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Nevina Satta: il conflitto creativo fra tradizione e innovazione
by MondoRed
Ieri e oggi, un conflitto creativo
NEVINA SATTA E IL RUOLO DELLA SARDEGNA FILM COMMISSION
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«Ci siamo incamminati anche un po’ follemente dentro l’universo del videogame, ma non avremmo mai immaginato di finire sull’Epic Game Store dopo qualche anno». Nevina Satta guarda con grande soddisfazione al successo del progetto Saturnalia. La Sardegna Film Commission, che dirige, ha scelto di ampliare l’orizzonte: non solo cinema e tv, ma anche produzione videoludica (grazie al lavoro di Susanna Tornesello, esperta del settore). E il risultato è un gioco indipendente, un horror d’autore, il cui immaginario è profondamente radicato in terra sarda. «Tutto è partito dal classico lavoro di location scouting – racconta Nevina Satta. - Con Pietro Righi Riva abbiamo ragionato sulla ricerca delle ambientazioni, in relazione al mood della storia, focalizzata sul ribaltamento dell’ordinario. Il primo luogo che ci è venuto in mente, quindi, è la Barbagia col suo Carnevale. Per noi è molto interessante la riscrittura libera di luoghi e tradizioni fatta da Saturnalia». L’apporto della Film Commission è andato ben al di là della mera ricerca di luoghi adatto allo scopo. «Generalmente chiediamo di aver accesso allo script, oppure, se siamo ancora in una fase ispirazionale, lavoriamo sulle conversazioni, come fa il produttore esecutivo di un progetto cinematografico. Si ragiona con il regista e il suo team sulle motivazioni della storia. Il nostro è un lavoro creativo, che incrocia diverse professionalità, esperti di vari settori. Siamo andati ad approfondire l’incrocio conflittuale fra tradizione e modernità, che in un’isola millenaria come la nostra si manifesta in modo ciclico. Abbiamo portato Pietro e un suo collaboratore in giro per la Barbagia e per siti archeologici, insieme ai location manager: loro per noi sono come degli angeli del territorio, archeologici, geologi, professionisti capaci anche di restituire la relazione con il paesaggio». Visitare questi luoghi con chi li vive e li conosce perfettamente, significa anche scoprire elementi che danno un’ulteriore dimensione al progetto. «Fa parte del racconto della location e della comunità che la abita. Se vai in un paese come Orgosolo, vedi i murales, vedi il paesino, ma poi c’è anche la curiosità di sapere qualcosa del racconto di Emilio Lussu... Da una parte c’è la ricerca un po’ gramsciana, di una terra portatrice di conflitti e contenuti molto significativi. Dall’altra hai il contrasto tra il mare e certe roccaforti geologiche, fatte di granito, la leggerezza dell’acqua ma anche la gravitas dell’ancoraggio millenario. Tutto questo, per un visionario come Pietro, è diventato un grande stimolo». Alla fine il videogioco è il risultato di tutti questi intrecci. «C’è Gavoi, c’è Orgosolo, ci sono le maschere nere dei mamuthones, l’antropomorfizzazione del Boe, il Pozzo Santa Cristina, i complessi minerari, portatori di un altro grande conflitto sociale. Abbiamo innestato - cosa che da isolani ci viene naturale - diversi gradi della storia, anche il tema del femminismo e della partecipazione delle donne alla vita pubblica. Se vai a guardare
le mitologie storiche della Sardegna, Eleonora d’Arborea è stata una figura di grande lungimiranza, pur essendo arrivata con la dominazione spagnola: ha scritto uno dei documenti della Carta de Logu che porta avanti un riconoscimento femminile paritario molto rivoluzionario. Noi portiamo gli autori nei luoghi, nelle comunità e nelle loro storie, che sono sempre intrecciate: siamo un popolo di raccontatori, un po’ come i griot africani, abbiamo una grande tradizione narrativa orale. Vai a Cabras a vedere un sito, ma la persona che ti accompagna è il nipote del pastore che ha trovato i giganti di Mont’e Prama e diventa una mise en abyme straordinaria». Va detto che Nevina viene dal mondo della produzione, ha lavorato a Los Angeles, prima di vincere dieci anni fa il concorso che era stato indetto dalla Regione Sardegna. Una vera e propria scommessa. Anche perché lei, in passato, se n’era andata da Nuoro per cercare fortuna altrove. «Abbiamo messo in gioco tutte le doti che una regione come questa può vantare. Penso al patrimonio museale: io venivo da dieci anni in America, e ritenevo che quel passato dovesse diventare presente vissuto, altrimenti come dice Marcello Fois si finisce per mettere i vivi nelle teche di vetro e chiuderli dentro, imbalsamandoli. Noi abbiamo una squadra straordinaria, che lavora allo stesso modo per il piccolo videoclip degli studenti del Dams o per la grande produzione Disney. Anche per un fattore generazionale, abbiamo la libertà di chi dice: non dobbiamo sempre fare il film storico o il documentario divulgativo, possiamo fare anche uno straordinario horror videoludico giocando su più livelli. Questa è una terra di grande sperimentazione, negli anni Settanta sono venuti Eugenio Barba, i Living Theatre, Marina Abramović... Perché si sono innamorati della Barbagia? Perché qui si trova in pieno la dialettica – che il videogame ha assolutamente assorbito - tra apollineo e dionisiaco, l’estremamente ordinato, quasi pittorico, canonico, e la forza dirompente del fuoco che avvia il carnevale, della rivolta degli operai o dei minatori». Senza dimenticare che si parla di servizio pubblico. «Siamo passati dal concetto di film commission di funzionari che fanno i permessi, a una film commission che fa produzione creativa. Ma lo facciamo nel pubblico, ad esempio con una nostra policy sulla sostenibilità ambientale. Nessuno si permette di dire a Netflix o Disney cosa fare, noi sì. Qui gli inseguimenti in mare non li possono fare in qualsiasi momento, perché dobbiamo salvaguardare la tartaruga caretta e quindi Red Notice lo hanno girato a metà novembre, non ad agosto. L’isola ti costringe a scelte radicali. Ma questa è la nostra forza. Non possiamo entrare in una dimensione competitiva, non siamo Roma, non abbiamo i capitali del Trentino, lavoriamo sulla cooperazione, cerchiamo finanziamenti e pensiamo a cose dirompenti come il lavoro sui videogame, che nessuna film commission trattava». Merita un accenno anche il segmento dedicato all’animazione. «Si chiama Progetto Nas, New Animation in Sardegna. Anche questo è un esperimento, perché è il primo laboratorio pubblico di formazione e produzione di animazione, che parte dal presupposto che qualcuno debba guidare e articolare i talenti sparsi. C’è la squadra sarda di Bonelli, tanti giovani, Jean Claudio Vinci, che dalla casa dei genitori, in mezzo al medio campidano, disegna gli Incredibles per la Pixar... Un patrimonio pazzesco. Ora abbiamo una squadra di 89 animatori. Non stiamo creando uno studio, si creano concept, è un servizio pubblico finalizzato alla comunità, cercando di accompagnare gli animatori anche nel mercato internazionale. Vista la disoccupazione giovanile, è incoraggiante per una comunità poter contare su un segmento così attrattivo». Ecco quindi spiegato il retroterra di Saturnalia. «Pietro è arrivato con il giusto livello di follia e ha colto la proposta lanciata dalla nostra Susanna Tornesello. Il pubblico deve fare sperimentazione di modelli, non certo sostituirsi alle produzioni. Deve tracciare percorsi di investimento sul territorio, con capitali a rischio, ma stimolando i capitali privati. Saturnalia ha un valore simbolico per noi: dieci anni fa nessuno avrebbe mai immaginato che si potesse sovvertire la rappresentazione della maschera dei mamuthones». Bello sapere che, in un’epoca in cui si (stra)parla di metaverso, stia tornando di moda la realtà. Perché è di questo che si tratta. Anche quando la ritroviamo in forma di videogioco che trasfigura la terra sarda. «Quelli della nostra generazione hanno usato i primi visori VR. Adesso cerchiamo di convincere chi usa i visori per creare, a far venire voglia alle persone di tornare qua».
