ML Luglio- Agosto 2016 - anno XXIII

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DOSSIER BENI RIFUGIO

Brexit o no, il trend dell’investimento sicuro è in aumento. Tutti gli scenari p.12

SPECIALE DIGITAL BUSINESS

CLUB ECONOMIA E FINANZA

Dai droni all’information security, le tante sfaccettature di un mercato in p. 79 crescita

Come dare fiducia ai risparmiatorie rallentare la fuga di capitali p. 52

www.mlmagazine.it | LUG. /AGO. ‘16 N.05 anno XXIII € 2,00

DOVE INVESTIRE La corsa ai beni rifugio


i villaggi italiani nel mondo

il viaggio su misura

la vacanza che conviene

la catena alberghiera


SOMMARIO 7

L u g l i o / A g o s t o 2 0 1 6 N .0 5 a n n o X X I I I

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EDITORIALE di Flavio Guidi La continuità generazionale-patrimoniale

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PRIMO PIANO “Allacciate le cinture, arriva l’effetto Brexit” Intervista ad Alan Friedman, giornalista, scrittore ed economista

DOSSIER BENI RIFUGIO

Indagine sul mondo degli investimenti Come investire in Borsa Investire in Banca Investire in diamanti

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MARCHE DA ESPORTAZIONE

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CNA

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CONFARTIGIANATO

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CONFCOMMERCIO MARCHE

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ORIENTAMENTO

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OCCUPAZIONE

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CLUB ECONOMIA E FINANZA

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150 miliardi per dare fiducia ai risparmiatori che investono sul sistema bancario

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I fondi delle grandi banche per le PMI Potenziata la cassa Depositi e Prestiti

Effetto Brexit: trema l’export marchigiano I Confidi e le Imprese

L’eccellenza dell’eleganza

Cultura e impresa, sinergia per il turismo

L’influenza del cervello nei processi decisionali

Inserimento lavorativo dei disabili

SEGUE

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SOMMARIO SEGUE

68 69 79 87/ 89/ 92/

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luglio /Agosto 2016 N.05 anno XXIII

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OFFERTE DI LAVORO QUALIFICATE BILANCIO SIDA GROUP 2015 SPECIALE DIGITAL BUSINESS Big Data e E-commerce Droni e applicazioni Information Security

FOCUS INTERNAZIONALIZZAZIONE Più azioni di sistema per sostenere l’internazionalizzazione La meccanica, eccellenza italiana all’estero

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UNIVERSITA’ E RICERCA

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FORMAZIONE

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CARRIERE E POLTRONE

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CLUB MOTORI

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CULTURA E TERRITORIO

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MEDIA E TERRITORIO

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PORTRAIT

ACQUISIZIONI E CESSIONI CONTRIBUTI E INCENTIVI L’evoluzione della vendita

L’arte pittorica di Piero Ceccaroni

La Radio non muore mai

Uragano Montanini: il comico marchigiano che ha stregato l’Italia


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Un sistema che rischia di sgretolarsi. Un metodo in atto da tanto di quel tempo, che sembra aver consumato la sua esistenza. L’Europa che tutti noi conosciamo, e che per certi versi abbiamo contestato fortemente, ma da cui abbiamo anche tratto giovamenti, è sull’orlo del precipizio. L’Inghilterra ha tuonato. L’Olanda vuole seguirla a ruota. E l’Italia, oltre alla crisi che non accenna ad allentarsi, deve fare i conti con tutta una serie di spallate che arrivano sempre da quella fascia di popolazione pronta a trovare nel frazionamento un utile rifugio. Ecco, a proposito di rifugi, i più “dritti” scorgono nell’investimento sicuro una grotta dove preservare e mettere al riparo i propri interessi. Il Regno Unito del post-referendum sulla Brexit ha subito evidenziato questa strategia: la paura della volatilità dei mercati ha spinto molti risparmiatori a dirigersi verso i beni rifugio. L’oro il più gettonato. Mentre il mattone che fine ha fatto? Morto e sepolto. Il mercato immobiliare non da segni di ripresa. Bene, invece, il diamante da investimento e le opere d’arte. Dunque più si va avanti, più si guarda al passato. Sembra di essere tornati al secolo scorso, quando in casa si tenevano gli ori di famiglia e nei cassetti del nonno potevi scorgere pure qualche lingotto. Quindi nel 2016, dopo decenni trascorsi a costruire ed unificare un continente nella cultura e nella moneta, adesso il futuro è tornare ai giorni della guerra fredda? Paradossale, senza dubbio. Ma il problema è che per alcuni non lo è affatto. Anzi. Mondo Lavoro Magazine

EDITORE GGF GROUP

PARTECIPANO:


EDITORIALE

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Management Academy Sida Group srl - Area Macroeconomica -

LA CONTINUITÀ GENERAZIONALE PATRIMONIALE, FAMILIARE E AZIENDALE - IN PRESENZA DEL PASSAGGIO DEL TESTIMONE

RIFLESSIONI

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hi nella famiglia, a livello di padre e madre o pari non si pone la seguente domanda: cosa faranno i figli, quale il loro futuro, in che misura sapranno salvaguardare ciò che abbiamo costruito e in che misura sapranno dar seguito alla crescita? Questo tipo di interrogativo risponde al comportamento biologico del nostro essere. Biologicamente, a livello infinitesimale, la cellula ha due comportamenti fondamentali: conservare = difendersi, crescere = evolvere. Come si comporteranno i nostri figli costituisce un problema che ci accompagna costantemente nella vita quotidiana. Con la nostra esistenza, se abbiamo costruito e quindi, con la gestione del buon padre di famiglia, abbiamo accresciuto il nostro patrimonio, sia

quello materiale che quello immateriale (valori umani, conoscenze, relazioni ecc). Quale il suo destino in presenza di un passaggio generazionale? Tra i beni materiali, oltre a immobili, attrezzature, mobili arredi ecc. troviamo partecipazioni in azienda. Spesso l’azienda rappresenta il regno dell’espressione personale famigliare. Il legame affettivo con questo strumento realizzativo è pieno di vissuto, emozione, sentimento: quale il suo futuro? Il sistema economico italiano è fatto in preponderanza di PMI. Il 92% delle imprese italiane sono di natura familiare. Circa 4.500.000 è il numero di tali imprese. Il passaggio generazionale rappresenta sulle diverse sfere - aziendale, personale, familiare e sociale - un fenomeno a cui prestare attenzione per ridurre se non altro l’ansia che alberga

dietro le mille domande che le pulsioni sull’argomento producono. Tutte le imprese familiari o soggetti di successo devono fare i conti con il passaggio generazionale, meglio farlo prima che poi. Bisogna prendere coscienza del fenomeno evitando il determinismo, cercando di intervenire ad ogni livello, macro e micro, onde evitare quanto più possibile che il mancato interessamento possa dar spazio a processi di decadenza. Oggi si sono raggiunte buone competenze per gestire le ampie problematiche che si celano dietro al fenomeno. Strutture di servizi che raccolgono svariati specialisti in materia o singoli possono svolgere un’attività di servizio per la gestione di questo problema: il passaggio generazionale, la continuità dei valori famigliari e aziendali.

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EDITORIALE

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PRIMOPIANO

“ALLACCIATE LE CINTURE,

ARRIVA L’EFFETTO BREXIT”

Volatilità dei mercati ed incertezza. Lo scossone giunge fino in Italia. Il giornalista ed esperto di economia Alan Friedman: “L’Italia sfidi l’Europa. Si agisca con garanzie statali per le banche”.

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i preannuncia un forte periodo di volatilità dei mercati internazionali. L’effetto Brexit si farà sentire molto presto, e sarà un vero e proprio terremoto. In Inghilterra si parla già di corsa ai beni rifugio. L’oro cresce. C’è anche chi sceglie i titoli di stato. Ma bisogna mantenere controllo e lucidità, per quel che si può. Il freddo investitore saprà certamente come relazionarsi al meglio con mercati incerti e un continuo sali-scendi dei valori. Ma è per il medio risparmiatore che il futuro potrebbe risultare più difficile. Già

di Andrea Maccarone la situazione generale dei mercati europei non era delle migliori. Ora bisogna fare i conti anche con il post-referendum sulla Brexit. L’economista e scrittore americano Alan Friedman si è subito espresso sulla situazione, affermando che la Brexit si ritorcerà contro proprio quelle classi meno abbienti che l’hanno votata. Ed è a lui che Mondo Lavoro ha voluto chiedere un’autorevole punto di vista su ciò che stiamo per assistere. Friedman è prima di tutto un giornalista esperto di economia, presente in molti dei salotti tv. La sua storia parte da New York,

dove dal ’79 al ’93 è una delle firme più autorevoli del Financial Times. Vincitore per ben quattro volte del British Press Award (equivalente inglese del Premio Pulitzer). È l’unico giornalista americano ad avere ricevuto la Medaglia d’onore dal Parlamento italiano nel 1997. Nel 1987 ha vinto il Premio Trento come miglior corrispondente estero in Italia. Fra i suoi scoop il caso Iraqgate, lo scandalo che travolse la Banca Nazionale del Lavoro (BNL) e dimostrò il coinvolgimento della Casa Bianca e la CIA nella vendita di armi a Saddam Hussein. Oggi è

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PRIMOPIANO opinionista e commentatore dell’economia fra i più stimati in Europa, ideatore e conduttore televisivo, molto popolare in Italia, dove ha collaborato a lungo con Rai3, Rai2, Sky TG24 e La7. Ma tornando al tema centrale: si andrà verso una nuova febbre dell’oro? E’ davvero caccia al bene rifugio? L’Italia, in questa situazione, che prospettive ha? “Allacciate le cinture – tuona il giornalista – non avete visto ancora nulla”. Friedman, in che senso? “Nel senso che prevedo un periodo di forte volatilità per i prossimi mesi. Sono in arrivo tempi davvero duri”. L’effetto Brexit sta per travolgere l’Europa dell’economia? “Intanto stiamo per assistere ad un periodo di forte incertezza per il Regno Unito, ed un alto rischio di recessione. Il Pil rischia una flessione di mezzo punto percentuale nel 2017. Tutto questo fa si che in tali momenti vengano premiati i beni rifugio, come l’oor. Oppure le monete potenzialmente forti, come il dollaro e lo yen”. Quindi possiamo parlare di una nuova febbre dell’oro? “Non sarei così drastico ed esagerato. Ma è normale che in una fase come quella che stiamo vivendo ora, è facile trovare investitori disposti a dirottare i propri interessi versi i beni rifugio. E in questo settore l’oro è quello che attrae di più, proprio perché il suo valore è cresciuto successivamente alla bordata arrivata dall’Inghilterra”. Questa situazione avrà sicuramente delle ripercussioni su tutti i Paesi dell’eurozona. Dove e come si dovranno orientare i risparmiatori italiani? “E’ ovvio che la flessione arriverà anche in Italia. Nei prossimi anni non

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si guadagnerà quasi nulla dai propri risparmi in banca. Lo stesso clima di incertezza sarà riscontrato anche da parte degli investitori, che immagino non andranno di certo a buttarsi in rischi in borsa, vista la volatilità del momento. Cosa resta da individuare? Il mattone? Beh, forse nei prossimi anni ci sarà una ripresa dell’edilizia di circa il 3-4% all’anno. Ma la cosa più sicura da fare, per chi possiede beni immobiliari, è tenerli. In quanto la svalutazione del bene non consente di vendere vantaggiosamente. Dunque il mio consiglio è, per chi già le possiede, mantenere le obbligazioni di sempre. Ovvero i classici Btp, anche se pagano poco”. Quindi lei non vede nel bene rifugio una scelta lungimirante dell’investitore? “Non dico questo. Dico solamente che io non scherzerei troppo con l’oro perché sale e scende continuamente. Allora scommetterei di più sul dollaro. Non c’è bene rifugio migliore del cash in banca, o delle obbligazioni di stato. Io non sono a favore della speculazione in oro, mentre chi è esperto saprà sicuramente come muoversi in questo settore”. Un tempo, in fasi come queste, i famigerati “lupi” della Borsa si divertivano a “surfare” il mercato. Ora non è più la stessa cosa? “Giocare in Borsa oggi è come andare sulle montagne russe. Specie in momenti come questo. Bisogna essere molto esperti per mettersi a muovere soldi in quel sistema”. Che atteggiamento dovrà avere l’Italia, adesso, nei confronti dell’Europa? “Dunque, prima di tutto dobbiamo analizzare ciò che sta facendo la Bce: in pratica la Banca Centrale Europea sta spingendo sull’inflazione tramite

l’acquisto di titoli ed evitando l’inserimento di liquidità nei mercati europei. Molti di questi soldi rimangono alle banche e non arrivano all’utente finale, come l’imprenditore, ad esempio, che ha bisogno di credito. L’Italia deve affrontare una sofferenza spaventosa dei debiti bancari, pari circa al 20% dell’intero sistema. Quindi farebbe bene l’Italia a sfidare l’Europa”. Come si potrebbe risolvere il problema del debito bancario? “Personalmente non vedo nulla di male nell’utilizzare soldi statali, come avvenuto anche in Germania in passato. E se le regole europee non lo consentono, il governo italiano dovrà trovare il modo di dialogare con Bruxelles per far sì che si possa fare una modifica. Una volta tanto spero che questo Paese non si faccia trovare intimidito dalla Germania e da Bruxelles. Questa volta non c’è altra via di uscita, bisogna procedere con una garanzia di Stato per le banche. Perché proteggere le banche vuol dire proteggere i cittadini”. Lei pensa che dovremo fare i conti con un altro periodo di forte dominanza tedesca sul campo politico-economico? “Che la Germania sia dominante, è un dato di fatto. Non lo dico certo solo io. Dopo la Brexit, Italia e Francia dovranno vedersela con la Merkel. Ma siccome la cancelliera dovrà farsi rieleggere nel 2017, a causa di questo ciclo elettorale vedo poche possibilità di trattativa. Nel senso che non penso cambi posizione rispetto al rigore e all’austerity. Anzi, la Merkel continuerà ad essere esponente di una tutela dei suoi interessi politici in Germania e in Europa. E per farsi rieleggere deve farsi vedere dura con le nazioni sud europee”.





DOSSIERBENIRIFUGIO

2016: FUGA DAL RISCHIO Borse a picco e risparmiatori sfiduciati: si è aperta la caccia ai beni rifugio. Cosa sono e quanto valgono. Sempre meglio che tenere i soldi sotto al materasso.

di Emanuele Garofalo

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risi internazionali e crollo della fiducia verso le banche, è scattata la corsa al bene rifugio. Oro, diamanti, mattone, oppure valute estere, arte, pezzi da collezione, per i risparmiatori si è aperta la caccia al tesoro. Sono questi gli investimento che promettono almeno di mantenere, se non incrementare, il proprio valore nel medio-lungo periodo, senza subire l’altalena delle

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quotazioni delle borse o gli scossoni del sistema bancario e politico. Ed i marchigiani non fanno eccezione. L’ultimo colpo alla fiducia dei risparmiatori è arrivato dalla Brexit a fine giugno. Il referendum a favore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ha avuto l’effetto di un terremoto sui mercati finanziari e nelle istituzioni, spingendo gli investimenti verso la fuga dal rischio. Nel dubbio, ecco

allora quali sono i beni considerati inattaccabili, su cui anche i piccoli risparmiatori preferiscono scommettere, piuttosto che tenere i soldi sotto al materasso. Oro Subito dopo il voto degli inglesi a favore dell’uscita dalla Ue, si è accesa una vera e propria febbre dell’oro, considerato il bene rifugio per eccellenza. Nelle ore successive alla Brexit,


DOSSIERBENIRIFUGIO la quotazione del metallo prezioso ha superato di slancio la soglia dei 1.350 dollari l’oncia, facendo registrare un nuovo record, dopo i massimi del 2014. Per l’oro è stato il picco della corsa al rialzo scattata negli ultimi mesi, che nel primo semestre del 2016 aveva fatto segnalare un più 20%. Una crescita che a questo punto potrebbe continuare senza grandi ostacoli anche nei prossimi mesi secondo diversi analisti, visto il panorama incerto e l’onda lunga degli effetti della Brexit. Immobili Dopo anni di svalutazioni e crolli nelle compravendite, complice la tassazione sul mattone e il calo del rendimento degli affitti, oggi anche il settore immobiliare mostra i primi segnali in controtendenza. Secondo il report annuale sulla economia delle Marche curato da Bankitalia, nella regione, in linea con il trend nazionale, sono tornate a crescere il numero di compravendite, si sono stabilizzati i prezzi delle abitazioni e sono in aumento l’erogazione di mutui e prestiti bancari per l’acquisto di case. Insomma, sembra in atto un ritorno della passione per il mattone come investimento sicuro. Secondo i dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) elaborati da Bankitalia, nelle Marche il volume degli scambi è aumentato del 6,6%. In aumento anche i nuovi mutui: nel primo semestre del 2016, Bankitalia segnala una crescita dei prestiti del 45% (al netto di surroghe e sostituzioni) rispetto allo stesso periodo del 2015, tornando sopra la soglia del valore totale di 200 milioni di euro. I prezzi delle abitazioni, pur frenando la loro discesa, restano comunque bassi e sotto la media nazionale: secondo i dati dell’Omi, i valori medi delle Marche vanno dai

1.400 euro a metro quadro nelle periferie dei Comuni, fino ad una media di 1.800 euro a metro quadro all’interno dei centri urbani dei capoluoghi di provincia. Diamanti Il maggiore valore nel minore spazio, accessibile anche ai piccoli portafogli, e su cui non si pagano le tasse. Tutti fattori che hanno reso i diamanti un’alternativa valida per i risparmiatori. Negli ultimi 30 anni, il valore di queste pietre preziose è cresciuto senza sosta ad una media dell’1-1,5% all’anno oltre l’inflazione annua. Come bene al portatore non è soggetto al Fisco, ma solamente all’Iva. Relativamente accessibile a tutti coloro che possono permettersi di accantonare 6-7 mila euro all’anno per 5 o 6 anni. Il consiglio? Non rivenderli nel breve periodo e, per annullare i rischi, scegliere intermediatori garantiti che si possano occupare anche della custodia del diamante e del suo eventuale disinvestimento. Valute estere Yen, dollaro e franco svizzero, sono queste le cosiddette “valute rifugio”. Sono le principali monete estere che non rischiano di deprezzarsi improvvisamente e dal valore stabile, quindi sono le valute che crescono in periodi di recessioni e crisi, di pari passo con l’oro. Quando parte la fuga dal rischio, i portafogli dei risparmiatori passano subito al cambio valuta. Una sicurezza in più: dollari e yen costituiscono gran parte delle riserve valutarie delle banche centrali di tutto il mondo. Arte e collezionismo Non bisogna solo essere esperti di mercati finanziari per mettere al riparo i propri investimenti. Anzi, ci sono

tutt’altri mercati e quotazioni che possono portare guadagni e reddito. Come ad esempio le quotazioni delle opere d’arte. Secondo il rapporto annuale curato da Artprice, la principale fondazione mondiale che controlla e studia l’andamento del settore, il mercato dell’arte è in costante crescita e rappresenta oggi una solida alternativa al mercato finanziario. Mercato difficile, ma in continuo movimento e rialzo, soprattutto quello dell’arte contemporanea, perciò assicurarsi a cifre ragionevoli un piccolo capolavoro che possa incrementare il suo valore nel tempo non è impossibile. A patto di essere conoscitori, o di affidarsi ad esperti di fiducia, per sapere scegliere l’opera e l’autore giusti. Senza farsi impressionare o spaventare dalle cifre astronomiche a cui vengono battuti i vari Gauguin e Picasso nelle aste internazionali. Discorso analogo per il collezionismo: numismatica, filatelia, auto d’epoca e ogni altro bene raro. Anche qui, quotazioni e valori le fanno gli appassionati e gli esperti collezionisti, non c’è un vero “borsino” che garantisca l’investimento, ma con un po’ di prudenza è possibile trasformare il proprio hobby in una rendita certa.

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COME INVESTIRE IN BORSA OGGI

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di Massimo Sbrolla Management Academy Sida Group - Area Credito

’ sbagliato pensare che tutto ciò che sta accadendo sui mercati sia solo effetto della Brexit . Certo l’unione europea si restringe ed i mercati non possono che soffrirne, non tanto perché dovranno essere rinegoziati i trattati tra Gran Bretagna e l’UE stessa, quanto perché l’Europa mostra segnali di debolezza importanti. Il divorzio di Londra dall’Unione Europea prenderà molto tempo; ci vorranno settimane, mesi, affinchè il groviglio di implicazioni economiche e finanziarie scaturito dalla Brexit venga dipanato, fino a trovare un punto di equilibrio sul mercato. Ma l’esito inatteso del referendum britannico è solo l’ultima sferzata in un semestre che ha visto il vento cambiare direzione più volte, scompigliando i portafogli degli investitori. Basta guardare il comportamento delle principali classi di attivo in questa prima metà anno. Diecimila euro investiti in oro a inizio gennaio avrebbero fruttato il 22%. Chi invece avesse destinato una somma analoga all’acquisto di un paniere di azioni italiane, oggi si troverebbe a gestire una perdita del 27%. Nel frattempo il biglietto verde si è leggermente indebolito, rispetto alla mone-

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ta unica ( - 1,33 % ) da inizio anno. Le azioni globali hanno perso quasi 6 punti percentuali, Tokyo il 6,5%, L’Europa il 16% e Wall Street il 2,5%. A ben guardare , l’istantanea delle performance di metà anno fotografa un mondo alla rovescia rispetto a quanto ipotizzato, scommettendo su un rialzo del dollaro, alla luce di ciò che era ritenuto il probabile sentiero di risalita dei tassi. Il seguito è storia nota: l’avvitamento dei mercati nel circolo vizioso che lega dollaro forte, materie prime e paesi emergenti, ha costretto la Fed a rimodulare i piani di normalizzazione della politica monetaria. L’atteggiamento più accomodante della presidente Janet Yellen, ha attenuato le pressioni sul dollaro, innescando il rally di materie prime e mercati azionari, favorendo la performance degli emergenti. Ora la Brexit ha rimescolato di nuovo le carte ; ci sarà un impatto negativo sulla crescita della zona euro, fino a mezzo punto percentuale di Pil, secondo le stime di Mario Draghi,. Senza dubbio peserà sulla fiducia dei consumatori, imprese, investitori, europei e non. E’ anche per tale motivo, del resto, che la Fed, molto probabilmente, posticiperà il prossimo intervento sui tassi ameri-

cani. In presenza di questa situazione, ovviamente, i titoli di stato europei e americani, avranno poco da offrire in termini di rendimenti. In presenza di questo quadro, come si può muovere un investitore senza il rischio di “ farsi del male”? Chi decide di privilegiare al massimo la sicurezza, deve puntare su strumenti molto liquidi e che garantiscano un facile smobilizzo in qualsiasi condizione di mercato, potendo fungere anche da “ rifugio “ in attesa che la situazione torni a stabilizzarsi. Naturalmente questa scelta penalizza i rendimenti che saranno molto vicini allo zero, ma sono privi di rischio godendo della garanzia interbancaria fino ad un limite di 100.000 euro. I conti di deposito vincolati a 12 mesi meglio remunerati offrono rendimenti netti superiori allo 0,5% e alcuni si spingono oltre l’1%. Valori ben superiori al tasso di inflazione ( -0,3 % ) e che garantiscono la tenuta del capitale “ reale “ . In questo momento, pertanto, converrebbe mantenere o aumentare la disponibilità liquida di portafoglio, ma senza vendere altri attivi, in modo da disporre di una riserva nel caso in cui si presentassero occasioni di investimento interessanti una volta

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passata la fase acuta della volatilità. In ambito obbligazionario, chi vuole mantenere un profilo di rischio molto basso, dovrebbe nell’immediato immettere nel proprio portafoglio, o incrementare se già presenti, strumenti con elevato grado di affidabilità ( titoli di stato tedeschi in particolare, ma anche olandesi o finlandesi, per restare in ambito euro), evitando però, ove possibile, la riduzione,anche solo parziale, della presenza di emissioni di Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda. Teniamo presente che mentre i prezzi delle azioni, post Brexit, sono tracollati, nel mercato obbligazionario, è andata in onda una calma quasi piatta; le quotazioni dei titoli governativi d’area Euro non hanno quindi risentito più di tanto della burrasca d’oltre manica. Pertanto in uno scenario in cui il rischio di un aumento dei tassi Usa sembra rinviato a fine anno, se non oltre, e comunque oltre la scadenza del voto Presidenziale, rimanendo abbastanza lontana anche la possibilità di un movimento rialzista dei rendimenti in area Euro, si ritiene che la strategia di portafoglio per la parte investita in titoli di stato e in obbligazioni di società, non andrebbe modificata. Girando lo sguardo oltre Oceano, in

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presenza di un dollaro forte, è consigliabile aumentare l’esposizione al biglietto verde che rappresenta comunque uno sguardo rivolto al futuro, sia perché le prospettive economiche si presentano migliori oltre Oceano, sia perché l’Euro potrebbe vivere una fase di temporanea incertezza. Sono questi i motivi che consiglierebbero di immettere in portafoglio emissioni a cedola fissa ma con durata inferiore ai 12 mesi come i Bond del Tesoro oppure strumenti a tasso indicizzato al tasso trimestrale Usa, senza disdegnare le emissioni bancarie o i titoli di emittenti di alto livello. In ambito di diversificazione valutaria, oltre al dollaro, anche il franco svizzero potrebbe apprezzarsi ancora contro euro, o comunque rappresentare un buon cuscinetto difensivo in caso di ulteriori scossoni .Una quota di titoli in dollari e/o franchi svizzeri a breve termine fino al 15-20% del portafoglio, pertanto, rappresenterebbe una salutare diversificazione del rischio. I mercati azionari hanno reagito malissimo alla Brexit ed è probabile che un lungo periodo di volatilità e di ulteriore calo dei listini si prospetti per i prossimi mesi. I listini scendono

perché c’è il timore che la Brexit provochi una recessione non soltanto in Gran Bretagna, ma determini anche un indebolimento della crescita in tutta l’Eurozona. Ci si aspetta un atteggiamento di avversione al rischio capace di alimentare le vendite anche sulle azioni globali. Passata però la buriana, si aprirebbe la strada per un riposizionamento a caccia di nuove opportunità e in questo caso gli Stati Uniti e i mercati emergenti sarebbero i favoriti. Come sempre in queste situazioni, è il momento di trionfo per il bene rifugio per eccellenza, l’oro. Il metallo giallo ha guadagnato il 4,91% fino ad una soglia di 1.318 dollari l’oncia. L’oro è stato l’attivo finanziario che ha offerto la migliore performance assoluta da inizio anno a oggi con un rendimento che da gennaio supera il 22%. In questo momento, anche se è improbabile che un nuovo strappo verso l’alto possa realizzarsi nel breve termine, una quota del 5-10% all’interno del portafoglio, rappresenta una buona forma di diversificazione e assicurazione sul futuro.


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INVESTIRE NEL DEBITO SOVRANO

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di Giuseppe Barchiesi Managemet Academy Sida Group - Area Finanza

iciamo la verità: noi italiani abbiamo nel DNA i fondamentali di una moneta debole, o comunque siamo cresciuti con tali principi per gli apparenti vantaggi che la situazione ritenevamo ci generasse. Siamo cresciuti molto esperti, pertanto, nel ricercare l’alto tasso d’interesse ovunque si annidasse, basandoci poco sulla rischiosità insita nell’investimento, d’altra parte ben aiutati da quella sorta di mitigazione del rischio stesso, che veniva rappresentata dall’inflazione e dalla frequente svalutazione della moneta, naturali componenti di una moneta, appunto, debole. Qualsiasi classe sociale, nell’investimento, cerca il massimo rendimento con un approccio al rischio abbastanza trascurato, almeno sino ad un po’ di tempo fa, e generalmente affidato all’incaricato dell’istituzione finanziaria che segue la relazione con il Cliente. A monte e a valle dell’investimento, le “firme dell’incoscienza” certamente non mancano: ben oltre venti firme mediamente, in coda a pagine densamente scritte e che nessuno ha mai

A CURA DI

letto, né mai leggerà. Il dubbio, assolutamente legittimo, è tra l’altro che il corposo documento non venga neanche letto né assimilato addirittura da chi lo sottopone all’investitore e che lo dovrebbe quanto meno sintetizzare con molta capacità. Sembra che l’importante sia solo raggiungere lo scopo, ossia ritirare tutte le firme che prescrivono le norme, affinché si possa dimostrare che si è agito nella massima trasparenza ed informazione nei confronti dell’investitore. Identificare e capire bene l’ambiente in cui si opera, non significa certamente rilevarne le caratteristiche che a volte possono sembrare persino ostili, bensì focalizzare la necessità di scegliere con cura l’interlocutore che condurrà all’investimento, dando la massima importanza all’aspetto rischiosità che è sempre coerente con il rendimento. Le forme tecniche di investimento oggi, nella globalizzazione, certamente non mancano. A livello nazionale c’è solo un’oggettiva mancanza (la cosa non è di poco conto) di bond emessi da nostre aziende, mercato questo che stenta a decollare per varie ragioni, non ultima una forte carenza

del capitale di rischio nelle aziende stesse (che fungerebbe da garanzia, da requisito e da volano per l’emissione di obbligazioni). Fatte salve tutte le distinzioni che si possono rilevare nel mondo degli investitori, e sono moltissime, la segmentazione più corretta è dettata dalla propensione al rischio di ciascuno di questi che, a sua volta, stabilisce la coerenza con il rendimento atteso dell’investimento. Fatta questa panoramica generale, ci si vuole ora soffermare sull’investimento nella cosiddetta “carta pubblica”/debito sovrano, in particolare dove si colloca e perché fare questa scelta per mettere a frutto i propri risparmi. Tutte le nazioni sviluppate del mondo emettono strumenti finanziari, con varia rischiosità a seconda di che cosa vanno a finanziare (costi o investimenti) e dell’andamento dell’economia a ciascuno di questi collegata. Evidente come il tasso di rendimento sia fortemente dipendente dalla citata rischiosità. Riferendoci all’Europa e poi all’Italia, l’aspetto “rischio” è sicuramente ben tutelato, ma varia abbastanza il rendimento.

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DOSSIERBENIRIFUGIO Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo queste caratteristiche: tendiamo a sottoscrivere al nostro interno una buona parte delle varie emissioni di carta pubblica, offriamo tassi elevati rispetto alle altre nazioni europee, con un paio di eccezioni, ragionevole tendente al buono quale profilo di rischio. In generale, comunque, il profilo di rischio in Europa è decisamente buono, con punte di ottimo nella fascia alta (Germania) e “in osservazione” nella fascia bassa (Grecia). Certamente l’attuale politica monetaria della BCE (“Quantitative Easing”), favorisce l’ottimismo per ciò che riguarda il rischio, ma con un rovescio inevitabile della medaglia rappresentato dal rendimento: il messaggio molto forte è tanto denaro per l’economia reale e tassi molto bassi a lungo. L’investitore, in definitiva, ha un quadro completo per impiegare il proprio denaro fatto di questi elementi: profilo di rischio dal nullo al contenuto e rendimento di conseguenza, certezza o ragionevole certezza di non perdere i propri soldi, mantenimento del potere di acquisto del proprio denaro nel tempo, data la bassa inflazione prevista (attuale deflazione), in ogni caso compensata dal rendimento dell’investimento. Per quanto riguarda l’Italia, ci sarebbe molto da dire sulla “qualità” del debito pubblico, zeppo com’è di costi in luogo di investimenti, ma possiamo essere in tutto tranquilli per la rischiosità, oltretutto in presenza di buoni rendimenti, ovviamente coerenti con l’attuale situazione economica e con le sue prospettive. Gli strumenti del debito pubblico Italiano, BOT, CCT, BTP ecc, si prestano alle più ampie esigenze dei risparmiatori per tempi (scadenze), rischio,

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rendimento e composizione. Per questo ultimo aspetto c’è da dire la carta pubblica si presta molto a costituire ciò che in gergo si chiama “giardinetto”, cioè la presenza in una composizione di portafoglio dell’investimento, ai fini di una diversificazione e conseguente migliore ponderazione dell’aspetto rischiosità, di vari titoli compresi i citati del debito pubblico italiano. In conclusione, con questo tipo di investimento non ci si possono attendere grandi rendimenti, non oggi né in prospettiva di alcuni anni (abbiamo detto moneta forte, attenta politica

monetaria della BCE, bassi tassi per l’economia, deflazione ed altro), bensì il mantenimento del “potere di acquisto” per il basso profilo di rischio e, soprattutto, con questa forma tecnica si possono evitare tutte le emozioni legate all’andamento accentuatamente speculativo, ed in alcuni casi isterico, delle borse, e gli esempi in tal senso non mancano nel presente, né, temo, mancheranno nel futuro.

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INVESTIRE IN BANCA

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di Alessandro Scarlato Management Academy Sida Group - Area Credito

a Banca è stata sempre uno dei punti di riferimento della nostra esistenza: sicurezza, solidità, affidabilità sono concetti che abbiamo facilmente associato all’idea corrente della “Banca”. Fino all’altro ieri. Oggi ci chiediamo se è conveniente non solo investire in banca ma anche se sia prudente lasciare i nostri soldi, pochi o tanti che siano, sul conto corrente in un istituto di credito. Per cercare di rispondere al quesito bisogna focalizzare l’attenzione su alcuni fatti recenti, e dolorosi, che hanno coinvolto decine di migliaia di risparmiatori che avevano fin lì affidato tranquillamente il proprio denaro alla banca sottocasa, a quel direttore che conoscevano da bambino, a quel funzionario tanto una brava persona, etc. etc.

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Prima di tutto occorre prendere atto che i soldi in banca, intesi come deposito in conto corrente, libretti o altro, non sono sicuri, almeno nell’accezione ordinaria del termine. Ed il livello di rischio prescinde, a mio parere, dalle dimensioni della banca e non solo per la presunzione, tutta da verificare, che una banca grande sia meglio organizzata e/o amministrata di una banca piccola ma probabilmente soltanto perché, nel caso di una crisi, le dimensioni dell’istituto interessato potrebbero costringere le istituzioni governative ad interventi più incisivi rispetto a quanto fatto recentemente con il famigerato decreto “salva” banche. In ogni caso, qualora la nostra banca vada in default, bisogna scordarsi di recuperare quanto investito in azioni o obbligazioni bancarie ma questo è ormai assodato e, per quanto la

palese ingiustizia perpetrata con le quattro banche del citato decreto sia evidente per i più, le regole del bail in hanno tracciato il percorso e non consentiranno soluzioni molto differenti in futuro. A meno che queste regole, come pare che effettivamente stia accadendo, non vengano riviste a breve. Difatti, come ammesso anche dal Governatore della Banca d’Italia, nell’ambito della stessa Unione Europea ogni Paese le ha applicate secondo la propria migliore convenienza e, innanzitutto, secondo il principio della tutela dei propri risparmiatori. Nel nostro caso, invece, le autorità di Bruxelles sono state intransigenti, anche nel pretendere l’applicazione delle nuove regole con largo anticipo sulla data effettiva di entrata in vigore. Allo stato attuale, il rapporto tra banca e risparmiatore appare quindi fortemente compromesso e, a parte


DOSSIERBENIRIFUGIO per i problemi di solidità del sistema bancario che per la diffusione dei controlli automatici sulle disponibilità finanziarie nell’ambito della lotta al riciclaggio, al finanziamento del terrorismo internazionale e all’evasione fiscale. In attesa di ritornare al “materasso” quale custode dei nostri averi, è opportuno osservare, esemplificando al massimo, alcune regole di sana e prudente gestione finanziaria:

azioni e obbligazioni, è necessario fare attenzione anche alla regola del limite dei 100.000 euro garantiti dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi: il Fondo garantisce, è vero, ma occorrerà poi verificare i tempi di recupero delle somme qualora dovesse aprirsi una procedura fallimentare senza contare, visto il continuo inanellarsi di scandali e crisi bancarie, che bisogna chiedersi fino a quando il FITD, alimentato dallo stesso sistema bancario, sarà in grado di intervenire prima di rimanere a secco. Se vogliamo investire in banca con sufficiente serenità, dovremo anche tenere ben presente che il rapporto con il cliente, in molti casi, si è da tempo modificato: come riportato dalla cronaca degli ultimi tempi, la necessità, per qualche banca, di raggiungere risultati spesso esageratamente ambiziosi, per motivi di utili o per sistemare ratios patrimoniali sempre più traballanti ha causato pressioni rilevanti sulla rete che le ha poi re-

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plicate sulla clientela glissando, probabilmente, sulla reale rischiosità di certi investimenti.. Oggi le banche, tra tassi a zero, quantitative easing e impieghi a rischio, non sono in grado di garantire alcun rendimento sui depositi. Tassi appetitosi devono far drizzare le antenne al risparmiatore e fargli capire finalmente che maggiori interessi corrispondono, sempre e soltanto, a maggiore rischiosità dell’investimento. Credo che le banche dovranno presto riorganizzare il loro modello di business per non perdere buona parte della raccolta. In ogni caso, credo che assisteremo ad un processo di redistribuzione del risparmio in un’ottica di frazionamento del rischio e con l’obbiettivo di sostituire i proventi sul risparmio stesso, azzerati dai tassi negativi. Senza trascurare che anche in Italia potrebbero poi acutizzarsi fenomeni di occultamento delle risorse, come pare stia avvenendo in Giappone, sia

• Il conto corrente deve essere considerato come uno strumento per la gestione corrente limitando la giacenza in base a quelle necessità; • La quota di risparmio disponibile, sempre tramite la banca, deve essere allocata seguendo i criteri della diversificazione del rischio e della corretta pianificazione temporale di investimenti e disinvestimenti. • L’informazione, completa e dettagliata, sugli strumenti finanziari nei quali si investe deve essere una componente essenziale ed irrinunciabile nel rapporto di fiducia con la nostra banca. Valutando adeguatamente tutte le componenti e ormai consapevoli che non esistono investimenti senza rischio, potremo continuare ad investire parte dei nostri denari in azioni e obbligazioni bancarie, magari evitando di dover poi ricorrere a gesti estremi per aver concentrato tutti i risparmi di una vita nella banca di quello che “mi sembrava tanto una brava persona”.


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INVESTIRE SUL MATTONE: linee guida strategiche per tornare ad utilizzare il mattone come bene di investimento

di Mattia Bocchini - Management Academy Sida Group Coordinatore Area Real Estate

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LA SITUAZIONE ATTUALE l mercato immobiliare negli ultimi anni ha subito un brusco mutamento, tale cambio di trend non trae origine solamente dalla crisi del settore che ha abbattuto il volume delle transazioni ma soprattutto da un’incapacità degli operatori del settore di adattarsi in tempi repentini ad un nuovo approccio che non si basa sulla vendita pura dell’immobile ma sulla gestione dello stesso. Tale ambito tocca altre ai medio-piccoli investitori, in gran parte anche tutti quegli istituti finanziari in possesso di ingenti patrimoni immobiliari che al giorno d’oggi debbono essere necessariamente gestiti con la massima efficienza al fine di creare un valore reddituale positivo tramite il management dello stesso. La situazione immobiliare Europea ed in particolar modo quella Italiana, ha visto negli ultimi otto anni una progressiva diminuzione dei prezzi di mercato ed una stabilizzazione nell’ultimo anno che deve assolutamente essere colta come opportunità di acquisto per progetti di ripresa

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economica e come opportunità di smobilizzo per quelle situazioni che pesano nel bilancio di un’impresa o di una famiglia. L’incrocio tra domanda e offerta nel mercato è assolutamente favorevole a chi vuole investire visto la grande eccedenza della seconda sulla prima, riuscendo a dare un potere d’acquisto veramente importante a chi ha una disponibilità economica, soprattutto se esigibile nel breve periodo (oggi infatti il timing di acquisto spesso fa da padrone anche rispetto alla trattativa finale sul prezzo). L’investimento nel mattone non è morto, è solamente cambiato e rappresenta il risultato finale di una strategia di investimento ben mirata e con obiettivi ben definiti inizialmente; siamo passati da un’ottica di investimento nel mattone puramente speculativa a breve termine (dove si acquistava il bene per avere una rendita immediata senza badare a quale poteva essere il futuro impiego dell’immobile) ad una visione molto più integrata dei processi di mutamento ed utilizzo del bene stesso con una strategia di valorizzazione a me-

dio-lungo termine. La gestione complessa che è rappresentata oggi dall’investimento immobiliare ha portato inevitabilmente a fare scelte sbagliate o addirittura a non farle per tutti quei soggetti che non avevano e non hanno le competenze per una gestione immobiliare efficace ed efficiente; ma come si intuisce tutto ciò può essere risolto con una preparazione adeguata ed una strategia di investimento più oculata. FOCUS EUROPA Quello che si stà verificando in Europa è uno spostamento delle asset class, che fino a poco tempo fa non erano considerate come investimento tradizionale, e tra queste troviamo gli alloggi per studenti, gli immobili legati all’assistenza sanitaria e alle tendenze demografiche di invecchiamento della popolazione. La conseguenza è che è il residenziale una delle asset class preferite dagli investitori, e tale settore inizia ad essere rivalutato anche in Italia. DOVE E COME INVESTIRE Oggi l’investimento immobiliare che

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permette di avere tassi di rendimento molto promettenti e permettere una pianificazione a medio-lungo termine è rappresentato da tre macrotipologie: • Strutture ricettive • Centri Commerciali o grandi strutture polifunzionali • Centri Urbani in espansione Queste tre tipologie rappresentano i target di mercato dove puntare se si vuole investire: • il primo “Strutture Ricettive” rappresenta il settore turistico, che nel nostro paese ha una fortissima potenzialità di sviluppo ed è il target preferito dai grandi investitori; • il secondo “Centri Commerciali o grandi strutture polifunzionali” rappresenta il settore commerciale e dei servizi integrati che vedono le sue punte di rendimento in locali siti all’interno di grandi strutture immobiliari (parchi commerciali, centri commerciali,

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strutture sanitarie integrate e riabilitative etc), target ideale per investitori medium; • il terzo “Centri Urbani in Espansione” rappresenta il mercato residenziale spesso aggredito e sostenuto dai piccoli investitori che prediligono concentrarsi in valori assoluti di acquisto più bassi per immobili non molto grandi ma che danno un ottimo rendimento; esempio di ciò è l’investimento in città universitarie su immobili dedicati agli studenti. E’ importante sottolineare come l’investimento nei tre sopracitati macrosettori deve essere ponderato a livello di rischiosità e questo ultimo aspetto viene soddisfatto appieno nei settore rappresentati dai “centri urbani in espansione” e dai “Centri Commerciali o grandi strutture polifunzionali”, grazie ad una diversificazione tramite l’acquisto di tagli medio-piccoli e facilmente smobilizzabili, mentre

resta più difficile farlo quando si investe in “strutture ricettive”. Tutti questi ambiti danno vita a quella che viene definita un’attività di “Real Estate Management”, che per essere efficace deve necessariamente integrare tutte le competenze di cui sopra per poter raggiungere un risultato più performante possibile. La sensazione del settore è che dopo un lungo primo periodo di crisi gli attori del mercato sono arrivati alla consapevolezza di quali sono le competenze necessarie da avere per operare in tale ambito e tale convinzione è oramai anche arrivata ai clienti finali, proprietari e investitori, che ne condividono le scelte e le motivazioni. Venendo meno nella decisione/ scelta l’elemento speculativo, a far da padrone nel valore dell’immobile è la redditività sul capitale investito nonché il progetto di marketing strategico. Ne consegue che le decisioni di investimento o di realizzo sono oggi fortemente ancorate alla funzione d’uso. Siamo fermamente convinti che la ripresa del settore passi da una conoscenza integrata di tali dinamiche e che la fase di smobilizzo, vendita, locazione o investimento come atto finale del processo non può prescindere dalla conoscenza di esse, e altrettanto dicasi di eventuali decisioni future di investimento immobiliare o altre forme di impiego materiale.


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INVESTIRE IN CULTURA: QUADRI, COLLEZIONISMO

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l “tema” che mi è stato assegnato dall’editore è di quelli che ti richiedono qualche minuto di riflessione prima di passare allo svolgimento: l’investimento nell’arte. Per restare in attualità, pensando alle migliaia di studenti che hanno appena affrontato gli esami di maturità, direi che è un tema ottimale poiché

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di Dr. Roberto Di Paolo Presidente Fondazione Di Paolo si presta a molte interpretazioni e quindi svolgimenti, molto personali e quindi opinabili. Ed è così che intendo svolgerlo. Con qualche considerazione generale e qualche consiglio su come muoversi in un campo così articolato e complesso come l’arte, disseminato di insidie, di ostacoli e di variabili che non

sempre è possibile prevedere. Il dibattito torna spesso alla ribalta, quasi sempre in coincidenza dei ciclici cali dei mercati finanziario quando grandi masse di denaro si orientano verso il mercato dell’arte trasformandosi per gli investitori un’alternativa ad azioni, immobili e oro. Quando questo accade, puntualmente esplo-

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de il clamore di vendite particolari ed esorbitanti che colpiscono l’immaginario. Ricorderete tutti “I Girasoli” di Van Gogh che superò i 40 milioni di dollari nell’87 o il Picasso che nel 2004 sfondò il muro dei 100 milioni. Tutto vero, ma occorre precisare che casi del genere rappresentano l’eccezione e non la regola. Andiamo però con ordine. E diciamo subito che esistono due diversi tipi di approccio. Uno meramente speculativo basato esclusivamente sul

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“grande colpo” con l’aggiudicazione di un’opera straordinaria con la sola finalità di rivenderla per una copiosa plusvalenza. E questo è il classico approccio “di mercato”, selvaggiamente liberista e per pochi eletti o privilegiati. Ma, lasciatemelo dire, molto spesso distante dal concetto di arte nella sua accezione classica di passione e cultura del bello. Che rappresenta il secondo modo per avvicinarsi all’arte. Comprare, investire e immobilizzare capitali anche senza alcuna finalità

di vendita ma per il solo piacere del possesso, di circondarsi del frutto del genio di un’artista famoso. Va detto che entrambi i modi hanno bisogno di enormi quantitativi di denaro e non sono quindi alla portata di tutti. E’ chiaro che si tratta di nomi (pochi) di artisti grandi sia in senso artistico che di mercato (Picasso, Modigliani, Munch, Bacon) l’investimento e la sua redditività sono certi ma è anche vero che ci troviamo di fronte ad opere difficili da trovare, molto


DOSSIERBENIRIFUGIO ma molto costose il cui “mercato” si restringe ad un cerchio ridotto di collezionisti e mercanti d’arte. Poi ci sono tutte le opere contemporanee il cui acquisto se finalizzato alla sola aspettativa di plusvalenze porta con sé un notevole rischio. Ci sono nella grande casistica del mercato dell’arte esempi di grande redditività da parte di chi ha acquistato un’opera di un artista ancora non “esploso” per poi rivenderla con margini stratosferici ma statisticamente rappresentano il 5/10% delle opere di arte contemporanea. A sostenerlo sono grandi galleristi con lunga e collaudata esperienza. Sia chiaro quindi che questo primo scenario si restringe ad “piccolo mondo” che ha disposizione capitali enormi e quindi gode e gioca con regole che non sono alla portata di tutti. Scendendo poi ad un livello più abbordabile vediamo qualche piccolo suggerimento di un vademecum per chi vuole tentare di investire nel mondo dell’arte. Senza essere un esperto ovviamente. Il primo consiglio è quello di comprare solo artisti che piacciono perché così mettiamo già nel conto di tenerli con noi per lungo tempo e non farci prendere dalla fretta del rapido guadagno. In arte vige una regola chiara anche se non scritta: non aspettarsi rapidi guadagni per cui non investite in arte se volete poi capitalizzare e monetizzare in tempi brevi. Secondo consiglio : informarsi. Direttamente e personalmente. Senza necessariamente legarsi a filo doppio con le valutazioni e i consigli di galleristi o mercanti, soprattutto se sconosciuti o non sperimentati. Nel mondo global informed di oggi questo è molto più facile. La rete è uno strumento prezioso anche se insidioso accanto a cui abbinare visite a fiere e mostre,

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aste anche di piccole società purché serie, riviste specializzate. Informarsi sull’artista, esplorarne la vita e l’attività. Tenere insomma il più possibile sotto controllo la scena di quel settore di arte alla quale ci si vuole avvicinare. Fatto questo si può scegliere avendo sempre ben presente la netta distinzione che c’è tra arte e mercato. Due entità distinte che in qualche caso possono anche intersecarsi. Terzo consiglio: sapere chi colleziona quel dato artista, in quali mostre sono state esposte le sue opere, quale museo le ospita o meglio le possiede. Queste regole base possono essere di aiuto. Insieme ad altri criteri come l’esistenza di un catalogo generale dell’artista, che certifica di fatto la sua produzione e le da garanzia di serietà. Ci sono artisti che hanno visto schizzare in alto le proprie quotazioni subito dopo la pubblicazione di un catalogo generale cosiddetto ragionato. Ultimo suggerimento: la fase temporale dell’artista. Cercare di capire bene, studiando la vita dell’artista quale è stato il suo periodo più produttivo, che poi è quello che il mercato vuole di più. Storicamente è il primo periodo quello che vale di più poiché è quello in cui l’artista normalmente sperimenta e crea quindi novità. Poi, in genere, si assesta attorno ad uno schema, ad un cliché artistico e quelle opere di quel periodo valgono meno. Anche se spesso ci si imbatte in chi vende solo il nome di quello stesso artista mirando a spalmare le quotazioni più elevate su tutta la produzione ma non è così. E questo vale per big dell’arte, da Picasso a De Chirico a Schifano. A monte di tutto c’è il consiglio principe : attenti ai falsi. Il mondo dell’ari:e è pieno. Per questo affidatevi sempre ad opere ed artisti che possano avere

adeguata certificazione di autenticità e cronistoria della provenienza con indicazione più dettagliata possibile della o delle proprietà. In conclusione vorrei però, poiché mi occupo di arte da 50 anni, dire e sottolineare che esiste anche un altro modo di avvicinarsi all’arte anche se non si hanno grandi capitali a disposizione. Che è quello di assecondare il proprio gusto e la propria “voglia” di bello. Esistono artisti in tutto il mondo dotati di talento e creatività a cui spesso viene negata la ribalta della gloria ma hanno in sé forza espressiva spesso assente in molti cosiddetti maestri. Se non avete l’assillo della monetizzazione immediata, se volete crearvi una collezione “dal basso” cominciate a creare per voi stessi la vostra collezione privata acquistando opere di artisti non ancora noti e posizionati ( si dice storicizzati ). Avrete forse anche un vantaggio economico anche se in là. nel tempo. Ma avrete certamente un risultato immediato: possedere un’opera d’arte la cui sola vista vi darà piacere. E con un budget contenuto potrete vedere crescere la vostra “personale” anno per anno o mese per mese. Lo dico con forza, da Presidente della Fondazione Di Paolo che da oltre 30 anni lavora per valorizzare artisti di talento a cui spesso la strada delle gallerie è preclusa. E che noi invece, come vuole la nostra mission di appassionati d’arte prima che di “mercanti” portiamo avanti con determinazione.

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UN DIAMANTE È PER SEMPRE, SOPRATTUTTO SE È DA INVESTIMENTO La diversificazione degli investimenti spinge la domanda di diamanti. Un mercato che cresce costantemente di 1-1,5% oltre l’inflazione annua, e mediamente ha un rendimento del 4-4,5% all’anno.

di Chiara Bartolomei

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n mercato particolare quello dei diamanti da investimento. Una nicchia che può rappresentare un’opportunità interessante per diversificare il proprio portafoglio di investimento, senza correre rischi, scegliendo un bene che

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storicamente si è sempre rivalutato coprendo inflazione e svalutazione. Il mercato dei diamanti da investimento, ovvero un sottoinsieme dei diamanti raffinati che vale il 2% del mercato dei diamanti tagliati, è cresciuto in modo rilevante negli ultimi anni, proprio perché la cri-

si finanziaria, a partire dal 2008 ha spinto i volumi a crescere dell’ordine del 25% in media l’anno, con rendimenti medi che negli ultimi dieci anni si sono attestati intorno al 4,3% annuo. Insomma un bene rifugio per eccellenza. I diamanti, infatti, presentano le tipiche carat-


DOSSIERBENIRIFUGIO teristiche di uno strumento di investimento “reale” e allo stesso tempo “raro”, tanto da suscitare un appealing emozionale, di cui i prodotti finanziari sono molto spesso privi, e che nelle fasi di criticità del mercato suscita una forte domanda da parte del mercato, presentando un trend correlato inversamente con i principali asset di risk-on, come azioni o obbligazioni. Inoltre l’investimento in diamanti presenta una fiscalità semplificata, essendo soggetti esclusivamente a Iva senza tassazione sul capital gain: fattore rilevante per i patrimoni e per il lungo termine. In questo settore, leader indiscusso è la Diamond Private Investment, società di intermediazione che vuole rappresentare il punto di incontro tra la domanda e l’offerta dell’investimento in diamanti. La DPI viene costituita a Milano nel 2005 da professionisti con esperienza ventennale nel settore dei diamanti da investimento, con una rete commerciale che vanta la medesima provenienza ed esperienza. La società opera attraverso partnership con numerosi istituti di credito radicati su tutto il territorio nazionale, assistiti da una rete di esperti funzionari, che coprono tutte le aree del territorio. Punto fondamentale della vision aziendale è la trasparenza, a supporto della quale la Diamond Private Investment S.p.A. utilizza le quotazioni dei diamanti da investimento pubblicate periodicamente a cura della Società su “Il Sole 24 Ore”, in modo da garantire un’assoluta chiarezza nelle operazioni. Mentre la mission aziendale prevede di offrire al risparmiatore un servizio d’investimento nel bene rifugio per eccellenza, capace di proteggere il proprio patrimonio e dare un’opportunità di corretta diversificazione.

Un prodotto reale alla portata di tutti, nelle mani del risparmiatore, con un altissimo valore intrinseco e capace di portare concretezza e tangibilità in un ambiente finanziario solitamente contraddistinto dall’immaterialità. Ma quali sono i vantaggi reali dell’investimento in diamanti? “Tasse zero, liquidabilità immediata dei diamanti e rivalutazione intorno al 3% annuo – spiega Maurizio Sacchi, Amministratore Delegato della Dpi - un mercato di nicchia, regolamentato da Banca d’Italia, più che sicuro di questi tempi. Noi siamo buyer primari nelle principali Borse diamanti del mondo (Anversa, Mumbai, Tel Aviv, New York) da cui ci approvvigioniamo. Le pietre sono tutte certificate dai due istituti riconosciuti Hrd e Gia, diamanti top di gamma per caratura, pu-

Un prodotto reale alla portata di tutti, nelle mani del risparmiatore, con un altissimo valore intrinseco e capace di portare concretezza e tangibilità rezza, taglio. Parliamo di un prodotto sostanzialmente innovativo e rispetto al quale la DPI detiene circa il 70% del mercato italiano”. L’investimento in diamanti va visto, quindi, in un’ottica di diversificazione, in cui allocare non più del 5%-10% del portafoglio, con un orizzonte temporale medio-lungo. Cresce costantemente di 1-1,5% oltre l’inflazione annua, e mediamente ha un rendimento del 4-4,5% all’anno. Il mercato del diamante è estremamente stabile, non è influenzato da crisi economiche, politiche e sociali, guerre e terremoti, non è legato a nessuna economia nazionale, ma è internazionale e sicuro. Inoltre è un prodotto esentasse, non

ci sono costi di entrata e di gestione, non ci sono bolli. Il diamante è un bene al portatore ed è trasparente di fronte al fisco. Inoltre in caso di disinvestimento, la DPI offre il servizio di smobilizzo entro 30 giorni lavorativi (unica in Europa). Ed essendo un bene sovranazionale e riconosciuto a livello internazionale, può essere anche smobilizzato in qualsiasi parte del mondo. “Nel nostro paese ci sono circa 17mila sportelli bancari che offrono il servizio di investimento sui diamanti – prosegue Sacchi - negli ultimi 3 anni contiamo 35mila clienti che hanno investito in diamanti per una media di 20mila euro. Naturalmente, come per tutti gli altri asset, il suggerimento è sempre quello di diversificare il più possibile il proprio portafoglio: il nostro consiglio è quello di destinare una quota intorno al 5-10% ai beni rifugio. I dati, comunque, ci parlano di una crescente democratizzazione del fenomeno che è anche molto trasversale dal punto di vista geografico: si registrano buoni numeri a Roma e Torino, come in Emilia Romagna e anche in Sicilia”.

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CREARE ASIMMETRIA NEGLI INVESTIMENTI: L’APPROCCIO SISTEMATICO DI DEUTSCHE BANK di Giancarlo Temperilli, Executive Advisor, Gruppo Deutsche Bank Finanza& Futuro creto è fresco nella memoria di tutti noi: gli ultimi dodici mesi hanno registrato alcuni eventi, spesso imprevedibili, che hanno fortemente turbato l’andamento dei corsi azionari ed obbligazionari, senza che lo scenario di fondo cambiasse sensibilmente. Giusto per citare alcuni dei momenti di massima apprensione sui mercati finanziari negli ultimi tempi, ricordiamo il disancoraggio a sorpresa del tasso di cambio tra franco svizzero ed euro, il forte aumento dei tassi di interesse registrato sulla curva governativa in Eurozona nella primavera del 2015, la nuova crisi

in Grecia, la riforma a sorpresa del regime di cambio del Renminbi, lo scandalo del Gruppo Volkswagen, per arrivare poi alla grande volatilità registrata dall’inizio di quest’anno ed al referendum sulla Brexit. Poiché questi avvenimenti si sviluppano in un mondo commercialmente e finanziariamente sempre più interconnesso, portano con sé ondate di emotività - potremmo quasi dire temporanea irrazionalità - e a modifiche spesso imprevedibili alle correlazioni tra classi di attivo. In questo 2016, come anche nel 2011 e nel 2008, gli investitori vorrebbero avere a di-

Andare oltre le previsioni del consensus richiede liberarsi di alcuni assunti base come la distribuzione normale Una descrizione adeguata dei possibili rendimenti futuri (esempio: crisi finanziaria del 2008) Index

14.500

Idea

Vari percorsi di rendimento basati su modelli Monte Carlo

13.500 12.500

Aggiungere un vasto numero di scenari alternativi allo scenario base (rendimenti attesi futuri)

11.500 10.500 9.500

“Mondo perfetto” (distribuzione normale)

8.500

Approccio

Previsione mediana

Considerare nei modelli utilizzati distribuzioni non normali e correlazioni non stabili

7.500 6.500

Output

5.500 Distribuzione delle performance Performance reale

4.500 3.500

01/2007 05/2007 12/2007 04/2008 Distribuzione dei rendimenti attesi: con08/2007 e senza hedging (al 08/02/2016)

Deutsche Bank Wealth Management

Deutsche Bank Wealth Management

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07/2008 11/2008

Confidenziale

I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Fonte: Deutsche Bank S.p.A. , Gruppo Deutsche Bank AG

I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Fonte: Deutsche Bank S.p.A. , Gruppo Deutsche Bank AG

Confidenziale

Un’illustrazione dei possibili rendimenti futuri

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I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Fonte: Deutsche Bank S.p.A

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onald Rumsfeld, il segretario alla Difesa dell’ultima amministrazione Bush, disse in una conferenza stampa del 2002 che ci sono i pericoli «cogniti» (quelli che sappiamo esistere), ci sono le «incognite cognite» (le incognite relative a quello che possiamo immaginare e ragionevolmente prevedere), ma ci sono purtroppo anche le «incognite incognite» (le incognite che non possiamo prevedere in anticipo). Ogni qualvolta viviamo una nuova crisi sui mercati finanziari, passeggera o duratura che sia, soffriamo un brusco ed inatteso scostamento tra i rendimenti attesi e quelli realizzati. Un esempio con-


I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Fonte: Deutsche Bank S.p.A

DOSSIERBENIRIFUGIO

sposizione un elevato grado di asimmetria nel portafoglio di investimenti liquidi, che permetta cioè di catturare quanto più possibile i movimenti positivi di mercato, limitando però le potenziali perdite, siano esse attese o inattese. Ma questo, soprattutto per la clientela italiana, non può bastare. Data l’allocazione tipicamente esposta in buona misura al reddito fisso, un’altra preoccupazione in questo contesto è il rischio di una crescita a medio termine dei tassi d’interesse e del suo impatto sulla componente obbligazionaria, anche se nel breve termine tale rischio è contenuto in Eurozona dall’attivismo della BCE. Il mercato obbligazionario ha registrato un andamento decisamente positivo negli ultimi 30 anni. Tuttavia, a causa della compressione dei rendimenti, le aspettative circa le future performance del reddito fisso potrebbero essere gravemente compromesse da tassi nuovamente in aumento, per non parlare del fatto che attualmente un controvalore maggiore

di dieci trilioni di Dollari, una cifra pari al PIL dell’Eurozona. Per rispondere a questi due tipi di esigenze, il Gruppo Deutsche Bank ha lavorato, già negli anni immediatamente precedenti alla crisi Lehman, ad una soluzione di investimento multi-asset che sia trasparente, semplice, liquida, e poco costosa per il cliente finale, e che unisca le nostre migliori capacità previsionali ad un’attenzione sistematica alla copertura degli eventi inattesi ed imprevedibili. L’impianto ideato, che è stato esteso già dal 2011 alla clientela internazionale e da fine 2013 alla clientela italiana, prevede la definizione di un budget di rischio esplicito. Anziché lavorare con impianti di garanzia, la strategia unisce la nostra migliore esperienza nella selezione e gestione di singoli titoli, fondi ed ETF azionari ed obbligazionari all’acquisto di opzioni listate su mercati regolamentati. A questo fine, il nostro team di gestione discrezionale a Milano lavora a stretto contatto con un team che, da Francofor-

te, si occupa di suggerire il metodo più efficiente e meno costoso per coprire costantemente i rischi di portafoglio. Allo stesso tempo, la gestione molto attiva e l’approccio a rendimento assoluto hanno come obiettivo quello di smussare, per quanto possibile, la volatilità di portafoglio con i tradizionali strumenti di diversificazione ed utilizzando la piattaforma di ricerca che il Gruppo Deutsche Bank offre. Questa strategia è chiamata “Risk-Return Engineering” per sottolineare l’approccio olistico al rischio che il team di gestioni a Milano ed il team di risk management di Francoforte danno alla gestione del portafoglio: è questa una delle caratteristiche distintive che rendono questo prodotto unico nel panorama degli investimenti europei. Per maggiori informazioni: giancarlo.temperilli@finanzaefuturo.it oppure: 348/4200059

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DOSSIERBENIRIFUGIO INFORMAZIONI SUL SONDAGGIO Sondaggio realizzato da Mind X Up Srl. Sondaggio online, pubblicato all'interno delle newsletter, sulla pagina Facebook e sul sito di Mondo Lavoro ML Magazine. Indagine gestita attraverso piattaforma CAWI dal 22 Giugno al 7 Luglio 2016. Campione non probabilistico. Totale rispondenti: 108

I

l sondaggio di questo mese è dedicato al mondo dell’investimento, in particolare ai beni rifugio. Qual è la differenza tra risparmio e investimento? Quali sono le variabili che orientano le scelte degli

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investitori? Esistono proposte sicure? Qual è il livello di conoscenza e diffusione dei beni rifugio? Qual è il destino dell’investimento sul mattone? Scoprite di seguito come si sono espressi i nostri lettori.

I termini risparmio e investimento sono frequentemente impiegati come sinonimi nel linguaggio comune: anche dalle cronache delle recenti vicende bancarie il confine tra risparmiatori e investitori si è rivelato labile e vago. A voler essere precisi infatti i due concetti sono ben distinti. Questa, secondo i nostri lettori, la graduatoria delle caratteristiche che differenziano risparmio e investimento:

Per quanto concerne in particolare gli investimenti, ultimamente si è molto discusso di speculazione e profili di rischio. Si noti che nel tranquillo 2012 quasi l’80% degli italiani non si sentiva in grado di identificare le forme di investimento sicuro. Che cosa determina la sicurezza di un investimento? Questo quanto emerso dalle vostre risposte:

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In fase di valutazione di un investimento, quale fattore tra quelli proposti influenzerebbe maggiormente la scelta dei rispondenti?


DOSSIERBENIRIFUGIO E ancora: avendo la possibilità di investire in beni rifugio, su quale si orienterebbero?

Gli italiani puntano storicamente i propri risparmi sul mattone. Dopo un periodo di flessione del mercato immobiliare, il 2015 è stato l’anno della ripresa. Tuttavia, seguendo Maurizio Maggi, “le pretese del fisco, le quotazioni in ribasso, il calo del rendimento degli affitti, il mercato immobiliare ingessato, rischiano di trasformare il grande amore dell’italiano risparmiatore da certezza solida a punto interrogativo” I nostri lettori sono d’accordo con questa opinione?

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Una realtĂ unica nel nostro territorio DOSSIERBENIRIFUGIO

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MARCHEDAESPORTAZIONE

EFFETTO BREXIT: TREMA L’EXPORT MARCHIGIANO

Il terremoto Ue fa precipitare nello sconforto gli imprenditori. Si teme un forte calo dell’export regionale. A dirlo le principali associazioni del settore. Una prospettiva che andrebbe ad aggravare ancor più una situazione non proprio rosea: tra il primo trimestre del 2015 e il primo del 2016, l’export marchigiano è cresciuto solo dello 0,1% facendo registrare una brusca frenata del calzaturiero.

L

a Brexit apre interrogativi anche sul futuro dei 628 milioni di euro di export di prodotti marchigiani in Gran Bretagna, dal tessile ai macchinari, all’elettronica fino all’agroalimentare che, a fronte di volumi più ridotti rappresenta comunque un biglietto da visita importante per la nostra regione. Ad affermarlo è la Coldiretti Marche, sulla base di un’analisi su dati del commercio estero nel 2015 dopo la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea che, per effetto della svalutazione della sterlina, potrebbe avere effetti importanti sui rapporti commerciali. La stessa bilancia import/export è fortemente sbilanciata a favore delle Marche, con le esportazioni che superano di 4 volte le importazioni (172 milioni di euro). Nella top five delle merci marchigiane più vendute nel paese britannico il tessile-abbigliamento

A CURA DI

di Fabio Di Giulio è la voce più pesante con 140 milioni di euro (di cui 85 milioni di sole calzature) davanti a macchinari e trasporti con 118 milioni di euro, apparecchi elettrici con 101 milioni di euro, prodotti farmaceutici per 67 milioni, prodotti metalliferi per 56 milioni, mentre l’export agroalimentare vale 13 milioni di euro, peraltro in aumento del 17 per cento nel 2015. Tra i prodotti alimentari più gettonati tra gli inglesi, guida il vino assieme alle altre bevande che rappresentano oltre un terzo delle intere esportazioni, davanti a pasta e prodotti da forno e frutta e ortaggi lavorati e conservati. Il presidente di Confindustria Marche, Bruno Bucciarelli commenta: “sicuramente potrebbero esserci dei problemi anche per le nostre imprese soprattutto per quanto riguarda le esportazioni, perchè ci saranno nuovamente dazi che influiranno sui conti delle nostre imprese. Dopo le sanzioni alla

Russia, non avevamo certo bisogno di nuove problematiche in un’altro mercato cosi vicino a noi. L’export verso la Gran Bretagna ha un valore di circa 600 milioni di euro e non possiamo certo permetterci di perderlo”. Uno scenario piuttosto preoccupante, soprattutto se lo mettiamo in relazione all’analisi effettuata da Cna Marche sull’andamento delle esportazioni nel primo trimestre del 2016. L’export si è praticamente fermato. Tra gennaio e marzo le imprese marchigiane hanno esportato merci per 2 miliardi e 900 milioni di euro con un incremento di 3,6 milioni, pari allo 0,1% rispetto allo stesso trimestre del 2015. E’ andata peggio alle esportazioni manifatturiere (il 98,5 per cento di tutto l’export regionale) che hanno perso lo 0,1 per cento rispetto all’anno scorso. Un dato, quello marchigiano, che è comunque migliore rispetto alla media nazionale (-0,4 per cento). E’ quanto emerge da un’indagine dei

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MARCHEDAESPORTAZIONE Centri Studi Confartigianato e Cna Marche su dati Istat. “A penalizzare le nostre esportazioni” affermano i presidenti di Cna Marche Gino Sabatini e di Confartigianato Marche Valdimiro Belvederesi “è stata soprattutto la frenata del distretto calzaturiero, che ha visto perdere il 6,7 per cento del mercato internazionale, soprattutto in Russia dove il nostro export si è ridotto di 18,5 milioni di euro di cui oltre la metà ha riguardato i prodotti in pelle. Si tratta delle conseguenze delle sanzioni che continuano a penalizzare le nostre imprese e che è giunto il momento di rivedere”, Esaminando gli altri settori manifatturieri, si registra anche un arretramento dell’export dell’abbigliamento con -6,1% pari a 9,1 milioni di euro in meno. Male anche i prodotti in metallo, con -1,2% pari a 2,3 milioni di euro in meno. In crescita gli articoli in gomma e materie plastiche con +7,0% pari a 8,7 milioni di euro. Seguono i prodotti farmaceutici con +1,7% pari a 8,3 milioni di euro, la meccanica con +1,6% pari a +6,6 milioni di euro, i mobili con +1,2% pari a 1,4 milioni e le apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche con il +0,7% pari a 2,2 milioni di euro in più. A salvare l’export manifatturiero marchigiano nel primo trimestre del 2016 sono state le imprese della provincia di Pesaro Urbino (+6 per cento di export). In crescita anche le esportazioni da Ascoli Piceno ( +1,1 per cento) mentre si ha una diminuzione a Fermo (-4,7 per cento), Ancona (-2 per cento) e Macerata (-1,6%). Per quanto riguarda i maggiori mercati di destinazione delle esportazioni manifatturiere delle Marche, si osservano diminuzioni importanti delle vendite marchigiane in Belgio (-13,1%, pari a 47,4 milioni di euro in meno, di

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cui il 94,7% è imputabile alla diminuzione dell’export di prodotti farmaceutici. Prodotti farmaceutici che hanno preso la strada della Germania, facendolo diventare il primo Paese di destinazione dell’export marchigiano, davanti al Belgio e alla Francia. Le imprese marchigiane tra gennaio e marzo 2016 hanno perso quote di mercato anche negli Stati Uniti (-7,8%, pari a 12,6 milioni di euro), in Russia (-17,5%, pari a 18,5 milioni di euro) in Turchia (-27,3% pari a -20,5 milioni di euro) e ad Hong Kong (-7,5%, pari a 3,3 milioni di euro). Variazione negative ma di dimensioni più contenute nel Regno Unito (-3,1% pari a 4,6 milioni di euro), in Spagna (-2,9%, pari a 3,6 milioni di euro), in Polonia (-1,1%, pari a 1,2 milioni di euro) e nei Paesi Bassi (-0,9%, pari a 0,6 milioni di euro). Tra i restanti principali paesi si osservano delle dinamiche positive in Francia (2,8 pari a 7,5 milioni di euro), in Svizzera (+7,3 % pari a 5,8 milioni di euro) e in Romania (+8,1 % pari a 5,4 milioni di euro).

Inoltre si segnala la crescita in Austria (+13,7% pari a 6 milioni di euro ) e in Cina (+1,6% pari a 0,8 milioni di euro). “Mentre aumentiamo le esportazioni sui mercati dell’Unione Europea del 2,4 per cento e in Africa dell’8,2 per cento,” commentano Belvederesi e Sabatini “ le vediamo ridursi le nostre esportazioni nei Paesi europei fuori dall’Unione del 9,4 per cento , in Asia del 4,1 per cento e in America del 2,1 per cento. Occorre lavorare in sinergia tra Regione, Camere di Commercio e associazioni di categoria per consolidare la presenza delle nostre imprese sui mercati europei ed essere più presenti sui mercati emergenti con manifestazioni fieristiche e visite istituzionali finalizzate a migliorare le relazioni commerciali e promuovere il made in Marche con iniziative unitarie per i mercati di maggior interesse per le imprese marchigiane”.


ECONOMIA&TERRITORIO

L’ECONOMIA MARCHIGIANA IN LENTA RIPRESA Il report di Bankitalia evidenzia un Pil regionale in aumento del 0,7% nel 2015. Bene la domanda interna, ma soffrono ancora il calzaturiero e l’edilizia. In ripresa anche il credito

di Loredana Pistonesi

S

econdo le prime stime disponibili, nel 2015 il PIL regionale è tornato a crescere (0,7 per cento), a un ritmo analogo a quello osservato nel complesso del Paese. Nel confronto col 2007, ultimo anno prima della crisi, il prodotto regionale risulta però ancora inferiore del 12,5 per cento, un divario più ampio di circa quattro punti rispetto a quello dell’Italia. Gli indicatori più recenti delineano una prosecuzione della ripresa nella prima parte del 2016,

sebbene a un tasso ancora modesto. Le aspettative delle imprese per il complesso del 2016 sono improntate a un moderato ottimismo, sebbene con le cautele dovute all’incertezza circa l’evoluzione del commercio mondiale e l’intensità della ripresa della domanda interna. Nel 2015 la produzione industriale è leggermente cresciuta, sostenuta dal recupero della domanda interna. Si è invece interrotta l’espansione delle esportazioni, in atto dal 2010. Tra

i settori, la crescita della meccanica è proseguita a ritmi elevati; anche il comparto dei beni per la casa (mobili ed elettrodomestici), in cui l’economia regionale è fortemente specializzata, ha conseguito risultati in moderato miglioramento, dopo quelli assai sfavorevoli degli anni precedenti che avevano contribuito al divario negativo tra l’economia marchigiana e quella italiana. L’attività dell’industria calzaturiera si è invece ridotta, penalizzata dall’ulteriore netto calo delle esportazioni in Russia.

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ECONOMIA&TERRITORIO

Il PIL regionale cresce lentamente, come in Italia 

Si stima in regione un incremento dello 0,7 per cento

Nel confronto col 2007 (ultimo anno pre-crisi) il prodotto regionale risulta però ancora inferiore del 12,5 per cento (un divario più ampio che in Italia, di 4 punti) Prodotto Interno Lordo

(valori concatenati; base 2007=100) 105

105 Italia

Marche

100

100

95

95

90

90

85

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015 (*)

85

Fonte: elaborazioni su dati Istat, stime Prometeia. (*) Dati per le Marche stimati.

Nel comparto immobiliare si è osservata un’accelerazione delle compravendite: la ripresa delle nuove costruzioni è stata però frenata dalla consistente mole di abitazioni invendute ereditata dagli anni della crisi. Il quadro congiunturale continua a migliorare nei servizi, dove gli esercizi commerciali beneficiano del progressivo recupero della spesa delle famiglie per l’acquisto di beni durevoli. Il turismo ha riportato buoni risultati, che lasciano ben sperare in un costante sviluppo del settore. Investimenti e occupazione Il processo di accumulazione del capitale mostra segnali di rafforzamento, ma stenta ancora a collocarsi su uno stabile sentiero di crescita. In base all’indagine della Banca d’Italia sulle imprese industriali, nel 2015 gli investimenti sono aumentati, dopo che già nell’anno precedente si era arrestato il calo protrattosi quasi ininterrottamente dal 2008. I piani aziendali per il

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2016 non prevedono però un’intensificazione del tasso di accumulazione, che rimane storicamente basso. Nella parte finale dell’anno l’occupazione è cresciuta, beneficiando della ripresa dell’attività economica e dei recenti provvedimenti normativi, quali la riforma della disciplina dei rapporti di lavoro e, soprattutto, gli sgravi contributivi previsti per le nuove assunzioni. Si è avuta anche una ricomposizione delle assunzioni a favore dei contratti a tempo indeterminato. Il tasso di disoccupazione è diminuito, ma resta elevato nel con-

IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE È DIMINUITO, MA RESTA ELEVATO NEL CONFRONTO PRE-CRISI, SOPRATTUTTO PER ALCUNE FASCE DELLA POPOLAZIONE, QUALI I GIOVANI E GLI STRANIERI. fronto pre-crisi, soprattutto per alcune fasce della popolazione, quali i giova-

ni e gli stranieri. (grafico occupazione) Dalla seconda metà del 2015 i prestiti bancari all’economia regionale si sono stabilizzati, ponendo termine a un calo triennale. Crescono i prestiti all’industria, specie alle imprese mediograndi e a quelle classificate come non rischiose. Mentre resta in flessione il credito ai comparti delle costruzioni e dei servizi e alle aziende di minori dimensioni. Per le famiglie, sono in ripresa le erogazioni di mutui per l’acquisto di abitazioni. Nel complesso, la dinamica dei prestiti riflette le migliorate condizioni di domanda e di offerta: queste ultime, in particolare, sono divenute più accomodanti a giudizio sia delle banche sia delle imprese, anche grazie all’orientamento espansivo della politica monetaria. In regione il miglioramento del quadro congiunturale non si è però ancora riflesso sulla qualità del credito: il tasso di ingresso in sofferenza permane su valori elevati, sia nel confronto storico sia rispetto alla media nazionale, risentendo dell’ulteriore deterioramento dei finanziamenti all’edilizia. (grafico prestiti bancari) Nel 2015 il risparmio finanziario delle famiglie ha continuato a indirizzarsi verso i depositi bancari, la cui crescita ha però decelerato, e il risparmio gestito. Si stima che la ricchezza lorda delle famiglie marchigiane sia investita per circa sei decimi in attività reali e per quattro in attività finanziarie. Il portafoglio finanziario delle famiglie si caratterizza, nel confronto con l’intero Paese, per un maggiore peso delle componenti più liquide, quali i depositi e il circolante, e per una minore incidenza del risparmio gestito e delle azioni.


CNA

Con 24.316 soci, Fidimpresa Marche è il Confidi più grande della regione. Nel 2015 ha garantito a 3.500 artigiani e piccoli imprenditori finanziamenti per 162 milioni di euro di cui 104 a medio e lungo termine e 58 a breve termine.

MARCHE, IL RUOLO DEI CONFIDI PER IL CREDITO ALLE IMPRESE di Sergio Giacchi

“I

l Confidi unico è una delle priorità che si è data la Giunta regionale. A questo scopo abbiamo messo sul tavolo 12 milioni di euro per favorire l’aggregazione dei Con fidi,di cui il 10 per cento da destinare ai costi legati al processo di fusione. Con le aggregazioni si può aumentare la capacità di fornire servizi più innovativi e meno costosi per le piccole e medie imprese marchigiane”. Lo ha affermato l’assessore regionale alle Attività Economiche Manuela Bora intervenendo all’assemblea di Fidimpresa Marche, il Confidi della Cna. “I Confidi” ha affermato il direttore della sede di Ancona della Banca d’Italia Gabriele Magrini Alunno “sono uno strumento molto importante per l’accesso al credito delle piccole e medie imprese che sono l’anello debole

del sistema bancario e la vigilanza della Banca d’Italia è finalizzata a valorizzarne il ruolo sul territorio regionale.” Concetti ribaditi dal presidente dell’Abi Marche Luciano Goffi secondo il quale “va favorita l’aggregazione delle piccole e medie imprese per aiutarle ad affrontare i mercati internazionali”. Nelle Marche sono nove i Confidi artigiani, con 55.217 imprese associate di cui 36.648 artigiane, pari al 75 per cento delle imprese iscritte all’Albo, con oltre 350 milioni di euro di finanziamenti garantiti ogni anno. Dopo i saluti di Sabina Cardinali, presidente di Fidimpresa Marche, è stato il direttore nazionale Fedart Fidi Leonardo Nafissi, a parlare di credito e di Confidi, introducendo la tavola rotonda, moderata da Alberto Russo, advisor bancario e finanziario. Oltre all’Assessore Bora sono intervenuti il presidente regionale Abi Luciano

Goffi, il presidente Cna Marche Gino Sabatini e il direttore di Fidimpresa Marche Giancarlo Gagliardini. Al termine i soci di Fidimpresa Marche hanno approvato il bilancio 2015. “Tra dicembre 2011 e febbraio 2016” ha affermato Nafissi “ il credito alle imprese si è ridotto di 112 miliardi. Un calo impressionante. Equivale a un taglio di oltre l’11 per cento dello stock complessivo. Ma questo calo si trasforma addirittura in un crollo per le imprese artigiane che, nell’arco degli stessi 50 mesi, hanno subito un taglio vicino al 20 per cento allo stock di credito erogato dalle banche passando da 55,6 miliardi a 44,8 miliardi. Il metodo migliore per rilanciare il credito passa per il rilancio degli investimenti, pubblici e privati, e dei consumi. Contestualmente si può, e si deve, lavorare per creare un humus favorevole alla ripartenza, prima di tutto connettendo nuova finanza

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CNA e piccole imprese, anche attraverso forme innovative che coinvolgano i Confidi” Con 24.316 soci, Fidimpresa Marche è il Confidi più grande della regione. Nel 2015 ha garantito a 3.500 artigiani e piccoli imprenditori finanziamenti per 162 milioni di euro di cui 104 a medio e lungo termine e 58 a breve termine. Una presenza importante, quella di Fidimpresa Marche, anche nel contrasto all’usura. Lo scorso anno sono state 22 le imprese marchigiane ad aver evitato di finire nelle mani degli strozzini grazie ai 455 mila euro concessi dal Confidi della Cna tramite il fondo antiusura, dopo che le strade dei finanziamenti bancari erano state negate. “La leggera ripresa della domanda interna in atto,” ha sostenuto Sabatini può essere colta soprattutto da parte di imprese che ritornino ad investire.

Il credito e le istituzioni che lo garantiscono, devono svolgere in questa fase un ruolo decisivo per il rilancio della nostra economia, andando incontro alla domanda di finanziamenti delle piccole e medie imprese marchigiane che nel 2015 è aumentata del 3,2 per cento, con un importo medio richiesto di 70 mila euro”. Nel corso dell’assemblea si è ricordato che Fidimpresa Marche è stato il primo Confidi nelle Marche ad aver ottenuto dalla Banca D’Italia l’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari vigilati, a partire dall’1 aprile 2016, in base all’articolo 106 del nuovo Testo unico bancario. In questo modo la Banca d’Italia ha autorizzato Fidimpresa Marche all’esercizio di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico. “ L’iscrizione è una conferma” hanno sottolineato il presidente Fidim-

presa Sabina Cardinali e il direttore Giancarlo Gagliardini “ dell’intenso e proficuo lavoro svolto dall’intera struttura negli ultimi anni che ci ha consentito di aiutare centinaia di imprese a investire nella propria attività, garantendo e agevolando l’accesso al credito bancario. Siamo orgogliosi del riconoscimento della Banca d’Italia e lavoreremo sempre nell’ottica di una ulteriore crescita delle imprese marchigiane. E’ un risultato che ci consente di dare nuovo slancio all’attività di garanzia favorendo la crescita di tante medie, piccole e piccolissime imprese che costituiscono il nostro primario tessuto economico. Sempre attenti alle mutazioni dei territori e delle loro esigenze cercheremo di potenziare le nostre offerte di strumenti finanziari e di prodotti per gli investimenti delle Pmi”.

Assemblea Fidimpresa Marche

Assemblea Fidimpresa Marche

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CONFARTIGIANATO

L’ECCELLENZA DELL’ELEGANZA 100 aziende di moda alla Confartigianato

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innovative

ell’auditorium del centro direzionale di Ancona in esposizione le macchine da cucire più

Il nostro Paese è un protagonista indiscusso a livello mondiale del settore della moda, con una formidabile capacità di produrre tutta la filiera del fashion di alta qualità. Quel made in Italy che è vanto delle tantissime imprese artigiane che lavorano nella nostra regione. Le Marche infatti sono la prima regione in Italia per la fabbricazione di calzature. Grande specializzazione per abbigliamento ed accessori. La nostra regione è la più manifatturiera d’Italia in termini di quota di occupati nel comparto sul totale dell’occupazione con il 30% a fronte del 20,2% in media in Italia, secondo una ricerca dell’Ufficio Studi di Confartigianato. Una leadership che è anche europea: per quota di manifatturiero le Marche sono all’8° posto tra le 131 maggiori regioni dei 28 Paesi UE. Le ragioni del succes-

so della nostra moda sono prevalentemente la creatività e la tecnologia. Sono proprio le piccole imprese a fornire un apporto determinante alla leadership manifatturiera della nostra regione: più di 3 aziende su 4 hanno meno di 10 addetti. Un patrimonio da tutelare. Il falso “made in” e il mercato della contraffazione infatti minacciano quasi 4.800 imprese artigiane della nostra regione. Scarpe, vestiti, capi in pelle; la moda è il settore più a “rischio” e stando al report dell’Ufficio Studi della Confartigianato, le Marche sono seconde in Italia, dopo la Toscana e prima dell’Umbria, per la quota di artigianato manifatturiero (35 %) esposto a concorrenza sleale, percentuale inoltre nettamente superiore alla media italiana (19,8%). 100 aziende di moda si sono ritrovate presso il centro direzionale Confartigianato di Ancona, trasformato per l’occasione in un grande atelier con esposte le macchine da cucire più innovative. Hanno preso parte all’iniziativa il

presidente della Camera di Commercio di Ancona Giorgio Cataldi, il presidente mandamentale Confartigianato e imprenditore del settore Paolo Longhi, il responsabile Confartigianato Moda Andrea Rossi.

In collaborazione con le aziende Comnlett, Gutermann, Groz-Beckert, Juki, e Naomoto la Confartigianato ha organizzato questo evento che ha permesso ai partecipanti di visionare gli ultimi e più innovativi modelli di macchine e di ascoltare gli interventi dei tecnici sui vantaggi delle nuove tecnologie. Tutte le informazioni utili su www.confartigianatoimprese.net

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CONFCOMMERCIO

CULTURA E IMPRESA: PARTNERSHIP TRIENNALE TRA CONFCOMMERCIO MARCHE CENTRALI E MACERATA OPERA FESTIVAL

A

NCONA - Nasce nel segno dello sviluppo turistico la partnership tra Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali e il Macerata Opera Festival che assieme puntano ad elevare il livello di accoglienza territoriale legato alla kermesse operistica. Saranno interessate al progetto, che ha una base triennale, tutte le strutture ricettive che fanno parte di Federalberghi-Confcommercio Marche l’organizzazione più rappresentativa degli albergatori nella nostra regione. Lo Sferisterio richiama ogni anno circa 30-32 mila spettatori che sono in larghissima parte residenti fuori regione e turisti internazionali. Soprattutto a loro guarda il progetto che mira a proseguire il lavoro “avviato in questi anni – spiega il prof.Massimiliano Polacco direttore generale di Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali e segretario generale di F e d e r a l b e rg h i - C o n f c o m m e rc i o Marche –, nei quali abbiamo inve-

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stito moltissimo, in particolare nel Nord Europa . Questa operazione si è rivelata strategica. Solo la città di Macerata ha registrato un +10% di flusso turistico grazie a olandesi, tedeschi e belgi, che cercano le nostre città d’arte, il nostro territorio. Anche per questo prossimamente lanceremo il primo booking marchigiano integrato con servizi”. Inoltre Federalberghi Marche ha realizzato un sito, raggiungibile anche da quello dello Sferisterio, dove è possibile trovare la struttura ricettiva più adatta alle proprie esigenze, scegliendo tra sei differenti proposte, tra cui quella legata a Macerata e alla stagione lirica. Con il potenziamento del progetto ci sarà poi la possibilità, da parte dell’utente, di prenotare direttamente l’albergo e acquistare subito il biglietto per l’opera. Il sistema di booking permetterà quindi anche la realizzazione di pacchetti turistici personalizzati pertanto si tratta di uno sviluppo strategico che ha come obiettivo sempre più

evidente quello di incrementare i flussi turistici incoming nei nostri territori. Il rapporto triennale tra Confcommercio Marche Centrali e il Macerata Opera Festival guarda non solo allo sviluppo turistico ma è mirato anche agli associati maceratesi di Confcommercio con una serie di iniziative a partire dalla Notte dell’Opera che si svolgerà a Macerata il 4 agosto. In questa vera e propria festa della cultura cittadina, che coinvolge circa 50 mila presenze, Confcommercio Marche Centrali contribuirà per la parte legata al videomapping che ogni anno colora lo Sferisterio. “Il binomio cultura-turismo – le parole di Luciano Messi sovrintendente dell’Associazione Arena Sferisterio partner di Confcommercio in questa collaborazione per il turismo –, è sinergico e si sostiene reciprocamente. Siamo in una regione virtuosa. Come ha evidenziato il rapporto Symbola, le Marche è la quinta in Italia per incidenza del valore aggiunto di cultura e cre-


CONFCOMMERCIO

atività sul totale dell’economia”. Parole di sostegno a collaborazioni strategiche come questa anche da parte del direttore artistico del Macerata Opera Festival Francesco Micheli: “A Macerata, come in altri luoghi, si sta giocando una partita fondamentale nel senso dello stare insieme, a livello politico, sociale e culturale e queste aggregazioni non possono che fare bene allo sviluppo del territorio. Il Macerata Opera Festival nasce per recuperare la matrice popolare dell’opera lirica e devo dire che la nostra manifestazione ci sta fortemente caratterizzando nello scenario nazionale e internazionale“. L’anno prossimo Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali parteciperà più attivamente alle iniziative legate al Macerata Opera Festival coinvolgendo ancora più direttamente i

propri associati nell’iniziativa e in altri progetti che l’Associazione sta portando avanti nel territorio. Il riferimento è ancora e inevitabilmente anche al progetto Estory Telling Terre di Macerata, una pubblicazione digitale multimediale compatibile con tablet e smartphone che sarà una sorta di guida del futuro ai servizi ricettivi offerti nel territorio. “Vogliamo distaccarci dalla classica guida o dalla semplice applicazione – spiega il dg Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali -, e per farlo ci siamo affidati ad un mezzo nuovo, all’avanguardia semplice ed efficace capace di comunicare e al tempo stesso emozionare”. Secondo Polacco il futuro della promozione turistico-promozionale passa per progetti come Estory Terre di Macerata: “La promozione turistica funzio-

nerà sempre meglio perché sono pronti progetti come quello che a breve sarà a regime. Estory ‘Terre di Macerata’ è un progetto pilota di rete e di filiera, che sarà poi esteso anche ad altri territori, con l’obiettivo di promuovere e ‘vendere’ un territorio splendido, come quello maceratese che ovviamente non è l’unico, attraverso le nuove tecnologie ma con un taglio centrato sulle esperienze e sulle emozioni. Questa iniziativa rientra in un progetto marchigiano di rete sulla digitalizzazione sempre nell’ottica della promozione territoriale turistica che resta uno degli obiettivi primari della nostra attività“.

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PUNTO.PMI

L’OCCUPAZIONE RIPARTE DALLE PMI A febbraio 2016 l’occupazione nelle micro e piccole imprese segna un +0,4% su gennaio e addirittura un + 2,5% rispetto a febbraio 2015 di Fabio Di Giulio

N

elle micro e piccole imprese i nuovi posti di lavoro marciano a un ritmo quattro volte superiore al prodotto interno lordo. Stiamo parlando di contratti a tempo indeterminato, a tempo determinato, di apprendistato. Altro che crescita senza occupazione. Fugate, quindi, le paure di “jobless recovery”. Perlomeno nelle micro e piccole imprese. Lo rileva l’Osservatorio Mercato del Lavoro CNA, curato dal Centro Studi della Confederazione, che analizza mensilmente l’andamento dell’occupazione in un campione di 20.500 micro e piccole imprese con 125mila dipendenti. A febbraio 2016 l’occupazione nelle micro e piccole imprese è cresciuta dello 0,4 per cento su gennaio e del 2,5 per cento su febbraio 2015, l’aumento mensile più elevato degli ultimi quindici mesi. Tutto questo a fronte di un incremento del Pil che nell’intero 2015 si è fermato allo 0,7 per cento. Se la calcoliamo a partire dal primo dicembre del 2014 (quando è stata varata la Legge di Stabilità per il 2015) al 29 febbraio di quest’anno, l’occupazione

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nelle micro e piccole imprese è aumentata del 3,9 per cento: Ha permesso questo risultato il combinato disposto di due fattori. L’indiscussa capacità dei Piccoli di “sentire il vento” e di reagire in tempi rapidi a ogni variazione della congiuntura, anche minima. Le novità legislative introdotte negli ultimi due anni, che hanno semplificato le procedure di assunzione tramite i contratti a tempo determinato (Decreto Poletti), reso più convenienti le attivazioni a tempo indeterminato (Legge di Stabilità per il 2015), ridotti i rischi per le imprese sulla flessibilità in uscita (Jobs Act). L’incremento su base annua scaturisce dalla forte diminuzione delle cessazioni (-5,9 per cento) che ha superato la variazione, a sua volta negativa, delle assunzioni (-4,4 per cento). Il calo delle cessazioni ha riguardato tutte le tipologie contrattuali, sia pure su scale differenti: -1,5 per cento il tempo indeterminato, -9,8 per cento il tempo determinato, -10,7 per cento l’apprendistato. Il calo delle assunzioni quest’anno deriva soprattutto dal crollo dei nuovi contratti a tempo indeterminato (-36

per cento), a fronte dell’incremento delle assunzioni a tempo determinato (+15,3 per cento) e dei contratti di apprendistato (+29,3 per cento). Un anno fa, invece, le assunzioni a tempo indeterminato erano aumentate del 7,6 per cento, più dei nuovi contratti a tempo determinato (+7,1 per cento). Un forte calo (-24,1 per cento) era stato registrato dai contratti di apprendistato. A fare la differenza: la decontribuzione sulle assunzioni a tempo indeterminato. Questo dispositivo, nel 2015, prevedeva l’esonero al 100 per cento su un limite massimo di 8.060 euro; dal primo gennaio scorso, l’esonero è ridotto al 40 per cento con un tetto abbassato a 3.250 euro. Per effetto di queste dinamiche, tra febbraio 2015 e febbraio 2016 sono cresciuti gli occupati a tempo determinato (+63,7 per cento) e gli apprendisti (+14,3 per cento); risultano invece in calo gli occupati a tempo indeterminato (-2,3 per cento). Ma va tenuto presente che nelle micro e piccole imprese la stabilità dell’occupazione rimane un elemento fondativo e strutturale: riguarda, infatti, l’87,8 per cento dei contratti.


ORIENTAMENTO

L’INFLUENZA DEL CERVELLO NEI PROCESSI DECISIONALI di Silvia Cichella - Management Academy Sida group Area Risorse Umame

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l processo di decision making (scelta decisionale) è l’atto conclusivo di un ragionamento e può consistere nell’esprimere una valutazione su un evento o nella stima della sua probabilità. Per formulare un giudizio, è possibile effettuare due principali tipologie di elaborazione delle informazioni: algoritmo ed euristica, ovvero due processi celebrali cognitivi. Il nostro cervello, nel caso dell’algoritmo, attua una modalità di pensiero top- down. L’algoritmo infatti, rappresenta una procedura precisa, basata su calcoli statistici e matematici. Il processo di scelta decisionale attraverso sistemi di algoritmo, comporta per la persona un notevole dispendio cognitivo. Infatti, non sempre il soggetto riesce a ragionare in modo così perfetto, rispettando le regole formali e logiche, anche perché le situazioni quotidiane sono complesse, imprevedibili e non sempre quantificabili. L’algoritmo, rappresenta pertanto, un modello normativo ideale di ragionamento, attuato dal nostro cervello che però viene attuato più dalle macchine che dall’uomo. L’uomo infatti, tende a preferire strategie di inferenza cognitivamente più semplici, anche se meno precise: le euristiche, “scorciatoie cognitive”, che consentono di giungere a conclusione in modo rapido ed efficiente ma non sempre ottimale. Sin dagli anni 70, i processi di ragionamento mentale dell’uomo rispetto a delle scelte sono stati ben analizzati, rilevando che: molto spesso l’uomo nella vita quotidiana tende ad ignorare, sottovalutare o sopravva-

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lutare alcuni dati, ma soprattutto essere influenzato dalle emozioni e dal modo in cui è strutturato un problema ad attivare ragionamenti a partire da pregiudizi e poi conferme. Le euristiche si suddividono in diverse tipologie. L’euristica della disponibilità, consiste nel formulare un giudizio basando sulla facilità con cui si evoca un informazione sull’impatto emotivo che ha sul soggetto. L’euristica della simulazione riguarda i cosiddetti: ragionamenti controfattuali quelli che iniziano con il “se...” ovvero quando si possono formulare molti scenari alternativi ad un evento. L’euristica della rappresentatività è un modo di stimare la probabilità di un evento in base al grado di tipicità rispetto alla categoria a cui appartiene, ciò rappresenta la tendenza delle persone a crearsi una prima impressione in base a pochi elementi e facendo minimi aggiustamenti graduali dunque non si sforzano di approfondire la prima impressione, piuttosto tendono a confermarla anche quando gli elementi di partenza sono errati. In conclusione, possiamo affermare che molti sono i modi in cui gli individui cercano di categorizzare la realtà ed effettuare dei processi decisionali. Oltre ai meccanismi di base del nostro cervello, i fattori psichici come le emozioni, le motivazioni e i fattori sociali come il contesto di appartenenza della persona, rappresentano aspetti fondanti per i processi di scelta.

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ORIENTAMENTO

OLTRE IL QUOZIENTE INTELLETTIVO (Q.I.)

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di Silvia Cichella - Management Academy Sida group Area Risorse Umame

uando si affronta l’argomento “intelligenza”, spesso si incappa in un luogo comune, ovvero quello di pensare che l’intelligenza sia una facoltà riconducibile ad una unica dimensione psicologica. A diffondere le “convinzioni di genere”, sono sicuramente state le definizioni di intelligenza come “capacità di risolvere i problemi” ed anche la definizione di QI - ovvero punteggio ottenuto attraverso test standardizzati al fine di misurare o valutare l’intelligenza ovvero lo sviluppo cognitivo dell’individuo. In realtà è assai opinabile che con lo stesso termine ci si riferisca effettivamente a medesime capacità nei diversi contesti, come è opinabile che le diverse facoltà che concorrono a definire ciò che di volta in volta la chiamiamo intelligenza siano riconducibili ad un’unica principale dimensione di base. Vi sono ad esempio culture e sottoculture che con lo stesso termine enfatizzano una capacità di sapere, mentre altre enfatizzano una capacità di saper fare. Non sorprende pertanto che molti studiosi ritengono ormai superata la nozione di quoziente di intelligenza e problematica, se non fuorviante, la nozione di intelligenza “generale”. L’intelligenza non è mai generale bensì specifica per una determinata funzione cognitiva. Tramite molti studi si è scoperto che l’intelligenza influisce notevolmente sulla personalità degli individui. L’intelligenza è data da tre caratteristiche fondamentali: la competenza che deriva dall’esperienza e che può au-

mentare con l’esercizio, il contesto e la pratica. Il contesto e la pratica sono fondamentali poiché un comportamento può risultare intelligente o meno in base al contesto e allo scopo. Gardner ha identificato 7 diverse tipologie di intelligenza (linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporeo-cinestetica, personale, interpersonale) sottolineando come queste non siano totalmente separate l’una dall’altra. Ogni persona può usare diversi aspetti della propria intelligenza per risolvere problemi comuni e ogni cultura ritiene privilegiate alcune forme di intelligenza in particolare piuttosto che altre. Goleman a tal proposito, sottolinea il valore dell’intelligenza emotiva che consiste nella capacità di riconoscere le emozioni proprie e quelle altrui e di usare queste informazioni x guidare le proprie azioni. Le emozioni inoltre sono fondamentali perché le persone amano poter guardare con orgoglio le proprie azioni. Guidare in modo idoneo le proprie azioni può rappresentare l’applicazione dell’intelligenza di tipo analitica, pratico-contestuale e creativo sintetica per il ragionamento astratto, il successo scolastico e lavorativo, la soluzione dei problemi quotidiani, raggiungimento dei propri scopi, modifica degli obiettivi al fine di trarre vantaggio dalle circostanze. In conclusione siamo ad oggi ad affermare che l’intelligenza è un fattore cognitivo pensabile sempre più in una prospettiva olistica ed eclettica piuttosto che settoriale.

GUARDIAN ANGEL DELL’ORIENTAMENTO di Martina Brunetti - Management Academy Sida Group Area Orientamento e Formazione

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n Italia, con il decreto ministeriale n. 166/2001, si assiste al primo tentativo di definire limiti e i vincoli per l’esercizio della professione di orientatore, circoscrivendo l’attività

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di orientamento a tutti quegli interventi di carattere informativo, formativo, di consulenza, finalizzati a promuovere l’auto-orientamento e a supportare la definizione di percorsi


ORIENTAMENTO personali di formazione e lavoro, in sostegno all’inserimento occupazionale. Lo stesso decreto individua e definisce sostanzialmente due figure principali addette all’orientamento e legittimate a svolgere tale professione: • Orientatore • Tutor dell’inserimento L’orientatore è una figura professionale che svolge la diagnosi dei fabbisogni e della domanda individuale di orientamento; redige progetti di interventi orientativi individuali o di gruppo, a seconda delle varie casistiche; gestisce l’accoglienza e lo screening dell’utenza e delle azioni di informazione orientativa, consulenza orientativa e gestisce le relazioni con soggetti locali, escluse le attività di accompagnamento nel mondo del lavoro. Il tutor dell’inserimento, invece, si occupa dell’analisi continua del mercato locale; progetta interventi di assistenza, di consulenza o di tutoring all’inserimento lavorativo; gestisce le relazioni con i soggetti locali e, infine, assiste e supervisiona l’utente allo sviluppo manageriale, quando richiesto. Questo significa che l’orientatore si delinea come una figura a tutto tondo, attiva su versanti progettuali, informativi e della consulenza, mentre il tutor all’inserimento può svolgere anche alcuni compiti di carattere informativo come il supporto nelle fasi di reperimento delle informazioni, nonché la selezione delle varie aziende in linea con le competenze e le aspirazioni degli utenti o l’elaborazione di un curriculum, di una lettera di presentazione, di un’autocandidatura o della simulazione di colloqui di lavoro.

L’orientamento può considerarsi come un’azione “globale” in grado di attivare e facilitare il processo di conoscenza del soggetto Solo con la pubblicazione dell’Accordo Stato-Regioni del 2002, si assiste alla delega alle Regioni della definizione delle credenziali degli operatori di orientamento e, successivamente, alla proposta di costruzione di un sistema di certificazione delle competenze nazionale. Dal 2003, in seguito alla pubblicazione del suddetto decreto, l’Isfol – Istituto per lo sviluppo e la formazione professionale dei lavoratori – pubblica una serie di documenti, frutto del lavoro di team di esperti, docenti universitari e tecnici, nei quali delinea e definisce i confini della professione di orientatore.

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In tal senso viene circoscritto l’ambito di attività e la missione dell’orientatore al lavoro, il quale ‘si occupa di aiutare giovani e adulti nella ricerca di un’occupazione professionale, fornendo informazioni riguardo alle opportunità del mondo del lavoro, così come della formazione’. Come si può leggere dal glossario pubblicato dall’ISFOL, l’orientamento è un intervento finalizzato a porre la persona nelle condizioni di poter compiere delle scelte personali circa il proprio progetto personale/professionale e di vita. Tale intervento non coincide con un particolare momento dell’esistenza (la scelta degli studi o il cambiamento di un percorso lavorativo), ma rappresenta un sostegno a un periodo piuttosto lungo della transizione tra infanzia ed età adulta. L’orientamento mira alla finalità educativa dell’autonomia, come capacità fondamentale affinché la persona possa muoversi in una società complessa e scarsa di protezioni e garanzie totali. Esso, pertanto, si inscrive a pieno titolo nell’ambito del processo di educazione e di formazione integrale della persona intesa come modalità educativa permanente, ovvero quella “attenzione della persona che corrisponde alla piena espressione della sua identità, professionalità e vocazione in riferimento alla realtà in cui essa vive”. L’orientatore assume le fattezze di un angelo custode, sempre pronto a dispensare consigli e comunque predisposto ad affiancare la persona in ogni fase della vita, dalla scelta dell’Istituto d’istruzione superiore alla pensione e anche oltre. L’orientamento, infatti, può considerarsi come un’azione “globale” in grado di attivare e facilitare il processo di conoscenza del soggetto. In questo senso, orientare significa porre l’individuo nella condizione di poter prendere coscienza di sé, della realtà occupazionale, sociale ed economica per poter effettuare scelte consapevoli, autonome, efficaci e congruenti con il contesto. Si tratta di un’azione con finalità maturativa che deve facilitare la capacità di auto-orientarsi attraverso un servizio di processo volta a facilitare la conoscenza di sé, delle proprie rappresentazioni sul contesto occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, sulle strategie messe in atto per relazionarsi e intervenire con tali realtà al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, nonché elaborare o ri-elaborare un progetto di vita e di sostenere le scelte relative. L’orientamento è un argomento quanto mai attuale nella nostra società perché è sempre più pressante la necessità di orientarsi e, soprattutto, di compiere questa azione in modo permanente durante l’arco della vita avvalendosi di un esperto “angelo custode”.

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OCCUPAZIONE

INSERIMENTO LAVORATIVO DEI DISABILI: COSA CAMBIA CON IL JOBS ACT di Vilma Mazzocco - Management Academy Sida Group Area Terzo Settore

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decreti attuativi del Jobs Act ridefiniscono l’accesso al lavoro delle persone con disabilità. Un traguardo importante visto che si è intervenuti per fare chiarezza su alcuni istituti previsti dalla legge 68/99, che riguarda il collocamento mirato, ma anche di innovare e semplificare alcune parti della stessa ormai superate.

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I dati contenuti nell’ultima relazione al Parlamento sulla legge 68/99 dicono chiaramente che la normativa vigente avesse bisogno di una manutenzione straordinaria: 676.775 persone con disabilità iscritte agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio nel 2013, con 68.020 nuovi iscritti solo in quell’anno. Iscrizioni in crescita, perché nei momenti di crisi per chi ha una disabilità


OCCUPAZIONE lieve diventa particolarmente “competitivo” stare in quelle liste. Gli avviamenti al lavoro delle persone con disabilità tuttavia nel 2013 sono stati 18.295, segnando un nuovo minimo storico rispetto al precedente minimo di 20.830 avviamenti nel 2009. In sostanza con il decreto attuativo “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”, viene modificata la disciplina del collocamento mirato per i disabili. Innanzitutto la modalità di “chiamata” dei lavoratori disabili e gli obblighi di assunzioni riservate per le aziende. Se precedentemente l’obbligo per le aziende di assumere un lavoratore disabile scattava dai 15 dipendenti solo nel caso di nuove assunzioni, con il nuovo decreto, a partire dal 2017, il semplice fatto di avere dai 15 ai 35 dipendenti impone al datore di lavoro di avere alle proprie dipendenze lavoratori disabili, in numero pari a quanto previsto dalle quote stabilite. Stesso obbligo viene applicato a partiti, sindacati e associazioni senza scopo di lucro. Insomma si tratta di inserire la persona giusta al posto di lavoro giusto, superando il principio di mero obbligo di rispetto dell’aliquota. Inoltre le aziende potranno poter conteggiare, nella quota di riserva, lavoratori divenuti disabili durante il rapporto di lavoro che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60%, o al 45% se si tratta di disabilità psichica, anche se non sono stati assunti tramite il collocamento obbligatorio.

676.775 persone con disabilità iscritte agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio nel 2013, con 68.020 nuovi iscritti solo in quell’anno

Ed ancora, la riforma degli incentivi per l’assunzione, che vanno dal 35% al 70% della retribuzione, con una particolare attenzione alla loro durata prolungata nel tempo e a quelli rivolti ai lavoratori con disabilità psichica o intellettiva per i quali l’incentivo è del 70% della retribuzio-

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ne mensile lorda per 60 mesi sia per assunzioni a tempo determinato che indeterminato. Analogo incremento del 10% si applica per coloro che si trovano in condizioni di ‘media’ disabilità (comunque superiori al 67%). In tutti gli altri casi, invece, lo sgravio contributivo è previsto soltanto per le assunzioni a tempo indeterminato e per la durata di 36 mesi. Viene modificato anche l’accesso agli incentivi, con la corresponsione diretta e immediata al datore di lavoro da parte dell’ INPS. Altre novità: • istituzione della Banca Dati del collocamento mirato, che consente di raccogliere e incrociare numerose informazioni di flusso sul lavoro delle persone disabili e l’introduzione del finanziamento forfettario parziale di tutti quegli “accomodamenti ragionevoli”, previsti dalla Convenzione ONU, che consentano la valorizzazione del lavoro delle persone disabili senza comportare oneri sproporzionati alle imprese. • Attivazione del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili nel quale confluiscono gli importi di tutte le sanzioni amministrative previste dalla legge, i contributi dovuti dai datori di lavoro ad eccezione di quelli che scaturiscono dai conferimenti all’art. 13 (come quello dovuto dalle imprese che “scomputano” dal prospetto informativo i lavoratori per i quali pagano un premio INAIL pari o superiore al 60 per mille) e le eventuali erogazioni dei privati, degli Enti e delle Fondazioni. Il Fondo regionale erogherà contributi per il rimborso forfettario delle spese necessarie per l’adeguamento delle postazioni lavorative occupate da lavoratori portatori di un handicap superiore al 50%, per l’approntamento di tecnologie da lavoro, per la rimozione di barriere architettoniche che limitano l’integrazione lavorativa si soggetti con disabilità, nonché per istituire il responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro. La ridefinizione dell’impianto normativo del collocamento mirato attraverso i decreti attuativi del Jobs Act congiuntamente ai percorsi di inserimento lavorativo attivato dalle cooperative sociali di inserimento lavorativo ampliano le forme di accesso al lavoro delle persone con disabilità e dei soggetti svantaggiati.

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OCCUPAZIONE

INSERIMENTO LAVORATIVO DEI SOGGETTI SVANTAGGIATI

NELLE COOPERATIVE SOCIALI DI TIPO B:

convenzioni per l’assolvimento degli obblighi previsti dalla L.68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”

di Vilma Mazzocco - Management Academy Sida Group Area Terzo Settore

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e cooperative sociali B sono circa tremila e fatturano circa due miliardi di euro. Operano in tutti i settori produttivi ed hanno l’obbligo di assumere almeno il 30% dei lavoratori tra le persone svantaggiate: disabili, persone con disagio psichico, condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, alcolisti, minori in età lavorativa con difficoltà familiari. Assumere lavoratori altrimenti esclusi dal mercato del lavoro, oppure condannati alla dipendenza dal sistema assistenziale, è la finalità che perseguono le cooperative sociali di tipo B. Le cooperative sociali di inserimento lavorativo sono uno dei principali strumenti di politica attiva del lavoro a favore delle fasce più deboli e un importante mezzo di con-

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trasto alla povertà. Sono più di 30.000 i lavoratori svantaggiati che lavorano, regolarmente remunerati, in queste organizzazioni. Nel complesso, il loro fatturato deriva per metà circa da fonti private, cioè dalla vendita dei beni e servizi prodotti ad altre imprese o a consumatori, e per metà da contratti con pubbliche amministrazioni. L’ opportunità costituita dalla convenzione ex. dall’art.14 del D.Lgs. 276/2003 che ha come finalità l’inserimento lavorativo dei lavoratori disabili nelle cooperative sociali di tipo B, attraverso la fornitura di commesse da parte di aziende soggette all’obbligo di assunzione di disabili in base alla normativa vigente, ancora non ha espresso tutto il suo potenziale innovativo e progettuale.


OCCUPAZIONE Attraverso la sottoscrizione di una specifica convenzione, le imprese esternalizzano lavoro alle cooperative sociali che impiegano lavoratori disabili con difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario e possono assolvere, in questo modo, all’obbligo di riserva secondo quanto stabilito dalla legge 68/99 che disciplina le “Norme per il diritto al lavoro delle persone disabili”. L’utilizzo di questo strumento, quindi, consente alle imprese di adempiere agli impegni occupazionali previsti dalla L. 68/99 mediante l’affidamento di commesse lavorative a cooperative di inserimento lavorativo. Il datore di lavoro committente, per la durata della commessa (periodo non inferiore a 12 mesi), potrà computare i lavoratori disabili inseriti nella cooperativa sociale in esecuzione della convenzione, per la copertura della propria quota d’obbligo.

Il mondo delle imprese e la cooperazione sociale possano offrirsi reciprocamente stimoli importanti

Diverse regioni hanno dato vita alle convenzioni di cui sopra. Anche la Regione Marche sta operando in tal senso e prossimamente saranno definiti l’Accordo Quadro e la prima Convenzione Tipo nella Regione. Anche in questo periodo, nonostante le difficoltà venutesi a creare a seguito della crisi economica, è stato mantenuto un trend di crescita nel ricorso a questo strumento, soprattutto alla luce del grado di flessibilità che esso può offrire nell’adempimento agli obblighi di legge. A tale proposito è importante segnalare che la commessa di lavoro affidata alla cooperativa non deve riguardare esclusivamente l’attività caratteristica dell’azienda ma può anche essere riferita sia ad attività di servizi operativi (pulizie, manutenzione del verde, gestione magazzino, ecc) che di servizi di più alto livello (progettazione, amministrazione, comunicazione, contact e direct marketing, grafica, web, product & sales management, organizzazione eventi, ambasciatore di hotel, internazionalizzazione,

A CURA DI

analista CRM, figure a supporto di nuove modalità didattiche, docenza, consulenza nonché Ricerca & Sviluppo). Per tutte queste attività si tratterà di selezionare le persone più idonee nonché formarle con corsi professionalizzanti affinché i gruppi formatisi possano operare come specialisti. La cooperativa di tipo B potrà svolgere anche questa funzione: enucleare gruppi a seconda delle potenzialità e formarli per poi offrire alle aziende questi servizi a più alto contenuto professionale con la convenzione di cui sopra. Il mondo delle imprese e la cooperazione sociale possano offrirsi reciprocamente stimoli importanti, ciascuno dando un insostituibile contributo alla promozione e alla creazione di opportunità, che tengano conto, in modo solidaristico e concretamente fattivo, dei diversi attori di un territorio, delle differenti necessità, della pluralità di bisogni e prospettive. Tale collaborazione, proprio attraverso l’utilizzo della convenzione ex. art. 14 del D.Lgs. 276/2003, può risultare determinante anche per affrontare adeguatamente il fenomeno della disabilità, al fine di uscire da una logica puramente assistenziale per assumerne una finalizzata allo sviluppo e alla crescita della persona. Il ricorso a questo strumento consente il raggiungimento di alcune finalità specifiche quali: • finalità sociale, legata all’utilizzo di uno strumento di promozione dell’inserimento lavorativo di fasce svantaggiate di lavoratori attraverso la valorizzazione del ruolo delle cooperative sociali di tipo B, che hanno come finalità l’ingresso nel mercato del lavoro di persone in situazione di svantaggio. Tale attenzione potrebbe anche rientrare in una più ampia strategia di Responsabilità Sociale di Impresa; • finalità giuridica, legata all’assolvimento dell’obbligo; • finalità economica, legata al contenimento dei costi operativi delle attività esternalizzate, alla riduzione dei costi relativi all’inserimento del disabile in termini sia di costo del lavoro, che di tutoraggio, che di adeguamento della struttura aziendale, di miglioramento delle condizioni di flessibilità delle strutture di costo; • finalità di carattere competitivo, connessa alla possibilità di concentrare le risorse aziendali su attività che possono creare e sviluppare il vantaggio competitivo dell’azienda, attraverso il potenziamento delle proprie core competence.

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CLUBECONOMIA&FINANZA

IL CAPITALE DI RISCHIO È CIÒ DI CUI ABBISOGNA L’ECONOMIA PER SOSTENERE E ACCELERARE LA CRESCITA STRUMENTI E FONTI PUBBLICHE ITALIANE A SOSTEGNO

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di Giuseppe Barchiesi - Club Economia e Finanza Sida Group caratterizzare l’attuale struttura del sistema finanziario italiano (sistema famiglie, sistema aziende, sistema bancario, sistema pubblico), concorrono:

1 – una bassa capitalizzazione 2 – un alto livello di indebitamento 3 – una difficoltà del sistema bancario a sostenere i processi di turnaround e di crescita. Il livello dell’indebitamento costituisce un ostacolo, un freno, che mettendo in difficoltà tale sistema provocano tre principali effetti: • Una forte riduzioni delle risorse pubbliche per sostenere l’economia a causa degli effetti negativi della recessione sul saldo della finanza pubblica • Una riduzione dell’offerta di credito a medio e lungo termine, in seguito al processo di aggiustamento dei bilanci del sistema bancario • Una riduzione dell’offerta di capitale per le imprese (già parzialmente sottocapitalizzate), dovuto ad un generale prosciugamento dei canali o fonti di finanziamento dell’economia e ad una mutata percezione del rischio. Un circolo vizioso, questo, che si è venuto a creare tra banche, imprese e settore pubblico, con conseguenze negative di lungo periodo sulla crescita. Per uscirne è necessario prima di tutto aumentare il capitale nel sistema economico. Le banche devono ridurre drasticamente la leva finanziaria con ciò adeguarsi ai criteri di Basilea III ed essere coerenti con il quantitative easing, consentendo così di rivitalizzare il finanziamento alle imprese. Le imprese, per migliorare il rapporto tra mezzi propri e mezzi presi a prestito (necessità per accedere a nuovi finanziamenti) e per ridurre nei loro conti economici l’entità del costo del denaro acquistando così competitività e

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per tornare ad investire per crescere e internazionalizzarsi, hanno bisogno di nuove infrastrutture finanziarie che consentano la predisposizione di piani sostenibili nel lungo periodo. E’ quindi necessario nuovo capitale per sostenere il riavvio dell’economia. E’ opportuno creare, nell’intero contesto europeo, le migliori condizioni per attivare investimenti nazionali ed esteri. Tra queste: • un quadro politico, istituzionale e di finanza pubblica (europeo e nazionale) stabile; • un sistema regolamentare (contabile e fiscale) che non penalizzi, ma piuttosto incentivi gli investimenti di medio e lungo periodo; • la creazione e il rafforzamento di strumenti pubblici e privati di co-investimento in capitale di rischio, attraverso l’offerta di capitale e garanzie con un orizzonte di ritorno sull’impiego di lungo periodo. Al riguardo si stanno sviluppando strumenti e fonti per fornire all’economia nuovi capitali destinati a progetti di sviluppo di lungo periodo sia a livello europeo (BEI, Commissione Europea, BCE, FEI) che a livello italiano (Cassa deposito e prestiti, Fondo strategico italiano, Fondo Investimenti Innovativi, Fondo Centrale di Garanzia, SACE, SIMEST, INVITALIA, Mercato Azionario AIM, etc…). Si sta sviluppando una finanza innovativa e alternativa complementare con il “mercato tradizionale”. Il ruolo delle istituzioni preposte diventa sempre più importante per garantire il ripensamento di quelle risorse necessarie a soddisfare le domande di capitali che nascono dal sistema produttivo. Quest’ultimo deve ben interpretare il cammino da fare per ottenere l’importante partnership.


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150 MILIARDI PER DARE FIDUCIA AI RISPARMIATORI CHE INVESTONO SUL SISTEMA BANCARIO E PER RALLENTARE LA FUGA DI CAPITALI VERSO I BENI-RIFUGIO di Flavio Guidi - Club Economia e Finanza Sida Group

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Europa ha approvato la “Scudo”, manovra da 150 miliardi a sostegno e a protezione del sistema bancario, provvedimento che avrà efficacia fino al 31.12.2016. Si è voluto così proteggere il sistema delle banche dalla paura che sta attraversando il depositante e l’investitore in seguito dalla caduta di valore dei titoli azionari delle banche, causata dall’ondata emotiva della Brexit e dai conseguenti effetti speculativi che caratterizzano l’andamento volatile dei valori di borsa. Il fondo sarà utilizzato nel caso in cui le banche si venissero a trovare in difficoltà di liquidità. L’utilizzo è a titolo di finanziamento e sarà riservato solo a quegli istituti che hanno dimostrato la capacità di produrre redditi positivi. Un provvedimento che contrasta gli effetti del “bail in” in attesa di un nuovo provvedimento europeo che ne limiti

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gli effetti che hanno prodotto l’instabilità nei mercati del risparmio e dell’impiego. Un’azione diretta a sostenere la fiducia del risparmiatore e dell’investitore verso le aziende di credito e a rallentare la corsa verso i beni-rifugio e gli investimenti in titoli tedeschi. Le banche più sensibili dovranno cogliere questo ulteriore mezzo di sostegno che viene offerto dallo Stato per revisionare il loro business, gli assetti societari, gli assetti organizzativi, per velocizzare i processi di cambiamento e ripensare alla loro funzione e al loro ruolo nel sistema economico specializzandosi, caratterizzandosi, integrandosi, ristrutturandosi e ampliando la loro piattaforma di business verso il cliente, passando così da un approccio product-oriented ad uno customer-oriented.

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CLUBECONOMIA&FINANZA

I FONDI DELLE GRANDI BANCHE EUROPEE IN FAVORE DELLE PMI di Club Economia e Finanza Sida Group

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a Commissione Europea ha stabilito una serie di principi pensati per incoraggiare la creazione di un ambiente economico focalizzato sulle piccole e medie imprese (Small Business Act SBA). Per la prima volta, è stato riconosciuto il ruolo centrale delle PMI nell’economia europea, ed attivato un piano articolato di interventi volti a rafforzare queste realtà e promuoverne la crescita. Una simile linea operativa è particolarmente interessante per l’Italia, data l’elevata incidenza delle imprese

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di dimensioni ridotte sul sistema produttivo nazionale, sia in termini numerici che di occupazione. L’avvio, lo sviluppo e la crescita delle PMI programmati dalla Commissione Europea passano necessariamente attraverso l’accesso ai finanziamenti, rappresentati tradizionalmente dal debito bancario. Tuttavia in un contesto in cui l’offerta di credito risente pesantemente delle tensioni finanziarie, diventa assolutamente necessario riuscire a trovare canali alternativi, attraendo gli investimenti aziona-


CLUBECONOMIA&FINANZA ri. L’intento delle iniziative promosse è di incrementare il numero di aziende che fa ricorso al capitale di rischio, una risorsa estremamente importante specialmente nelle fasi dello sviluppo aziendale, in cui risulta difficile rivolgersi ai canali tradizionali. Dato lo scarso interesse che i mercati azionari mostrano per le piccole imprese, anche quando si tratta di realtà sane, innovative e con significative potenzialità di crescita, è il settore pubblico che viene chiamato a sostenere gli investimenti azionari. A tale scopo si sono sviluppati nei paesi europei numerosi Fondi di Private Equity, con l’intento di coinvolgere sempre più al loro interno gli investitori privati. Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) è un’istituzione finanziaria dell’Unione Europea, avente sede in Lussemburgo, istituita per agevolare l’accesso al credito per le PMI di tutti gli Stati membri. Il FEI è costituito da una partnership pubblico-privato composta da tre azionisti principali: la Banca Europea per gli Investimenti (62.1%), la Commissione Europea (30%) e diversi istituti finanziari europei (7.9%). Il FEI, potendo contare su una dotazione di oltre 18 miliardi, fornisce indirettamente capitale di rischio alle PMI, in particolare alle start-up ed alle imprese innovative orientate alla tecnologia. Opera mediante investimenti in Fondi di Private Equity e Venture Capital, che a loro volta acquisiscono le partecipazioni nelle imprese. Offre inoltre strumenti di garanzia, rivolti ad istituti finanziari a copertura dei prestiti concessi alle PMI. Nell’ambito delle sue attività, il FEI ha realizzato investimenti, per oltre 6 miliardi di euro complessivi in più di 370 fondi di Private Equity in tutta Europa, diventando rapidamente il principale investitore istituzionale nel mercato europeo del capitale di rischio, in particolare nei segmenti high-tech ed early stage. In collaborazione con la Commissione europea, il FEI e la BEI rivestono un ruolo principale nel piano di investimenti per l’Europa, con la creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Avviato nel 2015, il FEIS mira a mobilitare finanziamenti privati per investimenti strategici che non possono essere finanziati esclusivamente dal mercato. L’obiettivo del Fondo, che può contare su risorse per 21 miliardi di Euro, è di generare di nuovi investimenti tramite finanziamenti diretti da un lato, ma soprattutto attraendo capitale dagli investitori privati. Al fianco delle istituzioni di carattere comunitario, anche a livello nazionale i Paesi europei hanno provveduto a dotarsi di organismi utili al perseguimento delle direttive dell’Unione. Il gruppo bancario tedesco KfW tramite i fondi “ERP Start Fund” e “German SME Equity Fund” promuove il miglioramento sostenibile delle piccole medie imprese. In

A CURA DI

Francia il Gruppo Caisse des Dépôts et Consignations attraverso la controllata CDC Entreprises, sostiene le PMI non quotate e con potenziale di crescita. Anche l’Italia si è mossa in questo senso. Il Fondo Italiano di Investimento (FII) nasce proprio per fronteggiare il rischio che le PMI, già strutturalmente sottocapitalizzate, non abbiano risorse necessarie per perseguire progetti di sviluppo. L’obiettivo è quello di creare un’ampia fascia di aziende di media dimensione attraverso processi di aggregazione tra le imprese minori, incrementando il livello di competitività sui mercati internazionali. Il progetto di costituzione del Fondo, è stato elaborato da un Comitato di Direzione di cui hanno fatto parte i rappresentanti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, delle “Banche Sponsor” (UniCredit Group SpA, Intesa-Sanpaolo SpA, Banca Monte dei Paschi di Siena SpA e Cassa Depositi e Prestiti SpA), di Confindustria e dell’Associazione Bancaria Italiana: sono queste le istituzioni che ad oggi costituiscono l’azionariato. Dal 2011 il Fondo ha operato acquisendo quote di minoranza in imprese con un fatturato tra i 10 e i 250 milioni di Euro, nell’ambito di operazioni di patrimonializzazione, con lo scopo di finanziare lo sviluppo di imprese già avviate. Le imprese target hanno una solidità patrimoniale ed una redditività appropriata, oltre a presentare un elevato potenziale di creazione di valore. Oltre agli investimenti diretti il Fondo ha operato anche come “fondo di fondi”, con partecipazioni in istituti finanziari che investono nelle PMI. Per rendere più efficiente la sua attività, il 5 Aprile 2016 il Fondo è stato diviso in tre nuovi veicoli di investimento, ognuno specializzato in un diverso ambito. Il primo ha mantenuto le caratteristiche originarie, e investe in imprese già avviate privilegiando le aziende qualitativamente, tecnologicamente e strutturalmente in grado di porsi come elemento innovativo e distintivo, sia in campo nazionale che internazionale. Attualmente detiene partecipazioni in 28 società, operanti sia in campo industriale che nel settore dei servizi. Il secondo, il “Fondo Italiano di Investimento Fondo di Fondi”, effettua interventi di sostegno finanziario indiretto. Il portafoglio è composto da quote di 16 fondi italiani dedicati allo sviluppo aziendale. Infine il “Fondo Italiano di Investimento FII Venture”, partecipa in Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) aventi politiche focalizzate su progetti in fase di start-up e di sviluppo innovativo. È azionista dei 5 maggiori fondi nazionali specializzati nel sostegno durante la fase seed, tra cui “360 Capital” che con oltre 300 milioni di euro di capitale rappresenta la più importante realtà italiana del settore.

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CASSA DEPOSITI E PRESTITI IL NUOVO RUOLO A SOSTEGNO DELLA FINANZA ITALIANA di Club Economia e Finanza Sida Group

A

livello nazionale, per far fronte alle esigenze delle imprese e cercare di accelerare e sostenere l’economia italiana nella crescita, si punta sulla promozione del Made in Italy e sull’Internazionalizzazione, cercando di aumentare non solo l’export ma anche gli investimenti al di fuori dei confini territoriali. In quest’ottica opera Cassa Depositi e Prestiti (CDP) grazie alla costituzione di strumenti specifici nati per supportare l’imprenditoria italiana nello sviluppo e nel potenziamento dell’operatività. Cassa Depositi e Prestiti è una società per azioni controllata dallo Stato Italiano e posseduta per l’80,1% dal Ministero dell’economia e delle Finanze, per il 18,4% da varie fondazioni bancarie e per il restante 1,5% da azioni proprie. Nasce nel 1850 a Torino come Fondazione destinata a ricevere i depositi dai soggetti sia pubblici che privati, come

Finanziamenti / Garanzie Enti Pubblici e Territorio Real Estate

Infrastrutture

Mutui di scopo

SACE (factoring)

Finanziamenti corporate e project finance

Imprese

Garanzie

SACE (garanzie finanziarie)

Plafond Imprese (PMI, strumentali, MID)

Plafond settore residenziale

Fondi a favore delle zone colpite da calamità naturali

Plafond Export Banca

SACE (garanzie all’export, polizza investimenti, operazioni di rilievo strategico)

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SACE (factoring)

luogo di “fede pubblica”; a seguito dell’evoluzione delle sue funzioni, nel 2012 nasce il Gruppo CDP, risultato dell’acquisizione di SACE, Simest e Fintecna da parte del MEF. CDP ha inoltre un ruolo decisivo nella gestione del risparmio nazionale e postale (di cui gestisce il 78% della raccolta) ed è il principale azionista di diverse società quotate a rilevanza nazionale e internazionale. L’Istituto svolge un ruolo fondamentale nella gestione dei finanziamenti alla Pubblica Amministrazione, nello sviluppo delle infrastrutture e nelle politiche industriali dell’Italia. Negli ultimi anni CDP ha affiancato gli strumenti di debito tradizionali quali finanziamenti e garanzie, a nuovi strumenti di equity con cui ha effettuato investimenti nei settori più diversi come il settore energetico, delle reti di trasporto ed immobiliare, potenziando gli strumenti per l’export e l’internazionalizzazione. Di seguito la sintesi dei principali strumenti:

Equity •

EEEF European Energy Efficienncy Fund

CDP Immobiliare

FIA Fondo investimenti per l’Abitare

FIV Fondo Investimenti per la Valorizzazione

Fondo Immobiliare di Lombardia

F21 Fondo Italiano per le Infrastrutture

Marguerit e Fund

Infame Fund

Fondo PPP

FSI Fondo Strategico Italiano

FII Fondo Italiano d’Investimento

FEI Fondo Europeo per gli investimenti

SIMEST (partecipazioni dirette e Fondo di Venture Capital)

Altre (conto terzi, agevolazioni)

Anticipazioni debiti PA

FRI Fondo Rotativo per il sostegno alle imprese e agli Investimenti in ricerca

Fondo Kyoto

Fondo Intermoda

Fondo veicoli minimo impatto ambientale

Patti territoriali e Contratti d’Area

SIMEST (fondi 295 e 394)


CLUBECONOMIA&FINANZA La gestione dei suddetti ha portato il Gruppo CDP a gestire e mobilitare, nel 2015, circa 30 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2014 del 6%. Le linee di attività in cui le risorse sono state maggiormente erogate sono: le imprese per il 74%, gli Enti Pubblici e Territorio per il 20% e le infrastrutture per il 6%. A fronte dell’attività svolta, nel 2015 il risultato netto del Gruppo evidenzia una perdita di 859 milioni di euro, derivante principalmente dai risultati negativi conseguiti da ENI (di cui detiene il 25,76%), mentre contributi positivi derivano dall’operato di SACE, FSI, SNAM e Terna. Il totale dell’attivo di bilancio si è attestato intorno ai 398 miliardi di euro con una variazione di -0,9% rispetto al 2014. Mentre il patrimonio netto consolidato complessivo si aggira intorno a 34 miliardi di euro circa, mantenendosi sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente sia per ammontare che per composizione. Nonostante i risultati economici ottenuti, la stabilità e solidità patrimoniale di Cassa Depositi e Prestiti non ne ha risentito tanto che il rating assegnato alla società da FITCH è pari a BBB+ (data del giudizio 12 maggio 2016). A riprova degli impegni assunti da CDP e ad ulteriore conferma dell’impegno della società verso il potenziamento e l’accelerazione della crescita delle imprese italiane, sia pubbliche che private, il piano industriale 2016-2020 del Gruppo CDP, mette a disposizione risorse per circa 160 miliardi di euro suddivisi in 4 ambiti: 1. Governament & PA, Infrastrutture: sostenere gli investimenti della PA, la Cooperazione Internazionale e il “cambio di passo” nella realizzazione di infrastrutture; 2. Internazionalizzazione: sarà incrementato il supporto all’export e all’internazionalizzazione costituzione di un unico presidio ed un unico punto di accesso ai servizi del Gruppo; 3. Imprese: supportare le aziende italiane lungo tutto il ciclo di vita e favorire l’accesso al credito. 4. Real Estate: valorizzazione di immobili strumentali della PA, social housing e valorizzazione delle strutture ricettive a supporto dell’intero settore turistico. A questa somma bisogna aggiungere circa 105 miliardi di euro di ulteriori risorse attivate a livello sistema. Il totale del plafond di 265 miliardi di euro attivati andranno a supportare una quota importante dell’intera economia italiana.

A CURA DI

Una nota di merito va a due società facenti parte il Gruppo CDP, ossia SACE e SIMEST. SACE è una società istituita a Roma nel 1977 come “Sezione Speciale” dell’Istituto Nazionale Assicurazioni preposta alla copertura assicurativa dei crediti all’esportazione. Nel 2004 SACE diventa una società per azioni controllata al 100% dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze, ampliando da quel momento in poi il campo dell’operatività. Nel 2012 l’intero pacchetto azionario viene acquisito da Cassa Depositi e Prestiti. Essa offre un’ampia gamma di prodotti assicurativi e finanziari come credito all’esportazione, assicurazione del credito, protezione degli investimenti, garanzie finanziarie, cauzioni e factoring. Il suo operato si estende in ben 198 paesi riuscendo a garantire opportunità di sviluppo per circa 25.000 imprese clienti andando a trasformare i rischi di insolvenza mediante la propria operatività. L’attività, la solidità e la stabilità di SACE hanno contribuito fortemente anche al risultato dell’intero Gruppo CDP tanto da meritarsi da parte di FITCH un rating pari a A-. SIMEST è una società per azioni partecipata per il 76% da CDP; nata nel 1991 con lo scopo di promuovere l’internazionalizzazione delle imprese italiane, dal 2011 ha ampliato la propria operatività assumendo il ruolo di finanziaria per lo sviluppo della competitività delle aziende italiane. La società ricopre un ruolo di partner per gli imprenditori che vogliono crescere all’estero, fornendo assistenza e strumenti che possono agevolare tale percorso. Tra i prodotti e servizi offerti riconosciamo essenzialmente tre categorie: • Partecipazione al capitale: SIMEST affianca l’impresa e la supporta in tutte le fasi del suo sviluppo entrando nel capitale sociale della società italiana o estera; • Assistenza specialistica allo sviluppo: SIMEST assiste le imprese italiane in tutte le fasi del processo di internazionalizzazione, dalla progettazione al montaggio, con particolare interesse agli aspetti finanziari; • Finanziamenti agevolati alle imprese: SIMEST gestisce i finanziamenti pubblici agevolati per lo sviluppo internazionale delle imprese.

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POTENZIATA LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI EQUITY (CDP EQUITY) di Club Economia e Finanza Sida Group

T

ra le misure a sostegno della crescita delle imprese, nell’Agosto 2011, il Governo ha costituito il Fondo Strategico Italiano (FSI), una holding di partecipazione destinata a dare slancio all’economia italiana investendo capitale di rischio in aziende di “rilevante interesse nazionale”. Come indicato nel Decreto ministeriale, le società coinvolte devono trovarsi in “equilibrio economico, finanziario e patrimoniale”, avere adeguate “prospettive di redditività e di sviluppo” e, perciò, essere “idonee a generare valore per gli investitori”. Il fondo negli anni ha portato a termine rilevanti operazioni sia nel mercato italiano sia nel mercato internazionale, tra cui una joint venture con Quatar Holding e una società di co-investimento denominata FSI Investiment con il fondo sovrano del Kwait (KIA). Inoltre, Fondo Strategico Italiano, ha sottoscritto un memorandum d’intesa con il fondo sovrano russo RDIF (Russian Direct Investment Found), la China Investiment Corporation e la Korea Investiment Corporation. Il 31 marzo 2016 l’assemblea dei soci FSI, costituita per l’80% da Cassa Depositi e Prestiti e per il 20% da Bankitalia, ha ridenominato la società da Fondo Strategico Italiano

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a Cdp Equity, società che continuerà a gestire direttamente tramite il veicolo FSI Investiment tutte le partecipazioni già nel portafoglio. Cdp Equity Spa dispone di un capitale sottoscritto e versato pari a 4,4 miliardi di euro ed opera acquisendo prevalentemente quote di minoranza di imprese di rilevante interesse nazionale, che siano in equilibrio economico-finanziario e presentino adeguate prospettive di redditività e sviluppo. Per “rilevante interesse nazionale” (così come previsto nel decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 3 maggio 2011, abrogato e sostituito dal Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 2 Luglio 2014), si intendono tutte le imprese che operano nei seguenti settori: Difesa, Sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazione, energia, assicurazione e intermediazione finanziaria, ricerca e innovazione ad alto contenuto tecnologico, pubblici servizi, turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, gestione dei beni culturali e artistici. Inoltre, al di fuori di tali settori, Cdp Equity considera di “rilevante interesse nazionale” anche le imprese che pre-


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sentino un fatturato non inferiore a 300 milioni di euro e un numero medio di dipendenti non inferiore alle 250 unità. Tuttavia, la dimensione si può ridurre del 20 % ( 240 milioni di fatturato e 200 dipendenti), nel caso di società le cui attività siano rilevanti in termini di indotto e producano benefici per il sistema economico-produttivo nazionale, anche in presenza di stabilimenti produttivi sul territorio. Sono altresì considerate di rilevante interesse nazionale le società che, seppur non costituite in Italia, operino nei settori di cui sopra e dispongano di società controllate o stabili organizzazioni nel territorio nazionale che cumulativamente presentino un fatturato annuo netto non inferiore a 50 milioni di euro e un numero medio di dipendenti non inferiore alle 250 unità. MODALITA’ DI INTERVENTO Come precedentemente affermato Cdp Equity partecipa al capitale con quote di minoranza, in società di grandi dimensioni che abbiano una posizione finanziaria solida, una redditività adeguata e buone prospettive di crescita. Tuttavia, nonostante la qualifica di investitore di minoranza, Cdp Equity partecipa alla governance societaria definendo accordi con gli altri azionisti con l’obiettivo di: assicurare un adeguato livello di rappresentatività ed una

A CURA DI

governance attiva; assicurare un flusso informativo costante; individuare opzioni di valorizzazione e liquidazione dell’investimento a condizioni di mercato. Solitamente, gli investimenti del fondo hanno un target di tasso di rendimento interno (IRR) - considerato come soglia minima di investimento - del 6-10%, ottenuto dalla combinazione di dividendi e plusvalenze, a fronte di un rendimento del settore privato che è generalmente più alto. Infine, allo scopo di diversificare i rischi, Cdp Equity differenzia il proprio portafoglio investendo non più del 20% del capitale in ciascun settore industriale. PARTECIPAZIONI Ad oggi Cdp Equity detiene le seguenti partecipazioni: 44,8% di Ansaldo Energia; 28,4% di Inalca; 50% di IQ Made in Italy Investiment Company spa; 25% di Kedrion Group Spa; 46,2% di Metroweb Italia Spa; 23% di Rocco Forte Hotels; 12,5% di Saipem; 16,9% di Gruppo Trevi; 49,5% di Valvitalia; 49,9 di Sia Spa.

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PASSAGGIO GENERAZIONALE PER LA CONTINUITA’ D’IMPRESA “Tutte le imprese di successo devono fare i conti con il passaggio generazionale: meglio farli prima che poi”

di Mario Becchetti - Club Economia e Finanza Sida Group

L’

Italia è definita come l’economia del “capitalismo familiare”; lo testimoniano molteplici indagini che indicano come circa il 90% delle imprese nazionali siano di natura familiare. E’ una caratteristica specifica della nostra economia anche rispetto ad altri Paesi, in cui le imprese familiari variano tra il 60-80%. Il ruolo centrale della famiglia nei modelli di governance imprenditoriale è un tratto distintivo del sistema economico nazionale a prescindere dai settori e dalle dimensioni d’impresa C’è una relazione tra questo fenomeno e la struttura economica del Paese, caratterizzata per circa il 90% dalle PMI (micro, piccole e medie imprese). Tuttavia, tale relazione non è esclusiva: anche la maggioranza delle grandi imprese italiane presenta un azionariato di proprietà a prevalente natura familiare. Per questi motivi il tema del passaggio generazionale è centrale sia al livello macro, di sistema economico e politica industriale, sia al livello della strategia della singola impresa, qualunque siano la dimensione e il settore di appartenenza. Ad esempio, secondo dati AIDAF (Associazione italiana delle Imprese Familiari), in media solo il 31% delle imprese familiari sopravvive al passaggio dalla 1° alla 2° generazione e solo il 15% giunge alla 3°. Nella grande maggioranza dei casi il fondatore, l’imprenditore-senior, è il perno attorno al quale si è costruito il

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successo del modello di business, anche sul piano delle relazioni personali e professionali instaurate nel tempo. Il subentro in azienda dell’imprenditore-junior, rischia di aprire un periodo di crisi, sia nei rapporti familiari che nel modello di business. Il passaggio generazionale, quindi, è una fase critica del ciclo di vita di un’impresa che deve essere pianificato in modo attento e preventivo, prima sul piano strategico e poi su quello operativo. Quando la successione generazionale viene gestita per tempo, in modo corretto e programmato, per l’impresa si trasforma da minaccia in opportunità di ulteriore sviluppo aziendale. Questa fase, pianificata operativamente, si trasforma un sinergico “affiancamento generazionale per la continuità d’impresa” basato sulla collaborazione pro-attiva tra imprenditori senior e junior, Ne trae vantaggio l’equilibrio familiare, la continua dell’impresa e la sua capacità di creazione di valore nel medio-lungo termine. Per la sua lunga esperienza e le skills possedute, Sida Group è il partner ideale per pianificare e realizzare in ogni impresa familiare un efficace e positivo “affiancamento generazionale per la continuità d’impresa”. Sida Group ha sviluppato una metodologia di intervento che offre soluzioni operative personalizzate sulla base delle esigenze specifiche di ogni singola impresa familiare che intenda programmare in modo lungimirante il proprio


CLUBECONOMIA&FINANZA passaggio generazionale, qualunque siano la dimensione e il settore di appartenenza. Sida Group opera con sedi distribuite in tutto il territorio nazionale: questi servizi di advisory per il passaggio generazionale possono essere offerti alle imprese localizzate in qualunque area geografica del Paese. Il servizio di advisory di Sida Group di “PASSAGGIO GENERAZIONALE PER LA CONTINUITA’ D’IMPRESA” si avvale di un sistema integrato di servizi ed attività di eccellenza a favore di ogni impresa familiare, che favoriscono l’efficace pianificazione e realizzazione di questo obiettivo strategico. 1.ASSESSMENT STRATEGICO AZIENDALE Il servizio mira ad analizzare l’assetto attuale e futuro del modello di business d’impresa, per offrire alla family business un check-up strategico, ossia un’analisi completa dei fattori esterni ed interni all’impresa che influenzano le scelte di passaggio generazionale, attraverso molteplici servizi di advisory: analisi del settore; analisi del mercato e della concorrenza; reputation analysis; swot analysis; due diligence economico-finanziaria; analisi di strategie e politiche operative aziendali; analisi dei modelli organizzativi aziendalI; analisi delle risorse interne di management; analisi del capitale intangibile aziendale. 2.ASSESSMENT STRATEGICO FAMILIARE Il servizio mira ad analizzare le reali esigenze e condizioni familiari del passaggio generazionale, attraverso interviste personalizzate dell’imprenditore senior, degli imprenditori junior, del top management dell’impresa familiare, con servizi di analisi di tutti i fattori familiari capaci di influenzare il successo del passaggio generazionale: analisi dei valori familiari e del business; analisi dei bisogni familiari; analisi del clima familiare; analisi delle propensioni alla delega di patrimonio e funzioni dell’imprenditore senior; analisi delle competenze potenziali dell’imprenditore junior 3.COACHING FAMILIARE Il servizio mira ad accompagnare la famiglia imprenditoriale nella gestione dei conflitti generazionali, nello sviluppo di transizioni e vision unificanti e proattive rispetto all’obiettivo della continuità generazionale, attraverso servizi di: supporto alla selezione dell’imprenditore junior; team building familiare; coaching e mentoring familiare; problem-solving familiare.

A CURA DI

4.DEFINIZIONE DEL PIANO DI SUCCESSIONE Il servizio mira a supportare la famiglia imprenditoriale nelle attività di pianificazione e realizzazione di tutti gli aspetti strategici ed operativi per favorire una efficace e soddisfacente successione generazionale. Il piano di successione è uno strumento integrato che si compone di molteplici servizi di advisory offerti da Sida Group. Il primo gruppo di servizi riguarda fattori di valenza strategica, che giocano un ruolo chiave per il successo dei processi di successione generazionale: • pianificazione del patrimonio; • pianificazione societaria, legale e fiscale; • pianificazione formativa dell’imprenditore junior. A questi si affiancano anche altri servizi di advisory fondamentali per consentire ad ogni impresa familiare di preparare, realizzare e completare un autentico ed efficace processo di affiancamento generazionale: • pianificazione corporate finance aziendale; • pianificazione hr management recruitment; • pianificazione corporate communication; • pianificazione merger & acquisition. In conclusione, affrontare con anticipo e consapevolezza, visione e pianificazione strategica la problematica del passaggio generazionale rappresenta per ogni azienda una scelta di lungimiranza imprenditoriale indispensabile ad assicurare la continuità d’impresa e la sua capacità di creazione di valore nel medio-lungo periodo.

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LAVORARE IN SINERGIA, FARE RETE, FARE SQUADRA di Rosa Saladino - Club Economia e Finanza Sida Group

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ichard Sennett dice : “La collaborazione è essenzialmente un’arte, un’abilità sociale e richiede un suo rituale, che va dal semplice dire grazie alle più sofisticate forme di diplomazia. E’ capacità di ascoltare, dialogare con il prossimo per realizzare opere e risultati che da soli non si conseguirebbero.” Alleanze strategiche ed accordi di collaborazione sono

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le premesse per mantenere una capacità competitiva nei mercati mondiali. Il principio secondo il quale il “saper fare” è un’eredità assoluta viene quotidianamente smontato dai mercati globali ed è destinato ad un inesorabile tramonto. Per questo, da alcuni anni a questa parte emerge la consapevolezza che la crescita della dimensione media delle imprese è una priorità per la competitività


CLUBECONOMIA&FINANZA dell’industria italiana dato che, una taglia troppo piccola, non consente di gareggiare in modo adeguato sul fronte internazionale e dell’innovazione. Globalizzazione, introduzione della moneta unica, crisi finanziaria, hanno convinto in particolare le nuove generazioni della necessità di un cambiamento. Oggi le imprese di successo sono quelle che superano i propri limiti dimensionali per raggiungere la massa critica necessaria a competere. Diventa cruciale dunque, saper riposizionarsi nel mercato senza snaturare il carattere individualista e autonomo tipico del nostro sistema economico, senza cadere nell’errore di farsi coinvolgere in impegnative ipotesi di fusione che affogano le identità di partenza. Le piccole e medie imprese occupano oltre l’80% della forza lavoro del paese e rappresentano il 75% del Pil. Nel contesto imprenditoriale italiano dunque sono le imprese di piccola e media dimensione a presentare una crescita, anche se limitata. Questi dati sottolineano l’importanza delle PMI ed è proprio il loro peso, unito alla necessità di collocarsi sui mercati nazionali ed internazionali che ha spinto, l’UE prima e l’Italia poi, a sviluppare strumenti legislativi ad hoc. Per attuare lo Small Business Act della Commissione Europea e favorire la partnership tra piccoli imprenditori, il Governo italiano ha introdotto il Contratto di rete. Questo passaggio si è rivelato fondamentale soprattutto durante gli anni della crisi. Il contratto di rete, introdotto con la legge 122/2010, ha tutte le caratteristiche per aiutare le imprese a dimensionarsi, facendo sì che le stesse, seppur rimanendo indipendenti, si uniscano allo scopo di realizzare progetti comuni. Le nostre aziende si organizzano in reti di impresa per cercare di sopravvivere e per garantirsi maggiore competitività e capacità innovativa. La Rete di Impresa è un accordo basato sulla collaborazione, lo scambio e l’aggregazione tra imprese e rappresenta un modello di business alternativo rispetto a quello individualistico e frammentato del nostro tessuto economico. Lo scopo principale è quello di raggiungere degli obiettivi comuni di incremento della capacità innovativa e della competitività aziendale. La legge prevede ampia autonomia contrattuale per adeguare gli obblighi giuridici agli scopi e agli obiettivi che le imprese retiste vogliono ottenere. Sulla base di un programma comune le imprese retiste collaborano tra loro al fine di scambiarsi know-how, prestazioni industriali, commerciali, tecnologiche ed esercitare in comune attività di impresa. Lo scopo della partecipazione delle imprese ad una rete è quello di creare “valore” e per farlo diventa necessario partire dall’obiettivo comune della collaborazione. Le potenzialità del contratto di rete sono molteplici in quanto si

A CURA DI

adattano perfettamente alle esigenze di ogni tipologia di impresa, di qualunque settore e dimensione. Nonostante l’estrema versatilità del contratto, come in tutte le attività di business, per creare una rete, farla crescere e trarne profitto, c’è bisogno delle giuste capacità e doti manageriali. Le reti, di conseguenza, hanno vitale necessità di una leadership ben identificabile. Affinché la rete abbia successo, è necessario individuare una figura professionale con adeguate competenze, preparata per accompagnare gli attori nelle tre fasi nelle quali si articola il contratto di rete: la costituzione, la gestione e il monitoraggio, la misurazione e la valutazione dei risultati. Sicuramente un bravo manager delle relazioni può fare in modo che il processo decisionale e la risoluzione dei conflitti abbiano un percorso chiaro e lineare, completo in ogni sua fase, rilevante e coerente. La complessità della rete e l’urgenza di attuare decisioni efficaci obbligano i soggetti promotori del contratto di rete a ricercare continuamente nuove abilità e nuove competenze. La Sida Group, essendo molto sensibile all’argomento, ha ideato un Master dedicato a creare queste figure professionali, fornendo ai partecipanti quelle competenze che permettano loro di progettare, costituire, organizzare e gestire una Rete d’imprese in qualsiasi settore economico e di aiutarle ad identificare quelle opportunità che le consentirebbero di crescere ed innovarsi attraverso il networking. Alla base di ogni Rete d’Impresa, come detto, c’è il concetto di relazione, collaborazione, lavoro di gruppo, e per tale motivo è importante sottolineare che se nella fase di contrattazione e di definizione della rete non si individuano i giusti obiettivi, le giuste risorse, i giusti interlocutori e uno stile di leadership partecipativo, la rete è destinata a fallire. Come in ogni organizzazione, nello sviluppo di una Rete, l’attenzione nei confronti delle competenze manageriali dei soggetti coinvolti deve essere il punto di partenza per un percorso di successo. In base ai dati dalle Camere di Commercio d’Italia, aggiornati al 3 Giugno 2016, i contratti di rete attivati sono 2880, di cui 406 a soggettività giuridica con 14.462 imprese coinvolte. In una classifica generale europea, data dal The Global Competitiveness (Report 2014-2015) e pubblicato da The World Economic Forum, l’Italia ha raggiunto il 1° posto per il grado di sviluppo delle aggregazioni di imprese e per il grado di specializzazione e diffusione sul territorio. Lavorando insieme, quindi, le imprese italiane possono diventare le migliori al mondo.

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FORMAZIONE MANAGERIALE PER I NOSTRI POLITICI?

PERCHÈ NO?

D

di Alessandro Massi - Club Economia e Finanza Sida Group

i fronte al mutamento che lo scenario politico italiano sta vivendo sia dal punto di vista degli schieramenti ma soprattutto in vista del referendum sulla riforma costituzionale che avrà luogo nei mesi autunnali, si pone sempre più come urgente la necessità per la classe politica italiana di acquisire una visione d’insieme delle istituzioni, in quanto a prescindere dall’esito del referendum che rivoluzionerà di fatto i meccanismi dell’azione parlamentare e modificherà in parte il conferimento delle deleghe da parte dello Stato agli enti decentrati. Ciò presuppone non solo una capacità d’adeguamento di chi già ricopre una carica elettiva, ma soprattutto per coloro che hanno l’ambizione di candidarsi ad essere la futura classe dirigente si ritiene assolutamente necessaria una formazione specifica. Un formazione riguardante aspetti fondamentali come la comprensione dell’organizzazione degli enti e la gestione dei funzionari che vi operano, la capacità di fare una programmazione economica seria, basata su obiettivi reali ed atta a mantenere in equilibrio i conti, ma anche puntare sempre più su settori che possono portare nuovo beneficio in termini di ricchezza al contesto in cui si opera( città, provincia, Regione), in particolare al Turismo ed alla Cultura che sempre più stanno assumendo una alternativa credibile allo sviluppo del territorio rispetto ad altri canali di business come le infrastrutture, i trasporti o le attività delle multiutilities. Si evince, quindi, la necessità di avere competenze paragonabili ad un manager di azienda, non solo riguardo le competenze tecniche, fondamentali per la gestione delle funzioni dell’ente e delle deleghe amministrative ricevute, garantendo un indirizzo politico concreto efficace ed effi-

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ciente, ma anche competenze trasversali, quali leadership, problem solving, utilizzo di leve motivazionali. Finora la crisi dei partiti ha portato ad uno svilimento della formazione della classe politica, con la caduta dei partiti protagonisti della I Repubblica DC, PCI, PSI, PLI non è seguita una tradizione ed una organizzazione idonea a creare scuole di formazione politica che permettessero anche di tarare la crescita del singolo amministratore nella sua ambizione di svolgere il proprio ruolo nelle istituzioni. Tutto ciò sicuramente ha portato quale conseguenza un far passare in secondo piano l’esigenza di formazione, permettendo anche a chi non aveva cultura politica di ambire a dei ruoli di potere, pensando che ciò fosse un modo di avvicinare il comune cittadino alla politica, causando invece uno svilimento della classe politica. Lo stesso grado di giudizio del cittadino da sempre basato sulla faziosità e non su elementi oggettivi, come il grado di competenza del politico, ha fornito un alibi fantastico alle organizzazioni politiche, che hanno smesso di puntare su di essa. Oggi, invece, più che mai nel passaggio alla III Repubblica è sorta una esigenza reale ed anche tra i cittadini si è manifestata la volontà di poter votare persone oltre che oneste, competenti ed affidabili, che sappiamo costruire un programma reale e legato ad uno sviluppo sostenibile coerente con le ambizioni del territorio. Sida Group, si pone come opportunità per chi ha la volontà di formarsi per poter affrontare ruoli nel contesto politico attuale, garantendo una formazione di qualità con professioni della politica e esperti del settore che possano dare i giusti consigli e le giuste indicazioni su come affrontare una avventura e assumersi le responsabilità per guidare la comunità negli anni di mandato.

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AGROALIMENTARE

IL VINO:

“STRUMENTO” PER FAVORIRE LO SVILUPPO LOCALE E LA CRESCITA DEL MANAGEMENT AGROALIMENTARE ITALIANO di Rosaria Mestichelli - Management Academy Sida Group Area Agroalimentare

L

a coltivazione dell’uva e la produzione del vino hanno dato vita a una infinità di aziende familiari, le quali

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traggono ed hanno tratto da tali attività la fonte del loro sostentamento, l’unità familiare e l’attaccamento ai luoghi di nascita, garantendo equilibrio nella vita sociale, familiare e

personale rallentando il fenomeno dello spopolamento con conseguenti squilibri urbanistici. La funzione storica, economica, sociale e culturale di queste produzioni


AGROALIMENTARE è strategica. L’esperienza e il know-how costituiscono un patrimonio immateriale considerevole che si è accumulato, stratificandosi attraverso secoli se non millenni confermando l’importanza della salvaguardia della piccola azienda. Oggi che si va verso la riscoperta di valori e caratteri della storia e della cultura locale, della vita sana, in un periodo in cui la disoccupazione si fa invadente, il fenomeno dell’emigrazione dei giovani e delle forze attive, sempre più presente, la coltivazione e produzione delle uve e del vino costituiscono un carattere portante della sua fisionomia, la cui conservazione merita una attenzione economica di rilievo.

quantità fanno di questi prodotti elementi principi da preservare quanto più possibile e da valorizzare al massimo. Tecnologia, scienza, cultura, management, globalizzazione, sviluppo digitale dei mercati rappresentano una grossa opportunità per crescere dimensionalmente, qualitativamente e redditualmente la ricchezza di questa risorsa.

La chiave per l’innovazione risiede nella propensione al cambiamento dell’imprenditore agricolo, ostacolato da problematiche che colpiscono la governance nel comparto agricolo Economie parallele come l’enogastronomia, il turismo, la cultura, la scienza e la ricerca, l’equilibrio dei fenomeni urbanistici, la lotta alla disoccupazione, il mantenimento dei livelli reddituali, la conservazione delle tradizioni e dei valori ed equilibri familiari, lo sviluppo del fenomeno delle startup, la valorizzazione dell’agricoltura come settore su cui orientare la crescita futura, sia dell’intera economia sia del sistema di vita personale e familiare, la valorizzazione dell’agricoltore o allevatore come lavoro che può concedere più espressione all’attività umana, l’opportunità di commercializzazione a livello internazionale che si basa su tipicità, distintività, qualità e

Tali valutazioni scaturiscono da un’analisi di mercato ed uno studio approfondito basato sull’analisi dei dati emersi in relazione ai risultati di 326 aziende vitivinicole pugliesi e i valori elaborati in riferimento all’aggregato, hanno permesso di individuare le eccellenze del campione, nonché di analizzare la situazione del settore nel suo complesso. Ne scaturisce un quadro che presenta margini di miglioramento sia in termini di crescita economica, dove un processo di internazionalizzazione sembra essere un passo non soltanto utile ma assolutamente imprescindi-

bile, sia di solidità strutturale, con la necessità di migliorare la situazione di sottocapitalizzazione ed eccessivo indebitamento tramite un processo di patrimonializzazione e di integrazioni aziendali. Questi risultati sono raggiungibili in primis lavorando sul processo di acculturamento dell’imprenditore agricolo orientato alla promozione del prodotto vino e alla vendita, oltre che sulla professionalizzazione di figure manageriali strategiche come l’international product and sales manager. La chiave per l’innovazione risiede nella propensione al cambiamento dell’imprenditore agricolo, ostacolato da problematiche che colpiscono la governance nel comparto agricolo, in particolar modo: l’età media avanzata degli imprenditori agricoli su tutto il territorio nazionale, aggravata da un ricambio generazionale lento e ferraginoso. La istituzionalizzazione di agenzie regionali specialistiche potrebbe risolvere a livello sistemico l’insufficienza di pianificazione strategica e di controllo del settore. Studiare mentalità e velocità al cambiamento della forma mentis della governance può essere uno strumento utile per trovare leve al fine di agire efficacemente sulla crescita e lo sviluppo del settore.

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OFFERTEdiLAVORO Importante azienda, operante nel settore della produzione di macchinari industriali, riconosciuta dal mercato come leader nel proprio ambito, ricerca un: RESPONSABILE MONTAGGIO MECCANICO GRANDI MACCHINARI • Il quale, rispondendo al Responsabile di Produzione si occuperà di: • Attività di montaggio e assemblaggio delle parti, messa a punto della macchina e suo avviamento; • Analisi della documentazione tecnica di pertinenza (distinta base tecnica, ciclo di montaggio, scheda di controllo qualità); • Verifica della conformità dei materiali; • Si richiede: • Capacità di leggere e interpretare il disegno meccanico • Conoscenza base di Meccanica, tecnologia e lavorazioni su macchine utensili; • Conoscenza dell’ambito elettrico-elettronico

• Possesso di Diploma di perito meccanico, equipollenti o di Laurea in Ingegneria Meccanica; • Disponibilità di trasferte occasionali all’estero; • L’azienda sta improntando un nuovo stabilimento produttivo e la figura dovrà inserirsi, a seguito di un periodo di affiancamento, nella sede di Fano. • Conoscenza relativa alla progettazione in aziende del settore meccanico e/o impiantistica industriale • Ottima padronanza del quadro normativo relativo alla sicurezza in azienda ed in particolare alla prevenzione e controllo degli incendi • buona conoscenza della lingua inglese • ottimo utilizzo del computer • Residenza nelle Marche • Laurea in Ingegneria o in discipline tecniche Vogliamo entrare in contatto con persone determinate, con forte spirito d’iniziativa e motivate al ruolo. Rigore professionale e flessibilità nell’approccio con il cliente completano il profilo.

Dinamica azienda operante da più di 60 anni nel settore dei trattamenti galvanici, ricerca un/una: RESPONSABILE AMMINISTRATIVO rif: EL/01

Il quale, in maniera completamente autonoma, dovrà garantire il corretto svolgimento delle procedure contabili, fiscali, di bilancio e del personale. Saranno quindi di sua competenza le seguenti attività:

• • • •

Supervisione e coordinamento di tutta l’attività di contabilità generale; Gestione della contabilità analitica; Controllo di gestione; Predisposizione dei bilanci fino alla chiusura da effettuare con il commercialista;

Sida Group, per azienda di medi dimensioni in crescita, operante nel settore del packaging, ricerca per ampliamento del proprio organico un/una: IMPIEGATA AMMINISTRATIVA rif:GC/01 contabilità clienti e fornitori La quale, inserita all’interno dell’ufficio Amministrazione, si occuperà prevalentemente delle attività inerenti la gestione dei rapporti con le banche, gestione clienti e fornitori, scadenzario, gestione pagamenti ai rappresentanti, paghe e attività di

Gestione finanziaria e dei rapporti con gli Istituti di Credito; Registrazione presenze dei dipendenti e trasmissione dati per l’elaborazione delle buste paga; Gestione del rapporto con i dipendenti e relazioni con società di somministrazione interinali;

La risorsa ideale è in possesso di Diploma o Laurea in materie economiche ed ha maturato almeno 5-6 anni di esperienza nel ruolo. Completano il profilo senso di responsabilità, velocità, capacità di gestione del tempo, precisione, determinazione e ottime doti relazionali e di coordinamento. E’ preferibile la conoscenza del gestionale Business. Sede di lavoro: Ancona Sud.

segreteria amministrativa. Il candidato ideale è una persona con esperienza di almeno 8-10 anni nel ruolo, preferibilmente maturata all’interno di azienda manifatturiere di piccole medie dimensioni, diplomato ragioneria o laureata Economia e Commercio. Precisione, determinazione, orientamento all’obiettivo e competenze organizzative completano il profilo da noi ricercato. La sede di lavoro si trova ad Ancona Nord

*Per consultare tutte le offerte visita il sito www.mlmagazine.it

Hella è leader in Europa nella produzione di sistemi solari e protezioni ambientali, in grado di rispondere alle esigenze più varie per l’ombreggiamento e la copertura di spazi esterni destinati all’uso privato, commerciale, pubblico. Realtà dinamica, in costante sviluppo e miglioramento nella realizzazione dei propri prodotti, sa unire tecnologia, design e qualità; per ampliamento del proprio organico all’interno della Divisione Contract, ricerca, per la sede di Ancona, un: RESPONSABILE DI COMMESSA/ PROJECT MANAGER ENGINEER Rif:PM/01 Il quale, riportando al Division Manager sarà responsabile della gestione e realizzazione delle commesse, dalla fase di progettazione a quella esecutiva, coordinando le fasi di programmazione dei lavori, l’avanzamento ed il controllo e degli stessi interfacciandosi con le risorse interne ed esterne all’azienda. Nello specifico si occuperà di: • Gestire l’attività tecnica di progettazione • Assolvere al ruolo di team leader nella gestione delle commesse • Produrre e verificare la documentazione tecnica • Svolgere attività di progettazione e calcolo strutturale • Assicurare il necessario supporto tecnico alle attività di preventivazione, acquisti e realizzazione commessa Si richiede: • Laurea in ingegneria civile • Consolidata esperienza pregressa nel ruolo (5-7 anni) maturata prevalentemente in imprese edili strutturate o all’interno di studi di progettazione a respiro internazionale • Esperienza nella progettazione di carpenteria metallica e in legno • Conoscenza delle dinamiche della cantieristica • Capacità di risoluzione delle problematiche tecniche complesse, orientamento all’obiettivo e competenze nel project management. • Inglese fluente • Ottima conoscenza di autocad 3D e dei programmi per il calcolo strutturale Costituisce requisito preferenziale la competenza nel calcolo delle tensostrutture. E’ richiesta la disponibilità a trasferte sul territorio sia in Italia che all’estero

Gli interessati sono pregati di inviare dettagliato curriculum, con consenso al trattamento dei dati, citando in busta il riferimento a: SIDA S.r.l. Via I° Maggio - 60131 Ancona - Fax 071/2852245 - info@sidasrl.it - www.sidasrl.it Consenso: richieste di autorizzazione provvisioria alla Ricerca e Selezione del personale in corso, ai sensi del D.Lgs. 276/03. I candidati ambosessi (L. 903/77) sono invitati a leggere sul nostro sito l’informativa sulla Privacy (D. Lgs. 196/03).


SIDA GROUP BILANCIO SOCIALE 2015


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LA STORIA La qualità dei servizi integrati di Sida Group si rinnova continuamente per governare il cambiamento e l’innovazione, ma si nutre anche di una consolidata esperienza di settore. Sida Group nasce nel 1985 e da oltre 30 anni è al fianco delle imprese, distinguendosi a livello nazionale ed internazionale per l’offerta integrata di servizi di sviluppo strategico, organizzativo, gestionale e finanziario rivolta a PMI industriali, imprese non profit ed enti sia pubblici che privati.

IL GRUPPO Il Gruppo Sida si è sviluppato e offre servizi integrati di direzione aziendale e formazione manageriale in molteplici aree di business, attraverso un network integrato e sinergico di società e soggetti:

SIDA GROUP SIDA ACADEMY: MANAGERIAL TRAINING

SIDA: ADVANCED CONSULTING SERVICES

GGF:

BUSINESS PROCESS OUTSOURCER

THE HIVE: BUSINESS INCUBATOR


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LA MISSION “Creare valore attraverso il valore delle persone”: è questa la nostra mission. Sida Group è un’impresa che pone il valore delle persone al centro della propria mission, perché è la risorsa umana il fulcro di ogni strategia di gestione del cambiamento e di sviluppo dell’eccellenza, nelle aziende e in ogni altra organizzazione. Accompagniamo quali partners strategici la crescita delle conoscenze a favore dei nostri clienti, offrendo a imprese e altre organizzazioni servizi integrati di direzione aziendale, skills e soluzioni professionali di eccellenza per affrontare con successo le sfide della complessità e del governo del cambiamento economico, tecnologico e sociale. La nostra mission si fonda su questi valori: persona; impresa; lavoro; competenze; conoscenza; soluzioni; eccellenza; qualità; integrità; responsabilità. Sida Group è un’impresa socialmente responsabile: la funzione economica e sociale della nostra attività imprenditoriale sono integrate, perché siamo consapevoli della responsabilità di contribuire allo sviluppo armonico della qualità della vita di tutti i membri della comunità. Questo Bilancio sociale è lo strumento per rappresentare alcuni dei principali e positivi risvolti sociali della nostra attività d’impresa.

LE STRATEGIE Sida Group realizza la mission attraverso due strategie complementari e sinergiche per formare e supportare manager ed imprenditori: • i servizi integrati di direzionale aziendale. • la formazione manageriale e specializzata di eccellenza; La formazione, attraverso la Management Academy, sviluppa valore e competenze di eccellenza a favore sia dei giovani che vogliono inserirsi e crescere nel mercato del lavoro, sia delle imprese che intendono gestire il cambiamento rafforzando il proprio capitale umano, organizzativo e relazionale. I servizi integrati di direzione aziendale (advisory) rafforzano le strategie di sviluppo, innovazione e cambiamento di imprese e altre organizzazioni, offrendo soluzioni professionali uniche e personalizzate per generare conoscenze, competitività e capacità di creazione di valore, tangibile e intangibile. Sida Group è il partner strategico ideale per le imprese e le altre organizzazioni che intendono governare il cambiamento, conseguire l’eccellenza e creare valore anche nella nuova economia globale e digitale.


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SERVIZI INTEGRATI E AREE DI INTERVENTO Sida Group assiste e supporta la crescita dei propri clienti con progetti e servizi innovativi e integrati di direzione aziendale soprattutto nelle seguenti aree di intervento: • STRATEGIE, PIANIFICAZIONE E CONTROLLO: pianificazione e controllo strategico; budgeting e reporting; cost management; contabilità direzionale; sviluppo organizzativo e ristrutturazioni aziendali; benchmarking competitivo; production & supply chain; incubazione e accelerazione di start-up innovative; • MANAGERIAL & SPECIALIZED TRAINING: master, executive master, corsi professionali, formazione finanziata (FSE, fondi interprofessionali • HR MANAGEMENT & RECRUITMENT: recruitment services; head hunting; training on demand; check-up; mentoring e coaching; talent scouting/assessment; labour relations; temporary manager; employer branding; contract management; lean management • CORPORATE FINANCE: finanza alternativa e innovativa; private equity; venture capital; pianificazione finanziaria; budgeting & cash-flow planning; piani industriali; contratti di rete • GRANT & SPECIAL FINANCE: europrogettazione; finanza agevolata per investimenti innovativi e in R&D; finanza speciale per start-up; monitoraggio di fonti finanziarie agevolate (comunitarie, nazionali, regionali); finanza per programmi di internazionalizzazione; real estate financing • MERGER & ACQUISITION: finanza straordinaria; acquisizioni; cessioni; fusioni; joint-ventures; scouting e ricerca partners; due diligence economico, finanziaria e legale • TAX & LEGAL: bilancio, principi IAS/IFRS, pianificazione fiscale; gestione del contenzioso; adempimenti societari, civilistici e fiscali. • MARKETING & COMUNICAZIONE INTEGRATA: marketing strategico e operativo; telemarketing; digital marketing; inbound marketing; customer service; brand management; bilancio sociale e corporate social responsability; media relations; public relations Vision, strategie, creazione di valore, formazione manageriale, crescita organizzativa, gestione delle conoscenze e delle risorse: sono i fattori di successo per vincere la sfida dei mercati che il nostro team sviluppa a 360°, in un rapporto di stretta partnership con i clienti, per il soddisfacimento di ogni loro esigenza di governo del cambiamento.


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SERVIZI INTEGRATI E AREE DI INTERVENTO Sida Group assiste e supporta la crescita dei propri clienti con progetti di formazione e servizi innovativi e integrati di direzione aziendale soprattutto nelle seguenti aree di intervento: • STRATEGIE, PIANIFICAZIONE E CONTROLLO • MANAGERIAL & SPECIALIZED TRAINING • HR MANAGEMENT E RECRUITMENT • CORPORATE FINANCE • GRANT & SPECIAL FINANCE • MERGER & ACQUISITION • TAX & LEGAL • MARKETING E COMUNICAZIONE INTEGRATA

Vision, strategie, creazione di valore, formazione manageriale, crescita organizzativa, gestione delle conoscenze e delle risorse: sono i fattori di successo per vincere la sfida dei mercati che il nostro team sviluppa a 360°, in un rapporto di stretta partnership con i clienti, per creare valore attraverso il soddisfacimento di ogni loro esigenza di governo del cambiamento.


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UNA CRESCITA IMPETUOSA Sida Group è una realtà dinamica, innovativa e in forte crescita. Lo dimostrano i fatti, ossia i dati e le cifre di attività dell’ultimo triennio, che presentano un costante trend di crescita e sviluppo (dati 2015, confronto % rispetto al 2013), relativo al gruppo e alle singole aree di attività.


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SBOCCHI OCCUPAZIONALI CERTI I percorsi di formazione della Management Academy di Sida Group offrono indiscusse e garantite opportunità occupazionali, certificate dai numeri: Questa capacità di assicurare occupazionale ai giovani al termine dei tirocini conclusi è in costante crescita: nel 2013 era l’81%.

Queste assunzioni sono in crescita esponenziale anche in valore assoluto: nel 2015 sono state 351, registrando una crescita di +350% sempre rispetto al 2013.

IL CAPITALE UMANO Risultati di crescita così significativi si possono ottenere solo grazie alla qualità ed al valore del capitale umano, che rappresenta l’autentico motore di sviluppo di Sida Group, della sua Management Academy, del suo staff per la fornitura di Servizi di Advisory specializzati e di avanguardia.

Sida Group produce valore per tutti gli stakeholders, a partire dal suo personale dipendente e non: il valore degli stipendi corrisposti nel 2015 è arrivato a 3.856.470 Euro, con un incremento di +52% rispetto al 2013.


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IL CAPITALE ORGANIZZATIVO NETWORK DELLE SEDI E SISTEMA BIG DATA ANALYSIS Sida Group sviluppa un’offerta formativa e di servizi integrati di direzione aziendale di eccellenza anche attraverso un capitale organizzativo di valore: ne rappresenta un esempio il network di 13 sedi distribuite in tutto il territorio nazionale e anche all’estero. Sedi di Sida Group: Ancona Bologna Parma Firenze Verona Padova Roma Foggia Napoli Badesi Galati Madrid Zara

Sedi Sida Group in collaborazione con l’Università e in attivazione all’estero: • Fer ara • Camerin • adova • Bucares • Madri Sul piano dello sviluppo organizzativo, per la fornitura dei propri servizi e la gestione dei rapporti con i propri stakeholders, Sida Group si avvale di un modernissimo sistema gestionale digitale di BIG DATA ANALYSIS. L’orientamento al futuro di Sida Group è testimoniato anche dalla politica di bilancio degli ammortamenti, cresciuti di +327% nel triennio 2013-2015. Attraverso questo capitale organizzativo di valore Sida Group è in grado di affiancare e supportare in modo personalizzato tutti i propri clienti, sia in Italia che all’estero, per il soddisfacimento di ogni loro esigenza manageriale e imprenditoriale.


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CERTIFICAZIONI E RICONOSCIMENTI CERTIFICAZIONI E RICONOSCIMENTI

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Sida Group è orientata alla qualità, da sempre ritenuta un fattore chiave di successo. Il capitole organizzativo di Sida Group basa anche sulle seguenti autorizzazioni e certificazioni: Sida Group è orientata qualità, ritenutaed unerogazione fattore chiave di successo. • Certificazione UNI ISO alla 9001:2008 perdalasempre progettazione di servizi di formazione; • Certificazione internazionale per i servizi formativi Know How Certification KHC QI 1001012 Rev.10 Il capitole organizzativo di Sida Group basa anche sulle seguenti autorizzazioni e certificazioni: - ISO 9001-2015 UNIpresso ISO 9001:2008 per Marche la progettazione ed erogazione di servizi di formazione; •• Certificazione Accreditamento la Regione per la formazione continua, superiore e l’obbligo •formativo; Certificazione internazionale per i servizi formativi Know How Certification KHC QI 1001012 Rev.10 -• ISO 9001-2015 Accreditamento presso la Regione Emilia Romagna per la formazione continua e la formazione • Accreditamento presso la Regione Marche per la formazione continua, superiore e l’obbligo superiore; formativo; • Accreditamento per l’esercizio dei servizi al lavoro nella Regione Marche. •• Conseguimento Accreditamento del presso la Regione Emilia continua e la formazione Rating di Legalità conRomagna punteggioper di la formazione ++ superiore; •The Accreditamento per l’esercizio dei Sida servizi al lavoro nella Regione Marche. Hive, l’incubatore del Gruppo certificato dal MISE, è stato premiato dall’UBI Global •Awards Conseguimento del Rating di Legalità con punteggio di ++ all’8° posto in Europa e al 2° in Italia nella classifica internazionale dei migliori business

incubator. In soli due anni di attività ha valutato oltre 400 candidature, incubato 37 start-up ed The Hive,lal’incubatore delTUV. Gruppo Sida certificato dal MISE, è stato premiato dall’UBI Global ottenuto certificazione Awards all’8° posto in Europa e al 2° in Italia nella classifica internazionale dei migliori business incubator. In soli due anni di attività ha valutato oltre 400 candidature, incubato 37 start-up ed ottenuto la certificazione TUV.

PARTNERSHIPS E COLLABORAZIONI PARTNERSHIPS E COLLABORAZIONI

L’offerta di valore di Sida Group si avvale anche di partner e di collaborazioni di prestigio a livello nazionale e internazionale. Esempi: GroupdièSida Partner Equity Markets di di Borsa Italiana (London StockdiExchange e L’offertaSida di valore Group si avvale anche partner e di collaborazioni prestigioGroup) a livello vanta una eimportante collaborazione con Samsung. nazionale internazionale. Collaborano Sidaè le Università Roma, Ferrara, Ancona e Camerino. Esempi: Sidacon Group Partner EquitydiMarkets di BorsaPadova, Italiana (London Stock Exchange Group) e Ivanta risultati garantiti dell’offerta formativa sono favoriti anche dall’ampiezza e dalla unaoccupazionali importante collaborazione con Samsung. crescita esponenziale delle collaborazioni aziendali attivate, segno della fiducia che Sida Group Collaborano con Sidadelle le Università riscuote nel mondo imprese: di Roma, Ferrara, Padova, Ancona e Camerino. IAziende risultaticonvenzionate occupazionaliegarantiti formativa sono favoriti anche dall’ampiezza e dalla coinvoltedell’offerta per i tirocini: 518 (+1.195%) crescita esponenziale delle collaborazioni aziendali attivate, segno della fiducia che Sida Group riscuote nel mondo delle imprese: Aziende convenzionate e coinvolte per i tirocini: 518 (+1.195%)


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I NUMERI PARLANO PER NOI

Contact Us Via I Maggio 156 – 60131 ANCONA - 071-28521 www.sidagroup.com - info@sidagroup.com


SPECIALEDIGITALBUSINESS

speciale

DIGITALBusiness www.mlmagazine.it 79


SPECIALEDIGITALBUSINESS

LA REALTÀ AUMENTATA di Anna Masturzo - Management Academy Sida Group Area Digitale

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er realtà aumentata (o realtà mediata dal device mobile, in inglese augmented reality, abbreviato “AR”), si intende l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi (per WIKIPEDIA Di Bari e Magrassi, “2015 Week End nel futuro”). La differenza tra la realtà aumentata e realtà virtuale, già molto più conosciuta , prevede due approcci relativi alla fruizione e all’interazione con i contenuti, differenziandosi altresì per il tipo di tecnologia tirato in ballo. Sebbene entrambi siano basati sulla visualizzazione di informazioni nel campo visivo, presentano una sostanziale differenza: la REALTÀ AUMENTATA sovrappone immagini e testi a ciò che l’utente vede intorno a sé, senza oscurarlo del tutto, mentre la REALTÀ VIRTUALE annulla per intero ciò che si trova nell’ambiente reale, dando la sensazione di trovarsi in un altro luogo, completamente ricreato attorno agli occhi di chi lo osserva. Prima di essere impiegata in ambito mobile, con applicazioni per smartphone e tablet o visori da indossare, la realtà aumentata è stata introdotta in ambiti specifici come quello della ricerca, della medicina o nel settore militare;

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in tempi recenti una delle prime app mobile a sfruttare questo approccio è stato un software che utilizzava le informazioni di geolocalizzazione fornite dal modulo GPS del dispositivo, e accoppiandole con l’orientamento dello schermo individuato da accelerometro o giroscopio, permetteva all’utente di inquadrare attraverso la fotocamera l’ambiente circostante, visualizzando icone relative ai punti di interesse presenti nelle vicinanze, esattamente nella direzione in cui si trovano. Le tecnologie legate alla realtà aumentata stanno progressivamente prendendo piede, mostrando potenzialità crescenti nell’ambito dell’intrattenimento multimediale, nel settore dei giochi, dell’arte, della cultura, dell’insegnamento e in vari settori professionali. Possono esser fruite tramite display da posizionare sulla montatura degli occhiali, visori e interi dispositivi indossabili o anche solo direttamente sul proprio device mobile. Pensando al futuro alcuni dei possibili impieghi dell’AR nella vita di tutti i giorni possono riguardare in generale: • Il campo medico, ad esempio visualizzando le cartelle cliniche dei pazienti senza dover interrompere ciò che sta facendo; • L’intrattenimento, attraverso la

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visualizzazione di statistiche all’interno del campo visivo durante un match sportivo oppure l’interazione con videogame che posizionano personaggi virtuali in giro per la casa; La pubblicità per strada e all’interno dei negozi e in generale ogni altra forma di pubblicità; i cataloghi digitali; La fotografia con l’introduzione dei video ritratti; Le etichette intelligenti, contenenti la storia di un prodotto o tutti i dati tecnici o di tracciabilità delle materie prime di partenza; Le simulazioni di trucco o la prova di vestiti o accessori (specchio in AR); Nuovi e più avvolgenti giochi per bambini ,ma anche per adulti con la creazioni di mondi virtuali fantastici o terrificanti; Mostre d’arte “impossibili” effettuate senza spostare manufatti di incalcolabile valore artistico e mostre di arte arricchite ad esempio dalla ricostruzione parziali di manufatti deteriorati; Datazione storica degli edifici e ricostruzione integrale di luoghi di interesse artistico non visitabili o fortemente deteriorati; Studi sulla decodifica e sulla misurazione delle emozioni umane


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attraverso la voce o la parte non verbale di comunicazione per capire se la persona con cui stiamo parlando mente oppure no; Nuove riviste interattive con contenuti aggiuntivi disponibili direttamente nelle pagine del giornale; La realtà aumentata entra anche in classe con la visualizzazione, ad esempio della tavola periodica degli elementi o l’utilizzo di interfacce di occhiali che permettono al professore di capire quanto lo studente stia realmente apprendendo; Sistemi di tutoraggio interattivo per applicazioni professionali (ad esempio nel campo dell’arredamento, dell’oggettistica, nell’edilizia per potenziamento delle ristrutturazioni e la distintività del prodotti nella meccanica per dimostrarne il funzionamento o semplicemente amatoriali (la classica riparazione fai da te, questa volta guidata passo per passo).

E’ evidente che in questo contesto il ruolo della diffusione della tecnologia mobile e lo sviluppo di software sempre più complessi possono condurre l’intera esistenza quotidiana ad un modo di vivere “aumentato” nel quale interagire solo con lo sguardo o con la voce. La AR rappresenta l’applicazione più interessante per qualsiasi device mobile, smartphone o tablet che sia, un comparto i cui dati a livello mondiale mostrano che nel il 2015 si è avuta una crescita delle vendite in doppia cifra, il 10.4% in più del precedente anno. In aree quali USA, Europa Occidentale e Cina hanno raggiunto un discreto livello di diffusione e maggiori aspettative sono adesso riposte in paesi come India, Indonesia, Sudest Asiatico, Medio Oriente e Africa. In ogni caso I phablet – telefono e tablet-

A CURA DI

continuano a raccogliere consensi, rappresentano già il 20% di tutti gli smartphone venduti nel 2015 e ci si aspetta un ulteriore aumento fino al 32% sino al 2020 (pari a 610 mln di unità). Se guardiamo nel dettaglio le piattaforme software vediamo che Android sembra destinato a crescere ulteriormente e aumentare la sua popolarità, incrementando la market share da 81 a 85%; il successo è dovuto soprattutto al gran numero di device economici che usano questo OS. Il sistema operativo di Apple, IOS ha fatto segnare un nuovo record nel 2015 con una crescita del 20.2% rispetto al 2014, un anno da ricordare. Una nuova impennata arriverà nel 2017. Intanto, nuovi OEM si stanno lanciando in questa sfida (vedi Acer e HP). Lo sviluppo dei devices mobili permette la consultazione delle informazioni, la fruizione dei contenuti multimediali e l’interazione con i propri contatti grazie allo schermo che visualizza parole, immagini o filmati, da controllare mediante input assegnati tramite una tastiera, un mouse, un display touchscreen o comandi vocali. Da un punto di vista strettamente aziendale un sempre maggior uso della realtà aumentata nella vita dei consumatori ha delle fondamentali ricadute, sia in termini di organizzazione e di risorse umane che di grandezze economico finanziarie con cui misurarsi. In particolare l’utilizzo di questa tecnologia permetterà alle aziende di: 1. Formare più velocemente le risorse umane a compiti specifici tramite l’utilizzo di appositi tutorial; 2. Ottimizzare la produzione con la creazione di prototipi virtuali che potranno anche essere testati dal consumatore in merito a funziona-

lità o estetica; 3. Interagire a distanza one to one con i clienti tramite i camerini prova virtuali, i negozi virtuali, i personal shopper virtuali; 4. Ottimizzare i costi della pubblicità utilizzando qualsiasi luogo fisico per esporre, raccomandare o spiegare un prodotto, un servizio, una storia; 5. Esplicare azioni di marketing virale mirato direttamente sui device mobili degli utenti prescelti; 6. Progettare e visualizzare interamente sistemi complessi impossibili da creare su scala ridotta (si pensi al settore della progettazione grandi impianti); 7. Simulare, confrontare e analizzare eventi fisici in modo virtuale (esempio crash test di una macchina, collisione di un treno, terremoto, eccetera). La chiave di volta della veloce introduzione di questa nuova tecnologia è una diversa formazione delle risorse umane aziendali; sono necessarie maggiori specificità (sapere progettare con gli strumenti giusti), maggiore creatività (immaginare quanti e quali ambiti possano fruire di questo mezzo), maggiore flessibilità (essere disposti ad imparare ed aggiornarsi quotidianamente in funzione dell’evoluzione del mezzo tecnico). La sfida per le aziende è investire in Ricerca e Sviluppo e in formazione continua del personale, per applicare questa potente tecnologia alla propria attività economica e inserire figure esperte professionalizzate nel digitale con particolare riguardo all’AR, nonché ricercare o selezionare strutture di servizi specializzate in questo campo a cui affidare le infinite applicazioni dell’AR alla propria realtà.

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SPECIALEDIGITALBUSINESS

INTERNET OF THINGS

LO SCENARIO E LE NUOVE SFIDE di Romano Mataloni - Management Academy Sida Group Area ICT & Information Security

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n questi ultimi anni, le aziende italiane si sono trovate di fronte a importanti cambiamenti e grandi sfide, che stanno interessando a diversi livelli tanto le aziende ICT e digitali quanto quelle degli altri settori.

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Da un lato, i cambiamenti sono influenzati da trends che hanno coinvolto l’economia contemporanea e dei quali qualsiasi organizzazione deve tener conto della:

zione di idee, di pratiche e tecnologie e soprattutto delle persone influenza inevitabilmente il modo attraverso cui le persone (inter)dipendono e si influenzano le une con le altre

• Globalizzazione: la libera circola-

• Innovazione Tecnologica: la crescita


SPECIALEDIGITALBUSINESS in termini di potenza, velocità di elaborazione e di storage dei dati rende possibile a livello globale la collaborazione in tempo reale. È possibile imparare, condividere e lavorare in qualsiasi parte del mondo • Mobilità: la forza lavoro è oggi più libera di spostarsi e di lavorare senza essere costretta in confini spaziali. Le organizzazioni si aspettano un maggiore apporto produttivo dalle persone anche se sono in movimento e questo comporta nuove competenze nella gestione delle priorità • Social Enterprise: le persone possono connettersi, condividere informazioni e costruire comunità online. Le organizzazioni tradizionali si trovano a dover transitare verso reti umane dinamiche, utilizzando i Social Media non solo per innovare il brand ma anche per raggiungere persone che utilizzano un ventaglio di mezzi di connessione molto diversificati • Analisi dei dati: le organizzazioni possono ora utilizzare l’analisi dei dati sia per fini predittivi che prescrittivi, grazie ai big data e software molto avanzati Dall’altro lato, le sfide sono riconducibili all’attuale contesto politico-economico italiano, caratterizzato da un mercato del lavoro che fatica a decollare (il livello di disoccupazione è ormai al 13%), da retribuzioni tra le più basse dei Paesi Ocse (siamo al 22esimo posto sui 34 paesi dell’Ocse), dal costo del lavoro tra i più alti (in questo caso siamo al 17esimo posto) e da produttività in costante calo (-20% dal 2007). Per sopravvivere in questo contesto, le aziende italiane devono recuperare produttività e competitività, attuando

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processi innovativi e stando al passo con i cambiamenti. Uno dei pilastri della trasformazione digitale che sta sconvolgendo in questi anni il modo con cui le aziende devono operare e devono competere nei propri settori, è l’Internet of Things (IOT). L’Internet of Things è il punto di contatto tra mondo fisico e mondo digitale, reso possibile attraverso l’utilizzo dell’internet technology: un’infrastruttura tecnologica globale, basata su standard e protocolli interoperabili dove gli oggetti, sia fisici che virtuali, acquisiscono attributi, identità e personalità, comunicano tra di loro e sono in grado di modificare il proprio comportamento in base all’evoluzione dell’intero ecosistema. Un ruolo abilitante lo ha avuto l’evoluzione tecnologica che ha coinvolto il mondo fisico dei sensori, componenti che sino a poco tempo fa erano, oltre che costosi, anche poco flessibili, e che sempre di più risultano invece trasversali ai più svariati ambiti applicativi (rilevazione temperature,

velocità, monitoraggio ambientale, controllo infrastrutture, …). Anche lo sviluppo di nuove modalità di comunicazione, non più basate esclusivamente su rete cellulare ma, ad esempio, su tecnologie short range o power line sta iniziando ad abilitare una serie di servizi più ampi abbattendo i costi di tecnologia e integrazione. Altro elemento che permetterà la crescita del mondo Internet of Things è rappresentato da piattaforme applicative pervasive in grado di integrare il mondo fisico di oggetti, sensori, tag, device, di gestirlo raccogliendo dati ed inviando indicazioni di comportamento ed aggregando le informazioni secondo le necessità del cliente, oggi prevalentemente B2B ma un domani, probabilmente, anche un consumatore finale. Le piattaforme saranno sempre più abilitate dal Cloud Computing e beneficeranno di motori potenti per l’analisi dei Big Data. Alla luce di queste evoluzioni già in parte concretizzate, l’Internet of Things risulta ancora in uno stadio di sviluppo embrionale, ben distante da quel

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SPECIALEDIGITALBUSINESS paradigma del “tutto interconnesso” che vedrà 100 miliardi di devices comunicanti tra loro nel 2025. A livello mondiale, gli ambiti applicativi prevalenti dell’Internet of Things sono l’automotive (con servizi sullo stato dell’auto, del traffico e soprattutto di tipo assicurativo), il transportation e la logistica, la security e lo smart grid elettrico, mentre tra qualche anno dovrebbero essere abilitate vere e proprie soluzioni di smart cities e anche l’health, oltre all’internet industrial (elettrodomestici bianchi soprattutto). I prodotti intelligenti interconnessi obbligheranno le aziende a ripensare praticamente tutto quello che fanno: da come concepiscono, progettano e predispongono i prodotti a come li producono, li fanno funzionare e li riparano. Vediamo alcuni settori aziendali che saranno fortemente influenzati da questa nuova forma tecnologica e che richiederanno nuove competenze. Risorse umane - I prodotti intelligenti interconnessi creano nuove sfide importanti per la funzione risorse umane. La più pressante è l’esigenza di acquisire nuove competenze, molte delle quali sono particolarmente richieste. L’engineering, popolato tradizionalmente da ingegneri meccanici, deve acquisire specialisti di sviluppo software, ingegneria dei sistemi, cloud di prodotto, analitica dei big data e altro ancora. Progettazione - I prodotti intelligenti interconnessi richiedono tutta una serie di nuovi principi di progettazione, modelli che consentono la personalizzazione attraverso la standardizzazione dell’ hardware ma con una custo-

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mizzazione basata sul software e che incorporano la capacità di supportare continui miglioramenti del prodotto e che facilitano un’assistenza preventiva, più efficace o a distanza. L’expertise nell’engineering dei sistemi e nello sviluppo agile del software è essenziale per integrare l’hardware, l’elettronica, il software, il sistema operativo e i componenti di connettività di un prodotto - un’expertise che non è ben sviluppata in molte aziende di produzione. Anche i processi di sviluppo dei prodotti dovranno incorporare rapidamente ed efficientemente più modifiche nella fase finale e dopo l’acquisto. Le aziende dovranno sincronizzare le diversissime “velocità” di sviluppo dell’hardware e del software. Servizi post-vendita - I prodotti intelligenti interconnessi offrono grossi miglioramenti nella manuten¬zione preventiva e nella produttività dell’assistenza. Occorrono nuove strutture organizzative di servizio e nuovi processi di fornitura per sfruttare dati sul prodotto che rivelano problemi attuali e futuri e permettono alle aziende di effettuare riparazioni tempestive. I dati in tempo reale sull’utilizzo e sulla performance dei prodotti consentono forti riduzioni nei costi di dislocazione degli addetti all’assistenza e grosse efficienze nel controllo delle scorte di pezzi di ricambio. I segnali precoci di rottura di parti o componenti possono ridurre i guasti e favorire una programmazione più efficiente dell’assistenza. I dati sull’utilizzo e sulla performance dei prodotti possono fornire indicazioni preziose per la progettazione dei prodotti stessi, aiutando così le aziende a ridurre i guasti e gli interventi di assistenza. I dati sull’utilizzo dei prodotti si possono usare anche per validare le

richieste di applicazione della garanzia e identificare eventuali abusi. I dati sull’utilizzo dei prodotti consentono inoltre alle aziende di migliorare la “progettazione dell’assistenza” - ossia di ridurre la complessità o l ‘impiego di componenti soggetti a guasti per semplificare le riparazioni. Tutte queste opportunità modificano drasticamente le attività di assistenza nella catena del valore. Marketing - I prodotti intelligenti interconnessi per¬mettono alle aziende di costituire nuove relazioni con i clienti, relazioni che richiedono nuove pratiche e nuove competenze di marketing. Man mano che accumulano e analizzano dati sull’utilizzo dei prodotti, le imprese acquisiscono nuove indicazione su come i prodotti creano valore per i clienti, il che favorisce un miglior posizionamento delle offerte e una comuni-cazione più efficace del valore del prodotto ai clienti. Usando strumenti di analitica dei dati, le aziende possono segmentare i propri mercati in modo più sofisticato, tagliare su misura combinazioni tra prodotti e servizi che generano più valore per ciascun segmento e prezzarle in modo da acquisire una quota maggiore di quel valore. Sicurezza - I prodotti intelligenti interconnessi creano l’esigenza di massimizzare i sistemi di sicurezza per proteggere i dati che fluiscono verso, da e tra i prodotti; proteggere i prodotti dall’uso non autorizzato. Ciò richiederà nuovi processi di autenticazione, l’archiviazione sicura dei dati sul prodotto , meccanismi di protezione contro gli hacker sia per i dati sul prodotto sia per i dati sui clienti, la definizione e il controllo dei privilegi di accesso e la difesa dei prodotti stessi dagli hacker e dall’uso non autorizzato.

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE – A.I.

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di Anna Masturzo - Management Academy Sida Group Area Digitale

econdo il Collins English Dictionary – Complete and Unabridged, 12th Edition 2014 © HarperCollins, l’intelligenza artificiale si definisce come lo studio e la creazione di modelli attuati da un computer di azioni che fanno riferimento alle funzioni mentali umane. Il Random House Kernerman Webster’s College Dictionary, © 2010 K Dictionaries Ltd. aggiunge che questi sono attributi generali di un computer, di un robot, o di altri strumenti

analoghi che possano produrre – riprodurre - funzioni analoghe all’apprendimento e al processo decisionale; viene denominato così il campo dell’informatica che si occupa di creare gli strumenti e i programmi di questa disciplina. Scopo dell’intelligenza artificiale è comprendere la natura dell’intelligenza umana e ingegnerizzarne il processo: allo stato attuale dello sviluppo dei computer questi sono solo in grado di eseguire qualcosa che gli viene richiesto, seppur con modalità

molto veloci: l’intelligenza artificiale, per altro, mira invece a divenire uno strumento di pensiero flessibile, che possa interpretare la realtà circostante attraverso sistemi di sensori combinati con sistemi di interpretazione dati. In effetti sviluppare software che possano riconoscere ed interpretare sistemi di sottili differenze richiedono l’elaborazioni di massicce dosi di dati e linee guida estremamente accurate: questo è il punto più importante da superare quando si voglia parlare di

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SPECIALEDIGITALBUSINESS un vero sistema di intelligenza artificiale. Nel 2015 le aziende tecnologiche che lavorano in questo settore hanno speso, solo negli US, 8,5 miliardi di dollari in accordi e investimenti sull’intelligenza artificiale, il quadruplo rispetto al 2010; quasi tutti i giganti della tecnologia, tra cui Google, Microsoft, Facebook, Amazon e Baidu, sono in competizione per assicurarsi i migliori esperti di intelligenza artificiale, si accaparrano startup e riversano soldi nella ricerca; anche in Italia si sono sviluppati programmai di studio sull’intelligenza artificiale di cui addirittura uno sul cervello che può imparare ad evolversi da solo dell’università di Sassari. I processi di apprendimento profondo - o deep learning come si dice in inglese- che sostengono il progetto di intelligenza artificiale hanno lo scopo di creare macchine dotate di capacità di pensiero simile a quello umano. Allo stato attuale molti devices lavorano già utilizzando sistemi che cercano di imitare l’intelligenza umana, ad esempio gli smartphone: questo tipo di intelligenza artificiale viene definita però debole o ristretta a causa delle sue innovative ma limitate performance. Lo scopo primario dell’intelligenza artificiale futura, quando compiuta, potrebbe avere infinite declinazioni, quali, ad esempio, quelle del campo medico, della ricerca avanzata, della sperimentazione. Secondo molti esperti del settore negli anni a venire, a una data compresa tra il 2030 e il 2045 l’intelligenza artificiale conoscerà la sua massima espansione in tutti i settori. Al momento i progetti di intelligenza artificiale si stanno focalizzando nella capacità del sistema di comprendere

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il linguaggio naturale - l’elaborazione del linguaggio naturale, detta anche NLP (dall’inglese Natural Language Processing, elaborazione lingua naturale), è il processo di trattamento automatico mediante un calcolatore elettronico delle informazioni scritte o parlate in una lingua naturale; questo processo è reso particolarmente difficile e complesso a causa delle caratteristiche intrinseche di ambiguità del linguaggio umano. Per questo motivo il processo di elaborazione viene suddiviso in fasi diverse, tuttavia simili a quelle che si possono incontrare nel processo di elaborazione di un linguaggio di programmazione: • analisi lessicale: scomposizione di un’espressione linguistica in token (in questo caso le parole) • analisi grammaticale: associazione delle parti del discorso a ciascuna parola nel testo • analisi sintattica: arrangiamento dei token in una struttura sintattica (ad albero: parse tree) • analisi semantica: assegnazione di un significato (semantica) alla struttura sintattica e, di conseguenza, all’espressione linguistica Nell’analisi semantica la procedura automatica che attribuisce all’espressione linguistica un significato tra i diversi possibili è detta disambiguazione. – Altre idee collegate all’elaborazione del linguaggio naturale, per esempio, sono quelle collegate a quelle dell’interazione con il maggiordomo robot, una sorta di assistente personale in grado di riconoscere i volti dei familiari e amici e di occuparsi di tutte le cose che riguardano la casa. Le applicazioni immediate dell’intelligenza artificiale, oltre quelle legate alla medicina, e applicabili anche con un sistema di intelligenza non estremamente sviluppato – la cosiddetta

intelligenza ristretta – sono legate alla finanza, all’energia, e al commercio. In realtà l’ambito più interessante per le applicazioni di intelligenza artificiale è quello che lavora specificatamente per le aziende, permettendogli di fare ricerca e di raccogliere dati che aiutino l’azienda stessa ad affrontare in modo resiliente il contiuo cambiamento; ad esempio applicazioni militari di geomarketing che riescono a raggiungere il target definendolo con una tale mole di dettagli sino ad ora totalmente impensati. Altre applicazioni sempre sulla stessa falsariga permettono di gestire il retail individuando ed esprimendo con moltissima profondità i gusti e le aspettative dei clienti coinvolti. Molte opportunità per le aziende deriveranno anche dalla condivisione open di tutte le scoperte in questo settore, condivisione di cui potranno beneficiare anche micro aziende, start up e aziende che vogliano fare ricerca e sviluppo ma non siano troppo strutturate. Per concludere questo argomento diciamo che il settore dell’intelligenza artificiale sta già cominciando a generare sostanziosi profitti per le aziende, il che contribuisce a spiegare i crescenti investimenti nello sviluppo delle sue potenzialità. Un flusso costante di esperti e studiosi del settore si sposta quindi dalle università alle realtà private aiutando le aziende piccole a superare le barriere del mercato attraverso la ricerca e contribuendo a migliorare i risultati di quelle più grandi; ogni giorno lo sviluppo di nuovi software ed hardware ci prefigura costantemente, realmente, un mondo che verrà ma che in realtà potremmo definire con una strana parafrasi il nostro futuro presente.

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BIG DATA, E-COMMERCE E MARKETPLACE Lasciamo tracce anche se non compriamo! di Laura Osmani - Management Academy GGF Group Area Digitale e Big Data Analytics

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illennials, Teens, Seniors, Baby Boomers, Generation X, queste solo alcune delle locuzioni e dei “nomi” apposti ai cluster e target demografici del mercato online ed offline. Sono persone, sono uomini e donne, sono suddivisi per età e periodo di nascita, segnano inizio e fine di periodi storici di transizione e ognuna di queste

interagisce o ha imparato ad interagire nella rete globale “internet” a suo modo, ricercando, scoprendo, chiedendo, acquistando. Ogni azione compiuta online e offline è in grado di lasciare tracce, evidenti o silenziose, dati grezzi che parlano di noi, dei nostri bisogni, di desideri temporanei o di abitudini costanti. All’interno dell’ampio panorama dei topics nell’universo vendita e promo-

zione online si scorgono terminologie quali predictive selling, inbound marketing, digital shoppers & buyers, digital real time marketing and retail practices, social media marketing, performance measurement and mobile and marketing technology, ma tutto questo non è solo “vocabolario dell’online” è azione! Siamo interpreti attivi del commercio online quando indossiamo la nostra

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SPECIALEDIGITALBUSINESS maschera da professionisti e ci vestiamo della “B” Business men dell’acronimo “B2C”. Quando torniamo nelle nostre case, al nostro tempo libero diveniamo le “C” i Consumer e subiamo e interagiamo con i marketers e con il mercato subendo le loro azioni, le nostre! Cerchiamo però di capire e di fare ordine. Cos’è il marketplace, cos’è l’e-commerce, quali sono i trend attuali e perchè il “Dato” riveste un ruolo da protagonista del “dietro le quinte” nel panorama delle vendite online? Un marketplace, è un logo di intermediazione, in cui viene favorito e promosso l’incontro tra domanda e offerta. Raggruppa un numero considerevole di venditori (merchant) di prodotti o servizi appartenenti a categorie e settori merceologi differenti. In base agli operatori coinvolti parliamo di marketplace B2B, B2C e C2C. Un e-commerce gestisce, invece, un solo o pochi fornitori e generalmente i prodotti di un solo settore merceologico ed è seguito da uno staff dedicato all’online sales, marketing e promotion. In entrambi i casi la componente tecnologica, l’interscambio di informazioni, le transazioni, il flusso di dati in entrata ed uscita diviene componente fondamentale e asset strategico di comprensione del business, dei trend, dei comportamenti d’acquisto e di ricerca, in un’unica parola: di business. Secondo quanto recentemente pubblicato da eMarketer.com le previsioni e le stime del mercato vendite digitali al dettaglio indicherebbero che i consumatori in Europa occidentale peseranno con i loro acquisti circa 351,4 miliardi di dollari nel 2016, con un incremento del 10,5% rispetto al 2015. All’interno di questo universo di riferimento il Regno Unito

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e la Germania contribuiranno a più della metà del fatturato che andrà a generarsi. Si prevede che nel Regno Unito le vendite e-commerce supereranno i 67 miliardi di dollari nel 2016 alimentati da una impennata degli acquisti tramite dispositivi smarthpone. La Germania è il secondo mercato e-commerce in Europa, il paese si avvicinerà a 69 miliardi di dollari nel 2016 e le previsioni del 2017 parlano di una crescita ancora a doppia cifra fino ad arrivare 76 miliardi di dollari. La Francia, in terza posizione, si prevede raggiungerà i 46 miliardi di dollari nel 2016, e più di 30 milioni di persone acquisteranno online almeno una volta. L’Italia, invece, ha fatto registrare un basso livello di vendite al dettaglio nel 2015 13,4 miliardi di dollari, ciò è dovuto ad una economia in stallo e una propensione all’acquisto di prodotti local e non glocal (fonte: traduzione e rielaborazione da articoli eMarketer.com). Nel nostro paese su una popolazione internauta che nel 2014 era costituita da circa 25 milioni di persone 4 milioni risultavano attive nel mercato delle vendite online canale B2C. Il 56% delle vendite risultava derivato dalle ZMOT (Zero Moment of Truth) acquisti nati da un processo impulsivo, il 44% dovuti invece ad un processo completo che dalla fase informativa, passando per quella di bench arrivava a quello di acquisto. (Fonte: Osservatorio e-commerce 2014). Lo stesso osservatorio indica che in Europa nel 2014 erano 264 milioni gli acquirenti online, mentre a scala worldwide 1.181 milioni, e questo solo per sottolineare quali siano i numeri di partenza da cui si genera il mercato parallelo dei Big Data. Ma come utilizzarli, cosa fare? Parafrasando quanto affermato da Björn Radde - Vice President Digi-

tal Marketing at Trust International (https://www.linkedin.com/pulse/20141112200850-1172947-big-data-future-of-e-commerce) i big Data consentono ai retailers di ottimizzare il processo di acquisto e di vendita, di configurare gli asset di comunicazione e promozione dedicati, di personalizzare l’esperienza di acquisto di ogni singolo cliente, di predire i futuri bisogni di clienti acquisiti e potenziali orientano i cluster individuati verso prodotti e/o servizi come se fossero taylor made. Il data mining consente, inoltre, di intervenire in maniera dinamica sul sistema dei prezzi, l’online è il mercato della trasparenza, sono sotto l’occhio di tutti sia i propri prezzi sia quelli dei competitors rispetto ai quali diventa fondamentale rimanere competitivi. L’analisi permette, inoltre, di ottimizzare e indirizzare in maniera corretta le azioni di advertising e di vendita da un lato, ma anche quelle di customer service dall’altro, attraverso i differenti e molteplici canali di contatto che vanno dalla più tradizionale telefonata, ai sistemi di chat, alle skype call, ad un assistente virtuale. Le Informazioni ricavate dalle tracce di ricerca lasciate sul web dai potenziali acquirenti divengono anche fonte di conoscenza a servizio delle esperienza di navigazione, e permettono, opportunamente interpretate, di migliorare i parametri di visualizzazione del sito di e-commerce e/o della piattaforma marketplace. Il tutto a supporto del processo completo di lead management che partendo dalla lead generation e passando per le attività di nurturing arriva al sospirato e sperato SALE, passando per percorsi conosciuti, ma a volte inaspettati.


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DRONI E APPLICAZIONI di Antonio Feliziani - APR Italia

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’acronimo italiano APR – Aeromobile a Pilotaggio Remoto – è il termine tecnico di quegli aeromobili comunemente chiamati “droni”. L’origine del nome “drone” è militare: deriva dal primo aeromobile a guida remota, creato dagli inglesi negli anni ‘30, che fungeva da bersaglio telecomandato per esercitazioni di tiro e che venne chiamato “queen bee” (ape regina). Successivamente, la marina americana si baso’ sul “queen bee” per costruire il proprio aeromodello e, in omaggio dell’originale, lo aveva chiamato “drone” (fuco, il maschio dell’ape), continuando così col tema entomologico. Durante la seconda guerra mondiale, alla produzione di bersagli telecomandati si era aggiunta quella di velivoli per operazioni militari che, nei decenni seguenti fino ad arrivare ai giorni nostri, si sono evoluti in diversi tipi di aeromobili dedicati a scopi non prettamente militari. Lo sviluppo degli APR nella nostra epoca delinea un settore in generale ascesa a livello mondiale, anche se, nel particolare scenario italiano, sta vivendo un boom tardivo dovuto probabilmente a pastoie normative che paragonano gli APR ai comuni aeromobili di trasporto. Questa restrittiva visione normativa degli APR, analo-

ga a quella dell’aeronautica classica, differisce di molto rispetto agli altri Stati europei ed ha comportato un rallentamento della crescita del settore, favorendo così realtà abusive che operano senza il diretto controllo delle autorità aeronautiche con il rischio però di incappare in sanzioni amministrative e penali molto rigide. L’altro scoglio con cui il settore ha impattato è quello di una crisi economica che causa una diminuzione degli investimenti in nuovi settori dovuta ad un sistema gestionale nazionale che, dedicando gli incentivi ad altri ambiti, non favorisce lo sviluppo di questi servizi innovativi e potenzialmente importanti per la crescita economica. In realtà, il settore degli APR potrebbe avere un forte impatto sulla crescita di molti ambiti lavorativi e, prendendo come esempi diversi paesi europei (primi fra tutti Francia e Finlandia), può rappresentare un’importante fetta di mercato ed un volano per la rinascita dell’economia italiana. Non volendoci addentrare nella normativa italiana sugli APR, verranno di seguito esposti alcuni dei principali ambiti di applicazione professionale di questi aeromobili. Oltre che per le classiche riprese e fotografie aeree, dove questi mezzi hanno già un’indubbia affermazione di mercato do-

vuta ad anni di utilizzo ed incremento commerciale, vi sono altri importanti ambiti non ancora particolarmente sviluppati dove gli APR potrebbero eccellere. Di seguito vengono elencate alcune delle principali applicazioni degli APR in ambito professionale : • RILIEVO VISIVO-FUNZIONALE: rilievi aerei atti al monitoraggio ambientale (ad es. eventi naturali, stato dell’ambiente, stato di avanzamento lavori in cantieri etc.) ed al controllo delle infrastrutture (viarie, elettriche, impianti eolici e fotovoltaici, coperture, ciminiere etc.); • RILIEVO TECNICO-AMBIENTALE: rilievi aerei fotogrammetrici mirati alla mappatura del territorio per scopi topografici, agricoli o geomatici in generale; • RILIEVO TECNICO-STRUTTURALE: rilievi aerei fotogrammetrici ingegneristici, architettonici ed archeologici mirati all’acquisizione di un modello 3D ad alta precisione per scopi documentali, progettuali, di ricerca e di re-design;

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• RILIEVO TERMICO: rilievi aerei per il monitoraggio termometrico delle strutture (ad es. studio della dispersione termica degli edifici per un’ottimizzazione energetica), del territorio (rischio idrogeologico, rilievi archeologici, inquinamento ambientale, discariche, etc.) e degli impianti fotovoltaici (monitoraggio dei pannelli fotovoltaici al fine di verificare il loro corretto funzionamento ed il livello di deperimento della linea); • RILIEVO SPETTRALE: rilievi aerei atti al riconoscimento di sostanze, dello stato di stress della vegetazione e dei parametri chimici connessi. Questa particolare tipologia di analisi trova un ampio margine di crescita in vari settori non convenzionali come la ricerca di amianto, di fonti inquinanti, di coltivazioni di sostanze illegali, etc.

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I campi di applicazione e le strumentazioni sopra citati si riferiscono a ciò che attualmente rappresenta una certezza applicativa, ma è chiaro che le potenzialità di questo settore si esprimeranno al meglio nel momento in cuici sarà una stretta collaborazione tra azienda e professionista APR affinche’si possano studiare interventi ad hoc per ogniesigenza. Ad oggi in Italia le aziende che in modo pioneristico hanno investito in questi ambiti, stanno riscontrando dei vantaggi economici e qualitativi dei risultati (vedi Autostrade Italiane, RFI, Enel, Vodafone, Mutti ed altri). E’ evidente che per svolgere tutte le attività sopra descritte vengono utilizzati APR professionali capaci di caricare attrezzature pesanti (payload) e tecnologiche come Termocamere radiometriche, apparecchiature che lavorano su diverse frequenze dello

spettro visivo (spettrografi, macchine multi-spettrali ed hyper-spettrali) e fotocamere Full Frame. Come professionista di questo settore auspico che molto si potrà fare anche Italia nel momento in cui la normativa vigente si allinerà a quella Europea, con un necessario supporto istituzionale che consenta alle imprese di investire sulla ricerca e sviluppo di un settore professionale che presenta ancora un mondo inesplorato di applicazioni utilizzabili da chiunque, d’altronte ricordiamoci che : “C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.” [Henry Ford]


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INFORMATION SECURITY : LA INELUDIBILITÀ DELLA GESTIONE di Romano Mataloni - Management Academy Sida Group Area ICT & Information Security

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o voluto dare a questo articolo il titolo “INFORMATION SECURITY: La Ineludibilità della Gestione”, perché sono convinto del fatto che in tutte le organizzazioni non sia diffusa una cultura ed una attenzione alla sicurezza delle proprie informazioni. Le crescenti minacce provenienti non solo da Internet (ad es. attacchi, intrusioni e accessi non autorizzati etc..) ma anche dall’interno delle reti (ad es. scorretto utilizzo dei sistemi informatici, diffusione non controllata di dati aziendali, diffusione involontaria di virus etc.. ) rendono i sistemi informatici più vulnerabili, esponendo le organizzazioni pubbliche e private a nuovi rischi di frodi, furto o diffusione di informazioni, arresto di servizi con prevedibili conseguenze di

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natura legale o economica, di perdita di immagine o di efficienza. Attacchi alla vita quotidiana delle persone, attacchi alle infrastrutture che permettono alla società civile di continuare a essere tale, attacchi alle attività che permettono alle aziende di funzionare e alle pubbliche amministrazioni di erogare i servizi essenziali ai cittadini sono una costante “non visibile” di ciò che sta accadendo oggi. Il Clusit, nato nel 2000 presso il Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Milano, autorevole associazione italiana nel campo della sicurezza informatica, ogni anno elabora un rapporto con lo scopo di fotografare lo stato dell’ arte della sicurezza informatica nel mondo, testimonianza reale di ciò che sta accadendo.

Nell’ ultimo rapporto relativo agli incidenti informatici accaduti nel 2015 “il cybercrime è cresciuto nell’ultimo anno di circa il 30%, lo spionaggio di quasi il 40%, le infrastrutture critiche hanno subito un aumento stimato complessivo degli attacchi di oltre il 150%! Nel 2015 la modalità di attacco che più di ogni altro ha fatto parlare del tema è stata ransomware, una vera e propria estorsione informatica la cui diffusione, e la conseguente capacità di generare denaro, non conosce limiti. Stiamo quindi davanti a uno scenario che si potrebbe definire da incubo. I settori dove si sono registrati maggiori attacchi: i servizi cloud, dal¬le webmail ai social network, siti di e-commerce e piattaforme cloud pubbliche, con un aumento del’81% degli attacchi rispetto all’anno 2014. E poi l’informazione e il gioco, se si


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considera che piattaforme di blogging e gaming hanno subito nel 2015 un numero di attac¬chi di quasi l’80% in più rispetto all’anno 2014. (Fonte “Rapporto Clusit 2016 sulla sicurezza ICT in Italia” – www.clusit.it) Nessun sistema informatico potrà mai probabilmente essere completamente sicuro; anche i sistemi più curati potranno rivelarsi vulnerabili, magari da parte di utenti che ancorché autorizzati abusano dei privilegi loro concessi. Quindi, quello che le organizzazioni debbono perseguire è mantenere sempre alta l’asticella della soglia di attenzione alla sicurezza informatica per rendere particolarmente ardui, difficili e molto impegnativi i tentativi di compromissione dei sistemi, al limite della dissuasione.

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La gestione della sicurezza informatica deve essere considerata “un processo, e non un prodotto”; va analizzata ed affrontata attraverso un approccio integrato (tecnologico ed organizzativo, organico, strutturato ed interdisciplinare) ovvero mediante la strutturazione di un processo continuo di identificazione, analisi e valutazione dei rischi, nonché di selezione delle migliore strategie di prevenzione e gestione degli stessi. Tale processo è noto come Information Security Management System (ISMS) e la sua adozione, per le organizzazioni, assume un valore elevato in quanto finisce per costituire un indicatore di efficienza e di solidità delle stesse in grado di garantire affidabilità e continuità dei servizi erogati, mantenimento di appropriati livelli di confidenzialità, integrità e dispo-

nibilità delle informazioni e conquistare, dunque, la fiducia dei propri clienti/utenti. Ma quando può un sistema di gestione della sicurezza considerarsi “sicuro”? Quando si è capaci di salvaguardare la riservatezza, l’integrità e la disponibilità delle informazioni, qualunque forma esse assumano e qualunque siano i mezzi con cui vengono condivise o memorizzate, e delle risorse utilizzate per il suo trattamento, contrastando efficacemente ogni minaccia sia di tipo accidentale sia di tipo intenzionale, ovvero riducendo al minimo i rischi attraverso l’individuazione, la realizzazione e la gestione di opportune contromisure di natura fisica, logica ed organizzativa. Salvaguardare la riservatezza dell’in-

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formazione, quindi la sua confidenzialità, si intende la capacità di ridurre a livelli accettabili il rischio di accesso, volontario o involontario, non autorizzato o di intercettazioni da parte di terzi. Proteggere l’integrità dell’informazione, ovvero la sua “accuratezza”, “completezza” e “validità”, si intende la capacità di ridurre a livelli accettabili il rischio di cancellazioni o modifiche non autorizzate da parte di terzi, o del verificarsi di fenomeni non controllabili (come ad esempio il deteriorarsi dei supporti di memorizzazione, la degradazione dei dati trasmessi su canali rumorosi, i guasti degli apparati, i problemi ai sistemi di distribuzione dell’energia, gli incendi, gli allagamenti, etc.) e prevedendo adeguate procedure di recupero delle informazioni (ad es. dopo una analisi della Business Impact Analysis implementare piani di Disaster Recovery e di Business Continuity). Garantire la disponibilità dell’infor-

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mazione, si intende la capacità di ridurre a livelli accettabili il rischio che possa essere impedito a soggetti autorizzati l’accesso ed l’utilizzo delle informazioni e dei servizi ogni qual volta richiesti. I meccanismi di protezione, in grado di attuare le funzioni di sicurezza sopra descritte, consistono in misure di sicurezza fisica (ad es. sistemi/apparecchiature), logica (ad es. soluzioni tecnologiche), ed organizzativa (ad es. procedure, istruzioni operative, training, etc..) la cui selezione deve essere effettuata in relazione ai rischi cui le informazioni sono potenzialmente esposte. Funzioni di Sicurezza Fisica • Sistemi di Rilevazione Passiva: rilevano la presenza di situazioni anomale (ad es. incendio, allagamento, fumo), inviando uno specifico allarme ai centri di controllo senza attivare contromisure;

• Sistemi di Rilevazione Attiva: rilevano la presenza di situazioni logistiche anomale (ad es. incendio, allagamento, fumo), inviando uno specifico allarme ai centri di controllo ed attivando una specifica contromisura. • • Sistemi di Controllo Accesso Fisico: regolano l’accesso fisico in determinate aree riservate alle sole persone e mezzi autorizzati. • Sistemi di Continuità di Alimentazione: garantiscono la continuità dell’alimentazione elettrica ai sistemi informatici, almeno per il tempo sufficiente alla chiusura ordinata. • Infrastrutture: accorgimenti specifici sugli edifici e disposizione dei locali al fine di garantire la sicurezza degli impianti (edifici antisismici, uscite di sicurezza dotate di sistemi di allarme, separazione ambienti a rischio, ecc…).


SPECIALEDIGITALBUSINESS Funzioni di Sicurezza Logica • Access Control: controllano il flusso delle informazioni tra processi e dell’utilizzo delle risorse da parte dei processi stessi, con l’obiettivo di assicurare solo agli utenti autorizzati l’espletamento delle operazioni di propria competenza. • Accounting: registrano e tracciano le azioni degli utenti con l’obiettivo di assicurarne l’univoca ed incontestabile attribuzione. • Audit: registrano ed analizzano gli scostamenti, da soglie predeterminate, di determinati eventi che potrebbero rappresentare una minaccia alla sicurezza delle risorse. Hanno l’obiettivo di monitorare e controllare casi anomali o sospetti. • Data Exchange: garantiscono la protezione dei dati durante la

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loro trasmissione sui canali di comunicazione mediante l’autenticazione del mittente, l’integrità e la riservatezza del contenuto del messaggio, il non ripudio del mittente e del destinatario. • Identification e Authentication: verificano l’identità degli utenti che accedono a risorse controllate. L’identificazione e l’autenticazione devono essere effettuate prima di ogni ulteriore interazione tra l’utente e il sistema. • Object Reuse: consentono il riutilizzo di spazi di memoria centrale o di massa, impedendo che ciò costituisca una minaccia alla riservatezza delle informazioni precedentemente registrate su tali supporti. Tra queste, anche quelle di inizializzazione e cancellazione dei supporti asportabili e riusabili (ad es. Penne USB,

HD removibili, ecc.). Funzioni di Sicurezza Organizzativa • Ruoli e Responsabilità: definizione delle figure organizzative coinvolte negli aspetti di gestione della sicurezza, dei loro compiti e delle relative responsabilità. • Procedure di Gestione: strutturazione di un sistema documentale rivolto agli addetti alla gestione della sicurezza informatica atto a descrivere le modalità operative di svolgimento delle attività di competenza. • Procedure di Utilizzo: sistema documentale, rivolto agli utenti dei sistemi informatici costituito da una serie di Policy, che abbia lo scopo di descrivere le norme comportamentali e le modalità operative di utilizzo sicuro delle risorse informatiche.

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SPECIALEDIGITALBUSINESS • Formazione e Comunicazione: pianificazione di attività, rivolte agli utenti, finalizzate alla diffusione di conoscenze e competenze volte a migliorare l’uso sicuro delle risorse informatiche. Le più accreditate metodologie internazionali per la implementazione di un processo ISMS di gestione della sicurezza delle informazioni sono tutte concordi nel considerare l’attività di analisi dei rischi come prerequisito per una progettazione razionale dei sistemi di protezione. Una di esse è la norma ISO 27001:2015. Le metodiche e gli strumenti di analisi dei rischi disponibili, si basano tutte sui concetti di rischio, di minaccia e di vulnerabilità, danno e impatto. Il Rischio può essere considerato come la probabilità che delle minacce, sfruttando vulnerabilità intrinseche o estrinseche ai beni (asset) dell’organizzazione (informazioni, risorse hardware, risorse software, location, personale), producano impatti negativi sull’organizzazione, in termini di perdite economiche, violazione normative, rallentamenti dell’operatività, perdita di immagine etc... La Minaccia viene generalmente definita come un evento o una azione, di natura accidentale o deliberata che, sfruttando punti deboli o vulnerabilità del sistema, delle applicazioni o dei servizi, risulta potenzialmente idonea a provocare effetti dannosi sull’organizzazione. Le minacce possono essere raggruppate in: • Minacce Fisiche: sono quelle che insistono sulle aree, sugli edifici, sui locali, sugli uffici e che sfruttano le vulnerabilità in ambiente fisico. Si riferiscono agli asset di

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tipo hardware ed alle location; • Minacce Tecnologiche: sono quelle che insistono sull’architettura e sui sistemi e che sfruttano le vulnerabilità delle configurazioni o delle installazioni. Si riferiscono agli asset di tipo hardware e software; • Minacce Organizzative: sono quelle che sfruttano le vulnerabilità rappresentate dal mancato senso di appartenenza, responsabilità e professionalità da parte del personale. La Vulnerabilità è una condizione di debolezza nel sistema di sicurezza, nei controlli interni (tecnici, operazionali e/o gestionali) o nella loro implementazione che, se sfruttata da una minaccia, può compromettere la riservatezza, l’integrità e la disponibiLe minacce organizzative sfruttano le vulnerabilità rappresentate dal mancato senso di appartenenza, responsabilità e professionalità da parte del personale lità dei beni aziendali. Le vulnerabilità possono dipendere dalla mancanza di appropriati controlli di sicurezza o da deficienze nelle procedure di utilizzo da parte degli utenti, da carenze organizzative o di assegnazione di responsabilità, dalla collocazione geografica del sistema informatico (es. ubicazione in una zona altamente sismica), da errori sistemici presenti nell’hardware o nel software (es. errori di progettazione), da possibili malfunzionamenti accidentali dell’hardware. Le organizzazioni che intendono affrontare in maniera adeguata ed efficace il problema della sicurezza informatica devono creare adeguati programmi di gestione delle minacce e delle vulnerabili-

tà, in modo da tenere sotto controllo i rischi, reagire prontamente ad ogni specifico problema e risolvere rapidamente tutti gli incidenti quando si verificano. Il Danno è la conseguenza negativa del verificarsi di un rischio o dell’attuarsi di una minaccia. Tali conseguenze vengono spesso identificate da una perdita di riservatezza, integrità e/o disponibilità dell’informazione e possono manifestare un danno “tangibile” (danno monetario provocato sul sistema) o “intangibile” (danno di immagine o comunque immateriale). L’Impatto è la misura o l’entità del danno, ovvero l’ effetto sulla organizzazione e sul suo business del verificarsi di una minaccia, quindi l’effetto reale del danno sul sistema. L’impatto deve tenere conto anche di possibili responsabilità civili o penali (presenti ad esempio nel D. Lgs. 196/2003). Nella era odierna ove il fattore propulsivo della attività economica umana è governato dalle informazioni, che non si consumano, sono facilmente riproducibili a un costo trascurabile e possono essere trasferite a moltissime persone, è quindi INELUDIBILE che tutte le organizzazioni dal punto di vista strategico prevedano la gestione della sicurezza informatica, e che la corretta modalità di approccio sia quella di affrontarla come un processo nel quale siano attuati tutti i controlli non solo tecnologici, ma anche organizzativi e fisici, per la prevenzione, riduzione e gestione dei rischi informatici.


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IL TRIDIMENSIONALE

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di Luca Burattini - Management Academy The Hive Area digitale

avorando nel mondo della stampa 3d da circa 10 anni mi ha sempre colpito e affascinato il continuo affermare delle aziende produttrici di stampanti o fornitori di servizi stampa 3D al lancio di ogni nuovo prodotto di “rivoluzionare la produzione”. La definizione del termine rivoluzionare implica un cambiamento radicale e fondamentale e le nuove forme di stampa 3D paragonate al contesto di molteplici secoli di produzione non stanno e non porteranno mai ad una rivoluzione vera e propria. La stampa 3D sta però trasformando in modo significativo i metodi di produzione. Per almeno 30 anni, le aziende di produzione hanno abbracciato l’idea di perseguire e ricercare uno stato ottimale nella produzione per raggiungere il concetto di zero scarto e zero rifiuti. Le esperienze in questo tipo di aziende ci dicono che il viaggio per ottenere questo stato ottimale non è raggiungibile, ma ogni passo fatto lungo questa strada produce immensi benefici alle aziende coinvolte nella produzione (come minori costi, tempi di consegna più brevi, maggiori profitti), ai clienti di queste (attraverso i prodotti più personalizzati a prezzi più bassi) e alla società (utilizzando meno risorse per creare una maggiore produzione, miglioramento del tenore di vita). L’attuale tendenza è che la trasformazione di questi metodi di

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produzione sono incentrati sull’integrazione della stampa 3D industriale alle lavorazioni e alle macchine utensili tradizionali. Alcuni costruttori di macchine utensili tradizionali stanno aggiungendo stazioni di stampa 3D all’interno del ciclo di produzione, come la verniciatura delle parti precedentemente stampate in 3D. Altri costruttori stanno abbinando macchine che lavorano le diverse componenti nello stesso momento che queste vengo stampate in 3D. Una nuova idea che sta emergendo è quella di far ruotare la testa di stampa della stampate 3D attraverso una sorta di cambio utensile, così che gli strumenti di stampa e dispositivi di controllo possano combinarsi nella lavorazione effettuando un semplice cambio utensile. In brevissimo tempo il numero delle grandi aziende produttrici di macchine utensili che stanno abbracciando questo modello di utilizzo delle stampanti 3D è cresciuto in modo esponenziale. Questo è un segnale molto significativo e positivo, non solo perché conferma che la stampa 3D a livello industriale è fattibile, ma anche perché l’utilizzo di questa innovativa tecnologia da parte dei grandi attori comporta un investimento di risorse per lo sviluppo delle macchine notevolmente maggiore rispetto a quello che è stato realizzato fino ad ora.

Il risultato naturale sarà quello di un’accelerazione del mercato e di uno sviluppo del prodotto molto più rapido. La tecnologia di stampa 3D. Stampa 3D o Fabbricazione additiva è il termine usato per descrivere un insieme di tecnologie che creano oggetti 3D aggiungendo del materiale strato per strato. I materiali possono variare da tecnologia a tecnologia e possono variare dalla plastica liquida al filamento di materiale plastico come ABS, polveri o anche fogli di carta. La caratteristica comune per tutte le produzioni additive è l’utilizzo di speciali software di modellazione 3D, come ad esempio Rhinoceros, per creare il file da mandare in stampa. La prima cosa da fare quindi per avviare il processo di stampa è quello di creare il disegno 3D che successivamente il dispositivo codificherà. Il termine Fabbricazione Additiva contiene all’interno molteplici tipi di tecnologie come Rapid Prototyping, Direct Digital Manufacturing, Layered Manufacturing e stampa 3D. TIPOLOGIE: La stereolitografia (SLA) - (1) La stereolitografia è il metodo è il più antico nella storia della stampa 3D ed è ancora molto in uso al giorno d’oggi. Le possibilità di applicazione di questo metodo sono molteplici e sorprendenti. Che tu sia un ingegnere

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SPECIALEDIGITALBUSINESS meccanico, che ha bisogno di verificare e controllare le varie componenti progettate, o che tu sia una persona creativa che vuol creare un prototipo di plastica, la stereolitografia può aiutare a trasformare il tuo modello progettato al pc in un oggetto 3D reale. Questo metodo è stato brevettato da “3D Systems”, nel 1986. Il processo di stampa prevede una macchina da stampa 3D che converte della plastica liquida in oggetti 3D solidi. Il processo di stampa include diversi passaggi. Si parte dalla creazione del modello 3D utilizzando un software di modellazione 3D che genera il file STL, contenete le informazioni per ogni strato da stampare, successivamente la macchina SLA espone la plastica liquida e il laser inizia a formare e solidificare lo strato dell’oggetto da creare. Ogni volta che lo strato di plastica indurisce la piattaforma della stampante scende nel serbatoio una frazione di millimetro ed il laser forma lo strato successivo finché la stampa non è completata. Una volta che tutti gli strati sono stati stampati l’oggetto viene risciacquato con un solvente e poi messo in un forno a raggi ultravioletti. La stereolitografia è ampiamente utilizzata nella prototipazione in quanto non richiede tempi lunghi nella produzione dell’oggetto ed un costo relativamente economico a confronto di altri metodi di prototipazione, questo metodo di stampa 3d è comunque raramente utilizzato per la stampa del prodotto finale. Digital Light Processing (DLP) - (2) Digital Light Processing è un altro processo di stampa 3D molto simile alla stereolitografia. Esso utilizza specchi digitali micro disposti su un chip semiconduttore. La tecnologia è

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applicabile per i proiettori cinematografici, telefoni cellulari e la stampa 3D. I pezzi prodotti con tale stampa sono molto robusti e hanno una risoluzione eccellente, il grande vantaggio delle stampanti DLP sulle SLA è dovuto al fatto che viene utilizzato molto meno materiale per la produzione dei particolari rispetto alla SLA, il che si traduce in minori costi e meno sprechi. Fused Deposition Modeling (FDM) - (3) La tecnologia Fused Deposition Modeling (FDM) è una tecnologia sviluppata nel 1980 e implementata per la prima volta da Scott Crump, fondatore di Stratasys. Con le stampanti 3D che adottano la tecnologia FDM è possibile stampare non solo prototipi funzionali, ma anche modelli concettuali e dei prodotti finiti di uso finale. Questa tecnologia permette di ottenere parti stampate ad alte prestazioni termoplastiche il che è molto vantaggioso in ingegneria meccanica e per la realizzazione di piccole produzioni, la stampa in FDM infatti è l’unica tecnologia di stampa 3D che utilizza materiali termoplastici di qualità, quindi le componenti stampate hanno ottime qualità meccaniche, termiche e chimiche. La tecnologia FDM è ampiamente diffusa al giorno d’oggi e viene utilizzata in un ampia varietà di settori come l’automotive, nel settore alimentare e del design. La stampa 3D FDM viene utilizzata per lo sviluppo di nuovi prodotti, per realizzare il modello concettuale del progetto, la prototipazione e anche nello sviluppo di produzione. Questa tecnologia ci offre la possibilità di costruire oggetti con geometrie molto complesse e complesse cavità. Si possono usare con questa tecnolo-

gia diversi tipi di materiali termoplastici, i più comuni di questi sono ABS e policarbonato. Sinterizzazione laser selettiva (SLS) - (4) Selective Laser Sintering (SLS) è una tecnica di stampa che utilizza il laser per formare oggetti solidi in 3D. Le stampanti 3D SLS sono molto simili alle stampanti SLA la differenza principale è che una stampate SLS utilizza polveri in invece della resina liquida utilizzata dalle stampanti SLA. A differenza di altri processi di produzione di additivi, come stereolitografia (SLA) o Fused Deposition Modeling (FDM), la stampa SLS non ha bisogno di utilizzare le strutture di supporto sull’oggetto durante la stampa in quanto l’oggetto è costantemente circondato da polveri non sinterizzate.


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LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE E LA TECNOLOGIA DIGITALE I nuovi fabbisogni formativi di Francesca De Palma - Management Academy Sida Group Area R&D e Formazione

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li strumenti comparsi negli ultimi anni nel mondo digitale offrono possibilità che fino a poco tempo fa sarebbero apparse assolutamente futuristiche. L’esistenza di device come tablet e smartphone offre nuove possibilità anche al mondo della cultura, o meglio all’intero Sistema Produttivo Culturale e Creativo, che al suo interno racchiude le industrie culturali, le industrie creative, il patrimonio storico artistico, le performing arts, le arti visive e in generale tutte le produzioni creative-driven. Le nuove tecnologie rappresentano dunque uno strumento mediante cui sarà possibile rendere fruibili le eccellenze del territorio individuate e messe a sistema, ma per fare ciò occorreranno nuove figure professionali opportunamente formate. Infatti, come sempre accade quando si compie un salto tecnologico, l’applicazione di suddette tecnologie definisce nascita di nuove competenze, determinando nei contesti di riferimento il deline-

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arsi di nuovi fabbisogni formativi. Le competenze tecnologiche peraltro contribuiranno a creare professionisti capaci di intervenire in maniera efficace nei processi di tutela dei beni, di progettazione e pianificazione degli interventi di restauro ed ammodernamento, di creazione di strumenti in grado di permettere una fruizione esperienziale anche per beni attualmente non fruibili a causa di problematiche tecniche o di sicurezza. Uno studio condotto da Fondazione Symbola e Unioncamere in collaborazione con la regione Marche, dimostra che la cultura è uno dei motori primari della nostra economia. Al Sistema Produttivo Culturale e Creativo si deve il 6,1% della ricchezza prodotta in Italia,ovvero 89,7 miliardi di euro. Inoltre la cultura esercita sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8 (in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori). Gli 89,7 miliardi, quindi,

ne “stimolano” altri 160,1, per arrivare a quei 249,8 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 17% del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano. La provincia di Macerata in particolare è una di quelle in cui l’incidenza del valore aggiunto culturale sull’economia locale è più alta circa due punti percentuali rispetto alla media nazionale (7,4% a fronte di un valore medio di 5,4%), così come anche l’incidenza occupazionale (8,3% rispetto a 5,9% di media nazionale) .1 Attenzione a un aspetto importante: oggi all’idea di cultura fatta naturalmente di musei, gallerie, festival, beni culturali, letteratura, cinema, performing arts, si aggiungono anche le industrie creative e il made in Italy: cioè tutte quelle attività produttive che non rappresentano in sé un bene culturale, ma che dalla cultura traggono linfa creativa e competitività. Ne sono un esempio il design, l’architettura e la comunicazione: cioè

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industrie creative che sviluppano servizi per altre filiere e veicolano contenuti e innovazione nel resto dell’economia – dal turismo all’enogastronomia alla manifattura - dando vita ad una cerniera, una “zona ibrida” in cui si situa la produzione creative-driven, che va dalla manifattura evoluta, appunto, all’artigianato artistico. Tenendo conto dunque di quelle che sono le caratteristiche e le dotazio-

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ni territoriali, avendo sempre come faro guida le indicazioni provenienti dalla programmazione europea e partendo dalle difficoltà intrinseche del territorio, possiamo ricondurre a sei principali filoni le esigenze formative frutto della triangolazione di questi tre fattori: 1- Competenze tecnologiche al servizio del patrimonio tangibile Attraverso il ricorso alle tecnologie

digitali è possibile contribuire alla conservazione di un patrimonio spesso estremamente fragile, che necessita continuamente di attività di monitoraggio, conservazione, messa in sicurezza. L’utilizzo delle tecnologie digitali diventa necessario per una catalogazione dei dati e dei beni in grado di contribuire nella direzione indicata dall’Agenda Digitale Europea di Horizon 2020, la quale mira a sistema-


SPECIALEDIGITALBUSINESS tizzare processi di “traduzione digitale” dei beni culturali europei. 2- Competenze tecnologiche al servizio del patrimonio intangibile Attraverso i mezzi digitali occorrerà dare risposta ad una generale tendenza del territorio, ad oggi scarsamente soddisfatta, ad una maggior fruibilità attraverso il ricorso ai dispositivi informatici. Attraverso le nuove tecnologie sarà possibile contribuire a diffondere ed affermare la valenza sociale ed etica del patrimonio presente nel territorio, il quale diventerà elemento unificante ed aggregante per la popolazione, la quale potrà con più facilità riconoscersi in esso, assurgere ad elemento di riconoscimento della propria storia e dei propri valori in un percorso di inclusione sociale progressivo e stabile nel tempo. 3- Dematerializzazione La capillare diffusione di beni culturali di grande pregio ma scarsamente connessi rende indispensabile una traduzione digitale di dati essi riguardanti e una più facile trasmissione degli stessi. Attraverso questo flusso di informazioni sarà possibile immettere nel sistema dati strategici per le scelte di molti operatori del settore e altrettanto utili per operatori del mondo produttivo, direttamente o indirettamente collegati ad esso, che potranno beneficiare di uno stock di input indispensabile per poter effettuare scelte consapevoli ed innovative. 4- Competenze per lo sviluppo di nuove idee di business Attraverso il ricorso alle moderne tecnologie, la distinzione tra produttore e fruitore di contenuti culturali va progressivamente affievolendosi

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e le numerose esperienze di produzione culturale presenti nel territorio sono efficace dimostrazione di ciò. Questa situazione contribuisce in maniera determinante all’instaurarsi di un sistema di scambi e contaminazione tra discipline, settori e fasi della catena del valore e favorisce l’instaurarsi di un clima generalmente fertile per l’innovazione. 5- Competenze tecnologiche per la comunicazione interna ed esterna L’utilizzo delle tecnologie digitali risulta indispensabile nel contesto culturale, artistico e creativo, dove la collaborazione e il trasferimento di competenze e best practice si scontrano con una scarsa predisposizione all’azione di rete. Attraverso l’utilizzo di tali strumenti, i trasferimenti potranno diventare più fluidi ed efficaci, non solo tra soggetti appartenenti allo stesso settore, ma anche verso il pubblico di fruitori. Una corretta e capillare comunicazione alla popolazione dei fruitori è conditio sine qua non affinché la cultura, intesa nelle sue forme e concezioni più ampie, possa diventare strumento per una rivitalizzazione endogena e duratura del tessuto regionale. 6- Competenze tecnologiche per i “nativi digitali” La promozione di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva non può prescindere dal coinvolgimento delle fasce più giovani della popolazione. Il ricorso alle tecnologie digitali è condizione imprescindibile per il raggiungimento di questo obiettivo. La possibilità di una fruizione esperienziale che mette al centro l’individuo, le sue emozioni ed i suoi bisogni passa per le tecnologie 3D, per i sistemi di realtà virtuale, per la re-

altà aumentata; per il Big Data e per Internet of Things. La cultura deve necessariamente tenere il passo affinché sia non solo retaggio del passato ma elemento unificante, locomotiva per lo sviluppo futuro del territorio e dei suoi abitanti. Non dimentichiamo inoltre che le professioni creative e culturali rappresentano il vero cuore pulsante del made in Italy. Per comunicare adeguatamente i valori, le capacità e le bellezze della nostra cultura attraverso ciò che più ci distingue all’estero, ovvero il made in Italy di qualità, occorre un sistema di comunicazione che sia sempre più interattivo, bidirezionale, emozionale . La valenza culturale dei prodotti italiani si riflette positivamente sulla percezione dell’intero sistema produttivo nazionale, contribuendo a sostenere la domanda sui mercati esteri. Da ciò derivano consistenti flussi turistici rivolti verso il territorio e le città d’arte, con relative ricadute su tutto l’indotto. Per dare continuità a tale meccanismo è necessario alimentarlo, favorendo l’occupabilità attraverso la creazione di figure che possano sostenere le necessità espresse dal territorio, per la cui ripresa cultura e nelle tecnologie digitali sono i due ingredienti indispensabili, in grado di renderlo attrattivo, competitivo e d’esempio per altri contesti che desiderano creare un processo di sviluppo culture-driven basato sull’utilizzo dei più innovativi assets oggi presenti. 1 Fonte: Io sono cultura L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, Quaderni di Symbola, RAPPORTO 2016

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AGRICOLTURA DI PRECISIONE Un campo di applicazione delle nuove tecnologie digitali

di Antonio Feliziani - APR Italia

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agricoltura di precisione è una tecnica di analisi specifica per studi agronomici mirati ad ottimizzare ed uniformare al meglio la produzione delle aziende agricole. Tale approccio gestionale sito-specifico mira al miglioramento della singola coltura o di una porzione di essa. Attualmente, l’agricoltura di precisione trova particolare sviluppo nello studio dei vigneti i quali rappresentano ambienti caratterizzati da un’elevata eterogeneità, dovuta a fattori strutturali di tipo morfologico, pedologico e climatico, ed altri dinamici quali le pratiche colturali e le variabilità climatiche stagionali; essa nasce con lo scopo di gestire le mutabilità areali dei parametri al suolo al fine di perfezionare le pratiche agronomiche e quindi massimizzare il loro potenziale. L’analisi di tutti questi parametri

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permette di monitorare e comprendere gli andamenti e le influenze degli stessi, a carattere stagionale, con i quali, di volta in volta, andare ad intervenire in modo tempestivo e mirato. Questa tecnica di rilievo viene suddivisa in diverse fasi ed è specifica per le diverse tipologie di coltura. Il rilievo dei dati sul campo può essere effettuato principalmente in tre fasi: • Proximity Sensing (sensori di terra trasportati da veicoli); • Sensoristica fissa a terra, distribuita sul territorio oggetto di studio, per il rilevamento dei vari parametri ambientali (ad es. stazioni meteorologiche) e pedologici (rilevamento di parametri chimico-fisici del terreno); • Remote Sensing (presa del dato da remoto, a diverse scale) che si suddivide in: 1. da satellite; 2. da aeromobile classico;

3. da APR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto o “drone”). Quali sono le differenze tra loro? I rilievi sensoristici in-situ dei parametri chimico-fisici (Proximity Sensing e stazioni di rilievo) rappresentano un valore intrinseco ed oggettivo del terreno mentre quelli da remoto (Remote Sensing), acquisiti da varie distanze, rilevano parametri indicativi sulle variazioni areali. La risoluzione dei dati acquisiti da remoto dipende dalla distanza di presa: immaginate che il sensore della vostra strumentazione di rilievo venga proiettato su una superficie di centinaia di km o di pochi metri, nei diversi casi ogni singolo pixel dell’immagine potrà rappresentare centinaia di m o pochi mm. Questo indica che la distanza di acquisizione del dato determina particolarmente alcune scelte, tra le quali vi è il dettaglio e l’ampiezza dell’area rilevata,


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in base anche al budget a disposizione. Per dare un’idea di quanto sia importante la scelta della distanza di acquisizione, viene riportato in Fig.1 un esempio di rilievo del dato da satellite (a), da aereo (b) e da drone (c e d). Entrando nello specifico della presa del dato da remoto, una delle tecniche più utilizzate è quella della percezione degli indici di riflettanza. Ma cos’è la riflettanza? Ogni corpo è caratterizzato da una firma spettrale, cioè il risultato derivato dal rapporto tra la radiazione incidente e quella riflessa dal corpo stesso, chiamata appunto riflettanza; per fare un esempio, la firma spettrale del tessuto fogliare di una pianta si concentra nell’intervallo di frequenza tra 200 e 2500 nm e da

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questa è possibile valutare lo stato vegetativo. Viene riportato in Fig.2 un esempio schematico di come un tessuto fogliare, secondo i vari stati vegetativi (in salute, stressato e morto), risponde con differenti valori di riflettanza. Dalla Fig.2, si evince che quando viene rilevato un calo della riflettanza nello spettro dell’infrarosso (NIR) e nel range di frequenza del canale verde (green), la vegetazione evidenzia uno stato di stress. Dai diversi valori di riflettanza risultanti, rilevati in diverse frequenze dello spettro, possiamo estrapolare altri indici di benessere della vegetazione, uno tra i più conosciuti è l’indice NDVI (Normalized Difference Vegetation Index); da esperienze di-

rette, è consigliabile interpolare questi dati con altre tecniche di rilievo, una delle quali è il rilievo termo-radiometrico delle superfici. Inoltre, gli indici di vegetazione vengono a loro volta correlati ai valori chimico-fisici della coltura studiata e, una volta definiti tali valori attraverso un rilievo diretto sul campo nelle aree a risposta omogenea, è possibile definire le mappa di uniformità e progettare delle azioni differenziate per ogni area. Quindi, un tipico programma di intervento per l’agricoltura di precisione è proprio quello dei campionamenti sul campo, avvalendosi della mappatura del territorio e robotica di ultima generazione. Per ottimizzare al massimo tali processi, vi è anche la possibilità di utilizzare sistemi di guida assistita per i veicoli agricoli al fine di limitare lo stress degli operatori che lavorano su grandi appezzamenti e minimizzare lo spreco dovuto alla sovrapposizione dei trattamenti nelle diverse strisciate di distribuzione del prodotto. Infine, determinati i valori di riflettanza e le aree di uniformità, allo scopo di ottimizzare l’uso dei prodotti e delle risorse idriche, è consigliabile utilizzare macchine a dosaggio variabile, chiamate VRT (Variable Rate Technology), nelle quali molteplici augelli per lato del veicolo agricolo provvedono a limitare, al minimo indispensabile, lo spandimento di agrofarmaci e concimi, secondo una mappa di bisogno pre-impostata dall’operatore, permettendo quindi di risparmiare fino al 40% dei costi annui. Al fine di valutare concretamente i vantaggi che l’agricoltura di precisione può apportare alle aziende agricole, vengono di seguito riporta-

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SPECIALEDIGITALBUSINESS ti due esempi di applicazione della tecnica. Il primo riguarda un’importante società di surgelati la quale ha dedicato un’intera stagione produttiva allo studio delle proprie colture attraverso la tecnica dell’agricoltura di precisione, con l’utilizzo di strumentazione multi-spettrale e termica, riuscendo ad incrementare la percentuale di trasformazione del prodotto raccolto dal 52% al 76%. Il secondo caso riguarda una piccola azienda vinicola, avente una superficie di 3.5 Ha, la quale ha selezionato i propri raccolti, in base a un rilievo fatto con APR (drone) e camera multi-spettrale, e ha quindi diversificato il proprio prodotto incrementando il fatturato lordo da 106.000 € a 120.000 €, a fronte di una spesa per il rilievo di circa 800 €. In entrambi i casi, l’agricoltura di precisione ha determinato realmente le necessità di concimazione dei terreni con ulteriori risparmi sull’applicazione della concimazione minerale e, maggiormente, su quella della concimazione organica.

Figura 1 (a) Vineyard portion of Satellite image, (b) Vineyard portion of Aircraft image, (c) Vineyard portion of UAV image and (d) Vineyard portion of UAV image with inter-row filtering

In conclusione, secondo il nostro parere, l’agricoltura di precisione rappresenta uno strumento tecnologico ed innovativo, essenziale alla rinascita del settore agroalimentare, con il quale migliorare la qualità delle colture mediante la diminuzione di prodotti chimici, la resa delle stesse ed abbassare notevolmente i costi di produzione.

Fig. 2 – La correlazione tra la riflettanza e il benessere vegetativo

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L’ICT NEL SISTEMA SANITARIO ITALIANO di Anna Masturzo - Management Academy Sida Group Area Sanità e Farmacia

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ICT nella Sanità in Italia è sempre più importante per gestire processi di qualità e sopratutto per orientare maggiormente il sistema del welfare in un ambito economicamente sostenibile. Il digitale deve crescere anche per supportare la sempre maggiore domanda di servizi, considerando che le stime sull’andamento proiettate sino al 2025 prevedono che la spesa pubblica sanitaria italiana arriverà a raggiungere l’11% del PIL nazionale. Anche le previsioni che riguardano l’ambito europeo prevedono che la spesa complessiva per l’ICT in sanità crescerà dai 13,2 miliardi di dollari del 2013 ai 14,6 miliardi del 2018

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( IDC Health Insights). Sempre secondo il report già citato precedentemente la crescita in questione sarà guidata dal software, in aumento del 4,6%, mentre la quota di crescita dei servizi si rivelerà meno brillante, attestandosi sull’1,6%, e l’hardware si contrarrà dell’1%. In Italia, in realtà la diffusione degli smartphone favorisce i processi ICT anche a livello inconsueto: basti pensare che oltre la metà dei medici italiani e dei pazienti si scambiano informazioni, analisi e altri documenti sanitari via WhatsApp. L’ICT rappresenta comunque già una parte cospicua della gestione grazie all’introduzione del fascicolo sanitario elettronico, della cartella clinica elettronica,della digitalizzazione dei

documenti e della firma digitale; in ambito ospedaliero intervengono sistemi di supporto a sostegno della continuità assistenziale e della erogazione del servizio nelle strutture pubbliche e privato. Anche la gestione del farmaco è digitalizzata grazie alla ricetta elettronica e alla gestione informatica del farmaco; tutto il processo è sostenuto grazie ai sistemi di business intelligence; complessivamente i processi di sanità digitale valgono circa 1,5 miliardi di euro con una spesa sanitaria media di circa 3000 USD per abitante. Il dettaglio vede che le Regioni italiane vanno a diverse velocità a causa della mancanza di una piattaforma di gestione integrata e del passo

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lento nella de materializzazione dei documenti (processo che richiede cospicui investimenti e che è abbastanza indietro anche in altri ambiti della pubblica amministrazione). Altro ambito da non sottovalutare è quello della gestione dei Big Data e analytics a supporto della clinical governance: secondo una ricerca di NETAPP «entro il 2020, le organizzazioni sanitarie useranno 25.000 petabyte di dati, cioè 50 volte i dati disponibili oggi; poiché i dati nel settore sanitario crescono esponenzialmente, la loro analisi sarà una componente molto importante e sempre più integrata nel prossimo futuro, comportando un risparmio pari a 250-400 mila miliardi di euro ogni anno» .

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Secondo varie ricerche, comunque, l’urgenza maggiore è rappresentata dagli investimenti ICT in telemedicina – con particolare riguardo alle malattie neurologiche, le aree oncologica, cardiologica, diabetologica e al potenziamento dei servizi sanitari online. Semplificare le questioni complesse, inoltre, dato che ogni regione agisce autonomamente, potrebbe voler dire stabilire un protocollo web unico che faciliti i fornitori e gli utenti con procedure standardizzate. Infine si ritiene che il patient empowerment sia la sfida più importante con la quale misurarsi oggi: è evidente che la riuscita di questa azione passa attraverso la strutturazione dei dati in formati standard e

aperti; in questo senso la conoscenza del dato deve essere accompagnata da una corretta capacità e consapevolezza del paziente in relazione alla propria salute. Dal nostro punto di vista, quale CENTRO FORMAZIONE MANAGERIALE di Ancona e MANAGEMENT ACADEMY SIDA GROUP riteniamo che la soluzione ai problemi evidenziati sia un più forte investimento per tutti gli addetti al settore sanitario sulla cultura manageriale in senso stretto e più specificamente in quella informatica, formandoli sia nelle tecniche di base sul settore ICT che per l’accesso alle piattaforme di gestione più complesse.


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STARTUP E DIGITALE: UN NUOVO MESTIERE - LE APPLICAZIONI

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di Mirko Giovinazzi - Management Academy The Hive Area Digitale

l mondo delle startup ormai è una realtà consolidata nell’economia attuale. Guardando direttamente ai numeri si calcola che le startup innovative sono circa 5500 e danno lavoro a più di 23 mila addetti 1. Dobbiamo porre l’attenzione sulle startup innovative, che non sono la panacea di tutti i mali, ma protagonisti della rivoluzione tecnologia in atto. Nel vocabolario quotidiano spesso confondiamo la tecnologia con strumenti di comunicazione, informatici o di automazione. Per fare chiarezza ci viene in aiuto la storia. Si inizia a parlare di innovazione tecnologica nel 1770, prima rivoluzione industriale, non vi è traccia di smartphone o social network. La rivoluzione è avvenuta grazie a cambiamenti radicali in diversi settori, dall’agricoltura alla finanza passando per l’industria. Spesso si associa erroneamente la prima rivoluzione industriale alla sola invenzione della macchina a vapore, minimizzando un cambiamento più ampio e profondo. La stessa cosa sta accadendo durante la nostra rivoluzione tecnologica che è principalmente di natura digitale. Essa viene associata al mondo delle app,

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dei social network e degli strumenti di comunicazione sempre più smart. In realtà c’è molto di più. C’è un mutamento profondo nel modo di comunicare, di vendere, di lavorare e appunto di innovare. Il cambiamento è nella mente e nell’esperienza delle persone. C’è un profondo tessuto di artigiani che sta innovando prodotti e processi, dall’agrifood alla manifattura e molte volte non c’è traccia di app o di social network. Una applicazione o in gergo tecnico web application, è un applicativo usufruibile da qualsiasi dispositivo dotato di un browser ed una connessione ad una rete Intranet o Internet. Le app sono uno strumento di automazione dell’informazione, dei processi e delle macchine. Questo ci permette di comprendere il valore dello strumento applicazione per tutte le aziende di ogni settore. Automatizzare si traduce in semplificazione, ottimizzazione ed in molti casi risparmio. Non vi sono solo startup digitali ma ci vorrebbe un pizzico di digital in ogni startup, proprio come il sale, quanto basta. La capacità di problem solving delle app, di chi le analizza, le progetta e sviluppa ha mutato le dinamiche pro-

fessionali e aziendali. Si conta che su 10 annunci, 7 sono dedicati al mondo digitale. Questa è la forte domanda che il mercato richiede e l’offerta non è all’altezza specie in termini di quantità. Sono in fortissima crescita corsi di formazione e figure sempre più specializzate. Il mondo digitale ha bisogno di diverse figure professionali e di skills sempre più trasversali. Nel mondo delle app c’è necessità di un’alta qualità, di passione e di una strategia di miglioramento continuo (Kaizen). Chi lavora in questo settore ha una responsabilità molto importante: è attore del cambiamento e solo i migliori dovrebbero avere questo privilegio. La digitalizzazione è un processo che ha contaminato ogni settore, alcuni per natura stanno rispondendo con lentezza, altri sono totalmente convertiti. La digitalizzazione non sta ammazzando il lavoro, sta cercando semplicemente di evolverlo, per natura, per necessità. Il mondo digital è la risposta al mondo attuale, al nostro nuovo modo di essere, sta a noi decidere se far parte di questo cambiamento o meno. E tu sei pronto ad essere un innovatore digitale? http://www.lastampa.it/2016/05/27/tecnologia/news/la-crescita-del-digitale-un-volano-per-cambiare-e-migliorare-leconomia-euNi5vK5fE3ARbyEgbQndJ/pagina.html

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IL MADE IN MARCHE È A PORTATA DI CLICK In continua crescita la aziende che puntano sull’e-commerce. Prodotti e tipicità oggi si acquistano via web. Unioncamere porta le imprese online grazie ai “digitalizzatori” di Google.

di Emanuele Garofalo

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o shopping nelle Marche si fa sempre più a colpi di click. Secondo i dati Unioncamere, da sei anni sono in constante aumento le imprese che vendono esclusivamente online i propri prodotti, mentre per le aziende che sono attive su internet, il 39% del fatturato da export arriva proprio grazie al web. Forte di questi numeri, la Unioncamere ha rinnovato per il terzo anno l’accordo con Google Italia, che mira a supportare e potenziare il digital business delle imprese. Una vera vetrina aperta sul mondo, 24 ore su 24, così il mouse e i “likes” ricevuti sui social network hanno rimpiazzato outlet e negozi per 463 imprese marchigiane. Cosa si vende? Di tutto e in tutti i cinque continenti, anche se il settore trainante restano le tipicità e le eccellenze delle Marche. Borse, cosmetici, accessori, gadget, abbigliamento, articoli per bambini e per la pesca. Ma anche auto e moto, casalinghi, vino,

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scarpe, biciclette, parquet, prodotti elettronici e farmaceutici, libri, occhiali, giocattoli fino alle “piante di acqua dolce”, ai sistemi di allarme. Questa è solo una piccola frazione di quello che si può comprare sul web attraverso le 463 imprese marchigiane operanti nel settore delle vendite online che, a fine 2015, risultavano iscritte al Registro delle imprese delle Camere di commercio. «Le imprese che vendono esclusivamente on line i loro prodotti sono passate dalle 180 del 2009 alle 463 del 2015, con un aumento di 283 imprese pari al 157,2 per cento – sottolinea il presidente di Unioncamere Graziano Di Battista -. Si tratta di attività che hanno registrato in questi anni di crisi, una espansione del loro fatturato e della produzione, riuscendo a raggiungere, grazie al web, i loro clienti in ogni parte del mondo ed a conquistarne di nuovi sia in Italia sia all’estero». Infatti, mentre le imprese di commercio online crescono, quelle che

vendono i loro prodotti attraverso i canali tradizionali, scendono: in sei anni sono passate da 21.049 a 21.186, con la perdita di 55 aziende. La provincia con il maggior numero di imprese commerciali online è quella di Ancona (129), seguita da Pesaro Urbino (111), Macerata (90), Fermo (72) e Ascoli Piceno (61). A livello nazionale, le imprese di commercio al dettaglio via internet, tra il 2009 e il 2015, sono aumentate da 5.933 a 14.927, con un saldo di 8.994 aziende, pari al 151,6 per cento. A guidare la corsa nazionale del commercio virtuale sono gli imprenditori abruzzesi (da 112 a 402, +260% tra il 2009 e il 2015), seguiti da quelli pugliesi (+218%) e da quelli campani (+202%). In termini assoluti, la crescita più consistente si registra invece in Lombardia (1.694 imprese in più nei sei anni, guida la classifica con 2.787 aziende), in Campania (+1.069) e nel Lazio (+983). Il business digitale però non si riduce ad avere un proprio sito in


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ernet. Se quasi tutte le aziende marchigiane infatti hanno una propria home page, circa il 78,4% secondo i dati Unioncamere, solo il 10,4% di queste imprese nel 2015 ha fatto vendite online. Eppure, per chi esporta, internet vale il 39% del proprio fatturato. Per aiutare le imprese a sviluppare una propria strategia di vendite online,

Sono 463 le aziende che hanno deciso di vendere i propri prodotti esclusivamente online. Un trend in continuo aumento negli ultimi 6 anni. Unioncamere ha attivato per il terzo anno consecutivo il progetto “Eccel-

lenze in digitale”, con il sostegno di Google Italia. «Il progetto è stato realizzato con il patrocinio del ministero dello Sviluppo Economico e si propone l’obiettivo di favorire la digitalizzazione delle imprese e delle filiere produttive, con l’obiettivo di accrescere la competitività dei sistemi territoriali marchigiani. Inoltre vogliamo promuovere l’immagine e le potenzialità delle produzioni tipiche della regione, portando le imprese sul web e incrementando in tal modo la loro quota di fatturato, anche all’estero» ha spiegato il presidente Di Battista. Obiettivo finora centrato, se si guarda ai risultati del 2015. Nelle Marche sono stati dieci i “digitalizzatori” impegnati ad accompagnare le imprese in un proces-

so di utilizzo avanzato e consapevole degli strumenti web per il business. Sono state 7.036 le imprese marchigiane del Made in Italy contattate e 196 quelle attivamente coinvolte nel progetto. Per ognuna di queste sono state esaminate le esigenze aziendali, l’organizzazione e gli obiettivi di mercato, le strategie di marketing ed è stata sviluppata la conoscenza di nuovi strumenti informatici. I settori interessati sono stati ad Ancona moda, agroalimentare e turismo, ad Ascoli Piceno agroalimentare, artistico, moda e nautica, a Fermo agroalimentare, turistico e calzaturiero, a Macerata agroalimentare e moda, a Pesaro e Urbino agroalimentare,turistico e innovazione tecnologica. Risultato? Al termine del percorso tra

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SPECIALEDIGITALBUSINESS pato attivamente al progetto, è stato registrato un incremento dal 15 al 40 per cento di quelle che fanno affari con il web. Quelle con il sito aggiornato sono aumentate del 30 per cento mentre la presenza sui social è passata dal 30 al 45 per cento. Non solo vendite e fatturato, le vetrine online delle imprese permettono

Di Battista (Unioncamere): «Digital business in crescita, mentre il commercio stenta. Con Google vogliamo favorire la digitalizzazione e la promozione del Made in Marche

anche di fare marketing territoriale, contribuendo a rafforzare il “brand Marche” nel mondo e sui mercati internazionali. Qualche esempio vincente? Google e Unioncamere hanno selezionato 49 società tra le migliaia che, dopo aver partecipato alla precedente edizione di “Made in Italy, eccellenze in digitale”, ne hanno raccolto i frutti, decollando sui mercati nazionali e internazionali. Fausto Ripani, artigiano calzaturiero di Montegranaro, che dal 1978 realizza scarpe completamente fatte a mano 100% made in Italy: grazie ad una presenza online più strutturata, in soli sei mesi il traffico di utenti sul sito aziendale è aumentato del 77 per cento e i contatti sui social sono cresciuti del 20 per cento, soprattutto dai Paesi del Nord Europa, con un incremento del fatturato del 5 per cento. Poi Design Italian Shoes, una start up di macerata nata nel 2014 dall’intuizione di tre giovani professionisti (Andrea Carpineti, Michele Luconi e Francesco Carpineti): una piattaforma di e-commerce che permette di scegliere tra diverse modelli di calzature da uomo, di personalizzarne ogni dettaglio e di farle realizzare da valenti maestri artigiani. Grazie al progetto Eccellenze in digitale sono stati potenziati i canali social con un incremento del

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67 per cento degli utenti, passati da poche decine a un picco di 1.500 visite al giorno. Il fatturato è aumentato del 40 per cento. Mobili Avenanti, azienda del pesarese che realizza mobili in legno 100 per cento italiano, ha aumentato del 36 per cento i visitatori stranieri al sito e dell’11 per cento gli iscritti alla newsletter,

con una crescita delle esportazioni, soprattutto in Russia, Bielorussia, Ucraina e Giappone. Sito rinnovato, aperto un e-commerce e diversi profili sui social. Attività che hanno portato l’azienda ascolana Bibite Paoletti, che produce e commercia spume e bibite analcoliche, ad esportare i suoi prodotti in tutto il mondo. Grazie all’attività dei digitalizzatori Google Unioncamere, sono cresciuti del 60 per cento gli utenti unici al sito e sono salite del 30 per cento le visite dall’estero, soprattutto da Stati Uniti, Germania, Francia

GLI ESEMPI VINCENTI. Calzature, mobili, fisarmoniche raccolgono “likes” sui social e vengono acquistati e Russia. Infine la Victoria Accordions, che produce fisarmoniche a

Castelfidardo. Con la pagina Facebook aziendale ha registrato un’impennata di visite e condivisioni, riuscendo ad avere più di venti contatti in un giorno ed a vendere anche due fisarmoniche in una settimana. Un grande lavoro è stato fatto anche sul canale youtube: i video della Victoria vantano fino a 80 mila visualizzazioni, con artisti di fama che scelgono gli strumenti dell’azienda fidardense.


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focus

Internazionalizzazione www.mlmagazine.it 111


FOCUSINTERNAZIONALIZZAZIONE

PIÙ AZIONI DI SISTEMA ISTITUZIONALI PER SOSTENERE L’INTERNAZIONALIZZAZIONE VETTORE STRATEGICO PER LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA ITALIANA di Flavio Guidi - Management Academy Sida Group Area Macroeconomica

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e istituzioni devono sopperire agli handicap del settore. Il PIL mondiale crescerà nei prossimi tre anni ad un tasso del 3,1% annuo. Il PIL nazionale del 1% annuo. L’esportazione rappresenta il vettore su cui deve essere orientata l’azione. Bisogna fare più strategia, pianificazione, marketing e controllo su queste funzioni. Cosa si può fare? I limiti all’accelerazione sono riassumibili fondamentalmente nella dimensione, nell’innovazione e nel costo del lavoro. La aziende non grandi non hanno la capacità strategica, la mentalità strutturale e le risorse finanziarie per affrontare progetti a medio termine di ampio respiro. Il sistema impresa sta già operando per superare il limite dimensionale (vedi sviluppo delle reti di impresa). Il sistema pubblico, Sace, Simest, Cassa depositi e Prestiti, Fondo Centrale di Garanzia stanno agendo sul lato finanziario, ma queste azioni non sono sufficienti. Le istituzioni devono intervenire per accrescere la funzione strategica, la pianificazione e il controllo, nonché il marketing internazionale.

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Le Regioni, le camere di commercio e le associazioni, da sole o insieme, devono promuovere la costituzione di agenzie-prodotto, private o al limite compartecipate (specializzate), che forniscano in outsourcing i servizi di cui sopra, concorrendo così a ridurre l’handicap dimensionale. L’attività di queste agenzie specializzate per prodotto dovrà essere quella di: • elaborare le informazioni portandole a sintesi • elaborare obiettivi • formulare strategie • elaborare piani di medio e lungo periodo • coordinare azioni di sistema • favorire, stimolare e coordinare i processi di integrazione • integrare la funzione di marketing e di prodotto con quella finanziaria • svolgere attività di marketing fino ad intervenire nella vendita, avvalendosi dei nuovi mezzi tecnologici a disposizione (digitale). Le università, gli istituti e le scuole professionalizzanti private, potrebbero individuare i settori o gli assi portanti dell’esportazione e l’indirizzo della loro attività formativa, strutturandosi e specializzandosi nella formazione e nello sviluppo di spin-off; con ciò andrebbero a compendiare la funzione innovativa.

La specializzazione dovrebbe essere assistita da misure di sostegno e di brandizzazione onde favorire il reclutamento, anche internazionale, e le specializzazioni verso quei settori strategici per l’esportazione. Lo Stato, oltre alla misure di sostegno pubblico, dovrebbe sostenere lo sviluppo di azioni di sistema di cui sopra a livello nazionale e creare delle politiche di sostegno fiscale che agiscano sulla struttura dei costi, tali da creare delle corsie preferenziali verso quei prodotti o settori strategici per lo sviluppo dell’internazionalizzazione. I sindacati dovrebbero considerare questi settori come categorie protette e considerare nella loro strutturazione dei contratti collettivi nazionali/aziendali la possibilità di creare delle flessibilità e delle agevolazioni nei costi di entrata dei giovani, creare un momento formativo altamente specializzato sia verso le figure tecniche che quelle deputate al marketing and sales. Sviluppo dimensionale, specializzazione, innovazione, pianificazione e controllo, strutturazione della funzione marketing and sales estero, reclutamento, formazione, cultura e sostegno istituzionale sono le azioni verso cui si devono indirizzare le azioni di sistema del loro comparto istituzionale.

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FOCUSINTERNAZIONALIZZAZIONE

EXPORT, INTERNAZIONALIZZAZIONE, SVILUPPO DEI MERCATI In un momento come questo, niente può essere lasciato al caso. Perché, tra rinascita e caduta, la differenza è spesso fin troppo sottile e ha a che fare con il senso della prospettiva, la consapevolezza del cambiamento, la pianificazione strategica.

di Michele Barchiesi - Management Academy Sida Group Area R&D

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xport, internazionalizzazione, sviluppo dei Mercati In un momento come questo, niente può essere lasciato al caso. Perché, tra rinascita e caduta, la differenza è spesso fin troppo sottile e ha a che fare con il senso della prospettiva, la consapevolezza del cambiamento, la pianificazione strategica. I dati macroeconomici mondiali parlano ora di mercati tendenzialmente in ripresa. Ovviamente, si tratta di andamenti ciclici, dei corsi e ricorsi storici che assecondano e amplificano un andamento fisiologico, una stagionalità dei sistemi e dei settori che viene in questi anni ulteriormente stimolata dall’accresciuto divario tra economia reale e finanziaria. Isteria, parziale imprevedibilità ed eterogeneità nelle origini, nelle velocità e nelle direzioni del cambiamento: queste sono le principali peculiarità delle piazze mondiali oggigiorno. E se quindi il barometro globale vede la lancetta accennare ad un inchino verso il “bel tempo”, occorre, da parte degli operatori, la consapevolezza che niente più può essere improvvisato, per via di un apparente paradosso in

atto: all’aumentare della flessibilità dei mercati e della variabilità degli scenari, aumentano l’inflessibilità e la rigidità con cui la selezione naturale esclude dai giochi chi non è in grado di competere con piena efficienza e piena efficacia. Serve, quindi, di comprendere al meglio quali siano le piazze su cui cimentarsi, quali siano i processi migliori, quale tipo di capitale umano serva, come aggredire i mercati. L’Italia, ad esempio, è per il momento caratterizzata da una domanda interna che per lo più latita nella presenza e nei segni di ripresa, e la via di sviluppo per ora sembra quasi esclusivamente puntare all’estero. In questo scenario, l’occasione è buona per sottolineare un aspetto che a volte sembra essere ignorato: esportare ed internazionalizzare sono percorsi differenti. Senza dilungarsi in didascalie noiose, l’esportazione è la diffusione cognitiva e commerciale di un bene nazionale, che rimane inalterato nella sua forma e nella sua sostanza e viene offerto ad un pubblico internazionale così come è stato originariamente concepito. L’esportazione è dunque

un fatto di prodotto, brand, rete commerciale e rete distributiva (sia chiaro, è molto di più, ma prendiamole come “tag” per individuare generalmente la tematica). L’internazionalizzazione consiste, in un certo senso, nella dematerializzazione dell’azienda e del suo portafoglio di offerta, nella loro concettualizzazione e successiva personalizzazione in base al mercato geografico obiettivo. Internazionalizzare vuol dire, dunque, mettere mano al prodotto (forma, sostanza, funzione, packaging, distribuzione, comunicazione) e ricodificarlo appositamente per gli utenti stranieri target, ma vuol dire anche procedere a spin off, delocalizzazioni, alleanze, acquisizioni, tutto ciò che serve all’azienda stessa per cambiare il proprio dna e divenire qualcosa di nuovo, di diverso e di più ampio rispetto alla sua sola dimensione nazionale. Quindi, esportare significa “vendere all’estero”, internazionalizzare vuol dire “divenire un operatore internazionale”. Non c’è una via giusta o sbagliata a prescindere, ma si tratta di scelte strategiche profondamente differenti, la cosa è palese.

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Scegliere una o l’altra dipende da numerosi fattori: • sicuramente, l’internazionalizzazione è un processo più complesso, che comporta mediamente maggiori investimenti, rischi di varia natura, tempi di maturazione più elevati, che porta risultati più a lungo termine; • l’esportazione è una soluzione che il più delle volte appare più snella e veloce, con risultati immediati e una maggiore elasticità al cambiamento (non è di certo priva di rischi, ma comportando un impegno tendenzialmente minore in termini organizzativi, strategici e finanziari, può essere maggiormente gestibile rispetto all’internazionalizzazione); • l’esportazione deve poggiare su un tipo di offerta che risulti essere più “universale”, che incontri i fabbisogni e/o i gusti di clienti (sia che si tratti di mercati b2b che b2c) eterogenei e geograficamente differenziati; serve senz’altro una consistente brand identity e reputation; • l’internazionalizzazione è anche il momento fondamentale per l’impresa per effettuare una muta

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e diversificare molti suoi tratti salienti; • l’internazionalizzazione implica quasi sicuramente momenti di ingegneria societaria, investimenti produttivi e commerciali, riorganizzazione, recruiting, creazione di alleanze e network; • l’esportazione si incentra su aspetti commerciali, produttivi e logistici. Altro discorso, invece, è quello inerente ai Paesi target e alle coperture del fabbisogno finanziario: si tratta di aspetti più trasversali ed omogenei, che si riscontrano in ogni caso. Partendo da quest’ultimo, la pianificazione strategica è fondamentale per ogni funzione coinvolta nel processo: la buona pratica della redazione, applicazione e controllo di un piano industriale concreto, ben fatto, chiaro, realistico, è il viatico per qualsiasi iniziativa ed è il punto prioritario di partenza per condividere le proprie prospettive con i partner bancari e finanziari in generale. Questo non è più il mondo dei solisti e questa considerazione vale all’interno dell’impresa così come rispetto al mercato: un buon tavolo di concertazione con

i giusti partner ha un bisogno primario di un piano su cui discutere, piano che diventa poi anche strumento di monitoraggio delle performance e che va costantemente seguito e ricalibrato in divenire. Riguardo ai Paesi target, l’Italia deve puntare su alcune determinate realtà che mostrano segni evidenti di espansione economica e sociale e che lasciano intuire maggiore stabilità per il futuro: lo scacchiere geopolitico è in fase di mutazione (e la brexit ha innescato uno “sciame sismico” che forse in troppi stanno sottovalutando, nel bene e nel male), così come sta cambiando in parte l’orizzonte degli approvvigionatori di materie prime (si pensi anche solo alle dinamiche legate al prezzo del greggio e alle innovazioni tecnologiche) e dei sourcers; in tutto questo, elementi di influenza sempre più marcati sono anche il terrorismo internazionale ed il cambiamento climatico. Insomma, si tratta sicuramente di un percorso delicato, indipendentemente da quale strada specifica si scelga, per il quale occorre la massima capacità previsionale e organizzativa. La fortuna, si dice, aiuta gli audaci. Ma non gli sprovveduti.

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FOCUSINTERNAZIONALIZZAZIONE

LA MECCANICA,

ECCELLENZA ITALIANA

ALL’ESTERO

di Alessandro Stecconi - Management Academy Sida Group Area Finanza e Internazionalizzazione

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a sempre la meccanica strumentale è uno dei fiori all’occhiello della produzione industriale italiana e i dati sulle esportazioni lo confermano. Si tratta di un settore eterogeneo, che comprende i macchinari ad uso specifico, quelli “necessari” al funzionamento di altre macchine e gli “autonomi”, che operano in maniera indipendente. Il commercio mondiale di questi prodotti, tecnologici e ad alto contenuto innovativo, è dominato dai Paesi avanzati, che sono allo stesso tempo sia i maggiori venditori e che i principali acquirenti. Restringendo ulteriormente il campo, oltre il 50% delle vendite all’estero provengono soltanto da cinque Paesi. Si tratta di Cina,

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Germania e Usa, che da soli controllano circa il 42% del mercato mondiale, seguiti dal Giappone e dall’Italia (rispettivamente 6,2% e 5%). Il nostro Paese è quindi è il quinto esportatore mondiale con un valore pari a circa 82 miliardi di euro, il 21% dell’export complessivo nazionale. Anche sul fronte delle importazioni le quote maggiori sono quelle dei Paesi più sviluppati. Nei mercati avanzati si sostituiscono i macchinari obsoleti con prodotti nuovi e più efficienti, mentre le economie emergenti si concentrano sull’ampliamento della capacità produttiva. Alle prime posizioni si collocano Stati Uniti, Cina e Germania, che quindi non sono soltanto i principali competitor dei produttori italiani, ma assumono rilevanza strategica anche

come mercati di sbocco. Considerando la dimensione economica del Paese, l’Italia risulta sicuramente ben posizionata, potendo anche vantare alcuni settori di assoluta eccellenza. Innanzitutto la produzione di macchine utensili. L’Italia è il terzo esportatore mondiale, dopo Giappone e Germania. Al di là della ormai solida presenza sui mercati di prossimità, come Russia e Turchia, la domanda nei mercati asiatici rappresenta un ottimo potenziale, con la Cina che gioca un ruolo trainante nella domanda. Altro settore di punta è quello delle macchine per la lavorazione delle materie plastiche e della gomma. Agli oltre 30 miliardi di euro di commercio mondiale, l’Italia contribuisce con un export di oltre 2,6


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miliardi (pari all’8,3%), posizionandosi alle spalle di Germania e Cina. I principali partner commerciali sono gli stati europei, ma ciò non deve distogliere l’attenzione dalle opportunità derivanti da una maggiore penetrazione di altri Paesi, come Cina, Stati Uniti e Giappone, dove la quota di mercato italiana risulta ancora scarsa. Infine, nel settore delle macchine per il confezionamento e l’imballaggio Germania e Italia sono i due leader mondiali indiscussi, generando oltre il 50% dei 19 miliardi di euro di esportazioni complessive. Si tratta di due modelli produttivi diametralmente opposti: il primo concentrato sul raggiungimento di economie di scala, quello italiano invece, orientato alla personalizzazione e all’adattabilità

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delle macchine e quindi alla flessibilità della produzione. È importante sottolineare come l’export italiano nel settore meccanico sia ad elevato valore aggiunto, permettendo al nostro Paese di superare da questo punto di vista colossi come Germania, Stati Uniti e Giappone. Ciò si traduce in maggiori utili, capacità di investimento e possibilità di crescita occupazionale. Tuttavia, come gran parte dell’economia italiana, anche questo settore soffre la ridotta dimensione aziendale: l’organico medio è di 19 addetti, in Germania è il triplo e in Francia il doppio. Anche se ciò non impedisce di raggiungere buoni risultati sotto il profilo della produttività, con 242 mila euro di fatturato per addetto l’Italia si posiziona alle spalle

soltanto della Francia, rappresenta comunque un limite importante. Per mantenere uno sviluppo consistente le aziende dovranno apportare dei cambiamenti sotto più punti di vista. Da un lato la crescita dimensionale, tramite un cambiamento culturale che conduca verso reti d’impresa, finanza straordinaria e maggiore apertura al mercato dei capitali. È necessario inoltre ampliare e diversificare i paesi di destinazione dotandosi di soluzioni finanziarie adatte ad affrontare i mercati esteri. Infine è essenziale mantenersi al passo coi tempi investendo nell’Industria 4.0, un processo che porterà alla produzione del tutto automatizzata e interconnessa.

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PROSPETTIVE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE: VERSO QUALI PAESI INDIRIZZARE LE ESPORTAZIONI E GLI INVESTIMENTI di Antonio Morano - Management Academy Sida Group Area Europrogettazione e Internazionalizzazione

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egli ultimi dieci anni, le imprese italiane hanno dovuto fare i conti con un ambiente competitivo in rapida evoluzione, caratterizzato da una accentuata globalizzazione e da mercati maggiormente integrati rispetto al passato. Ciò comporta, da una parte, una maggiore concorrenza, anche in aree di

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specializzazione e nicchie tradizionali per l’industria italiana mentre, dall’altra parte, ciò ha permesso di accedere a materie prime e fattori produttivi meno costosi, oltre alla possibilità di entrare in nuovi mercati, caratterizzati da un interessante potenziale di crescita della domanda. L’internazionalizzazione è, in questo contesto, un pilastro fondamentale

della strategia aziendale per la protezione o per la conquista di nuove quote di mercato, e talvolta si rende necessario al fine di salvaguardare la sopravvivenza aziendale in aree caratterizzate da una elevata incidenza dei costi di produzione. Al fine di strutturare strategicamente una impresa oggi occorre, quindi, valutare il suo potenziale in termini di


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domanda di consumo mondiale, valutare le difficoltà del mercato in termini di concorrenti che operano sul mercato mondiale e valutare la quantità e la qualità delle risorse, materie prime e fattori produttivi che il mercato globale mette a disposizione delle imprese Le imprese italiane hanno da tempo compreso questo presupposto fondamentale. Ne è testimonianza il successo della produzione italiana all’estero ed il lavoro di molti imprenditori che hanno avviato politiche di internazionalizzazione. Detto questo, occorre chiedersi: che cosa vuol dire “internazionalizzare” un’impresa? Ciò significa che la società diventa, in qualche modo, internazionale. Vende i suoi prodotti all’estero, acquista da fornitori esteri, si approvvigiona di fonti di finanziamento all’estero. Vi è, quindi, una certa componente estera all’interno della società.

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In questo momento, inoltre, il fenomeno dell’internazionalizzazione diventa attraente per tutti gli imprenditori perché le aziende, avendo difficoltà a competere a livello nazionale, cominciano a rendersi conto di quanto il mercato estero può offrire importanti opportunità di business e, conseguentemente, quanto sia fondamentale orientarsi verso nuovi mercati esteri. Come parte del processo di pianificazione di internazionalizzazione individuare i paesi target verso i quali indirizzare l’attenzione e gli sforzi dell’azienda rappresenta un momento molto importante e delicato. La scelta del mercato target, qualora si riveli errata, è, infatti, causa per l’impresa di elevati costi sia in termini di costi reali che in termini di costi opportunità. Errare nella selezione di tali Paesi può addirittura compromettere l’esistenza dell’impresa stessa portandola al col-

lasso. Per agevolarle in questo compito, Sace ha sviluppato l’Export Opportunity Index, un nuovo indicatore che individua i Paesi che presentano le migliori opportunità per l’export italiano. Il punteggio assegnato a ciascun Paese varia da 0 a 100 (rispettivamente opportunità nulla e massima). Le opportunità per l’export italiano sono numerose: trentanove Paesi di tutti i continenti presentano un punteggio superiore a 65. Si tratta di mercati che già rappresentano il 73 per cento dell’export della penisola, e che possono essere meglio presidiati dalle nostre imprese. Tra le economie avanzate troviamo Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Belgio. Le aree da approcciare con più decisione sono il Medio Oriente (Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita) e l’Asia (Corea del Sud, Cina e India).

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L’Investiment Opportunity Index, invece, indica quali siano i mercati più interessanti per realizzare investimenti. I paesi con un Investment Opportunity Index (IOI) superiore a 60 sono quindici, pari al 54% del PIL mondiale. Questi paesi possono rivelarsi ottimi contesti di sviluppo o piattaforme ideali per la proiezione internazionale delle imprese italiane.

Sono quindi molteplici le opportunità e le possibilità presenti nel mercato odierno, per poterle sfruttare è opportuno raccogliere e analizzare informazioni sugli strumenti operativi che si hanno a disposizione e sui Paesi di po-

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tenziale interesse: i soggetti pubblici (Camere di Commercio, Agenzia ICE, ambasciate, associazioni di categoria, agenzie di sviluppo regionali, sportelli “Sprint”) offrono un buon servizio di orientamento per chi muove i primi passi e una buona rete di contatti a livello istituzionale. La fasi operative possono avere bisogno di ulteriore sostegno e di personale o di professionisti esterni specializzati nella gestione di pratiche gestionali e adempimenti amministrativi specifici, come, ad esempio, quelli relativi a contratti internazionali, pagamenti internazionali, questioni fiscali e doganali, trasporti, assicurazione del credito. Ad ogni modo, per contenere l’investimento iniziale, si può anche far ricorso ai progetti finanziati attraverso bandi pubblici, comunitari, nazionali, regionali e locali. Occorre, quindi, procedere attraverso una serie di attività finalizzate alla realizzazione di un buon processo di internazionalizzazione, che ne consentiranno la sicura riuscita, specificatamente queste attività saranno: • Autovalutazione del merito aziendale e delle possibilità produttive dell’Azienda, nel breve e medio periodo, per determinare le risorse da destinare ai mercati esteri; • Business-plan, indispensabile strumento di programmazione dello sviluppo internazionale; • Studio paese e/o ricerca paese/i; • Ricerca di eventuali partner; • Assistenza linguistica e logistica; • Assistenza agli “Accordi di Cooperazione” (stipula di contratti societari, costituzione di joint-venture, stipula di accordi commerciali e/o accordi di distribuzione, accordi di carattere finanziario, stipula di contratti di fornitura e/o sub-fornitura, etc.);

• Assistenza all’ottenimento, se necessari, di finanziamenti, aiuti e sovvenzioni; • Assistenza finanziaria e / o commerciale nei Paesi Esteri, post realizzazione del programma. Diviene, quindi, essenziale il ruolo del consulente, è egli ad avere il compito di accompagnare l’azienda nei nuovi mercati, adottando un atteggiamento “marketing-oriented” ed assistendo l’azienda in ogni fase del delicato processo di internazionalizzazione. Il consulente deve, quindi, proporre ad un imprenditore che intende approcciare i mercati internazionali un modello d’internazionalizzazione tagliato su misura e adatto alle specifiche caratteristiche ed esigenze della sua impresa, predisponendo un piano di marketing internazionale adeguato allo specifico business aziendale. È un’operazione assolutamente delicata che richiede estrema attenzione e l’utilizzo di metodologie appropriate, evitando tentativi casuali basati su logiche di tentativi ed errori: un solo errore in questo campo può essere sufficiente per minare la stabilità di un’azienda. Il ruolo del consulente di internazionalizzazione non si esaurisce, inoltre, nella realizzazione del programma di investimento, ma continua fornendo l’assistenza finanziaria e commerciale nel paese estero interessato. Questi ruoli delicati devono quindi essere svolti da professionisti del settore, capaci, dotati dell’esperienza e del know-how specifico. Il rischio maggiore in cui si incorre è quello di affidarsi a consulenti improvvisati, privi dell’appoggio di una struttura organizzata ed, a sua volta, internazionale.


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ade in Italy è tecnicamente un modo di dire. Non si può definire “modo di fare”, perché non si tratta di una forma mentis omogenea e strutturata nel senso reale del termine. Non lo si può definire “modo di essere”, perché esistono troppe conflittualità e troppa competitività interna, quindi non ci si presenta davvero in modo integrato all’esterno. Quindi, purtroppo per tutti noi, è ancora solo un modo di dire. Eppure, il resto del mercato globale riconosce al Made in Italy una serie di pregi, di peculiarità, di eccellenze: statistiche alla mano, veniamo riconosciuti per la creatività, la qualità, la passione, la tradizione, la cultura, il paesaggio, l’architettura, grandi infrastrutture come quelle petrolifere e la qualità della vita. I settori che maggiormente godono di questa brand reputation sono quelli delle famose “3 F”: moda (fashion), arredamento (furniture), cibo (food), nonché il settore dell’auto e della meccanica. Di settori portanti l’Italia ne ha altri, e fra quelli riconosciuti immediatamente all’estero e quelli un po’ più

A CURA DI

in ombra, grande è la potenzialità nel turismo. In ogni modo, anche laddove eccelliamo nei processi di “top-ofmind” della gente, abbiamo invero capacità competitive non ancora sufficientemente organizzate. Strategicamente e strutturalmente bisogna mettere a sistema l’unitarietà e l’integrazione affinché il “made in Italy” diventi un qualcosa di cui fregiarsi a livello di intero sistema Italia. Un buon obiettivo, condiviso concretamente anche dal Governo, è di iniziare ad investire in modo strutturato sul brand italiano come un vero e proprio asset aziendale. Il progetto Made in Italy deve essere gestito come un’impresa. Ma al di là di questa visione, che pensando alla sua messa in pratica, sconfina trionfalmente nell’utopia, il fatto di promuovere il brand Made in Italy diventa un passaggio fondamentale per la crescita economica nazionale. E, si badi bene, non si parla di “difendere”, ma di “comunicare” e “promuovere”: se i nostri prodotti vengono falsificati e copiati, se il nostro marchio viene eluso e scavalcato, la colpa è quasi esclusivamente di una mancanza di concentrazione sistemica. Attualmente, il Made in Italy quale

un marchio commerciale è, secondo stime aggiornate, tra i primi 5 al mondo, forse addirittura tra i primi 3, secondo solo a colossi come Coca Cola, Google, Visa e simili. In attesa di vedere gli sviluppi di programmi statali di potenziamento della nostra brand reputation nazionale e in attesa di essere identificabili attraverso un’immagine integrata condivisa, è bene, da parte dei singoli operatori, promuovere al meglio se stessi come appartenenti ad un sistema più ampio e con una tradizione alle spalle fatta di qualità, creatività, stima e fiducia. Da non sottovalutare i nuovi strumenti comunicativi / digitali: oggi molta comunicazione passa inesorabilmente attraverso il Web, diventa quindi più che mai importante la creazione e la corretta gestione di portali, profili social, forum, blog e quando di meglio offre la Rete per creare ed implementare la visibilità. Parola d’ordine: credibilità. Strumento: storytelling. Stile: semplicità. Obiettivo: coerenza. Se poi tutto questo lo si fa iniziando a ragionare attraverso Reti e agendo “a sistema”, la realizzazione di questo progetto di posizionamento strategico diventa un investimento con elevatissimo ritorno.

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FOCUSINTERNAZIONALIZZAZIONE

IL MARKETING DELLE AREE METROPOLITANE Obiettivi delle strategie di marketing dalle nazioni alle aree metropolitane

di Silvia Battistelli - Management Academy Sida Group Area Ricerca & Sviluppo

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er molto tempo le aziende si sono allineate alla mentalità secondo cui l’espansione internazionale/ globale si attua a livello di nazioni o aree (gruppi di paesi con caratteristiche più o meno omogenee) e quindi nel decidere le proprie strategie di marketing internazionale prestavano attenzione alle politiche adottate dai singoli stati nazionali in termini di fiscalità, possibilità di finanziamenti disponibili per le imprese, politiche di apertura/ chiusura nei confronti di investitori esteri ecc.poiché le informazioni statistiche relative alla crescita vengono raccolte a livello di paese/nazione, per molto tempo le aziende hanno fatto le proprie valutazioni secondo lo stesso meccanismo. Oggi però dati importanti ci danno informazioni che indicano e suggeriscono un nuovo approccio al marketing internazionale: oggi sembra vero che la crescita di un paese dipenda

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alla crescita delle sue principali città. In un paese infatti, non solo il PIL è generato da un numero limitato di città, ma spesso alcune di queste hanno caratteriste assolutamente peculiari e sono più grandi e popolose di molti stati. Il PIL delle città può essere misurato come quello dei paesi e serve come indicatore non solo della loro ricchezza ma anche a dimostrarne la prosperità: un PIL in crescita costante indica che nuovi posti di lavoro vengono creati e che gli abitanti sono in buona situazione economica. Situazione che in quelle metropolitane sta vivendo una situazione di boom, dove la domanda è superiore all’offerta. In Giappone ad esempio nel 2007 l’area metropolitana di Tokyo con i suoi 13,5 mila km2 aveva 35 milioni di abitanti, tanti quanti l’intera popolazione del Canada e superiori alla popolazione di stati come l’Olanda o

l’Arabia Saudita. Altri esempi simili di aree metropolitane sono Los Angeles e New York negli Usa, Pechino e Shangai in Cina, Londra Rio de Janeiro, Città Del Messico, Mosca ecc. Nel loro caso il contributo dato al PIL nazionale è enorme e pertanto la crescita dei loro paesi dipende indissolubilmente dalla crescita, o al degrado, di esse. Nei paesi in via di sviluppo le città di medie e grandi dimensioni registrano addirittura tassi di crescita superiori a quelli nazionali, e le città principali generano insieme la maggior parte del PIL nazionale, fino addirittura a costituirne l’80%. Si pensi che nel 2010 il 90% del Prodotto Mondiale Lordo era generato da 8.000 aziende. Il 50% di tale PIL era generato da solo 600 città; di queste solo 100 generavano il 38%. Tale concentrazione si continua ad accentuare. Le imprese da parte loro nel pianifi-


FOCUSINTERNAZIONALIZZAZIONE care le proprie strategie di sviluppo si trovano spesso a dover decidere dove investire: dove collocare nuove sedi produttive, distributive, filiali, punti vendita. Questa è una scelta che deve esser fatta con cura e la stessa attenzione deve essere adoperata per valutare le sedi estere già esistenti. Esse devono quindi sforzarsi di reperire informazioni a livello di aree metropolitana per scoprire nuove e più efficaci opportunità. Nel progettare i propri piani di sviluppo all’estero e considerando vari luoghi possibili, le aziende dovranno tenere in considerazione, tra gli altri, aspetti quali: • Proiezioni di crescita del luogo target • Tasso di crescita della popolazione • Caratteristiche demografiche • Infrastrutture locali • Livelli di produttività • Incentivi disponibili • Competenze della forza lavoro • Cultura • Livelli di imprenditorialità • Flessibilità L’azienda dovrà quindi sempre di più disporre di management e o figure capaci di scegliere aree geografiche più adatte a cui rivolgersi negli investimenti. Oggi le figure chiamate a svolgere tali ruoli dovranno racchiudere in sé tante competenze e abilità differenti di carattere geografico, antropologico, demografiche, sociologiche, oltre che naturalmente economiche e manageriali. Essi inoltre dovranno imparare a distinguere un aspetto fondamentale, cioè se una area metropolitana, seppur ricca, popolosa e sviluppata, è in crescita o in decrescita.

Nei paesi in via di sviluppo le grandi città/ aree metropolitane stanno crescendo in modo rapido e continuo, nei paesi sviluppati – definizione corrispondente principalmente a Europa e Stati Uniti – si assiste a una riduzione di posti di lavoro e di investimenti. Il futuro delle strategie di marketing delle aziende necessariamente dovrà rivolgersi alle grandi città in crescita, e non invece sprecare risorse in piccole città. Secondo le stime entro dieci anni il 65% del PML sarà generato in 600 aree metropolitane e fra queste 440 saranno situate in paesi in via di sviluppo. Infatti il tasso di crescita maggiore nelle città può essere osservato nei paesi in via di sviluppo e in particolar modo in America Latina e in Asia, luoghi in cui è presente una classe media in forte crescita. E’ qui che è possibile realizzare forti guadagni, come grandi multinazionali o imprese nazionali, sia dei paesi sviluppati sia quelle dei paesi in via di sviluppo hanno ben compreso. Come già indicato sopra, città grandi e medie evidenziano, nei paesi in via di sviluppo, tassi di crescita superiori rispetto alla media del paese in cui si trovano; inoltre sono proprio le principali città di un paese quelle che generano la maggior parte del suo PIL. Poiché la ricchezza delle città dipende, fra altri aspetti, dalla presenza di imprese di piccole medie e grandi dimensioni, come conseguenza quanto più una città riesce a rendersi attrattiva per nuove imprese, tanto più essa riuscirà a garantirsi ricchezza per il

suo futuro, nella misura in cui la presenza di aziende che prosperino si traduce in posti di lavoro per i cittadini e uno standard di vita soddisfacente per questi ultimi. Bisogna notare che in media le città tendono ad attuare politiche che supportano le piccole imprese già esistenti o le startup, poiché esse rappresentano il mantenimento dei livelli economici mediante mantenimento dei posti di lavoro. Tuttavia il vero sviluppo corrisponde alla crescita portata dai consumi e dagli investimenti da parte di aziende di dimensioni medio grandi, quindi per parte loro anche le città dovrebbero dotarsi di personale e amministratori agenzie capaci di elaborare politiche adatte ad attrarre le nuove aziende di grandi dimensioni. In sintesi si potrebbe dire che l’impresa dovrebbe passare da un concetto di sviluppo basato sul grande (nazione/ paese) a quello di sviluppo basato sul piccolo (area metropolitana/ città), mentre la città dovrebbe allargare il proprio orizzonte e spostare (o almeno integrare) il proprio focus dal piccolo (piccola impresa) al grande (azienda di dimensioni grandi e PMI). Concludendo, è importante che le aziende prendano coscienza degli aspetti sopra evidenziati, abbandonando piani di espansione che non siano stati prima ben ponderati, per poter approfittare al meglio delle opportunità offerte dalle città e aree metropolitane, riuscendo così ad indirizzare i propri investimenti nella direzione più adatta al loro business e ai loro obiettivi di sviluppo.

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FOCUSINTERNAZIONALIZZAZIONE

MARCHE SENZA FRONTIERE Iran e Corea del Sud sono le prossime sfide nella internazionalizzazione delle nostre pmi. Come si fanno affari a migliaia di km da casa? Un aiuto arriva da Marchet.

di Emanuele Garofalo

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e imprese marchigiane fanno rotta verso il Medio e l’Estremo Oriente. Sono queste le ultime tappe per i prodotti Made in Marche nel loro giro del mondo. Sono i nuovi mercati e le economie emergenti su cui scommettono le aziende per trovare

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spazi inesplorati e clienti, superando così le crisi internazionali che colpiscono l’export verso l’Europa e la Russia. Dove è rivolto lo sguardo? Corea del Sud, Giappone, Iran, Emirati Arabi. Paesi che non sono dietro l’angolo e dalle culture, anche imprenditoriali, molto distanti

dalla nostra. E allora la conquista di nuove fette di mercato va studiata e pianificata con l’aiuto e la ricerca di partner internazionali, i corsi di formazione per gli imprenditori marchigiani, la conoscenza di leggi e accordi con l’estero.


FOCUSINTERNAZIONALIZZAZIONE È questa la missione che si è data Marchet, l’azienda speciale per l’internazionalizzazione della Camera di Com-

PIÙ DEL SEMPLICE EXPORT. PER QUESTI MERCATI SERVONO FORTI PARTNER INTERNAZIONALI, CONOSCENZA DELLA CULTURA DEI PAESI ESTERI, CORSI DI FORMAZIONE PER GLI IMPRENDITORI. mercio di Ancona, che presenta le prossime iniziative per aprire la strada alle imprese marchigiane nel mondo. «A novembre – spiega il presidente di Marchet Massimiliano Santini - assisteremo e accompagneremo tra le 20 e le 40 aziende alla fiera Big 5 di Dubai per i settori delle costruzioni e dell’edilizia. Un’attenzione particolare la dedichiamo alla formazione e all’aggiornamento di quelle figure professionali che all’interno delle aziende ricoprono ruoli nel settore commerciale ed export, tramite i nostri corsi. Sono ancora aperte le iscrizioni a prossimi moduli che tratteranno le tecniche degli scambi internazionali (inizio 8 luglio); tutelare il proprio business: patti chiari oltre la stretta di mano (inizio 9 luglio); i “must” per competere nel mercato agroalimentare (inizio 7 ottobre)». Due in particolare i Paesi su cui si stanno concentrando gli sforzi di Marchet: l’Iran e la Corea del Sud. Da anni l’azienda speciale della Camera di Commercio sta rincorrendo l’intuizione di una apertura di rapporti commerciali con Teheran, idea la cui bontà è stata confermata e rilanciata dallo storico accordo di distensione del luglio 2015 tra Iran e Stati Uniti, a cui è seguita la missione della delegazione di imprese guidate dalla Regione Marche. Costruzioni, edilizia e arredo sono i bersagli grossi da centrare. Dal 22 al

26 ottobre è in programma l’organizzazione di incontri b2b a Teheran per le aziende del settore. Al termine della missione imprenditoriale, verrà effettuata l’attività di “follow up” per ogni azienda partecipante, un monitoraggio costante sui contatti locali incontrati. Le iscrizioni sono aperte fino al 15 luglio per permettere un’approfondita ricerca partner. In particolare, la missione è rivolta alle aziende di arredo e complementi per il residenziale e l’alberghiero di fascia alta, l’edilizia e le finiture d’interni, i materiali da costruzione, l’arredo bagno, la cucina e i componenti, gli arredi per ufficio, l’illuminazione decorativa e tecnica,

TRE LE MISSIONI GUIDATE DA MARCHET: SEOUL A SETTEMBRE, TEHERAN A OTTOBRE, DUBAI A NOVEMBRE le aziende di servizi del settore. È infatti soprattutto il settore alberghiero e residenziale ad attirare gli investimenti locali, che vedono possibilità di business nella necessità di strutture ricettive di livello internazionale, sulla scia della modernizzazione dell’Iran e di una progressiva apertura dell’economia del Paese arabo. La tendenza dell’edilizia privata invece è quella di orientarsi verso prodotti di qualità e design con ottime opportunità per le finiture, gli elettrodomestici e l’arredo made in Italy. Tutte partite dove le imprese marchigiane possono giocare da protagoniste.

registrando uno spiccato e crescente dinamismo nel mercato coreano con ulteriore potenziale di crescita. La missione sarà centrata perciò sull’agroalimentare, sulla moda, sul settore cosmetico, il mobile e l’arredo di design, il turismo, e la produzione di vino

EDILIZIA, ARREDO E TIPICITÀ AGROALIMENTARI SONO LE “CHICCHE” MARCHIGIANE PIÙ RICHIESTE DALLE ECONOMIE IN ESPANSIONE. e birra. La conquista di questo mercato per certi versi misterioso, prevede un progetto in tre fasi: la prima, la preparazione degli imprenditori locali, si sta svolgendo già da giugno, poi ci sarà la missione a Seoul, quindi la fase post incontri. Durante la missione ogni impresa italiana incontrerà dai 4 ai 10 importatori. I b2b si svolgeranno presso un hotel di Seoul dove verranno allestite postazioni degustative ed espositive in cui le imprese potranno esporre e far assaggiare i loro prodotti. La missione è organizzata in collaborazione con la Italian Chamber of Commerce in Korea (ITCCK), che vanta grande esperienza nell’organizzazione di eventi b2b nei settori interessati dalla missione.

L’altro grande mercato da aggredire è la Corea del Sud. L’appuntamento qui è per il prossimo 28 e 29 settembre a Seoul, con l’obiettivo di creare contatti tra imprese e importatori. Dall’entrata in vigore dell’Accordo di Libero Scambio UE-Corea (FTA), si sta

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UNIVERSITÀ&RICERCA

UNIVERSITA’ DI URBINO: L’ATENEO CHE PRODUCE CULTURA DAL 1506

L’

Università degli Studi di Urbino Carlo Bo produce conoscenza fin dal 1506, quando il Collegio dei Dottori prese vita nella città che fu la culla del Rinascimento italiano ed è oggi Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco. Questo connubio unico ne fa un campus a misura di studente che offre ai suoi circa 15mila iscritti ben 1.590 alloggi nei collegi progettati dall’architetto Giancarlo De Carlo e gestiti dall’ERSU delle Marche, che da quest’anno ha aumentato il valore massimo delle borse di studio e dedica da sempre una particolare attenzione agli studenti disabili grazie a borse di studio, stanze attrezzate e assistenza di personale specializzato.

L’Ateneo del rettore Vilberto Stocchi ha sei Dipartimenti: Economia Società e Politica, Giurisprudenza, Scienze Biomolecolari, Scienze della Comunicazione Studi Umanistici e Internazionali, Scienze Pure e Applicate, Studi Umanistici. Un’offerta didattica ampia e multidisciplinare, fatta di 15 lauree triennali, 19 magistrali di cui 5 a ciclo unico, 10 master, 15 corsi di Alta Formazione e 6 summer school. Il suo sito uniurb.it, appena rinnovato, risponde ora al 100% dei requisiti di accessibilità richiesti da Google e il suo blogazine #uniamo è visitato ogni giorno da migliaia di utenti. Agli studenti interessati a trascorrere periodi di studio o di tirocinio all’estero, l’Ateneo offre borse Erasmus e accor-

di di cooperazione internazionale in adesione ad alcuni dei più importanti networks internazionali. La qualità di Urbino è anche nelle classifiche, che la collocano tra le migliori 500 università mondiali secondo il prestigioso Times Higher Education, mentre per Almalaurea le percentuali di occupazione dei suoi laureati sono da sempre più alte della media nazionale. Prima in Italia per attrattività da fuori regione secondo il Sole24ore, Urbino è al primo posto per servizi agli studenti nella classifica Censis 2016, che vede anche il primato assoluto del corso di Scienze delle attività motorie e sportive e piazzamenti per diversi altri corsi.

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UNIVERSITÀ&RICERCA

A CHE SERVE IL BOSCO?

Formazione forestale-ambientale in una società in trasformazione

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lcuni anni fa il prof. Piussi, uno dei più noti selvicoltori italiani, in un articolo del 2006 sulla rivista di geopolitica LIMES stimolò un’interessante riflessione, ponendo ai lettori una domanda molto diretta: “A che cosa serve il grano?” La risposta secondo l’autore è molto lineare e immediata: “serve a fare il pane, da alcune migliaia di anni”. Se la domanda fosse invece “A che cosa serve il bosco?” la risposta non sarebbe altrettanto facile e sicuramente variabile nel tempo. Oggi probabilmente potrebbero prevalere le seguenti risposte: serve a produrre ossigeno o ad assorbire anidride carbonica; ma anche a migliorare l’assetto idrogeologico, la conservazione della biodiversità, ecc. Tornando al grano, il passaggio da farina a pane implica processi di manipolazione e trasformazione chimico-fisici che si concludono con la cottura, avvenuta per gran parte della storia dell’uomo con il fuoco di legna. Lo stesso combustibile che oggi, fra cotture elettriche o a gas, attribuisce valore aggiunto al filone o alla pagnotta. La legna e il calore forniti per la cottura degli alimenti e per il riscaldamento, da sempre in gran parte del pianeta, sono rispettivamente un prodotto ed un servizio che le foreste

di Carlo Urbinati, PhD offrono all’uomo. Il rapporto fra grano e legna, nonostante la conflittualità nell’uso del suolo per ottenerli, è stato per lungo tempo essenziale, poiché la loro mancata produzione ha significato fame e freddo. Oggi nell’epoca dell’accesso immediato e globale alle risorse, soprattutto nelle società più abbienti la percezione e il significato assegnato ai due termini è significativamente cambiato. Relativamente al grano, ma in generale ai prodotti alimentari, l’attenzione è molto viva sugli aspetti della qualità e della salute (OGM, impiego di fertilizzanti e pesticidi, adulterazioni, patologie e benessere degli animali). Relativamente al legno, nonostante l’impatto ambientale dell’uso di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone), il suo utilizzo come fonte rinnovabile di energia non è sempre condiviso, poiché sembrano prevalere le funzioni ambientali e paesaggistiche della foresta (per i suoi valori estetici e paesaggistici e per il suo contributo al mantenimento di livelli alti di biodiversità. Quindi a cosa serve il bosco? Nonostante nel corso della storia il rapporto fra uomo e foresta sia stato e sia tuttora complesso, problematico e a volte paradossale, oggi più che mai le foreste sono fondamentali per la conservazio-

ne del pianeta e dei suoi abitanti. Esse forniscono habitat all’uomo ed alla fauna, ricchezza biologica, variabilità genetica ed evoluzione, regolazione del clima, materie prime (legnose e non legnose), protezione del suolo e conservazione dell’acqua, valori etici, simboli religiosi, memoria e tradizioni culturali, mito, paesaggio, ma anche lavoro, spazi per l’avventura e il divertimento, occasioni per la creatività artistica, ecc. Oggi la gestione e la conservazione delle foreste, che coprono oltre il 30% della superficie delle terre emerse, così come la ricerca scientifica, sono una ulteriore manifestazione: i) dell’ esigenza dell’uomo di convivere con una risorsa in diminuzione a livello mondiale, ma non a livello nazionale e continentale; ii) dell’evoluzione culturale per garantire un equilibrio fra la funzione di produzione di materie prime e quella di fornitura di servizi ambientali e socio-economici multipli. In Italia i sistemi territoriali naturali e seminaturali (boschi, arboricoltura da legno, praterie e pascoli, altre terre boscate, zone umide e acque, improduttivi con vegetazione) costituiscono oltre il 50% della superficie nazionale ed hanno superato quella costituita dai sistemi agrari (Seminativi, Altre colture agrarie e Arboricoltura da

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UNIVERSITÀ&RICERCA frutto) che si attestano al 43% (Tab. 1). In questo ampio e articolato 50% del territorio sono raccolte gran parte delle aree a maggiore valenza paesaggistica e ambientale del paese (Aree protette, Rete Natura 2000, aree HNV, ecc.), dovuta in gran parte alla pregressa azione dell’uomo e la cui gestione attiva e sostenibile è fondamentale per la loro conservazione e valorizzazione. La tematica centrale in Europa e in Italia, non è più quella dell’espansione delle foreste, obiettivo centrale delle politiche forestali degli anni ’90, ma quella della valorizzazione delle risorse esistenti. Tali idee sono ben rappresentate nel documento di strategia forestale europea (Forest Action Plan, 2013) che punta ad aumentare l’efficienza del sistema coprendo la domanda interna di prodotti e servizi ambientali, individuando nei PSR gli strumenti fondamentali per la valorizzazione economica, ambientale e sociale delle risorse forestali nello sviluppo rurale. In tale contesto da 15 anni il Dipar-

timento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali (D3A) di UNIVPM ad Ancona, offre una formazione nel settore forestale-ambientale mediante un Corso di laurea triennale in Scienze Forestali e Ambientali, al quale dal 2014 si è aggiunto anche il Corso di Laurea Magistrale in Scienze Forestali, dei Suoli e del Paesaggio (vedi articolo ML settembre 2014). E’ evidente, come si evince anche dai dati sull’occupazione dei laureati di Alma Laurea, che un percorso di formazione accademica quinquennale garantisce ai giovani una maggiore spendibilità delle conoscenze e competenze acquisite nel mondo del lavoro. I laureati nelle settore delle Scienze e Tecnologie Forestali e Ambientali (LM-73) hanno la peculiarità di saper operare a diversi livelli di scala (da quella di area vasta, a quella comprensoriale a quella aziendale) utilizzando le loro professionalità in modo sinergico nelle fasi di analisi e valutazione, pianificazione e progettazione, gestione e valorizzazione delle risorse silvo-pa-

storali e del paesaggio rurale in generale. I tre ambiti tematici (foreste, suoli e paesaggio) si fondono in una concezione sinergica che consente al laureato di interagire agevolmente anche con altre professionalità nel complesso processo di governance territoriale. Le attività di ricerca del Dipartimento, svolte anche all’interno di ampi progetti nazionali e internazionali (FORESTPAS2000; LIFE – RESILFOR; INTERREG – ZOON) consente anche agli studenti di avvicinarsi alle problematiche territoriali ed alla loro complessa gestione, in un contesto sempre più variabile anche per azione dei cambiamenti climatici.

Carlo Urbinati, PhD - Professore Associato di Dendrometria e Selvicoltura Presidente del Consiglio Unificato dei Corsi di Studio (CUCS) in Scienze Forestali e Ambientali (L) e in Scienze Forestali, dei Suoli e del Paesaggio (LM). D3A – UNIVPM Tel. 071 220 4274 c.urbinati@univpm.it www.univpm.it/carlo.urbinati www.foresteinforma.it

Tab. 1. Distribuzione percentuale delle classi di uso del suolo a livello nazionale (dati ISPRA, 2013) Fig. 1. Bosco, legna da ardere ed escursionismo (Foto C. Urbinati) Fig. 2. Utilizzazioni forestali meccanizzate (Foto C. Urbinati) Fig. 3. Utilizzazioni forestali non meccanizzate (Foto C. Urbinati) Fig. 4. Bosco di protezione idrogeologica sopra piccolo abitato (Foto A. Pellegrini) Fig. 5. Pascoli montani abbandonati invasi dalla vegetazione arboreo-arbustiva (Foto C. Urbinati)

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“Sostegno allo start up e allo sviluppo di impresa nelle aree d crisi produttiva” Il bando è finalizzato a promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, supportando gli investimenti, la crescita e la riqualificazione dei lavoratori nelle tre aree di crisi produttiva e occupazionale della Regione: l’area dell’Accordo di programma Merloni, quella del Piceno e infine gran parte della Provincia di Pesaro Urbino. L’iniziativa prevede la concessione di contributi a fondo perduto alle micro, piccole e medie imprese per progetti di start up, di sviluppo produttivo, di rilocalizzazione della produzione e per il trasferimento di impresa volto a favorirne la continuità. A PARTIRE DAL: 14/07/2016

“Sabatini Ter” Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico che istituisce un nuovo strumento per accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese e migliorare l’accesso al credito delle micro, piccole e medie imprese.Alle imprese verrà riconosciuto dal Mise un contributo in conto interessi pari all’ammontare complessivo degli interessi calcolato su un tasso favorevole del 2,75%, ripartito in cinque anni in quote annuali costanti.

REGIONE MARCHE “Voucher per l’internazionalizzazione” L’iniziativa è volta a sostenere le aziende e le reti di imprese nella loro strategia di accesso e consolidamento nei mercati internazionali. L’intervento consiste in un contributo a fondo perduto sotto forma di VOUCHER, ovvero un sostegno economico a copertura dei servizi erogati all’impresa finalizzati a studiare, progettare e gestire i processi e i programmi sui mercati esteri.

SCADENZA: IN FASE DI PUBBLICAZIONE INVITALIA” Progetto di riconversione e riqualificazione industriale” Il Ministero dello Sviluppo Economico, la Regione Marche, la Regione Umbria e Invitalia hanno sottoscritto un Accordo di Programma finalizzato alla salvaguardia ed al consolidamento del tessuto imprenditoriale dell’area coinvolta dalla crisi del gruppo Antonio Merloni, nonché al reimpiego ed alla riqualificazione dei lavoratori. Per i progetti che prevedono spese non inferiori a 1.500.000,00 €, è previsto un finanziamento agevolato per il 50% degli investimenti ammissibili.

SCADENZA: 30/06/2016

SCADENZA: FINO AD ESAURIMENTO FONDI MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO “Restart ValVibrata” Il Ministero dello sviluppo Economico, Regione Abruzzo e Regione Marche hanno riconosciuto l’area di crisi complessa Vibrata Piceno quale soggetto beneficario di importanti contributi. Nelle prossime settimane saranno pubblicati i bandi contenenti le linee guida per sfruttare le risorse disponibili.

SCADENZA: IN FASE DI PUBBLICAZIONE AGCM - AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO “Rating di legalità” “La finalità della normativa è quella della promozione e introduzione dei principi di comportamento etico in ambito aziendale, tramite l’assegnazione di un “riconoscimento” - misurato in “stellette” , da 1 a 3 – indicativo del rispetto della legalità da parte delle imprese che ne abbiano fatto richiesta e, più in generale, del grado di attenzione riposto nella corretta gestione del proprio business. All’attribuzione del rating l’ordinamento ricollega vantaggi in sede di concessione di finanziamenti pubblici e agevolazioni per l’accesso al credito bancario. Il rating di legalità è stato disciplinato con delibera AGCM 14 novembre 2012, n. 24075, ha durata di due anni dal rilascio ed è rinnovabile su richiesta. Potranno richiedere l’attribuzione del rating le imprese operative in Italia che abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso l’anno precedente alla richiesta e che siano iscritte al registro delle imprese da almeno due anni.”

PRESENTAZIONE TELEMATICA *Per consultare la sezione completa, e le restanti regioni, link al sito www.mlmagazine.it

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FORMAZIONE

L’EVOLUZIONE DELLA VENDITA Il 6 ottobre a Camerano Antos e Xplace propongono “Evo, digital evolution”

“G

uidare le aziende in un processo di trasformazione delle vendite che parte da esperienze digitali”. Ecco secondo Danilo Pasqualini, CIO di Antos srl, l’idea alla base dell’organizzazione di “Evo, digital evolution”. Di cosa si tratta questo evento? “Si tratta di un’iniziativa formativa in programma il 6 ottobre a Camerano, destinata agli imprenditori, realizzata in collaborazione con la Xplace, digital agency di Osimo, e rivolta alle aziende italiane: in particolar modo agli imprenditori. Sono proprio loro, infatti, a nostro avviso, coloro dai quali può (e deve) partire un processo di cambiamento nell’approccio all’utilizzo degli strumenti digitali per migliorare i risultati di vendita di prodotti e servizi. Del resto il tema dell’evento sarà: “dal Digital Marketing al Sales Management”. Perché proprio l’imprenditore e non il direttore commerciale o quello marketing? “Ritengo che per cambiare questa tipologia di paradigmi all’interno di un’azienda, occorra che la volontà di operare, quella che oggi viene chiamata disruption, cioè il rinnovamento vero, parta proprio dai vertici aziendali; coloro che hanno capacità di spesa e peso specifico devono far sì che il cambiamento avvenga veramente all’interno delle loro organizzazioni. Poi è ovvio che a beneficiarne sono in primis i responsabili di funzione”.

Come va cambiato il modo di condurre le trattative commerciali? “Il porta a porta o la cosiddetta vendita “fredda”, tradizionale, non esiste più perché siamo tutti quanti presi da mille impegni e la gestione del nostro tempo dovrebbe ammettere pochissime deroghe. Oggi l’approccio all’acquisto parte da un desiderio che ci viene indotto dagli strumenti digitali, siano essi i social network, le newsletter o altre forme di call to action. Tramutare quell’interesse o quella curiosità verso un prodotto o servizio in acquisto vero e proprio, presuppone una serie di passaggi intermedi, tra cui il confronto tra oggetti simili, le opinioni di altri acquirenti, tutti determinanti, che influenzano decisamente l’esito della trattativa, tengono alta l’attenzione del potenziale cliente, lo fanno sentire protagonista, lo coinvolgono anche emozionalmente. Eppure tutto ciò non avviene così automaticamente come dovrebbe e molti contatti vengono trascurati e quindi persi. Nell’evento che stiamo organizzando, invece, questo approccio è il punto nodale e, nella corso della giornata formativa, evidenzieremo, attraverso vari strumenti ed interventi, anche l’importanza nel gioco di squadra che parte da chi si occupa della comunicazione digitale a chi arriva alla finalizzazione della vendita.”

Antos srl è un’azienda nata nel 1991, ha sede a Camerano, 3 soci e 20 persone di staff con un’età media di 30 anni, 1,5 milioni di euro di fatturato ed oltre 500 clienti serviti in Italia. Sintetizzando, quindi, perché un imprenditore dovrebbe andare sul sito www.evodigitalevolution.com ed iscriversi? “Devono partecipare ad EVO coloro che vogliono capire come la vendita sta evolvendo e come si possono massimizzare i contatti e le informazioni che derivano dalla comunicazione digitale.”

Dal digital marketing al sales management: viaggi, imprevisti e destinazioni di un cliente. 6 Ottobre 2016 - 08:45 am - Camerano (Ancona) per info e prenotazioni: www.evodigitalevolution.com

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CANALE 12

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CARRIERE & POLTRONE FEDERICA MASSEI Nuovo Amministratore unico Aerdorica

LUCIA DI FURIA Nuovo dirigente del Servizio Salute della Regione Marche

Un lungo curriculum specialistico, varie esperienze manageriali in ambito sanitario. E’ questo il ritratto professionale di Lucia Di Furia, 59 anni, dirigente del Servizio Salute della Regione Marche al posto di Piero Ciccarelli. Di Furia, precedentemente, è stata dirigente medico dell’Agenzia regionale sanitaria con la qualifica di dirigente di Posizione di funzione Assistenza ospedaliera, Emergenza-Urgenza, Ricerca e Formazione, in comando presso l’Ars proveniente dall’Asur Marche.

L’assemblea dei soci di Aerdorica ha nominato Federica Massei (il consigliere d’amministrazione che aveva rassegnato le dimissioni insieme al presidente Lorenzo Catraro) amministratore unico della società di gestione dell’aeroporto regionale di Ancona Falconara.

ALBERTO DEALES Nuovo Dirigente Sanitario INRCA Ancona

ROBERTO PESARESI lascia la presidenza di Interporto

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Dopo 17 anni passati alla guida della struttura, l’assessore jesino annuncia l’addio alla presidenza di Interporto. Un lungo cammino, il suo, che ha portato alla realizzazione di una infrastruttura importante sia per la Vallesina e la provincia, così come per tutta la regione.

Nominato dal direttore generale Gianni Genga, resterà alla guida della direzione sanitaria per i prossimi tre anni. 58 anni, fabrianese, Deales è stato dirigente medico presso la direzione sanitaria dell’Asur, dove si è occupato di programmazione delle reti cliniche ospedaliere ed è stato referente per il rischio clinico, oltre a portare avanti insieme alle associazioni progetti di empowerment dei cittadini.


CLUBMOTORI

ECOBLUE SU TRANSIT E CUSTOM, LA NOVITÀ DEI VEICOLI COMMERCIALI FORD

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l doppio debutto su Transit e Custom della motorizzazione diesel EcoBlue e, insieme, di sistemi di assistenza alla guida inediti rappresenta l’annotazione principale alla voce “novità veicoli commerciali Ford 2016”. Una scelta nel solco di un miglioramento dell’offerta, attraverso la quale il Marchio dell’Ovale Blu punta a traghettare verso fine anno la leadership europea nel segmento artigliata nel 2015 grazie a oltre 280mila unità vendute (+23% rispetto ai dodici mesi precedenti). “La sfida era trasformare il nostro gioiello di famiglia Transit in un veicolo con costi di esercizio ancora più contenuti per gli operatori – ha commentato Pete Reyes, responsabile Veicoli Commerciali di Ford Europa -, più ecosostenibile in quanto a emissioni, più silenzioso nell’abitacolo, più sicuro e anche più durevole”. Veicoli commerciali “risparmiosi” Un primo elemento che gioca a favore dell’efficienza riguarda il down-

sizing del nuovo propulsore dai 2.2 litri della precedente generazione agli attuali 2 litri (tre le potenze: 105, 130 e 170 CV), con benefici stimati nell’ordine del 13,1% grazie all’incremento della coppia a bassi regimi (+20% a 1250 giri), e con intervalli di manutenzione estesi fino a 2 anni/ 60mila chilometri (10mila km in più per entrambi i modelli in gamma).

Il risparmio consentito sui costi del carburante è stato calcolato da Ford in una quota fino a 1.600 euro ogni 130mila km nel caso del Custom con motore da 105 CV se paragonato con la versione da 100 CV disponibile sino ad oggi. Le emissioni inquinanti guardano già all’inasprimento dei requisiti richiesti dal prossimo settembre con riferimento allo standard

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CLUBMOTORI

Euro 6, tanto più che il diesel EcoBlue 2.0 adotta un sistema di combustione ottimizzato in virtù della riduzione catalitica dei gas di scarico attraverso la speciale soluzione di urea tecnica in acqua demineralizzata conosciuta con il marchio AdBlue. Dotati di serie di Start&Stop, Transit e Custom producono rispettivamente livelli di CO2 a partire da 176 g/ km con un consumo medio di 6,8 l/100km nel ciclo misto (meno 10% rispetto ai modelli equivalenti precedenti), e a partire da 161 g/km (6,2 l/100km nel ciclo misto, meno 13%). Si segnalano inoltre il livello di insonorizzazione dell’abitacolo, equiparato a quello che si può riscontrare a bordo di un’autovettura, e le migliorie apportate sul piano del controllo e del comfort di marcia che passano attraverso il potenziamento della risposta dello sterzo e un intervento sul design degli ammortizzatori posteriori. Entro la fine dell’anno in corso i clienti di Custom potranno scegliere di passare alla trasmissione automatica SelectShift a 6 velocità, che sarà proposta anche per i derivati Transit a trazione anteriore.

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Sicurezza al top Già ordinabili presso la rete italiana composta dai partner del costruttore americano, i due modelli dotati del diesel EcoBlue da 2 litri, fiore all’occhiello delle novità veicoli commerciali Ford 2016, sono reduci da test di resistenza affidati in parte a clienti reali, che hanno percorso circa 400mila chilometri sui 5,5 milioni totali. Un buon banco di prova per saggiare anche le innovazioni introdotte sul piano della sicurezza. Grazie allo stesso pacchetto tecnologico offerto sugli ultimi lanci del marchio, come la Mondeo, la S-Max, e la Ford Edge, Transit e Custom sono oggi in grado di supportare ancor meglio l’attività quotidiana del driver avvalendosi di dispositivi all’avanguardia, quali il sistema di frenata automatica con assistenza pre-collisione e riconoscimento pedoni, il controllo adattivo della velocità di crociera, e il riconoscimento dei segnali stradali, utile per rammentare al conducente i limiti applicati su quello specifico tratto di strada. L’ESC di serie si apre a una serie di funzioni, tra le quali figurano tre

brevetti del brand automotive d’oltreoceano: stabilizzazione antivento laterale, controllo in curva e, per prevenire il rischio di ribaltamento, della stabilità. La sezione infotainment sulla scheda di presentazione dei nuovi Transit e Custom segna, per il secondo, il sistema di connettività SYNC con display passato da 3.5 a 4 pollici. Nel primo quadrimestre 2016 le vendite in Europa, nei 20 paesi dove Ford è presente con proprie filiali nazionali, relative ai modelli indicano quasi 67mila veicoli, +18% rispetto all’intervallo gennaio-aprile 2015.

a cura di

Viale Mattei 11, Fano - 61032 (PU) www.fordeusebi.it


CULTURA&TERRITORIO

L’ARTE PITTORICA

DI PIERO CECCARONI IN MOSTRA A RECANATI PER LE CELEBRAZIONI LEOPARDIANE

La pittura è su ceramica, su pannelli costituiti da elementi assemblati per formare dei veri e propri quadri. Dal 3 luglio al 4 settembre le opere esposte al Museo Civico Villa Colloredo Mels

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Recanati va in mostra la pittura su ceramica di Piero Ceccaroni. Dal 3 luglio al 4 settembre, in occasione delle Celebrazioni Leopardiane, nella sede del Museo Civico Villa Colloredo Mels verranno esposte opere degli anni 1980 e 1990, scelte dal curatore Professor Stefano Papetti. “Piero Ceccaroni, dipinti su ceramica” è il titolo della personale che porterà a Recanati visitatori da tutta Italia. Piero Ceccaroni nasce nel 1936 a Foligno e trascorre gli anni delle gioventù tra Roma, dove frequenta gli studi classici laureandosi in Giurisprudenza, e Recanati, dove trascorre molto tempo presso lo studio dello zio Rodolfo Ceccaroni (1891-1983) celebre ceramista che lo introduce ai segreti tecnici della pittura su maiolica, esortandolo ad esprimere la sua raffinata sensibilità in quell’ambito. Ha realizzato molte esposizioni personali in Italia e all’estero. Ed ha ottenuto i maggiori riconoscimenti internazionali nel campo della ceramica: il primo “Premio Acquisto” a Faenza nel 1987 al 45° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte e il secondo la Medaglia d’Argento nel 1990 a Vallauris (Francia) alla 12° Biennale Internazionale della Ceramica d’Arte.

La pittura è su ceramica, su pannelli costituiti da elementi assemblati per formare dei veri e propri quadri. Il segno è “a punta di pennello” sottilissimo, i colori quelli tradizionali ceramici. Nelle opere del primo periodo dominano forti i colori, il blu persiano, i verdi, poi i colori si rarefanno e lasciano il posto a tratti quasi di grafica, a reticolati, a costruzioni più geometriche come negli ultimi lavori esposti. Memorie, fiabe, eventi trascorsi, accadimenti del nostro tempo, sono proposti con arguzia, sottile ironia, rara intensità espressiva, attraverso una elaborazione lenta, metodica. La sobrietà e finezza di esecuzione richiamano il primo Quattrocento. I suoi personaggi semplici e dismessi, entro quinte sapientemente disposte, ci narrano la loro storia in un continuum fantasioso e surreale. La sua cultura è complessa: non gli sono sconosciute le predelle del Trecento e del Quattrocento con le vite dei santi, beati, anacoreti. Ama i Breughel del Kunsthistorisches Museum di Vienna e il Bosch meno terrificante, si sofferma su alcuni incisori tedeschi del Cinquecento, su Mark Chagall che a Parigi negli anni venti andava delineando le fiabe che gli erano state raccontate dal vecchio

zio a Vitebsk, ed ammira l’algida solitudine di Yves Tanguy e Renè Magritte. I riconoscimenti ricevuti in occasione dei più qualificati concorsi internazionali di ceramica, consentono alle sue opere di essere esposte nei maggiori musei italiani e stranieri, dove egli viene considerato l’epigono contemporaneo di una tradizione che risale all’istoriato rinascimentale. A distanza di venti anni dalla sua scomparsa, i dipinti di Piero Ceccaroni conservano intatto il loro fascino, trasmettendoci attraverso una pittura assai meditata e diligente l’ esperienza di vita di una personalità dall’animo sensibile e raffinato che ha trovato nell’arte il mezzo più congeniale per esprimere le proprie certezze morali.

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MEDIA&TERRITORIO

LA RADIO NON MUORE MAI Finchè c’è la radio, c’è speranza. Verrebbe da dire. E’ da sempre il cinema dell’invisibile. Ha raccontato e animato le rivolte studentesche degli anni ’70 ai tempi delle radio libere. Mentre nel decennio successivo ha dettato mode e alimentato sottoculture.

Oggi la radio è più viva che mai, parola di Radio Linea N° 1

di Chiara Bartolomei

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a radio è il mezzo di comunicazione che ha fatto sognare intere generazioni di aspiranti speaker. Dalle radio libere degli anni ’70, concettuali e ribelli, alle emittenti private costituitesi, mano a mano, negli anni ’80, la potenza comunicativa dell’fm ha sempre prodotto una certa attrazione. Anche oggi, nonostante l’ingerenza e l’invasione del digitale che, per un certo periodo, ha fatto tremare i tanti editori sorpresi dallo spauracchio dell’avvento delle web-radio. Ma se la carta stampata è stata letteralmente travolta dalle testate online, la radio, invece, non ha in alcun modo subito nessuno scossone. Potere del cinema dell’invisibile. Quella sensazione ancora così romantica che nasce quando ci si siede davanti al microfono, e con la mano si sfiora il

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cursore audio del mixer. Tre, due, uno. On air. E un fiume di parole si forma nel petto del conduttore fino ad arrivare alle orecchie delle migliaia di ascoltatori. Le Marche hanno vissuto fin da subito l’esplosione del fenomeno radio. Negli anni “La radio non solo ha resistito al crollo dei media tradizionali, ma ha continuato a crescere. Grazie al web, ai nuovi smartphone, allo streaming e al podcast la radio ha ampliato l’offerta e quindi i contatti”. ’70 bastava il più rudimentale dei trasmettitori, un’antenna, un microfono e un giradischi. Così nascevano le radio libere in ogni quartiere. Poi l’evoluzione nelle emittenti private. E anche qui le Marche hanno avuto l’onore di essere rappre-

sentate da poli editoriali di un certo rilievo. La contemporaneità vede tre principali realtà radiofoniche a livello regionale e interregionale: Radio Linea, Radio Veronica e Radio Arancia. La civitanovese Radio Linea è stata tra le prime a sorgere e mantiene fin dalla sua nascita gli stessi editori: Marco Adami e Remo Mariani. I primi vagiti nel 1980. Poi l’acquisto di più frequenze, fino ad essere ascoltata oggi in buona parte della fascia adriatica: da Cesena a Foggia, comprendendo Emilia Romagna, San Marino, Umbria, Marche, Abruzzo. Attualmente Radio Linea conta ben 7 speaker: Beatrice Silenzi (direttore responsabile), David Romano, Francesca Travaglini, Freddie, Marco Adami (editore), Simone Boccatonda e Valentino Valemix. L’ident dell’emittente è chiaro e squillante: “Radio Linea N°1”.


MEDIA&TERRITORIO ming. Per non parlare dei social. Abbiamo tutti un canale facebook per potenziare i feedback con l’utente. Insomma, la radio è a tutti gli effetti al passo con i tempi”.

Una radio di flusso dove la musica è fatta solo ed esclusivamente da grandi successi, di oggi e di ieri. Conduzione ritmata e suono contemporaneo e generalista. Anche perché a parlare una lingua più settoriale ci pensa Skyline Radio & Soul, ovvero l’emittente “soul oriented” facente sempre parte della famiglia Linea. Skyline è una sorella minore nata nei primi del 2000 con la mission di fare un po’ di cultura musicale: dalle hits della Motown fino all’r ’n’b dei giorni nostri, senza escludere, però, anche le maggiori voci d’autore a livello internazionale. Soul sì. Ma non solo black, per intenderci. Tornando, però, al quesito iniziale: la radio è cambiata, oppure no? L’avvento dei nuovi media ha influito? Ma soprattutto quali saranno gli scenari futuri che si presenteranno da qui in avanti? “A dire la verità non penso che la radio sia poi cambiata così tanto – afferma l’editore di Radio Linea Remo Mariani – ma semplicemente ha acquisito tutti i nuovi media per incrementare i contatti ed aumentare gli ascolti. Oggi tutte le radio sono presenti online, e basta un click per accedere alla diretta strea-

Però fare impresa nel mondo della comunicazione appare più complicato, sebbene questa sia l’era della comunicazione 4.0. Quali sono, secondo lei, le strategie vincenti nel vostro settore? “Purtroppo oggi fare impresa è difficile in tutti i settori. Nella comunicazione non ci sono delle strategie particolari. Il sistema è sempre lo stesso, cioè mettere costantemente al centro gli ascoltatori. Sono loro il riferimento principale. E sono loro ad indicarci la strada”. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’avvio di alcuni corsi di formazione per speaker radiofonici. Cosa ne pensa? “La maggior parte dei corsi serve a

poco. La passione e la gavetta restano sempre le scuole migliori. Negli anni 80 eravamo tutti pionieri e improvvisatori, e con più di 4mila emittenti era molto più facile entrare in una struttura radiofonica anche senza nessuna esperienza. Attualmente la preparazione personale e la professionalità sono fondamentali. Anche perché gli attuali speaker della stragrande maggioranza delle emittenti su campo nazionale ha un curriculum che affonda le radici in decenni di radiofonia”. Nell’era del digitale sono crollate molte forme tradizionali di comunicazione, i giornali in primis. La radio ha saputo resistere a questa rivoluzione? E, se sì, in che modo? “La radio non solo ha resistito, ma ha continuato a crescere. Infatti prima è cresciuta grazie al rinnovamento e all’aumento dei veicoli dotati di autoradio. Successivamente grazie al web, ai nuovi smartphone, allo streaming e al podcast la radio ha ampliato l’offerta e quindi i contatti”. Quale sarà il futuro della radio? “Uno solo: continuare a intrattenere gli ascoltatori”. Le web-radio, invece? Riusciranno un giorno a surclassare l’fm? “Finche le auto avranno l’FM, questo sistema andrà avanti senza problemi come tutti lo conosciamo. Poi quando tutti saremo collegati alla rete con qualsiasi apparato 24 ore su 24 senza pagare il traffico, allora tutto cambierà. Ma non saprei ipotizzare quando questa rivoluzione arriverà”.

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PORTRAIT

URAGANO MONTANINI: IL COMICO MARCHIGIANO CHE HA STREGATO L’ITALIA

Il 39enne fermano è il comico satirico di riferimento per la stand up comedy italiana. Tagliente, irriverente, al limite del consentito. Il “Nemico Pubblico” sbarca per la seconda volta in Rai.

di Andrea Maccarone

E’

uno dei maggiori rappresentanti della stand up comedy italiana. Se non il maggiore. E’ marchigiano doc: nato e cresciuto a Fermo. La sua satira politically uncorrect, tagliente, al limite dell’osceno, ha conquistato milioni di italiani. Ed anche uno spazio in Rai, sul “terzo canale”. L’uragano Giorgio Montanini ha spazzato via la comicità buonista e la battuta rassicurante. E’ andato oltre il vetriolo di quei comici che se la prendono con il politico di turno. Montanini ha riportato in alto la satira. Quella vera. Quella che spesso ti rimane sullo stomaco come uno sformato di patate, talmente buono da non poter fare a meno di abbuffarsi. Ma così pesante da digerirlo il giorno dopo. Così sono i suoi monologhi. Irresistibili e travolgenti. Ma sempre rivolti verso una riflessione più profonda sulla nostra società e sui contesti che viviamo. Una riflessione che lascia, alla fine, un forte amaro in bocca dopo aver riso fino a perdere il fiato. Giorgio Montanini, il demone fermano, è tornato su

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PORTRAIT Rai3 con la nuova edizione di “Nemico Pubblico”. E nel frattempo sta registrando gli episodi della prossima stagione. Il suo è un successo strano. Diverso. Particolare. Chi lo conosce, lo ama. E lui lo sa. E’ alla stregua di una rock’n’roll star ad inizio carriera, quando ancora è l’eroe della nicchia. Ecco, Giorgio è l’eroe di una nicchia. Ma che presto potrebbe allargarsi a dismisura. “Indubbiamente sono il primo ad aver portato alla ribalta nazionale, questo tipo di comicità, ne sono orgoglioso e lo rivendico – spiega il comico – lo rivendico perché agli inizi c’era chi diceva che la mia comicità non avrebbe funzionato mai. E invece eccoci qua. Però non sono il portabandiera di nulla, solo al pensiero mi sento male”. Lei ha raggiunto un livello di consensi che è ormai trasversale: mondo intellettuale e non, giovani e adulti. Non le sembra rivoluzionario per un comico satirico? “Potrebbe sembrare rivoluzionario per il nostro paese, ma non lo è. In Italia il comico satirico è visto come un punto di riferimento politico, si aspetta la battuta del comico più per avere una soddisfazione ideologica piuttosto che personale. I comici satirici italiani, sono stati responsabilizzati a tal punto da diventare veri e propri punti di riferimento politici. Ci siamo immersi talmente tanto in questa contraddizione, che alla fine un comico s’è convinto di essere depositario della verità e ha fondato un partito. Democraticamente è una bestemmia. Un comico non ha ricette per il paese, non deve pontificare, spetta alla politica cambiare le cose”. I suoi monologhi partono dalla ferocia della provocazione mirata, per poi sublimarsi in una morale al limite del poeti-

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co. E’ questa la forza della sua scrittura? “Solitamente il finale “poetico” è un artificio. Negli USA, o Inghilterra, Francia, paesi in cui la satira attraverso la stand up comedy ha radici culturali decennali, un comico non addolcisce la pillola con lo spiegone finale, perché il pubblico è cosciente dal primo minuto all’ultimo che paradossi, iperboli e metafore sono tecniche a servizio del comico per far ridere. Qui siamo ancora un po’ verginelli da questo punto di vista, quindi si rende necessario un momento di decompressione per il pubblico, un momento in cui, didascalimente, si evince che: “sono un comico, non prendetemi sul serio”. Come nasce un monologo di Giorgio Montanini? “Un comico ha il dovere di raccontare esperienze realmente vissute, poi ha il sacrosanto dovere di raccontarle da un punto di vista originale. Se sali sul palco e racconti una cosa che già tutti condividono, sei un animatore da villaggio turistico, non sei un artista. Quello che sembra straordinario in quello che faccio, è il requisito minimo che si deve chiedere ad un comico per poterlo definire tale. Un comico parla della propria vita, ma la sua vita (molto spesso) è simile a quella di chi lo va ad ascoltare. Quindi i miei monologhi nascono così, vivendo...e tutto il tempo che voglio per fermarmi a pensare quello che ho appena vissuto”. “Una risata vi seppellirà”. Vale ancora questo assoluto? Oppure siamo nell’epoca del “c’è poco da ridere”? “La comicità nasce per esorcizzare le paure, per metabolizzare le tragedie, per sopravvivere alla vita. Alle Hawaii, per dire un nome simbolo di vita da sogno, dove tutti vivono in costume da bagno e pescano per mangiare, dove non c’è sfruttamento raz-

zismo o delinquenza, non hanno un comico. Sapete perché? Perché sulle cose belle non c’è nulla da ridere. La comicità attecchisce dove si sta male, quindi proprio nei momenti più bui. Credo sia il nostro caso”. Grazie a lei le Marche, e il suo dialetto più tipico e conosciuto, sono giunte alle orecchie di tanti italiani. Le è mai stato riconosciuto questo merito? “Dico sempre a tutti, al limite dello sfinimento, quanto siano belle le Marche. Vivo a Roma diversi mesi l’anno e mi sento fortunatissimo ad avere le mie radici a Fermo. Nonostante questo, non uso la cadenza marchigiana come omaggio alla mia terra. Parlo marchigiano perché sono marchigiano, e un comico non può prescindere dalla sua terra d’origine. La differenza tra le altre regioni e le Marche, sta tutta nel fatto che gli altri difendono, sponsorizzano e valorizzano gli artisti di casa”. La linfa vitale di chi fa satira, è proprio il pubblico, spesso e volentieri brutalizzato dal satiro in una sorta di rito collettivo. Lei che cosa pensa realmente del pubblico? “Penso che il modo migliore per relazionarsi con il pubblico, sia quello di trattarlo con rispetto. Un artista rispetta il pubblico quando non cerca furbescamente di intercettarne i gusti per compiacerlo. Compiacere il pubblico è il peggio danno che si possa fare, il pubblico paga per vivere delle emozioni, positive o negative che siano, solo se sei onesto intellettualmente puoi fare in modo che questo avvenga. Una volta che c’è onestà da parte di chi sta sul palco, il pubblico sceglie se tornare oppure no. Alcuni apprezzano quell’onestà e ne beneficiano emotivamente, altri non l’apprezzano e quindi è giusto che vadano ad ascoltare altro”.


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