura e pianificare gli accorgimenti utili a prolungare il funzionamento dell’unità stessa (TPM ­ Total Productive Maintenance);

• Manutenzione preventiva: si basa sulla schedulazione prefissata di ispezioni e verifiche;

• Manutenzione correttiva (o a guasto): prevede interventi di riparazione per riparare un guasto;

• Manutenzione migliorativa: ha l’obiettivo di mantenere e migliorare le prestazioni tramite dei miglioramenti tecnici.

La scelta della giusta tipologia di manutenzione

Un processo così importante rappresenta un aspetto delicato per qualsiasi Organizzazione Come possiamo essere sicuri di fare affidamento su una figura professionale qualificata nell’ambito della manutenzione? Le tipologie di manutenzione sono numerose e diverse fra di loro (sia come obiettivi che come modalità di approccio). Per scegliere l’opzione più idonea, è utile orientarsi in base a diversi fattori: la cultura aziendale, il contesto produttivo, la modalità di lavoro e i costi.

La certificazione UNI EN 15628

Un valido alleato in questo contesto è la certificazione UNI EN 15628. La norma riconosciuta in ambito europeo rappresenta una guida per definire le conoscenze, le abilità e le competenze richieste al personale di manutenzione e viene utilizzata dagli Organismi accreditati per attestare la conformità dell’operatore ai requisiti previsti. Essa specifica le qualifiche del personale in relazione ai compiti da svolgere nel contesto della manutenzione di impianti, infrastrutture e sistemi di produzione.

La norma fa riferimento a tre figure professionali:

1. Tecnico Specialista della Manutenzione: Deve aver completato con successo un addestramento tecnico professionale e avere due anni di esperienza lavorativa recente nel campo della manutenzione. Tra le competenze richieste, vi sono l’esecuzione in sicurezza dei piani di manutenzione, l’intervento tempestivo in caso di guasto, e l’utilizzo dei sistemi ICT.

2 Supervisore di Manutenzione e Ingegnere di Manutenzione: Entrambe le figure devono aver completato un addestramento tecnico e avere tre anni di esperienza lavorativa recente Devono assicurare l’implementazione delle strategie di manutenzione,

pianificare le attività di manutenzione e garantire l’efficienza tecnica ed economica delle attività

3. Responsabile della Manutenzione: Richiede cinque anni di esperienza lavorativa nel campo tecnico Le sue competenze includono la definizione e sviluppo delle politiche di manutenzione, la gestione delle attività di manutenzione e la garanzia della conformità al bilancio di manutenzione.

La necessità di aggiornamento continuo

Oltre alla certificazione, è essenziale che il personale tecnico si aggiorni costantemente, soprattutto in ragione dell’avanzamento tecnologico Il continuo aggiornamento delle competenze e delle conoscenze è fondamentale per mantenere elevati standard di efficienza e

sicurezza.

Il ciclo di Deming nel Project Management

Il Project Manager (PM) gestisce i progetti di manutenzione seguendo il ciclo di Deming (PDCA ­ Plan, Do, Check, Act) Questo metodo di gestione iterativo è utilizzato per il controllo di gestione e il miglioramento continuo dei processi e dei prodotti

Conclusione

I vantaggi della UNI EN 15628 sono fondamentali per i manutentori interni e per le Organizzazioni che devono assumere nuovo personale. Essa garantisce una maggiore sicurezza operativa, migliora l’efficienza e l’affidabilità degli impianti, facilita l’adempimento alle normative di settore, e promuove la crescita professio­

La manutenzione non è solamente un costo, ma una questione di estrema rilevanza che deve essere svolta da personale qualificato Certificarsi secondo la UNI EN 15628 garantisce competenze, sicurezza ed efficienza, promuovendo un futuro sostenibile e responsabile

© Di Fabio La Porta, Alessandro Giurelli e Jacopo Amati Riproduzione riservata

"Il futuro è oggi" Rubrica a cura di Andrea Tiveron

Le relazioni della manutenzione

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“Il futuro è oggi” nasce dalla collaborazione con Andrea Tiveron, economista e direttore della società eMetodi Il dott Tiveron è esperto di economia digitale e di innovazione delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, di Business Process Management, di automazione di processo nei più differenti ambiti di impegno, di gestione tecnica del costruito e di Facility Management

Secondo la definizione del dizionario Treccani, la manutenzione sarebbe “Il mantenere in buono stato; insieme di operazioni che vanno effettuate per tenere sempre nella dovuta efficienza funzionale, in rispondenza agli scopi per cui sono stati costruiti, un edificio, una strada, una nave, una macchina, un impianto, ecc”

Ora, a ben vedere, quel riferirsi generale a un “buono

stato” porta a considerare l’attività del mantenere come un qualcosa di approssimato e non esattamente definito

Tale impostazione è sempre stata un grossolano errore, ma a maggior ragione lo sarà ora che la pervasività del digitale, con la sua straordinaria capacità di oggettivizzare, consentirà infatti di penetrare anche in questo specifico settore.

Quel “buono stato” e quella “dovuta efficienza funzionale” non propriamente definite sono sempre stati i motivi per i quali si dà praticamente per scontato che non vi sia nessuna certezza nella manutenzione e che, per questo, con il passare del tempo nella maggior parte delle situazioni si perda progressivamente la contezza della sua stessa azione

È bene ricordare che la manutenzione si riferisce alla relazione che esiste tra lo stato di una cosa e la prestazione che tale cosa consente di realizzare. Ma a ben vedere tale prestazione a sua volta ha significato solo come

relazione tra la funzione che la cosa esercita e una necessità di un soggetto destinatario, che può essere una persona o una entità fisica o artificiale.

A proposito di relazione tra stato e prestazione, per fare il primo esempio che può venire in mente, possiamo dire che la manutenzione non si preoccupa – o meglio, occorre dire che se questa fosse realmente compresa non si dovrebbe preoccupare affatto – se uno pneumatico della nostra automobile sia in buono stato o meno, ma certamente si deve preoccupare che la sua prestazione consenta la tenuta sicura del mezzo sulla strada.

Il fatto che poi ci si riferisca allo pneumatico è solamente dovuto alla considerazione che, nella maggioranza dei sistemi, si mettono in atto metodiche di controllo valide per per tutti i possibili interessati al fine di consentire una astratta valutazione della prestazione.

Il caso sembra banale ma in realtà non lo è affatto Sappiamo, infatti, che ogni pneumatico presenta nel battistrada delle sporgenze in rilievo (Tread Wear Indicator) che servono per verificarne lo stato di usura, considerando tale stato come un parametro di degrado in relazione diretta alla sua prestazione

Ma in realtà occorrerebbe dire che tale condizione non ri­

spetta uno dei principi cardine della manutenzione, quello della “mortalità infantile”, per il quale il marker che segnalerebbe l’usura della gomma non è affatto rappresentativo del rischio della totale perdita della prestazione soprattutto nella fase iniziale di utilizzo.

Un altro caso, invece, si riferisce alla correlazione tra il degrado e l’uso, ma un secondo principio della manutenzione suggerisce una analisi precisa anche tra degrado e stato di non uso Infatti, può esistere il caso di un mezzo nuovo ma che rimane inutilizzato per diversi anni. Quando diversamente questo entrerà nella fase di uso vi saranno tantissime sue componenti, esattamente come nel caso degli pneumatici, la cui prestazione sarà completamente compromessa Occupandomi della materia da tanti anni

posso affermare che uno dei problemi della manutenzione è sempre stato quello della sua bassa considerazione rispetto a parecchie altre scienze.

Considerando quanto la manutenzione ha a che fare con le relazioni tra diverse altre grandezze, questo è evidentemente un fatto grave

Secondo Wikipidia, nel 1970 la manutenzione fu recepita in quanto scienza della conservazione e venne coniato un nuovo termine: “terotecnologia” (dal greco “τηρέω”, ovvero conservare, sorvegliare, prendersi cura di; che significa letteralmente “tecnologia della conservazione” La British Standard Institution (ente normatore inglese fondato nel 1901) nel 1970 associò alla terotecnologia questa definizione: “La terotecnologia è una combinazione di direzione, finanza,

ingegneria e altre discipline, applicate ai beni fisici per perseguire un economico costo del ciclo di vita a esse relativo. Tale obiettivo è ottenuto con il progetto e l’applicazione della disponibilità e della manutenibilità agli impianti, alle macchine, alle attrezzature, ai fabbricati e alle strutture in genere, considerando la loro progettazione, installazione, manutenzione, miglioramento, rimpiazzo con tutti i conseguenti ritorni di informazioni sulla progettazione, le prestazioni e i costi ”

Rispetto a questa definizione continuo a ritenere che l’aspetto fondamentale a cui riferirsi deve essere quello della disponibilità

Nel 2006 nel mio libro e­facility infatti scrivevo: “Anche quando si riuscisse a determinare un modello applicativo nel quale il tipo di uso

di un contenitore edile fosse così standardizzato – sia relativamente alla quantità dei fruitori che alla qualità dei parametri prestazionali richiesti in relazione alle attività in esso esercitate – da poter quantificare il grado di disponibilità attesa, il fattore antropico che caratterizza i sistemi edilizi – attraverso il diverso grado soggettivo di percezione del confort ambientale, definito come la serie delle qualità che il prodotto edilizio deve possedere affinché il suo uso risulti funzionale e salutare – agisce da solo come variabile la cui modellazione risulta ancora di assoluta complessità.”

E così, commettendo un grave errore, risulta più facile comprendere che in realtà alla manutenzione non è mai affidato il ruolo di una scienza, ma soltanto quello di una attività operativa,

spesso considerata solamente come un costo da sopportare

Invece, non dovrebbe affatto essere così se, a proposito del “prendersi cura di”, ricordiamo quanto nel 1849 affermava lo scrittore John Ruskin, in The Seven Lamps of Architecture: “Il principio dei tempi moderni è quello di trascurare prima gli edifici e poi restaurarli [ ], sorvegliate un edificio antico con cura assidua, proteggetelo meglio che potete e a ogni costo, da ogni pericolo di sfacelo [ ], e fatelo teneramente e severamente e continuamente, e molte generazioni nasceranno e passeranno ancora sotto la sua ombra”

La puntualizzazione, quindi, assume oggi un ruolo di fondamentale importanza per via del fatto che la progressiva digitalizzazione porta sempre di più tutti i sistemi, da quelli naturali a quelli antropici, a poter essere monitorati con oggettive rilevazioni digitali dei parametri del loro funzionamento Sto affermando così che il digitale sta progressivamente determinando e fornendo una capacità di monitoraggio dello stato prestazionale dei sistemi.

Appare così particolarmente strano il fatto che ancora non si stia dando il giusto peso all’importanza straordinaria che ha la manutenzione di divenire capace di garantire le performance dei sistemi

promesse da progettisti e produttori

È sperabile così che prima o poi il pubblico, le comunità, i cittadini, gli utenti, i consumatori, ecc inizieranno a capire quale possibilità di influenza hanno nel pretendere la garanzia di funzionamento dei sistemi naturali e artificiali

E così, se torniamo al pensiero di Ruskin, nella sua teoria ci sono le premesse per quello che oggi viene definito “restauro conservativo”, che va inteso come necessità di un intervento che non modifichi di fatto l’opera. Questa necessità, per Ruskin, non si limitava soltanto all’edificio in sé, ma andava estesa all’idea dell’intorno urbano il quale, esso stesso, doveva essere protetto e conservato con un’accorta attività di prevenzione del degrado Ecco

la funzione sociale della manutenzione!

La manutenzione correttamente interpretata preserva la città in tutte le sue diverse aree e configurazioni. Impedisce di fatto la speculazione e, soprattutto, garantisce il mantenimento di un decoro senza il quale sono evidenti le correlazioni tra degrado e criminalità.

La manutenzione consente la stessa finalità anche al territorio, una necessità che nel nostro Paese, a causa di fenomeni climatici sempre più violenti, sta divenendo una vera e propria emergenza.

Ovviamente la garanzia del mantenimento dello stato prestazionale delle cose costruite è notevolmente onerosa essendo il controllo della prestazione particolarmente complesso per lo stretto le­

game con le sue varie forme di obsolescenza: fisica, economica, tecnica e tecnologica Si può così iniziare a immaginare il perché siamo così incapaci di comprendere e di attuare la manutenzione. Il motivo è l’elevata complessità della materia fatta di elementi di economia, finanza, tecnica e tecnologia tutti intrecciati insieme in una serie di numerosissime relazioni che intercorrono tra entità anch’esse molto numerose

Allo stesso tempo, non è difficile riferirsi a condizioni nelle quali la mancata manutenzione comporta danni molte volte più onerosi

Ecco, quindi, che anche in questo caso il pensiero sistemico entra in gioco in maniera dirompente Si tratta di dover agire su una rete di relazioni intrinsecamente dinamica per poter sviluppare soluzioni sostenibili tra vantaggi e oneri in domini complessi della realtà. Non vi sono dubbi sull’importanza di un approccio sistemico, infatti, la prestazione nella maggior parte dei casi non può essere misurata solo con un significato fisico espresso da una quantità ma anche in un senso di risultato di qualità e proprio per questo la sua misurazione si determina anche attraverso una intensità.

Avendo preso in considerazione come la relazione tra mantenimento della prestazione e qualità percepita sia riferibile alle cose fisiche co­

struite ma anche agli ambienti costruiti come nel caso delle città urbane, è evidente che un simile riferimento possa condurre a considerare la manutenzione come una scienza che si adatta perfettamente anche alle relazioni umane

Non è difficile, ad esempio, riferirsi all’annoso problema delle relazioni brevi ma intense che portano spesso a dibattiti sulla maggiore importanza della quantità o della qualità dei rapporti tra le persone, tra queste e le comunità e tra comunità

Quando ho fatto riferimento al degrado urbano avevo in mente la teoria dei vetri rotti Si tratta di una teoria, anche se per molti è considerata solamente una leggenda metropolitana, che ha subito diverse varianti Una delle più interessanti è quella attribuita al professor Philip Zimbardo che negli Stati Uniti ha condotto un esperimento per comprendere la correlazione tra degrado e criminalità sociale Si trattò di lasciare abbandonate due automobili identiche, in due quartieri completamente diversi di New York, uno particolarmente ricco e prestigioso e l’altro – il Bronx – uno dei quartieri più malfamati e pericolosi della città. Ebbene l’automobile nel Bronx non ha sopravvissuto alla prima notte dopo l’abbandono ed è stata, infatti, completamente smantellata, mentre l’altra vettura è rimasta intatta per giorni Al termine del periodo,

il professor Zimbardo decise di tentare una ulteriore variante alla sua sperimentazione rompendo volutamente uno dei vetri dell’automobile Ebbene nella notte seguente l’auto fu cannibalizzata esattamente come era avvenuto per quella del Bronx!

Questo caso dimostra come possa avvenire un comportamento diffuso praticamente in tutto il mondo Dal punto di vista sociale sembra infatti che il degrado sia direttamente funzionale al progressivo disinteresse per le regole di convivenza, il decoro e la cura delle cose e dei luoghi

Dovrebbe essere facile comprendere come nella maggior parte delle situazioni una ricorrente intensità può consentire alle relazioni di non incorrere a irrimediabili tagli definitivi, cosa che avviene molto spesso nell’e­

sistenza delle persone

Mantenere le relazioni significa occuparsi e preoccuparsi con amore dell’importanza di precisi stati di condizione, che pur variando nel tempo possono consentirci di comprendere la direzione esatta del nostro agire in ogni momento della nostra vita

Recentemente mi è capitato di scrivere a proposito di una canzone d’autore: “I segreti della vita” e ringrazio Antonello Venditti per averla scritta e Francesco De Gregori per la magistrale interpretazione, per avermene dato lo spunto:

“A volte in una canzone, in pochi minuti, ci sono verità che possono cambiare completamente il senso della nostra vita.

Nelle relazioni della vita,

quelle di amore, di amicizia, di fratellanza, di famiglia, ma anche di gioco o di lavoro, accade che, se non si fermano subito le cose che non vanno, cercando immediatamente una soluzione, diventano con il tempo dei veri e propri segreti

Segreti nel senso che spesso inaspettatamente, quando questi vengono alla luce, si scopre che nella maggior parte delle volte sono rimasti una enorme incomprensione nella relazione tra le persone

Ebbene, se invece non riescono a venire alla luce,

questi segreti sono grandezze che la relazione continua ad alimentare fino a farli crescere in modo smisurato. Così alla fine il peso di questi non porta a un confronto, ma semplicemente al taglio della relazione

Questi tagli sono uno degli aspetti più tristi dei nostri giorni

Sono ovunque intorno a noi

A tutti gli sposi, le coppie, i fratelli, gli amici, i colleghi di lavoro ma anche cittadini del mondo o di fedi diverse, ascoltate questo pezzo e trovate la forza di fermare subi­

to “quelle cose della vita” prima che sia troppo tardi”

Concludendo possiamo dire che i segreti della vita, in definitiva, sono proprio rappresentati da una diffusa incapacità di comprendere come mantenere le intensità delle relazioni e anche di come modificare l’agire di tale manutenzione, prendersi cura di, in base al cambiamento delle intensità o delle direzioni nelle quali tali intensità sono diversamente destinate.

© Di Andrea Tiveron Riproduzione riservata

La manutenzione delle infrastrutture: tra passato, presente e prossimo futuro

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Antonio Rossi è un insegnate di storia e un appassionato di culture antiche, un “archeo­storico” che attraverso i suoi articoli ci permette di viaggiare nel mito di epoche passate e di riflettere sul modo in cui esse hanno plasmato il presente

greco Dionigi di Alicarnasso riteneva che la straordinaria grandezza dell’Impero Romano si fosse manifestata soprattutto in tre cose: gli acquedotti, le strade lastricate e le fognature

così complesse e grandiose che hanno resistito al tempo Plinio il Vecchio e Sesto Giulio Frontino, curator aquarum (funzionario sovraintendente alle acque) vollero sottolineare invece un’altra peculiarità della civiltà romana: quella di aver costruito “opere necessarie” in contrapposizione alla folle ostentazione delle piramidi egizie o dei grandi templi greci Strutture edilizie certamente mirabili, ma “inutili”, almeno dal loro punto di vista. Le suddette civiltà, sebbene depositarie di sapienze secolari, non rivolsero i loro massimi sforzi e il loro interesse nella realizzazione di opere di utilità pratica.

Verba volant, scripta manent

Le fonti letterarie rappresentano certamente un importante contributo per ricostruire la storia degli antichi Romani, ma sono soprattutto le più recenti indagini archeologiche a chiarire gli aspetti più nascosti di questa civiltà. Lo storico

Il geografo Strabone fece le stesse considerazioni. Non che da soli non ce ne fossimo accorti. A 2.000 anni di distanza possiamo ammirare i resti ben conservati di quei prodigi ingegneristici Stiamo parlando di infrastrutture fondamentali per la vita civile che ancora oggi influenzano il nostro modo di costruire Impossibile non rimanere strabiliati di fronte alle straordinarie capacità, da parte dei Romani, di progettare e realizzare opere

I Romani invece investirono ingenti somme sull’esercito, ma soprattutto nella realizzazione di opere pubbliche fondamentali. Non badarono certo a spese in questi due settori! Al pretore Quinto Marcio Re per far realizzare l’acquedotto più lungo di Roma, che portava acqua sino in cima al Campidoglio, occorsero soltanto due anni. Ma si rese necessario un esborso di 180 000,000 sesterzi, una cifra faraonica per l’epoca!

E pensare che l’Italia odierna è una dei fanalini di coda dell’Europa in termini di percentuale di spesa in infrastrutture rispetto al PIL (circa

1,8%) Tra il 2008 e il 2021, in particolare, è diminuita del 30%, nonostante interventi di manutenzione e di rinnovamento si siano resi via via sempre più necessari Nel 2020 il Covid­19 e la conseguente crisi economica, ha peggiorato ulteriormente la situazione. La maggior parte delle infrastrutture italiane risalgono agli anni ‘60­‘70 Cosa sono opere di appena 50 anni fa al cospetto di quelle antiche millenni? Eppure risultano già obsolete, fatiscenti, la loro usura è molto avanzata e pericolosa come purtroppo il popolo italiano ha sperimentato sulla propria pelle.

Infatti, i mancati interventi di opportuna manutenzione, da sempre sottovalutati in Italia, ad esempio sono alla base delle drammatiche alluvioni di questi ultimi anni che sono costate tante vite e un salasso per le casse dello Stato

Siamo un Paese che sprofonda per colpa di un po’ di pioggia abbondante Solo da noi eventi climatici, considerati naturali in altri luoghi del mondo, provocano allagamenti, smottamenti del terreno, frane e straripamenti Nel nostro Paese tutto cade a pezzi. Ci sarebbero da fare molti lavori che non possono più attendere, manca però il denaro e non solo, anche regole chiare e una programmazione idonea. Senza dimenticare poi l’ignavia, l’irresponsabilità, oltre che l’inadeguatezza dei politici che ci governano e le pastoie di una burocrazia farraginosa

Nonostante i materiali utilizzati siano decisamente cambiati e le tecnologie costruttive non siano lontanamente paragonabili con quelle moderne, desta non poco stupore di converso la solidità delle opere civili romane I principi fondamentali

di “sana architettura” enunciati negli scritti di Vitruvio erano proprio solidità (firmitas) in primis, utilità (utilitas) e infine bellezza (venustas) Difatti, a giudicare dai monumenti che ci hanno lasciato, quei canoni venivano rigorosamente rispettati in ogni settore edilizio

Ma il vero segreto della longevità delle opere romane è un altro. Un fattore imprescindibile che probabilmente era dato per scontato negli scritti degli storici, ma che al giorno d’oggi non lo è affatto: la manutenzione appunto. Per gli antichi Romani fare in modo che le proprie opere pubbliche potessero durare a lungo era una conditio sine qua non. Era imperativo contrastare il naturale deterioramento delle strutture edilizie in modo che ne fosse garantito il continuativo utilizzo. La possibile “interruzione del servizio pubblico” doveva essere evitata a priori o comunque, doveva essere reso semplice poter eseguire le opportune riparazioni o sostituzioni di parti deteriorate o rotte nella malaugurata ipotesi che si fosse reso necessario Da esse dipendevano la stabilità e le sorti stesse dell’Impero.

In generale, col termine manutenzione viene inteso quell’insieme di operazioni o attività, a carattere ordinario o straordinario, che vengono o andrebbero eseguite allo scopo di conservare in condizioni di piena efficienza funzionale un edificio, una

strada, un impianto, ecc. a seconda degli scopi per i quali sono stati costruiti Ma come vedremo meglio alla fine di quest’articolo, esistono nuove e più moderne tipologie d’intervento riguardo questo fondamentale settore.

La manutenzione in Italia viene presa troppo poco sul serio e la sua frequente assenza è anzi una tra le principali problematiche della nostra nazione, assieme alla mancanza di progetti rivolti a un reale ammodernamento ecosostenibile del Paese. La carenza di manutenzione delle infrastrutture in Italia riguarda molti ambiti, soprattutto pubblici: ospedali, scuole, stazioni, ponti, strade e autostrade, impianti, ecc. Il modus operandi del Bel Paese si basa troppo spesso sull’approssimazione, la superficialità e una programmazione inesistente. Il nostro poi è un sistema di “manutenzione a guasto”, soltanto dopo che accade qualcosa di veramente grave, che miete vittime, si corre ai ripari.

La disattenzione nei confronti delle infrastrutture pubbliche è stata la causa diretta di grandi disastri con conseguenze estremamente rilevanti sia per l’uomo che per l’ambiente Quando l’usura viene trascurata o passa inosservata è inevitabile che possano accadere eventi spiacevoli. E questo problema spesso sconfina nella sfera della sicurezza sul lavoro, altro tasto dolente Alla manutenzione, come disse

Leo Longanesi in tempi non troppo sospetti, l’Italia ha sempre preferito l’inaugurazione Lì dove i politici possono proprio farsi belli davanti all’opinione pubblica! Se della mancanza di manutenzione del presente abbiamo, ahimè, un’idea piuttosto chiara e tanti esempi quotidianamente davanti ai nostri occhi, quanto sappiamo invece di quella del lontano passato?

Vediamo concretamente come e in che misura il concetto di manutenzione veniva applicato da una civiltà ben strutturata e organizzata come quella degli antichi Romani Oltre alla ricerca della massima resistenza delle strutture all’usura e alle intemperie e l’immediato intervento per ripristinarle ove dissestate, i Romani in generale adottarono una manutenzione a carattere sistematico e in

qualche caso, come tra poco vedremo, addirittura di tipo preventivo

Prendiamo innanzitutto in esame gli acquedotti, opere pubbliche che i Romani consideravano come prioritarie Con la loro imponente mole trasmettevano un messaggio di dominio dell’uomo sulla natura e di progredita civiltà Plinio dichiarò: “Se si vorrà con attenzione valutare l’abbondanza dell’acqua che scorre nei luoghi pubblici, nei bagni, nelle piscine, nei canali, nelle case, nei giardini, nelle ville suburbane e vorrà considerare la lontananza dei luoghi dai quali queste acque sono state condotte costruendo ponti, perforando le montagne, livellando le valli, si dovrà riconoscere che nulla vi è di più grande da ammirare sulla Terra”. Parole tutt’altro che esagerate a veder bene. Il geografo Strabone sottolineò invece che: “Gli

acquedotti portano tanta acqua, che questa scorre come fiumi attraverso la città e quasi tutte le case hanno le loro cisterne e i loro tubi” C’era invece un certo comprensibile orgoglio nelle parole di Cassiodoro che alla fine dell’Impero, ammirando gli acquedotti ancora pienamente efficienti scrisse: “Per la solidità dei massi, potresti credere che gli alvei siano naturali, dal momento che hanno potuto sostenere così fermamente per tanti secoli un simile impeto di correnti”.

Quanto asserito dagli storici antichi ci permette di comprendere appieno come la straordinaria efficienza nell’ambito dei servizi pubblici avesse profondi vantaggi nella vita sociale di un vastissimo impero e di una metropoli come Roma Ma gli archeologi hanno scoperto qualcosa di ancora più interessante sugli spettacolari

acquedotti, ancora oggi lì in piedi. I Romani oltre a realizzare lungo il percorso una serie di pozzetti per le ispezioni necessari per pulire i condotti dalla sabbia e da altri detriti e per riparare eventuali danni accidentali, avevano istituito un servizio regolare di manutenzione che consentiva un perfetto funzionamento e la distribuzione dell’acqua senza intoppi

A confermarlo inequivocabilmente è stata una nuova ricerca da parte di un team internazionale guidato dal geoarcheologo di Oxford Dr Güel Sürmelihindi Secondo questo studio, pubblicato su Scientific Reports, nei depositi calcarei che si sono accumulati sulle pareti e sul pavimento dell’antico acquedotto romano di Divona (Cahors, in Francia) sono impresse le tracce di gestione manutentive da parte de­

gli ingegneri idrici romani Sono state scovate infatti le prove inequivocabili della rimozione manuale periodica dei depositi carbonatici da parte delle squadre di manutenzione romane: segni di utensili, di deformazione della calcite, detriti di pulizia e riparazioni Nel corso dei decenni, i depositi avrebbero potuto sedimentarsi diventando spessi molti centimetri, intasando così il canale dell’acquedotto, ma gli addetti lo impedirono prevenendo tale processo La ricerca ha anche evidenziato che la manutenzione veniva eseguita periodicamente in un intervallo tra 1 e 5 anni e per giunta rapidamente e mai in estate Del resto era quello che raccomandava proprio Sesto Giulio Frontino nell’unico trattato conosciuto sulla manutenzione degli acquedotti, scritto quando ne era il supervisore. I ricercatori hanno tenuto a precisare che le tracce di una manutenzione regolare rappresentano il chiaro indicatore di una organizzazione ben strutturata, mentre quella assente o saltuaria di solito rivela una condizione di stress socioeconomico Proprio come sta avvenendo anche a noi in questa precisa fase storica.

Passiamo ora all’argomento strade e viabilità La civiltà di un popolo e il suo stato di salute economica si misurano anche attraverso il modo in cui esso gestisce la mobilità del proprio Paese, nella fattispecie condizioni delle strade ed efficienza dei

mezzi di trasporto Come mai in Italia non siamo in grado di mantenere in buono stato le nostre strade come accade nei remoti Paesi nordici d’Europa, un tempo terre di barbari? Perché per riparare le strade serve denaro! Tanto denaro! Soldi per i materiali, per pagare i lavoratori, ecc Soldi che non abbiamo, che sprechiamo o che, ancora peggio, spariscono in modo poco trasparente nei menadri della corruzione e del malaffare, non solo politico!

Sappiamo che la viabilità romana costituì il più efficiente e duraturo sistema stradale dell’antichità e consentì di portare la civiltà romana in contatto con le genti più disparate che popolavano il mondo allora conosciuto. Gli antichi Romani furono i primi a costruire lunghe strade che collegassero le più lontane province con la capitale dell’Impero. Erano essenziali per il suo sviluppo ed erano utilizzate oltre che per scopi militari anche per ragioni politiche, amministrative e commerciali. Le vie tracciate dai Romani costituiscono ancora il supporto della rete stradale attuale; al sistema antico è stata aggiunta soltanto l’invenzione della strada ferrata e la costruzione delle autostrade

Innumerevoli tratti di strade romane sono sopravvissuti sino a oggi e sono ancora visibili in tutta Europa e nel bacino del Mediterraneo E sono meglio conservati di molte delle strade costruite in

tempi più recenti. Come fanno a essere ancora intatte e a resistere al trascorrere del tempo? Le strade dei nostri lontani antenati erano incredibilmente drenanti, resistenti al gelo, al passaggio di carri molto pesanti e alle inondazioni Il segreto risiedeva nella stratificazione che permetteva un eccellente drenaggio delle acque piovane che si infiltravano dall’alto. La stabilità dello strato superficiale, molto resistente, noto come “pavimentum”, era inoltre ottenuto predisponendo la sede stradale con una leggera curvatura a schiena d’asino atta a convogliare le acque verso i margini laterali dove erano presenti appositi canali di scolo che intercettavano l’acqua meteorica e la convogliavano altrove, evitando che le vie diventassero veri e propri pantani Oltre alla tecnica costruttiva e ai materiali utilizzati, l’elemento

ancora una volta decisivo era la manutenzione e gli interventi di riparazione e ristrutturazione effettuati sistematicamente Le strade dovevano essere mantenute sempre al massimo della propria efficienza.

Uno dei problemi che gli utenti odierni delle strade spesso invece lamentano è proprio quello del dissesto stradale Circolare su strade con buche, manto irregolare con dossi e avvallamenti è rischioso sia per i veicoli, che possono subire danni, sia per le persone. Manovre brusche per evitare buche sono a volte causa di incidenti Di solito gli automobilisti puntano il dito proprio contro la scarsa manutenzione e la mancanza di riparazione delle strade Nel 2006 furono ben 44 i milioni di asfalto utilizzati per la realizzazione e la manutenzione della rete stradale italiana, nel 2015

circa la metà. Non abbiamo dati più aggiornati, ma già questi appaiono inquietanti Si sa che spesso è proprio l’acqua di pioggie copiose a scavare le strade, a creare buche e aprire voragini, a rendere le strade impercorribili a causa di improvvisi allagamenti spesso legati a fenomeni meteo sempre più estremi ascrivibili al cosiddetto cambiamento climatico

Nelle grandi città come Roma si formano veri e propri crateri anche a causa di scavi continui e mancanza di controlli sullo stato dei lavori o collaudi da parte del Comune Dietro a ogni buca si nasconde un cavo, un tubo, una fibra ottica. Solo il 5% dei lavori è soggetto a opportune e regolari verifiche Nessuno si accerta che gli scavi siano eseguiti correttamente e spesso vengono ricoperti alla bell’e meglio Non di rado accade addirittura che si torni a scavare laddove il cantiere era stato appena concluso e sistemato. Le buche, croce di auto, motocicli, pedoni, e autobus, ma gioia di gommisti e carrozzieri, si riproducono più velocemente dei topi. Una nota società produttrice di automobili e motociclette scelse qualche anno fa proprio Roma per le sue buche per testare la qualità di ammortizzatori e balestre.

In Italia quando piove un po’ più del solito immediatamente il manto stradale si sgretola e si frantuma come

pastafrolla Eppure in luoghi lontani, come ad esempio la Finlandia, non vi è nessuna traccia di buche in mezzo a strade che attraversano immense distese di boschi dove piove forte e frequentemente nevica e c’è ghiaccio per gran parte dell’anno. Lì sì che ci sarebbero tutti i presupposti e le condizioni sfavorevoli perché le strade si sfaldino. Vi possiamo assicurare, invece, che le ruote dell’auto in quelle lande sperdute percorrono vie di collegamento prive di qualsiasi asperità, lisce come tavoli da ping­pong e perfettamente drenanti proprio come accadeva al tempo dei Romani Unico potenziale pericolo una renna o un alce che improvvisamente taglia la strada, mentre da noi risulta quasi una fatica di Ercole percorrere tratti autostradali caratterizzati da restringimenti, cantieri infiniti e insidie di ogni tipo.

Al tempo dei Romani il ripetuto passaggio di carri sulle strade lastricate creava profondi solchi e anche buchi non dissimili da quelli che ognuno di noi sperimenta sulle strade odierne. Scavi effettuati a Pompei da un team guidato dal professor Eric Poehler, studioso di antichità classica, sono stati in grado di dimostrare che volumi particolarmente elevati di traffico, concentrati in strade strette, potevano consumare una superficie lastricata in pietra in pochi decenni. Ma a quanto pare la questione delle buche era risolta in maniera brillante dagli antichi Romani Volete sapere quali tecniche utilizzavano per rimetterle in sesto? Un recente studio dell’Università del Massachusetts sulle vie di Pompei ha rilevato una realtà sorprendente I ricercatori dell’ateneo americano ritengono che le chiazze e le «toppe» in metallo ritrovate

durante gli scavi nelle strade sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d C , possano essere la prova di antiche riparazioni stradali eseguite con un metodo sinora sconosciuto.

Gli antichi Romani pare utilizzassero una tecnica del tutto particolare: si servivano di ferro fuso mischiato a pietre e terracotta, un impasto insieme resistente e flessibile Un’intuizione geniale, una delle tante Gli esperti sono giunti alla conclusione che la ripavimentazione secondo i metodi tradizionali «a freddo» sarebbe stata molto più costosa e soprattutto lenta Avrebbe bloccato per mesi importanti vie di comunicazione che attraversavano le città Di qui la necessità di utilizzare ferro fuso per creare rattoppi di particolare durata. Gli antichi Romani –stando a questa ipotesi di ricerca – avrebbero dovuto riscaldare il ferro (o le sue scorie) a una temperatura tra 1 600 e 2 000 gradi, per poi colarlo mischiato a detriti. Un’operazione non semplice, che spiegherebbe anche la ragione del ritrovamento di schizzi e chiazze di ferro sui lastricati romani.

Un’inchiesta dell’Economist sul tema della buche stradali ha spiegato che la debolezza delle attuali riparazioni stradali risiede proprio nel fatto che esse vengono spesso effettuate «a freddo», o comunque con materiali rigidi o di scarsa tenuta agli sbalzi di temperatura. Un gruppo di ri­

cerca della University of Minnesota, ha forse trovato una soluzione per le buche delle strade moderne: mischiare l’asfalto con ferro rettificato (con finiture particolarmente precise) contenente magnetite, un ossido di ferro Secondo i ricercatori un asfalto che contenga tra l’1 e il 2% di magnetite può essere scaldato fino a 100 gradi centigradi in circa 10 minuti e con strumentazioni che possono viaggiare su un normale mezzo di trasporto

Un centro di ricerca svizzero che si occupa di scienza dei materiali, ha studiato la possibilità di mischiare dell’ossido di ferro nell’asfalto in modo da renderlo sensibile e «modulabile» attraverso determinati campi magnetici Per la manutenzione stradale a quel punto basterebbe guidare sulle strade interessate, una volta l’anno, con uno speciale veicolo capace di

creare il necessario campo magnetico. Perché non ripartiamo dalle intuizioni dei Romani – non a caso i maggiori costruttori di strade del mondo – per sistemare le nostre così disastrate?

I Romani furono, come sappiamo, anche grandi costruttori di ponti, pontefici appunto. Chi pensava che noi italiani, con la nostra ingegneria civile, fossimo i legittimi eredi di una civiltà che ha saputo costruire ponti capaci di scavalcare grandi fiumi e sfidare i secoli, ultimamente si è dovuto ricredere dopo i duri colpi che questa fama ha subito in seguito ai tanti crolli di ponti in Italia di questi ultimi anni: quello di Annone Brianza (Lecco) sulla strada statale 36 crollato il 28 ottobre 2016 (un morto), quello di Camerino (Ancona) sull’autostrada A14 crollato il 9 marzo 2017 (due morti) e quello di Fossa­

no (Cuneo) crollato il 18 aprile 2017 per fortuna senza vittime, ma soprattutto dopo la grande tragedia datata 14 agosto 2018 del viadotto Polcevera (o ponte Morandi, come era comunemente denominato) che con le sue 43 vittime è ormai divenuto il simbolo indiscusso del degrado delle infrastrutture italiane.

Come sono lontani i tempi gloriosi in cui la fama italica di costruttori di ponti era pienamente meritata! Quella più recente risale all’imponente opera dell’Autostrada del Sole, realizzata in soli otto anni (dal 1956 al 1964) con decine e decine di viadotti, un buon numero dei quali caratterizzati da notevole ardimento ingegneristico Quello del ponte Morandi, se andiamo avanti così, rischia di non rimanere un caso isolato purtroppo. Su seicentomila chilometri di rete stradale si

calcolano dodicimila infrastrutture a rischio (tra viadotti, cavalcavia, gallerie che non vengono monitorati come dovrebbero) e quasi quattromila senza controllo né manutenzione.

Una domanda sorge spontanea: com’è possibile che resistano ponti di pietra di duemila anni fa o mostrino pochissimi segni di cedimento mentre crollano miseramente quelli in cemento armato che hanno solo pochi decenni di vita? Molti hanno cercato di trovare una risposta che ora sembra arrivata attraverso uno studio prodotto stavolta, nientemeno che dal MIT di Boston Persino il cemento romano pare avere un incredibile segreto È autoriparante

A scoprire come mai il cemento romano è notevolmente più resistente del nostro è stato Admir Masic,

docente d’ingegneria civile e ambientale al Massachusetts Institute of Technology, il celebre MIT, per l’appunto Studiando, infatti, il calcestruzzo romano per comprendere come mai strutture magnifiche come il Pantheon, il Colosseo, ma anche porti, acquedotti, ponti e terme siano sopravvissuti fino ai tempi moderni, il ricercatore è giunto alla conclusione che il calcestruzzo utilizzato duemila anni fa dagli antichi Romani ha la proprietà di autorigenerarsi Come? Il segreto risiederebbe nella composizione a base di calce viva che permetterebbe al cemento di autoripararsi quando si formano piccole crepe. Era noto da tempo che nel calcestruzzo romano ci fossero granelli di calce, ma si era sempre pensato che fossero lì per caso, forse arrivati come impurità: per questo nessuno aveva mai pensato che potessero avere invece una funzione fondamentale Secondo Masic, tutto sta nel cosiddetto “hot mixing” ovvero in quella procedura per la quale veniva aggiunta alla miscela di calcestruzzo una parte di calce viva, che reagendo con l’acqua riscaldava la miscela Era questo procedimento a consentire la formazione di “grani” di calce che poi avrebbero permesso l’autoriparazione

Quando il calcestruzzo dei nostri giorni si frattura al suo interno entrano invece acqua o umidità e la crepa va allargandosi e indebolisce

l’intera struttura. L’incredibile scoperta del MIT promette una vera e propria rivoluzione nel settore delle costruzioni moderne Masic e il suo gruppo di lavoro, dopo anni di prove, hanno infatti realizzato una tecnica che riproduce proprio il calcestruzzo romano ottenendo in Svizzera le certificazioni industriali dell’Istituto di Meccanica dei Materiali. Il nuovo calcestruzzo sta dunque per entrare nel mercato edilizio La società di Masic, con la start up Dmat, non distribuirà i sacchetti di calcestruzzo, ma la tecnologia necessaria Venderà cioè ai clienti le formule per realizzare quello autoriparante, più duraturo rispetto ai precedenti del 50%. Come se non bastasse rispetto a prodotti simili, la produzione di questo materiale emetterà una quantità di anidride carbonica inferiore del 20% con un costo inferiore del 50% Comunque sia, quando al giorno d’oggi si verifica un crollo o c’è stato un vizio di costruzione o sono mancati gli interventi di manutenzione e miglioramento per garantire lo stato di efficienza dell’infrastruttura

La civiltà dei Romani fu, infine, quella che più di tutti diede una spinta notevole nella costruzione nelle proprie città di un’articolata rete di canali per la raccolta delle acque di scarico A questo scopo è significativo citare, ancora una volta, la testimonianza scritta di Strabone che lodò nella

sua opera “Geografia” anche le fognature che riversavano nel Tevere la sporcizia dell’Urbe. Così scrisse: “…le fognature, voltate con filari di pietre, sono in alcuni punti talmente ampie da permettere il transito di grandi carri carichi di fieno”. Dunque Strabone mise in luce l’attitudine degli antichi Romani non solo nel costruire e progettare sistemi di adduzione e distribuzione delle acque pulite, ma anche quella, altrettanto efficiente, di scarico per le acque sporche Oggi lo definiremmo un “sistema di gestione delle acque integrato”. Tutto dunque era perfettamente predisposto dai Romani ai fini di raggiungere gli obiettivi di “salubritas” pubblica. Anche per quanto concerne le fognature pubbliche, gestite dalle autorità cittadine, erano di vitale importanza le attività della “refectio” (riparazione) e della “purgatio”

(spurgo) Le testimonianze scritte di Ulpiano, giurista e politico, danno conto di ciò: “Il pretore dunque, con questi interdetti, ha cura che le fognature vengano restaurate e spurgate; entrambe queste operazioni hanno rilevanza per la sanità e la sicurezza pubblica: infatti le immondizie depositate nelle fogne, se non vengano rimosse, minacciano cielo pestilente e rovine”

Dopo tante considerazioni sul passato remoto, cosa ci attende invece per il futuro? In Italia si fa un gran parlare di mobilità elettrica e vetture a zero emissioni di CO2, di rinuncia ai combustibili fossili causa di un forte impatto in termini di inquinamento e cambiamenti climatici. Occorrerà ancora molto tempo prima di svoltare con decisione verso nuove tecnologie di trasporto e invertire la rotta o forse ormai il dado

è tratto. Troppo spesso dimentichiamo che abbiamo problemi ancora più grossi: un sistema viario indecente e intasato, così come città senza parcheggi, scarsa educazione stradale, cantieri stradali senza fine, opere incompiute Siamo un Paese che parla di linee ad alta velocità quando è lentissimo e complicato persino muoversi da un quartiere all’altro della città Qualsiasi strada o altra struttura nuova, non potrà inoltre mai colmare il vuoto di coloro che hanno perso la vita sul territorio italiano, per incuria e negligenza di altri. Oltre a immaginare progetti impegnativi come il ponte sullo Stretto, sarebbe il caso di accertarsi che tutti quelli vecchi siano davvero agibili e non pericolosi e pericolanti

Di recente, soprattutto in ambito privato, il concetto di manutenzione sta assumendo accezioni nuove e più moderne, una sorta di evoluzione È divenuta materia di studio nei corsi universitari delle lauree magistrali in ingegneria e oggetto di master post­universitari acquisendo, di fatto, un ruolo di investimento oltre che di valore aggiunto per le aziende e per il futuro. Stiamo parlando soprattutto della cosiddetta manutenzione predittiva: una linea di condotta basata sul continuo controllo dei parametri di funzionamento di un impianto o di una struttura

Dalla registrazione degli interventi in appunti cartacei

si sta passando a software sempre più evoluti, potenti e flessibili. In Italia purtroppo mancano quasi completamente gli interventi di manutenzione predittiva, con i quali si potrebbe monitorare lo stato di usura e identificare problemi e guasti con tempestività grazie a tecnologie all’avanguardia come la robotica e la sensoristica intelligente che garantirebbero benefici lungo l’intero ciclo di vita delle opere Tra le applicazioni più particolari nel campo della manutenzione predittiva troviamo quelle nel mondo della velocità della Formula 1. Se durante le corse dei carri dell’antica Roma tutto era affidato al talento dell’auriga e al favore del destino, nell’attuale circus il ruolo dell’Intelligenza Artificiale si è imposto oltre la progettazione delle monoposto e le strategie di gara. Viene applicata da tecnici e meccanici ai box

monitorando e analizzando i vari parametri operativi di funzionamento e ricavando, attraverso appropriati modelli, algoritmi in grado di prevedere il tempo residuo prima che parti della vettura vadano incontro a eventuali guasti Un metodo per riconoscere la presenza di anomalie o individuare in anticipo l’insorgenza di avarie e, di conseguenza, quali componenti meccaniche o elettroniche potrebbero aver bisogno di sostituzione o di essere gestite dal pilota.

Dovrebbe essere chiaro e ovvio che qualsiasi cosa, materiale o immateriale (dalle città agli affetti, ai rapporti sociali e sentimentali, dalle case ai condomini che altrimenti cadono a pezzi, dalle auto che necessitano controlli periodici) abbia bisogno di manutenzione come determinate norme, regolarmente disattese, pre­

vedono Altrimenti col passare del tempo si logora, si deteriora La manutenzione costante in senso lato riguarda anche l’uomo stesso, lo screening e la prevenzione della salute In tempi di obsolescenza programmata e di ricerca del nuovo a tutti i costi dettata dalle leggi del consumismo, riparare è quasi

un atto di ribellione. L’idea stessa della manutenzione sembra antiquata Del resto, perfino certi successi politici sono stati costruiti su parole d’ordine come rottamazione! Della negletta, ma fondamentale pratica della manutenzione avremmo invece tanto bisogno. Ce lo insegnano anche i Romani.

Historia magistra vitae

© Di Antonio Rossi Riproduzione riservata

"Responsabilità aziendale"

Rubrica a cura di Lorenzo Nicolò Meazza

Compliance 231 e misure di prevenzione

Tempo di lettura: 2 minuti

“Responsabilità aziendale” nasce dalla collaborazione con l’avv. Lorenzo Nicolò Meazza, il cui Studio ha sede a Milano e opera a livello nazionale, prestando assistenza a italiani e stranieri, privati, piccole e medie imprese, ma anche a multinazionali ed enti pubblici, in tutti i settori del diritto penale, dai più tradizionali, al diritto d’impresa. Oltre all’opera di assistenza in tutte le fasi del

giudizio a indagati, imputati, persone offese e parti civili, lo Studio offre anche la propria consulenza stragiudiziale sia nella redazione di pareri, che nell’elaborazione di modelli di organizzazione e gestione degli enti ex D.Lgs 231/01 e dei sistemi di deleghe e funzioni

non – infiltratesi nelle società, ha spinto il legislatore in passato a individuare, tra i vari strumenti repressi a disposizione della Autorità Giudiziaria, le misure ablative del sequestro e della confisca di prevenzione.

Negli ultimi anni, però, si è osservata una variazione di tendenza: pur mantenendo l’approccio ablatorio, alcune procure hanno iniziato a utilizzare lo strumento delle misure di prevenzione non ablative (in primis, l’amministrazione giudiziaria) quali istituti “sussidiari” di carattere “terapeutico”, finalizzati cioè a una progressiva “bonifica” dell’attività imprenditoriale quando si ha il sospetto che essa possa anche solo agevolare la condotta di reati da parte di società terze con cui si trova a collaborare (fornitori, subfornitori, appaltatori, committenti…).

L’esigenza di contrastare alcune forme di criminalità economica – organizzata e

L’impiego di tali misure nei confronti delle aziende sospette di essere “contaminate”, in alternativa o in aggiunta a quelle meramente ablatorie, è stato giustificato

dalle autorità con l’esigenza di rispondere adeguatamente al mutamento nella realtà contemporanea dei rapporti tra imprese e Organizzazioni criminali.

In tal novero si colloca la misura dell’amministrazione giudiziaria, che viene disciplinata dall’art. 34 D.Lgs. 159/2011 e sta trovando frequente applicazione da parte di alcune procure particolarmente attive nei confronti di società operanti nei settori del food delivery, della moda, della logistica e della grande distribuzione

In tale contesto, è di essenziale importanza evidenziare l’importanza di alcuni strumenti preventivi attualmente a disposizione delle società Tra questi, il più efficace e in continua evoluzione è rappresentato dai Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo disciplinati dal D Lgs 231/2001, i quali – in alcuni casi e a determinate condizioni – possono avere efficacia esimente dalla responsabilità per un fattoreato

Il notevole e rapido rafforzamento di tale strumento è dovuto all’evoluzione costante del settore della compliance 231, che nel tempo ha permesso di sviluppare tali strumenti di natura preventiva rispetto ad alcune forme di criminalità di vario genere

Il ruolo principale della compliance 231 è proprio

quello di individuare le procedure operative che l’azienda sviluppa per ridurre il rischio che vengano commessi reati a vantaggio o nell’interesse della società, anche al fine di prevenire il rischio di infiltrazioni, ovvero a facilitare il ripristino della legalità anche nelle aziende sottoposte a misure di prevenzione.

In queste realtà imprenditoriali, l’introduzione dei protocolli e delle procedure che costituiscono parte integrante del Modello 231 contribuisce altresì alla razionalizzazione e all’efficientamento dei processi e garantendo una maggiore trasparenza delle attività e dei processi operativi.

Vieppiù, negli anni, in alcuni casi, sono stati gli stessi tribunali a richiedere esplicitamente agli amministratori giudiziari l’adozione del Modello, nonché l’applicazione

dei protocolli previsti dal D.Lgs. 231/2001, previa specifica valutazione delle caratteristiche e dei rischi connessi alle attività dell’azienda sottoposta alle misure di prevenzione.

Nello specifico, il citato art 34, c. 3 D.Lgs. 159/2011, prevede che l’amministratore giudiziario eserciti “tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura” Ciò significa che in alcuni casi gli è imposto dai tribunali, in altri è buona prassi che si adoperi per fare adottare all’ente strumenti di compliance volti a prevenire tentativi di sottoposizione alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento, o comunque agevolare l’attività di persone pericolose, tra i quali vi è, per l’appunto il Modello 231

Dunque, oggi è pacifico che il Modello 231 rappresenti lo

strumento preventivo per eccellenza, il cui ruolo riveste importanza fondamentale soprattutto nella fase precedente all’eventuale intervento delle procure. È attraverso l’attività di risk analysis e la successiva predisposizione di procedure ad hoc che i Modelli 231 esercitano la propria efficacia preventiva ed esimente.

Attraverso l’adozione di tali modelli, le società si dotano di un meccanismo proattivo che non solo definisce la struttura aziendale e la gestione dei suoi processi sensibili, bensì si pone altresì come baluardo nei confronti di eventuali futuri interventi giudiziari

© Di Lorenzo Nicolò Meazza Riproduzione riservata

Gli Itinerari Neronis:

Dall’ospedale San Giovanni a San Gregorio Magno

A cura di Filippo Conti,

Presidente delll’Associazione Neronis

Tempo di lettura: 5 minuti

Iniziamo il nostro itinerario dal semaforo che si trova in via dell’Amba Aradam, dinanzi all’entrata dell’ospedale di San Giovanni. Prima di entrare vediamo, nella via più avanti a sinistra, il palazzo dell’ASL, sotto il quale è stata identificata la Domus Fausta Quest’ultima era la casa della moglie dell’imperatore Costantino, in seguito appartenuta a Domizia Lucilla, madre di Marc’Aurelio

Qui fu trovata la statua equestre dell’imperatore che venne posizionata dove si trova ora l’obelisco di piazza

San Giovanni Per far posto a quest’ultimo, nel 1586 la statua venne spostata da papa Sisto V in piazza del Campidoglio, luogo in cui attualmente si trova una copia L’originale è collocata nei Musei Capitolini e si salvò dalle varie distruzioni in quanto si era ritenuto che vi fosse rappresentato Costantino e non Marc’Aurelio

Dal punto in cui ci troviamo, spostiamoci verso la piazza e procediamo costeggiando sulla sinistra l’ospedale vecchio, che fu fondato nel 1348 e poi modificato nel 1600. L’edificio era adibito al ricovero degli uomini, mentre

le donne si trovavano in uno stabile all’incrocio di via San Giovanni in Laterano

Una curiosità è quella che prima della costruzione dell’ospedale del 1348, esisteva in questo punto un’infermeria molto più antica in cui nel 1200 vi dormì San Francesco, venuto a Roma per richiedere al papa l’autorizzazione per il suo nuovo ordine sacerdotale

Andiamo a sinistra verso via Santo Stefano Rotondo ed entriamo a sinistra, passando sotto un “archetto” antico; arrivati in un cortile con diversi reperti d’epoca romana, prendendo a destra un passaggio coperto, ci troviamo nel piazzale interno antistante l’entrata del nuovo ospedale di San Giovanni

Una volta usciti, vediamo a sinistra due colonne e un architrave, ritrovati in loco e facenti parte della Villa dei Laterani Ci dirigiamo a destra dell’entrata dell’ospedale dove, nella parte bassa, vediamo strutture della proprietà dei Pisoni e dei Laterani, poi trasformate nelle caserme dove erano alloggiati gli “equites singularis”. Ripercorriamo a ritroso il percorso fatto sapendo che

sotto il complesso dell’ospedale vecchio c’è una vasta area archeologica, tra cui sono stati riconosciuti dei “lupanaria”, case di tolleranza Usciamo dalla piccola porta dove eravamo entrati e imbocchiamo a sinistra via Santo Stefano Rotondo Passiamo davanti a un portico dove ci sono diversi reperti d’epoca romana, trovati sempre in loco, più avanti svoltiamo a destra in via dei Santi Quattro, una volta percorsa dal “corteo papale”, e dopo poco prendiamo la deviazione a sinistra.

Arriviamo al complesso dei Santi Quattro Coronati che prende il nome da quattro soldati romani uccisi perché si rifiutarono di giustiziare degli scultori cristiani che nel 302 d C non vollero scolpire una statua pagana ordinata dall’imperatore Massenzio

Una volta arrivati, si passa sotto una torre fortificata del IX secolo e si arriva a un primo cortile dove si affacciano le mura del convento di clausura, si entra quindi in un secondo cortile dove troviamo la chiesa che fu fondata nel IV secolo e modificata prima nel IX e poi definitivamente nel 1111

All’interno possiamo ammirare il pavimento, il soffitto ligneo e, nell’oratorio di San Silvestro, un affresco del 1246 che rappresenta la conversione di Costantino; il chiostro del 1200 è ritenuto uno dei più belli di Roma

Dall’esterno è possibile vedere il campanile del IX se­

Usciamo dal complesso e torniamo indietro per riprendere a sinistra via dei Santi Quattro e percorrerla fino a via dei Querceti, qui giriamo a destra per arrivare in via San Giovanni in Laterano, dove c’era la Porta Querquelana delle antiche “Mura Serviane”.

Di fronte a noi vediamo la Chiesa di San Clemente, la cui particolarità sta nel fatto che essa dimostra la sovrapposizione di quattro livelli di costruzione in ventidue secoli Sia la chiesa che i relativi sotterranei sono da visitare accuratamente. Il titolo di San Clemente deriva o dal nome di un cugino dell’imperatore Domiziano, ucciso da quest’ultimo per la sua fede cristiana, oppure dal terzo papa.

Dei quattro livelli citati, tre

sono di strutture romane dei vari secoli e il più inferiore, cioè il primo, appartiene a case distrutte nell’incendio di Nerone L’accesso attuale alla basilica era un’entrata secondaria, la principale si trova in piazza San Clemente e basta spostarci di poco verso destra per poterla vedere. A titolo informativo, diamo qualche indicazione: entrati ci troviamo al livello quarto, costruito nel 1118, si scende poi al terzo dove ci troviamo nella basilica del 1084, scendiamo al secondo per arrivare alle strutture del IV secolo, tra cui la casa di Clemente, e quindi arriviamo al primo, quello delle case d’epoca neroniana. Nelle parti più in basso, ovvero il primo e il secondo livello, vi erano il luogo iniziale di ritrovo per i cristiani e anche quello per il culto del dio Mitra, inoltre ci sono delle strutture identificate come “moneta Caesaris”, cioè la

colo, il più antico di Roma.

zecca, voluta da Domiziano nell’80 d C dopo l’incendio del Campidoglio

Torniamo al livello della basilica attuale e vediamo la doppia fila di colonne antiche, il bel pavimento, il baldacchino con sotto le reliquie di papa Clemente e ammiriamo nell’abside, il mosaico formato con le tessere della chiesa del 400 in cui si notano il crocifisso, le dodici colombe e, in basso a sinistra, una donna intenta a dare il mangiare alle galline; a destra un contadino con le capre

Usciamo dalla basilica e andiamo a destra verso il Colosseo, svoltiamo più avanti a sinistra in via dei Normanni, quindi dritti in via Celimontana e poco dopo, a destra, in via Capo d’Africa, fino ad arrivare in via Claudia, che attraversiamo per andare sul lato opposto

Ora ci dirigiamo verso sinistra per risalire il celio, che prende questo nome da Caelius Vibenna, un re Etrusco che aiutò il re Servio Tullio a essere nominato terzo re di Roma. Anticamente, su questo colle, vennero insediate le “Curiae Veteres”, delle abitazioni date agli abitanti di Albano dopo la vittoria di Roma sulla città in cui era nata la madre dei gemelli Romolo e Remo

Mentre percorriamo la via Claudia, a destra vediamo le gigantesche pareti del Tempio di Claudio, costruito da Agrippina, madre di Nerone, e dedicato al marito Claudio, da lei ucciso nel 54 d.C. per far nominare il figlio imperatore come successore Il tempio venne poi modificato da Nerone in ninfeo e inserito nelle costruzioni della Domus Aurea. Una volta eliminato Nerone, Vespasiano lo restituì alla sua

destinazione iniziale

Arrivati a largo della sanità militare, a sinistra vediamo l’ospedale militare, sorto sulle strutture della Basilica Hilariana, dal nome di chi la costruì La zona era chiamata “Arbor Sancta” perché un pino sacro veniva portato in processione nella ricorrenza della festa di Cibele

Sotto la piazza, oggi adibita a parcheggio, sono stati trovati i resti di una parte del Macellum Magnum, un grande mercato voluto da Nerone in sostituzione di quello che sorgeva nel foro, diventato insufficiente alle esigenze della città Al termine della piazza, giriamo a sinistra e passiamo vicino a un’arcata dell’Acquedotto Neroniano, quello che si diramava da Porta Maggiore, costruito dall’imperatore per portare l’acqua alla Domus Aurea

Ci dirigiamo ora verso via Santo Stefano Rotondo dove, al civico 7, entriamo nel cortile della Chiesa di Santo Stefano Rotondo, costruita nel V secolo sulle strutture della “Casa dei Valeri” e del Macellum Magnum, prima citato

Questa chiesa venne edificata lasciando inserito al piano inferiore un mitreo; fu progettata in forma rotonda a imitazione di quelle in Terra Santa e nel 1200 fu aggiunto il portico utilizzando colonne antiche trovate sul posto. All’interno vediamo le due

colonne centrali, di epoca imperiale, mentre le altre 34 addossate al muro risalgono al 1200. Nei 34 dipinti eseguiti nel 1600 dal Tempesta e dal Pomarancio, vengono rappresentati i supplizi degli apostoli

Usciti dalla chiesa, torniamo verso largo della Sanità Militare, attraversiamo la strada e ci dirigiamo a sinistra in via della Navicella dove al centro vediamo la Fontana della Navicella, un piccolo monumento a forma di barca rinvenuto all’interno del Colosseo e qui posizionato nel 1513 L’origine non è certa ma sembra riferita ai marinai della flotta di Miseno, vicino Pozzuoli, incaricati alla manovra del “velarium”, che serviva alla copertura del Colosseo sia per la pioggia che per il sole.

Di fronte alla fontana vediamo la Chiesa di Santa Maria in Domenica, costruita nel VI secolo su strutture romane riferite a una caserma militare, la Castra Peregrina, della V Corte dei Vigili e su una parte della villa del senatore Simmaco. All’interno tutte le colonne sono antiche e trovate sul posto; il mosaico è del VIII secolo

Usciamo dalla chiesa e andiamo a destra per entrare nella confinante Villa Celimontana, che sorge sui detriti della caserma dei Vigili della V Corte, vediamo a sinistra del viale l’obelisco che proviene dal Tempio di Iside Capitolina ed è stato posto

qui da Domiziano, che lo prelevò da Eliopoli in Egitto e trasferito nel 1528

Usciamo dalla villa, andiamo a sinistra e tornati in largo della Sanità Militare andiamo a sinistra dove al civico 4 vediamo un mosaico del 1300 su un portale che faceva parte di un complesso formato da un monastero con annesso ospedale chiamato San Tommaso in Formis a causa delle “forme” dell’Acquedotto Neroniano.

Subito dopo, passiamo sotto l’Arco di Dolabella, la vecchia Porta Celimontana delle Mura Repubblicane del 353 a.C., ristrutturata dal console Dolobella nel 10 d C e utilizzata poi da Nerone come sostegno del suo acquedotto.

Percorrendo via San Paolo alla Croce arriviamo in una piazza dove si trova la Chie­

sa dei Santi Giovanni e Paolo Essa fu costruita nel 398 d C e venne dedicata a due centurioni romani morti martirizzati nel 361 d.C.; devastata diverse volte e venne ricostruita nel ‘700 con l’aggiunta di un portico nel 1100

Dall’interno, tramite la sacrestia, si esce lateralmente all’esterno, dove si ammira un lato del Tempio di Claudio con le imponenti colonne e murature. Da qui si ritorna nella piazza antistante la chiesa dove, alla nostra sinistra, possiamo vedere il campanile, uno dei più belli di Roma

Scendiamo verso destra in via Clivio di Scauro, strada che venne realizzata nel 109 a C da Emilio Scauro, passando sotto gli archi di collegamento. A destra vediamo quelle che erano delle “taberne”, i nostri negozi, e po­

co più avanti a destra, l’entrata alle case romane La loro visita consiste in un percorso che ci porta a livelli sotterranei riferiti alla Roma Repubblicana e Imperiale fino al III secolo d C tra cui si possono ammirare le case dei martiri titolari della chiesa su cui questa fu costruita.

Proseguiamo a discendere la strada e al termine del rettilineo giriamo a sinistra per arrivare a piazza San Gregorio, dove troviamo la scali­

nata che ci porta alla Chiesa di San Gregorio, costruita nel 1500 sul luogo della casa di Gregorio Magno, che qui istituì nel 575 un primo monastero.

Sulla sinistra della chiesa si trova uno slargo dove ci sono tre cappelle: da sinistra verso destra, rappresentano Santa Barbara con una tavola di marmo dove San Gregorio distribuiva i pasti, segue Sant’Andrea con colonne antiche romane e

infine Santa Silvia, la cui cappella è addossata a una casa d’epoca repubblicana

Il nostro giro termina qui.

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I vantaggi degli investimenti

nella formazione professionale

Oggi il mondo del lavoro rispecchia le caratteristiche della società che ci circonda: un ambiente complesso e in costante evoluzione, una realtà dinamica che richiede competenze eterogenee

Il Centro Europeo per lo sviluppo della formazione professionale ha portato avanti uno studio intitolato “The anatomy of the wider benefits of VET in the workplace” (Anatomia dei benefici più ampi dell’IFP nel luogo di lavoro) che mostra chiaramente i benefici della formazione professionale connessi alla sfera economica e a quella sociale.

I vantaggi si collocano su due piani: da un lato essa migliora le prospettive di lavoro delle persone, contribuendo al raggiungimento di tassi di disoccupazione più bassi e a una maggiore crescita economica, dall’altro accresce l’inclusione e la solidarietà fra le generazioni, contribuendo a migliori condizioni di salute e di qualità della vita La formazione professionale erogata dalle imprese

svolge una funzione di duplice importanza: rafforza le competenze dei lavoratori, migliorando la loro soddisfazione e incrementa la produttività, aumentando la competitività e contribuendo al raggiungimento di una crescita economica.

Essa, inoltre, invia ai dipendenti un segnale che il datore di lavoro stia investendo su di loro, generando vantaggi in termini di motivazione e fiducia. In questo modo, i dipendenti utilizzeranno in maniera più efficace le competenze acquisite e saranno più impegnati verso il raggiungimento degli obiettivi dell’Organizzazione.

Investire nella formazione professionale non significa solamente favorire la produttività aziendale, ma i vantaggi si traducono nella capacità di apportare innovazione ai processi, ai prodotti e all’organizzazione del lavoro. Piccole e medie

imprese che incontrano problemi nell’introdurre nuove tecnologie spesso lamentano una mancanza di manodopera qualificata, che potrebbero essere risolti investendo nella formazione professionale dei propri lavoratori.

Newcert viene incontro alle esigenze di aziende e di professionisti, desiderosi di mettersi in gioco e di rilanciare o rafforzare il loro business.

Grazie alla collaborazione con docenti qualificati e preparati, siamo in grado di offrire un’ampia gamma di corsi di formazione professionale, consultabili sul nostro portale dedicato: https://www newcertformazione com/

Le nostre lezioni sono fruibili online per consentire la massima flessibilità e garantire un servizio formativo di qualità, oggi più che mai necessario per essere competitivi nel mercato del lavoro.

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