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Saturnalia: solstizio horror in terra sarda. Arte ludica
by MondoRed
Solstizio horror in terra sarda Il videogioco è arte e storia
AMBIENTATO NELL’89 TRA ENIGMI, MISTERI E LE PROTESTE DEI MINATORI “SATURNALIA” È FIRMATO DALLO STUDIO ITALIANO “SANTA RAGIONE” CON IL CONTRIBUTO DELLA FILM COMMISSION DELL’ISOLA
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Èil 21 dicembre del 1989. La notte del solstizio d’inverno. Una presenza inquietante si aggira tra i vicoli di un antico borgo sardo. Siamo dentro un labirinto e dobbiamo fuggire. Tutto ciò di cui disponiamo sono dei fiammiferi (pochi) per provare a illuminare la notte. Dobbiamo risolvere enigmi e sopravvivere all’orrore che incombe, mentre la trama cambia in base alle scelte fatte dai personaggi con cui giochiamo.
Ma Saturnalia non è solo un gioco. È anche arte, storia, tradizione. Un’esperienza creativa, oltre che ludica, capace di unire il divertimento (lo spavento) con la voglia di conoscere e scoprire. In Saturnalia si incontrano la tradizione sarda e l’espressionismo tedesco, il Carnevale di Barbagia e il cinema di Dario Argento e Mario Bava, la grafica in stile rotoscoping e la memoria delle proteste dei minatori. Insomma, realtà e immaginazione, paura e lotta di classe, dentro una Sardegna trasfigurata.
Ma c’è di più. Perché questo videogioco indipendente e italiano è il frutto dell’inedita collaborazione tra uno studio di game design e una film commission. Da una parte c’è Santa Ragione, lo studio fondato da Pietro Righi Riva e Nicolò Tedeschi, a cui dobbiamo già Fotonica, MirrorMoon EP e Wheels of Aurelia. Dall’altra la Sardegna Film Commission, che ha avuto l’idea di creare un fondo per il “location scouting” dedicato al mondo videoludico. È così che è nato il villaggio di Gravoi in cui si svolge il gioco, la cui geografia cambia ogni volta che i vari personaggi escono di scena (anche il finale è multiplo), dentro cui ritrovi i Comuni di Orani e Gavoi, rituali arcaici che affondano le loro radici in Barbagia, tra le maschere nere in legno dei mamuthones, echi di Santa Cristina e del castello dei Malaspina, oltre che delle miniere del Sulcis. Ci trovi la civiltà nuragica, ma anche la chiusura delle miniere degli anni Ottanta, in un’epoca in cui si sviluppava una seconda ondata di femminismo che metteva in discussione la culturale patriarcale tradizionale. Anche la musica attinge ai canti popolari sardi e la lingua del luogo risuona misteriosamente in alcuni dialoghi. Il tutto sotto la direzione artistica di Marta Gabas, altra scelta eccentrica e vincente, visto che la celebre scenografa (che lavora per il teatro e per il cinema) è alla sua prima esperienza nel mondo dei videogiochi. Da qui l’estetica ricercata, che guarda all’espressionismo (per cui luoghi, scenografie, luci, sono parte della narrazione) e al cinema italiano “di paura” anni ‘70, oltre che al fumetto noir. Tutto molto inquietante, sproporzionato, claustrofobico. E quindi affascinante. Ecco una strada per i videogiochi di domani. Che guarda alla giocabilità, al divertimento (vedi la scelta del genere horror), ma anche al contesto sociale e culturale. Arte ludica.