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Pendragon: storia italiana e

TRADIZIONE ITALIANA, INNOVAZIONE POP, SUCCESSO MONDIALE

L’exploit di Pendragon nel mercato del dentale: quattro marchi, tante idee e un piede in America

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Dall’Italia al Messico e ritorno, con invenzioni e innovazioni che hanno conquistato il mercato mondiale, ma anche una storia tipicamente italiana, fatta di lavoro e ingegno, che affonda le sue radici negli anni Settanta. Perché è così che nascono le imprese destinate a durare. Dall’idea di un perito meccanico che lavora in un deposito di prodotti per dentisti, ma poi decide di mettersi in proprio, creando una delle realtà più importanti del settore nel nord-ovest italiano. Enzo Lattore, che ha ormai superato i settant’anni, viene chiamato ancora oggi quando c’è un problema irrisolvibile, un macchinario che nessuno riesce a riparare (tranne lui). Nel frattempo suo figlio, Alessandro Lattore, ha creato quattro marchi diversi, si è inventato il conto vendita per le frese dentali (idea che piace, eccome), produce strumenti trattati al titanio ed è passato dai 100 pezzi ordinati all’inizio della sua carriera, ai 100mila che la sua azienda fa girare ogni anno in tutto il mondo.

Alessandro Lattore vive a Mexicali, nella Bassa California, da dove guida un’azienda globale che ha la sua sede legale a Lodi e quella operativa in provincia di Asti. Questa storia, in effetti, comincia in terra piemontese, 51 anni fa. «Tutto nasce nel 1971 – ci racconta - quando mio padre apre uno dei primi centri di distribuzione di prodotti per dentisti. A quel tempo erano pochi in Italia. Lui era un perito meccanico e aveva cominciato come tecnico, in uno storico deposito di Torino. È stato aiutante, apprendista, piano piano ha cominciato a crescere e alla fine ha deciso di mettersi in proprio. È partito con questa avventura, aiutato da aziende del settore. Ancora oggi è molto ricercato. Lo chiamano per delle riparazioni che a volte sembrano impossibili. Quando nessuno riesce più a metterci le mani dicono: “Chiama Lattore”. E lui in qualche modo risolve il problema». Con un esempio del genere davanti agli occhi, è facile che ti venga il desiderio di metterti alla prova. «A 18 anni, quando andavo ancora a scuola, dicevo spesso a mio padre: “Voglio lavorare da te, voglio imparare”. Però io non volevo fare il “meccanico” - perché io mio padre lo vedevo un po’ così - non volevo riparare le macchine, volevo costruirle. Avevo questo sogno. E lui mi rispondeva: “Prima comincia a capire come sono fatte”.

Mio padre mi disse una cosa molto giusta, che all’epoca però non mi piacque per niente: “Se vieni a lavorare da me finisce che ti siedi alla mia scrivania e ti credi il capo, non farai più nulla”. Aveva ragione. Per questo mi mandò a lavorare da un amico, un’azienda di Padova che produceva strumenti chirurgici e frese dentali». I padri saggi fanno così: meglio evitare scorciatoie, ognuno deve percorre la sua strada, facendo le sue esperienze. «La mia avventura, in effetti, è iniziata così. Parliamo del 1998. Ho cominciato come agente e guadagnavo anche molto bene. Mi pagavano delle buone provvigioni, ottimi fissi. Tanto che ho cominciato a chiedermi: come fanno a pagarmi così? Vuol dire che ci sono dei margini molto interessanti». Ed ecco l’idea di provare a produrre qualcosa in proprio. «Ho cominciato a contattare le prime aziende. 25 anni fa erano molto poche». Fortunatamente Alessandro Lattore se la cavava molto bene con le lingue straniere. «Parlo quattro lingue e questo mi ha aperto il mondo, mi ha permesso di parlare con giapponesi, cinesi, coreani, indiani... Riuscivo a comunicare con tutto il mondo, facendo arrivare prototipi e pezzi da vari Paesi, finché abbiamo trovato dei produttori disposti ad aiutarci. Ci sono aziende con cui mi sono trovato benissimo. Con una, in particolare, mi sono trovato così bene che ancora oggi continuo a lavorare con loro, anche se magari ci sarebbero fornitori più economici. All’epoca non potevo fare grandi quantitativi, ma loro hanno creduto in me. Oggi muoviamo 100 mila pezzi all’anno».

Alessandro Lattore vive a Mexicali (Bassa California), ma ha riportato la sua azienda in Italia per conquistare il mondo

Da dove nasce il successo di Pendragon? Dall’idea di differenziare l’offerta. Perché è vero che l’Italia è leader mondiale nella produzione di dispositivi medici, ma la concorrenza è tanta e bisogna distinguersi. «Con il marchio BursBox siamo diventati la prima azienda al mondo che vende frese dentali in conto vendita. Noi prestiamo a un numero considerevole di dentisti degli stock di frese che utilizzano liberamente, pagando solo quelle che vengono utilizzate. Abbiamo cominciato nel 2016». Un modo efficace per essere dentro gli studi dentistici prima che ne abbiano bisogno, fidelizzando il cliente. «Noi lasciamo le frese al cliente e quando ne ha bisogno le usa. Funziona. Piace come concetto. Il medico non deve più correre come un matto per andare a cercare le frese. Sono così tante che finiscono senza che te ne rendi conto. Se ti serve una fresa specifica per fare un lavoro particolare, immancabilmente quando ne hai bisogno scopri che sono finite. Col nostro sistema questo non succede più, perché grazie a un controllo costante, prima che finiscano noi andiamo ad aggiungere il sostituto pronto per essere utilizzato».

Il passaggio successivo? Automatizzare questo sistema, per evitare che i venditori diventino degli impiegati addetti agli inventari e anche per minimizzare le scocciature agli studi dentistici. «A dicembre dell’anno scorso abbiamo creato e brevettato un software, con un sistema hardware, un computer, collegato alle scatole consegnate al cliente. Da gennaio queste scatole saranno computerizzate e quindi sapremo quando un cliente apre un pacchetto di strumenti. Ci arriverà in automatico un messaggio via mail. In questo modo il medico utilizzerà le sue frese in tutta tranquillità e una volta al mese vedrà arrivare il pacchetto Dhl con gli strumenti nuovi». L’innovazione si fa anche così, trovando soluzioni per risolvere problemi pratici. Da una parte ci sono gli ingegneri che studiano e progettano, dall’altra le idee che nascono all’improvviso, osservando la realtà. «Il marchio 360 Luminous nasce per produrre trapani dentali (turbine) con la novità di una luce al led circolare. Intorno alla fresa c’è questo cerchio luminoso che evita la formazione di coni d’ombra, a differenza della turbina tradizionale, che ha una luce che va dal basso verso l’alto. L’abbiamo ideata a partire dal ring light dei tiktoker. Ci siamo detti: funziona mettendolo intorno a una telecamera, perché non dovrebbe funzionare intorno a una fresa? Il problema poi è come applicarlo, come adattarlo al prodotto. Sulle turbine ci siamo riusciti, ora proveremo anche con altri strumenti più piccoli». A volte, invece, si cerca di risolvere un problema e si finisce per risolverne due. «Con SurgiTi produciamo strumenti chirurgici trattati al titanio. Di solito i dispositivi medici per dentisti sono realizzati in acciaio chirurgico. All’inizio abbiamo pensato al titanio solo come abbellimento. Nel settore dentistico si sono fatti passi da gigante per la tranquillità del paziente. Ci sono psicologi che lavorano sui colori, studi che dipingono le pareti di verde o azzurro, per i bambini ci sono le mascherine con il sorriso di Mickey Mouse o il dentista che si veste da supereroe... Ma al momento di fare l’estrazione, prendiamo la nostra pinza in acciaio che terrorizza il paziente. Una fobia particolarmente comune. A livello di strumenti chirurgici non era mai stato fatto nulla, perché si pensava semplicemente alla loro funzionalità. Noi abbiamo cercato di colorarli, un’idea nata da un trattamento che veniva usato nel settore estetico, ad esempio per le forbici dei parrucchieri. Poi però abbiamo scoperto che in ambito medico chirurgico questo trattamento ha anche una funzione protettiva sull’acciaio, perché evita che si ossidi troppo velocemente. Il nemico numero uno dello strumenti chirurgici è proprio la ruggine. Alcune aziende utilizzavano questo trattamento sugli strumenti di microchirurgia. Noi lo facciamo su tutta la gamma, anche il semplice specchietto». Con uno sviluppo prossimo futuro. «Un prossimo brand produrrà un linea d’alta gamma completamente in titanio, fin dalla matrice. Ha dei costi molto alti, ma sembra che piaccia. A partire dalla drastica riduzione di peso degli strumenti. Oggi questo viene fatto per la microchirurgia cardiaca e oftalmica, nel dentale saremo i primi al mondo». C’è anche un quarto marchio, BlackBurs, e non c’è neanche bisogno di dire che anche qui si porta avanti un’innovazione importante. «In questo caso utilizziamo un trattamento in titanio chiamato DLC, Diamond Like Carbon, che si utilizza nei motori di Formula Uno e sulla punta delle trivelle per la perforazione petrolifera. Abbiamo utilizzato questa tecnologia sulle frese dentali. Frese che hanno la necessità di essere particolarmente dure, ad esempio taglia-corone o taglia-metalli. Di solito si utilizza una fresa normale che puntualmente si rompe e viene sostituita. A volte ne utilizzano anche tre o quattro per finire un lavoro. Con la nostra nuova linea, l’idea è che con una fresa fai tutto il lavoro e ti rimane anche per iniziare quello successivo. Si velocizza il processo. Lo scopo è far sì che il paziente rimanga il minor tempo possibile sulla poltrona con la bocca aperta».

Èincredibile pensare quanto spazio ci sia per la creatività e l’innovazione tecnologica anche in un campo come quello dei dispositivi medici per dentisti. Ecco un modo efficace di fare impresa. Seguendo anche le svolte della vita, perché non sempre è la razionalità a comandare. «L’avventura americana nasce 15 anni fa, con un viaggio di piacere. Sono venuto in California, a San Diego, e ho conosciuto una ragazza messicana, di cui mi sono innamorato e che è diventata mia moglie. A quel punto mi sono detto: faccio dispositivi medici in Italia, li posso fare anche in Messico. Fortuna vuole che proprio nel municipio dove siamo c’è un’area considerata il “paradiso dentale d’America”. Si chiama Los Algodones. Sono quattro strade orizzontali e quattro verticali, sembra più un quartiere, ma ci sono cento studi dentistici. La gente arriva qui da tutti gli Stati uniti e soprattutto dal Canada. A ottobre comincia la stagione, che poi finisce a maggio. Qui chiamano i canadesi “los pajaros de la nieve”, gli uccellini della neve, che scappano dal freddo dell’inverno e arrivano in quantità industriale, come fosse una migrazione di uccelli, sul confine con il Messico, tra l’Arizona e la California. Vengono con dei camper enormi, intasano tutta la zona, e passano il confine per farsi fare lavori dentali». Ovviamente si tratta di una questione di costi. «La qualità dei dentisti in realtà è molto alta, ma sono prezzi messicani. Un impianto dentale che qui paghi 5000 dollari in Canada costerebbe 50 mila». Sulla qualità degli strumenti ci sono pochi dubbi, visto che sono italiani. «In Italia ci sono 60mila dentisti e circa 800 depositi dentali.

L’idea vincente? Frese in conto vendita, con inventario digitale Ma anche l’uso del titanio e un’invenzione ispirata dai tiktokers

In Messico ci sono 120 mila dentisti, il doppio, ma solo 100 depositi dentali. Il volume che si genera in Italia è incredibile. Facciamo quasi gli stessi numeri degli Stati Uniti che è cinque volte più grande, 270 mila dentisti. A livello produttivo mondiale il 60-70% dei dispositivi sono made in Italy». E visto che si lavora con il “made in Italy”, era d’obbligo anche il ritorno in Italia, dove tutto era nato. «Nel 2021 ho deciso di riaprire sul mercato italiano. Avevo bisogno di un motivo per tornare più spesso... Abbiamo anche cambiato i processi di produzione: alcuni semilavorati li facciamo ancora all’estero, ma poi arrivano in Italia e tutti gli strumenti nascono qui». Alla Pendragon si insiste molto sul fatto che il dentista debba imparare a fare l’imprenditore, pur mettendo sempre al primo posto il benessere del paziente e la qualità del suo lavoro. E lo stesso spirito (imprenditoriale) sta alla base di ogni mossa della holding. «Siamo seguiti da AC Finance, azienda di proprietà di Antonio Chieffo, uno degli advisor più famosi d’Italia, che si occupa di quotazioni in borsa di aziende. Si è innamorato del progetto ed è entrato come socio con una piccola quota. Ci sta aiutando nel processo di sviluppo e di crescita, per arrivare fra qualche anno alla quotazione in borsa». La crisi loro non l’hanno sentita. «La pandemia ha portato a un incremento del settore salute. Nel 2020 il nostro fatturato è cresciuto del 20%». Il segreto, come sempre, è quello di investire in tecnologia e innovazione. Senza mai dimenticare la storia da cui provieni. Va bene la start-up innovativa, ma serve anche «conoscere la storia del dentale in Italia. Quando vado alle fiere con mio padre ci fermiamo ogni tre metri a salutare qualcuno. Il fondatore del più grosso distributore in Italia, un’azienda che ha più di venti succursali in tutta Italia, era un grande amico di mio padre, hanno cominciato insieme. Fa piacere sentirsi parte di questa storia».

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