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Sonnambuli e Beati

Bisogna avere occhi capaci di vedere. Lo dice Hoffmann alla fine dello Schiaccianoci (che omaggiamo nel “Commiato”), lo diceva il Piccolo principe, citatissimo e incompreso, lo dicono da sempre fiabe, miti, racconti iniziatici. Lo diceva anche Albert Einstein - a proposito di citati e incompresi, di cultura pop - parlando di coloro che non sono capaci di meraviglia e di venerazione. «Sono come morti», diceva lui. «Sonnambuli che credono di essere uomini», scriveva Gustav Meyrink, che di meraviglia se ne intendeva, anche se i suoi racconti fantastici erano, per lo più, allegorie alchemiche. Quelli che pensano di avere gli occhi aperti, di essere furbi e svegli, di solito sorridono di fronte alla metafora, che sembra un appello all’irrazionale, alla fuga nell’immaginazione. In realtà è l’esatto contrario. Bisogna essere estremamente lucidi e consapevoli per vedere chiaramente quanto siamo vittime delle illusioni, delle nostre abitudini di pensiero, delle narrazioni correnti. La meraviglia non è un banale stupore che ti fa dire “oooh”, che ti regala il piacere effimero dell’inconsueto, liberandoti dalla noia (per qualche minuto, al massimo qualche ora). «La meraviglia si manifesta quando un’esperienza entra in conflitto con un mondo di concetti già sufficientemente stabile in noi» (ancora Einstein). Per quanto il concetto sia stato normalizzato e depotenziato, la meraviglia rimane un’arma formidabile per provare a evadere dalla prigione dorata della routine, dalla tirannia dell’ego, dallo spettacolo quotidiano della realtà mediatica. La meraviglia dovrebbe essere un’attitudine da coltivare, un modo di guardare le cose che le libera dalla polvere, le fa rivivere, risvegliandoci a un mondo mai visto prima (con quell’intensità, quell’amore, quella libertà). Ed è inevitabilmente il tema di questo mese, con vista sul Natale, che riassume in sé le due possibilità: da una parte la festa sonnambula che sembra celebrare l’illusione, la dissipazione, la vita consumata in desideri sempre nuovi e sempre più difficili da soddisfare; dall’altra il mistero, la meraviglia, lo sguardo bambino che sa vedere l’invisibile e l’interiore, la parentesi che si apre dentro la frenesia dei giorni tutti uguali, spalancando una finestra verso il “senza tempo”. Qui si concretizza la possibilità della venerazione, la gioia di stare al mondo. Meraviglia, gioco, invenzione, redness, capacità di guardare le cose come se fosse la prima volta. La musica apre finestre, dice Debora Petrina. Apre un varco nel muro di gomma. Crea uno spiraglio nella nebbia fitta in cui siamo

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immersi, che è entrata anche nella nostra testa, rendendoci pigri e un po’ ottusi. Musica eclettica, insolita, stralunata, che ti riempie gli occhi (chiusi) di immagini e ti svuota la testa. Cominciamo da lei, questo mese, perché abbiamo un debole per chi percorre sentieri inconsueti e osserva il mondo con uno sguardo obliquo. E proseguiamo con Elena Lietti, a proposito di esseri umani che non hanno paura di cambiare. Bella la sua storia di avvocato che un giorno molla tutto e diventa attrice (una formidabile attrice). Bello ritrovarla oggi in uno spettacolo teatrale che mette in scena le infinite possibilità della vita - quanti, sentimenti e dimensioni parallele (Costellazioni) - in attesa di vederla in sala a Natale tra panorami alpini e amenità brianzole, emozioni (Le otto montagne) e risate (Il grande giorno). Daniele Vicari in Orlando, invece, ci racconta l’incontro tra il “passato” di un uomo anziano, un taciturno montanaro, e il “futuro” in cui vive una ragazzina di Bruxelles. Quell’incontro è una speranza anche per noi della “generazione di mezzo”, che abbiamo dimenticato i sentimenti, che abbiamo perso il contatto con la terra (Madre). Se c’è uno sguardo che mette in discussione l’ovvio e il pensiero corrente, è quello del collettivo Wu Ming. Il loro Ufo 78 ci fa vedere l’Italia del 1978 (la parte per il tutto) come non l’abbiamo mai vista. A loro piace osservare il mondo dal punto di vista privilegiato della periferia, i margini, i marginali. In questo caso ci tocca stare con la testa all’insù, per provare a capire ciò che accade quaggiù, intorno a noi. L’ufologia come diversivo, fuga, immaginazione malata? Tutt’altro. Nella loro intervista, particolarmente ricca di spunti, i Wu Ming citano, giustamente, ciò che diceva Ernst Jünger sul fascino per l’astrologia, così diffuso tra la gente. Non è una banale questione di ignoranza - come dicono quelli “colti” e “impegnati” - ma il bisogno di vivere in un tempo e in uno spazio che non siano solo quantità, ma anche qualità: in un mondo in cui tutto è misurato, classificato, ridotto a uno schema, è inevitabile andare alla ricerca di qualcosa che «tenga aperti gli orizzonti dell’immaginabile». Il fantastico può essere anche un efficace strumento per vedere meglio il reale, come sa Pietro Righi Riva, che si è inventato un videogioco horror in cui trasfigura la Sardegna e racconta anche le lotte dei minatori e la ribellione femminile al patriarcato. Insomma, c’è tanta meraviglia su questo numero, tanto altrove. Per questo ci è sembrato giusto anche omaggiare E.T. l’extraterrestre, nel suo quarantesimo compleanno. Anche se poi la sostanza sta nelle riflessioni che Marco Vannini ricava da un monaco medievale, un pensatore-mistico indispensabile come Meister Eckhart, ritrovando il senso vero, evangelico (ma comune a varie tradizioni spirituali), dell’essere piccoli, bambini, poveri non nel senso dell’avere, ma dell’essere: rinuncia a tutto e otterrai il Tutto! Superate le ragioni del possesso e dell’affermazione di sé, rimangono quelle del puro essere, della piena gioia, della vera felicità. Beati loro! Anche noi, volendo. (f.t.)

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