
12 minute read
E.T. l’extraterrestre: quarant’anni di pura meraviglia
by MondoRed
Quella bici che vola in cielo è l’emblema stesso della meraviglia del cinema. Un po’ come la luna colpita da un razzo nel film di Méliès. O la scena immaginifica in cui poveri e reietti volano con le scope sui cieli di Milano, sorvolando il Duomo, immaginata da Zavattini e De Sica (Spielberg si lasciò ispirare proprio da Miracolo a Milano). Sono passati 40 anni dall’apparizione di E.T. l’extraterrestre (in Italia uscì nel dicembre del 1982) e tutto il mondo sta celebrando da mesi un film che da subito è entrato nell’empireo dei classici, le opere destinate a rimanere sempre “attuali”, le storie che fanno appello a qualcosa di profondo, di radicato, e quindi emozionano ogni volta e fanno sognare (piccoli e grandi rimasti bambini). Steven Spielberg a quel tempo era già l’autore de Lo squalo (1975), di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), de I predatori dell’arca perduta (1981). Era un regista che trasformava in oro tutto ciò che toccava. Che sapeva rendere reale l’inverosimile. Ma invece di realizzare il kolossal che tutti si aspettavano, girò E.T.
40 anni fa E.T. è atterrato tra noi Un incanto che non finisce mai
Advertisement
IL CINEMA COME MERAVIGLIA. L’INCONTRO CON “L’ALTRO” NEGLI OCCHI DEI BAMBINI. CELEBRAZIONI E RIEDIZIONI
Lo facciamo dire a Franco La Polla, che conosceva il cinema americano come pochi: Spielberg con questo film portava avanti la sua vecchia (nuova) idea di «cinema come apparato concepito per il sogno e per lo stupore, per la fiaba e per la meraviglia, comprendendo bene che tutto ciò non era tanto una questione di denaro quanto di inventività, fantasia, ardimento» (lo scriveva nel Castorino dedicato a Steven Spielberg). Da una parte c’era la forte impressione lasciata dalla lavorazione di Incontri ravvicinati del terzo tipo (a
UNA FIABA NATA DALLA BIOGRAFIA DI SPIELBERG E DA “INCONTRI RAVVICINATI”

proposito di capolavori del cinema, di film che riescono a conciliare le ragioni dello spettacolo con quelle dell’anima, l’arte e l’intrattenimento). Spielberg si chiese cosa sarebbe accaduto se uno di quegli alieni, arrivati sulla Terra, fosse rimasto bloccato quaggiù. La mente di un narratore funziona così: ogni storia genera altre storie. Ma c’entrava anche la biografia. Il desiderio di risolvere, o perlomeno elaborare, certe pagine oscure della sua infanzia. Il dolore per il divorzio dei genitori, la solitudine, che aveva generato un amico immaginario, un alieno invisibile che gli faceva compagnia. Spielberg lo ha ricordato anche di recente, in un evento pubblico organizzato a Hollywood per celebrare il quarantesimo compleanno di E.T.: «Stavo lavorando a uno script sulla separazione e il divorzio dei miei genitori. Era il 1976 e in quel momento giravo Incontri ravvicinati del terzo tipo.



Eravamo arrivati alla scena in cui l’extraterrestre scende dall’astronave e fa il segno della mano a François Truffaut. All’improvviso ho pensato: e se quella piccola creatura non facesse ritorno all’astronave? Se cambiasse programma, e lei o lui restasse qui? Se trasformassi la storia sul divorzio in un film su un bambino che prova ad assumersi quelle responsabilità che causano il divorzio, in particolare se hai fratelli? Loro devono prendersi cura l’uno dell’altro. Il ragazzino protagonista per la prima volta deve prendersi delle responsabilità su una forma di vita, riempire il vuoto del suo cuore». Non la fantasia come fuga dalla realtà, pura evasione, per non pensare al brutto della vita e non affrontare i problemi, ma come strumento per esplorare la realtà, una luce per illuminare gli angoli bui. Come ha esplicitato qualche anno fa J.J. Abrams (uno dei tanti che a Spielberg devono tantissimo), che con il suo Super 8 metteva il giovane protagonista faccia a faccia con il “mostro”, mangiatore di uomini, che però alla fine svelava due occhioni da E.T.: quell’essere alieno era l’incarnazione del lutto (la morte della madre), del dolore che rischia di divorarti, se non hai il coraggio di affrontarlo. A cui devi parlare come se fosse una parte di te.



Non per niente E.T. comincia in un bosco, come tante fiabe e storie mitiche. C’è sempre un luogo oscuro, pauroso, pericoloso da esplorare (una foresta, una caverna, un buco nero in cui si cade). C’è una prova da superare, per diventare grandi o per comprendere una qualche verità. Qui c’è la notte, la musica inquietante e sognante di John Williams, il fogliame indistinto, la macchina da presa che si sposta in orizzontale, creando una situazione che non è realtà ma incanto. Compare subito anche il “cattivo”, ovvero l’uomo (adulto!), che fa la sua irruzione nel film con la violenza di un’automobile, e poi rimane forma indistinta, massa d’uomini, piedi che camminano, luci di torce che fendono il buio. Non è certo un caso che i “grandi” siano assenti dal film, a parte la madre. Che Spielberg abbia deciso di girare per lo più ad altezza bambino, di guardare il mondo con i loro occhi. Non più spettatori di un film, ma protagonisti. In una storia che parla dell’incontro con l’Altro (dentro e fuori di sé, perché la metafora può avere tanti significati diversi). Gli adulti, di solito, hanno l’ossessione del controllo, vedono l’altro come un possibile nemico, seguono logiche legate al dominio, il profitto, il successo, il potere.



I ragazzi sono un’altra possibilità, una visione diversa del mondo e della vita. Il potere del cinema (come quello della letteratura) è proprio questo: dire cose che rischierebbero di essere ovvie e anche un po’ moralistiche, con una forza e una semplicità che ne rivela la verità.
Epensare che Spielberg, in partenza, aveva pensato a un extraterrestre cattivo, che perseguitava la famiglia. Quel progetto si chiamava Night Skies, era un horror, e successivamente darà origine a Poltergeist. A rendere E.T. così straordinario è, al contrario, l’intuizione di un alieno buono, di un essere apparentemente mostruoso, che per essere capito, e perfino amato, ha bisogno di occhi in grado di vederlo per ciò che è davvero. E qui arriva l’apporto di un altro grande artista, perché ogni film è sempre l’incontro fra varie menti, visioni, capacità. Carlo Rambaldi si ritrovò di fronte alla necessità di creare un essere di natura vegetale
PER CELEBRARE L’ANNIVERSARIO LA UNIVERSAL HA PREPARATO UNA RIEDIZIONE SUPER
(così ne ha sempre parlato Spielberg), né maschio né femmina, che apparisse allo stesso tempo vecchio, raggrinzito, e infantile, brutto ma tenero, una “tartaruga senza guscio”. Ne ha parlato spesso Rambaldi: «Spielberg mi ha detto che voleva una cosa brutta ma innocente. Beh, per farlo brutto bastava mettere molte grinze sul volto. Farlo innocente era più difficile, perché poteva sembrare stupido. Poi un giorno ho guardato il mio gattino, e nei suoi occhi ho visto proprio quell’innocenza che cercavo». Più che il protagonista della storia, E.T. è «l’aiutante magico, ed è vicino a Elliott in ogni momento in cui il bambino è fatto oggetto di rimproveri, in ogni momento, cioè, in cui egli è richiamato alla realtà» (ancora La Polla). Dove per realtà va intesa quella ottusa degli adulti. «La storia ruota attorno a Enrichetto, a Pollicino, a uno dei tanti eroi bambini che intrattengono rapporti privilegiati col meraviglioso (...) Spielberg ha sempre avuto un occhio di riguardo per quell’età, la sua stessa figura passa per quella di un Peter Pan che ha saputo mettere a frutto una sua idea fissa tramutandola in perfetta macchina fantastica. E proprio Peter Pan ritorna in una scena di E.T. nella quale Mary legge un brano alquanto significativo del celebre romanzo di Barrie ove si allude alla necessità infantile di credere nelle favole». Sono tanti gli aspetti, anche tecnici, che rendono questo film indimenticabile. A partire dal modo in cui Spielberg decise di girare, seguendo l’ordine degli eventi (cosa rarissima, essendo molto complicata). Voleva la massima spontaneità e verità possibile dai ragazzi, dalle loro emozioni, e quindi dovevano vivere la storia davvero, giorno dopo giorno. Tra gli aneddoti entrati nel mito, c’è quello di Spielberg con i foglietti di bloc-notes infilati nel taschino, su cui erano appuntate le scene della giornata. Non si trattava di una sceneggiatura classica, ma di un lavoro portato avanti passo dopo passo (cinque giorni per volta) insieme a Melissa Mathison. Doveva essere fatto tutto il possibile per consentire spazi di invenzione e improvvisazione sul set. Anche perché Spielberg aveva trovato dei ragazzi stupefacenti, da Henry Thomas, che nel provino si lasciò andare a un pianto così vero che lasciò tutti di stucco, a una piccolissima Drew Barrymore. Spielberg ha rievocato in più di un’occasione il provino di quella incredibile bambina di 6 anni, che si presentò come batterista di un gruppo punk, che inventava storie senza ritegno. «Si intuiva la sua incredibile vita interiore», ha ricordato il regista nell’incontro di Hollywood. Di fatto, ancora oggi, la visione di E.T. risulta magica. Lo facciamo dire a un’altra studiosa appassionata che di cinema americano se ne intende, Giulia D’Agnolo Vallan. Sul Manifesto, per il ventennale del film, scrisse parole che si possono sottoscrivere anche oggi.
«E.T. non ha perso un granello di magia, anzi non ci si ricordava quanto fosse bello da vedere, con quelle notti di un blu profondo, tanto denso di promessa d’avventura da sembrare palpabile, con i tramonti arancio polveroso, con il suo occhio ad altezza di bambino (un’idea semplicissima e così efficace), con quello sguardo affettuoso e devastante sulla vita nel sobborgo middle class americano, e l’alieno con il cuore che si illumina come una lampadina rosso fragola e strilla di paura. Piccolo ed enorme allo stesso tempo, sentimentale e dark, cinema classicamente disneyano ma anche cinema del futuro». Per Spielberg l’infanzia ha una “luccicanza” tutta sua, ma è anche solitudine e malinconia, per colpa dei rapporti umani difficili. Scriveva il critico Dario Tomasi: «Per quanto la storia del film non si presenti esplicitamente come il frutto di un sogno o di una fantasticheria, è evidente che il personaggio di E.T. può essere interpretato anche come una creatura immaginaria partorita dalla mente dello stesso Elliott. La simbiosi fra i due è evidente sin dai loro nomi (E.T. è formato dalla prima e dall’ultima lettera di quello di Elliott) e si rafforza nella comunicazione telepatica che li lega. E.T. è così un doppio dello stesso Elliott ed è attraverso l’incontro con l’alieno – reale o immaginario che sia – che il bambino riesce a percorrere un vero e proprio viaggio di formazione che lo porterà a conoscere i primi fermenti dell’amore e la terribilità della morte». Di certo non si era mai visto un extraterrestre così, una «creatura inedita e rugosa, stranamente in bilico tra saggezza millenaria e prima infanzia» (Giulia D’Agnolo Vallan).

Se amate E.T. e ammirate il lavoro di Carlo Rambaldi non potete perdere la mostra organizzata dalla Cineteca di Milano, che rimarrà aperta fino al 29 gennaio

Certi film hanno un fascino che è legato anche all’usura dell’immagine, alla pellicola che sconta lo scorrere del tempo. Ma se volete ritrovare i colori e la definizione dell’originale, ecco la versione in 4K Ultra HD che la Universal ha deciso di pubblicare per celebrare il quarantesimo anniversario. Si parla di «riscoprire la magia di E.T. l’extraterrestre come se fosse la prima volta». Lo steelbook edito per l’occasione è il classico, spettacolare oggetto da fan: vedi i 45 minuti di contenuti speciali inediti. Oltre a bonus già visti in passato, dalle scene eliminate alla storia della creazione di E.T., c’è un video che racconta l’eredità lasciata dal capolavoro spielberghiano in questi quarant’anni, oltre a un’intervista recente al regista che riflette sulla produzione di quel film e sulla sua carriera in generale. E poi “i diari di E.T.” (con riprese dietro le quinte), le interviste al cast, la conversazione con John Williams, la reunion, ecc. Nell’edizione speciale si trovano poster, pass, libretto fotografico, cartoline. Anche il merchandising vuole la sua parte.
Fa ancora più piacere, però, sapere che il film è tornato a circolare nelle sale, dove la magia si moltiplica, e l’oscurità da cui parte la storia trova riscontro in quella della sala. A Milano, ad esempio, lo si è già visto all’Arlecchino per il Piccolo Grande Cinema, curato dalla Cineteca, che in collaborazione con il Planetario ha anche pensato di organizzare un’osservazione del cielo con proiezione del film. L’appuntamento, intitolato E.T. Telefono Planetario («E.T. phone home» è una delle battute più conosciute della storia del cinema) andrà in scena lunedì 26 dicembre a partire dalle 18. Ricordiamo che la Cineteca ha anche organizzato una bella mostra in collaborazione con la Fondazione Culturale Carlo Rambaldi che potrà essere visitata fino al 29 gennaio al Mic (Museo interattivo del cinema). Qui potete vedere alcuni degli animatronic utilizzati per far vivere E.T., opportunamente restaurati. Potete osservare il processo creativo di Rambaldi, attraverso bozze, schizzi, disegni. Ci sono lettere e filmati, gadget dell’epoca, ma anche la possibilità di partecipare a laboratori ed esperienze. E c’è il mitico Oscar.

Dicembre (il 22) porterà con sé anche il nuovo film di Steven Spielberg: The Fabelmans. Chi l’ha già visto (ad esempio a Roma, per la Festa del Cinema) ha parlato senza mezzi termini di un “capolavoro assoluto”. Che ha a che vedere con E.T., visto che si tratta di quel film autobiografico che Spielberg non ha mai girato. Sammy Fabelman è l’alter-ego del regista ed è insieme l’incarnazione di ogni ragazzo alle prese con le gioie e i dolori della vita - secondo le regole narrative del grande cinema classico americano - e con la scoperta della meraviglia. Vedi la messinscena (il ricordo) di Sam/Steven letteralmente sconvolto, al cinema, di fronte a Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B DeMille. Ed ecco l’ossessione del cinema, la voglia di creare, inventare, girare film. The Fabelmans dura 150’, ma potrebbe anche durarne il doppio, tanto riesce a incantare. È una lettera d’amore al cinema, omaggiato nei suoi generi (western, commedia, horror, melodramma, fantascienza), esaltato nella sua funzione di sogno a occhi aperti, che noi spettatori (ri)facciamo insieme al suo autore, ognuno a modo suo. Come ha scritto Simone Emiliani (sul sito sentieriselvaggi.it): «In The Fabelmans c’è tutta la magia, la paura e la spietatezza del cinema. La cinepresa cattura dettagli che l’occhio umano non vede (...) Il film della sua famiglia è il (suo) film della vita. (...) Prima delle biciclette di E.T. ci sono stati i carrelli della spesa che si muovevano in mezzo alla strada sotto il tornado in The Fabelmans. Perché sì, in qualunque momento ci si può alzare da terra e volare».


Il 22 dicembre arriverà nelle sale il nuovo film di Spielberg, The Fabelmans, una lettera d’amore al cinema
