ML Febbraio/Marzo 2017 - anno XXIV

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MAR. APR. ‘17 N.01 anno XXIV € 2,00 www.mlmagazine.it

DOSSIER

FOCUS

CLUB

PORTRAIT

Globalizzazione Relazioni estere al cambio di rotta. E’ la fine dell’era global?

Identità Digitale Rivoluzione Spid: tutto quello che c’è da sapere sulla digital identity.

Economia & Finanza Dove va l’economia reale. La nuova era dei mercati internazionali.

iGuzzini La dinastia che fabbrica luce. L’ascesa del colosso dell’illuminotecnica.

SCENARI

Post-globalizzazione: i 3 grandi asset

FEDERMANAGER

Italia a caccia dei manager 4.0

MEGATRENDS Le chance per le imprese

Esclusiva Il Premio Nobel

Mercati

Peter Diamond:

SPREAD AGITATO

“Siamo in una corsa ad ostacoli”

PRIMO PIANO

CAPITAL

ANTONIO TAJANI Parlamento EU Nuove prospettive per l’Europa

VALERIO VICO Fiduciaria Marche Capitali all’estero Ecco cosa cambia

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Sri Lanka

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SOMMARIO Marzo Aprile

2017 N.01 anno XXIV

INDICE

30/ CLUB ECONOMIA E FINANZA Dove va l’economia reale: tendenze

7/ EDITORIALE Il cambiamento

36/ IL FUTURO CHE CI ATTENDE

8/ VISION

Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo : l’economia deve orientarsi sulla conoscenza e sui distretti

Dove comincia la ripresa

61/ NANOTECNOLOGIE

10/ PRIMO PIANO

L’ingegneria del mondo atomico e molecolare

Tajani cambia tutto

77/ PAESI SON-DATI

DOSSIER GLOBALIZZAZIONE

Typisch Deutch…o quasi La scheda Paese sul mercato tedesco

14/ Il fenomeno Trump cambia l’economia 19/ Visco, Bankitalia: “riforme e stabilita’, non c’è altra strada”

88/ TENDENZE

SCENARI

Skills revolution: la palla in mano ai Ceo

23/ Post-globalizzazione: i tre scenari possibili

95/ VITA DA MANAGER

MERCATI

Industria 4.0: in Italia mancano i digital manager

25/ Spread agitato, la Grecia osservato speciale

106/ LUXURY RETREATMENT

CAPITAL

Come ti cambio il luxury travel: la nuova frontiera delle esperienze indimenticabili

28/ Capitali all’estero, ecco cosa cambia

INTERVISTE IN ESCLUSIVA 95 - Industria 4.0: in Italia mancano i digital manager Stefano Cuzzilla: Presidente Federmanager

17 - “Aspettiamoci una corsa ad ostacoli” Peter Diamond: Premio Nobel per l’Economia

82 – Il marketing: “valore a lungo termine” Tommaso Bertini: Direttore Marketing Mirabiliandia 110 - Marketing e sport, ecco le tre parole chiave Piero Almiento: docente Marketing alla Sda Bocconi

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112 - iGuzzini: una dinastia che “fabbrica” luce Adolfo Guzzini: Presidente iGuzzini

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HANNO COLLABORATO Roberto Antonella Carlo Badioli Silvia Baldini Giuseppe Barchiesi Claudia Bartolini Mario Becchetti Mattia Bocchini Alessandro Bracciatelli Julian Burnett Roberto Campione Stefano Carotti Letizia Ciaccafava Fabio Di Giulio Lucia Fava Giulio Guidi Stefania Lastella Andrea Maccarone Deanna Elena Mazzeo Michele Giovanni Memola Alessandra Monticelli Antonio Morano Laura Osmani Fabrizio Passamonti Loredana Pistonesi Massimo Sbrolla Alessandro Scarlato Alessandro Stecconi Federica Tedeschi Carlo Tortolini

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Chiuso in redazione il 1/03/2017

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EDITORIALE

Il Cambiamento:

maggiore competitività dei sistemi, maggiore sviluppo, maggiore benessere IL METODO È LO STRUMENTO PER RENDERE PIÙ EFFICACE IL PROCESSO

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siste una istituzione in Svizzera, l’ILO – International Labour Office, il cui compito principale è standardizzare (normalizzare) i processi. Tra le attività messe a punto ormai da anni è la teoria dei metodi. Il processo è l’insieme delle attività umane che l’individuo svolge per raggiungere un obiettivo economico o ludico. Perché queste attività siano svolte in modo economico (minor dispendio di risorse a parità di risultato) devono essere trattate e studiate con la semplice teoria dei metodi. La stessa articola la sua osservazione e studio rispondendo alle seguenti domande: • Che cosa fare, perché fare • Chi fa • Quando fare • Come fare • Dove fare È un processo di analisi o revisione che deve informare ogni attività in modo che essa sia fatta in modo economico. Il cambiamento, che è ricerca di miglioramento, alla luce dei mutamenti intervenuti e che interverranno nel contesto, impone nell’organismo (azienda/individuo che interagisce per la sua sopravvivenza e/o sviluppo) che i comportamenti e le decisioni si modifichino di conseguenza, quindi si cambi: senza cambiamento c’è decadimento. Il metodo ci viene in aiuto come guida nell’attività di impostazione e revisione.

Che cosa fare? È il primo interrogativo che va posto. Esso riguarda un nuovo business o quello già esistente. La prima osservazione accompagnata dalla rilevazione è l’inventario del patrimonio tangibile e intangibile (valori, conoscenze, strumenti, abilità, motivazioni, attitudini). “Cosa sappiamo fare e quali sono le risorse disponibili?” La seconda osservazione è il contesto in cui si vuole esprimere la nostra individualità personale aziendale. Com’è e come sarà (le sue tendenze evolutive). L’intersezione fra queste due dimensioni definirà i contorni del campo entro cui va concentrata la nostra azione. Il campo del business. Il contesto si è fatto sempre più fluido (volatile), le innovazioni tecnologiche, scientifiche mutano i gusti e le aspettative di chi popola la dimensione contesto (mercato), sviluppando nuove configurazioni. Il “sé” individuale e aziendale deve adattarvisi. Chi lo fa e con chi? La seconda domanda ci impone di riflettere e revisionare il soggetto che dovrà operare e decidere le azioni che dovranno essere poste in essere. La governance, il management e gli specialist dovranno anche loro cambiare di veste e di configurazione. Si richiederà cultura adeguata e sempre più orientamento mentale al consumatore, nonché la competenza, la co-

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noscenza e l’abilità di saper governare nuove esigenze, nuovi strumenti. Quando lo fa? La strategia con la fissazione degli obiettivi e la pianificazione temporale dovrà, in un involucro economico finanziario, scadenzare la strutturazione organizzativa personale/ aziendale. Come fare? L’attività nasce da input e prevede la trasformazione per generare un output; l’obiettivo dell’attività è che questa dovrà ubbidire al principio dell’economicità (capacità di generare risorse), e dovrà essere studiata e revisionata nella sua impostazione tenendo presente le istanze del mercato e organizzata tenendo presente l’utilizzo delle strategie e degli strumenti che il contesto mette e metterà sempre più a disposizione. Dove farlo? Riguarda la dimensione spaziale del business. Anche in questo caso dovrà essere osservato il contesto per informare le strategie produttive, distributive e di gestione per dimensionare e schedulare il business. La globalizzazione ha cambiato la dimensione spaziale del contesto. Rispondere in successione all’insieme di queste domande tra di loro interconnesse e complementari dovrebbe orientarci nel porre ordine, velocizzare e compendiare i processi di cambiamento.

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VISION

Luca Guazzati

Direttore Mondo Lavoro

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ria nuova a Mondo Lavoro. Innanzitutto cambiamo noi, con uno sforzo editoriale che ci vede impegnati a lanciare una tipologia di informazione più completa e a livello nazionale. In primis, se le parole d’ordine nella comunicazione efficace sono sempre state “Continuità” e Multimedialità”, allora ML magazine continua ad insistere con contenuti di approfondimento e specializzazione in ambito economico, finanziario, consulenziale e manageriale. Ci occuperemo di molte problematiche occupazionali e formative fondamentali per guardare al futuro ed allo sviluppo. E per ciò che concerne la diffusione e la divulgazione, la rivista d’ora in poi sarà distribuita su tutto il territorio nazionale con spedizioni mirate, nelle grandi città, rivolte ad istituzioni, enti, associazioni, fondazioni, agenzie e studi professionali in linea con le tematiche trattate in ogni numero. La multimedialità, infine: i social si moltiplicano e ci vedono all’avanguardia nell’interpretare la new communications, attraverso media sem-

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Dove comincia la ripresa UNA COMUNICAZIONE PIÙ VELOCE E MULTIMEDIALE: IL CAMBIAMENTO NEI CONTENUTI, NELL’APPROFONDIMENTO

pre più evoluti e veloci. Per questo il tassello mancante sarà coperto dal prossimo lancio di una web tv per video-servizi confezionati da un team apposito. Il filo conduttore della rivista per quest’anno, che si preannuncia già denso di spunti, sarà il cambiamento nella tecnologia, nell’impresa e nel lavoro. Il tutto grazie all’innovazione: concetto assai ampio e malleabile. Proveremo, così, a tracciare un percorso con i nostri esperti e con quelli a disposizione nel panorama dell’economia internazionale: per imparare a credere nella ripresa, per insegnare come, quando, e dove investire le migliori risorse. Oppure semplicemente quelle che ci sono, per centrare nuovi e positivi obiettivi. Inizieremo doverosamente da come utilizzare il cambiamento per imprimere ad ogni opportunità economica e occupazionale una svolta positiva. A volte per tornare sulla direzione giusta. Altre, invece, per imboccare una direzione migliore. Cercheremo di parlare, e di far parlare, della nuova visione spazio temporale dello sviluppo, dal “comportamento” azien-

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dale all’etica d’impresa, alle nuove frontiere del welfare, del sociale, del benessere. Dunque l’innovazione applicata ad ogni particolare aspetto del mondo del lavoro, ed in ciascun settore. Alla scoperta delle tecniche e delle tecnologie, che domani favoriranno nuovi trends di business e potranno far rilanciare la produzione, ci concentriamo su alcuni percorsi strategici che la comunicazione aiuta ad approfondire. Due esempi per tutti. Il turismo sociale che aumenta e muove opportunità di sviluppo diverse e diversificate, superando le stagioni anche in Italia. Oppure le start up che declinano conoscenza, ricerca e metodo per applicare giovani idee e trasformarle in lavoro, profitto, impresa. Forze fresche e nuove idee. Questo noi intendiamo per cambiamento. Ed è questo che ci piace “raccontare”, attraverso l’entusiasmo e la forza di chi cerca, ricerca, intraprende. Abbiamo bisogno di positività, perché la ripresa non può che cominciare da qui.


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PRIMOPIANO

Tajani cambia tutto Antonio Tajani

Pres. Parlamento Europeo

"LA MIA PRESIDENZA? SIGNIFICA BILANCIARE UNA SITUAZIONE ALL’INTERNO DELL’UNIONE EUROPEA CHE È SEMPRE STATA MOLTO ORIENTATA VERSO IL NORD DELL’UE" dal nostro inviato Julian Burnett

CHI E’ ANTONIO TAJANI

Nato a Roma, cattolico, ex ufficiale dell'aeronautica, giornalista, ex commissario europeo. Dopo gli studi classici al liceo “Torquato Tasso” di Roma, si è laureato in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma. Politico berlusconiano, è stato portavoce del Presidente del Consiglio nel biennio ’94-’95. Un lungo bagaglio di esperienze sia sul piano nazionale, che su quello europeo. Dal 2010 al 2014 ricopre il ruolo di Commissario europeo per l’Industria e l’Imprenditoria.

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RUXELLES - Al Parlamento europeo vince la “destra moderata” del PPE e Antonio Tajani è presidente, eletto con 351 voti dall’Assemblea di Strasburgo, contro i 282 ottenuti dal candidato socialista Gianni Pittella nel ballottaggio tutto italiano tra i due. La battaglia fra Tajani e Pittella, inizia al momento della scadenza

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di Martin Schulz con la candidatura automatica del suo vice, durante la scorsa legislatura, appunto Pittella. Questi rappresenta le simpatie esterne della sinistra radicale, dei Verdi e di pochi indipendenti centristi che, tuttavia, non bastano a superare il blocco liberal-conservatore. Così, Tajani sale lo scranno più alto di Strasburgo dopo un’elezione che, seppur per i poco entusiasmanti standard delle cronache parlamentari europee, ha davvero tratti peculiari. Tajani riesce ad unificare attorno a sè un arcipelago di culture, movimenti e personalità come il Partito Popolare Europeo. Riesce in sostanza a costruire un’alleanza nell’emiciclo che, per la prima volta in quindici anni, fa a meno del PSE. Infatti il suo background politico conta sui popolari, liberali (l’ALDE che rinuncia all’accordo con Beppe Grillo) e sul non secondario appoggio del gruppo conservatore britannico guidato dai Tories. Per la prima volta nel Parlamento europeo si verifica una vera competizione elettorale e un ballot-

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taggio non proforma. Un passo avanti verso una sorta di mediatizzazione del Parlamento come segnale voluto dell’eredità del Presidente uscente Schulz. Ma le differenze con Tajani sono tante: Schulz voleva partecipare alla Conferenza di Parigi sul Clima (gli organizzatori hanno risposto che “per ora il Parlamento Europeo non è uno stato sovrano”) ha più volte esternato sulla Brexit e “commentato” Donald Trump. Invece, Antonio Tajani ha affermato esplicitamente che non intende “comportarsi da Primo Ministro della UE” e che “il Presidente del Parlamento non ha e non deve avere un’agenda politica”. Dunque, stile e comportamento all’opposto, rottura con il passato: una diversa personalità politica alla guida europea. Il che non dispiace alla Germania, anzi. L’elezione presidenziale di Tajani, così come la sua nomina all’interno del PPE, non sarebbe stata infatti possibile senza il sostegno influente di Manfred Weber, dirigente di spicco della CDU di Angela Merkel e leader parlamentare dei Popolari Europei.


PRIMOPIANO Il politico bavarese, a lungo considerato un potenziale rivale di Martin Schulz, ha - per adesso - messo da parte le ambizioni personali per stringere la mano a liberali e conservatori, portando a compimento un progetto egemonico cui la destra europea ambiva fin dal 2014. Oggi il Partito Popolare Europeo con Tajani alla presidenza UE si trova a controllare tutte e tre le principali istituzioni europee, lasciando ai Socialisti solo la guida dell’Eurogruppo. Inoltre tale originale se non inedita alleanza conservatrice che Tajani impersona, potrebbe non solo rifrangersi anche nell’ambito della quotidiana attività parlamentare, ma essere uno specchio strategico per alcune trattative atlantiche non improbabili, nel momento in cui imperversa il “fenomeno Trump”. Il contesto politico europeo, dunque, sicuramente sta affrontando un CAMBIAMENTO: dopo gli interminabili, pesanti dieci anni della Commissione Barroso - in cui la dialettica avveniva più a livello interistituzionale (Parlamento contro Consiglio Europeo) - le affiliazioni politiche la fanno di nuovo da padrone, tanto da rendere contendibile e altamente politicizzata addirittura una carica che dovrebbe essere terza per definizione. Ma, mutatis mutandis, possiamo scorgere ciò che cambia nel Parlamento Europeo davvero come riflesso di quello che accade su scenario mondiale? Le destre che avanzano trovano terreno fertile e “aggiustamenti politici” con alleanze anche forzate senza subire grossi contraccolpi ideologici, mentre a sinistra le grandi sfide della contemporaneità (sicurezza, migrazioni e governo della globalizzazione) sono vissute in maniera molto più convulsa, contrastata, difficile. Di qui non sembrerà paradossale il fatto che le parole d’ordine di Trump, come peraltro di Marine Le Pen, Farage o addirittura del Movimento

5 Stelle, appaiono ora molto più destabilizzanti per il campo socialista che per quello conservatore: così nei sondaggi per le prossime elezioni in Europa, dalla Francia alla stessa Germania. Gli ultimi sondaggi danno il Partito Socialista Francese attorno al 14%, il PSOE ha bevuto l’amaro calice del sostegno al governo Rajoy e la SPD si trova a fronteggiare una CDU/ CSU che veleggia su percentuali vicine o superiori al 40%! In conclusione appare naturale pensare oggi che, se la politica è lo specchio della nostra società, la partita appena giocata al Parlamento Europeo trascende i classici giochi di palazzo - che pure ci sono stati - per inserirsi in una turbolenza più generale. POLITICHE INTERNAZIONALI «Dobbiamo avvicinare l’Europa ai cittadini - ha detto recentemente Tajani la posizione del Parlamento sul futuro dell’Europa è chiara: l’Unione deve rispondere alle preoccupazioni dei cittadini e offrire risultati più concreti». E ancora: «il Parlamento europeo è il fulcro di questo impegno a rafforzare l’Europa per renderla più efficace. Noi siamo la voce delle persone e dobbiamo garantire che i cittadini siano al centro del progetto Europeo». Il Presidente del Parlamento europeo ha accolto con favore l’approvazione da parte dell’assemblea plenaria di tre rapporti, rispettivamente di Guy Verhofstadt, Mercedes Bresso, Elmar Brok, Reimer Böge e Pervenche Berès sul futuro dell’Unione europea. «Dobbiamo fare tesoro dei successi degli ultimi sessant’anni, ma anche imparare dai nostri errori - ha aggiunto - dobbiamo cambiare l’Europa, non indebolirla. Lo dobbiamo fare per noi e per le generazioni future, che meritano un’Europa più sicura, più prospera e sostenibile, capace di affermarsi come leader globale difendendo i nostri valori nel mondo». Intanto il Presidente, al rientro

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UE, DUE MILIARDI PER IL SISMA “Il messaggio che vi porto da Bruxelles è che l’Europa non dimenticherà quanto accaduto”: così Tajani al Coc di Camerino (Macerata) ha risposto alle critiche piovute sull’Unione Europea che, secondo alcuni, si sarebbe mossa tardi e male in occasione dell’emergenza terremoto nel centro Italia. Tajani ha parlato di un’Europa vicina ai cittadini. “Ci saremo - ha aggiunto - anche in senso di sostegno economico. Sono pronti due miliardi, cogliendo varie opportunità”. Nei giorni 19 e 20 febbraio Antonio Tajani ha visitato le zone del sisma. Accompagnato dai sindaci e dai rappresentanti della Protezione civile, il giro del presidente ha toccato le terre più colpite di Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo. dall’incontro avuto con la cancelliera Angela Merkel a fine febbraio, avrebbe rimarcato quanto sia cruciale e importante un equilibrio sulle maggiori questioni che stanno infiammando il dibattito politico, tra cui il futuro dell’Europa, la sicurezza, l´immigrazione e la politica commerciale. «La Cancelliera Merkel è la vera custode dei valori europei e tedeschi - ha affermato Tajani - abbiamo avuto un proficuo incontro e condividiamo la stessa volontà di avvicinare le istituzioni UE ai cittadini europei e renderle più efficienti nel dare risposte concrete alle loro preoccupazioni». In seguito il Presidente ha presenziato all’incontro con il Presidente federale della Germania Joachim Gauck. Ancora una volta Tajani ha ribadito il forte impegno del Parlamento europeo ad assumere un ruolo chiave contro le forze populiste che potrebbero minare lo scenario dei rapporti internazionali nel caso dovessero ricevere consensi ancora più ampi alle prossime elezioni politiche.

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Dossier

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DOSSIER GLOBALIZZAZIONE

Il fenomeno Trump cambia l’economia NEW DEAL COMMERCIALE: BASTA CON I TRATTATI, RITORNO AL PROTEZIONISMO, CHIUSURA ALLA CINA, TAGLI ALLE TASSE (AL 15%) PER FAVORIRE LE IMPRESE USA di Luca Guazzati

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ew deal commerciale: basta con i trattati, ritorno al protezionismo, chiusura alla Cina, tagli alle tasse (al 15%) per favorire le imprese Usa. Le politiche di sviluppo economico internazionali mai come adesso stanno subendo un cambiamento epocale. La globalizzazione è alla fine? Che si tratti di un ritorno al passato o di un salto nel buio, le circostanze strategiche che ne sono alla base, an-

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corchè recondite, meritano una riflessione più approfondita. Partiamo dalla politica. Stiamo assistendo ad una fase storica: l’indebolimento, la decadenza dei grandi partiti fanno seguito alla già avvenuta morte delle ideologie, già in atto da tempo, con la conseguente progressiva affermazione di personalità individuali, carismatiche. Forse ritorna, come ricorso storico, la necessità di affidarsi a uomini forti quando la democrazia mostra tutte le sue debolezze?

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Ciò che ha sempre minato alla base l’Unione europea è proprio l’assenza di queste personalità “uniformanti”: emergono in sostituzione alcuni nazionalismi perduranti come quelli di Germania e Francia, che sentono meno la reale esigenza dell’ “europeismo” e delle decisioni allargate, in senso federale. Oggi, la “direzione” Brexit, sconfiggendo la posizione “remain” (pure governativa, tanto che Cameron poi si è dimesso) nei confronti della vecchia Europa, ha infatti accelerato un processo contrario,


DOSSIER GLOBALIZZAZIONE negativo, per cui l’elezione di Trump sembra un coronamento con il conseguente nuovo “abbraccio” atlantico, USA-Inghilterra. Dunque, non solo in Europa i partiti politici sembrano ormai aver declinato ogni responsabilità di governo mostrando debolezza, decadimento, morte. Anche in Italia sta succedendo: le maggiori aggregazioni hanno per forza la faccia di un leader. Dietro, il partito e il programma sono poco o nulla. Basti pensare a Berlusconi e Renzi, ma anche a Salvini e Grillo. In Usa, lo stesso, anzi peggio: Trump l’hanno sottovalutato anche dentro il partito Repubblicano. Invece ha mostrato la faccia e il pugno. E la maggioranza, il popolo, (che sono la stessa cosa) l’ha votato. SCENARI INTERNAZIONALI Proviamo a scorgere e riconoscere, se possibile, un “disegno” dietro ciò che Trump dice. La Cina è il nemico “produttivo”, conviene riavvicinarsi alla Russia e il fallimento dell’Unione europea sarebbe una buona notizia. Ma quali sono le motivazioni dell’uomo che il 20 gennaio ha assunto il comando degli Stati Uniti diventando di fatto l’uomo più potente del mondo? Se iniziamo a parlare dell’amicizia con Putin, ciò si spiega nel fatto che Trump ha bisogno di Mosca per isolare la Cina sulla scena internazionale. Al neopresidente poco importa che i russi rimettano piede in Medio Oriente. Quello lì potrebbe diventare un nuovo Vietnam e il fantasma, anzi la certezza di una guerra di religione con i musulmani, è anche più pesante del Vietnam. Specie nel momento in cui petrolio non è più indispensabile per gli americani. Inoltre Trump non si preoccupa più di tanto delle ambizioni imperialiste di Putin nell’ex area sovietica, perché il pil russo è molto basso e Mosca non rappresenta più un rivale economico

per gli Stati Uniti, diversamente dalla Cina e dall’Unione Europea. PER L’EUROPA In Europa, hanno iniziato a capire da qualche anno che l’ombrello americano non è più garantito. Prima la debolezza di Obama in ambito internazionale. Ora, Donald Trump che sembra dichiarare una guerra commerciale non “solo” contro la Cina e il Messico, ma anche contro l’Europa. In Germania l’industria automobilistica è sul piede di guerra da quando il presidente eletto ha deciso di attaccarla direttamente. C’è una logica molto semplice in questa intesa con Putin. La UE secondo Trump “è stata costruita per battere gli Stati Uniti sul piano commerciale”. Nemica è la Cina della Toyota, ma non meno la Fiat che ha messo piede dentro la Chrysler e la Jeep, mentre Lada e Uaz non possono certo essere un fastidio. Dal punto di vista militare poi, l’indifferenza di Trump per la NATO e ciò che rappresenta sembra quanto mai un campanello d’allarme. La Polonia e gli stati baltici cominciano a nutrire forti dubbi sul mantenimento della protezione americana davanti alla Russia. Parigi e Berlino fanno fronte comune sulla creazione di una difesa europea più efficace. Non è più impossibile che la Germania accetti che le spese militari siano escluse dal conteggio del deficit di bilancio e che i criteri di Maastricht siano ammorbiditi. L’Italia ha iniziato a comprendere che se l’Europa stenta a difendere le frontiere del Mediterraneo, certo l’America non fa nulla per rimediare con l’alleanza NATO, almeno in funzione antiterroristica, ai guasti dell’immigrazione e dei clandestini. L’ECONOMIA USA, LA RICADUTA MONDIALE In campagna elettorale il programma Trump è stato di sicuro dirompente. Il

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cambiamento c’è ed è pesante. Taglio di venti punti dell’imposta sugli utili delle imprese, impostazioni di più “guerre“ commerciali sull’export, ingenti investimenti infrastrutturali, sgravi fiscali per i redditi più bassi, drastica revisione della riforma bancaria Dodd-Frank e addirittura un ritorno alla Volcker Rule, che separava le attività di banca commerciale da quelle speculative. Questi i punti principali del programma economico del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump. Un piano che al momento è un’incognita per l’economia americana e mondiale ma che, se realizzato in toto, imprimerebbe cambiamenti epocali. Per i privati, Trump propone una semplificazione del sistema di aliquote dell’imposta sul reddito, portandole dalle attuali sette (che vanno dal 10% al 39,6%) a tre: 12% sotto i 75 mila dollari di reddito annuo, 25% tra i 75 mila e i 225 mila dollari, 33% sopra i 225 mila dollari. Verrebbe poi stabilita una “no tax area” per i redditi più bassi. Previste infine deduzioni per chi ha figli sotto i 13 anni o assiste un familiare anziano non autonomo. Sulle tasse, politica di riduzione drastica per avvantaggiare le imprese di casa. Attualmente quella massima è al 35% e Trump la vuole portare al 15%. Per quanto riguarda gli utili conseguiti all’estero, vengono tassati con la stessa aliquota di quelli interni, ma solo al momento del loro rientro in patria. Per questa ragione circa 2500 miliardi di dollari di profitti arretrati sono parcheggiati in vari paradisi fiscali. Trump ha dichiarato di voler tassare tali somme. La politiche del nuovo presidente avvantaggerebbero in particolare alcuni settori di business. Ne dovrebbe intanto approfittare quello farmaceutico, ora che sono caduti gli anatemi della Clinton che voleva riformare pesantemente il comparto, per evitare in particolare i forti aumenti dei

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DOSSIER GLOBALIZZAZIONE prezzi dei farmaci cui si erano dati di recente molte case. Sicuri vantaggi ci sarebbero per il settore petrolifero e del gas, in relazione al fatto che Trump ha detto di credere che i cambiamenti climatici siano “una favola messa in giro dai cinesi per danneggiare le imprese americane”. Inoltre ha promesso di rilanciare il lavoro dei minatori (carbone) e degli operai siderurgici, di far ripartire l’oleodotto Keystone bloccato da Obama e rinvigorire il settore dell’energia. Trump intende disconoscere gli accordi sul clima fatti a Parigi e gli aiuti federali europei prioritariamente al settore delle energie verdi, una decisione che sarebbe “rivoluzionaria” per il mondo intero. Poi ci sono i messaggi twitter del presidente Usa non certo meno pesanti dal punto di vista degli equilibri internazionali: come le recenti dichiarazioni e la politica di pressione di Trump nei confronti dei più grandi gruppi industriali stranieri. Ci sono precedenti in linea da parte europea: le dichiarazioni, “molto francesi”, di Arnaud Montebourg sul “produrre francese” che hanno riproposto la questione delle moderne forme di protezionismo. Nel dibattito che si apre oggi intorno alla campagna per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica d’oltralpe, è chiaro che questo problema occuperà una posizione di primo piano. Un certo numero di candidati dichiarati – o di candidati alla candidatura – hanno preso posizione su questo tema. Se le destre avanzano e il loro è un candidato forte, aumenteranno le spinte nazionalistiche? Sarà, questo 2017, a pochi mesi dalle elezioni francesi, una bella cartina tornasole in chiave internazionale. Ma in realtà, questo dibattito c’è già stato in tutta Europa, Germania in primis. Lo sforzo di riunificazione Est-Ovest, perfettamente riuscito, sottolinea un forte nazio-

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nalismo mai spento che non “apre” volentieri a visioni europeiste. Così Merkel cerca di difendere ad ogni costo l’operato della “sua” Volkswagen. Nel 1930, dopo la Grande Depressione, un certo numero di economisti sono passati da posizioni tradizionaliste a favore del “libero scambio” verso una visione più protezionista.

La domanda è: Trump ha una sua “filosofia” economica da approntare, ancorchè protezionistica (diremmo keynesiana)? Oppure risponde a logiche lobbistiche internazionali di natura più complessa che vanno, oltre le nazioni stesse e gli schieramenti, per interessi macroeconomici che mirano al lungo periodo a ridisegnare addirittura alcuni equilibri mondiali? Per venire incontro al suo partito, Trump ha inoltre iniziato a “tagliare” i fondi all’Onu. Ma che cosa succederà al sistema e all’organizzazione internazionale dei sostegni e degli aiuti umanitari? Infatti i parlamentari Repubblicani, capitanati dal senatore Jesse Helms, avevano condotto battaglie epiche contro il Palazzo di vetro. Anche nello scorso dicembre un gruppo di loro aveva presentato una proposta di legge per tagliare i fondi all’Onu come ritorsione per la condanna di Israele.

John Maynard Keynes era uno di questi, e certamente quello che ha esercitato l’influenza più significativa. Può essere utile quindi tornare a questo dibattito e alla conversione di un uomo che comunque credeva nel libero scambio, per cercare di capire che cosa gli fece cambiare idea.

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In uno dei due “ordini esecutivi” di cui riferisce il New York Times, la Casa Bianca ipotizza oggi di “tagliare i finanziamenti a ogni agenzia dell’Onu o a ogni altra organizzazione internazionale in cui l’Autorità palestinese ha un seggio autonomo, o che sostiene programmi che favoriscono l’aborto, o che possono rappresentare un modo per aggirare le sanzioni americane contro l’Iran o la Corea del Nord”. Non è cosa da poco. Si ipotizza infatti anche una riduzione del 40% dei contributi Usa alle organizzazioni internazionali, a cominciare dai caschi blu delle forze di pace, giudicati inutili e costosi. Ma perché ciò riguarderebbe anche l’Italia? Secondo alcuni calcoli, così Trump risparmierebbe circa 300 milioni di dollari, ad esempio alla frontiera tra Israele e Libano dove il contingente delle Nazioni Unite ha una preponderante presenza italiana.


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“Aspettiamoci una corsa ad ostacoli” Peter Diamond

Premio Nobel per l’economia

IL PREMIO NOBEL AMERICANO PER L’ECONOMIA PETER DIAMOND IN ESCLUSIVA A MONDO LAVORO: "A MENO CHE NON CI SIANO GUERRE ECONOMICHE O MILITARI DI GROSSA PORTATA, NON PREVEDO CHE CERTI CAMBIAMENTI PORTINO ALLA FINE DELL’INTERAZIONE INTERNAZIONALE TRA PAESI" di Andrea Maccarone

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a rete degli equilibri internazionali passa inevitabilmente attraverso due arterie principali. Da una parte il nuovo assetto politico-economico americano, e dall’altra, i possibili stravolgimenti consequenziali alle imminenti elezioni politiche in Francia, Germania e Olanda. Si deciderà tutto in questi tre Paesi. L’Inghilterra della Brexit è affacciata alla finestra e osserva curiosa e attenta. In Francia il grido antieuropeista stringe forte tra le mani il megafono di Marine Le Pen. Mentre l’Olanda, storicamente Paese della tolleranza, cova il germe dell’intransigenza e rischia di accodarsi a tutte le altre forme di “exit”. Infine la Germania, ago della bilancia. Insomma, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Citare i “soldati” di Ungaretti

è il minimo. Soprattutto se un certo scetticismo arriva pure da eminenti figure d’oltreoceano. Ad esempio il Premio Nobel per l’economia Peter Diamond, seppure non si esponga troppo, non sembra però molto convinto delle soluzioni “Trumpiste”. Negli States il dibattito è apertissimo. Le posizioni decisioniste del tycoon trovano d’accordo una parte del suo stesso partito, mentre una colonna storica dei repubblicani già in aperta campagna elettorale aveva alzato le mani. Sta di fatto che il neo-presidente ha macinato comunque consensi, spianando l’avversario e ottenendo un risultato oltre le aspettative. Ma quello stesso pugno di ferro che gli ha concesso la vittoria, oggi mette in profonda agitazione i mercati e gli equilibri internazionali. E se gli Stati Uniti d’America sono nel pieno di

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un subbuglio socio-economico, l’Europa resta affacciata alla finestra, in attesa dei prossimi esiti elettorali che attendono la Francia e l’Olanda. Esiti determinanti per gli equilibri interni del Vecchio Continente. Nel frattempo gli esperti si lanciano in previsioni che non fanno altro che gettare ancora più nel caos i mercati. Strategia? O semplice dibattito mediatico? Difficile stabilirlo. Fatto sta che il tema dei rapporti tra Europa e Usa è sempre più acceso. Di fronte, soprattutto, a ciò che potrebbe succedere se nelle prossime partite elettorali dovessero avere la meglio i partiti anti-euro. Insomma, l’Europa è ad un passo da un possibile stravolgimento degli assetti: aspetto che mette già in fibrillazione il tessuto imprenditoriale dei Paesi che più faticano a risollevarsi dalla profonda crisi strutturale che

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DOSSIER GLOBALIZZAZIONE

IL PROFESSORE DI BERKELEY • Peter Diamond è noto per le proprie analisi sulle politiche di sicurezza sociale negli USA e per il suo lavoro presso l’Advisory Council on Social Security tra il 1980 e il 1990. • Nel 2010 riceve il Premio Nobel per l’economia insieme con Dale Mortensen e Christopher Pissarides «per le analisi sui mercati che presentano frizioni di ricerca». • Dopo un bachelor in matematica presso la Università di Yale nel 1960 e un dottorato all’MIT nel 1963, è assistant professor presso l’Università della California a Berkeley nell’anno accademico 1964/1965, quindi diventa professore associato all’MIT nel 1966. Diventa professore ordinario nel 1970 e capo del dipartimento di economia nell’a.a. 1985-86. Dal 1997 è professore onorario del medesimo ateneo (Institute Professor). • Il 29 aprile 2010 è annunciato da Barack Obama come uno dei tre nominati a occupare i tre posti vacanti al Board della Federal Reserve. Il senato, tuttavia, rifiuterà la nomination, che è stata riproposta da Obama il 13 settembre dello stesso anno.

attanaglia il settore da circa 10 anni. Le domande che tutti si pongono sono il refrain di questo inizio anno: che cosa ci attenderà nel caso si facesse sempre più concreta l’ipotesi di un crollo della moneta unica europea? La globalizzazione è davvero ai titoli di coda? E che cosa non ha funzionato? Noi di Mondo Lavoro abbiamo voluto ascoltare una voce autorevole. E chi meglio del Premio Nobel per l’Economia Peter Diamond? Americano, quindi molto attento a ciò che sta avvenendo nel suo Paese, e un esperto di Macroeconomia. Lo abbiamo contattato per porgli alcune domande, e gentilmente il professor Diamond ha accolto l’invito. Sebbene abbia preferito mantenersi in equilibrio sfoggiando un elegante eloquio politically correct. Quasi andrebbe parafrasato ad ogni risposta. Ma l’idea di fondo, in contrasto con il protezionismo di Trump e decisamente più aperta alle interazioni internazionali, appare piuttosto chiara: «ci sono opportunità che consentono di beneficiare proprio di questa interazione tra Paesi – ci spiega il prof. Diamond

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– ma la politica, a volte, non è in grado di cogliere questo aspetto». Dunque che cosa dovremmo aspettarci da questo periodo? «Personalmente mi aspetto una corsa ad ostacoli. Un percorso accidentato. Ma non uno stravolgimento tale da tornare al passato». Ma siamo di fronte ad un bivio: globalizzazione sì, o globalizzazione no. Quale delle due strade s’imboccherà? «Come ho già affermato poco fa, credo che le interazioni tra Paesi possano continuare a generare opportunità. E chi, in questi anni, ne ha tratto vantaggi, sicuramente difenderà il prosieguo di queste interazioni». Però negli Stati Uniti si sta parlando di un altro tipo di interazioni. Trump vuole riportare la produzione dentro i confini nazionali, imponendo dazi a chi continua a produrre fuori. Dunque? «L’evoluzione tecnologica ha stimolato un’interazione crescente tra i Paesi in molteplici modalità, incluso il commercio e gli investimenti. Queste

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opportunità, all’inizio del processo di globalizzazione, erano supportate dalle azioni di governo in molti Paesi. Ma così come accade per tutti i cambiamenti, e in particolare per quelli che si generano velocemente, ci sono persone colpite negativamente da queste evoluzioni, così come persone che invece ne traggono vantaggi. Alcuni governi, ad esempio, sono caduti miseramente poiché hanno dato risposte inadeguate per assistere quelli che ci hanno perso in questi cambiamenti. E ciò è ben visibile negli Usa». È per questo che negli ultimi giorni sono state organizzate molte manifestazioni in strada? «Di certo abbiamo assistito a forti reazioni da parte degli elettori che si appellano al cambiamento. Ma non è ancora chiaro quanto le risposte del governo saranno all’altezza rispetto alle richieste degli elettori. Comunque, a meno che non ci siano guerre economiche o militari di grossa portata, non prevedo che certi cambiamenti portino alla fine dell’interazione internazionale tra Paesi».


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Visco, Bankitalia: “riforme e stabilita’, non c’è altra strada” Ignazio Visco

Governatore della Banca d’Italia

IL GOVERNATORE DI BANCA D’ITALIA PARLA AL CONGRESSO ASSIOM FOREX. LA DELICATA CONGIUNTURA INTERNAZIONALE RISCHIA DI RIPERCUOTERSI SULL’EUROPA CON UN EFFETTO DOMINO, TRAVOLGENDO ANCHE LE IMPRESE ITALIANE. "NON SI INTERROMPA IL PROCESSO DI RIFORMA AVVIATO NEGLI ULTIMI ANNI - HA DETTO IGNAZIO VISCO - LE CONSEGUENZE DI UN AUMENTO DELL’INCERTEZZA NON VANNO SOTTOVALUTATE" di Loredana Pistonesi

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ankitalia rassicura le imprese italiane al 23° congresso Assiom Forex. Ma guai a parlare di fine della globalizzazione e fuoriuscita dall’Euro. «Avanti con le riforme e si cerchi la stabilità» ha detto chiaramente il governatore Ignazio Visco. In effetti il momento è ancora delicato, ma è possibile leggere segnali di lenta ripresa. I mercati sono troppo nervosi, però. Questo è un naturale effetto dell’instabilità della situazione politico-economica europea attraversata da venti indipendentisti, e dal grido protezionista dell’Anmerica di Trump. «La dichiarata intenzione dell’amministrazione americana di rallentare o invertire il processo di liberalizzazione degli scambi commerciali, e le azioni già compiute a questo fine, rischiano di innescare analoghi interventi in altri paesi, con esiti negativi sulla crescita globale – ha spiegato il governatore Visco durante il suo intervento - ripercussioni negative sull’economia internazionale potrebbero aversi se alla trasmis-

sione di un ulteriore aumento dei rendimenti, connesso con più alti premi per il rischio, non corrispondesse un parallelo miglioramento delle prospettive di crescita e se si intensificassero i deflussi di capitale dai paesi emergenti». Nel lungo discorso Visco ha fatto cenno anche all’area dell’euro di cui spiega: «l’espansione dell’attività economica è in graduale consolidamento. Le misure adottate dal Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea hanno decisamente ridotto i rischi di deflazione e posto le premesse per un graduale ritorno alla stabilità monetaria. L’aumento dell’inflazione in dicembre è però in gran parte ascrivibile alle componenti energetiche e ad altre voci caratterizzate da elevata volatilità». Occorre puntare, inoltre, su politiche economiche che facciano fronte all’inflazione, ha aggiunto Visco, secondo cui «per ricondurre l’inflazione su valori in linea con la stabilità dei prezzi nel medio termine vanno mantenute condizioni monetarie molto accomodanti. Coerentemente con questa visione,

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il Consiglio direttivo ha deciso di estendere la durata del programma di acquisto di titoli almeno sino alla fine del 2017, riportando da aprile l’importo mensile degli interventi al livello originale di 60 miliardi di euro. Alla fine di quest’anno l’ammontare complessivo degli acquisti sarà di circa 2.300 miliardi». Ma intanto che cosa accade alla produttività nel nostro Paese? La domanda sorge spontanea, dopo un lungo periodo di recessione e crisi mordente, c’è chi intravede leggeri segnali di ripresa e punta ad un moderato ottimismo. Più pragmatico, invece, nella sua analisi esposta al congresso: «la crescita della produttività continua a essere insufficiente – ha affermato - l’accumulazione di capitale deve ancora consolidarsi. Rafforzare l’attività economica e al contempo contrastare le conseguenze sull’occupazione degli effetti, pure nel complesso positivi, della diffusione di nuove tecnologie richiede il contributo, non solo in Italia, di altre politiche e interventi in aggiunta alle misure di politica monetaria».

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DOSSIER GLOBALIZZAZIONE

L’Italia tra gli “Euro-virtuosi” E’ NATA L’EUROPA A DUE VELOCITÀ. E L’ITALIA ENTRA NEL GRUPPO DI TESTA INSIEME A GERMANIA, FRANCIA E SPAGNA

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Europa cambia marcia, e andrà a due velocità. Così è stato sancito lo scorso 6 marzo a Versailles quando i capi di governo di Italia, Germania, Francia e Spagna si sono incontrati per discutere delle sorti del vecchio continente. Se ne parlava, onestamente, ormai da tempo. Anni, addirittura. Ma mai, prima d’ora, si era presa seriamente in considerazione l’eventualità di spaccare l’Europa e creare due gruppi: uno di testa, e uno che viaggia un pochino più a rilento. Il problema principale, in precedenza, era decidere chi facesse parte di quale gruppo. In realtà, l’incognita principale era la nostra. Capire da quale parte della barricata saremmo finiti. Ora è deciso. Siamo nel gruppo di testa, insieme a Germania, Francia e Spagna. Una decisione che non poteva che arrivare in questo periodo. Difatti, dopo vari tentativi, si è capito che è praticamente impossibile mettere d’accordo 28 Paesi su questioni centrali come l’immigrazione, la politica estera, il fisco, le politiche sociali. E poi va fatta anche una considerazione ulteriore: non dimentichiamoci che ci sono Paesi che hanno contribuito

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di Andrea Maccarone a fondare l’Unione Europea, e altri che fondamentalmente faticano a delegare a Bruxelles le questioni politiche, ma restano in Europa solo perché hanno vantaggi nell’entrare nel mercato unico. Insomma, visto lo scenario internazionale che si sta paventando, la scelta dell’Europa a due velocità non poteva che essere intrapresa. CHE COSA SUCCEDE E’ facile intuire che sarà la Germania a dare le carte. In fondo la cancelliera Angela Merkel è da tempo che spinge per un’accelerata dei Paesi più virtuosi. E fin qui è tutto chiaro. Ma nel concreto, che cosa accadrà da qui in avanti? Si è parlato, tempo fa, anche di un euro a due velocità. Quindi un gruppo che cammina, e uno che sta fermo? No, pare proprio che non sarà nulla di tutto questo. Ma lo scenario più plausibile è un’Europa ad “isole”, o a “cerchi concentrici”. Ovvero un’Europa che si diversifica sulle tematiche. Ad esempio: all’Italia potrebbero spettare questioni inerenti alla sicurezza e lotta al terrorismo. E se ci sono Paesi che si disinteressano di questa tematica, non vuol dire che si debba interrompere un qualsiasi processo intrapreso. Ma semplicemente si prosegue con chi vuole es-

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serne parte attiva. E ciò accadrebbe con tutte le altre questioni importanti. Economia in primis. E qui arrivano le note dolenti. Sì, perché la questione economica non è proprio la nostra punta di diamante. Il nostro debito pubblico imponente non ci mette, di certo, al pari del gruppo di punta in cui svetta la Germania. Anzi, uniformarci a realtà sicuramente più virtuose della nostra, vorrebbe dire far fronte a cambiamenti davvero drastici. E prima o poi questo momento arriverà. I FUTURI EQUILIBRI E’ chiaro che il vertice di Versailles prova ad essere, dopo lo schiaffo della Brexit, uno sgambetto alla possibile Frexit. In pratica una giocata d’anticipo verso le prossime tornate elettorali: soprattutto Francia e Olanda, dove il vento antieuropeista soffia forte. Meno impetuoso, invece, il grido euroscettico italiano. Seppure i partiti che prenderebbero molto volentieri a picconate la moneta unica ci sono. E, presumibilmente, la nostra tornata elettorale si consumerà nella primavera del prossimo anno. Intanto un primo step è stato mosso: l’Italia è entrata, per volontà della Germania, nel gruppo dei virtuosi. Ora, però, bisogna fare di tutto per restarci.


SCENARI

A caccia della nuova ‘Middle Class’ TRADITA DALLA GLOBALIZZAZIONE, LA MIDDLE CLASS CERCA UN FUTURO. IL TYCOON AMERICANO DETTA LA SUA RICETTA A BASE DI PROTEZIONISMO. L’EUROPA RISPONDE IPOTIZZANDO UNA MAGGIORE REDISTRIBUZIONE DEI REDDITI. INTANTO L’85% DELLA RICCHEZZA MONDIALE RESTA NELLE MANI DELL’8,6% DELLA POPOLAZIONE. IL MALCONENTO È AI MASSIMI STORICI di Alessandra Monticelli

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a middle class tradita dalla globalizzazione potrebbe riaffacciarsi all’ombra di Trump. È il processo inverso, rispetto a quanto si sarebbe avviato circa 20 anni fa, quando i mercati del Sud del mondo si aprivano alle multinazionali del Nord. Qual era l’obiettivo? Esportare un modello politicoeconomico nei Paesi più poveri, producendo lavoro per entrambi e ricchezza principalmente per gli ideatori di questo sistema. Risultato? Nell’emisfero settentrionale del globo hanno continuato ad arricchirsi solo alcuni gruppi industriali e le grandi famiglie che già possedevano enormi capitali. La classe media si impoverì a tal punto che praticamente venne spazzata via. E nell’emisfero meridionale della Terra si sono scatenate guerre che hanno portato

ad immensi flussi migratori che oggi servono solamente a distrarre l’attenzione e generare tensioni sociali orientate a non far focalizzare i reali problemi e le rispettive cause. Dunque la globalizzazione, per come l’abbiamo conosciuta finora, se non altro sulla carta ha dimostrato di non aver funzionato. O per lo meno, qualcosa è andato storto, se dalla ricchezza diffusa e redistribuita tanto sbandierata si è giunti ad una ricchezza incrementata solo tra pochi. Basti pensare che l’8,6% della popolazione mondiale detiene l’85% della ricchezza. Un po’ sbilanciata la situazione. E ciò ha portato a far soffiare forte il vento della protesta sfociata, a tratti, nel più semplicistico populismo. Uno come Trump, acuto e tenace, conosce molto bene le tecniche di una certa comunicazione. E non ha fatto altro che cavalcare il

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“sentiment” generale appropriandosi degli slogan e degli stilemi. Del resto, i primi arrabbiati sono stati proprio i bianchi americani appartenenti a quella middle class da troppo tempo sofferente e strozzata. Il muro anti-immigrati non è altro che la metafora delle politiche protezionistiche che andranno a svilupparsi sotto il suo governo. E c’è già chi intravede una possibile rinascita di quel ceto medio che tanto ha contribuito, sia negli Usa che in Europa, a sviluppare in passato le economie di molte nazioni. E’ chiaro, a questo punto, che l’ago della bilancia sarà lo scenario che si andrà a definire negli States da qui in avanti. Gli slogan del neopresidente sono ormai noti ai più: taglio delle tasse del 15-20% per la classe media e per le imprese, fuoriuscita dalla Tpp (Trans-Pacific Partnership)

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SCENARI ovvero interruzione dell’accordo di libero scambio firmato da Barack Obama nel 2016 con altri 11 Paesi del Pacifico, riportare la produzione manifatturiera negli Stati Uniti imponendo anche pesanti dazi ai gruppi industriali che delocalizzano. Dunque una spinta decisa sul manifatturiero, e forti agevolazioni per le imprese. Con questi pochi passi Trump è intenzionato a rimettere in moto quella middle class in caduta libera e che ha scelto “The Donald” per uscire dalla zona buia. Al di qua dell’Atlantico lo scenario è ben differente, ma la lunghezza d’onda potrebbe modularsi, nel tempo, sulle medesime frequenze. In Inghilterra la Brexit è un dato di fatto. Mentre in Francia, con la campagna lanciata da Marine Le Pen, si parla già di Frexit. In Italia gli antieuropeisti hanno movimenti e partiti su cui appoggiarsi. E anche nel resto del Nord Europa, ad effetto domino, i referenti non mancano. Soffia forte, quindi, il vento populista della protesta. Più che un vento, sta diventando una vera e propria tormenta. E se ne accorge anche il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, che auspica una maggiore redistribuzione dei redditi per dare più ossigeno alla middle class in asfissìa. Quindi che succede? Di là il decisionismo di Trump batte i pugni sulla produttività del manifatturiero, e ridiscute gli accordi internazionali incentrando tutto sul rilancio del “made in Usa”. Di qua si pensa ad una redistribuzione più equa dei redditi per accorciare il disequilibrio economico-sociale. Tutte ipotesi, chiaro. Ma dopo anni, e sulla spinta di un disagio diffuso, la chiave di volta torna ad essere il ceto medio quale perno del rilancio dei Paesi maggiormente in sofferenza. Il focus è senza dubbio condivisibile. Ma

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al netto della ricetta Trump, altre proposte concrete non se ne vedono. La nebbia non è ancora stata dissolta. Però, se non altro, si è deciso un punto di partenza per una nuova analisi. Il processo è appena cominciato, all’alba della quarta rivoluzione industriale. S’intuisce la necessità di un cambio di rotta e di sistema. E ciò che più preme è la tempistica. Fare presto è un eufemismo. IL CASO: LE IMPRESE LOMBARDE E GLI USA All’indomani dall’insediamento di Trump, la Camera di Commercio lombarda lancia subito una prima analisi. E sembra proprio che, dopo i mercati europei, sono gli Stati Uniti il primo mercato di interesse per il 2017, secondo le imprese milanesi e lombarde (rispettivamente 47% e 31%), in un’indagine della Camera di commercio di Milano e della sua azienda speciale Promos su circa 200 operatori attivi all’estero. Nei primi nove mesi del 2016 ammontano a 8 miliardi gli scambi con gli Usa. Con 2,3 miliardi di import e 5,8 di export la Lombardia pesa il 22,1% dell’export nazionale verso l’America e il 21,6% dell’export. Esporta soprattutto macchinari (24% del totale) e moda (13,7%) mentre importa articoli farmaceutici (24,9%) e sostanze e prodotti chimici (14,9%). Emerge da un’elaborazione della Camera di Commercio di Milano sui dati Istat al terzo trimestre 2016. Sono ben 1193 le multinazionali americane in Lombardia e danno 135 mila posti di lavoro, con 49 miliardi di fatturato all’anno. Prime Milano (916 con 100 mila addetti e 39 miliardi), Monza (108 con 10 mila addetti e 3,4 miliardi), Brescia (34 con 3 mila addetti e 1 miliardo), Bergamo (27 con 4 mila addetti e 1,4 miliardi). Emerge da una elaborazione Camera di commercio di Milano su dati “Invest in Lombardy”. Dunque

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ITA VS USA Dalla Lombardia export record: • Nei primi nove mesi del 2016 ammontano a 8 miliardi gli scambi con gli Usa. • La Lombardia pesa il 22,1% dell’export nazionale verso l’America. • Sono ben 1193 le multinazionali americane in Lombardia, per 135 mila posti di lavoro, con 49 miliardi di fatturato all’anno. le imprese confermano l’interesse per il mercato Usa con Trump presidente, e soprattutto ritengono che non ci saranno conseguenze per il business. C’è ottimismo, quindi: per il 21% delle imprese gli affari miglioreranno, contro il 13% che si aspetta conseguenze negative e il 27% stabilità rispetto ad ora. Un mercato in crescita quello degli Stati Uniti, per il 33% più attrattivo di otto anni fa. Il 65% vorrebbe infatti incrementare i rapporti con gli USA. Per il 75% circa sono un mercato interessante per i loro prodotti. E com’è intanto la situazione nella provincia lombarda? Milano è prima per interscambio (52,8% regionale nel 2016), seguita da Bergamo (10,2%), Brescia (9,2%), Monza e Brianza (8%) e Varese (6%). A fronte di un rallentamento degli scambi nel 2016, si registra un boom a Mantova (+250,3% l’import, +25,4% dell’export).


SCENARI

Post-Globalizzazione: i tre scenari possibili SECONDO IL REPORT "GETTING OVER GLOBALIZATION" DEL CREDIT SUISSE RESEARCH INSTITUTE SI ANDRÀ VERSO UN EQUILIBRIO MULTIPOLARE SU TRE GRANDI ASSET: AMERICHE, EUROPA E ASIA GUIDATA DALLA CINA. BASIA LEJCZAK DEL GROUP EDITORIAL OFFICE CREDIT SUISSE: "IL MONDO NON SI ASPETTA LA FINE DELLA GLOBALIZZAZIONE" di Fabio Di Giulio

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alla globalizzazione al multipolarismo. Il Credit Suisse Research Institute delinea i tre scenari possibili. Siamo alla fine di un’epoca o all’inizio di una nuova primavera. Non è così semplice ipotizzare quale sarà la strada che andremo ad imboccare. Ma il rapporto “Getting Over Globalization”, affidato ai ricercatori della Credit Suisse, hanno delineato un quadro attendibile suddiviso in tre scenari: proseguimento della globalizzazione lungo la stessa strada; passaggio a un mondo multipolare; fine della globalizzazione. Ma prima di addentrarci nello specifico delle tre vie individuate, occorre analizzare ciò che abbiamo vissuto fino ad oggi. Per definizione la globalizzazione è un processo economico per il quale mercati, produzioni, consumi e anche modi di vivere e di pensare vengono

connessi su scala mondiale, grazie ad un continuo flusso di scambi che li rende interdipendenti e tende a unificarli. È frutto di un processo che dura da tempo, avviato nel XX secolo, e che negli ultimi trent’anni ha avuto una forte accelerazione in concomitanza con la terza rivoluzione industriale. In campo economico la globalizzazione è un concetto multidimensionale che può indicare: l’abolizione delle barriere commerciali, ovvero l’aumento dei volumi del commercio internazionale e la crescente integrazione economica tra Paesi; la crescente mobilità internazionale dei capitali e il processo di finanziarizzazione dell’economia; i processi di liberalizzazione del mercato del lavoro; le politiche di deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione; l’affermazione del fenomeno delle imprese multinazionali nello scenario dell’economia mondiale (in questo ambito si fa riferimento sia alla delo-

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calizzazione di una o più fasi del processo produttivo, sia alla tendenza verso la standardizzazione dei prodotti, ampliando così i propri mercati di sbocco); il progressivo trasferimento di sovranità democratica dagli stati-nazione ad entità internazionali e sovranazionali con grado imperfetto di democrazia. La globalizzazione ha favorito lo sviluppo economico di alcuni stati, in particolare quelli industrializzati e sviluppati, attraverso guadagni e profitti provenienti dal decentramento. Ovvero dallo spostamento delle produzioni industriali nei Paesi sottosviluppati, dove la manodopera ha un costo inferiore. Così facendo si offre un lavoro nei paesi più poveri, ma si colpisce duramente il livello produttivo interno dell’azienda madre. Un meccanismo che, ad oggi, ha evidenziato maggiormente i suoi punti deboli. Tanto da far propendere le più grandi potenze economiche mondiali

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SCENARI

Andamento della globalizzazione L’unità di misura del CSRI per rilevare l’andamento della globalizzazione è costituita da flussi di scambi commerciali, denaro, servizi e persone; il valore è sceso al di sotto dei livelli toccati nel 2012-2013, raggiungendo circa lo stesso livello del biennio 2009-2010, dominato dalla crisi. Fonte: World Bank, Datastream, SIPRI, Credit Suisse

verso un dietrofront, che però alimenta qualche timore su ciò che potrà accadere da qui in avanti. Il Credit Suisse Research Institute ha fornito la sua versione attraverso il report “Getting Over Globalization”. Tre sono le strade individuate. O si prosegue verso il concetto di globalizzazione attuale, come se nulla fosse cambiato, o si decreta la fine della globalizzazione (con il rischio di un collasso generale del sistema), oppure si procede verso un tripolarismo che credibilmente potrebbe vedere negli Stati Uniti, Europa e Asia i tre mercati di riferimento. Il primo scenario suggerisce che il mondo continuerà ad essere plasmato dalle multinazionali, dalle leggi e dalle istituzioni occidentali, che il dollaro USA rimarrà la valuta dominante e che gli scambi commerciali si intensificheranno. La possibilità che il mondo rimanga così

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come l’abbiamo conosciuto è rassicurante, eppure le probabilità che questo scenario si traduca in realtà non sono molto elevate. Pare che la globalizzazione stia esaurendo le forze: la crescita economica è lenta, si sta diffondendo il protezionismo e stanno emergendo nuove potenze regionali che minano l’esistenza del mondo unipolare. Due eventi verificatisi lo scorso anno nonostante l’opinione generale lo ritenesse impossibile (la Brexit e l’elezione di Donald Trump) ci hanno insegnato ad aspettarci l’inaspettato. <<Non ci aspettiamo la fine vera e propria della globalizzazione, che sarebbe percepito come un fenomeno estremo>>, spiega Michael O’Sullivan, Chief Investment Officer Internazionale Wealth Management del Credit Suisse. <<Questo scenario è il più oscuro e negativo, ed è intensificato da un rallentamento della cresci-

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ta economica e commerciale, la possibilità di shock macroeconomici (ad esempio il debito, la disuguaglianza e l’immigrazione), o un aumento del protezionismo, solo per citarne alcuni fattori. Le ripercussioni potrebbero essere molto gravi, e potrebbero richiedere uno sforzo e tempo per riparare. Per coloro che cercano paralleli storici significativi, il rapporto ricorda la fine della prima ondata di globalizzazione nel 1913, seguita dallo scoppio della prima guerra mondiale>>. La terza via, secondo la ricerca, è quella maggiormente auspicabile. Ovvero il multipolarismo. La fine del mondo unipolare e l’ascesa delle regioni, ovvero la diffusione di centri economici paralleli in tutto il mondo. A stimolare la nascita del multipolarismo è stata la stessa globalizzazione, poiché una delle sue innegabili conseguenze positive è stata una migliore distribuzione della ricchezza. Tra i principali beneficiari di questa sotto-tendenza figurano i Paesi in via di sviluppo con un elevato numero di abitanti, come India e Cina, che si avviano a diventare regioni leader. In questo scenario, il mondo si troverebbe a poggiare su tre pilastri: Americhe, Europa e un’Asia dominata dalla Cina. Il multipolarismo determinerebbe lo sviluppo di un nuovo mondo o di istituzioni regionali, l’ascesa della “democrazia controllata” e di versioni più regionali dello Stato di diritto. L’economia globale continuerebbe a crescere, ma in maniera non uniforme nelle varie regioni. Gli esperti credono sia, ovviamente, preferibile una transizione verso un sistema multipolare, piuttosto che cadere bruscamente nella fine della globalizzazione. Tra l’altro questo scenario sarebbe già in atto. Ma per potersi realizzare, garantendo una maggiore stabilità ai mercati e ai rapporti internazionali, occorrerebbe creare una serie di norme e istituzioni che fungano da garanti di questo nuovo equilibrio.


MERCATI

Spread agitato, la Grecia “osservato” speciale IL RAPPORTO DEL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE REDARGUISCE L’UE E LA POLITICA DI AUSTERITY APPLICATA ALLA GRECIA. “ORA SI VADA VERSO LA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO E LA RIDUZIONE DEL DEBITO” SI LEGGE NELLE PAGINE DEL REPORT. INTANTO ANGELA MERKEL ANNUNCIA LA POSSIBILITÀ DI UN’EUROPA A DUE VELOCITÀ di Lucia Fava

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ercati in fibrillazione. Negli States il tycoon fa la voce grossa nei rapporti con la Cina. In Inghilterra la Brexit resta cristallizzata in attesa di scrutare cosa accade fuori dai confini nazionali, ma il voto popolare ha comunque tuonato. Marine Le Pen agita le folle al grido antieuropeista. E in Italia? Lo sgambetto al premier Renzi con l’esito a lui sfavorevole del voto referendario ha gettato nuovamente una coltre nebbiosa sugli scenari economici del Paese. Su tutti pesa l’incertezza riguardo il processo delle riforme avviato dal precedente governo. Quindi a porre fondamentali quesiti è il quadro politico nazionale. E a risentirne sono soprattutto i mercati, che chiedono maggiore stabilità e più sprint. Il valore dello spread a febbraio è tornato a schizzare oltre i 200 punti, dopo tre anni. Un’impennata subito seguita da una parziale normalizza-

zione, e poi nuove oscillazioni. I timori dei mercati verso gli ampi consensi conquistati dai partiti anti-Euro restano evidenti. E l’instabilità diventa maggiore man mano che ci si avvicina all’election-day francese. Se dovesse vincere Marine Le Pen per l’Europa non resterebbero che i titoli di coda. D’altro canto l’improvviso innalzamento dell’indice di spread è indice per il governo italiano di rivedere e ridurre i livelli del debito pubblico. Poi c’è la questione greca che torna di forte attualità. Soprattutto alla luce di quanto affermato dal Fondo Monetario Internazionale che ha strigliato l’Ue e la politica di austerity verso il Paese ellenico che si ritrova oggi falcidiato da una crisi strozzante e da un tasso di povertà e disoccupazione mai conosciuto prima che hanno contribuito a rallentarne il processo di riforme. Ora la Grecia, secondo il rapporto dell’Fmi, dovrà conoscere nuovi interventi contro l’evasione fi-

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scale e per liberalizzare il mercato del lavoro. Ciononostante, non riuscirà, presumibilmente, a raggiungere il 3,5% di avanzo primario imposto dagli accordi con i creditori. Sempre secondo il rapporto Fmi non resta, allora, che dare un taglio più sostanzioso al debito per garantire la sostenibilità nel lungo termine del piano di aiuti. Dunque l’instabilità dei mercati internazionali risente di tutta questa serie di congiunture che non fanno altro che creare continue oscillazioni dello spread. Non fosse anche per le recenti esternazioni della cancelliera Merkel, che ha preannunciato la possibilità che il prossimo mese a Malta, in occasione della celebrazione del 60esimo anniversario del Trattato di Roma, i capi di Stato dell’Ue potrebbero impegnarsi in una dichiarazione per “un’Europa a più velocità”. Uno scenario, questo, che ovviamente mette in agitazione non pochi governi. Ma in particolar modo quelli dei Paesi più in difficoltà.

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MERCATI

“IL PROTEZIONISMO NON FUNZIONA.

Sì agli Stati Uniti d’Europa” Mauro Gallegati

Docente di Macroeconomia Avanzata all’Univpm

BARRIERE SOCIO-IDEOLOGICHE E PROSPETTIVE ANTIEUROPEISTE NON CONVINCONO IL PROF. MAURO GALLEGATI, DOCENTE DI MACROECONOMIA AVANZATA ALL’UNIVPM E MEMBRO DELL'INSTITUTE FOR NEW ECONOMIC THINKING. "IMPOSSIBILE PER L’ITALIA USCIRE DALLA MONETA UNICA SE IL NOSTRO DEBITO VIENE CALCOLATO IN EURO" di Andrea Maccarone

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orse e mercati sotto pressione. La volatilità preoccupa, e si torna a parlare di un euro a due velocità. Scenari abbastanza caotici, caratterizzati da cambiamenti repentini e valutazioni contrastanti che si sovrappongono. Il risultato? Mentre i mercati chiedono di allentare la morsa della pressione, il malcontento delle popolazioni alimenta politiche protezioniste e antieuropeiste. Ma allora, da che parte stiamo andando? «Verso un momento di caos, è chiaro – afferma il professore Mauro Gallegati, docente di Macroeconomia avanzata alla Politecnica delle Marche e fondatore dell’ Economic Science with Heterogeneous Interacting Agents – c’è un problema generale che distingue questa crisi da quella del ’29. Ovvero, qui si è cercato di non far fallire le

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PROTEZIONISMO Cos’è: in economia è l’aiuto dato dallo Stato ad alcuni rami della produzione per mezzo sia di dazi che ostacolano o impediscono la concorrenza di prodotti stranieri sul mercato nazionale, sia di altri strumenti (divieti, contingentamenti, ostacoli all’esportazione di materie prime che possano essere utilizzate da industrie nazionali, nonché facilitazioni e franchigie all’importazione di materie prime e semilavorati esteri, premi all’esportazione di prodotti nazionali ecc.). Obiettivo: aumento dell’esportazione e la diminuita dipendenza dalla produzione estera, protezione dei settori industriali nascenti per impedirne il soffocamento da parte di economie

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estere più progredite, indipendenza economica in alcuni settori produttivi dello Stato che, tutelati e stimolati, progredirebbero nella ricerca di perfezionamenti tecnici industriali. Immigrazione: con riferimento al mercato del lavoro, si parla, per analogia, di protezionismo dei Paesi d’immigrazione per indicare il complesso di provvedimenti destinati a impedire, ridurre o selezionare l’afflusso di immigranti al fine di riservare le possibilità di occupazione alla manodopera nazionale e difenderne il tenore di vita contro la concorrenza di lavoratori stranieri disposti ad accettare salari e condizioni di lavoro meno vantaggiosi.


MERCATI

CONFINDUSTRIA «Se pensiamo di poter rispondere ai protezionismi degli altri con politiche nazionalistiche abbiamo già perso la partita già prima di cominciare». E ancora: «Occorre recuperare capacità di progetto e di proposta, ma soprattutto ridefinire il ruolo dell’Europa. Perché solo l’Europa, che è il mercato più ricco del mondo e ha un debito aggregato inferiore agli Stati Uniti può non solo reagire alle politiche neo-protezionistiche degli altri ma anche determinare shock positivi nell’economia». Parla così Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria, da Matera nei giorni del Convegno “Matera 2019”. E lancia un messaggio forte e chiaro in risposta alle politiche di Trump. banche inondando il mercato di moneta. Ma le banche non spendono questi soldi in beni consumo, quindi l’inflazione che esiste la vediamo soprattutto nelle borse. Wall Street, ad esempio, è a 20mila punti. Il rischio è che si crei una nuova bolla speculativa che, se scoppiasse, porterebbe tutti alla crisi del 2007-2008». Qual è stato, allora, l’inciampo dell’Euro? «Dunque, il progetto dell’Euro si teneva in piedi a livello politico perché, sostanzialmente, l’Europa è stato un continente spesso lacerato da guerre. Unificare politicamente l’Europa voleva significare evitare le tragedie del secolo scorso. Ma ciò è stato fatto in maniera sballata. Cioè, solo su una logica monetaria e non culturale. Inoltre è mancata una riforma fiscale unitaria. Poi bisognerebbe sfruttare al meglio le economie di scala: più produco e meno mi costa produrre. Se rimaniamo un Paese che commercia poco con l’estero, molto di ciò che abbiamo prodotto rimarrà a casa nostra. E questo non può che avere effetti negativi sul lungo periodo». Quindi professore lei è contrario al protezionismo di Trump, giusto? «Contrarissimo, senza dubbio. La mia posizione è quella di costituire gli Stati

Un passaggio all’interno di un discorso più ampio, certo. Ma il presidente di Confindustria ha dovuto prendere una posizione netta sul tema. E proprio sulla base di una maggiore interazione tra Paesi, in particolar modo nell’area Euromediterranea, Boccia lancia la proposta di una piattaforma: «Contro la logica dei protezionismi che mortificano gli scambi e deprimono l’economia, il nostro obiettivo è creare condizioni per allargare orizzonti e opportunità – dice il presidente di Confindustria - il dialogo con la nostra omologa tunisina, UTICA, è costante e incentrato sullo sviluppo di progetti congiunti per supportare, in particolare, l’attività delle Pmi».

Uniti d’Europa, non erigere muri, dazi e quant’altro. Non c’è crescita e non c’è sviluppo senza il libero commercio». Si torna a parlare ancora una volta di un Euro a due velocità. Potrebbe essere una valida soluzione? «Innanzitutto non è una nuova idea, se ne parla da almeno dieci anni. Non sono scettico su questo punto, ma occorre fare un ragionamento su tutti. Nel senso che bisogna vedere dove si posiziona la Francia. E poi capire da chi sono composti i due blocchi. Ipoteticamente nell’euro forte andrebbero sicuramente Germania e Olanda, mentre in quello debole paesi come l’Italia, la Spagna, la Grecia e il Portogallo. Si può fare, perché no. Ma servirebbe una politica economica comune all’interno dei due blocchi, con un tasso di cambio fisso tra i cosiddetti Paesi “ricchi” e gli altri». In poche parole: dentro o fuori dall’Europa? «Dipende dalla valuta su cui si denomina il debito. Ipotizziamo, paradossalmente, che l’Italia torni alla lira: se il debito, ad esempio, con i tedeschi venisse valutato in euro, e la lira si svalutasse, noi dovremmo pagare un sacco di soldi. Ecco, in questi termini la fuoriuscita dall’euro non è affatto con-

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veniente. Se invece il debito venisse valutato in lire, allora basta che Bankitalia cominci a stampare moneta. Ma non credo che i tedeschi sarebbero molto contenti. Dunque vedo impossibile un’uscita dall’euro in questi termini. La mia posizione resta, invece, favorevole alla costituzione degli Stati Uniti d’Europa». I mercati sono in forte agitazione. Qual è la sua ricetta? «Innanzitutto dovremmo convincerci tutti che non esiste più la correlazione crescita del Pil-uguale-crescita del lavoro. Tutto sta diventando finanziario. Basti pensare che in un solo secondo i computer riescono a fare mille operazioni di vendita o acquisto di un titolo. E’ incredibile. Però per poter controllare queste operazioni bisognerebbe farlo attraverso la Tobin Tax, e cioè: ad ogni operazione finanziaria, pago una tassa. E queste tasse potrebbero essere utili per l’acquisto di questi cervelli elettronici che sono il futuro della nostra popolazione. Il problema è che tutti i Paesi, a quel punto, dovrebbero adottare la Tobin Tax, altrimenti le operazioni finanziarie verrebbero fatte laddove il problema non sussiste. Quindi lo dico ancora una volta: gli Stati andrebbero superati, altro che protezionismo. Prima ce ne accorgiamo e meglio è».

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CAPITAL

Capitali all’estero, ecco cosa cambia NUOVA SCADENZA PER EFFETTUARE IL RIENTRO LEGALMENTE. RUOLO E FUNZIONE DELLA FIDUCIARIA MARCHE: PARLA IL PRESIDENTE VALERIO VICO di Luca Guazzati

L’

art. 7 del DL 22/10/16 n° 193, convertito dalla Legge 1/12/16 n° 225 ha previsto la riapertura dei termini per avvalersi dell’istituto della Voluntary Disclosure (VD) che consente alle Persone Fisiche, fiscalmente residenti in Italia, di regolarizzare i capitali detenuti all’estero in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale. Ne parliamo con il presidente della Fiduciaria Marche, Valerio Vico al quale domandiamo quanto ciò sia un’opportunità per chi ha per esempio capitali in Svizzera… “La VD costituisce un’opportunità irrinunciabile (scade il 31/7/17) in quanto è stato regolamentato che chi continuerà e detenere illecitamente capitali all’estero rischia: procedimenti penali per illeciti fiscali, riciclaggio e autoriciclaggio (reclusione fino a 8 anni) e anche il pagamento di imposte con relative sanzioni fino a circa il 300% del capitale non dichiarato con possibili sequestri in Italia!”.

parteciperanno attivamente con le Amministrazioni Finanziarie di tutti i Paesi aderenti all’accordo e quindi anche l’Italia, per comunicare nominativi e giacenze finanziarie dei non residenti nel proprio Stato con ovvie pesanti conseguenze.

Questo vale per quali Stati esteri? “Da quest’anno, tutti gli Stati white list (compresa Svizzera, San Marino, Lussemburgo, Principato di Monaco, Liechtenstein ed altri ex black list)

Al contrario, per coloro che aderiranno alla VD, oltre a pagare le imposte dovute per gli anni ancora accertabili, potranno usufruire di sanzioni che non superano il 15% circa; di depena-

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LE PRINCIPALI ATTIVITÀ CHE SI POSSONO INTESTARE AD UNA FIDUCIARIA: • Partecipazioni estere e italiane • Conti correnti detenuti all’estero e in Italia • Dossier titoli detenuti all’estero e in Italia • Polizze assicurative sottoscritte con compagnie assicurative estere e italiane • Immobili detenuti all’estero utilizzando il mandato senza intestazione (circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 49/E del 23/11/09 e risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 61/E del 31/5/11)

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lizzazione per reati fiscali, riciclaggio e autoriciclaggio; infine della possibilità di utilizzare tali somme rimettendole nel circuito economico, fatto oggi precluso per via delle vigenti norme fiscali e di antiriciclaggio”. Ma a che serve la Fiduciaria? “L’intestazione fiduciaria serve a garantire la riservatezza a chi voglia effettuare un’operazione o detenere un bene senza apparire, ad esempio per non sollecitare appetiti o attenzioni di terzi o anche per semplice misura di sicurezza passiva. L’intestazione fiduciaria svolge inoltre funzioni molto importanti, anche quando non vi è esigenza di riservatezza, al fine di prevenire o risolvere conflitti tra soci, o per garantire il rispetto di impegni assunti verso creditori. Ma veramente ha il ruolo di “sostituto d’imposta”? “Sì: dopo aver aderito alla procedura di VD le attività finanziarie e patrimoniali potranno essere trasferite fisicamente in Italia o in altri Paesi white list; rimanere nel Paese in cui si trovano; essere trasferite in Italia solo GIURIDICAMENTE ovvero rimanere nel Paese in cui si trovano confe-


CAPITAL

Il Presidente Vico (a destra) al Senato con la relatrice della legge “Dopo di Noi” sen. Annamaria Parente e il Presidente nazionale dell’Assofiduciaria Michele Cattaneo

rendo appunto alla Fiduciaria il ruolo di sostituto d’imposta. Così si evitano visibilità perché non c’è l’obbligo della compilazione del quadro RW e tutti i conteggi fiscali complessi da inserire nella dichiarazione dei redditi”. E attraverso la Fiduciaria, rischia meno anche il professionista? “Ad oggi finiscono nel mirino del Fisco e delle Procure quei professionisti, intermediari finanziari che, per i propri clienti, hanno favorito in passato il trasferimento all’estero di capitali utilizzando artifizi non legali anche con la generazione di strutture societarie (es. i Panama papers). Le fiduciarie italiane sono al contrario società di altissimo livello tecnico e professionale che non suggeriscono e non possono suggerire tali comportamenti, anzi li evitano utilizzando solo quanto consentito dalla legge. Ma la Fiduciaria Marche si occupa anche di altro…. “La Fiduciaria è il soggetto adatto per effettuare pianificazioni patrimoniali

e finanziarie. Si occupa poi di successioni e passaggi generazionali aziendali; ottimizzazione e analisi di situazioni personali, familiari e aziendali patrimoniali. Amministra attività finanziarie come conti correnti e dossier titoli di clienti sempre per motivi di RISERVATEZZA. I conti sono intestati alla Fiduciaria con un codice cliente. Pertanto il nome non compare sulla documentazione bancaria. Molto utile è questo servizio per detenere LEGALMENTE dei capitali all’ESTERO. Inoltre amministrare dette attività tramite una Fiduciaria, permette di spostare somme di denaro per investimenti in Italia e all’estero anche per finanziarie le proprie società senza mai farle transitare sui conti personali e quindi mantenendo sempre riservatezza totale. Altro settore: Polizze vita, quelle assicurative impignorabili e insequestrabili. Infatti la liquidità può essere amministrata tramite una polizza anche estera pianificando il passaggio generazionale delle proprie attività finanziarie, in quanto la fiduciaria è

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il contraente con la compagnia assicurativa, il cliente è l’assicurato e gli eredi sono i beneficiari. Anche qui la Fiduciaria è sostituto d’imposta tenendo presente che la liquidazione di una polizza non va in successione evitando così delle donazioni in vita che rientrerebbero nella massa ereditaria e quindi tassate. La polizza invece non può essere oggetto di pignoramento da parte dei creditori e dal Fisco. Ci occupiamo poi di costituzione di trust e della legge “Dopo di noi”, di rilevante importanza sociale. Essendo sottoposte a vigilanza e trasparenza fiscale le FIDUCIARIE sono gli interlocutori primari per la costituzione ed amministrazione dei fondi speciali, oltreché degli specifici trusts”. Ma di questo parleremo nelle prossime puntate.

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CLUBECONOMIA&FINANZA

Dove va l’economia reale: tendenze di Giuseppe Barchiesi - Club Economia e Finanza Sida Group

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on è possibile affermare che l’Italia in questi anni caratterizzati dalla grande crisi sia rimasta ferma. Certamente però si può osservare che non si è mossa con la velocità che veniva richiesta dai nuovi scenari. Tutto è cambiato, ma proprio tutto, e c’è ancora molta strada da fare per capire ed interpretare al meglio il cambiamento. Vediamo di mettere bene a fuoco le cartine (i riferimenti) del nuovo mondo. Il FMI stima la crescita globale nel 2017 ad un + 3,4%. Nell’Eurozona il PIL dovrebbe mantenersi sugli stessi livelli 2016, chiuso con un +1,7%, con il consueto traino della Germania. Restano le incognite legate alla Brexit. In Italia le stime più recenti convergono sul mantenimento per il corrente anno dello stesso livello 2016: +0,9%. Negli USA il PIL dovrebbe mantenersi decisamente buono sugli stessi livelli dello scorso anno, circa +2,4%, sebbene l’era Trump porti con sé diverse incertezze. Finalmente i Paesi Emergenti ed in via di sviluppo (BRICS) accelerano dopo sei anni di stasi e dovrebbero contribuire alla crescita globale con un +4,6%. Decisa, per quanto ovvio segnalarlo, l’influenza in questa crescita della Cina. Bene anche l’India. In questa configurazione dell’economia mondiale è fondamentale approfondire che cosa fare per essere tra i protagonisti ed al riguardo è bene completare la

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mappatura. Gli USA stanno crescendo molto ed ancora migliori sono le prospettive. Dicevamo: molto c’è da riflettere sulla politica che intende seguire il nuovo Presidente, che ha connotazioni fortemente neoprotezionistiche. Siamo passati da: back to manufacturing di Obama a make America great again, con toni decisi, molto decisi, con poco spazio per più interpretazioni. La partita si gioca sul ruolo dell’interscambio e su quella che possiamo definire la caratterizzazione manifatturiera dei vari Paesi, dopo che il mondo è cambiato (dal 2008). L’interscambio negli USA vale il 30% del PIL, nel Giappone il 35%, in Germania l’80%, in Italia il 57%. Tutti in crescita dal 2008. L’identità del Paese in termini di manifattura è, circa, il 12% del PIL per gli USA, il 23% per la Germania ed il 17% per l’Italia. La produttività comincia ad evidenziare forze e debolezze: bene tutte le nazioni di riferimento, in crescita sempre dal 2008, male l’Italia che “stenta” a non essere negativa. Per l’Italia, quella che abbiamo definita una sorta di lentezza in un mondo sempre più veloce, emerge molto nettamente riferendoci agli investimenti dal 2008: sino al 2014 la diminuzione è stata drammatica con un -34% e a nulla sono servite le crescite dei due anni successivi (+3% complessivamente) per provare a colmare la voragine, soprattutto se si considera che il contesto Internazionale è cresciuto di oltre il

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3%. All’Italia, purtroppo, è successo che dal 2008 ad oggi, il tessuto imprenditoriale ha perso oltre il 20% del suo potenziale, ma ancora di più è da sottolineare che in questo periodo si è fortemente accentuata la sua polarizzazione: solo il 20% delle imprese ha il dominio dell’export nazionale sviluppando oltre l’80% del conseguente valore aggiunto. La grande crisi ha cambiato tutto, compresa la mappatura del capitalismo mondiale, delle varie nazioni, dei suoi protagonisti. I mercati vanno veloci, molto veloci, la globalizzazione ha le sue regole che non ci assomiglieranno mai, vero il contrario, noi reagiamo lentamente e questo rende molto difficile il confronto con la nuova natura delle cose e dei mercati. La conquista dei mercati globali, che ovviamente comportano fantastiche opportunità, con tutto ciò che ne consegue in termini di crescita occupazione e quant’altro, può passare solo attraverso la strategia, progetti vincenti ed investimenti. Oggi in Italia ci sono le condizioni migliori in quanto a possibilità di copertura dei fabbisogni che si generano. Ma manca un quadro politico certo e stabile, così come l’avvio delle indispensabili riforme strutturali per adeguare il nostro Paese alle richieste del grande cambiamento intervenuto. Non si può più far finta che nulla sia avvenuto, perché è cambiato tutto e le penalizzazioni che si scontano per non capirlo sono troppo pesanti per tutta l’Italia.


CLUBECONOMIA&FINANZA

Il futuro del lavoro in una nuova era americana di Massimo Sbrolla - Club Economia e Finanza Sida Group

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artiamo da un dato di fatto: fare previsioni è facile, ma azzeccarle è oltremodo difficile. Basta ricordare cosa avevano previsto tutti i “guru “ della finanza prima delle elezioni americane: se avesse vinto la Clinton i mercati ne avrebbero beneficiato, ma se il vincitore fosse stato Trump era meglio uscire subito dall’azionario perché le perdite sarebbero state ingenti. Ebbene cosa è successo? Dall’8 novembre scorso, quando Donald Trump è stato eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America, tutti gli indici azionari hanno toccato nuovi massimi storici e da allora sono saliti, di oltre l’8% il Dow Jones, di quasi il 7% il Nasdaq e del 6% lo Standard&Poor’s 500. E tutto ciò in un mercato che è in continua crescita ininterrotta dal marzo del 2009, da quando cioè l’indice S&P 500 quotava 666 punti. Da allora la Borsa americana ha intrapreso un trend positivo che dura ormai da otto anni e che ha portato le azioni americane a crescere del 240 per cento. Non si è trattato di un fenomeno isolato; infatti nello stesso periodo, l’indice Msci world è salito del 102 per cento, L’Eurostoxx del 108 per cento e quello dei mercati emergenti del 92 per cento. Le statistiche ci insegnano che i trend rialzisti non durano più di 7/8 anni e generalmente sono poi seguiti da importanti correzioni, ma questa volta è possibile che le cose potrebbero andare diversamente e proprio per il tanto vituperato “effetto Trump“,

che, inizialmente paventato come un “cigno nero“, si è invece subito trasformato come un nuovo volano per le borse mondiali. Gli investitori hanno scommesso sull’effetto positivo che le sue promesse di abbattere le tasse aziendali, semplificare le regole e spendere mille miliardi di dollari in infrastrutture, possono avere sui profitti delle società quotate. Sembrerebbe quasi che i mercati abbiano messo in secondo piano gli elementi potenzialmente negativi della campagna elettorale di Trump, ovvero le tensioni che una politica protezionista degli USA potrebbero causare sulle economie emergenti e la distanza che Trump sembra voler prendere dalla Cina. Quanto durerà tutto questo? Certamente i primi 100 giorni della nuova amministrazione ci faranno capire meglio che cosa Trump riuscirà a mettere in pratica del suo programma. Intanto possiamo avere un’idea di quali settori ne beneficeranno maggiormente. Innanzitutto le banche: a Wall Street sembra piacere la promessa di abrogare la riforma finanziaria restrittiva varata dopo la crisi del 2008 e in generale allentare la regolamentazione esistente. I titoli bancari sono oggi considerati più sicuri grazie all’aumento dei livelli di capitale richiesti; i loro profitti dovrebbero crescere insieme all’inflazione perché si allargherà la forbice fra i tassi praticati sui depositi e quelli sui prestiti. Poi ci sono i farmaceutici che erano stati

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penalizzati dai timori per un controllo governativo dei prezzi delle medicine promesso dalla Clinton, e che invece dovrebbero beneficiare della possibile modifica, da parte di Trump, della Obama-care. Infine i Petroliferi che beneficeranno del rafforzamento della politica del neopresidente a favore delle esplorazioni per aumentare la produzione americana di petrolio e gas e raggiungere l’indipendenza energetica. Detto questo, che anno potrà essere il 2017? Per dare una risposta proviamo a dare uno sguardo ai multipli, per capire se le azioni oggi sono care o no, e allo scenario dei tassi, per capire quanto le obbligazioni possano sottrarre liquidità alle Borse. Le azioni statunitensi scambiano con un multiplo pari a 17,5 volte gli utili attesi nel 2017 che è piuttosto caro scontando già in termini positivi buona parte delle promesse fatte da Trump. I multipli nelle borse europee, invece, quotano 14 volte gli utili, pur considerando che questi sono stati previsti in rialzo del 10% rispetto al 2016. Per attendersi un rialzo delle borse europee è necessario, quindi, che gli utili battano queste stime, cosa che è più facile che avvenga in Europa dove si può contare su un effetto cambio favorevole e su un potenziale recupero dei titoli finanziari legato al rialzo dei tassi. Per i tassi, ricordiamo che la Federal Reserve ha promesso tre rialzi dei tassi nel corso dell’anno. Inoltre, la politica Keynesiana che Trump intende adottare (un deficit/ Pil medio annuo del 6%, il doppio

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CLUBECONOMIA&FINANZA rispetto ai limiti imposti dall’unione europeaì) potrebbe far aumentare l’inflazione. E’ per questi motivi che, a partire da novembre, gli investitori, hanno venduto bond riversando la liquidità sulle azioni. Questa rotazione dei portafogli, ovviamente non durerà all’infinito, ma i mercati dovranno trovare un nuovo punto di equilibrio tra azioni e bond; punto di equilibrio che molti ipotizzano su un livello di tassi dei titoli di stato USA a 10 anni intorno al 3%. A quel punto i bond potrebbero tornare ad essere competitivi rispetto alle borse. Ovviamente questo fenomeno non riguarda solo il comparto obbligazionario USA ma, indirettamente anche quello di area euro; un po’ per contagio, spesso inevitabile in un mercato globalizzato, un po’ perché anche in Europa i primi segnali di svolta si stanno manifestando attraverso un aumento

dei consumi e, di conseguenza, del tasso d’inflazione. Anche in Italia il rendimento dei Titoli di Stato e delle obbligazioni societarie si stanno portando su valori superiori a quelli di un mese fa. In questa fase, di rendimenti crescenti, le emissioni obbligazionarie a cedola fissa ( BTP ), in essere, sono destinate a soffrire in quanto il prezzo di mercato, che in precedenza ha raggiunto quotazioni elevate, tende a diminuire, in misura maggiore, ovviamente, per le scadenze medie e lunghe. In questa fase due sono le alternative: o si vendono questi vecchi titoli per monetizzare gli utili indirizzando l’investimento in altri settori, oppure mantenere l’investimento se l’intento era quello di costruire un flusso cedolare costante e di buon valore ( sopra il 2% ). In questo contesto, la Bce continuerà fino a marzo a comprare 80 miliardi di titoli sul mercato per poi, da aprile,

ridurre gli acquisti a 60 miliardi procedendo a quel ritmo sino alla fine dell’anno. Ma il 2017 potrebbe essere per le banche centrali un anno difficile da interpretare e gestire anche perché il controllo di mercati e finanza che hanno avuto negli scorsi anni potrebbe in parte venire meno. Il 2017 infatti sarà scandito più dalla politica e dalle elezioni nazionali in calendario che dalla Bce, con quest’ultima costretta probabilmente a reagire alle scelte degli elettori e della geopolitica ci saranno elezioni in Olanda, Francia, Germania e forse in Italia. Se qualcuno di questi appuntamenti avesse effetti destabilizzanti sull’economia, la Bce sarà costretta ad intervenire intensificando la politica di “quantitative easing“, aumentando in tal modo la rete di sicurezza per l’Eurozona in un anno delicato sul piano politico.

La manifattura italiana nel 2016 e prospettive settoriali per il 2017

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di Alessandro Stecconi - Club Economia e Finanza Sida Group

el 2016, la crescita del fatturato dell’industria manifatturiera italiana si è fermata all’1,2% (a prezzi costanti), inferiore di circa 7 miliardi di Euro rispetto a quanto previsto a maggio. La minor espansione è frutto del clima di incertezza che ha condizionato la domanda interna a partire dai mesi primaverili, ma soprattutto della perdurante debolezza della domanda estera, in particolare quella proveniente dai paesi emergenti. Le imprese italiane sono riuscite

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comunque a cogliere le opportunità presenti in uno scenario internazionale poco favorevole, con performance migliori rispetto a quelle dei principali concorrenti europei: nei primi sei mesi dell’anno la quota italiana sul commercio mondiale ha evidenziato una crescita, confermando la tendenza delle nostre esportazioni a reggere meglio le fasi di rallentamento della domanda mondiale e, parallelamente, a mostrare maggiori difficoltà nell’agganciare le fasi di accelerazione. Nel prossimo biennio, in un quadro in miglioramento sui mercati esteri,

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sarà soprattutto la domanda interna a sostenere una modesta accelerazione della crescita del manifatturiero, stimata all’1,5% medio annuo (a prezzi costanti). Come già nel 2016, anche in prospettiva si confermerà una elevata elasticità delle importazioni alla dinamica del mercato nazionale: il saldo con l’estero rimarrà stabile su livelli elevati, intorno agli 80 miliardi. L’Automotive ha mantenuto una dinamica nettamente migliore della media, grazie al boom della domanda interna (sia per investimenti che per consumi), che è riuscita


CLUBECONOMIA&FINANZA a controbilanciare il contributo negativo del canale estero (con il saldo commerciale del settore tornato negativo, per 3,5 miliardi, dopo 24 anni di surplus indotto dal crollo della domanda nazionale). Bene anche il Largo consumo (cosmesi e detergenza casa e persona) e gli altri intermedi (carta, gomma, plastica, legno), che evidenziano ottimi risultati all’export, grazie al contributo dei siti produttivi di imprese multinazionali e di un ricco tessuto di piccole e medie imprese, spesso leader di nicchia. Meccanica e Moda, invece, non sono riuscite a crescere nel 2016, penalizzate dalla crisi di molti mercati emergenti e da un andamento meno positivo del previsto della domanda statunitense. Nel 2016, hanno chiuso in negativo, oltre alla Moda, anche gli Elettrodomestici, dove sono evidenti le difficoltà competitive del tessuto produttivo italiano, gli Intermedi chimici e i Prodotti in metallo, condizionati dalla perdurante debolezza delle costruzioni e da

performance deludenti sui mercati internazionali. Nel biennio 2017-18, la graduatoria settoriale continuerà ad essere guidata dall’Automotive e dal Largo Consumo, ma contributi importanti sono attesi anche da Farmaceutica, Metallurgia (se saranno definitivamente superate le difficoltà del comparto siderurgico) e filiera elettromeccanica, soprattutto grazie all’Elettrotecnica. Il continuo, anche se lieve, recupero dei volumi produttivi consentirà nuovi miglioramenti della redditività industriale, dopo quelli conseguiti nel 2015 dalla maggior parte dei settori (in particolare Farmaceutica, Mobili, Elettrodomestici e Automotive) e da tutte le classi dimensionali: nel 2018 il ROI medio del manifatturiero tornerà sopra il 6%, valore non distante da quello ante-crisi. Ci si aspetta, in prospettiva, un recupero soprattutto in quei settori (Mobili, Metallurgia e Prodotti per le costruzioni) dove, nonostante i risultati positivi del 2015, i livelli medi

della redditività rimangono molto bassi, facendo prevedere ulteriori uscite dal mercato. La lettura dei bilanci 2015 evidenzia, inoltre, come i miglioramenti nella redditività si siano finora affiancati al riavvio degli investimenti solo in pochi settori (Automotive, Elettronica, Elettrotecnica). Nei prossimi anni, in uno scenario fortemente competitivo, si attende una più diffusa e graduale ripresa degli investimenti, anche grazie a un contesto fiscale e creditizio più favorevole e alle nuove energie immesse dalle imprese giovanili. L’analisi di un campione di imprese manifatturiere mostra come le imprese condotte da giovani (ovvero imprese con un capo-azienda o la maggioranza del board con meno di 40 anni) abbiano registrato un maggiore dinamismo sul piano della crescita del fatturato, in particolare per quanto riguarda le imprese più piccole, uno dei segmenti più in difficoltà nel nostro manifatturiero.

L’Italia e l’Unione Europea nel mercato internazionale

L’

di Michele Giovanni Memola - Club Economia e Finanza Sida Group

Italia, Stato promotore della costituzione dell’Unione Europea, è spesso in contrasto con altri stati componenti. La Comunità Europea (nome originario dell’attuale Unione Europea) ebbe tra le varie figure promotrici ben due esponenti italiani: Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri negli anni del secondo dopoguerra e Altiero

Spinelli, politico italiano e fondatore del Movimento Federalista Europeo. De Gasperi e Spinelli, insieme ad altri leader, hanno ispirato la creazione dell’Unione Europea. Loro obiettivo era creare uno stato unitario europeo competitivo con i mercati internazionali. Il primo passo, per un’Unione Europea, avvenne nel 1951 quando, il politico francese Schuman, con l’obiettivo di liberalizzare il mercato del carbone e dell’acciaio,

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fondamentali per quel periodo storico, riesce a realizzare il cosiddetto “Piano Schuman” con la ratifica del Trattato di Parigi. Il “piano Schuman” consisteva nell’abolizione delle barriere doganali e delle restrizioni quantitative che frenavano la libera circolazione delle merci del carbone e dell’acciaio causa del recente conflitto bellico; questo fu il primo passo verso una parziale rinuncia della propria sovranità in favore di una sovranità comunitaria;

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CLUBECONOMIA&FINANZA nacque così la CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio di cui facevano parte l’Italia, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Germania dell’Ovest. Nel 1957, il secondo passo: gli Stati della CECA sancirono la costituzione della CEE (Comunità Europea Economica) tramite i Trattati di Roma; oltre alla CEE, in quell’anno nacque l’EURATOM, Comunità Europea dell’Energia Atomica. La Comunità Economica Europea aveva come obiettivo a breve termine l’unione economica degli stati membri e, come obiettivo finale, la loro unione politica. Essa si prefissò, nei Trattati di Roma, di realizzare, in un periodo transitorio di dodici anni, un mercato unico. Il mercato unico si basa su quattro libertà: libertà di circolazione dei capitali, delle merci, dei servizi e delle persone. Nel 1993, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, gli Stati membri portarono avanti l’idea di un’unione non più economica ma anche politica. La creazione dei cosiddetti “tre pilastri” demanderà alcune competenze alla Comunità Europea, che tramite decisioni, regolamenti e direttive può, in caso di mancata attuazione di queste, sanzionare lo Stato, non conforme al diritto comunitario. Premesso tutto questo, la massima realizzazione dell’attuale Unione Europea avrà luogo con il trattato di Lisbona nel 2009. Il trattato di Lisbona abolisce i “tre pilastri”, provvede ad un riparto di competenze tra Unione e Stati membri, rafforza il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali (es. la Carta di Nizza si vede riconoscere lo stesso valore giuridico dei trattati). Oggi però, nonostante il trasferimento della sovranità degli Stati membri e della liberalizzazione del mercato interno dell’Unione, abbiamo un mercato che non riesce ad essere competitivo con quello internazionale. Si è ritenuto

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che un’unione monetaria avrebbe permesso un migliore mercato interno così da competere con quello internazionale, ma l’oscillazione dell’Euro avviene con decisioni politiche interne dei singoli Stati, i quali, avendo una politica interna ed esterna differente dagli altri stati, portano ad una variazione del valore monetario. Una moneta che unisce non è sinonimo di una politica uniforme, ergo l’Unione Europea non può essere stabile nel mercato unitario. L’idea degli Stati promotori era la possibilità di essere competitivi nei futuri mercati internazionali, ma nonostante la giusta visione, l’Unione non riesce a realizzarsi; il problema è da individuarsi in un sistema di demandazione della sovranità incompleta con gli Stati che, in alcuni momenti, preferiscono ricevere sanzioni piuttosto che rispettare le direttive o i regolamenti. Inoltre, non essendoci un diritto del lavoro comunitario, ma solo l’abbattimento delle dogane interne, si rende un mercato del lavoro libero per la circolazione, ma non con le stesse tutele lavorative, creando spesso trasferimenti di aziende fondamentali, per lo stato di appartenenza, in Stati sempre comunitari ma con norme lavorative più agevoli. Oggi, il mercato internazionale vede in forte ascesa lo stato cinese, pertanto una comunità di Stati, che vuole essere competitiva, ha bisogno di essere realmente unita. Il mercato internazionale vede in crisi anche lo stato americano, stato sempre determinante nell’economia internazionale: non dimentichiamo la recente crisi del 2008. L’Italia, su un mercato internazionale che va ad altissima velocità, ha bisogno di essere competitiva insieme all’Unione. È palese che l’idea originaria di Europa è ancora incompleta; sono trascorsi quasi 70 anni dal primo trattato, e l’Europa

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non riesce né a contrastare né a imporsi sul mercato internazionale in maniera determinante; in un mondo globalizzato che vede il mercato dall’area asiatica connesso ai Paesi del Medio Oriente, l’Europa dovrebbe iniziare ad essere un “corpo” pieno di norme identiche per tutti i Paesi membri. In un’Unione Europa il solo abbattimento di dazi doganali e la libera circolazione interna non bastano. L’Europa sarà costretta sempre a subire il mercato internazionale e non potrà essere protagonista. Una chiara dimostrazione delle problematiche interne sono i cosiddetti pugni di ferro su varie politiche da parte di Stati influenti all’interno (es. Germania). L’unione monetaria ha permesso, in parte, una concorrenza nei mercati, ma l’unione politica porterebbe ad uno stato forte e determinante nel mercato. Habermas, sociologo tedesco, descrive in un trattato la necessità di un sistema comunicativo con una giusta e continua comunicazione nelle sue parti; per questo, in un sistema che si perde tra la comunicazione degli Stati membri e l’Europa, bisogna snellire il processo rendendolo più forte nell’organo centrale. In conclusione, non si può parlare di un ritorno ad un sistema senza Unione Europa, dato che questo porterebbe ad una forte crisi per i suoi Stati. Ora, essendo in un sistema comunitario, si richiede la necessità di rafforzare il sistema europeo con una reale perdita di sovranità e non a danno, ma a vantaggio degli Stati componenti. Le prime difficoltà sono sollevate dalla Germania e dai Paesi del nord Europa che non intendono in nessun modo perdere la propria sovranità ma solo gestire, grazie alla loro influenza sull’economia interna, l’Unione Europea; ergo, viene da citare, adattata al presente, la famosa frase di Massimo d’Azeglio: “Abbiamo fatto l’Europa. Ora si tratta di fare gli europei”.


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Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo L’ECONOMIA DEVE ORIENTARSI SULLA CONOSCENZA E SUI DISTRETTI di Flavio Guidi - Management Academy Sida Group Area Strategia e Sviluppo Organizzativo

L’

economia è la scienza che studia il comportamento del sistema economico, dove l’investimento materiale è il centro del processo. L’asse dello studio deve essere orientato sull’economia della conoscenza. La qualità dell’investimento e del comportamento economico sistemico acquisterà valore centrale, dove economia, tecnologia, scienza diventano strumento di un obiettivo di più elevato livello, in cui l’uomo e la sua mente cercano benessere e serenità. Giorgio Fuà, ricercatore, eretico dei sistemi economici tradizionali, concentrò il suo pensiero premiando modelli economici dove i distretti produttivi e le piccole e medie aziende trovano il punto di riferimento dei progetti di crescita. Il centro dell’investimento è la crescita della piccola media azienda, le politiche economiche devono sostenere

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il loro baricentro sulla strategia dei distretti. In questa fase storica dell’economia la globalizzazione premierà, più che il prodotto, il know how, la cultura diffusa e integrata della manifattura, dell’arte, della cultura. Questo patrimonio crea la distinzione competitiva, le barriere all’entrata della competizione internazionale. L’esperienza del distretto conferisce connotazione distintiva e favorisce lo sviluppo della tradizione, il senso di appartenenza territoriale e l’integrazione sociale. Conserva e sviluppa l’identità economica nazionale. Il senso di solidarietà si fa più intenso, dal tutto ne scaturisce orgoglio, sicurezza e soddisfazione per l’intera collettività. La conoscenza sta vivendo una evoluzione esponenziale e nella misura in cui sapremo farci artefici della sua crescita sapremo trarre i frutti del suo potere. Tanto più ne potremo disporre tanto più il patrimonio della comunità crescerà. L’investimento in formazio-

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ne, in quanto elemento fondamentale dell’accrescimento culturale diventa prioritario, soprattutto in Italia, dove la filiera formativa non è competitiva. Tutto ciò rende l’investimento in beni intangibili immateriali di maggior valore rispetto all’investimento materiale. La qualità deve caratterizzare il nuovo orizzonte dell’investimento. La crescita della conoscenza avviene attraverso il potenziamento della formazione, in particolare nei seguenti settori: artigianato, cultura, servizi avanzati, turismo, agriturismo, agricoltura, startup, arti e mestieri, sviluppo dell’imprenditorialità, informatica, digitale. La ricerca, sviluppo della conoscenza attraverso la formazione, calata nella strategia dei distretti e delle reti d’impresa, dovrà costituire il punto di riferimento di ogni attività di sviluppo, in ogni campo sia della vita produttiva che di quella artistica, delle arti e dei mestieri.


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La “DISRUPTION” e i modelli di business: la rivoluzione è in atto di Giulio Guidi - Management Academy Sida Group Area Strategia e sviluppo organizzativo

I

nuovi processi formativi manageriali dovranno tenere conto del fenomeno della “disruption”. Questo è quanto emerge dalla ricerca condotta dalla Fondazione CFM — Centro Formazione Manageriale di Ancona. Ai giovani e ai senior manager dovrà essere culturalmente trasmessa questa visione affinché ne tengano conto nel loro operare e nei processi decisionali. Tale visione informerà i loro momenti creativi informando l’attività strategica di breve, medio, lungo periodo. Diretta a organizzarsi per fronteggiare pericoli e cogliere nuove e diverse opportunità. Un fenomeno che dovrà informare anche le menti di chi governa l’azienda. Bisogna prepararsi per evitare sorprese dirompenti che possono stravolgere la vita e il divenire dell’azienda. Big-bang disruption è la definizione coniata da Larry Downes e Paul F. Nunes per indicare

un fenomeno recente, ma dilagante, ovvero la nascita di business model alternativi che possono portare alla sparizione di interi settori o comunque stravolgerne le logiche competitive. Gli autori sostengono che ogni attività economica è una attività digitale (Today every business is a digital business) ovvero ogni attività può essere oggetto di una riconcezione grazie alle potenzialità portate in campo dalle tecnologie digitali come smartphone, tablet, cloud, le app e la tendenza delle persone a essere sempre connesse. Il termine disruption era già stato utilizzato in passato da Joseph Bower e Clayton Christensen nell’articolo “Disruptive Technologies: Catching the Wave” pubblicato su Harvard Business Review nel 1995. All’epoca il termine servì a descrivere un fenomeno per certi versi simile, ma in realtà differente: quanto potesse essere devastante per le imprese

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di un settore non accorgersi dei rischi di lasciar crescere a livelli di scala elevati, nella fascia bassa del mercato, imprese portatrici di nuove tecnologie, caratterizzate da costi bassi e da prestazioni altrettanto basse, per poi soccombere a esse al migliorare delle prestazioni stesse. Mentre la disruption di cui parlano Downes e Nunes è spesso molto più radicale: non sono tanto le imprese leader in un’area di business a sparire (o quasi) in quanto scalzate e sostituite da altre, ma sono le aree di business stesse a perdere la loro ragion d’essere, perché le funzionalità che le caratterizzavano vengono soddisfatte in modo diverso e a costi spesso nulli (o quasi). Alcuni casi di disruption in atto hanno avuto inizio prima dell’ultima ondata di innovazioni ICT, ma si sono rafforzati con l’avvento degli smartphone e dei tablet. Oggi, ad esempio, Skype può essere utilizzato da smarthphone, mentre Whatsapp può essere ormai

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utilizzato anche per effettuare chiamate vocali: questo mette in discussione il futuro e i fatturati degli operatori telefonici tradizionali. Lo smartphone (a dire il vero già dai tempi in cui era un semplice cellulare) assolve naturalmente anche alla funzione di orologio. L’orologio, dunque, conserva un ruolo di accessorio o gioiell. Oppure, arricchito di nuove tecnologie per la rilevazione di funzioni fisiologiche, potrà giocare un ruolo rilevante nell’ambito delle cosiddette wearable technology. Alcuni anni fa la Kodak, una delle aziende maggiormente capitalizzate per quasi l’intero secolo scorso, dovette soccombere con l’avvento delle macchine fotografiche digitali. Oggi sono proprio queste ultime, rappresentate per quasi la metà del mercato da nomi come Canon e Nikon, che rischiano pesantemente a causa della concorrenza degli smartphone, che offrono la stessa funzionalità a un costo percepito come nullo e a un livello qualitativo in continuo aumento. Anche il mondo finanziario

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e bancario è colpito dalla disruption. Da una parte, infatti, è possibile che i pagamenti nei negozi e nelle grandi catene passino nel prossimo futuro attraverso lo smartphone, con businness model di natura diversa e operatori di vario tipo pronti a metterli in atto. Si va dagli operatori Telecom alle grandi protagoniste di internet come Google ed eBay. Dall’altra, anche la gestione del risparmio potrebbe cambiare presto volto. In Cina ad esempio i cloni/ concorrenti locali di Amazon, Facebook e Google, che si chiamano Alibaba, Tencent e Baidu stanno entrando con successo nel settore – approfittando della scarsa efficienza del sistema bancario locale. Nel campo della formazione potremmo presto assistere a fenomeni di innovazione dirompente. Qui la necessità di offrire alti livelli di servizio ha finora protetto il settore da processi di “industrializzazione”, tuttavia oggi alcune delle più note università a livello internazionale hanno messo a disposizione corsi online aperti, pensati per raggiungere

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grandi numeri di utenti (MOOCMassive Open Online Courses), mentre alcune business school stanno sperimentando nuove forme flessibili di fruizione didattica. Il processo di cambiamenti in atto e le tendenze evolutive in campo tecnologico, scientifico e organizzativo caratterizzano il contesto in cui ogni unità aziendale si trova e si troverà ad operare. La percezione di questo stato di fluidità dei sistemi e dei sottosistemi diventa un fattore su cui favorire lo sviluppo della vision. Ogni progetto strategico, ogni processo di strutturazione conseguente ogni scelta dovrà prevedere questo stato di profonda fluidità sistemica. Le attività formative nei loro percorsi dovranno tenere conto di questo nuovo carattere fondamentale del sistema. Nel settore sanitario il fenomeno della fluidità del sistema presenta caratteri di alta variabilità. Nel trasferimento culturale e formativo si dovrà tenerne conto in modo costante.


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MEGATRENDS: le chance per le imprese di Mario Becchetti - Management Academy Sida Group Area Marketing e Comunicazione

“I

l cambiamento nel mondo è una costante. C’è stata un’epoca in cui dovevi saper cavalcare e portare le carrozze. Poi sono arrivati i treni e le auto e abbiamo avuto bisogno di ingegneri. I lavori variano, ma il lavoro resta. Vedo questi fenomeni in continuazione in Paesi differenti. Figure professionali che spariscono e altre che nascono. L’importante è che aziende e governi preparino le persone a questo nuovo mondo. Il tuo atteggiamento mentale deve essere di apertura”. Questa è una delle frasi più significative che Tim Cook, Ceo di Apple, ha pronunciato in un suo recente intervento a Milano di fronte a giovani studenti universitari. Questa frase racchiude un messaggio di fondo di positività: il cambiamento spesso spaventa, ma in realtà offre sempre straordinarie occasioni di crescita. Ciò vale per le persone e,

soprattutto, per le imprese, di ogni dimensione e settore. L’importante è saper cogliere le cosiddette “chance of trends”, ossia le enormi opportunità di sviluppo e generazione di valore che i megatrends in corso del XXI Secolo possono generare, se affrontati con strategie proattive e focalizzate. Queste chances sono molteplici, sia nei settori più propriamente tradizionali, che in quelli innovativi. Una prima convinzione da eliminare, infatti, è di pensare che i settori tradizionali della cosiddetta old economy siano tagliati fuori dalla rivoluzione digitale della 4° Rivoluzione industriale. Questo non è vero, perché il riorientamento digitale dei loro modelli di business può agevolare il consolidamento dei loro vantaggi competitivi. Il focus deve essere di consapevolezza e vision strategica: la trasformazione digitale è un fattore “needed to play”, ossia indispensabile non solo per eccellere, ma anche per sopravvivere

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nel XXI Secolo. Una volta acquisita questa consapevolezza, che deve pervadere la proprietà, il top management e tutta l’organizzazione aziendale, si tratta di approfondire alcuni megatrends del cambiamento per comprenderne le opportunità di generazione di valore. Di seguito si elencano alcuni settori di particolare interesse proprio per le loro potenzialità di sviluppo. INDUSTRIA 4.0 E SMART MANUFACTURING Internet of everything, intelligenza artificiale e robotica, realtà aumentata, nanotecnologie, integrazione tecnica digitale, big data, cloud, data analysis, e altre: sono alcune delle principali tecnologie abilitanti che le imprese sono chiamate a inserire nella propria organizzazione. E’ il settore più conosciuto del cambiamento in corso, ma non per questo meno importante: i suoi effetti sono come un tsunami che le imprese sono chiamate ad

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IL FUTURO CHE CI ATTENDE affrontare con consapevolezza e pro attività, sia per difendersi che per crescere. Questa strategia di trasformazione digitale, infatti, può essere validamente supportata attraverso gli strumenti della finanza agevolata, ordinaria e straordinaria. Inoltre la formazione manageriale supporta lo sviluppo delle nuove figuri professionali richieste per il governo di questi nuovi processi digitali. CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT Nel contesto di ipercompetizione digitale la gestione del cliente, del suo “ciclo di vita”, diviene sempre più strategica. Customer e brand experience sono alla base delle nuove strategie di marketing relazionale: ciò richiede il supporto di sistemi digitali evoluti di CRM, capaci di sviluppare analisi preventiva e gestione proattiva di ogni relazione con i clienti, attuali e potenziali, per aumentare engagement, loyalty, equity. MODELLI DI RICAVI “DA SERVIZI”. La digitalizzazione dell’economia consente la disintermediazione distributiva e lo sviluppo di rapporti diretti con i consumatori finali. Qgni impresa ha ora maggiori possibilità, se gestisce proattivamente le relazioni con i propri utenti, di vendere non solo il prodotto tipico, ma anche servizi accessori e integrati, contigui al core business. Il digitale agevola questa diversificazione di composizione dei fatturati aziendali, più legati a “modelli di ricavi da servizi”. Questi ricavi da servizi, soprattutto di natura immateriale, spesso possono controbilanciare la maturità o il declino dello stesso prodotto tradizionale. START-UP, SHARING E APP ECONOMY L’innovazione imprenditoriale oggi passa soprattutto attraverso il

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fenomeno delle start-up, capaci di incanalare le nuove energie creative del XXI Secolo, soprattutto giovanili, di natura shumpeteriana. Questa forma sviluppo si lega molto alla nuova “economia della condivisione” che la relazionalità digitale oggi agevola e rende possibile: fenomeni come Airbnb, ad esempio, sembravano impensabili solo fino a pochi anni fa. La disintermediazione distributiva digitale, la crescita esponenziale dell’utilizzo dei device mobili per accedere ad Internet ed ai social favorisce anche lo sviluppo dell’app economy: ogni modello di business aziendale del futuro dovrà contare su un accesso digitale tramite app, per evitare lo spiazzamento da altri concorrenti. Si pensi all’ebanking. Questi trend si legano e alimentano vicendevolmente: non a caso molte nuove app di successo nascono proprio come start-up digitali. CYBERSECURITY E OPEN INNOVATION Lo sviluppo delle comunicazioni digitali pone anche rilevantissimi problemi di sicurezza, per le persone, ma anche per le imprese, le istituzioni e gli Stati. Si apre, dunque, un mercato interessantissimo per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche capaci di garantire la sicurezza globale di ogni organizzazione. Dall’altro lato, questo processo sviluppa anche nuove forme “aperte” di generazione di innovazione: le piattaforme digitali possono supportare processi partecipativi e condivisi di generazione di valore creativo, anche tra imprese ed enti pubblici. TURISMO E CULTURA 4.0 Quali sono i settori non tradizionali che possono privilegiare come e più degli altri delle nuove forme di comunicazione digitale, soprattutto in Italia? Il turismo e la cultura.

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Questo vale non solo per le imprese che operano in questi comparti, ma anche per le risorse paesaggistiche, naturali e culturali. Il new marketing territoriale è un altro settore che offre straordinarie occasioni di crescita digitale, per competere su basi paritarie con le destinazioni di tutto il mondo. GOLD ECONOMY PER LA LONGEVITA’ ATTIVA Non esiste solo la 4° rivoluzione industriale. Anche tutti gli altri megatrends del cambiamento in corso sono in grado di offre alle imprese notevoli opportunità di sviluppo. Un esempio per tutti è rappresentato dalla cosiddetta “gold economy”: la crescita della speranza di vita della popolazione è un indice di qualità, ma porta con sé anche le esigenze di gestione dell’invecchiamento. Esistono bisogni di assistenza per quote crescenti di popolazione: il terzo settore e l’imprenditorialità sociale divengono così importanti occasione di generazione di valore. Ma c’è uno spazio di nuova imprenditorialità anche per sviluppare la “longevità attiva”, ossia per rendere l’anziano un protagonista del proprio tempo libero: si pensi alle attività per la formazione della terza e quarta età, lo sport ed il turismo. In conclusione, si può dire che le opportunità dei megatrends sono molteplici e possono contribuire sia a rivitalizzare modelli di business tradizionali che a crearne di nuovi, anche molto promettenti. Per sfruttare tutte queste opportunità, ovviamente, per le imprese è necessario il supporto di partner qualificati, sia per il sostegno finanziario di questi nuovi modelli organizzativi e forme di imprenditorialità, sia per la formazione manageriale delle figure professionali indispensabili per gestire i conseguenti processi di cambiamento aziendali.


IL FUTURO CHE CI ATTENDE

L’ecosistema del cambiamento del XXI secolo

T

di Giulio Guidi - Management Academy Sida Group Area Strategia e sviluppo organizzativo

utte le imprese, come le persone e le istituzioni, stanno vivendo nel XXI secolo una fase di radicale trasformazione economica e sociale, che richiede una nuova e più profonda capacità di analisi e governo del cambiamento. Un mondo nuovo è in formazione: molte delle certezze del passato sembrano svanire, anche sul piano dei modelli imprenditoriali e manageriali. Ma il nuovo mondo non si è ancora sedimentato. Nascono nuovi modelli di business, quelli più tradizionali rischiano di scomparire senza innovazioni. E’ la 4° rivoluzione industriale, che lega e fonde mondo fisico e nuovo mondo online, imponendo il riorientamento digitale dei modelli di business aziendali. Questa transizione è fonte di grande incertezza. Tuttavia, pensandoci bene, la storia è sempre avanzata per “salti di paradigma” legati al progresso tecnologico, che hanno favorito l’affermazione di innovativi modelli di pensiero strategico ed azione operativa, soprattutto nel campo del management e dell’imprenditorialità. Per preservare e rinnovare i propri vantaggi competitivi, dunque, ogni impresa e organizzazione, qualunque

sia il settore di attività, è chiamata a conoscere ed analizzare il cambiamento attuale e futuro dell’ambiente e del proprio contesto concorrenziale. Lo scopo è quello di prevenirne le minacce e sfruttare le opportunità di queste trasformazioni, per focalizzare strategie competitive adeguate ad affrontare le sfide del XXI secolo. In un contesto come quello attuale di veloce e profondo cambiamento, la tradizionale analisi dell’ambiente di riferimento e del mercato deve salire di livello e di orizzonte temporale, proiettandosi anche e soprattutto nel medio-lungo periodo. E’ indispensabile per questo conoscere i cosiddetti “megatrends”. Cosa sono i megatrends? Rappresentano le tendenze strutturali di evoluzione e trasformazione che attraversano la società e che presentano alcune caratteristiche basilari unificanti. In via generale i megatrends sono: • di lungo periodo, ossia marciano a velocità variabile ma inarrestabile; • globali, nel senso che riguardano l’intero pianeta anche se con intensità differenziate tra Paesi e Continenti; • pervasivi, perché interessano simultaneamente il mondo economico, sociale e istituzionale, in ognuno dei loro rispettivi comparti. Per le imprese conoscere i megatrends

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è importante perché operano come “zolle tettoniche” e si alimentano sinergicamente. Il loro spostamento è foriero di profondi terremoti, in ogni settore di attività: per questo rappresentano un vero e proprio “ecosistema del cambiamento”, in cui ogni impresa è immersa. Conoscerlo è fondamentale per impostare strategie competitive efficaci e sostenibili nel medio-lungo periodo. E’ possibile, dunque, delineare un modello di analisi conoscitiva e complessiva dei megatrends? In parte si. Descriviamo pertanto alcuni di quelli più importanti. DIGITAL TRANSFORMATION Il primo, quello forse più conosciuto, è rappresentato dalla “digital trasformation”: l’avvento della 4° rivoluzione industriale si basa sulla pervasività dell’utilizzo delle tecnologie digitali, che costringe le imprese ad operare nello scenario dell’Internet of Everythng (Ioe). Le fonti dati sul tema sono molteplici. Basta citare il recente rapporto Mackinsey: su scala globale il 49% dei lavori rischia di essere oggetto di automazione per mezzo dei robot entro un periodo relativamente breve di tempo. Questa trasformazione digitale opera attraverso specifiche tecnologie

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IL FUTURO CHE CI ATTENDE abilitanti: artificial intelligence; big data; cloud; additive manifacturing (es. stampanti 3D); augmented reality; cibersecurity; horizontal/vertical integration; altre tecnologie, soprattutto digitali. LA MULTIPOLARITÀ GLOBALE E LA DE-GLOBALIZZAZIONE. La caduta delle contrapposizioni ideologiche e tra blocchi, l’emergere di nuovi protagonisti economici globali (ad esempio la Cina, il cui Pil ha superato quello USA), ha cambiato anche la geopolitica. Il mondo si sposta ad Est, l’Europa perde centralità e slancio nello scacchiere globale. L’empowerment globale viene distribuito tra più Paesi e aree continentali. Riemerge anche il nazionalismo, quale risposta ad una crisi che, durando da circa 10 anni, lascia intravedere i rischi di una stagnazione secolare: è la tendenza alla de-globalizzazione, al ritorno al protezionismo, che mette in serio rischio l’apertura e gli scambi commerciali internazionali. Brexit, le nuove leadership USA, russe ed orientali, lasciano intravedere un mondo in cui al multilateralismo si affianca la tendenza a sviluppare scambi economici sempre più diretti e bilaterali tra singoli Stati. Si intravedono effetti profondi su competitività e prospettive di sviluppo di interi settori economici, che rischiano di vedersi chiudere mercati internazionali consolidati. MEGATRENDS SOCIALI E AMBIENTALI L’economia è fortemente investita dalla digitalizzazione. Tuttavia operano anche altri megatrends, di natura sociale e ambientale, che influenzano sempre di più marcatamente anche le imprese. LA CRESCITA DELLA POPOLAZIONE E’ un trend inarrestabile, che in Italia ed Europa, per i bassi tassi di natalità esistenti, rischia di non essere percepito nella sua profondità. I cittadini del

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mondo erano 1,6 miliardi agli inizi del 1900 e 7,3 miliardi nel 2015: secondo l’ultimo Rapporto ONU aumenteranno di 1,2 miliardi per arrivare a 8,5 miliardi nel 2030; cresceranno di altri 2,4 miliardi fino ad arrivare a 9,7 nel 2050. Solo nove Paesi contribuiranno per metà all’incremento mondiale, nel periodo fino al 2050: Cina, India, Stati Uniti, Pakistan, Nigeria, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo (DRC), Tanzania e Bangladesh. L’INVECCHIAMENTO GLOBALE Sempre secondo l’ONU, il XXI Secolo sarà anche quello dell’invecchiamento globale: il numero di persone con età uguale o superiore ai 60 anni dovrebbe più che raddoppiare entro il 2050 e più che triplicare entro il 2100. Il “vecchio continente” europeo lo diverrà sempre più. L’URBANIZZAZIONE La popolazione cresce, invecchia e si concentra sempre progressivamente in aree arbane: saranno queste a competere addirittura con gli Stati quali motori e catalizzatori di sviluppo. Le megalopoli (città che superano i 10 milioni di abitanti) passeranno dalle 23 del 2015 alle 40 del 2030. La popolazione urbana supererà i 6 miliardi entro il 2045, rispetto ai 3,9 miliardi del 2014. LE MIGRAZIONI La crescita della popolazione mondiale nel complesso deriva in gran parte dai Paesi a più basso reddito. Questo comporterà un’ondata migratoria senza precedenti nella storia, di cui ora vediamo solo gli inizi. La proiezione dell’ONU del tasso netto di migrazione dai Paesi in via di sviluppo a quelli sviluppati, prevede lo spostamento annuale di circa 2,4 milioni di persone dal 2009 al 2050. L’EMPOWERMENT INDIVIDUALE Lo sviluppo delle tecnologie e la facilità di un accesso diffuso

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aumentano notevolmente il “potere dell’individuo”, il cosiddetto empowerment. La globalizzazione digitale apre alle persone potenzialità mai sperimentate nel corso della storia, che pone anche rilevanti problemi di sicurezza. Si pensi agli attacchi cibernetici, che stanno rivoluzionando i modelli di sicurezza di persone, imprese e interi Stati. IL CAMBIAMENTO CLIMATICO Il riscaldamento globale, insieme alla crescita della popolazione, è l’altro megatrend capace di creare una pericolosa frattura di sistema su scala globale. E’ la sfida delle sfide per l’umanità intera. Perché in uno scenario di invarianza di assetti tecnologici, economici e ritmi di sviluppo, il cambiamento climatico, combinato soprattutto con l’evoluzione demografica, rende sempre più difficile sia il rapporto equilibrato e sostenibile con l’ambiente, sia l’approvvigionamento delle risorse naturali necessarie per soddisfare le esigenze di crescita della popolazione mondiale. In questo ambito il 2015 ha segnato un importante sorpasso: l’energia prodotta da fonti rinnovabili, per la prima volta nella storia, ha superato quella prodotta da fonti fossili, le principali responsabili dei gas serra. Questa è una strada lunga, da percorrere concretamente e proattivamente attraverso il rispetto multilaterale degli accordi di cooperazione sul clima, come quelli stipulati di recente a Parigi tra circa 200 Paesi. In definitiva, sono stati delineati alcuni dei principali megatrends di quello che abbiamo definito l’”ecosistema del cambiamento” del XXI Secolo: la sua conoscenza è fondamentale per ogni impresa, per sfruttarne le opportunità e allontanarne le minacce, per creare valore preservando e sviluppando vantaggi competitivi sostenibili nel medio-lungo periodo.


IL FUTURO CHE CI ATTENDE

L’approccio strategico alla revisione costante del business

L’

di Carlo Tortolini e Roberto Campione - Management Academy Sida Group Area Ristrutturazione del business

intervento si snoda essenzialmente in tre distinte, seppure collegate, fasi. La prima consiste nel diagnosticare se l’azienda manifesti tuttora presupposti di redditività e se esistano valori da salvaguardare e rilanciare; nella seconda fase si andranno invece ad individuare i campi di potenziamento e di recupero della redditività. Il terzo momento, infine, è dedicato a “ridisegnare” il business. L’attività di studio e di ricerca passa attraverso l’analisi di determinati elementi, quali volume del prodotto, portafoglio prodotti, portafoglio clienti, portafoglio-redditività delle aree o zone geografiche di vendita, canali e forze vendita, redditività dei diversi business di cui si compone l’attività,

il tutto attraversato dal criterio delta normalizzazione e semplificazione. Il secondo momento della ricerca attiene alla revisione della strutturazione dei costi fissi, che dovrebbe essere correlato al nuovo disegno, sia produttivo che strumentale alla nuova attività aziendale, tenendo conto della quantità e qualità dei business (ricerca da realizzarsi attraverso l’analisi del zero budgeting). Ad esso va accompagnata la ricerca di economie sui costi variabili (utilizzando l’analisi del valore). Lo strumento base in questo processo è il margine di contribuzione. Una particolare attenzione deve essere rivolta al prezzo, poiché generalmente un’attenta determinazione produce un miglioramento medio della redditività del 25 per cento, tenendo presente che il 65 per cento delle aziende, mediamente, non adotta i giusti criteri

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per la determinazione dello stesso. Va pertanto ridimensionato e ridisegnato il business in termini di struttura di margine di contribuzione, a in termini complessivi che percentuali, e delineata la nuova struttura dei costi fissi. Rivisitata quantitativamente e qualitativamente la struttura economica dei ricavi e dei costi, si configura il nuovo progetto di business, che presuppone l’obiettivo prospettico dell’economicità: Σ ricavi - Σ costi = risultato positivo Nel fare tutto questo si individuano le linee su cui ricomporre ed orientare il nuovo flusso dei ricavi e dei costi ad esso correlati, soddisfacendo il principio della funzionalità. Si individuano di conseguenza le azioni da compiere per ristrutturare

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IL FUTURO CHE CI ATTENDE la parte economica aziendale. Va poi posta una particolare attenzione al ridimensionamento degli impieghi, delle attività o degli assets, per vedere quali risultano esuberanti e quali invece potenziare in questo nuovo disegno di struttura economica. A quelli esuberanti - che individueremo come fonti - si potrà fare ricorso, attraverso un progetto di smobilizzo, per finanziare eventuali potenziamenti (nuovi investimenti strutturali). Talvolta una strategia di rilancio passa attraverso un ridimensionamento della dimensione del business (fatturato o valore prodotto) ed un conseguente ridimensionamento del totale degli impieghi, sia fissi (immobilizzazioni materiali ed immateriali) che circolanti (clienti, magazzino). Spesso si ricorre ad operazioni di cessione di assets immateriali, attraverso alienazioni di rami d’azienda e/o concessioni di licenze o di altri valori immateriali. Questa strategia mira a riequilibrare il rapporto del totale investito con la dimensione del fatturato. La riduzione degli impieghi comporta, conseguentemente, una riduzione del fabbisogno finanziario, con un conseguente miglioramento del rapporto tra le fonti di terzi e i mezzi propri. Talvolta, e soprattutto in situazioni come quella attuale di sottoutilizzo di capacità produttiva, non si rendono più necessari spazi (immobili), impianti, macchinari, attrezzature o comparti di business, non più profittanti né strategici. Una riduzione del fatturato comporta un minore impiego di circolante (magazzini, crediti di clienti) e un miglioramento del margine di contribuzione, con conseguenti ricadute interessanti sul miglioramento della redditività dell’attività economica. Ridisegnati il business e la struttura patrimoniale aziendale, va successivamente verificato che il progetto si presenti fattibile finanziariamente.

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Quando le azioni sulla struttura economica e patrimoniale non sono sufficienti a riequilibrare il momento finanziario si dovrà ricorrere ad operazioni esterne di ricerca di nuovi mezzi propri (nuovo capitale di rischio), attraverso l’allargamento della base sociale con l’eventuale inserimento di nuovi partner. Ciò significherà eventualmente rivedere la composizione dell’organo di controllo e conseguentemente la struttura della governance (processo decisionale). A supporto di questa strategia finanziaria c’è la rimodulazione del debito, ovvero lo spostamento dell’indebitamento a breve, a medio e a lungo termine (extragiudizialmente o giudizialmente). Quando anche questa soluzione non risulti sufficiente, si dovrà ricorrere ad operazioni di sospensione e stralcio di debiti verso terzi, da realizzarsi o in modo concordatario col ceto creditizio, oppure in via giudiziale (concordato preventivo). L’operazione di ridisegno della struttura patrimoniale e finanziaria futura, dati i tempi di realizzo, può talvolta comportare la scissione della parte aziendale “cattiva” (bad) destinata alla liquidazione - da quella “buona”, che a sua volta andrà a raccogliersi nella nuova società. A questo riguardo si utilizzano procedure extra-giudiziali o giudiziali. Nell’elaborare il progetto di ristrutturazione si configurano due tipi di strategie: una di breve periodo e una di medio/lungo periodo. La prima strategia mira al riequilibrio, veloce, dei livelli di fatturato, che consentono un rapido riequilibrio economico e la riconquista del valore aziendale: si tratta di azioni dirette a predisporre operazioni finanziarie di futuro sostegno per la realizzazione del nuovo progetto (credito, capitale di rischio). La strategia di medio e lungo periodo, invece, presenta caratteristiche di

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radicale ristrutturazione e radicale cambiamento ed è diretta a riprendere il cammino della crescita. La velocità e l’efficacia operativa - che rappresentano gli strumenti di successo dell’operazione di risanamento, ristrutturazione e rilancio aziendale dipendono dalla professionalità delle risorse a cui viene affidato l’incarico di tale progetto. Il ridisegno della governance e del management diventa fondamentale per risanare, ricostruire e rilanciare l’azienda. Tutto il processo delle attività, avente natura straordinaria, dovrà essere gestito attraverso un piano economico e finanziario (piano strategico o piano industriale). La funzione strategica aziendale dovrà essere rivitalizzata e/o potenziata. Le azioni e le decisioni dell’azienda, nelle sue attività di spesa e di ricavo, nonché di investimento e di attività finanziaria, ricomprese in un piano strategico di breve/medio periodo, dovranno essere sottoposte ad un’attività costante di controllo e revisione (DACA). Esistono risorse capaci di gestire questi cambiamenti, per l’utilizzo delle quali la proprietà deve prendere consapevolezza della nuova situazione, agendo e combinando il modo di esercitare il suo nuovo ruolo. Laddove non vi sia sufficiente energia o capacità di realizzare il cambiamento sul piano comportamentale, si dovrà pensare a ricomporre, implementare o delegare la funzione di comando. Talvolta la dissociazione dell’attività di comando (padrone) con l’attività di management (cocchiere) può risultare efficace nel portare al successo il nuovo progetto. Non dimentichiamo la nuova struttura aziendale (la carrozza), né i cavalli (la qualità delle risorse umane deputate a tirare la carrozza stessa), a cui dovrà essere riservata un’attività di revisione e di riprogettazione pianificata.


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Innovazione digitale e ICT tra applicazioni e formazione di Fabio Di Giulio

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e considerazioni che seguono nascono da una ricerca condotta dalla Fondazione CFM – Centro Formazione Manageriale di Ancona e dai convegni successivamente organizzati da questa. Lisbona 2000 ed Europa 2020: “L’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Tra i capisaldi della strategia del 2000 e tra gli obiettivi del 2020 innovazione, capitale umano e la qualificazione del lavoro, investire nelle persone e modernizzare i mercati del lavoro, investire nella conoscenza e nell’innovazione, liberare il potenziale delle imprese in particolare delle PMI. Un’Europa del 2020 con iniziative quali “Unione dell’innovazione, “Youth on the move; l’agenda europea del digitale; un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse; una politica industriale per l’era della globalizzazione; l’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro”. Business Intelligence, big data, interoperabilità, domotica e ambient intelligence, e-care, Internet of Things sono solo alcune delle parole chiave analizzate, utilizzate e ed esplorate all’interno del più ampio contesto online, mondo digitale e Communication Technology.

Anche le recenti note della Commissione Europea in materia e i rapporti del Ministero dello Sviluppo Economico e degli Osservatori IT si concentrano su alcuni principali set di indicatori quali eSupply, eUse, eNet, eKnow-How al fine di generare indici di conoscenza e misurabilità di servizio, prodotto e processo all’interno dell’esplorato e inesplorato panorama della comunicazione e della tecnologia digitale. Terminologie quali “Neodata”, BDA (Big Data Analytics), IoT (Internet of Things), EDI (Electronic Data Interchange), Open Digital Innovation nel corso degli ultimi anni si sono insinuate all’interno delle dinamiche strategiche e decisionali delle realtà aziendali e delle pubbliche amministrazioni nazionali e internazionali, e più semplicemente, nella nostra vita. Non costituiscono astrazioni o semplici acronimi, ma una sorta di “terza rivoluzione industriale del dato”, e della Information Technology in senso lato, nelle più conosciute sue caratteristiche le 3V di Volume, Velocità, Varietà. Il nostro, più dei precedenti, risulta essere il secolo delle interazioni e delle correlazioni, il secolo dei collegamenti e delle reti, il secolo delle strutture e delle infrastrutture, dei dispositivi mobile e dello scambio, sempre e in maggior parte real time, di dati grezzi e di input che i modelli e i sistemi di Business Data Analytics e di Business Intelligence

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si prefiggono di leggere, aggregare e interpretare al fine di trasformare quello che potremmo definire uno stream of consciousness dei dati in flusso di informazioni strutturate. La difficoltà maggiore nella gestione e integrazione di quantità quasi non misurabili di dati così eterogenei per struttura, forma e contenuti risulta la creazione di algoritmi e modelli di analisi in grado di poterli interpretare e organizzare con un obiettivo primario che a distanza di secoli risulta essere paradossalmente sempre quello enunciato nel ‘600 da Galileo Galilei: “Misurare ciò che è misurabile e rendere misurabile ciò che non lo è” e, ci permettiamo di aggiungere, ciò che “sembra non esserlo”. Ma a chi l’onere e l’onore di vivere nel mondo hi-tech, di esserne protagonista e non solo spettatore? Sicuramente a figure formate che possano acquisire competenze di ampio spettro e puntuali, che siano in grado di estrarre dalla visione d’insieme il loro punto di vista e rendere quest’ultimo una specializzazione che generi prodotti, servizi e conoscenza ad alto valore aggiunto. Tale processo formativo deve tener conto dell’intera sfera inerente il digitale e all’innovazione soprattutto di processo, deve parlare di interoperabilità tra sistemi e tra dati, deve saper esplorare e conoscere i nuovi sistemi di telecomunicazione e comunicazione, del digital e del 3.0, del mondo legato al mobile device e alla

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IL FUTURO CHE CI ATTENDE connettività secondo i principi di: Il “Know what” sapere cosa Il “know why” sapere perché Il “know who” sapere chi Il “Know how” sapere come (BengtÅke Lundvall e Björn Johnson, nel 1994). L’approccio ICT è quello ai dati, agli open data, all’informatica e ai sistemi e ai servizi digitali, al mondo dei database relazionali e del CRM – Customer Relationship Management e Social Customer Relationship Management 3.0, al mondo del clouding e dell ICT security, al mondo delle Smart Solutions e delle Smart Communities, del Digital Living e del Networking Engineering. “L’innovazione richiede una mentalità che rifiuta la paura del fallimento e sostituisce quella con la gioia di esplorazione e di apprendimento sperimentale” – Eduard D. Hess. Stiamo vivendo una fase di sviluppo in cui la conoscenza scientifica e le risorse umane rappresentano fattori di crescita strategici, oggi vi è un legame stretto tra i processi di apprendimento, innovazione e cambiamento. Occorre evidenziare che per introdurre delle innovazioni sono necessarie: 1. nuove conoscenze 2. competenze tecniche e organizzative 3. sviluppo di processi di apprendimento tra i professionisti sia collettivi che individuali. Quindi i prossimi passi devono essere orientati a favorire lo sviluppo di “competenze digitali” dei professionisti dei vari sistemi per migliorare i processi di trasformazione e aumentare l’efficienza nell’uso delle strutture distributive e per offrire ai cittadini servizi e prodotti innovativi e più efficienti in un’ottica di “cost saving” significativo. Sviluppare “competenze digitali” significa sviluppare “capacità di utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione:

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l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet” (Unione Europea, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE2). La competenza digitale è caratterizzata da 3 dimensioni: • Cognitiva • Tecnologica • Etica quindi tale competenza è legata alle capacità di rapportarsi al contesto di vita (mantenere capacità critica rispetto alle informazioni e alle opinioni, saper affrontare le situazioni problematiche), gestire gli eventi del divenire (essere capaci di accogliere i cambiamenti derivanti dall’innovazione tecnologica) ed essere soggetto sociale (essere parte di una comunità ed interagire). Per affrontare questo cambiamento è opportuno allineare all’investimento in tecnologie un adeguato investimento in cultura e competenze quali: • Competenze di base, alfabetizzazione, e-inclusion • Cultura digitale, utilizzo dei servizi, e-gov • Competenze informatiche/digitali trasversali / e-leadership • Competenze professionali specialistiche per professionisti e futuri professionisti ICT Tali competenze risultano essere necessarie per immaginare, proporre, promuovere e animare l’innovazione nelle organizzazioni aziendali. Le competenze da sviluppare non sono soltanto digitali, ma devono incrociare diverse altre discipline, tipiche delle figure di vertice (e-leader) che siano in grado di patrocinare, sostenere, stimolare l’atteggiamento collaborativo e innovativo che sottende al cambiamento organizzativo per il

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miglioramento della qualità e della sicurezza delle cure. L’obiettivo finale deve essere la diffusione di una cultura digitale attraverso interventi di formazione specifici per le varie figure professionali, con l’obiettivo di sviluppare il saper fare tecnologico, che investe gli strumenti del lavoro quotidiano e soprattutto l’essenziale elemento della programmazione e gestione della sicurezza operativa e del dato nei sistemi aziendali. Questo sarà possibile attraverso percorsi di allineamento che consentano di ricondurre anche le competenze digitali dei settori aziendali nel quadro dei framework europei di definizione delle competenze così da allineare il percorso italiano al percorso europeo dell’Agenda digitale. La tecnologia e l’informatica sono lo strumento su cui è possibile ridisegnare le organizzazioni aziendali, per renderle più performante da tutti i punti di vista: • migliorano i servizi e i prodotti per il cittadino, • riducono i costi e gli oneri di gestione dell’attività aziendale. Si stima che una profonda digitalizzazione del sistema economico, supportata da un coerente piano di formazione, oltre ai vantaggi pratici per i cittadini, porterebbe risparmi significativi e rilevanti, derivanti da soluzioni tecnologiche. Quindi è necessario garantire lo sviluppo di «competenze digitali» adeguate nell’ambito del percorso formativo complessivo (pre-laurea, post laurea, formazione continua). Per fare tutto ciò il primo passo da fare è di identificare le aziende dei vari settori dell’economia italiana come learning organization che riconoscono nella formazione continua e nel miglioramento della competence professionale i determinanti fondamentali per migliorare la qualità dell’attività economica fino a raggiungere l’eccellenza.


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Il ruolo della formazione di Luca Masieri - Management Academy Sida Group Area Formazione

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ggigiorno le aziende devono affrontare i risultati di una crisi di portata storica, strutturale, ignota per durata e caratteristiche. Questa crisi e’ legata soprattutto: • Alla concorrenza prepotente • All’internazionalizzazione dei mercati sempre più imponente • Alla difficoltà di reagire applicando le leve tradizionali, ormai obsolete • All’intensità della competizione che si è ormai radicata in ogni branca del sistema economico Queste criticità spingono le aziende a doversi costantemente migliorare dando sempre maggiore qualità al proprio “sistema di offerta”. La via d’uscita passa attraverso molteplici elementi che vanno dallo sviluppo di una cultura della qualità a nuove modalità di gestione fino all’introduzione di nuove professionalità innovative, con l’obiettivo di un salto qualitativo nelle performance del sistema (servizio, costo, produttività, qualità) del + 30/40% rispetto alla tradizione. Nel momento in cui il sistema organizzativo-manageriale diventa il principe dei fattori differenziali, dive-

nuti indispensabili all’accrescimento della competitività, le risposte strutturali da sviluppare devono: • Contare sulle spinte verso il cambiamento (vision e organizzazione); • Trasformare la logica gestionale dal “sistema deterministico” (one-best-way) al “sistema discrezionale” (imparare ad imparare); • Stimolare la gestione integrata; • Diffondere i principi di “lean organization” • Focalizzare l’attività sulla soddisfazione del cliente e, dunque, sulla gestione dei processi. Il tutto attraverso una gestione che si basa sulla capacità di un reale apprendimento collettivo e sulla diffusione di nuove professionalità, che operano nella re-ingegnerizzazione dei processi e delle infrastrutture organizzative, nel change management, nella gestione strategica del costo e del prezzo. Capacità che vedono proprio nella formazione una delle leve strategiche prioritarie per l’azienda e nel know-how esterno all’impresa, specie consulenziale, uno degli strumenti imprescindibili per un simile compito. Tale sforzo di crescita e sviluppo culturale collettivo richiede investimenti, esperienze, programmi e formatori/consulenti esperti.

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Il segreto sta nella realizzazione estesa e nella rapida diffusione della nuova professionalità richiesta, sia con l’uso di nuove tecniche organizzative e formative, sia mediante un radicale intervento culturale. La condizione indispensabile per il successo di questo nuovo impianto è rappresentata dalla reale capacità di apprendimento delle risorse umane che vivono il sistema economico contemporaneo. Per svilupparne l’efficacia e l’efficienza, bisogna conoscere come dotare il riassetto organizzativo e come formare le nuove figure professionali richieste dal mercato. La combinazione di questi procedimenti esige esperienza, cultura e predisposizione all’apprendimento. Senza contare che i mutamenti di enorme impatto richiedono qualcuno che sappia “cosa fare” e che sia in grado di mostrare “come farlo”. In conclusione, formazione e consulenza possono diventare fattori strategici di sviluppo e innovazione. La differenza significativa per il raggiungimento di reali vantaggi sta nella capacità di gestire e valorizzare le risorse umane e questo può avvenire solo attraverso la formazione, volta a un miglioramento e un aggiornamento costante di conoscenze e competenze.

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L’azienda irresistibile di Giada Cappelletti - Management Academy Sida group Area Risorse Umane

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a performance di una risorsa all’interno di un sistema organizzativo, rappresenta un insieme di fattori che si sviluppano sulla scia di “input stimolatori” che l’organizzazione stessa è capace di fornire alla persona. Per input stimolatori intendiamo l’insieme di tutti quegli elementi PSICOSOCIALI quali: il clima aziendale, la fiducia ed il senso di appartenenza al gruppo, i processi di autorealizzazione, il relativo prospetto di un piano di carriera adeguato alle proprie skills ed alle proprie attitudini definibile oggi nei termini dell’MBO (Management by Objectives) e la motivazione della persona al successo. Lavorare full-time implica possedere un certo “aurosal” cognitivo ed un’energia psicofisica assai notevole, al fine di poter affrontare e soddisfare tutte quelle performance che il management richiede. In una prospettiva in cui ci troviamo a lavorare all’interno di un contesto organizzativo che “ci piace”, sicuramente i sentimenti come frustrazione, stress ed affaticamento psicofisico vengono percepiti in misura minore dall’individuo.

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La curiosità sorge spontanea: quale azienda piace alla nostra mente ? L’ azienda che stimola gli aspetti cognitivi, psicologici e sociali del sistema persona attraverso input stimolatori positivi. A ciò, si somma la consapevolezza da parte dell’imprenditore e delle risorse umane dell’azienda, del fatto che il coinvolgimento e l’impegno del personale si può ottenere e sviluppare attraverso l’insieme di elementi e di fattori che contribuiscono a migliorare ed incoraggiare la qualità complessiva degli ambienti lavorativi. Prima di entrare nello specifico delle varie componenti che caratterizzano l’azienda che “piace” alla nostra mente, è opportuno fare riferimento ai principi della scuola gestaltica. Se i fondamenti della psicologia della Gestalt stabiliscono che il “tutto è il più della somma delle singole parti”, è dunque estremamente fondamentale capire il tipo di percezione cognitiva che è dietro ciascuna persona che vive all’interno di un sistema organizzativo complesso. Nel comportamento della persona, infatti, è possibile rintracciare il modo in cui viene percepita la realtà, che differisce dalla realtà oggettiva. A maggior ragione, una

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comprensione olistica dei sistemi influenzanti la mente delle risorse operanti in azienda risulta essere di fondamentale importanza. • Il primo input stimolatore di potenziale delle risorse operanti all’interno di un’organizzazione è il clima aziendale. Il clima rappresenta la qualità dei rapporti interpersonali interni ed è allo stesso tempo l’indice identificativo dell’efficienza e dell’efficacia delle risorse. Un clima che piace alla nostra mente e che, di riflesso, ci permetterà di essere profili attivi, motivati e coinvolti nel processo aziendale è dunque quel clima che soddisfa i bisogni del personale e mantiene alta la qualità delle relazioni tra individuo e management aziendale; tra individuo e lavoro che svolge; tra individuo e colleghi in azienda. Quanto più lo scarto tra clima realmente percepito dal lavoratore e le sue aspettative in merito è maggiore, tanto più si genera delusione, mancanza di motivazione, bassa appartenenza al gruppo e dunque performance scarse. Diversamente, se lo scarto tra clima realmente percepito dal lavoratore e sue aspettative è minimo, tanto


IL FUTURO CHE CI ATTENDE più si genererà soddisfazione al lavoro, appartenenza ad un gruppo e prestazioni lavorative eccellenti. Il clima che ci piacerebbe aspettare all’interno di un contesto organizzativo si caratterizza dunque dal coinvolgimento calibrato della persona nelle varie attività, dalla coesione tra i vari colleghi, dal controllo del management sulle risorse, affinché non vivano uno

Il senso di appartenenza al gruppo organizzativo non deve essere inteso dal punto di vista amministrativo, bensì dal punto di vista emotivo e psicologico. Nessuna azienda riesce ad imporre ai propri dipendenti l’appartenenza ad un sistema. Può, invece, creare le condizioni per cui ci si possa sentire “liberi di appartenere”. Se il senso di appartenenza ad un contesto è incisivo, ciascun

stato abbandonico, dal supporto dei superiori, dal giusto livello di autonomia affidato a ciascuno, da una adeguata distribuzione dei compiti e relativo orientamento al compito al fine di raggiungere gli obiettivi assegnati in partenza, chiarezza nella comunicazione verbale e non verbale, innovazione continua in ogni processo lavorativo e comfort fisico. • Il secondo input stimolatore aziendale che affascina la nostra mente è rappresentato dal senso di appartenenza al gruppo e la fiducia riposta in noi stessi e negli altri componenti.

dipendente riuscirà a “sentire sua” quella azienda, perché ne condividerà non solo la vision, la mission e cultura ma anche gli aspetti psico-emotivi. Si sviluppa a sua volta il senso di fiducia in sé stessi e nell’ altro: il collega che si auspica il nostro aiuto, il collega che insieme a noi costituisce una “union” produttiva, il collega che stima il nostro operato. • Il terzo input aziendale stimolatore, per cui la nostra mente risulta essere letteralmente catturata, è dato dalla autorealizzazione, ovvero il compimento di un processo di soddisfazione dei propri bisogni.

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Solo quando la persona è soddisfatta dal punto di vista fisico; delle relazioni interpersonali; della conciliazione della propria personalità con la propria professionalità, secondo i principi di Maslow, può dirsi veramente felice. E’ irresistibile per la nostra mente un’azienda che prospetta un piano di carriera personale, basato su politiche retributive premianti il raggiungimento di obiettivi stabiliti e dunque spinge costantemente la persona a voler raggiungere il successo. Piano di carriera ad hoc per ciascun dipendente ed incentivazione della motivazione personale al successo, sono il quarto ed il quinto dei sistemi di stimolazione aziendali. Entrambi sono costrutti collegati tra loro ed indicano la realizzazione piena del proprio potenziale. Un imprenditore può solo che gioire della presenza di dipendenti attivi, volti al miglioramento continuo della propria prestazione e raggiungimento di mete prefissate attraverso il centramento degli obiettivi. In ambito organizzativo, è possibile aumentare la motivazione al successo delle persone, attraverso nuovi sistemi di outdoor training a carattere incentivante abbinati a sessioni di coaching aziendale. Ci accorgeremo in questo modo che le risorse desidereranno raggiungere l’eccellenza professionale, avranno voglia di ricercare obiettivi sfidanti e lavoreranno con maggior impegno quando si aspetteranno di ottenere riconoscimenti per lo sforzo generato. In conclusione… Abbiamo finalmente voglia di inviare un nostro CV ad un’azienda irresistibile come questa appena descritta e che attrae inevitabilmente la nostra mente e stimola giorno dopo giorno il potenziale del nostro cervello? Indubbiamente sì.

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La politica del pricing di Fabrizio Passamonti - Management Academy Sida Group Area Fiscale Societaria

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uesta serie di articoli si propone di analizzare l’articolata problematica del pricing, la leva più potente per incrementare i profitti, proponendo di volta in volta esempi illustrativi tratti da casi aziendali, allo scopo di meglio chiarire le valutazioni e le conclusioni presentate. C’E’ DIFFERENZA TRA PREZZO E VALORE? A prescindere dalla modalità di calcolo del prezzo di vendita, vogliamo far notare che in un determinato istante di tempo e luogo il prezzo riflette tutte le componenti del mercato che hanno portato alla realizzazione di quel prodotto o servizio. Dietro quella semplice cifra supponiamo di trovare il costo delle materie prime, il costo del lavoro, le spese per la pubblicità, la ricerca, il packaging, la rete vendita, il trasporto, il margine di guadagno per l’azienda e quant’altro. Nel prezzo troviamo però in qualche modo conteggiati anche aspetti immateriali, come il rischio sostenuto dall’imprenditore o concetti economici più sofisticati, come l’elasticità della domanda e la penetrazione nel mercato relativa all’offerta. Insomma, il prezzo dovrebbe rappresentare nel modo più completo possibile il valore di un bene. A nostro parere, per qualsiasi tipo di prodotto o servizio, è di fatto

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impossibile definire un prezzo che possa essere considerato da tutti ed in modo assoluto, rivelatore del reale valore. Per un motivo molto semplice: il valore è un elemento altamente soggettivo, mentre il prezzo è una misura certa e definita. E’ opportuno quindi prendere coscienza che non potremo mai nella nostra azienda stabilire, per uno specifico prodotto/servizio, un prezzo che possa essere valutato come equo e quindi accettato da tutti i nostri potenziali clienti. Diventa perciò strategico capire, ma soprattutto misurare, quale è il valore che il nostro cliente riconosce per il nostro prodotto/servizio e fare in modo che il prezzo rifletta il più possibile questa percezione. Il meccanismo istintivo ed automatico che si innesca in ogni nostro cliente, o più precisamente, in ciascuna classe omogenea di clientela, è quello di confrontare il prezzo con il valore percepito ed attribuito al nostro prodotto. L’acquisto scatta solo se da tale comparazione vi è piena soddisfazione. Come fare, allora, per accontentare con un equo prezzo tutti i nostri clienti e quindi vendere di più? Ma soprattutto, come possiamo amplificare il valore di un determinato prodotto o servizio per renderlo più desiderabile agli occhi del cliente e decidere magari di aumentarne il prezzo di vendita?

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A nostro parere è necessario quindi che il management aziendale attui un modello rigoroso di identificazione del valore percepito dai propri clienti al fine di escogitare nuove combinazioni di valore per i suoi beni. I principali elementi di valore, attribuibili a un qualsiasi prodotto/ servizio, possono oggi essere suddivisi in quattro categorie, così denominate: funzionali, emozionali, life-changing e ad alto impatto sociale. Alcuni elementi del valore, soprattutto quelli funzionali (ne citiamo ad esempio alcuni: qualità percepita, risparmio di tempo, semplicità di uso, varietà, attrattività sensoriale), sono sicuramente molto importanti in quanto rappresentano la dotazione di base, senza la quale il nostro prodotto probabilmente non avrebbe alcuna chance di competere nel mercato. Ma il valore maggiore per avere un prodotto/servizio di successo, risiede nelle caratteristiche emozionali (ad esempio: valore simbolico, autogratificazione, design, nostalgia) ed ancora di più in quelle che abbiamo definito life-changing (ad esempio: speranza, autorealizzazione, affiliazione/appartenenza), per arrivare ai massimi nei valori assimilati all’autotrascendenza (esempio: moralità, beneficenza, equità sociale, ecologia). Nella prossima puntata svilupperemo ulteriormente questo modello di creazione del valore.


NOVITÀ FISCALI

Legge di stabilità ed industria 4.0 Le novità fiscali 2017

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di Roberto Antonella - Management Academy Sida Group Area Fiscale Societaria

a legge di Stabilità 2017 ha introdotto diverse novità sul piano fiscale che possono rappresentare opportunità di sviluppo e rilancio per l’economia italiana. Nel prosieguo si illustrano i principali provvedimenti: Super ammortamento – proroga del super ammortamento per gli investimenti effettuati fino al 31.12.2017 o al 30.06.2018 se si riferiscono ad ordini accettati dal fornitore entro il 31.12.2017 e che entro la stessa data sia avvenuto il pagamento di un acconto pari ad almeno il 20%. Iper ammortamento – introduzione di un iper ammortamento pari al 150% del costo fiscale del bene ammortizzabile. I beni agevolati sono quelli finalizzati a “favorire processi di trasformazione tecnologica e digitale secondo il modello industria 4.0” e sono individuati analiticamente in una tabella allegata alla Legge. Software – il super ammortamento (costo fiscale maggiorato del 40%) viene esteso ai software purchè gli stessi siano collegati ad investimenti per cui si possa usufruire dell’iper ammortamento. Credito d’imposta R&S – le novità riguardano la proroga dell’agevolazione fino al 2020, l’aumento dell’importo massimo annuale di cui ciascun beneficiario può usufruire che sale da 5 milioni a 20 milioni e l’aumento dell’aliquota agevolativa al 50% per tutte le tipologie di spese. Sabatini ter – proroga fino al 2018 della “Nuova Sabatini” che agevola i finanziamenti per l’acquisto di

macchinari attraverso un contributo a coperturadegliinteressisuifinanziamenti bancari per gli investimenti realizzati. Rivalutazione dei beni d’impresa – possibilità per le società di capitali di rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni con la sola esclusione dei beni merce, come risultanti dal bilancio al 31/12/2015. Sui maggiori importi occorre versare l’imposta sostitutiva del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per quelli non ammortizzabili. Detrazioni – sono prorogate al 2017 le detrazioni sulle ristrutturazioni edilizie nella misura del 50% fino a 96.000 Euro di spesa, la detrazione per il risparmio energetico nella misura del 65% ed il bonus mobili (detrazione del 50%). Interventi antisismici – introdotta una detrazione che varia dal 50% all’80% della spesa sostenuta per il miglioramento antisismico degli edifici. L’agevolazione spetta per le spese sostenute dal 01/01/2017 al 31/12/2021 e l’intensità dell’agevolazione aumenta in base alla classe di rischio sismico su cui si interviene. Aliquote IVA – è rinviato al 01/01/2018 l’aumento delle aliquote IVA dal 10% al 13% e dal 22% al 24%. Regime di cassa – i contribuenti in contabilità semplificata a partire dal 01/01/2017 verranno tassati in base al principio di cassa in luogo del principio di competenza. Il reddito viene determinato in base ai ricavi effettivamente percepiti ed alle spese effettivamente sostenute. Start up innovative – Rafforzate le agevolazioni fiscali per chi investe in start up innovative. La detrazione fiscale

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per gli investimenti in start up innovative passa dal 19% al 30% e l’investimento massimo aumenta da 500.000 Euro a 1.000.000 di Euro. Le aziende sponsor delle start up potranno inoltre assorbire le perdite delle nuove PMI. Premi di produttività – prevista una tassazione fissa al 10% per premi di produttività fino a 3.000 euro, elevabile a 4.000 euro in caso di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione del lavoro. IRI – viene introdotta la nuova Imposta sul Reddito d’Impresa con aliquota del 24% che sostituisce le aliquote progressive Irpef. L’IRI viene applicata sugli utili trattenuti presso l’impresa per gli imprenditori individuali e le società in nome collettivo ed in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria. INPS – a partire dal 01/01/2017 l’aliquota contributiva per i professionisti iscritti alla Gestione separata INPS scenderà dal 27 al 25 per cento. Gruppo IVA – Dal periodo d’imposta 2018 due o più imprese giuridicamente indipendenti, ma legate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi potranno operare come un unico soggetto passivo IVA. Terreni e partecipazioni – riaperti i termini per la rivalutazione di terreni e partecipazioni non quotate detenute da persone fisiche alla data del 01.01.2017. Assegnazione agevolata – sono prorogati fino al 30.09.2017 i termini per l’assegnazione o la cessione di taluni beni ai soci e l’estromissione di beni immobili dal patrimonio dell’impresa da parte dell’imprenditore individuale.

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NOVITÀ FINANZIARIE

Novità finanziarie di Antonio Morano Management Academy Sida Group Area Corporate Finance

NUOVA SABATINI Grazie allo stanziamento di nuove risorse per complessivi 560 milioni di euro contenuto nella Legge di Stabilità 2017, con decorrenza 2 gennaio è stato riaperto lo sportello della Nuova Sabatini. La legge prevede un contributo pari all’ammontare complessivo degli interessi calcolati in via convenzionale su un finanziamento al tasso d’interesse del 2,75% della durata di cinque anni e d’importo equivalente al predetto finanziamento. Una delle modifiche più rilevanti apportate alla misura è la previsione di un contributo maggiorato del 30% per gli investimenti in macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica aventi come finalità la realizzazione di investimenti in tecnologie, compresi gli investimenti in big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 4D, Radio frequency identification (RFID) e sistemi di tracciamento e pesatura dei rifiuti, al fine di favorire la transizione del sistema produttivo nazionale verso la manifattura digitale e incrementare l’innovazione e l’efficienza del sistema imprenditoriale. FONDI DI GARANZIA Dal 27 gennaio 2017 sono entrati in vigore in vigore nuovi criteri di criteri di accesso per le Pmi fornitrici ovvero creditrici di società in amministrazione straordinaria che gestiscono stabilimenti industriali di interesse

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strategico nazionale cui sono destinati € 35.000.000,00 delle risorse del Fondo. Per le PMI beneficiarie le nuove disposizioni prevedono, tra l’altro, la concessione della garanzia a titolo gratuito e fino all’80% (sia per la garanzia diretta sia per la controgaranzia) per tutte le tipologie di operazioni, l’adozione della delibera in via prioritaria (entro trenta giorni dall’arrivo della richiesta o dal completamento della stessa), l’utilizzo di parametri di valutazione più favorevoli (riduzione del 20 per cento dei valori di riferimento di ciascun indice, nonché dei valori intermedi per l’assegnazione dei punteggi). Le modifiche relative ai criteri di valutazione sono applicate per un periodo non superiore a dodici mesi dalla loro entrata in vigore. Sono, inoltre, entrate in vigore misure a favore delle zone colpite dagli eventi sismici del 2016 a valere sull’intervento del Fondo di Garanzia per le Pmi. Per la durata di tre anni alle micro, piccole e medie imprese ubicate nei territori colpiti dagli eventi sismici e che abbiano subito danni in conseguenza di tali eventi, l’intervento del Fondo di Garanzia è concesso: • a titolo gratuito e con priorità di istruttoria e delibera sugli altri interventi; • per un importo massimo garantito per singola impresa di € 2,5 milioni; • secondo percentuali di copertura definite come segue: • per gli interventi di garanzia diretta, la percentuale massima di copertura è pari all’80 per cento dell’ammontare di ciascuna operazione di finanziamento;

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• per gli interventi di controgaranzia, la percentuale massima di copertura è pari al 90 per cento dell’importo garantito da confidi o da altro fondo di garanzia, a condizione che le garanzie da questi rilasciate non superino la percentuale massima di copertura dell’80 per cento. Le predette misure sono riservate alle imprese ubicate nei Comuni di cui all’art. 1 del decreto del 17 ottobre 2016. In deroga alle normali regolamentazioni, tra i soggetti beneficiari finali sono comprese anche le imprese esercenti l’attività agricola, anche per operazioni di Garanzia Diretta e operazioni di Controgaranzia presentate da soggetti richiedenti diversi dai Confidi operanti nei settori agricolo, agroalimentare e della pesca. SIMEST I finanziamenti SIMEST per l’Inserimento sui mercati extra-UE sono uno strumento a tasso agevolato, pari al 10% del tasso di riferimento UE, diretto a facilitare l’ingresso delle imprese italiane su nuovi mercati, finanziandone la realizzazione di strutture commerciali (ufficio, show-room, negozio o altra attività commerciale) e le relative spese promozionali. Il finanziamento copre fino al 100% delle spese e ha una durata massima di 6 anni. Accedendo a questo strumento l’impresa può beneficiare anche dell’intervento di un altro strumento SIMEST, il Fondo per la Crescita sostenibile, che consente di ridurre le garanzie necessarie per accedere al finanziamento.


NOVITÀ DEL LAVORO

Strumenti a sostegno del reddito dei lavoratori LA NUOVA ASSICURAZIONE SOCIALE PER L’IMPIEGO (NASPI) di Stefano Carotti - Area Amministrazione del Personale e Relazioni Industriali Sida Group

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n un periodo di difficoltà economica e occupazionale come quello che sta attraversando l’intero sistema economico nazionale, un ruolo di primo piano è senza dubbio rivestito dagli ammortizzatori sociali, sia in costanza di rapporto che alla cessazione dello stesso. Nel tempo, molteplici sono stati gli interventi di riforma susseguitisi fino ad arrivare al Jobs Act, il quale, da un lato ha radicalmente modificato la disciplina degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro (Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria, Straordinaria e Contratto di Solidarietà) e dall’altro ha semplificato notevolmente la materia degli strumenti a tutela del reddito dei lavoratori che hanno perso la loro occupazione. Allo stato attuale, infatti, l’unico strumento previsto a sostegno di coloro i quali si trovino involontariamente in uno stato di disoccupazione è rappresentato dalla Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, disciplinata dal D. Lgs. n. 22/2015, la quale ha progressivamente sostituito i vari trattamenti di disoccupazione (ASpI e mini-ASpI) e l’indennità di mobilità (abrogata dal 31.12.2016). Resta invece inalterata la disciplina riguardante particolari setto-

ri come, ad esempio, l’agricoltura, destinatari di specifiche disposizioni. Affinché il lavoratore che abbia perso involontariamente la propria occupazione possa accedere al citato strumento di sostegno del reddito, è necessaria la contemporanea sussistenza di alcuni requisiti: • possesso dello status di disoccupato; • almeno 13 settimane di contribuzione versata nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione; • almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Un necessario approfondimento merita il concetto di involontarietà della perdita dell’occupazione. Rientrano sicuramente all’interno di tale ambito i lavoratori licenziati, a prescindere da quale sia la motivazione posta alla base del provvedimento espulsivo (dunque, anche in caso di gravissima condotta da parte del dipendente stesso), ovvero coloro i quali abbiano risolto consensualmente il rapporto a seguito dell’esperimento della procedura di cui all’art. 7, L. n. 604/1966 (prevista in caso di licenziamento determinato da ragio-

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ni economiche, di lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015. Con l’introduzione del nuovo contratto a tutele crescenti - in vigore dal 7 marzo 2015 - tale procedura non trova più applicazione). Per quanto attiene alla misura del trattamento, va evidenziato come la NASpI sia rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33. Nel caso in cui la retribuzione mensile determinata con le modalità appena descritte sia pari o inferiore all’importo, per il 2016, di 1.195 euro – rivalutato annualmente (il dato relativo al 2017 non è stato ancora reso noto) – il trattamento erogato al lavoratore disoccupato ammonta al 75 per cento della retribuzione stessa. Viceversa, qualora la retribuzione mensile risulti superiore al predetto importo, al 75 per cento di 1.195 euro, va aggiunto il 25 per cento della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto importo. In ogni caso il trattamento di NASpI non può superare l’importo mensile massimo di 1.300 euro. Lo strumento a sostegno del reddito si riduce del 3 per cento mensile a partire dal primo giorno del 4° mese di fruizione.

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POLITICA & TERRITORIO

Con il riuso pago meno TARI: una sfida da raccogliere On. Piergiorgio Carrescia Camera dei Deputati

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on produrre rifiuti è il modo più efficace per migliorare la sostenibilità ecologica del nostro ambiente. Ma come si fa? Ne parliamo con l’on. Piergiorgio Carrescia. estensore di una proposta di legge proprio sulla TARI per agevolare tale direzione del riuso. «La normativa comunitaria pone la prevenzione ai vertici della gerarchia per la gestione dei rifiuti - spiega Carrescia - seguita dalla preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero di altro tipo (per esempio di energia) e infine lo smaltimento». Si può intervenire “dal basso”? «Riutilizzare e riparare ove possibile oggetti altrimenti destinati allo smaltimento, destinandoli a nuovi mercati (storici, antiquariato, delle pulci, fiere dell’usato, ecc.), rappresenta il miglior gesto che possiamo fare per diminuire il nostro impatto sul Pianeta. Prendendo spunto dal prioritario obiettivo dell’U.E. di ridurre i rifiuti, ho presentato una Proposta di Legge che coinvolge cittadini, reti commerciali e Comuni e che porta a premiare con la riduzione sulla TARI coloro che avviano al riuso prodotti ancora riutilizzabili».

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ECCO LA PROPOSTA DI LEGGE DELL’ON. CARRESCIA: QUALE COMUNE RACCOGLIERÀ LA SFIDA PER PRIMO? di Fabio Di Giulio I Comuni sono coinvolti? «Certo. Grazie al nuovo “Collegato Ambientale” (Legge 221/2015) esiste infatti la possibilità per i Comuni di prevedere riduzioni tariffarie ed esenzioni anche nel caso di “attività di prevenzione nella produzione di rifiuti, commisurando le riduzioni tariffarie alla quantità di rifiuti non prodotti”. In estrema sintesi la proposta di legge prevede l’istituzione di un Registro Nazionale degli Operatori del riuso al quale aderiscono le Reti che associano commercianti che ritirano beni ancora riutilizzabili dai cittadini, beni che hanno un proprio valore di “impronta climatica di prodotto” (es. mobili, giocattoli, stoviglie, vestiti ecc.)». E il Comune come ente cosa deve fare? «Il Comune, per aderire al Registro, deve adottare una deliberazione con la quale deve quantificare la riduzione della TARI che praticherà in relazione al valore dell’impronta climatica; ogni kg di CO2 equivalente risparmiata darà diritto ad una riduzione di tot euro della TARI». Sono anche in ballo nuove opportunità occupazionali? «Incentivare l’incremento e l’emersione di attività del riutilizzo può sicuramente generare nuovi posti di lavoro, nuova risorse per i Comuni

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per i minori rifiuti prodotti, meno tasse per i cittadini, aspetti tutt’altro che secondari per le nostre comunità. In attesa che la Proposta divenga legge i Comuni possono comunque già sperimentare, con specifiche Convenzioni, soluzioni in questa direzione. Basta dotare il proprio Centro del Riuso della rete regionale di un software di calcolo e il gioco è fatto oppure stipulare un Accordo con negozi di una rete commerciale attrezzata». Quando è stata presentata tale pdl e che tempi si prevedono? «E’ una, fra le 15 Proposte di legge che ho presentato in questi quattro anni in Parlamento di cui vado più orgoglioso e che mi auguro possa essere calendarizzata prima della fine della legislatura. E’ stata presentata il mese scorso alla Camera dei Deputati presente anche Stefano Ciafani, Direttore Generale di Legambiente e Sebastiano Marinaccio, Vice Presidente della Rete ONU (Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato) ed ha avuto ampio risalto sulla stampa specializzata in materia ambientale. Mi auguro che qualche Comune abbia il coraggio di raccogliere immediatamente questa sfida per un diverso rapporto con le cose, quelle che sono forse inutili per alcuni ma riutilizzabili da altri in una virtuosa filiera di economia circolare».


FINANZA & FUTURO

DEUTSCHE BANK L’investimento Responsabile di Giancarlo Temperilli Executive Advisor – Gruppo Deutsche Bank Finanza & Futuro

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ESTIONE ATTIVA E GESTIONE PASSIVA Il Gruppo Deutsche Bank è tra i primi provider globali di strumenti passivi di investimento (ETF), ma allo stesso tempo è anche uno dei principali Gestori di asset, sia a livello retail che istituzionale. Le nostre Divisioni, a titolo diverso, possono offrire a varie tipologie di clientela strumenti di investimento socialmente responsabile. Tuttavia, nelle analisi fin qui presentate ci siamo concentrati sugli strumenti di investimento attivi, ovvero quelli in cui l’intervento attivo del Gestore si pone come obiettivo quelli di fornire un valore aggiunto al risultato di Gestione. Unendo l’expertise del Gruppo Deutsche Bank nell’analisi finanziaria a quello di un partner consolidato ed indipendente – come Oekom Research AG – nelle

tematiche di sostenibilità è a nostro avviso il miglior metodo per cogliere giorno dopo giorno l’evoluzione del contesto di sostenibilità ed allo stesso tempo vivere attivamente l’analisi integrata alle società ed agli Stati in cui andiamo ad investire. DISCLAIMER Le informazioni contenute nel presente documento si basano su fonti ritenute attendibili. Tuttavia Deutsche Bank SpA e le sue società controllanti, controllate e collegate, nonché i suoi amministratori, collaboratori e/o dipendenti, non assumono alcuna responsabilità in relazione al presente documento né relativamente alle informazioni in esso contenute e non accettano alcuna responsabilità per eventuali errori od omissioni né potranno considerarsi responsabili per le eventuali perdite o danni di qualsivoglia natura che dovessero deri-

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vare dal fatto che si sia fatto affidamento su tale documento. Ciascun investitore dovrà pertanto assumere le proprie decisioni di investimento in modo autonomo, tenuto conto delle sue caratteristiche e dei suoi obiettivi di investimento, e a tale scopo non dovrà basarsi, prioritariamente o esclusivamente, sul presente documento. Le analisi e le stime contenute nel presente documento costituiscono valutazioni aggiornate alla data della sua produzione e possono essere soggette a variazioni senza preavviso né comunicazione. Si consiglia di effettuare una verifica con il proprio Relationship Manager per assicurarsi che le analisi conservino la loro validità. Eventuali risultati passati riportati in questo documento non costituiscono un indicatore di risultati futuri. Pertanto Deutsche Bank S.p.A. non fornisce alcuna garanzia di realizzazione degli scenari prefigurati.

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OCCUPAZIONE

Il problema della disoccupazione va affrontato come si affrontano i problemi all’interno delle aziende

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di Stefania Lastella Management Academy Sida group Area Risorse Umame

l problema della disoccupazione è, e sarà, il problema del futuro. Con ripercussioni anche sull’ allontanamento delle classi sociali. La rivoluzione della tecnologia

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con la riorganizzazione aziendale in termini di ammodernamenti e revisioni organizzative del business, la globalizzazione che porta una competizione basata sul prezzo, dove il processo conduce

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verso lo smart; queste e tante altre variabili che spingono verso una nuova configurazione del lavoro in termini di minor costo e di diversa quantità, sono fattori generatori di disoccupazione.


OCCUPAZIONE Il mercato del lavoro è mutato e muterà molto velocemente. Da un lato i lavoratori chiedono un impiego diverso: sempre più strumento di crescita e di espressione. Dall’altro il mercato del lavoro richiede più flessibilità, più skills, più motivazione, figure professionali diverse. Il problema della disoccupazione nasce dall’incontro della domanda e offerta (matching). La domanda (i lavoratori) in termini di qualità e quantità è diversa dalla richiesta dell’offerta. I due flussi non si incontrano e le strutture preposte a questa funzione non sono adeguate sia in termini di preparazione che di organizzazione. Come ogni problema di rilievo sociale e con ampie ricadute anche a livello di benessere individuale, esso va posto al centro di ogni attività politica ed istituzionale. Quello che oggi lo Stato preleva dalla collettività per l’istruzione e come spende questo prelievo ritengo sia fortemente non funzionale. Alcune indicazioni per affrontare il problema. Del milione e 200mila insegnanti che compongono il corpo docente del sistema istruzione, dovrebbe essere dedicato alla funzione Ricerca e Sviluppo, da organizzare a vari livelli della filiera, almeno il 10% della popolazione del personale: l’esercizio di questa funzione formativa andrebbe ad ottimizzare i prodotti, i contenuti dei prodotti somministrati, la qualità della docenza nonché la metodica didattica. Il tutto consentirebbe di spostare l’attività didattica da un approccio strategico product oriented a quello marketing/ customer oriented. Il problema del matching deve interessare tutta la filiera educativa. Al centro: un processo di acculturamento degli attori della filiera, lo sviluppo della conoscenza sulle funzioni del lavoro, sulle caratteristiche delle professioni e sulle esigenze

professionali future che il mercato del lavoro richiede. A questo ne consegue una configurazione di prodotti che nasce dalle esigenze del lavoratore e del mercato (aziende).

LAVORO E OCCUPAZIONE • La disoccupazione giovanile (1524 anni) è al 40,1% • I disoccupati raggiungono quota 3.103.000 con un aumento di 9.000 unità su novembre e di 144.000 unità su dicembre 2015 • Il tasso di inattività è stabile sui minimi storici al 34,8%. • Rispetto a dicembre 2015 il tasso di disoccupzione cresce dell’1,1% • Sono aumentati i lavoratori dipendenti con +52.000 unità su novembre (soprattutto a termine) • Gli indipendenti sono diminuiti di 52.000 unità

Va sviluppato e strutturato a monte di ogni livello formativo ed educativo la funzione orientamento scolastico e professionale, affinché i futuri lavoratori sappiano fin da giovani quali sono gli obiettivi professionali che dovranno perseguire; ciò per orientarne la formazione. Il sistema della formazione deve avere come obiettivo “l’uomo giusto al posto giusto”. Il livello qualitativo della funzione didattica dovrebbe essere misurata dalla capacità di aver soddisfatto l’obiettivo del matching. Tutto ciò spingerebbe gli attori aziendali e le attività didattiche a strutturarsi in funzione.

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Avremmo così un comportamento autonomo ed organizzato di avvicinamento della didattica alle aziende. La didattica deve stare a servizio dell’azienda e del lavoratore; solo così si persegue l’incremento della competitività del sistema. A testimonianza di quanto viene argomentato si veda il caso Finlandia. Ad integrazione dell’attività istituzionale formativa vanno organizzate e approntate strutture di sostegno per gestire le conseguenze e le eccezioni: Centri di Orientamento e di Placement. Queste strutture dovranno essere costituite con personale che disponga delle seguenti conoscenze • Conoscenza delle tipologie di professioni in generale • Conoscenza delle tipologie di professioni richieste dal mercato del lavoro attuali in evoluzione • Conoscenze psicologiche per poter individuare skills, attitudini, motivazioni • Conoscenze per poter valutare il potenziale delle competenze acquisite • Conoscenze dei percorsi professionalizzanti Anche nell’ambito di questi centri di Placement dovrebbe essere sviluppato in modo istituzionale la connessione tra mondo aziendale e centro di collocamento. Tali centri dovrebbero essere sia di natura pubblica che privata. La presenza di questi due operatori andrebbe ad animare la competitività, quindi la ricerca e l’ottimizzazione dell’efficienza della loro funzione. Nel processo di gestione del problema andrebbero attivate misure di sostegno differenziate a livello contributivo e fiscale. Quest’ultime azioni e misure da sole non sono sufficienti per risolvere in modo strutturale il problema della disoccupazione.

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SERVIZI

L’importanza strategica dei servizi di Claudia Bartolini - Management Academy Sida Group Area Web Marketing

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nternalizzare o esternalizzare una funzione aziendale è un tema fondamentale, che riguarda il controllo dei costi complessivi e la loro distribuzione tra fissi e variabili, con la configurazione organizzativa aziendale, con la qualità del capitale umano a disposizione, con il mercato di riferimento, con la densità ed eterogeneità imprenditoriale con cui si ha a che fare nel proprio tessuto economico territoriale. Certo che, però, in questo modo si pensa al servizio quasi esclusivamente in modo passivo, ossia secondo un mero criterio di “domanda -risposta”, di “causa-effetto”, di “fabbisognocopertura”. Per carità, di base non c’è granché di sbagliato, ma ben diverso è, invece, presupporre l’esistenza di servizi esternalizzati che vengano offerti all’impresa richiedente in modo proattivo, anticipando le richieste, mostrando margini e prospettive altrimenti ignorate o scarsamente

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prese in considerazione internamente. S’intende, in questo senso, che oggi, nel contesto macroeconomico e competitivo dei nostri giorni, le società di servizi non devono essere viste come semplici fornitori (né esse dovrebbero comportarsi solo come tali), ma piuttosto come partner, che siano tra l’altro interessati non solamente all’ottenimento di un incarico estemporaneo con relativo compenso, ma che intendano affiancare in modo durevole e progressivo l’azienda, in veste di partner, perseguendo obiettivi sinergici e di lungo periodo, pensando ad un comune sentiero di sviluppo. In altri termini, fare branco. Ma così come è scarsa la cultura consulenziale nei nostri territori, troppo spesso si pensa ai servizi come un qualcosa che va eventualmente a colmare una lacuna contingente, un vuoto più o meno tangibile e manifesto. Invece, parlando di prospettive di collaborazione, i servizi, oltre che una forma di esternalizzazione che rende l’azienda

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più flessibile, leggera e reattiva, sono anche uno sprone, uno stimolo, una fonte di informazioni per rendere quella particolare funzione (sia stata essa già parte integrante o meno dell’impresa) non solo più efficiente, ma anche più efficace. I servizi migliorano l’utilizzo del tempo aziendale, aumentano il parco informazioni a disposizione, sono nodi di raccordo tra diversi interlocutori e sono quindi promotori del network, aiutano l’impresa “centrale” a mantenersi al passo con i tempi, ma soprattutto, la migliorano nella sua capacità di gestire il cambiamento. E giacché una delle espressioni chiave di questo periodo storico è “change management”, occorre probabilmente riconsiderare profili organizzativi delle proprie idee di business, dotandoli di una nuova profondità grazie a chi fornisce servizi. Perché, come suggerisce la saggezza popolare, “la prospettiva sì ha davvero con almeno due punti di vista”.


NANOTECNOLOGIE

La nanotecnologia: l’ingegneria del mondo atomico e molecolare LA VELOCITA’ DELLE SCOPERTE STA RIVOLUZIONANDO LA NOSTRA ESISTENZA

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di Flavio Guidi - Management Academy Sida Group Area Strategia e Sviluppo Organizzativo

a dimensione su cui lavora la nanotecnologia è quella dell’infinitamente piccolo. Il rapporto è quello che esiste tra una mela e la terra: tra la dimensione osservabile in cui viviamo, la terra, e l’invisibile (nanotecnologia), la mela. E’ il mondo degli atomi delle cellule. Lo sviluppo di tale scienza è recente, la definizione del termine “nanotecnologia” risale infatti al 1974. E’ solo negli ultimi 3 decenni che l’evoluzione vertiginosa della nanotecnologia sta offrendo prodotti e risultati che già sono incorporati nei prodotti industriali e in quelli di consumo quotidiano. La nanotecnologia ha convertito la scienza dei materiali e l’elettronica in nano-materiali e in nano-elettricità; essa studia ciò che accade nella struttura della materia a livello di atomi e di cellule al modificarsi delle caratteristiche ambientali e comportamentali. Le soluzioni nano-tecnologiche hanno già avuto impatto sulla società: basta ricordare gli utilizzi nella biomedicina, nell’informatica, nella generazione ed immagazzinamento di energia, nell’architettura, nell’alimentazione, nell’agricoltura, nel settore tessile, sportivo, ambientale, militare, dei trasporti, etc… L’effetto sui prodotti è stato quello

di ridurne il prezzo ed aumentarne l’efficacia funzionale. Il fattore di accelerazione delle scoperte è la confluenza di diverse aree di applicazione (es. medicina, ingegneria) con scienze fondamentali (es. fisica, chimica, biologia). Una scienza fortemente interdisciplinare. Le scoperte in ogni campo o disciplina, trovano nella nanotecnologia un’applicazione sinergica nella velocità di applicazione e nel processo di generazione e sviluppo di nuove scoperte. Convergono in questa disciplina scientifica: i nano-materiali, la nanoelettricità, la biologia funzionale e la chimica supramolecolare, al fine di generare prodotti ed utilizzi nano tecnologici di natura necessariamente ibrida. Si pensi ad un monotransistor il cui canale (monotubo) è ricoperto di molecole chimiche (anticorpi) capaci di aggregarsi con molecole tumorali (autogeni) in modo che la conduttività elettrica del transistor cambi quando sono identificabili cellule tumorali: risulterebbe un nano sensore biomedico che misurerebbe aspetti fisici, elettronici, chimici e biologici. La nanotecnologia unisce i quattro mondi della conoscenza: la biotecnologia (mondo dei geni), la tecnologia dell’informazione e comunicazione (bits), la neuro fisica

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(neuroni) e la fisica atomica (atomi). L’impatto della sua velocità porta una sorprendente evoluzione sia in campo scientifico, che tecnologico, che nelle altre discipline e porta un enorme riflesso di profondo cambiamento anche a livello economico e sociale. Intervenendo a manipolare il comportamento di ciò che avviene nell’infinitamente piccolo, si hanno modificazioni in ciò che accade o vorremmo far accadere nella nostra dimensione, oltre che nella dimensione cosmologica (universo) infinitamente grande. La natura diventa intelligente, gli si attribuisce, sviluppando e delegando, una funzione attiva. Nel processo di crescita (evolutivo) si risponde con ciò alla funzione sistemica di specializzazione. Nascono nuovi materiali che si ottengono a costi molto più bassi. Questa nuova materia cambia le sue funzioni d’uso, diventa viva e con nuove funzioni tra cui: quella informativa, rigenerativa, connettiva, difensiva, strumentale per le composizioni. Il nostro modo di vivere verrà cambiato, il nostro modo di pensare, di vivere la realtà, passerà in modo sbalorditivo su un’altra realtà. Il processo evolutivo sta vivendo una fase di saldo dimensionale della conoscenza.

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NANOTECNOLOGIE

Più piccolo è bello I PRODOTTI DI CONSUMO BASATI SULLE NANOTECNOLOGIE INVADONO IL MERCATO, GRAZIE AL LORO BASSO COSTO E ALLE ALTE PRESTAZIONI di Mattia Bocchini - Mamagement Academy Sida Group Coordinatore Area Engineering, Quality & Pharmacy

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ateriali leggeri per automobili che resistono ad ammaccature e graffi, palle da golf che non modificano la loro traiettoria, collezioni di vestiti antibatterici, vestiti anti-grinze, cosmetici con attività terapeutica, materiali che si auto-riparano, batterie a ricarica veloce, apparati elettrici senza fili, smartphone, macchine fotografiche digitali e nano-vernici. Questi prodotti sono sempre più presenti tra i consumatori per il loro basso costo e per la funzionalità delle prestazioni e tenderanno sempre più ad affollare il mercato, con l’effetto di sostituire, integrare e distruggere le altre produzioni. A questo consegue l’effetto della disruption e sulla globalizzazione del mercato. I governi mondiali hanno riservato elevate risorse al sostegno della ricerca e allo sviluppo delle nanoscienze e delle nano-tecnologie. La Commissione Europea nel 2004 ha pubblicato l’atto COM 338 “Verso una Strategia Economica per le Nano-tecnologie” con cui ha

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istituzionalizzato la nano-scienza e la nano-tecnologia, unificando il finanziamento della ricerca e sviluppo in questo campo. Oggi tutti i paesi industrializzati e in via di sviluppo hanno programmi di sostegno allo sfruttamento della nano-tecnologia. I sistemi educativi e il carattere multidisciplinare, stanno determinando ritardi nello sviluppo degli studi specifici. Nonostante ciò, centri di ricerca specializzati si sono costituiti presso le principali Università di tutto il mondo. Nel 2015 l’investimento in nanotecnologie è stato di circa 1.000 miliardi di dollari, equivalente al PIL della Spagna. La distribuzione del mercato nanotecnologico nel 2015 è stato il seguente: • Nano Materiali 32% • Nano Elettronici 28% • Salute 20% • Chimica 9% • Eurospaziale 6% • Strumenti 3% • Ambienti 2% Due milioni di lavoratori trovano occupazione nell’industria nanotecnologica e cinque milioni in

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industrie ausiliarie. Quattromila imprese nel mondo si dedicano alle nano-tecnologie, non contando quelle che applicano i ritrovati di questa scienza. Stati Uniti, Giappone, Cina, Germania sono i paesi che sono impegnati a dare sostegno e impulso a questo campo di attività. In Cina sorgono ogni anno 500 nuove imprese. La crescita del mercato nanotecnologico si stima muoversi dal 10 al 20% all’anno. L’ottimismo che regna nell’attività di ricerca è talmente elevato in termini di ritrovati, scoperte e applicazioni da non individuare limiti al loro sviluppo. Facendo sconfinare la nostra immaginazione nella fantascienza, tali aspettative non possono che generare previsioni di portata apocalittica. Si prevede un’ulteriore accelerazione con confluenza della biotecnologia, della tecnologia dell’informazione e della comunicazione e della tecnologia cognitiva. Si prevede che nel 2025 la presenza di prodotti, frutto della ricerca nano-scientifica e nano-tecnologica, ricoprirà il 30% del totale dei prodotti a livello di mercato mondiale.


NANOTECNOLOGIE

Se ad insegnare è la Natura CONOSCERE L’INFINITAMENTE PICCOLO MIGLIORA LA VITA. SENZ’ALTRO LA CAMBIA dal nostro inviato Julian Burnett

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TRASBURGO - Dal 1959 si studiano le nanotecnologie come opportunità: fu lo scienziato Feynman a guidare stuoli di giovani ricercatori verso tale multidisciplinare materia, con la celebre frase: “C’è ancora un sacco di spazio, là in fondo…”. Al di là delle limitazioni della Fisica fondamentale, le applicazioni in tecnologia che si possono derivare dalla ricerca nanotecnologica sono praticamente infinite. Imparare a manipolare atomi e cellule senza dubbio cambia la dimensione delle cose, offre l’opportunità di immenso valore, di osservare e controllare ciò che serve a migliorare la qualità della vita dell’Uomo. Qualche esempio banale: la composizione dell’acqua sul pianeta, di cui è fatto l’essere umano, base della vita stessa, cambia da continente a continente, da Paese a Paese. Così l’atomo che dispensa energia può essere più o meno “fabbricatore” di disponibilità energetica e determinare di conseguenza la “potenza” o meno di un sistema produttivo anziché un altro. Cioè non tutti i pozzi di petrolio “carburano” allo stesso modo. O ancora sotto la calotta polare

o nello spazio, le regole dell’impiego energetico cambiano e di molto. Di più, se da una parte migliorare la qualità della vita significa allungarne la durata, l’applicazione della ricerca nanotecnologica è anche l’impiego della robotica a servizio dell’essere umano. E qui si apre un altro mondo nuovo. Il robot cognitivo, oggi, è il catalizzatore della ricerca scientifica contemporanea. Può sembrare ancora goffo ed elementare I-cub, quando lo vediamo, alto un metro, in tv, rispondere a domande retoriche o far di conto. Portare il thé o riprodurre alcuni stimoli sensitivi. Ma è questa la cartina tornasole per il futuro dell’umanità. Per guidare le automobili che porteranno i nostri figli a scuola, per combattere le malattie degenerative dell’anziano. Oggi la sfida del robot significa l’applicazione di materiali intelligenti, lo stimolo sensoriale, oltre la vista, l’udito, l’elaborazione del comportamento, perfino la sensibilità della pelle. I materiali intelligenti impiegati saranno poi riadattati e utilizzati in cento altre forme utili. Soluzioni tecnologiche all’avanguardia per cambiamenti epocali. Le cellule biologiche, ricordiamo, sono nientemeno che incredibili nanomacchine dove i cambiamenti alla

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scala del nanometro si ripercuotono sulla scala organica dei tessuti e degli organi. Gli esseri artificiali, come gli esseri umani, possono riprodurre esperimenti come cavie che non soffrono, ma proteggono addirittura ogni codice informativo rendendolo disponibile, fruibile, chiaro. C’è solo un’incognita in tutto questo: il progresso dell’umanità dipende dall’utilizzo positivo della scienza. Mai da speculazioni o impieghi che possono ledere – come nel caso di armi e guerre – la dignità dell’Uomo, la missione della Natura.

L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) è una fondazione disciplinata dagli articoli 14 e ss. del Codice civile, istituita con D.L. 269/03, convertito con Legge n. 326/2003 (art. 4 dello Statuto), finanziata dallo Stato per lo svolgimento di attività di ricerca scientifica di interesse generale, per fini di sviluppo tecnologico. L’IIT ha l’obiettivo di promuovere l’eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata e di favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale. Per domande relative all’Organizzazione della ricerca in IIT: roo@iit.it.

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BIG DATA

La Data-Driven Society BIG DATA STRUMENTI DI GUIDA STRATEGICA DI OGNI IMPRESA ED ORGANIZZAZIONE di Mario Becchetti Management Academy Sida Group Area Marketing e Comunicazione

“N

on si può gestire quello che non si può

misurare”: in questa antica frase di uno dei massimi studiosi di management, Peter Drucker, c’è anche la saggezza per interpretare il futuro, ossia il cambiamento che ogni

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persona, impresa e organizzazione è chiamata a gestire di fronte alla rivoluzione dei big data. In un futuro prossimo, già presente, quasi tutto sarà connesso in rete: è l’Internet of Everything (IoE), che connette stabilmente persone, cose, macchine e processi operativi. La 4° rivoluzione industriale, dunque, riguarda non solo le imprese: ogni organizzazione sociale è chiamata a

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creare valore cambiando il proprio modo di operare in questa nuova era ”onlife” del XXI Secolo. La quantità di dati generati da queste connessioni, tra mondo offline e online, sarà enorme, “big data” appunto, e la loro analisi e sfruttamento consentiranno la nascita di una nuova società e di una nuova economia, fondate sul nuovo valore creato con l’utilizzo intelligente dei


BIG DATA dati digitali: la “data-driven society”. Con questo termine si intende una società i cui processi decisionali diventano più efficaci ed efficienti nella creazione di valore proprio perché basati preventivamente sulla raccolta ed elaborazione di dati sempre migliori in termini di volumi, varietà e velocità di aggiornamento, capaci quindi di tradursi in preziosissime informazioni segnaletiche e di svolgere una funzione di guida delle decisioni strategiche ed operative di ogni organizzazione. Fondare le proprie scelte di sviluppo sulla conoscenza preventiva dei dati sensibili, assumere ciò un approccio data-driven, consente ad ogni organizzazione di elevare la qualità delle proprie strategie di creazione di valore: rafforza la capacità di analizzare e cogliere le opportunità di un contesto esterno in rapido mutamento e sempre più complesso, di allontanarne le minacce, di perseguire le proprie finalità strategiche. Ciò vale per le imprese ma anche per ogni organizzazione chiamata a sviluppare processi di sviluppo. Un esempio è rappresentato dal “modello Singapore”: questa città si è incamminata da tempo su tale strada e attualmente si pone all’avanguardia nel mondo come best practice di data-driven society. Moltissime scelte dello sviluppo urbano di Singapore, infatti, sono data-driven, ossia guidate dall’elaborazione preventiva e digitalizzata delle enormi quantità di dati che ogni cittadino genera con i propri comportamenti quotidiani. Questo è possibile perché la città di Singapore si è efficacemente organizzata come smart city, per raccogliere e leggere i big data disponibili con tecnologie e sensori digitali collegati in rete in ogni angolo del territorio: la finalità è di interpretare preventivamente le esigenze e le abitudini dei cittadini al

fine di offrire loro le migliori soluzioni di sviluppo urbano, ad esempio nei settori dei trasporti pubblici, della viabilità, delle infrastrutture, della sanità e altri. Ciò avviene anche in ambiti apparentemente impensabili, come ad esempio la sicurezza, per sviluppare azioni di prevenzione dei crimini più ricorrenti. La data-driven society è possibile per la crescita esponenziale delle 3V con cui si analizzano i big data: volumi, varietà e velocità di creazione dei dati in ogni angolo del globo. Gli studi sono molteplici: alcune stime indicano che ogni 30 mesi raddoppiano gli esabyte prodotti in un giorno nel mondo. Un esabyte equivale a un miliardo di gigabyte. Ogni secondo attraversano il Web più dati di quelli che vi erano immagazzinati solo 20 anni fa. Basti pensare che un petabyte è un quadrilione di byte, ossia

l’equivalente di quasi 20 milioni di archivi di testo. La varietà dei dati prodotti è anch’essa enorme ed in continuo aumento, supportata da alcuni driver inarrestabili: le connessioni digitali pervasive dell’Internet of Everything; le crescenti interazioni uomomacchina, basate anche sull’Artificial intelligence (AI); lo sviluppo delle tecnologie di rete smart e la riduzione dei costi dei sensori intelligenti per leggere, archiviare ed elaborazione in tempo reale ogni tipologia di dato digitale; la crescita esponenziale delle potenze computazionali di calcolo; la diffusione pervasiva nel mondo dell’utilizzo dei device mobili, di internet e dei social; l’espansione dei modelli open data e di open innovation. Inoltre, siamo solo agli inizi perché se ci pensiamo bene le fonti di questa enorme massa e varietà di big data sono relativamente nuove: Facebook

INTELLIGENZA ARTIFICIALE • Il rapido sviluppo dei robot potrebbe comportare cambiamenti nel mercato del lavoro attraverso la creazione, lo spostamento e la perdita di posti di lavoro. • I deputati esortano quindi la Commissione Europea a seguire da vicino tali sviluppi. • Il crescente utilizzo della robotica solleva anche questioni etiche, per esempio relative alla privacy e alla sicurezza. I deputati propongono un codice di condotta volontario sulla robotica per ricercatori e progettisti, volto a garantire che essi operino nel rispetto delle norme legali ed etiche e che il design del robot e il suo utilizzo rispettino la dignità umana. • Si chiede, inoltre, di prendere in considerazione la creazione di un’Agenzia europea per la robotica e l’intelligenza artificiale, per dare alle autorità pubbliche competenze tecniche, etiche e normative.

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BIG DATA è nato nel 2004; l’Iphone è stato lanciato 5 anni fa e l’Ipad nel 2010. Nel mondo delle imprese la velocità di creazione dei dati è ancora più importante dei volumi. Le informazioni in tempo reale consentono ad un’azienda di essere molto più agile dei concorrenti e tempestiva nelle decisioni strategiche ed operative. Le molteplici ricerche effettuate sul campo portano tutte un medesimo risultato: le imprese data-driven, ossia che orientano strategie competitive e processi decisionali facendosi guidare dai dati riescono a realizzare livelli superiori di performance economiche e finanziarie. Gli intuiti e gli animal spirits imprenditoriali sono sempre fondamentali. Ma nel XXI Secolo non bastano più per affrontare la complessità e la velocità del cambiamento del contesto competitivo. Le imprese sono chiamate ad elevare il proprio valore tangibile e intangibile divenendo proattivamente datadriven, ossia capaci di alimentare e consolidare processi di pianificazione e controllo basati su big data. La finalità è orientare su solide fondamenta di dati di qualità, e non su semplici percezioni, le proprie scelte strategiche ed operative di sviluppo produttivo e commerciale, organizzativo e finanziario. Molteplici sono le tendenze i modelli operativi di management che si stanno affermando in questa direzione. Si pensi alla Balanced Scorecard, al controllo strategico e di gestione, al Price/Cost management. E’ anche e soprattutto nel marketing che si può sviluppare un approccio aziendale data-driven. I big data generati nel web e in tutto il sistema delle relazioni con i clienti e gli stakeholders aspettano solo di essere raccolti, elaborati ed interpretati dalle imprese, per sviluppare analisi

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di mercato approfondite, coerenti strategie competitive, rendicontazioni strategiche ed operative delle performance realizzate. Con l’analisi dei big data si può passare dalla segmentazione generale del mercato all’analisi puntuale delle relazioni con i singoli clienti. Non a caso diventano sempre più importante il marketing relazionale personalizzato, il Customer Relationship Management (CRM), il modello di analisi del “ciclo di vita del cliente” rispetto a quello del prodotto, il neuro-marketing, il geomarketing. In sintesi, i dati raccolti ed elaborati dal Web attraverso i mezzi digitali consentono di orientare consapevolmente e in via preventiva i processi di pianificazione, controllo, organizzazione e vendita delle imprese, in ogni settore, favorendo lo sviluppo di una cultura organizzativa data-driven in tutte le aree funzionali aziendali. Questo orientamento è fondamentale perché nello scenario complesso e turbolento della trasformazione digitale del XXI Secolo ogni organizzazione è chiamata a ridefinire i propri modelli strategici ed operativi creando valore con una cultura organizzativa sempre più data-driven, tesa allo sfruttamento nei processi decisionali del potenziale dei big-data disponibili nel Web e in tutte le relazioni con l’ambiente di riferimento. Di fronte alla complessità del cambiamento in corso l’approccio data-driven diviene così non solo una risorsa intangibile “neededto-win”, ossia indispensabile per eccellere: si configura come un fondamentale punto di forza immateriale “needed-to-play”, ossia necessario ad ogni organizzazione anche per sopravvivere nel nuovo e difficile contesto competitivo della 4° rivoluzione industriale.

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COMUNICAZIONE DATA DRIVEN • Lo spending nel 2016 vede ancora in testa la televisione, con il 51,1% del mercato pari a 3.626 milioni di euro, seguita dal web col 24% (1752 milioni), a cui seguono stampa (12,9%, 939 milioni), radio (6,3%, 460 milioni), out of home (5,3%, 388 milioni) e cinema (0,3%, 25 milioni). • La stampa continua a soffrire, con un calo degli investimenti del 5,4% nel 2016 e del 5,3% previsto per il 2017, anno in cui il digitale diventerà l’unico vero grande driver di crescita unendo ad alti tassi di sviluppo un’importante quota sul totale della spesa: nel 2017 questo settore rappresenta infatti il 25% degli investimenti complessivi. • Buzzoole è la prima piattaforma italiana di Influencer Marketing Automation che, grazie all’impiego di una tecnologia proprietaria, rivoluziona il tradizionale approccio al mercato delle Digital PR combinando l’efficacia del passaparola online con la semplicità di acquisto della pubblicità display. • Quibee è una startup innovativa partecipata dal gruppo RCS, prima physical creative agency italiana a trasformare i luoghi fisici in media, dove far fruire contenuti editoriali ed intrattenimento con attenzione particolare alla lead generation e data analytics grazie alla piattaforma proprietaria che utilizza gli iBeacon/Eddystone.


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MARKET INSIGHTS

CHI È GGF GROUP

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na brand corporation nata oltre 15 anni fa per offrire al mondo dell’impresa una gamma completa di servizi integrati di marketing strategico e operativo. Propone servizi avanzati di Customer Experience e Customer Relationship Management ad importanti imprese italiane e a multinazionali operanti in diversi ambiti di business. Oggi GGF Group è una realtà customer oriented, specializzata nella gestione dell’intero processo di contatto e ascolto del cliente. Tecniche e metodologie di lead management, social CRM, sviluppo commerciale e marketing relazionale multicanale costituiscono oggi il nucleo principale delle sue attività. Gli obiettivi primari che GGF Group persegue sono quelli di: • implementare la relazione tra Customer Experience e Business performance • generare valore per le imprese clienti attraverso attività di business analysis e intelligence

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• sviluppare nuovi approcci e processi al lead nurturing al servizio delle opportunità di business offerte dal mercato B2C e B2B. Opera secondo i principi delle 3 C della fedeltà: Curare (Customer Care), Conoscere (Customer Profiling) e Comprendere (Customer Satisfaction e Net Promoter Score®)

L’EXPERTISE DI GGF GROUP PER ML MAGAZINE Ogni mese GGF Group offre all’interno di ML Magazine 16 pagine di approfondimenti nelle quali vengono esplorati il mondo del marketing e della customer experience da diverse angolazioni e punti di vista. Sei le sezioni tematiche: dall’analisi dei singoli mercati geografici e di settore, alle interviste a Marketing Manger di importanti imprese nazionali e internazionali, strizzando l’occhio al mondo degli strumenti social dedicati alla gestione del business.

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MARKET INSIGHTS

SONDAGGIO /

I

n questo primo numero, attraverso il nostro sondaggio rivolto ad aziende e marketing manager italiani, ci siamo dedicati all'indagine di mercato. Questo tipo di ricerche hanno da sempre la funzione di fornire una base informativa a coloro che, all’interno dell’a-

L’indagine di mercato

zienda, devono prendere decisioni di marketing, analizzando comportamenti espressi e processi decisionali dei consumatori di un dato mercato, o descrivendone la struttura. Vediamo di seguito come, e con quali finalità, le aziende italiane impiegano tale strumento di marketing.

INFORMAZIONI SUL SONDAGGIO Sondaggio realizzato da GGF Group. Sondaggio online, pubblicato all’interno delle newsletter, sulla pagina Facebook di MLMagazine e GGFGroup e sulla pagina Linkedin di GGFGroup. Indagine gestita tramite piattaforma CAWI dal 23 Febbraio al 2 Marzo 2017. Campione non probabilistico. Totale rispondenti: 482 www.ggfgroup.it

Metodologia d’indagine Il 45,83% delle aziende dichiara di ricorrere più frequentemente ai sondaggi on line come metodologia d’indagine

Periodicità L’indagine è effettuata come metodologia di costante monitoraggio del mercato dal 56,25% delle aziende intercettate.

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MARKET INSIGHTS

Finalità primaria Il 25% dei rispondenti ritiene che la finalità primaria di una indagine di mercato sia studiare il posizionamento di nuovi prodotti o servizi. Analoga percentuale intraprende principalmente l’indagine di mercato per segmentare il potenziale di mercato.

Criticità Il 41,67% delle aziende rispondenti ritiene che la maggior criticità dell'effettuare una indagine di mercato sia ottenere un buon tasso di risposta.

Soggetti coinvolti

Aspetti d‘indagine

Ufficio responsabile

Un campione casuale rappresentativo in base a determinati caratteri socio-demografici è il target preferito dal 43,75% dei rispondenti per lo svolgimento di una indagine di mercato.

L’aspetto di maggior interesse che le aziende desiderano indagare circa i propri clienti risulta essere nel 45,83% dei casi il comportamento d’acquisto.

L’ufficio marketing è il soggetto che si occupa delle indagini di mercato all’interno del 66,67% delle aziende prendenti parte al sondaggio.

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TOOLBOX

CONOSCI IL TUO MERCATO E INDIVIDUA LA TUA STRATEGIA di Laura Osmani - Marketing Business Intelligence GGF Group

INDAGINI DI MERCATO La ricerca di mercato è la raccolta, analisi e presentazione dei dati relativi a desiderata, processi decisionali e comportamenti di acquisto di consumatori attivi e/o potenziali in merito ad un determinato prodotto o servizio. Sì, è tutto questo. Ma in primis è generazione di conoscenza del mercato e delle nuove opportunità di business. E’ una fonte essenziale di informazioni per chi, all’interno di un’azienda, ha il compito di prendere decisioni strategiche. L’indagine permette, infatti, di conoscere il proprio mercato di riferimento ed individuarne bisogni, tendenze e cambiamenti avvenuti e in atto. Le indagini consentono di monitorare e misurare la soddisfazione e la fidelizzazione di un target di clienti rispetto a prodotti o servizi acquistati, conoscere la loro opinione, le loro esigenze e le abitudini di acquisto. In ambito B2B consente, inoltre, di rilevare l’efficienza dei processi industriali e di testare il posizionamento di nuovi prodotti e servizi. Ricerche qualitative e quantitative sono parte integrante del sistema informativo di marketing aziendale e, sinergicamente strutturate e condotte, consentono di cogliere le dimensioni, comprendere le motivazioni, le scelte, i comportamenti per definire obiettivi e target da raggiungere.

CHE COS’È

PERCHÉ L’INDAGINE • • • • • • • • •

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L’indagine di mercato è uno strumento per le aziende che desiderano

Conoscere il proprio mercato Comprendere lo stile di vita dei consumatori Conoscere il grado di soddisfazione dei clienti Analizzare e segmentare il potenziale di mercato Studiare il posizionamento e testare il lancio di nuo- vi prodotti e servizi (product test, concept test, pack test) Identificare il grado di notorietà di un marchio Valutare l’efficacia di una campagna di comunicazione Analizzare la concorrenza Monitorare la rete vendita e assistenza

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TOOLBOX

Sistemi CRM, gestionali dedicati, software di indagini CATI, CAWI, nonché interviste personali CAPI, focus group che consentono il corretto data input, archiviazione, costante aggiornamento delle anagrafiche, il monitoring in tempo reale e la periodica esportazione del dato di output riqualificato grazie alle informazioni di feedback generate dal contatto diretto con il cliente.

TECNOLOGIA

COME FUNZIONA:

Fondamentale definire lo scopo dell’indagine e costruire attorno a questo il processo di creazione e definizione delle fasi di sviluppo e messa in opera, dallo script di contatto, alla definizione e strutturazione della banca dati, all’elaborazione del piano di campionamento casuale e/o stratificato in base a parametri personalizzabili (geografici, economici, demografici, di prodotto, vendita). Il processo entra nel vivo in fase fieldwork, il momento del contatto e della VOCE, la customer voice, il momento delle domande e delle risposte, delle opinioni scritte e raccontate, delle critiche e dei suggerimenti, il momento dell’ascolto e delle opportunità.

RISULTATI • Fornire dati validati, aggiornati e statisticamente significativi e rappresentativi ai ‘decision maker’. • Utilizzare i dati a disposizione per pianificare attività di marketing e comunicazione aziendale nel medio/ lungo periodo al fine di generare nuove opportunità di business, differenziando le azioni da dedicare ai vari target. • Individuare le principali criticità e le aree di miglioramento in merito alle quali porre in essere eventuali azioni correttive.

“Parlare è un bisogno. Ascoltare è un’arte” (Goethe),

l’arte che chiamiamo in termini economici e aziendali, l’inside marketing. Perché il sistema azienda si interfaccia e si confronta naturalmente con il contesto esterno ad essa e con il mercato e i mercati che pervadono e occupano tale spazio, cercando di rispondere alle richieste grazie alla percezione della domanda e all’utilizzo degli strumenti a propria disposizione. I due contesti (interno ed esterno) si parlano attraverso un flusso di dati e informazioni che reciprocamente vengono scambiate, richieste ed esaminate nel campo di azione che è competizione di mercato. E poi… l’output della ricerca trasforma le parole in dati, in scale di giudizio, in ricodifica, in informazione. Presidiare e monitorare, dunque, i touch points di contatto in ognuna delle fasi di vendita e acquisto, di qualsiasi natura essi siano, tradizionali incontri personali, scritti, telefonici o moderni sistemi di chat, social e networking, significa spesso ricerca del tassello mancante.

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Parlare è un bisogno. Ascoltare è un’arte Goethe


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Bot Facebook,

come si trasforma la customer care aziendale SONO FRA GLI STRUMENTI PIÙ INTERESSANTI IDEATI DA CASA ZUCKERBERG PER LE AZIENDE, E PROMETTONO DI RIVOLUZIONARE L’APPROCCIO TRADIZIONALE AL CLIENTE di Silvia Baldini

R

isponditori automatici in grado di interagire perfettamente con l’utente che contatta un’impresa su Messenger, la ormai famosa chat di Facebook, e capaci di dare risposte complesse e puntuali: non si tratta di fantascienza, ma di realtà. E gli strumenti in questione si chiamano Bot, abbreviazione di "ro-bot". Sono una delle creazioni più interessanti di casa Zuckerberg in fatto di servizi per le aziende e sembrano essere uno degli strumenti più importanti che Menlo Park ha preparato, destinato a svilupparsi nel prossimo futuro. Qualcosa con cui le imprese dovranno fare i conti e che potrebbe rivoluzionare modalità e strumenti dei servizi di customer care tradizionali. Uno strumento che, nel caso in cui entrasse a regime e venisse adottato in maniera sistematica dalle imprese, potrebbe avere non poche ripercussioni anche sulla gestione del rappor-

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to con il cliente. Per poter sfruttare al massimo le potenzialità di questo e di altri strumenti messi a disposizione delle imprese dal colosso di Menlo Park, è chiaro che le aziende dovranno sviluppare un approccio diverso a Facebook, più consapevole e maturo. Una delle prime conseguenze sarà certamente la rivalutazione dell’utilizzo dello stesso strumento Facebook, ancora oggi non diffuso in maniera massiva, specie tra le piccole e medio imprese. C’è chi lo considera ancora solo un tool di svago, o chi non ne conosce appieno le potenzialità di promozione del brand aziendale, facendosi così sfuggire importanti occasioni di visibilità e di business. Non a caso, la conoscenza delle potenzialità dei social media appare essere uno dei problemi più importanti per le Pmi italiane, spesso non dotate di figure professionali specifiche in grado di gestire tutto l’aspetto della comunicazione web e trarre profitto da azioni strutturate in tale ambito. I

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Bot sembrano rientrare appieno nella categoria dei dispositivi online che le imprese dovranno imparare a conoscere meglio per sviluppare servizi importantissimi come quello dell’ascolto del cliente e delle sue esigenze. Un processo inarrestabile, peraltro, quello dell’evoluzione dei rapporti tra impresa e clienti, che oggi ormai si esprimono sempre di più sui social cercando un contatto quanto più diretto possibile con l’azienda. Si tratta di un fenomeno in costante evoluzione che va studiato con attenzione: le imprese dovranno attrezzarsi anche con figure professionali specifiche dedicate alla moderazione dei messaggi e delle risposte sui social network stessi, oltre che all’analisi dei dati provenienti da questi contenitori. Laddove l’umano, poi, non potrà arrivare, ci penseranno i Bot, assistenti perfetti alla comunicazione. Alla base della riposta automatica del Bot ci sono complessi algoritmi di intelligenza artificiale che sanno rispondere


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alle richieste che vengono fatte e sanno eseguire compiti specifici. Facebook sta già lavorando al loro miglioramento, per far sì che nel tempo acquisiscano una precisione di risposta sempre più importante, simile a quella umana. Una sperimentazione molto interessante, perché l’interazione con una persona fisica è chiaramente complessa da replicare, ma la sfida è lanciata e bisogna vedere quanto si riuscirà a perfezionare lo strumento. Intanto c’è già chi si sta affidando alle varie tipologie di Bot attualmente presenti sul mercato per interagire con il proprio pubblico, come la CNN, che su Messenger risponde puntualmente alle richieste dei suoi utenti online, garantendo un servizio informativo molto diretto e innovativo, differente da quello di altri network. Oltre alla CNN, si è lanciato nell’impresa anche il Wall Street Journal. Mentre al di fuori dell’ambito giornalistico stanno testando l’opzione anche diverse aziende di

altri ambiti: è possibile, ad esempio, interrogare un Bot sulla chat Messenger di una nota casa di produzione di stampanti per l’invio dell’ordine di stampa dei documenti da remoto, o per ricevere le previsioni del tempo. Sperimentazioni che potranno allargarsi facilmente anche ad altri settori e servizi. Interessante la nascita recente di un Bot dedicato al turismo e al mondo dell’hotellerie, ribattezzato Magellano, frutto della ricerca di un’impresa italiana: Magellano consente di dialogare con i clienti in diverse lingue, tra cui arabo, cinese e greco, oltre agli idiomi più usati, e permette di inviare offerte e comunicazioni ai clienti. Inoltre, quando parla con Magellano, l’utente di Facebook può, direttamente da Messenger, entrare in Google Maps e visualizzare subito il percorso che porta all’hotel, senza doverne inserire l’indirizzo. È possibile, poi, far partire la chiamata all’hotel senza dover cercare il numero su Internet,

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un vantaggio non da poco soprattutto per chi naviga da mobile, ovvero la maggioranza degli utenti. Inoltre Magellano dà la possibilità di creare un database clienti che comprende sia quelli che hanno messo ‘like’ alla pagina dell’hotel, sia chi ha interagito su Messenger con la pagina. Bisognerà riflettere soprattutto su quest’ultimo aspetto nel prossimo futuro: già ora è di fondamentale importanza per le aziende la possibilità di raccogliere contatti in grado di divenire potenziali nuovi clienti. Si tratta dei processi di lead generation, che strumenti come quelli messi a disposizione sui social possono aiutare notevolmente a far crescere. Un’evoluzione tale degli strumenti social porta con sé anche la riflessione sulla gestione della privacy degli utenti e quella dei dati sensibili, con trasformazioni e aggiornamenti continui della normativa in materia. Ma questa è già un’altra storia. >>>

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2 BE SOCIAL

CHI USA I BOT FACEBOOK

TRAVEL EXPEDIA Il Bot consente agli utenti di prenotare alberghi attraverso una chat, rispondendo alle sue domande. Questo suggerisce offerte, sconti e migliori hotel per la destinazione prescelta e l’utente può poi visualizzarne i dettagli e completare la prenotazione. A questo punto Expedia Bot dà la conferma di prenotazione e tutte le indicazioni che possono essere utili al viaggiatore su come raggiungere la location e usufruire dei servizi.

SKYSCANNER il Bot di Skyscanner consente di digitare la destinazione desiderata e di ricevere informazioni in tempo reale sui prezzi dei biglietti aerei, oltre che di ottenere suggerimenti riguardo le mete di viaggio e le offerte. Sono trend di ricerca in real time che forniscono le suggestioni. Il Bot restituisce i dati dei voli e rimanda l’utente al sito web per l’acquisto.

FOOD PIZZA HUT Il Bot di Pizza Hut consente a tutti gli utenti che sono registrati su Pizza Hut di effettuare ordini migliorando la gestione e i tempi di attesa, inviando poi una mail di conferma a ordine completato. Tramite il Bot i clienti hanno anche un’altra possibilità: quella di chiedere informazioni sullo stato degli ordini e sulle offerte, con le promozioni attive.

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HUMAN RESOURCES

E-COMMERCE AND RETAIL

FIRSTJOB

H&M

Mya è un Bot nato per l’azienda Firstjob, operativa nel reclutamento di candidati per posizioni di lavoro, e aiuta a svolgere i colloqui di lavoro per le aziende. Si tratta di un Bot che funziona via Facebook, Skype e Messenger, ma anche per e-mail e SMS, sottoponendo una serie di domande a tutti i candidati.

Il chatbot ufficiale di H&M, che è tra i maggiori retailer di abbigliamento in Europa, è stato uno dei primi presentati nella piattaforma di messaggistica Kik. Il Bot di H&M profila l’utente ponendogli delle domande relative a età e sesso, ma anche a preferenze di abbigliamento e stile. Rende poi possibile la navigazione nel catalogo dei prodotti in Store proponendo diverse opzioni in base ai gusti dell’utente. Acquisisce poi conoscenza di ciò che l’utente preferisce, in modo da riuscire a fornire un servizio sempre più tailor-made e personalizzato.

FINANCE AND BANKING AMEX Bot ideato da American express e consente ai clienti di avere notifiche in real time che riguardano i propri acquisti, oppure le informazioni su vantaggi e offerte. Può accadere che, acquistando un biglietto aereo, l’utente sia in grado di ricevere accessi dedicati in aeroporto oppure offerte su servizi e ristoranti. Amex ha l’obiettivo di offrire, nel corso del tempo, contenuti che siano sempre più personalizzati in base agli acquisti e alle preferenze dei propri clienti.

KASISTO E’ una startup che è nata dai creatori di Siri. Ha dato vita poi a KAI, una piattaforma di AI per il banking e portando in India alla nascita di Digibank, una banca mobile-only in cui a gestire le richieste dei clienti sono i chatbot. Kasisto ha poi sviluppato anche altri 2 bot per Facebook Messenger, che sono Slack e SMS, che si inseriscono nell’ecosistema bancario: sono MyKAI e KAI Banking. MyKAI è il Bot che aiuta i clienti a gestire le proprie finanze, mentre KAI Banking è funzionale all’interazione delle banche con i propri clienti su queste piattaforme.

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REAL ESTATE ADVISOR MARY Un Chatbot per Slack, una piattaforma per la comunicazione online, di Ocean Apartments che fornisce supporto 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Si tratta di un Bot con oltre 10mila annunci e, attraverso una serie di domande poste all’utente, fornisce una serie di opzioni per il tipo di immobile che la persona sta cercando. I risultati vengono poi categorizzati in base alla scelta dell’utente, mostrando come primo il risultato preferito. Il bot consente poi all’utente di prenotare una visita all’immobile scelto e di entrare anche in contatto con i venditori.


PAESI SON-DATI

TYPISCH DEUTSCH …o quasi LA MAGGIORE ECONOMIA DELL’EUROZONA CONTA ATTUALMENTE 80,5 MILIONI DI CONSUMATORI. MA DOVE E COME SPENDONO I TEDESCHI? CIBO E AFFITTO SONO I PRIMI DUE INDICATORI IN CIMA ALLA CLASSIFICA di Federica Tedeschi

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ensi al tedesco medio e immagini un teutonico trionfo di patate, birra e Currywurst, impreziosito da sandali e calzini bianchi, tutto nel più asettico rispetto delle norme del vivere sociale e dell’ambiente. Studi le loro abitudini di consumo e ti accorgi che, in realtà, le cose sono molto più complicate, che anche loro hanno un cuore e vogliono emozionarsi quando acquistano e che, almeno in alcuni ambiti, non sono così all’avanguardia come ci aspetteremmo. Già, perché sull’onda della rivoluzione tecnologica, anche il mercato tedesco sta subendo dei piccoli, ma costanti cambiamenti, che condurranno in vent’anni alla ridefinizione delle abitudini di acquisto. La maggiore economia dell’eurozona conta attualmente 80,5 milioni di consumatori e non sembra aver subito contraccolpi dalla travagliata situazione macropolitica e dal recente attacco terroristico di Berlino, visto che, per il 2017, disporrà di un potere di acquisto di 1.827,5 mld di euro

(+ 2,9% rispetto allo scorso anno): in media ogni Bürger avrà 22.239 euro (+1,7%) da sommare ai suoi risparmi o da utilizzare per acquisti, alloggio e tempo libero [fonte: GfK]. Ma per cosa spendono i tedeschi? Come prevedibile, più della metà della spesa annuale è destinata ai beni di prima necessità, come i generi alimentari (28,5%) e l’affitto (25,9%). E se vogliono concedersi una coccola? Più dell’abbigliamento e dello sport, i tedeschi non possono proprio rinunciare ai ristoranti (13,7%) [fonte: VexCash]. In alcuni casi, invece, la risolutezza tedesca sembra rimanere solo proverbiale e scontrarsi piuttosto con le contingenze personali: sebbene il 57% dei cittadini affermi con convinzione l’importanza di acquistare prodotti a Km0, equo-solidali e eco-friendly, oggi ancora il 54% acquista poco o per niente prodotti bio e meno del 2% ha usufruito degli ecoincentivi per l’acquisto di macchine elettriche [fonte: Statista.de].

Il nostro primo partner commerciale in termini di import ed export si affida al canale online per l’acquisto di determinati prodotti, anche se, dopo il boom del 2013, le transa-

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PAESI SON-DATI

[Fonte: TSYS]

zioni online hanno subito una stagnazione. Ciononostante, il 74% dei tedeschi abituati ad acquistare su internet dichiara di preferire la rete per reperire libri, musica, film e videogiochi. Se il mercato dei media e dell’intrattenimento è arrivato al culmine della sua maturità, iniziando a mostrare le prime tendenze di saturazione, anche il comparto moda online ha raggiunto la sua fase matura, mentre settori ancora in espansione sono gli elettrodomestici e i giochi, che continuano la loro crescita inarrestabile. Sui cosmetici e i medicinali, Berlino, invece, sembra proprio non volerne sapere di finalizzare l’acquisto su internet, mentre si mostra possibilista per altri prodotti, che dovrebbero divenire, in futuro, i nuovi mercati online di successo: il fai da te, l’arredamento, i generi alimentari, il mondo dei gioielli e degli orologi [fonte: Pwc]. Una tendenza trans-settoriale sembra però chiara sin da ora: per i tedeschi, l’online non sostituisce affatto l’offline. Anzi, la strategia multicanale lascia loro la tranquillità di cercare un prodotto in rete, compararne i prezzi (per il 77% questa è un’operazione abituale) e acquistarlo successivamente in-store. Ad esempio, per quanto riguarda

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l’abbigliamento, solo 1 su 5 compra esclusivamente online, mentre il 51% si affida alla multicanalità. Soprattutto, una previsione sui comportamenti di acquisto nei prossimi 20 anni, esplicita la distinzione operata dai tedeschi tra la spesa e lo shopping: se la prima è un’attività obbligatoria, che causa stress e ansia all’83% dei cittadini, il secondo è un fenomeno sociale, legato al contatto con la propria cerchia di amici e a fenomeni quali l’appartenenza a microgruppi e la ricerca di intrattenimento. È così che due dati apparentemente contrastanti possono convivere e, anzi, integrarsi reciprocamente: da un lato 1/3 dei tedeschi spera in futuro di demandare alla tecnologia gli acquisti di tutti i giorni, mentre dall’altro il 77% reputa fondamentale che lo shopping abbia luogo attraverso esperienze vissute nel mondo reale [fonte: QVC]. L’automatizzazione sì, dunque, ma solo per quei settori che non hanno aspetti emozionali. Lo shopping, a discapito della rivoluzione tecnologica, continuerà a rimanere un collante sociale e la discriminante alla base del successo dei negozi sarà proprio la loro capacità di offrire esperienze di intrattenimento. In questo contesto, gli store “analogici” possono giocare la loro partita, offrendo, oltre ai prodotti, mo-

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PAESI SON-DATI

3,3%

generi alimentari

5,9% affitto

8,5% 28,5%

mezzi di trasporto

13,7%

25,9%

ristoranti

utenze domestiche

14,1%

sport e tempo libero

abbigliamento

SPESA PRO CAPITE TEDESCA - ANNO 2016 menti di incontro sociale, racconti di storie emozionanti e la creazione di una community. L’esperienza è infatti la parola chiave che regolerà anche il mercato tedesco degli anni a venire: la ricerca di autenticità e della dimensione familiare farà delle Innenstädte le nuove arabe fenici, portando linfa vitale a tutti quei negozi in centro che tanto hanno sofferto per l’apertura dei centri commerciali nelle periferie. Solo per citare un esempio: in Germania, Ikea ha aperto già da qualche tempo filiali più piccole in centro, che non hanno a disposizione l’intero assortimento, ma che possono consegnare tutto: seguendo le inclinazioni della generazione "Z" – i consumatori del futuro alla ricerca di divertimento – il principio alla base di questo fenomeno, che sembra contraddire la filosofia del colosso dell’arredamento, è quello di vivere la marca, più che acquistare un prodotto. L’allestimento e il racconto di storie sembrano allora essere le due chiavi in grado di aprire, seppure in maniera indiretta, il portafoglio dei prossimi acquirenti: la motivazione sociale alla base dello shopping creerà anche un cambiamento di paradigma dal mondo del consumismo quantitativo alla selezione qualitativa. Se da un lato la Germania si inserisce nella tendenza ge-

neralizzata che vira verso l’esperienzialità, dall’altro rimane invece abbastanza tradizionalista per quanto riguarda i metodi di pagamento. Anche se in declino, il cash rimane ancora il mezzo preferito: solo il 10% utilizza il contactless, il 9% il pagamento P2P e meno del 1% le monete virtuali come Bitcoin. Certo, molti tedeschi non sono ancora al corrente di queste opportunità, ma lo studio condotto da TSYS dimostra che, anche dopo la spiegazione del loro funzionamento e dei relativi elementi di sicurezza come i token, i tedeschi no, non vogliono sperimentare. Il motivo principale? La paura della mancanza di sicurezza nelle transazioni. Paura che si riflette anche nella riluttanza dei tedeschi a fornire i propri dati personali in cambio di sconti o offerte su misura: in media il 40% si dichiara assolutamente contrario a fornire i propri dati, anche se notevoli sono le differenze in base all’età (solo il 28% dei teenager è infatti contrario) [fonte:GfK]. Insomma, come a dire che, per il momento, la Lead Generation e i tedeschi sono come cane e gatto. Appuntamento, dunque, tra 20 anni per vedere se i trend saranno effettivamente cambiati e se, con essi, cambieranno anche i calzini bianchi. Su questo noi, almeno, ci speriamo.

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R&VOLUZIONE

La mutazione dell’ONLINE TRAVEL Il turismo nell’era del web: appare sempre più lontano il 1841, quando Thomas Cook diede vita al turismo moderno organizzato; in occasione di un raduno contro l’alcolismo schedulò un treno speciale domenicale di supporter (comitive di studenti) da Leicester a Lughborough. Fu la prima opportunità di viaggiare anche per le classi medio-basse: al prezzo di uno scellino per il biglietto di andata e ritorno, circa 600 persone salirono a bordo del primo treno charterizzato della storia, segnando i primordi del Tour Operator. Ma Thomas Cook è stato precursore di molti altri dei servizi turistici che tuttora, in forma più evoluta, conosciamo: nel 1865 fondò a Londra la “Thomas Cook & Son”, prima vera agenzia di viaggio; nel 1868 inventò un sistema di hotel couponing per ottenere prezzi fissi dagli alberghi (antico precursore degli attuali cofanetti regalo). Nel 1869 fu la volta della prima crociera sul Nilo e nel 1872 del primo viaggio intorno al mondo. Nel 1874 creò i traveller’s cheque.

WESTIN è la prima catena alberghiera ad accettare prenotazioni e pagamenti attraverso carta di credito.

1976

1983

Il trasporto di linea come attualmente lo intendiamo nasce nel 1949: il Comet, primo volo a reazione, offrì ai suoi passeggeri per la prima volta nel panorama internazionale il servizio di ristorazione a bordo, uno snack bar, e toilette separate per uomini e donne. Nel 1950 nasce ad Alcudia, nelle Baleari, il primo villaggio turistico, evoluzione dei villaggi vacanze costruiti dai partiti politici allo scopo di approfondire l’identità ideologica. Tour Operator precursori sono stati i francesi della Club Med a livello internazionale negli anni ‘70, e Club Vacanze per il mercato italiano negli anni ‘80. Con la Southwest Airlines, nel 1971, prende vita la prima compagnia aerea a gestione low cost. Ma se queste invenzioni di prodotto hanno di fatto creato il turismo così come noi oggi lo conosciamo, nulla come l’avvento del web ha portato a mutamenti radicali nella programmazione turistica e nella struttura delle relazioni fra gli operatori, e tra questi e utenti finali.

SABRE AIRLINE Solutions rilascia il primo sistema di revenue management, allo scopo di massimizzare I profitti delle compagnie aeree ottimizzando le tariffe in tempo reale. Nasce il sistema di tariffazione dinamica.

1992

1986

UNITED AIRLINES United Air-

lines crea la divisione Apollo Travel Services (ATS), e il CRS Apollo (introdotto nel 1971) viene commercializzato presso le agenzie di viaggio di Nord America e Giappone. Per la prima volta la distribuzione del volato da esclusiva delle compagnie aeree viene aperta alle agenzie di viaggio. Nello stesso anno la Gran Bretagna rilascia Travicom, primo GDS (Global Distribution System), a consentire la prenotazione di più compagnie aeree.

1989

NASCE PEGASUS ELECTRONIC DISTRIBUTION, primo sistema centralizzato che unisce sistemi di prenotazione hotel e principali GDS di volato, sviluppato in ottica di connettività globale. I GDS, fornendo informazioni su migliaia di industrie turistiche in tempo reale, hanno dato il via ad una vera e propria rivoluzione telematica nel settore del turismo.

COVIA LANCIA CARMASTER E ROOMMASTER, primi GDS dedicati alla prenotazione di auto e hotel, per le agenzie di viaggio utenti Apollo

1990

GALILEO E COVIA siglano una partnership per creare il primo GDS MONDIALE. LEISURESHOPPER è il primo CRS con disponibilità, tariffe e conferme in tempo reale per pacchetti turistici. La COMBINAZIONE TRA GALILEO ED APOLLO dà vita a TRAVICOM, sistema di prenotazione integrato di voli, hotel, treni, crociere e autonoleggio. I GDS hanno ormai reso globale la disponibilità di ogni genere di servizio e prodotto turistico, all’interno di una fitta rete di collegamenti tra i vari operatori del settore, che hanno accesso esclusivo ai sistemi automatizzati: la prenotazione di un viaggio è possibile solo attraverso l’attività di intermediazione di uno di questi operatori, agenti di viaggio e rappresentanti di compagnie aeree in primis.


CHOICE HOTELS INTERNATIONAL E PROMUS sono i primi a permettere ai clienti finali di accedere ai loro sistemi di prenotazione in tempo reale. Parallelamente ai canali del mercato turistico tradizionale, gli operatori iniziano ad investire nello sviluppo di un nuovo canale di promozione e distribuzione in rete, con l’obiettivo di promuovere la vendita diretta e generare maggiori profitti. Nello stesso anno WORLDSPAN diviene il fornitore per il motore di ricerca di Expedia ed è il primo GDS in grado di ricercare le più convenienti tariffe aeree in tutto il mondo dato un itinerario. Intanto in Indonesia nasce Indo.com, portale che raccoglie oltre 10,000 link da siti di tutto il mondo: è uno dei primi siti rivolti ai visitatori locali a scopo informativo e di prenotazione.

1994

PRIMO CATALOGO HOTEL ONLINE: TRAVELWEB.COM. E’ il primo sito web in grado di provvedere a prenotazioni hotel in tempo reale. Nello stesso anno PROMUS E HYATT HOTELS sono le prime catene alberghiere ad avere un proprio sito internet. Anche dal punto di vista dell’offerta turistica, inizia il progressivo aumento del numero di operatori che si affidano a Internet per rendere più visibili le proprie proposte, sfruttando al massimo tutte le potenzialità commerciali che questo mezzo offre e rivolgendosi direttamente al cliente finale.

BRITISH MIDLAND, secondo vettore britannico, è la prima compagnia aerea a mettere online un sito con booking interattivo, dedicato agli utenti finali. NELLO STESSO ANNO nasce Booking.com. TRAVELOCITY è il primo sito internet americano di prenotazione di biglietti aerei, alberghi e di noleggio automobili: per la prima volta chiunque può programmare personalmente il proprio viaggio in qualsiasi momento, attraverso l’uso di un computer e senza l’ausilio di un intermediario.

1996

NASCE LASTMINUTE.COM: portale online per vacanze last minute. Nel 2000 viene quotato alla Borsa di Londra: sull’onda dell’euforia che esalta le dot com il titolo raccoglie circa 200milioni di euro in sottoscrizioni.

NASCE IL SITO TRIPADVISOR. Sino ad allora molti viaggiatori si affidavano alle agenzie e alle guide per pianificare i loro viaggi. Nel 2002 viene lanciato l’indice di popolarità, la classificazione delle strutture basata sul feedback dei viaggiatori. Nel 2004 il sito include anche i ristoranti. Tripadvisor è il primo marchio legato ai viaggi a raggiungere i 40 milioni di visitatori unici mensili, per contarne attualmente oltre 300 milioni.

2000

1998

VIENE LANCIATO KAYAK, metamotore di ricerca dedicato ai viaggi.

1995

È ONLINE ANCHE TRIVAGO: i metasearch cominciano a crescere. Trivago è attualmente usato da oltre 120 milioni di utenti ogni mese. Nello stesso anno Kayak è il primo sito di viaggi a proporre pacchetti volo più hotel corredati da rating e reviews dei servizi offerti. EXPEDIA sigla un accordo con Groupon, Booking.com lancia i FLASH DEALS: nasce il micro-tripper, nuovo modello di pacchetto vacanze dato dalla convergenza di molteplici fattori, quali: social networking e voglia di condivisione, e-commerce, e-mail marketing, una lunga fase di recessione economica e l’insaziabile desiderio di ogni individuo di comprare offerte; forte della potenza dell’acquisto d’impulso, tale modello va a consolidarsi nel tempo, sino ad occupare una rilevante quota di mercato nel settore turistico.

L’Organizzazione Mondiale del Turismo stima che, per la prima volta nella storia, ABBIANO VIAGGIATO PER TURISMO OLTRE UN MILIARDO DI PERSONE. E il fenomeno è in continua ed inarrestabile crescita...

2011

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NASCE GOOGLE FLIGHTS: sistema originariamente in grado di selezionare le offerte disponibili inserendo date e località di partenza ed arrivo, Google Flights ora esegue una previsione basata sullo storico degli andamenti dei prezzi permettono agli utenti di aggiudicarsi un volo al prezzo migliore, attraverso il suggerimento del momento giusto per acquistarlo.


(S)PUNTI DI VISTA

Il Marketing:

“Valore a lungo termine” A SOLI 39 ANNI VANTA UN KNOW HOW NEL MARKETING TURISTICO CHE AFFONDA LE SUE RADICI IN ALCUNI TRA I TOUR OPERATOR PIÙ IMPORTANTI D’ITALIA: EDEN VIAGGI, AD ESEMPIO. OGGI È IL DIRETTORE COMMERCIALE E MARKETING DEL PARCO DEI DIVERTIMENTI MIRABILIANDIA. "IN UN’EPOCA CARATTERIZZATA DA STRUMENTI E TECNOLOGIE BISOGNA AVERE LA CAPACITÀ DI ASCOLTARE LE PERSONE, E METTERE I BISOGNI DELL’INDIVIDUO AL CENTRO DELLE NOSTRE STRATEGIE AZIENDALI"

Tommaso Bertini

Direttore Commerciale e Marketing Mirabilandia

a cura di Marketing Business Intelligence GGF Group

C

lasse 1978. Un’esperienza che viene dalle più importanti aziende del mondo del turismo e hotellerie. Tommaso Bertini, pesarese, dal 2014 ricopre il ruolo di Direttore Commerciale e Marketing del parco dei divertimenti Mirabiliandia. Ma prima di approdare a Ravenna, il manager marchigiano ha svolto il ruolo di E-commerce & Web Marketing Manager per Eden viaggi, secondo Tour Operator italiano. In soli quattro anni Bertini è stato artefice dello sviluppo della presenza online di tutti i marchi del gruppo Eden Viaggi, definendo, sviluppando e gestendo in prima persona il piano di marketing strategico ed operativo sia verso l’utente finale (B2C) che verso il trade (B2B). Dal 2010 al 2014 Bertini ha svolto per Parques Reunidos il ruolo di Direttore della divisione europea di tour operating chiamata Tra-

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velparks, il cui core-business consiste nella promozione e commercializzazione di pacchetti turistici composti da ingresso nei parchi del gruppo e soggiorno in hotel in diversi paesi Europei (Italia, Francia, Spagna, Olanda, Germania, Danimarca, Belgio, Norvegia). Tra le sue mansioni: la definizione del piano di sviluppo strategico ed operativo della divisione e la gestione dei diversi team di lavoro operanti ognuno nella propria nazione di riferimento, per un totale di oltre 40 persone. Alla sua lunga esperienza in ambito marketing abbiamo chiesto che cos’è questa materia così tanto utilizzata in molte aree di mercato, ma spesso troppo poco delineata: «In un’epoca storica caratterizzata da strumenti e tecnologie che danno la possibilità ad aziende e consumatori di comunicare in maniera bidirezionale in tempi rapidissimi, la capacità di ascoltare le persone, di mettere i bisogni dell’individuo al centro delle

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nostre strategie aziendali e di definire come creare valore nel lungo termine instaurando una relazione di fiducia, è la vera sfida del marketing di oggi» ha detto Bertini. Quali le strategie per poter parlare al mercato riuscendo a distinguersi nell’era delle connessioni pervasive, emergendo dal brusio nella piazza virtuale in cui tutti si espongono? «Non esistono formule magiche che garantiscano che i nostri piani editoriali sui social media siano sempre coinvolgenti, né tecnologie speciali (penso ad esempio alla realtà aumentata, ai video a 360°, etc.) che possano rendere fantastica un’attrazione che non lo è. Allo stesso tempo non basta snocciolare carrellate di numeri impressionanti e prestazioni da record per avere successo. Grazie ad una esperienza ormai piuttosto lunga e anche agli errori commessi, abbiamo capito che le persone diventano


(S)PUNTI DI VISTA tanto più recettive quanto più si riesce a stabilire un legame emotivo dando una risposta ai loro bisogni di socializzazione ed emozionalità, quando riusciamo a far comprendere come una visita al nostro parco possa rappresentare il posto giusto per esprimere il desiderio di socialità, di rafforzamento dei legami con i propri amici o la propria famiglia, oltre che quello di divertimento. Si deve andare ben oltre l’autoreferenzialità e l’autocelebrazione quindi, non basta dire di essere il parco più grande d’Italia o con i roller coaster più estremi se questo non rappresenta in qualche modo la risposta ad un desiderio esplicito o recondito delle persone. Chiaramente tradurre tutto questo dalla teoria alla pratica è molto più facile a dirsi che a farsi». Quale importanza attribuire, e come dar forma al processo di contatto e ascolto del cliente? «Come già accennato, l’ascolto dei bisogni e l’analisi della soddisfazione dei nostri clienti è un aspetto fondamentale su cui basiamo le strategie di crescita del nostro parco. Il nostro fine è quello di cercare di costruire una relazione di lunga durata con i nostri clienti. Questo significa talora doversi sforzare per contrapporsi a logiche di massimizzazione del profitto nel breve-medio termine, che dando benefici immediati rappresentano una facile scorciatoia in certe situazioni, ma mettono a repentaglio il valore di una marca ed il suo futuro». Come fa un leader di mercato a comunicare l’eccellenza dei propri prodotti e servizi? «Ricollegandomi al discorso precedente, credo che nell’era dei social media e nel nostro settore soprattutto, un bravo marketing manager deve concentrarsi sul miglioramento del prodotto e sul valore offerto ai propri clienti in ogni punto della custo-

mer journey. Cercare di migliorare le criticità che emergono dal dialogo bidirezionale con i nostri visitatori è l’aspetto che sta a monte di tutto il resto. Comunicare in modo creativo e originale, difendere il nostro brand, ad esempio controllando che la qualità di ogni materiale prodotto sia alta, sono aspetti importanti, ma che vengono immediatamente dopo». Quale combinazione di strumenti deve essere usata per comunicare e quali i canali preferibili per essere più efficaci? «Anche e soprattutto per questa domanda non credo che esistano soluzioni univoche applicabili in ogni momento e settore. Molto dipende dalla segmentazione del proprio panel di clienti, che si deve riflettere sul media mix. Nel nostro caso cerchiamo di privilegiare gli strumenti e i canali che ci permettono di coinvolgere il maggior numero di sensi, come i contenuti video, avendo un prodotto che parla più al “cuore” che alla mente. Infatti da diversi anni a questa parte, oltre ad allocare la maggior parte della nostra spesa in TV, stiamo investendo sempre di più nella realizzazione di branded content su internet». In che modo i settori Sales & Marketing e Customer Service possono collaborare con efficacia per avvicinare il cliente? «Come già detto nelle domande precedenti, il dialogo bidirezionale con i nostri clienti e prospect si posiziona a monte delle nostre strategie. Di conseguenza il customer service, in ogni sua declinazione, è al cuore della nostra azienda». E’ possibile un marketing etico, che comunichi il valore intrinseco del brand e l’anima che vi è dietro? «Al di là di temi di deontologia individuale o aziendale che per me restano imprescindibili, credo che oggi le aziende siano troppo esposte per permettersi comportamenti non

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rispettosi socialmente, nei confronti dell’ambiente o dei propri clienti e collaboratori. Oggi un consumatore ha la possibilità di approfondire e raccogliere informazioni sui brand con i quali entra in contatto in modo molto più rapido e contemporaneamente si aspetta un comportamento improntato alla sostenibilità da parte dalle aziende. Essere autentici diventa, quindi, quasi un obbligo che tra l’altro viene ricompensato dalle scelte dei consumatori che si riconoscono più facilmente con quelle aziende che fanno marketing con trasparenza, correttezza e nel rispetto di tutte le sensibilità». William Edwards Deming affermava: “Without data, you’re just another person with an opinion.” Quale importanza attribuisce alla gestione, comprensione ed interpretazione dei dati qualitativi e quantitativi? «È un aspetto assolutamente cruciale che mi trova pienamente d’accordo, e a cui rispondo con un’altra citazione “If you cannot measure it, you cannot improve it” questa volta di Lord Kelvin». Come si è evoluta negli anni la figura del Marketing Manager? «Se fino a 10 anni fa era l’azienda a guidare e “imporsi” sul consumatore, oggi il consumatore ha a tutti gli effetti un ruolo centrale ed esprime attraverso numerosi canali la propria volontà e bisogni che riguardano la vita quotidiana, ma anche le proprie accresciute necessità di emozionalità che cambiano ed evolvono molto più rapidamente che in passato. Questo comporta la necessità per un marketing manager di mettere a disposizione prodotti sempre più rispondenti alle esigenze espresse e soprattutto un’accresciuta capacità di sapere raccontare questi prodotti rinunciando ai claim e facendo invece leva sull’autenticità. E’ quindi importante saper

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(S)PUNTI DI VISTA

sfruttare in modo più efficace i dati disponibili certamente attraverso le classiche ricerche, ma anche quelli provenienti dall’ascolto della rete e dai messaggi che arrivano dal social e customer care. Tutto questo con budget e risorse spesso sfidanti. Inoltre serve, a mio parare, una maggiore apertura mentale e cultura generale rispetto al passato, grande curiosità e attenzione continua ai trend e ai nuovi canali. Serve saper usare personalmente i canali sui quali si deve dialogare con il consumatore. In un certo senso bisogna sporcarsi molto più le mani. La capacità di conoscere e adattarsi al contesto, oggi, sono fondamentali». Oggi un marketing Manager deve essere più “decision maker” o “problem solver”? «Credo che nelle realtà aziendali private contemporanee sia necessario che tutte le figure manageriali siano al contempo decision maker e problem solver. Ci muoviamo in un con-

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testo di business che impone ritmi di pensiero e azione che spesso vanno a sovrapporsi senza soluzione di continuità». Date le tendenze attualmente osservabili sui mercati, quali ritiene siano le nuove sfide del marketing del prossimo decennio? «Considerando la rapidità con la quale evolvono i mercati, ma soprattutto i nostri clienti attuali e potenziali, la prima considerazione da fare è che oggi risulta impossibile prevedere le sfide di lungo periodo. Posso ipotizzare che la velocità di adattamento a un contesto in costante evoluzione, e sempre più liquido, continuerà a essere la sfida principale. Crescerà la necessità di essere coraggiosi e aperti alla sperimentazione». Quanto consiglierebbe (da 0 a 10) ad un giovane di intraprendere una carriera da marketer? E perché? «Lo consiglierei con un 8 perché non è un lavoro sostituibile da robot o al-

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goritmi ed è facilmente applicabile in ogni parte del globo. Il lato negativo è la pressione non banale che si è chiamati a sopportare, soprattutto in posizioni apicali, per cui credo si debba essere portati». ORA TRE DOMANDE FLASH. La prima: se dovesse utilizzare una parola, aggettivo, forma verbale per definire il marketing, quale utilizzerebbe? «Dialogare». La seconda: quali le maggiori sfide che incontra come Marketing Manager? «Non cedere a strategie finalizzate a massimizzare i ritorni nel breve termine». Infine l’ultima: in una frase, qual è il principale obiettivo che si pone come Marketing Manager? «Cercare di creare valore per i nostri clienti in ogni fase della customer journey».


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FORMAZIONE

Personal branding, le relazioni da cogliere “al web” Luigi De Seneen

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igital Pr, una delle professioni più creative che lega web e business. Rispetto al metodo tradizionale di fare pubbliche relazioni cambia praticamente tutto. L’”old school” delle public relations vedeva nei media offline il referente principale. L’evoluzione 4.0 di questo settore, invece, oltre a cavalcare il canale digitale del web, sposta il fulcro del discorso verso gli influencer, i community manager, gli stakeholder, i blogger. «Il mondo digital ci offre una serie di strumenti che rendono possibili misurazioni quantitative e qualitative delle relazioni – spiega Luigi De Seneen, esperto del settore - ci evidenzia esattamente le dinamiche». Quanto contano, secondo lei, le relazioni online ed offline nell’ambito del Digital Personal Branding? «Le relazioni sono diventate un asset aziendale strategico tanto quanto altri asset classici. Sono la leva di business più potente in questa fase storica dei mercati. Poco si può agire su variabili tradizionali come prodotto e prezzo senza rischiare impoverimenti

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COMPETENZA E PROFESSIONALITÀ. CAPACITÀ COMUNICATIVE PENETRANTI, E UTILIZZO DEI CANALI SOCIAL CON DIMESTICHEZZA TOP. IL DIGITAL PR È UNA DELLE FIGURE CHIAVE DELLA COMUNICAZIONE 4.0 di Loredana Pistonesi e lotte al ribasso. Sono necessari alert sensibili a tutte le variazioni. Infatti le dinamiche di rete sono veloci e seguono una progressione esponenziale. Cogliere tardivamente gli umori del nostro contesto genera danni difficilmente riparabili». Come ci si può differenziare rispetto alla massa mantenendo la direzione che ad ognuno di noi risulta più consona ed adatta? «Per lungo tempo le PMI e molti professionisti hanno vissuto il marketing quasi come un vezzo, come una questione superficiale. Lo scenario è cambiato tanto velocemente da trasformare la comunicazione da possibile scelta a impellente necessità. Questo ha generato una disorganizzata corsa alla creazione di siti, blog e pagine social. Per differenziarsi è assolutamente necessario affidarsi a chi ci guidi in un percorso di analisi e progettazione serie. Ponderate. Prima di sbarcare sul web è necessario un processo di marketing vero». Sembra che social, algoritmi, il web in genere si stia sempre di più focalizzando su una comunicazione più diretta fatta

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di Video. Cosa ne pensa? «L’omologazione è sempre la via più semplice. Le tendenze del web sono sempre veritiere. L’attitudine di azienda e professionisti invece è molto differenziata. Uno dei miei autori preferiti Seth Godin lo ripete in molte sue opere ed interventi. Non tutti i mezzi sono adatti a tutte le aziende. Il problema è sempre nella visione miope che ci fa scambiare il web con il marketing. Il web è un di cui». Nel 2015 lei è riuscito a portare il Prof. Kotler in Italia, se dovesse riassumere tutta l’esperienza in un consiglio? «Il Prof. Kotler oltre ad essere un luminare è un uomo straordinario e proprio pranzando con lui ho capito la radice potente che ha fatto di lui lo studioso che ammiriamo. Ascolta tutti con una attenzione assolutamente focalizzata. E’ sinceramente curioso ed interessato. Porta con sé un piccolo blocco notes e molte penne. Scrive ed appunta tutto. Ha negli occhi la luce di una mente giovanissima. Instancabile. Perfettamente collegato tra tutto ciò che ha teorizzato e tutto ciò che il marketing è oggi».


FOCUS IDENTITÀ DIGITALE

RIVOLUZIONE SPID: scompare la burocrazia con l’identità digitale IL PASSO CHE TUTTI S’ASPETTAVANO, MA CHE POCHI ANCORA UTILIZZANO. IL SISTEMA PUBBLICO DI IDENTITÀ DIGITALE VELOCIZZA IL PROCESSO DI PRODUZIONE DI DOCUMENTI DELLA PA E APRE LE PORTE AD UNA NUOVA ERA. MA IN ITALIA TARDA AD ENTRARE NEL TESSUTO SOCIALE, ANCORATO ALLE VECCHIE E SCOMODE ABITUDINI

È

entrata in vigore nella seconda metà dello scorso anno, ma non tutti sanno ancora che cosa sia e a che cosa serva. L’identità digitale in Italia tarda ad entrare nel pieno utilizzo e nello sviluppo completo delle sue potenzialità. Ad oggi sono state erogate oltre 1 milione di Identità Digitali. Pochine rispetto al numero possibile

di Guido Guidi di utenti, sebbene il trend sia, però, in costante crescita. Immaginate soltanto che cosa potreste fare nella maniera più spedita e diretta: dovete prenotare una qualsiasi pratica sanitaria? Bene, via le code agli sportelli degli appositi uffici. Quella è storia vecchia. Eredità della burocrazia anni ’70. Adesso c’è Spid, ovvero Sistema Pubblico di Identità Digitale. E tutto si snellisce. Dovete iscrivere vostro figlio a

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scuola? Perfetto, c’è l’Identità Digitale. Accedere alla rete wi-fi pubblica? Ancora, c’è l’Identità Digitale. E via così. In pratica è finalmente entrata la nuova frontiera delle pratiche individuali d’ufficio, che non solo abbrevia di molto l’iter istituzionale, ma evita l’utilizzo di tonnellate di carta. Eccola qua la rivoluzione 4.0, quella digitale. Se ne parla da tanto tempo, ma ancora pochi, almeno in

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FOCUS IDENTITÀ DIGITALE Italia, ne usufruiscono. Scetticismo? Diffidenza provocata dalla paura di una vulnerabilità digitale dei dati personali? O più semplicemente una scarsa informazione e conoscenza del mezzo? Forse è più l’ultima opzione. Dunque un motivo in più per andare in profondità sull’argomento. CHE COS’E’ SPID? In realtà è molto semplice: Spid è la soluzione che permette di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione con un unico nome utente e un’unica password da qualsiasi dispositivo: computer, tablet e smartphone. Quindi si passa da migliaia di password e codici ad una sola per l’accesso ai servizi online della pubblica amministrazione. Spid nasce per semplificare il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione. Rappresenta il documento di identificazione online del cittadino attraverso cui è possibile utilizzare in sicurezza i servizi pubblici online. I VANTAGGI L’Identità Digitale permette di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione in maniera semplice, veloce e sicura. L’identità digitale unica permette di accedere, da qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo, a tutti i servizi pubblici online, come prenotazioni sanitarie, iscrizioni scolastiche, accesso alla rete wi-fi pubblica, pratiche d’impresa. Il sistema Spid inoltre assicura la piena protezione dei dati personali, in quanto non permette alcun tipo di profilazione dei dati stessi. COME SI OTTIENE Per ottenere Spid bisogna aver compiuto 18 anni ed essere in possesso di documento di riconoscimento, di codice fiscale, di un indirizzo e-mail valido e di un numero di telefono. Dopodiché è necessario rivolgersi

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ad uno dei cinque gestori di identità digitale (identity provider – soggetti accreditati da AgID che identificano i cittadini e rilasciano le credenziali Spid). La scelta è libera tra Aruba, Poste, Tim, Sielte e Infocert. Il primo passo è registrarsi sul sito di uno dei cinque gestori. Dopo la registrazione ognuno dei gestori mette a disposizione diverse modalità per completare le procedure a seconda delle esigenze dei cittadini (ad es. riconoscimento fisico negli uffici abilitati, via web cam, online con firma digitale, carta di identità elettronica o carta nazionale dei servizi). LE NOVITÀ Le ultime regioni ad aderire sono state la Basilicata e la Lombardia. La Basilicata è la prima regione del Sud con circa 10 servizi (pagamento online, consultazione e compilazioni istanze). Da novembre c’è stata anche l’adesione anche della Lombardia. Inoltre dal 16 gennaio al 6 febbraio 2017 è stato possibile accedere al servizio online di iscrizione alle classi prime delle scuole primarie e secondarie di primo e di secondo grado. Il Comune di Roma ha reso accessibili con Spid tutti i suoi servizi online (tra cui servizi di pagamento, anagrafici, scolastici, tributari). Hanno aderito a Spid anche una serie di comuni di grandi dimensioni tra cui Verona, Firenze, Livorno, Empoli, Massa Carrara, Modena, Bari (e altri 25 comuni della provincia). Tra le amministrazioni centrali aderenti c’è anche la Guardia di Finanza e con Spid è possibile accedere al portale dedicato ai concorsi online dell’ente. Dall’inizio di novembre con l’identità digitale i ragazzi nati nel 1998 che hanno compiuto 18 anni possono accedere a 18app e utilizzare i 500 euro del bonus-cultura. I 18enni che hanno richiesto e ottenuto Spid

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sono circa 355.000 ALTRI UTILIZZI Un ragazzo con credenziali Spid può: accedere alle Biblioteche di Roma per consultare quotidiani italiani, esteri e riviste in versione digitale, accedere ai servizi online delle Università Italiane (Sapienza Roma, Università Torino, Politecnico di Milano), utilizzare il wifi del comune di Venezia, di Verona o degli access point pubblici messi a disposizione in tutta la regione Emilia Romagna. Mentre un lavoratore può: accedere al suo 730 online dell’Agenzia delle Entrate, accedere a tutti i servizi online rivolti al cittadino di Inps, accedere a tutti i servizi online di Inail (ad es. servizi relativi a infortuni o sicurezza sul lavoro), accedere ai servizi di ACI per calcolare benefit e rimborsi per l’uso di veicoli privati per motivi lavorativi. Cosa può fare, invece, un genitore con Spid? Può effettuare direttamente l’iscrizione online dei figli alle classi prime delle scuole primarie e secondarie di primo e di secondo grado dal portale iscrizioni.istruzione. it a partire dal 16 gennaio 2017. In Friuli Venezia Giulia si può accedere ai servizi online dedicati alla mensa scolastica. Mentre in Emilia Romagna si può accedere al servizio online per fare domanda per i contributi sui libri di testo per l’anno scolastico. Il piccolo-medio imprenditore, invece, con Spid può accedere al servizio di fatturazione elettronica verso la Pubblica Amministrazione. Quindi servizi in ambito socio sanitario, anagrafico e professionale (cambio medico curante, dati anagrafici sanitari, scheda anagrafico professionale, mensa scolastica). La rivoluzione digitale è appena cominciata, ma occorre comunicare al meglio, e in maniera più capillare, quali vantaggi si prospettano all’utente.


TENDENZE

SKILLS REVOLUTION: la palla in mano ai CEO ACCELERARE IL RESKILLING, RIPROGETTARE IL LAVORO SECONDO IL POTENZIALE UMANO, RAFFORZARE LA TALENT PIPELINE ALLA FONTE. TRE MOSSE PER AIUTARE I LEADER A DISTRICARSI E A DARE VITA ALLA FORZA LAVORO DEL FUTURO

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arte dai Ceo la rivoluzione delle professioni che permetterà di sfruttare il potenziale del digitale. Le parole chiave della workforce of the future saranno “reskilling” e “adattabilità”. Secondo lo studio Harnessing Revolution: Creating the Future Workforce di Accenture Strategy, dovranno essere proprio i manager delle aziende a dare ancora più centralità alla propria forza lavoro, accompagnandola

di Alessandra Monticelli verso le nuove frontiere professionali dell’era digitale. Lo sviluppo di competenze, come capacità di leadership, pensiero critico e creatività, o ancora intelligenza emotiva, potrebbero contrastare notevolmente la riduzione dei posti di lavoro legata alla crescente automazione. Come questo sia possibile lo spiega l’indagine di Accenture Strategy, condotta su un campione di 10,527 lavoratori di dieci diversi paesi, secondo la quale se si riuscisse

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a raddoppiare il ritmo con cui i lavoratori sviluppano queste competenze, la quota di posti di lavoro a rischio diminuirebbe dal 10 al 4% entro il 2025 negli Stati Uniti. Secondo lo stesso meccanismo si assisterebbe a un calo dal 9% al 6% nel Regno Unito e dal 10% al 5% in Germania. L’87% degli intervistati, con punte che toccano il 93% nel gruppo dei Millennials e minimi intorno al 79% per quanto riguarda i Baby Boomers, si aspetta che parte delle proprie

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TENDENZE mansioni sarà automatizzato nei prossimi cinque anni. Di questi, l’80% è convinto che l’applicazione del digitale sul posto di lavoro arrecherà più benefici che danni. Inoltre, i lavoratori oggi richiedono risposte diverse in termini di riconoscimenti, benefit e supporto. L’indagine online è stata condotta negli Usa, in Brasile, nel Regno Unito, in Francia, in Germania, in Australia, in Italia, in India, in Giappone e in Turchia su un campione di 10.527 lavoratori selezionati fra i vari livelli di competenza e le varie generazioni. <<Le capacità squisitamente umane come leadership e creatività, saranno ancora fondamentali. Le aziende vincenti saranno quelle in grado di utilizzare le migliori tecnologie per valorizzare e non ridurre la forza lavoro - afferma Ellyn Shook, Chief Leadership and Human Resources Officer Accenture – i dipendenti sono ottimisti e comprendono la necessità di acquisire nuove skills, in quest’ottica il digitale può accelerare l’apprendimento, renderlo parte integrante del lavoro quotidiano, quasi un nuovo stile di vita>>. Nei paesi coinvolti dall’indagine (Italia, USA, Brasile, Regno Unito, Francia, Germania, Australia, India, Giappone e Turchia), si evidenzia l’atteggiamento positivo degli intervistati rispetto all’introduzione delle tecnologie digitali sul posto di lavoro. L’84% degli intervistati, infatti, si dice ottimista sull’impatto del digitale nell’ambito della propria professione. Più dei due terzi ritengono che tecnologie come la robotica, l’analisi dei dati e l’intelligenza artificiale li aiuteranno ad essere più efficienti sul posto di lavoro (74%), ad apprendere nuove competenze (73%) e a migliorare la qualità del loro lavoro (66%). <<Il compito di creare la forza lavoro del futuro è nelle mani di ogni CEO. I leader che sapranno trasformare

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Accelerare il reskilling: investire, a tutti i livelli, in hard e soft skills, competenze tecniche e umane. Velocizzare la riqualificazione professionale ricorrendo a wearable technologies, come per esempio gli smart glasses, che consentono al lavoratore di apprendere lavorando. O ancora software intelligenti che personalizzano la formazione offrendo suggerimenti in base alle esigenze del singolo dipendente. Riprogettare il lavoro secondo il potenziale umano: creare opportunità di impiego insieme ai lavoratori, basate sull’evoluzione stessa delle professioni o sulle esigenze di flessibilità espresse dal personale. Sviluppare piattaforme in grado di offrire risorse e servizi ai dipendenti e collaboratori per creare una comunità stimolante, in grado di mantenere alta la fedeltà anche dei più talentuosi. Rafforzare la talent pipeline alla fonte: affrontare la carenza di competenze specifiche studiando soluzioni di lungo termine, come per esempio partnership tra pubblico e privato in grado di dare vita a specifici programmi di formazione. Collaborare con le istituzioni scolastiche per progettare lo sviluppo delle competenze richieste sin dalle fasi iniziali del percorso formativo. i loro dipendenti in una priorità strategica e sapranno comprendere l’urgenza di questa sfida, riusciranno a posizionarsi per primi in termini di crescita e innovazione>> afferma Mark Knickrehm, Group Chief Executive, Accenture Strategy. Per aiutare i leader a districarsi e a dare vita alla forza lavoro del futuro, Accenture Strategy propone di prestare particolare attenzione a tre punti: accelerare il reskilling, riprogettare il lavoro secondo il potenziale umano, rafforzare la talent pipeline alla fonte. Il primo caso significa investire, a tutti i livelli, in hard e soft skills, competenze tecniche e umane, considerando che l’85% degli intervistati si dice disponibile a dedicare parte del proprio tempo libero, nei prossimi sei mesi, per apprendere nuove competenze. Velocizzare la riqualificazione professionale ricorrendo a wearable technologies – come per esempio gli smart glasses, che consentono al lavoratore di apprendere lavorando.

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O ancora software intelligenti che personalizzano la formazione offrendo suggerimenti in base alle esigenze del singolo dipendente. Riprogettare il lavoro secondo il potenziale umano, invece, altro non è che creare opportunità di impiego insieme ai lavoratori, basate sull’evoluzione stessa delle professioni o sulle esigenze di flessibilità espresse dal personale. Sviluppare piattaforme in grado di offrire risorse e servizi ai dipendenti e collaboratori per creare una comunità stimolante, in grado di mantenere alta la fedeltà anche dei più talentuosi. Infine rafforzare la talent pipeline alla fonte vuol dire affrontare la carenza di competenze specifiche studiando soluzioni di lungo termine, come per esempio partnership tra pubblico e privato in grado di dare vita a specifici programmi di formazione. Collaborare con le istituzioni scolastiche per progettare lo sviluppo delle competenze richieste sin dalle fasi iniziali del percorso formativo.


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Finanza Digital, la rivoluzione è servita SONO ORMAI CIRCA 730 LE STARTUP NATE IN AMBITO FINANZIARIO CHE SI PONGONO COME CONCRETA ALTERNATIVA ALLE BANCHE, MENTRE I BIG DATA INIZIANO A ENTRARE PREPOTENTEMENTE NEL MONDO DELLA FINANZA. ECCO IL FUTURO PROSSIMO DI UN SETTORE DESTINATO A CAMBIARE PROFONDAMENTE CON L’INNOVAZIONE DIGITALE di Silvia Baldini

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i tratta di un fenomeno di cui si stanno accorgendo soprattutto all’estero: è lo sviluppo deciso della FinTech, ovvero la finanza HiTech, quella sempre più legata all’uso degli strumenti digitali, ancora poco conosciuta in Italia. A studiarla ci ha pensato l’Osservatorio Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano, accorgendosi della crescita esponenziale a partire dal 2011 di startup finanziarie in grado di raccogliere molti finanziamenti, ponendosi come alternativa credibile alle banche. Come è stato possibile raccogliere questi fondi? Ce lo ha spiegato Filippo Renga, responsabile scientifico dell’Osservatorio Digital Finance: «Le circa 730 startup Fintech censite dalla ricerca dell’Osservatorio Digital Finance hanno ricevuto finanziamenti da parte di investitori

istituzionali, da banche, da grandi provider tecnologici o da Business angel (abbiamo considerato solo quelle che hanno raccolto almeno 1 milione di dollari negli ultimi due anni). Complessivamente si possono stimare quasi 26 miliardi di dollari di finanziamenti totali a livello internazionale». Rispetto alle banche tradizionali, le startup FinTech hanno una struttura differente: «Si concentrano principalmente nei servizi core del mondo finanziario – ha continuato Renga - e il 60% si occupa di servizi bancari come Bank account, Payment, Lending & Financing. Si presentano ai clienti come una concreta alternativa alle banche: il 95% ha come target di riferimento proprio il consumatore finale o le aziende, solo il 5% le banche. Nella loro proposta le startup spesso si avvantaggiano della possibilità di non disporre di una rete fisica sul territorio

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e di sfruttare nitidamente le grandi molti di dati che raccolgono tramite strumenti di Analytics, muovendosi in certi casi nelle zone ‘grigie’ della regolamentazione». Ci sono poi dei nuovi strumenti molto interessanti a disposizione del mondo finanziario, denominati Api, ovvero Application Program Interfaces, che consistono in righe di codice in grado di scambiare dati. «Sono uno strumento fondamentale per l’innovazione degli attori finanziari; in particolare le cosiddette ‘Open API’ – ha spiegato Renga – accessibili da chiunque e messe a disposizione di altri attori per creare servizi ‘terzi’, saranno cruciali per la collaborazione tra banche e startup con l’entrata in vigore della direttiva europea PSD2 che propone nuovi servizi basati sull’accesso ai conti, abilitando anche nuovi soggetti a questo scopo. Per gli istituti finanziari è opportuno aprire l’accesso ai conti

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CYB3RLIFE tramite la pubblicazione di API, ovviamente garantendo la necessaria privacy ai clienti, secondo le regole prevista in materia di sicurezza, identificazione e autenticazione». L’utilizzo sempre più frequente di questo tipo di applicazioni comporterà, infatti, anche un nuovo modo di intendere la gestione dei dati dei clienti stessi, miniera di informazioni di valore. Basti considerare che solo il 40% degli istituti finanziari a livello internazionale presi in esame ne inserisce lo studio nei propri piani strategici. Chi li usa, poi, lo fa in ambito marketing (63%) e solo il 20% nel campo delle operazioni finanziarie. Gli istituti di credito, per continuare a essere competitivi, «dovranno dotarsi in particolare di ‘data scientist’ – ha detto Renga - gli specialisti che analizzano i dati provenienti dalle varie fonti interne ed esterne all’azienda per fornire le informazioni utili a definire le strategie. La nostra ricerca rivela che

i ‘data scientist’ nel settore finanziario hanno competenze avanzate in ambito di Knowledge Deployment, Machine Learning/Analytics, Technology Solutions e eBusiness, ma meno in Programming (32%). Per questo profilo sono importanti anche le soft skills, necessarie a comunicare il valore dei Big Data ai vertici aziendali». Ci sono poi realtà in cui la gestione e l’uso dei Big Data in ambiti differenti dal marketing sono una prassi consolidata. «Sappiamo che i gestori di sistemi di pagamento (tipo Visa, MasterCard) sono quelli che usano di più i Big Data per monitorare le frodi», ha aggiunto Renga. Viene spontaneo chiedersi quali possano essere i vantaggi per imprese e cittadini e quali i rischi derivanti da questi nuovi modelli di gestione dei dati personali. «Grazie all’utilizzo di strumenti di Big Data Analytics – ha aggiunto Renga - gli istituti finanziari possono accedere alle grandi moli

di informazioni del presente e del passato dei loro clienti, per valutare con maggiore velocità e precisione il merito creditizio, magari addirittura anticipando i bisogni di utenti e imprese, per proporre offerte e prodotti in linea con i profili dei clienti nel momento di necessità». Gli scenari non sembrano ancora maturi, invece, per una collaborazione più stretta tra startup FinTech e banche: «Per gli istituti finanziari – ha concluso Renga - le startup da un lato portano competizione, dall’altro aprono importanti opportunità di collaborazione per innovare rapidamente e testare nuove strade con investimenti più limitati di quelli che occorrerebbero interamente. Più in generale, la collaborazione con nuovi attori innovativi è una delle vie percorribili dagli attori finanziari per trasformarsi, in modo da cogliere la rivoluzione che sta coinvolgendo il settore finanziario».

LA CONCORRENZA: BANCHE E FINTECH

Tech e sono propensi a consigliare a parenti e amici il proprio provider FinTech (55%) invece della propria banca (38%). Eppure, mentre il 96% degli Executive bancari concorda sul fatto che il settore si stia evolvendo verso un ecosistema improntato al digital banking dove le FinTech giocano un ruolo rilevante, solo il 13% afferma di avere i sistemi in grado di supportarlo. Con una penetrazione che raggiunge il proprio massimo nei mercati emergenti e fra i più giovani, i provider FinTech stanno guadagnando popolarità tra i consumatori perché percepiti di più facile fruizione (82%), offrono servizi veloci (81%) e una user experience positiva (80%). Le banche sottostimano il valore attribuito a questi servizi: solo il 36% concorda sul fatto che le società FinTech garantiscono un servizio rapido

(con un gap di 45 punti percentuali) e solo il 40% condivide l’opinione di un’esperienza positiva (con un gap di 40 punti). A livello globale, le banche hanno migliorato le performance della propria customer experience di 2,9 punti nel Customer Experience Index (CEI)1 di Capgemini, registrando un segno positivo in oltre l’85% dei Paesi analizzati, tra cui l’Italia dove si evidenzia un miglioramento del CEI di 3,1 punti, passando dai 72,6 del 2015 ai 75,7 del 2016. Tuttavia, questo progresso complessivo non si è tradotto in risultati tangibili e comportamenti redditizi da parte dei clienti in termini di, per esempio, fidelizzazione, raccomandazioni e cross-selling. Solo il 16% dei clienti ha affermato di essere orientato ad acquistare ulteriori prodotti dalla propria banca.

Nell’era digitale aumenta, per le banche, la concorrenza con le FinTech. Lo afferma il World Retail Banking Report 2016. Facilità di utilizzo dei servizi e velocità e customer experience positiva sono i benefici che le aziende del settore FinTech offrono rispetto alle banche. Fra i consumatori aumenta la loro diffusione, le raccomandazioni e il grado di fiducia. Le aziende del comparto FinTech hanno compiuto importanti passi avanti verso i clienti e la maggioranza degli istituti bancari ammette di non essere adeguatamente preparata a gestire tale minaccia emergente. La ricerca ha evidenziato che quasi due terzi dei clienti (63%) utilizzano oggi prodotti o servizi Fin-

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Il valore del Welfare Aziendale di Deanna Elena Mazzeo

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e grandi trasformazioni si generano da piccoli cambiamenti. Il principale protagonista del cambiamento è il Capitale Umano e, per affrontare le continue sfide imposte alle aziende, è indispensabile che quest’ultime sviluppino programmi di welfare che possano essere compresi e apprezzati da tutti i dipendenti. Negli ultimi anni, l’aumento della competitività dei mercati e l’aumento della complessità delle esigenze personali e professionali dei lavoratori, hanno stimolato le aziende ad adottare sistemi di politiche retributive (total reward) non solo come strumenti di “actraction” ma anche come vere e proprie leve strategiche volte al miglioramento della vita in azienda e di fidelizzazione del patrimonio umano. In queste politiche di total reward, sta acquisendo una crescente importanza il welfare aziendale inteso genericamente come il sistema di servizi e prestazioni non monetarie

finalizzate ad incrementare il benessere dei lavoratori dipendenti, sotto il profilo economico e sociale. I trattamenti di welfare aziendale, fruiti in alternativa ai premi aziendali, possono ad esempio essere: prestazioni a sostegno di: istruzione, educazione, assistenza sociale e sanitaria, servizi asili nido, mense scolastiche, contributi ad enti a fini assistenziali. A livello normativo e fiscale, già la Legge di Bilancio 2016 aveva offerto importanti opportunità per le aziende che intendevano destinare risorse al finanziamento dei sistemi di welfare aziendale. E’stato infatti introdotto un regime fiscale agevolato che ha consentito alle aziende di erogare somme, valori e servizi a favore dei dipendenti, in esenzione da contribuzione e imposizione fiscale permettendo così l’azzeramento del cuneo fiscale. L’attuale Legge di Bilancio 2017 (Legge n. 232/2016) è intervenuta aumentando la platea dei lavoratori beneficiari, in particolare, elevando il limite reddituale di

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accesso grazie ad un innalzamento del limite di reddito annuo da lavoro dipendente - relativo al periodo di imposta precedente - passato dai precedenti 50.000 euro ad 80.000 euro. Un punto fondamentale da tenere in considerazione per procedere è che l’erogazione del welfare deve avvenire in esecuzione di contratti collettivi nazionali di lavoro, degli accordi interconfederali o di contratti collettivi territoriali. Una volta scelto di intraprendere la strada del welfare, occorre mettere le persone al centro di tali piani, concentrando l’attenzione sulle modalità con cui il piano di welfare viene progettato e realizzato. In questo processo, a mio avviso, l’interesse va soprattutto sull’aumento del grado di engagement dei dipendenti, necessario per un impatto particolarmente positivo sulla vita aziendale, ed è proprio quest’ultimo a far la differenza in termini di produttività, efficienza e competitività aziendale.

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VITA DA MANAGER

Il cervello resta il Manager FEDERMANAGER LANCIA L’ALLARME: SENZA MANAGER NON CI PUÒ ESSERE IL PROCESSO DI DIGITALIZZAZIONE DEI SISTEMI PRODUTTIVI. CHI PIANIFICA È L’UOMO, NON LA MACCHINA

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ntrodurre forme di incentivazione che favoriscano la crescita dei manager che, in azienda, hanno un ruolo di attivazione dei processi di innovazione. Questo è ciò che chiede Federmanager. Per le piccole e medie imprese, la Federazione chiede al governo di introdurre una sorta di “iper-ammortamento” per l’assunzione di manager, analogamente a quanto previsto per i beni materiali. E, in seconda istanza, la riduzione dei contributi a carico dell’azienda che acquisisce altre aziende, o rami di azienda, al fine di favorire la crescita dimensionale. Per crescere occorre cambiare. Se pensiamo di poter riprendere un percorso virtuoso di sviluppo duraturo del paese seguendo le logiche del passato, il rischio di fallimento è alto. Industry 4.0 ci offre questa opportunità. Cambiare significa innanzitutto innovare e la tecnologia è lo strumento che più ci aiuta a evolvere. Ma la tecnologia è il mezzo, non il fine. In realtà tutto ciò che definiamo tecnologie abilitanti richiede di essere gestito e, non a caso, il Piano nazionale Industry 4.0 (2017 – 2020)

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di Letizia Ciaccafava intende agire su alcune linee chiave: gli investimenti innovativi, la spesa per R&D, le infrastrutture abilitanti, gli strumenti pubblici di supporto, e le competenze. Ed è su questa ultima direttrice che intendiamo soffermarci: le competenze. La tecnologia digitale entra nei processi, nelle relazioni, nel nostro modo di lavorare. L’uso massiccio delle tecnologie digitali espanderà il ruolo dell’automazione e della digitalizzazione delle imprese e impatterà rapidamente sui modelli organizzativi e sul lavoro. Da sempre il capitale umano è la nostra vera forza. E quindi il nostro paese deve saper trovare un modello di sviluppo che sia capace di porre i robot come valorizzatori della capacità di produzione della persona. Il punto di fondo è sostenere le centinaia di migliaia di PMI che saranno chiamate a raccogliere la sfida della rivoluzione digitale e che, altrimenti, rischiano di essere marginalizzate dal digital divide. Il Governo intende puntare sui Digital Innovation Hub, una ventina sparsi in tutta Italia che dovranno fare da ponte con le imprese per sensibilizzarle sulle opportunità

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di industria 4.0, supportandole nella pianificazione degli interventi e indirizzandole ai Competence Center. Una sorta di azione ampia di tutoraggio che parte dall’awareness e si spinge a svolgere un vero e proprio supporto consulenziale per le PMI, come “advisory tecnologica”. Si pensa di formare 200 mila studenti universitari e 3000 manager specializzati sui temi 4.0, di raddoppiare gli studenti iscritti agli istituti tecnici e di promuovere 1400 dottorati di ricerca con focus su Industry 4.0. Sembrerebbe tutto logico in astratto, ma poco realistico. «Veramente qualcuno pensa che le aziende investiranno pesantemente in tecnologie digitali anche approfittando degli incentivi previsti, senza che ci sia qualcuno in azienda che sia in grado di pianificare e sapere cosa fare?» Si chiede Mario Cardoni, Direttore generale Federmanager. In effetti occorrerebbe favorire l’investimento nelle persone, innanzitutto, prima che nelle infrastrutture tecnologiche. L’impresa prima individua il responsabile del progetto, poi investe nella strumentazione.


VITA DA MANAGER

Industria 4.0: in Italia mancano i digital manager Stefano Cuzzilla Presidente Federmanager

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n problema culturale che lascia le imprese italiane un passo indietro rispetto ai competitor internazionali. Da una parte una fascia di dirigenti (manager) non formati adeguatamente per sostenere il cambiamento di industry 4.0. E dall’altra la difficoltà di un forte segmento di imprese padronali a managerializzare le proprie imprese. Piuttosto si esegue un passaggio generazionale senza solide basi, ma guai a far sedere un professionista al posto di comando. Dunque il MiSE (Ministero Sviluppo Economico) mette a punto un piano Industria 4.0 con delle direttrici chiave e direttrici di accompagnamento. Nel primo caso si parla di investimenti innovativi e competenze, mentre nell’altro di infrastrutture abilitanti e strumenti pubblici di supporto. Quasi 25miliardi di euro previsti per gli investimenti innovativi. Ma poi le nostre Pmi sono in grado di saper sfruttare al meglio il cambiamento? Pare di no. E il problema sarebbe proprio la mancanza di manager 4.0. Insomma, un paradosso. «Purtroppo è un dato di fatto che molti manager italiani non sono formati per aprirsi al passaggio verso industry 4.0 – spiega Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager – ma non è un grosso

LE PMI ITALIANE FANNO FATICA A PREPARARSI PER IL GRANDE SALTO CULTURALE VERSO INDUSTRY 4.0. TROPPI DIRIGENTI NON HANNO LA FORMAZIONE ADEGUATA PER SOSTENERE IL PASSAGGIO. COSÌ FEDERMANAGER SIGLA UN PROGETTO DI FORMAZIONE IN ACCORDO CON CONFINDUSTRIA di Andrea Maccarone

problema. Noi di Federmanager, ad esempio abbiamo siglato un documento d’intesa con Confindustria in cui ci impegnamo a formare quei manager che non sono allineati con il resto del tessuto manageriale e che, a causa di questo disequilibrio, si trovano ad essere anche inoccupati».

parlato due ore con il presidente Boccia nei giorni scorsi, e ha mostrato grande disponibilità. Mentre con Confapi stiamo intavolando il discorso ora».

Ma quali sarebbero queste competenze mancanti? «Si tratta di un mix competenze trasversali. Ci sono quelle qualificanti, come il problem solving e la capacità di gestire le risorse. Poi quelle tecniche, che sono il nervo scoperto di molti manager italiani. E parlo di conoscenze in ambito big data, internet of things, cloud computing. Il nostro ente bilaterale ha stanziato 5 milioni di euro per un bando dedicato alla diffusione della cultura digitale attraverso interventi destinati allo sviluppo di queste competenze».

Quindi se parliamo di arretratezza di una parte dei dirigenti italiani, vuol dire che c’è un problema culturale nel nostro Paese? «In parte sì. Nel senso che c’è un problema all’interno di alcune Pmi italiane, e mi riferisco soprattutto a quelle aziende di tipo padronale. Spesso sono queste imprese a fare più difficoltà a managerializzare, perché magari vedono l’arrivo del manager come un’intrusione, se non addirittura uno spodestamento dalla guida dell’azienda. In realtà è il miglior investimento che un’impresa possa fare, perché ne va della crescita e dello sviluppo della stessa. Il manager è un portatore sano di innovazione, non uno che vuole togliere la poltrona al titolare».

Quali sono i partner con cui svilupperete il vostro progetto di acculturamento di settore? «Due sono le associazioni di categoria con cui stiamo dialogando concretamente: Confindustria e Confapi. Con i primi siamo già un pezzo avanti, visto che siamo arrivati alla stesura di un accordo che riguarda proprio la formazione manageriale nel periodo 2017-2018. Ho

Quali sono i tempi di allineamento della nostra classe manageriale? «Attraverso il progetto formativo siglato da noi e Confindustria, prevediamo di riuscire ad aiutare le prime imprese a rimettere in pista i primi dirigenti nel giro di pochi mesi. Questo è il nostro sforzo, ma serve anche un aiuto da parte del Legislatore che deve capire che servono incentivi».

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MARCHE

Credito, soffrono le piccole imprese LO SCORSO ANNO IL SISTEMA BANCARIO MARCHIGIANO HA EROGATO ALLE IMPRESE 31 MILIARDI DI EURO E QUASI IL 6 PER CENTO È STATO GARANTITO DAI CONFIDI ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE DELLA REGIONE

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e imprese tornano a battere cassa. Ma le piccole soffrono. Specialmente nelle Marche. “Lo scorso anno” affermano il presidente di Fidimpresa Marche Sabina Cardinali e il direttore generale Giancarlo Gagliardini “si è registrato un recupero del credito alle imprese con oltre venti addetti dello 0,5 per cento mentre si è avuta una contrazione dei prestiti alle imprese con meno di venti addetti del 3 per cento. Una frenata che le piccole imprese hanno subito malgrado non possano essere accusate dei problemi sofferti dal sistema bancario. Infatti le sofferenze relative ai prestiti fino a 125 mila euro rappresentano solo l’11,3 per cento del totale, anche se riferite all’81,7 per cento della clientela. Alle grandi imprese va l’80 per cento del credito ed alla piccola impresa rimane una fetta del 20 per cento malgrado essa dia lavoro a oltre il 60 per cento degli occupati e produca più del 40 per cento del valore aggiunto”.

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di Sergio Giacchi Lo scorso anno il sistema bancario marchigiano ha erogato alle imprese 31 miliardi di euro e quasi il 6 per cento è stato garantito dai Confidi alle piccole e medie imprese della regione. Altrimenti la contrazione del credito alle imprese con meno di 20 addetti sarebbe stata ancora più pesante. “I Confidi” sostengono Cardinali e Gagliardini “ hanno svolto un ruolo fondamentale per il sostegno al credito delle imprese marchigiane. Solo Fidimpresa Marche lo scorso anno ha garantito con 75 milioni 3.028 pratiche che hanno consentito finanziamenti per 174 milioni di euro necessari a resistere e restare sul mercato”. I Confidi, grazie al Fondo antiusura, rappresentano inoltre l’alternativa virtuosa allo strozzinaggio. Nel 2016 sono state 15 le imprese marchigiane che si sono rivolte a Fidimpresa per uscire dalla morsa degli usurai, ottenendo 272.500 euro dopo che la strada dei finanziamenti bancari era stata negata. Ad accedere ai finanziamenti bancari

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grazie alle garanzie di Fidimpresa Marche sono state soprattutto le aziende manifatturiere della meccanica, del sistema moda e del mobile (955) seguite dalle aziende edili (565) e del commercio (561). A seguire gli autotrasportatori (233), le imprese di alloggio e ristorazione (202) e dei servizi (173). “Anche nel 2016 le imprese” precisano Cardinali e Gagliardini “ hanno utilizzato i finanziamenti per tirare avanti la produzione. Ben l’81,3 per cento delle imprese ha richiesto prestiti per esigenze di liquidità aziendale e solo il 18,7 per cento per realizzare investimenti, soprattutto per la ricerca e lo sviluppo. La partita finanziaria è fondamentale per poter aggredire i mercati e fare ulteriori investimenti, anche attraverso formule innovative poco praticate , pensiamo alle formule del microcredito e del credito diretto, che come Fidimpresa Marche abbiamo implementato e stiamo perfezionando”.


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CONFCOMMERCIO

Post sisma: la forza dell’unità di crisi Confcommercio DOPO IL TERREMOTO CONFCOMMERCIO MARCHE CENTRALI HA GESTITO LA DISLOCAZIONE DEGLI SFOLLATI NELLE STRUTTURE ED ORA STA LAVORANDO PER RIDARE VITA AL TERRITORIO

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NCONA – Il lavoro post terremoto dell’Unità di Crisi Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali non si ferma. Dopo aver gestito l’urgenza del dopo sisma Confcommercio Marche Centrali sta ora ragionando, anche in sinergìa con la Regione Marche, su come affrontare questa delicata fase di transizione tra l’immediatezza dell’evento, la dislocazione delle persone sfollate nelle strutture ricettive e l’ormai imminente arrivo della stagione estiva. Una serie di passaggi fondamentali dopo l’avvio del lavoro dell’Unità di Crisi che nel giro di quattro giorni dopo l’ultima scossa del 30 ottobre 2016 ha dislocato circa 8 mila persone nelle strutture ricettive messesi a disposizione della comunità. Le risposte degli operatori sono state tempestive e solidali nei confronti delle persone sfollate che sono state ospitate nononostante, nell’immediatezza, non ci fosse ancora un protocollo per la gestione dell’operazione anche dal punto di vista economico. “Mi ha colpito molto – le parole del direttore Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali prof. Massimiliano

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Polacco – il senso di fiducia che gli imprenditori hanno riposto nei nostri confronti e nei confronti del nostro lavoro. Hanno aperto le porte delle loro strutture e hanno ben affrontato alcune difficoltà che ci sono state nel mandare a regime le procedure dei pagamenti. E’ stata e continua ad essere una grande dimostrazione di attaccamento nei confronti del territorio e dei nostri conterranei”. Un’emergenza gestita in collaborazione con le istituzioni e gli enti preposti che è stata superata e che sta evolvendo in altre problematiche. “Adesso – continua Polacco – dobbiamo pensare anche alla stagione estiva e al futuro delle nostre imprese. Per questo ho lanciato una proposta che ritengo essere determinante per la rivitalizzazione del territorio colpito e che è nata sotto lo slogan ‘Riportiamo a casa più persone possibile’ tra quelle che sono ospitate nelle strutture della costa. Le persone ospitate sono circa 3500 mentre 1850 sono in collina. Riavvicinando a casa 1500 persone resterebbero meno di 2 mila ospiti nelle strutture della costa e con questi numeri non dovrebbero neanche esserci problemi di posto nella stagione estiva. In questo modo poi i luoghi che al momento sono

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praticamente desertificati potrebbero tornare a vivere sia dal punto di vista economico, con la ripresa di attività commerciali e artigianali, che dal punto di vista umano perché le persone potrebbero riavvicinarsi a casa”. La fase due dell’azione di Confcommercio Marche Centrali è dunque delineata. Dopo l’emergenza c’è ora una possibilità per ridare vita ai territori toccati dal sisma, ma c’è anche un’azione parallela da portare avanti per riportare i turisti nelle Marche. “In questo senso – dice ancora il direttore Confcommercio Marche Centrali – dobbiamo lavorare e spingere sulla prossima stagione estiva perché non possiamo permetterci cali drastici di presenze. Va veicolato un messaggio chiaro e reale: ci sono tanti luoghi, a partire dal mare, che non sono stati intaccati dal sisma e che possono essere fruiti in totale sicurezza, tranquillità e gioia. Incentiviamo infine l’arrivo di turisti puntando su alcuni strumenti a noi più congeniali come la Cultura, attraverso i grandi e i piccoli eventi, e sfruttando anche i nostri contenitori culturali più illustri e conosciuti. Lavorare per il futuro del nostro territorio è una grande sfida nella quale noi, come sempre, faremo la nostra parte”.


PUNTO PMI

Investire in digitale, ecco i vantaggi per le imprese LE AZIENDE POTRANNO USUFRUIRE DELL’IPER-AMMORTAMENTO AL 250% PER GLI INVESTIMENTI TECNOLOGICI LEGATI A PROGETTI DI INDUSTRIA 4.0, SECONDO LE INDICAZIONI DELLA LEGGE DI BILANCIO 2017 di Silvia Baldini

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nvestire in digitale conviene. Grazie a quanto contenuto nella Legge di Bilancio 2017, ex Stabilità, approvata a dicembre, le imprese possono ottenere condizioni estremamente interessanti se decidono di destinare parte del proprio budget agli ammodernamenti tecnologici. Due le condizioni principali di vantaggio per gli imprenditori che intendono intraprendere questa strada: la possibilità di usufruire ancora del super-ammortamento del 140% sulle spese e sugli acquisti di beni strumentali per tutto il 2017 e quella di godere dell’iper-ammortamento al 250% sull’acquisto di beni sia strumentali, sia immateriali come i software, funzionali allo sviluppo digitale dell’impresa. Per poter accedere a queste agevolazioni le imprese devono presentare la dichiarazione redatta dal proprio legale rappresentante e una perizia tecnica giurata che sia preparata da un

perito, qualora si acquistassero beni di valore superiore ai 500mila euro. Le imprese che intendono accedere all’iper–ammortamento dovranno effettuare gli acquisti entro il 31 dicembre 2017. Se il bene è acquistato entro il 30 giugno 2018, l’agevolazione sarà comunque possibile, ma l’ordine dovrà essere fatto entro il 31 dicembre. L’impresa, inoltre, se acquisterà beni entro giugno 2018, dovrà pagare al fornitore, come acconto, il 20% entro il 31 dicembre 2017. Di grande importanza è anche la cosiddetta Sabatini-ter: con la Legge di Bilancio si è prorogato per tutto il 2018 il finanziamento agevolato per le Pmi che acquistano attrezzature e macchinari che stimolano investimenti proprio in tecnologia. Beneficiarie possono essere le micro, piccole e medie imprese, tranne quelle del settore finanziario, che sono iscritte regolarmente al Registro delle imprese e che hanno sede operativa su tutto il territorio nazionale. Non

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devono però essere destinatarie di contributi europei e nella condizione di impresa in difficoltà. Ad esempio, sono agevolati gli interventi per la manifattura in 4D, il cloud computing e la robotica avanzata, ma anche per i big data, la banda ultralarga e la cyber security. L’accesso alle agevolazioni sarebbe terminato il 31 dicembre 2016, ma è stato prorogato il termine di presentazione delle domande, che dal 2 gennaio sono nuovamente presentabili da parte delle imprese. La “Nuova Sabatini” nacque nel 2013 con il Decreto del Fare, per far sì che le Pmi fossero facilitate nell’acquisto di macchinari e impianti nuovi, con la concessione di finanziamenti da parte di banche e società di leasing che si appoggiavano alla Cassa Depositi e Prestiti. Al fondo apposito istituito presso la gestione separata della Cassa Depositi e Prestiti possono accedere gli istituti di credito che aderiscono all’Addendum della Convenzione MiSE-ABI-Cdp, oppure le società di

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PUNTO PMI leasing in possesso di una garanzia rilasciata da una banca aderente alla convenzione: è possibile, per le Pmi, accedere a contributi compresi tra i 20mila e i 2 milioni di euro. Per gli investimenti in tecnologie digitali e per quelli che consentono un tracciamento e una pesatura dei rifiuti, il contributo del MiSE viene ad essere maggiorato del 30% rispetto alla misura massima che è stata stabilita dalla disciplina. Proprio per sostenere questi contributi maggiorati è stata anche creata una riserva che corrisponde al 20% delle risorse stanziate nel complesso dalla Legge di Bilancio 2017. Per di più, va considerato che il MiSE stesso concede un contributo che va a coprire una parte degli interessi che le Pmi hanno sui finanziamenti bancari, sempre in collegamento con gli investimenti realizzati. La somma concessa coincide con l’ammontare degli interessi, che vengono calcolati su un classico piano di ammortamento con rate semestrali, con un tasso del 2,75% all’anno, per cinque anni. Un altro punto interessante riguarda il credito d’imposta per lo sviluppo e la ricerca, che arriva al 50% per il periodo tra il 2017 e il 2020. Tale credito d’imposta è utilizzabile solo in compensazione, e il limite dell’investimento può essere di 20 milioni di euro. Ci sono anche altri interessanti vantaggi previsti dalla Legge di Bilancio 2017: ad esempio, la detrazione fiscale del 30% per chi investe nelle Pmi innovative, o la detassazione sul capital gain. Ci sono poi nuovi fondi dedicati all’industrializzazione di brevetti e idee ad alto contenuto tecnologico e anche l’attivazione di nuovi fondi di venture capital per le start-up in co-matching. Parimenti interessante anche il nuovo programma di acceleratori di impresa, un’opportunità interessante per chi è intenzionato a cimentarsi nel lavoro imprenditoriale e a lanciare sul mercato nuove idee di business.

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IL FUTURO DEL LAVORO NELLA SOCIETA’ DIGITALE Un’indagine commissionata da AICA a SDA Bocconi, mostra come le aziende siano pronte a cavalcare le opportunità della tecnologia, ma sentano di doversi preoccupare anche dei livelli occupazionali in diminuzione (69%). Un impatto visibile oggi, ma destinato ad aumentare in futuro. Emerge la preoccupazione per una crisi occupazionale che potrebbe interessare il prossimo decennio. Aggregando i dati di tutti gli intervistati, emerge come l’impatto, visibile fin d’ora, entro 10 anni genererà la crisi occupazionale in modo sensibile. Un impatto più forte della sostituzione uomo-macchina si avrà a livello di attività operative fisiche (87% dei rispondenti) o intellettive (92%) ma subiranno un effetto sostituzione anche quelle concettuali di livello (51%). <<È complesso dire se il lavoro sarà distrutto o ricomposto su altre prospettive rispetto all’assetto attuale, anche se le rilevazioni tendono a dimostrare che anche il lavoro più intellettivo soffrirà della sostituzione uomo-macchina>>, affermano Alfredo Biffi e Pierfranco Camussone, docenti della SDA Bocconi e autori della ricerca. Sicuramente cambierà la qualità della vita: il mondo produrrà più ricchezza, ma in prima istanza ne beneficeranno in pochi e bisognerà provvedere a trovare il giusto equilibrio tra produttori di ricchezza e fruitori. Per i rispondenti ai questionari (più del 60%

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dei rispondenti concordano), le tecnologie che oggi sembrano più conosciute e promettenti per il business riguardano la stampa 3d, le architetture cloud, l’internet delle cose e il machine learning. Se la dirompenza delle tecnologie sulle attività dell’uomo è sempre più evidente, la ricerca si è posta l’obiettivo di sistematizzare le conoscenze esistenti a livello internazionale e nazionale sul tema e di rilevare il grado di consapevolezza sull’argomento e le logiche di sua interpretazione degli attori principali protagonisti dei cambiamenti in atto. «Investire sulla formazione scolastica e universitaria prima, e sull’aggiornamento professionale poi, rappresenta una scelta obbligata nel contesto di digitalizzazione dei processi aziendali che stiamo vivendo – dichiara il Presidente di AICA Giuseppe Mastronardi - Per essere in grado di dominare il cambiamento, anziché subirlo, occorre dotarci di strumenti culturali e operativi che ci consentano di rapportarci in modo efficace a un mercato del lavoro in continua trasformazione. Investire nella costruzione di una cultura digitale è perciò importante tanto quanto investire in asset di materiali e tecnologie». Ricca di dettagli, la ricerca approfondisce anche l’evoluzione dei ruoli dei manager (diventeranno progettisti e gestori di innovazione continua, diminuendo di numero) e dei responsabili del personale (gestori del cambiamento e sviluppatori di azioni di apprendimento continuo).


FINANZIAMENTI

FONDI FESR: Meccano punta su sviluppo e ricerca L’AZIENDA MARCHIGIANA FA DA APRIPISTA. LETIZIA URBANI, DIRETTORE DEL GRUPPO: "I FONDI EUROPEI SONO FONDAMENTALI PER I NUOVI PRODOTTI E I NUOVI MERCATI"

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a spinta dell’Europa viaggia veloce. I nuovi fondi del Por Fesr Marche conquistano spazi sempre più ampi: si valicano i confini e la competitività cresce. Le imprese, consapevoli delle nuove opportunità, individuano nelle risorse europee lo strumento con cui raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. Ed ecco, allora, i numerosi progetti che si stanno realizzando in vari settori: dalla moda alla meccanica, dal mobile al benessere. Con due chiodi fissi soprattutto: innovazione e tecnologia ad alti livelli. Tra i primi usciti in Italia, i fondi regionali sono quelli caratterizzati da maggiore regolarità e tra i più accessibili; per questo, vanno creando una rete importante tra le aziende così da consentire loro di ampliare le proprie quote di mercato. A fare da apripista nella regione, è stato il gruppo Meccano che, sin dall’inizio, ha puntato sullo sviluppo e sulla ricerca. Una cultura aziendale oltreconfine che continua a segnare un percorso importante. E’ la stessa Letizia Urbani, direttore del gruppo, a illustrare i contenuti di un viaggio alla conquista di idee e progetti. «I fondi europei sono fondamentali per

di Federica Buroni i nuovi prodotti e i nuovi mercati. Ne esistono di due tipi: quelli a gestione diretta da parte della commissione, come Horizon 2020, e quelli che entrano nei Por regionali. Questi ultimi sono i più accessibili perché danno attenzione alle reali necessità delle aziende e spesso richiedono raggruppamenti tra più imprese». Così, i progetti in fieri sono tanti. Come ‘il Grace grey and green Europe’, con l’università di Macerata come capofila o il progetto inserito nel programma europeo ‘Marie Curie actions’, dal titolo ‘Lighter and stronger’, relativo al settore dei materiali compositi leggeri. In collaborazione con due piccole imprese locali, poi, Meccano sta realizzando un progetto sempre nell’ambito dei materiali innovativi. In ballo, anche un altro, significativo, progetto sui campi elettromagnetici. Valorizzare un’impresa con la spinta dell’Europa? Possibile. E la ricetta è subito servita: secondo Urbani, «tutto questo si ottiene tramite quei bandi, sia dentro Horizon sia fuori, che finanziano progetti di ricerca, sviluppo e innovazione dei processi e, soprattutto, di prodotti già pronti per essere immessi sul mercato». Ma l’offerta di Europa è ancora più variegata. Altro capitolo, altro viaggio: la nuova programmazione

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2014-2020 del Por Fesr prende spunto dagli obiettivi della strategia Europa 2020, che stimolano una crescita intelligente. E’ su queste linee che si muove la cucina ideata e costruita dalla Lube di Treia. Un progetto, il Green sMart KitchEn, di cui l’azienda marchigiana è capofila. L’idea geniale è portata avanti da un gruppo di imprese e, oltre la Lube, ci sono la Cosmob e anche la Politecnica delle Marche. Paolo Prenna, responsabile amministrativo Lube, spiega i contenuti di questo prezioso progetto che potrebbe davvero rivoluzionare il modo di vivere la casa. «Il nostro scopo è sviluppare un nuovo modello di cucina ‘intelligente’, per il controllo dell’ambiente domestico e, allo stesso tempo, ad impatto ambientale sostenibile». I dettagli, allora. Il progetto prevede, da un lato, lo sviluppo di un innovativo sistema domotico capace di monitorare i consumi e gestire sovraccarichi di assorbimento elettrico e minimizzare i costi in bolletta. In questo modo, si controlleranno anche la qualità dell’aria e i consumi idrici così da garantire il comfort e ridurre al minimo i consumi. Un ruolo fondamentale, in tutto questo nuovo contesto, è stato svolto proprio dalle risorse europee.

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CLUB MOTORI

AUTOMOTIVE: la componentistica traina l’export PREVISTI OLTRE 75 MILIARDI DI VENDITE IN 12 MERCATI DI RIFERIMENTO. OLTRE A CINA, MESSICO E INDIA, CI SONO ANCHE ECONOMIE ASIATICHE DI FRONTIERA. E’ QUANTO EMERGE DA UNO STUDIO DEDICATO ALLA COMPONENTISTICA PER L’AUTOMOTIVE PUBBLICATO DA SACE (GRUPPO CASSA DEPOSITI E PRESTITI)

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ra il 2006 e il 2016 l’industria automobilistica mondiale ha cambiato “orografia produttiva”. Dieci anni fa l’Europa era il primo costruttore di automobili globale con 3 auto su 10 e quasi 6 su 10 erano prodotte tra UE e Nord America. Nel 2015 il Made in the Europa si è ristretto a 2 auto su 10 (4 su 10 con gli USA) mentre più di una vettura su 5 è costruita in Cina. L’industria italiana dell’automobile e delle componenti soffre di una scala internazionale che ancora non ha e di una concorrenza che spazia su almeno 3-4 continenti: la quota dell’Italia sulle esportazioni mondiali rimane tra l’1 e il 4% a seconda del comparto. Mentre l’export di automobili si è riposizionato su geografie a maggior domanda (la quota UE sulle vendite è scesa dall’80% al 54% in dieci anni), non altrettanto ha fatto la filiera, pur rimanendo il 9° attore al mondo con 4,8 miliardi di euro di export netto di componenti. Supportare le imprese italiane della filiera nell’affrontare processi di internazionalizzazione complessi

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di Silvia Baldini e inserirsi nelle catene globali è importante, soprattutto nei mercati più lontani e a maggior potenziale. Le previsioni sulle vendite future di componenti mostrano che 12 mercati di opportunità genereranno vendite per oltre 75 miliardi di euro in più al 2021: una dinamica molto sostenuta, specialmente in diversi Paesi asiatici. La componentistica italiana per l’automotive investe in internazionalizzazione e cresce nel mondo, con un ampio potenziale di sviluppo ulteriore e un effetto traino per l’intera filiera. È quanto emerge dallo studio dedicato alla componentistica per l’automotive pubblicato da Sace (Gruppo Cassa depositi e prestiti): “Più veloce, più lontano: il cambio di marcia della componentistica”. Se da una parte l’industria di produzione di autoveicoli è presente su una pluralità di geografie e aumenta in misura significativa le proprie esportazioni, la componentistica resta concentrata su mercati tradizionali come quello europeo (circa il 70% del totale export). È proprio da un cambio di marcia della componentistica

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che l’export italiano potrebbe avere i maggiori benefici. Il trend della domanda di componenti mostra una dinamica molto sostenuta in diversi Paesi, soprattutto asiatici. Sace ha individuato 12 mercati di opportunità che, entro il 2021, genereranno vendite per oltre 75 miliardi di euro. Oltre a regioni note come Cina, Messico e India, ci sono anche economie asiatiche di frontiera, per cui risulta fondamentale adottare forme di internazionalizzazione ‘avanzate’ attraverso un approccio strutturato e adeguate soluzioni finanziario-assicurative. Un trend che trova conferma nella crescente attività in questo settore di Sace e Simest, il polo dell’export e dell’internazionalizzazione del Gruppo Cdp. Sono molte le aziende della componentistica che si sono già rivolte ad entrambe per entrare o rafforzare la loro presenza in mercati ad alto potenziale per il loro business. Storie di successo che provengono da tutta la Penisola e vedono protagonista tutta la filiera dell’automotive, le Pmi a fianco delle grandi aziende.


UNIVERSITÀ & RICERCA

Gli atenei del sud in rimonta sulla ricerca SI RIDUCE IL GAP TRA UNIVERSITÀ DEL NORD E DEL SUD. SEBBENE IL PRIMATO PER LA QUALITÀ DELLA RICERCA RESTI LEGATO ALLA STORIA DELLE FACOLTÀ DEL NORD ITALIA, GLI ATENEI DEL SUD ACCORCIANO SENSIBILMENTE LE DISTANZE. ANDREA GRAZIOSI, PRESIDENTE ANVUR: "LA QUALITÀ MEDIA DEL LAVORO DELLE UNIVERSITÀ SI È COMPLESSIVAMENTE INNALZATA"

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università italiana si è messa in moto convergendo verso uno standard comune e più elevato della qualità della ricerca. In media, gli atenei che avevano un livello della qualità della ricerca relativamente basso si sono rimboccati le maniche e, se non hanno scalato posizioni, almeno hanno ridotto lo svantaggio. Questa è l’indicazione che emerge dai primi risultati della seconda Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) realizzata dall’Anvur, che ha analizzato la produzione scientifica delle università italiane tra gli anni 2011-2014. Ora, i risultati della Vqr saranno utilizzati per ripartire tra le università (statali e non statali) la parte premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo) per il 2016. Un lavoro durato 18 mesi in cui 450 super esperti, coadiuvati da 14.000 professori e ricercatori, hanno valutato oltre 118.000 lavori realizzati da circa 65.000 tra professori e ricercatori, impiegati in 132 strutture tra università, enti di ricerca e consorzi interuniversitari.

di Letizia Ciaccafava «Si vede con chiarezza che l’esistenza stessa della Vqr, quindi il sapere a priori che il lavoro di ricerca sarà valutato, ha orientato l’azione delle università – dichiara Andrea Graziosi, presidente Anvur – rispetto alla prima Vqr, conclusa nel 2013 e che considerava i lavori scientifici realizzati nel periodo 2004-2010, c’è una convergenza. La prima valutazione aveva fotografato la ricerca universitaria dopo un periodo di oltre vent’anni senza un sistema di valutazione comune, con il risultato che ogni ateneo aveva seguito regole proprie e il sistema si era mosso in ordine sparso, con profonde differenze. Oggi, invece, vediamo che le differenze tra atenei si riducono e tutto ci fa pensare che la qualità media del lavoro delle università si sia innalzata».

Più qualità, meno differenze

La differenza (%) tra IRAS1 (ovvero il principale indicatore della qualità della ricerca) e la dimensione dell’ateneo misura la qualità relativa della ricerca dei singoli atenei. Se la differenza è positiva, la qualità della ricerca è superiore alla media

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e l’ateneo riceverà una quota di finanziamenti superiore al suo peso nel sistema universitario (in termini di addetti). Se la differenza è negativa, l’ateneo riceverà di meno. Comparando la distribuzione dell’indicatore IRAS1 della precedente Vqr con quello attuale, emerge una netta diminuzione delle differenze di qualità tra università: la distribuzione è ora molto più concentrata attorno al valor medio.

Chi guadagna e chi perde con la nuova VQR per area geografica

I dati della seconda figura indicano che si riducono le differenze nella qualità della ricerca tra le diverse aree geografiche. Gli atenei delle isole e del sud, che nella precedente Vqr mostravano un forte distacco rispetto alle università settentrionali, in questi anni hanno fortemente ridotto il gap. Per questo motivo, il dato in termini assoluti appare ancora negativo rispetto alla media, ma l’elemento su cui focalizzare l’attenzione è il miglioramento qualitativo che gli atenei meridionali sono stati capaci di realizzare, avvicinandosi ai primi.

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CARRIERE & POLTRONE

Carriere & Poltrone

MARCO BERNI Nuovo AD per Antonelli Ex responsabile sviluppo mercato interno ed internazionale, Marco Berni assume la carica di Amministratore Delegato di Antonelli Firenze, con deleghe su Controllo di Gestione, Finanza straordinaria, Marketing, Commerciale, Comunicazione. Prima di approdare in Antonelli, ha maturato una lunga esperienza in importanti aziende di settori diversi: dallo sportswear con Mabrun, al total look donna con Peserico.

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SIMONA CLEMENZA Nuovo CEO per Krizia Torinese classe 1973, la manager vanta passate esperienze professionali in Blumarine e Gianfranco Ferré. Dal 2006 al 2012 è stata inoltre direttore commerciale wholesale & franchising del gruppo Kenzo.

ELENA GRIANTE Nuova publisher manager per Ligatus Il percorso di Elena Griante nel mondo del digital advertising ha inizio nel 2008, anno in cui entra a fare parte dell’allora One Italia, attuale Triboo Media. Collabora per 5 anni come assistente universitaria alla Bicocca di Milano e inizia parallelamente il proprio percorso professionale nel mondo dell’advertising.

STEFANIA POMPILI Nuovo direttore generale Sopra Steria filiale italiana Già direttore della Divisione2 PA, Energy & Telco di Sopra Steria Group in Italia, Stefania Pompili manterrà ad interim anche questo incarico, affiancandolo alla responsabilità complessiva dell’operatività e della gestione dell’organizzazione e riportando direttamente a Mauro Fiorilli, Amministratore Delegato dell’azienda.

BEATRICE SCHIAVI Nuova HR manager Italia, Eastern EU, Africa per Ingenico Group Ha sviluppato le sue competenze nelle divisioni Finance e HR in stabilimenti di produzione e realtà multinazionali (Cameron Italy e Vetropack Italia). Ha conseguito un executive master in “Advanced Human Resources Management” al MIP (Politecnico di Milano) e un master in “Controlling & Administration” presso la SDA Bocconi.

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CARRIERE & POLTRONE

GABRIELE ACCARDO Nuovo Counsel dipartimento Competition and EU law per Ashurst Milano Avvocato cassazionista e ricercatore, ha sviluppato una significativa esperienza in diritto europeo e della concorrenza nonché in altre complesse aree del diritto relative alle questioni societarie e all’innovazione tecnologica.

FILIPPO CASOLARI Nuovo Vicedirettore Generale per Cassa Lombarda Proviene da Euromobiliare SGR, società del Gruppo Credem, dove svolgeva il ruolo di Coordinatore Investimenti e Business con responsabilità sui servizi Portfolio Management, Business Development e Marketing Product Management.

CLARA PELAEZ Nuovo Presidente del Consiglio di Amministrazione della Camera di Commercio Italo-Svedese Assosvezia Nata in Colombia, si è laureata nel 1990 in Ingegneria elettronica all’Università di Napoli ed ha in seguito frequentato la Kellogg University School of Management di Chicago, Harvard e la Columbia Business School.

GABRIELE GALLI Nuovo Chief Financial Officer per Amplifon Guiderà le aree Amministrazione, Finanza, Pianificazione e Controllo e Investor Relations. Il manager arriva in Amplifon dopo 13 anni in Piaggio, uno dei principali player mondiali nel settore dei veicoli motorizzati a due ruote, dove è entrato nel ruolo di Group Controller nel 2004.

FILIPPO DI QUATTRO Nuovo Amministratore Delegato di BASF Construction Chemicals Italia S.p.A. Sarà responsabile della società che conta circa 170 dipendenti e stabilimenti produttivi a Treviso, sede storica che ospita anche i laboratori di ricerca, e Latina. Di Quattro mantiene il ruolo di responsabile Operations per BASF Italia S.p.A.

GIOVANNI BIANCO Nuovo brand creative director Condé Nast Curerà la veste grafica del magazine Vogue Italia supervisionando la produzione dei contenuti moda. Parallelamente Bianco continuerà a gestire la sua agenzia creativa, GB65, nota per le numerose collaborazioni con importanti fashion brand tra cui Salvatore Ferragamo, Emilio Pucci, Versace, Givenchy, Marni e Missoni.

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PORTRAIT

iGuzzini: una dinastia che “fabbrica” luce Adolfo Guzzini Presidente iGuzzini

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na dinastia che ha “illuminato” il mondo. La storia imprenditoriale della famiglia recanatese Guzzini inizia con la figura di Enrico Guzzini. E’ lui che nel 1912 avvia la produzione di tabacchiere in corno affiancato dai figli Pierino e Mariano ai quali poi si affiancherà anche Silvio, il minore. Questa piccola realtà artigiana si chiamava, allora, P.M.S. Guzzini e nel 1940 diventerà l’attuale Fratelli Guzzini. Proprio all’interno di questa azienda avviene il passaggio dalla lavorazione tradizionale del corno alla lavorazione dei materiali plastici. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Fratelli Guzzini inizia a produrre oggetti per la tavola in plexiglas con metodologie innovative, distinguendosi per le linee moderne, per il design e l’uso del colore. Sono i figli di Mariano, (prima i fratelli Giovanni, Raimondo, Virgilio, Giuseppe, a cui più tardi si aggiunge Giannunzio e poi lo

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ILLUMINAZIONE, DESIGN E INNOVAZIONE. L’INDUSTRIA RECANATESE SARÀ QUOTATA IN BORSA TRA IL 2018 E IL 2019. ADOLFO GUZZINI: "AMIAMO LA LUCE A TAL PUNTO CHE LA UTILIZZIAMO PER IL BENESSERE DELLE PERSONE E PER MIGLIORARE IL RAPPORTO TRA UOMO, AMBIENTE E SOCIETÀ NEI LUOGHI DELLA CULTURA, DELLE CITTÀ, DEL LAVORO, DELLE INFRASTRUTTURE" di Andrea Maccarone stesso Adolfo) ad intuire la possibilità di affiancare alla produzione degli oggetti per la tavola, la produzione di lampade d’arredo per la casa. Ed ecco la svolta. Nasce così in un garage nel centro di Recanati, nel 1959, Harvey Creazioni, che poi sarebbe diventata iGuzzini illuminazione. La prima intuizione strategica è collaborare con i designers, a partire da Luigi Massoni, in un periodo in cui il design comincia a muovere i suoi passi a Milano. Negli anni Ottanta iniziano poi le collaborazioni con i grandi architetti: al 1986 risale la collaborazione con Renzo Piano per il Lingotto, con lo sviluppo del proiettore nato per la ristrutturazione della prima fabbrica Fiat. Ad oggi sono 25 i presidi nel mondo, fra filiali e Rappresentative Office, oltre a 3 siti produttivi (A Recanati, in Cina per il mercato Asia-Pacific e in Canada per il mercato Nordamericano), e il 77% del fatturato viene dall’estero. Per quanto riguarda i passaggi generazionali in azienda, attualmente Adolfo Guzzini

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ricopre il ruolo di presidente mentre il figlio Massimiliano è Vice presidente e Direttore del BIN (Business Innovation & Networking). Vice Presidente è Paolo, nipote di Adolfo, figlio di suo fratello Giovanni. L’ ingresso in Borsa è previsto tra il secondo semestre 2018 e il primo semestre 2019. «Amiamo la luce a tal punto che l’ecosistema iGuzzini è un campus culturale che opera per il benessere delle persone e per migliorare, con la luce, il rapporto tra uomo, ambiente e società nei luoghi della cultura, delle città, del lavoro, delle infrastrutture, dell’hospitality & living e del retail – spiega Adolfo Guzzini per questo la nostra mission non è un traguardo tecnologico o un modello di business, ma l’obiettivo Social Innovation through Lighting, ovvero riportare vita, sicurezza, partecipazione sociale più ampia, proprio attraverso il miglioramento della luce in ambienti anche molto diversi fra di loro». Innovazione e cambiamento sono i due


PORTRAIT

concetti chiave su cui si fonda l’idea dell’industria 4.0. Cosa significano per lei questi due termini e che cosa rappresentano per l’azienda? «In azienda abbiamo affrontato la questione a partire dalla organizzazione dei reparti produttivi con macchine intelligenti che raccolgono dati e sono in grado di interagire con le persone. Tutti i processi sono interconnessi per poter avere una produzione che non è finalizzata a rifornire un magazzino, ma ad una produzione “Just in time”. Questo significa organizzare un Supply Chain Management in cui tutti i fornitori sono integrati e collegati in tempo reale ed un magazzino automatizzato, in grado di rispondere alle nuove esigenze. Industry 4.0 non riguarda soltanto la parte produttiva, in realtà significa riorganizzare diversi processi, perché i ruoli tendono a sovrapporsi e confondersi vista la dematerializzazione, e l’integrazione nei processi ». Come si riflette sulle aziende italiane il momento di forte incertezza che stiamo vivendo sulle politiche internazionali? Che cosa chiedono oggi gli imprenditori e gli industriali ai vertici di governo? «Per poter crescere, l’industria

deve programmare in maniera pluriennale, almeno triennale, strategie e investimenti, piani di crescita e di sviluppo complessivo. Dato il contesto, l‘economia deve garantire una certa stabilità senza grossi sbalzi fra crescita e perdite. Senza un PIL attorno all’1,5%-2% minimo, per i Paesi europei e in particolare l’Italia non c’è speranza di sviluppo, di crescita che garantisca investimenti, occupazione e competitività. Una crescita omogenea non è solo l’obiettivo dell’impresa: dovrebbe essere l’obiettivo di ogni Paese. Ai vertici di governo non possiamo che chiedere politiche orientate a riforme strutturali senza le quali il Paese non riuscirà a realizzare la politica di sviluppo necessaria e pertanto iniziare ad abbattere il debito pubblico, che è il vero dramma del Paese». Quali sono le figure professionali che dalla rivoluzione 4.0 saranno di riferimento per una svolta vera per le aziende? «In realtà, come dicevamo, all’interno della nostra azienda non cambiano molto le figure professionali: noi abbiamo bisogno di disegnatori che utilizzino AutoCAD per la progettazione dei prodotti, ma queste

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figure devono apprendere un nuovo modo di lavorare e di interagire, sia nei processi che coinvolgono altre persone sia le macchine. Al di là di iGuzzini, visto che Industry 4.0 si basa sulla capacità delle stesse macchine di dialogare fra di loro, saranno particolarmente ricercate competenze informatiche e la capacità di sviluppare software, così come particolarmente richiesti sarano anche ingegneri di processo». iGuzzini è per vocazione un’azienda che guarda sempre al futuro. E che cosa c’è allora nel futuro della vostra azienda? «Il nostro gruppo industriale ha sempre avuto la capacità di guardare al futuro e fare dell’innovazione l’elemento strategico di sviluppo. Le aziende che hanno avuto la possibilità di avere una conduzione partecipata ma unitaria sono riuscite a realizzare progetti di sviluppo di lungo periodo rimanendo leader nei rispettivi comparti. Per guardare al futuro abbiamo avuto la capacità di capire che il primo asset strategico per competere nel mondo è sempre stato la qualità delle risorse umane, che ci hanno garantito di arrivare a essere ormai da diversi anni azienda di riferimento nel settore dell’illuminazione architetturale».

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ARTE & IMPRESA

La creatività rivitalizza il business 4.0. Arriva il festival che unisce arte e impresa Hero - Illustrazione

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e soft skills degli artisti fanno gola alle imprese. Arriva il primo festival italiano che mette in relazione l’arte e il business. Si terrà nelle Marche, ad Ancona, dal 3 al 6 maggio. E l’artefice è l’organizzazione Sineglossa Creative Ground. Alla base, però, c’è una ricerca che Sineglossa ha svolto attraverso una serie di interviste promosse su un portfolio di 24 imprese: “Vitamina A – Artisti integratori d’impresa”, questo il nome della ricerca commissionata dal Consorzio Marche Spettacolo. Ne è emerso che «la creatività, intesa come capacità di uscire dagli schemi precostituiti per immaginare scenari alternativi, è la competenza imprescindibile per produrre innovazione – si legge nel report di Alessia Tripaldi, responsabile Formazione e Ricerca di Sineglossa - gli artisti, per la natura stessa della propria ricerca che

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LE IMPRESE PIÙ INNOVATIVE USUFRUISCONO DELL’INTERVENTO ARTISTICO NELL’AMBITO DELLO SVILUPPO DEL PRODOTTO E DELLA FORMAZIONE DEI DIPENDENTI. È QUANTO EMERGE DA UNA RICERCA AD OPERA DI SINEGLOSSA CREATIVE GROUND, CHE LANCIA IL FESTIVAL ART+BUSINESS=LOVE(?) di Carlo Badioli comporta un costante spostamento del punto di vista, sono i produttori per eccellenza di creatività. Lo scopo degli interventi Art&Business è quindi quello di portare la creatività artistica nelle imprese al fine di favorirne la capacità di innovazione». Il dato significativo è che le imprese che indicano l’innovazione come principale valore prodotto da un intervento artistico hanno collaborato con artisti nell’ambito dello sviluppo del prodotto e della formazione dei dipendenti, soprattutto in relazione al teambuilding. Negli altri casi, gli ambiti di collaborazione con il mondo dell’arte sono la comunicazione esterna o il mecenatismo. «La tendenza degli imprenditori ad assegnare all’arte una funzione puramente estetica sembra essere confermata dalle domande mirate a indagare la percezione delle imprese nei confronti dell’arte – prosegue Alessia Tripaldi - abbiamo stimolato gli imprenditori

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a valutare le qualità non tecniche (le cosiddette soft skills) degli artisti, chiedendo: “cosa sa fare un artista meglio di chiunque altro”?». Ed ecco la risposta: la prima qualità che le imprese riconoscono agli artisti è la visionarietà/creatività, citata da oltre il 50% degli intervistati. Un artista, infatti, sa applicare un punto di vista alternativo a ciò che viene chiamato a guardare. Questa capacità comporta la facoltà di sovvertire i meccanismi e re-interpretare la realtà, mettendo a frutto l’estro e la fantasia per produrre contenuti originali. Tra le qualità più citate seguono la capacità di emozionare e la forza estetica, che vengono spesso considerate interdipendenti: l’impatto emotivo di un prodotto artistico viene infatti messo in stretta relazione con la potenza che riesce a esprimere dal punto di vista estetico. «Riflettendo sul metodo artistico piuttosto che sul prodotto finito – aggiunge la


ARTE & IMPRESA

ricercatrice - il bacino delle competenze artistiche si estende alla capacità di entrare in empatia con diversi contesti, alla capacità di gestire le incognite e lo stress e soprattutto alla capacità di gestire il fallimento: ogni artista che intraprende un percorso di ricerca sa che dovrà imbattersi in diversi vicoli ciechi prima di individuare la strada giusta, e per questo ha imparato a mettere a frutto i fallimenti utilizzandoli come fonte di stimolo per elevare ulteriormente il proprio livello di ricerca». L’incontro tra Arte e Impresa può quindi rivelarsi virtuoso, comportando un vantaggio tanto per le imprese quanto per gli artisti. Da ciò l’idea di dare vita ad un vero e proprio festival interamente dedicato al tema in questione. Nasce, dunque, Art+Business=Love(?): una manifestazione che andrà in scena alla Mole Vanvitelliana di Ancona dal 3 al 6 maggio. Il festival ha come fine ultimo quello di aprire una finestra su nuove prospettive di dialogo tra due mondi che, fino ad oggi, venivano spesso considerati distanti. Fornendo, quindi, un’occasione di

incontro e confronto per toccare con mano l’efficacia e le potenzialità del connubio Art&Business in termini di competitività. L’ESPERIENZA Ma che cosa ha già prodotto l’interazione tra creatività artistica e business? Sineglossa ci fornisce un’esperienza che ha dato i suoi frutti e che può raccontare una storia. Si tratta di Artwalks, ovvero un’app multimediale nata per rispondere al bisogno di promuovere la propria realtà attraverso il coinvolgimento dei visitatori da parte di operatori turistici, enti pubblici, fiere e musei. Declinata per sistemi iOS e Android, Artwalks consente di creare e personalizzare una cartolina digitale percorrendo un qualsiasi itinerario outdoor. L’utente è chiamato a raggiungere almeno tre dei punti d’interesse segnalati su una mappa cartacea per sbloccare i contenuti necessari a comporre la cartolina: il fronte (un’illustrazione o una fotografia), il retro (un testo letterario o poetico), l’“affrancatura” (un selfie dell’utente che va a sostituire il francobollo). Una volta ultimata la

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cartolina, l’utente può inserire una dedica e condividerla attraverso i propri canali social. I contenuti della cartolina sono costituiti da opere d’arte, realizzate ad hoc o selezionate tra opere esistenti, per offrire ai visitatori un’esperienza al tempo stesso ludica e dal forte impatto emotivo. Ma dov’è il business per l’impresa? Presto detto: ai clienti, Artwalks offre l’opportunità di incrementare la propria presenza quantitativa e qualitativa sul web, grazie alla condivisione della cartolina da parte dei visitatori, nonché la possibilità di profilare gli utenti che scaricano l’app. Inaugurata a luglio 2016, Artwalks è oggi disponibile con i percorsi di Ancona, Fermo, Matelica, Ascoli Piceno, Bolzano, Roma (festival Teatri di Vetro), per un totale di circa 2.000 download. E a breve usciranno nuovi percorsi legati alla rivitalizzazione di alcuni borghi abbandonati di Marche e Sardegna. Dunque la creatività declinata in ambiti imprenditoriali sembra essere la soluzione 4.0 ai molti gap produttivi in cui sono incappate le imprese colpite dalla crisi strutturale del modello messo in discussione negli ultimi anni.

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SPORT & IMPRESA

Marketing e sport, ecco le tre parole chiave Piero Almiento

docente in Marketing alla Sda Bocconi

DA UNO STUDIO DELLA SDA BOCCONI SI EVINCE CHE UN BUON MARKETING APPLICATO ALLE SOCIETÀ SPORTIVE SI INDIVIDUA IN TRE PAROLE CHIAVE: SOSTENIBILITÀ, INTRATTENIMENTO E IDENTITÀ. IL PROF. PIERO ALMIENTO: "IL MONDO DELL’OFFERTA SPORTIVA ITALIANA DEVE FARE GRANDI PASSI AVANTI E RIUSCIRE AD INTERCETTARE GLI INVESTIMENTI DELLE AZIENDE ITALIANE ED ESTERE" di Alessandro Bracciatelli

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re parole chiave possono spiegare molto delle dinamiche che guidano lo sport oggi e come sia ormai necessaria per le società sportive l’adozione di un approccio di marketing. Il prof. Piero Almiento, docente in Marketing alla Sda Bocconi per il corso “Sport Marketing & Event Management” ha effettuato uno studio in merito e ha individuato nei concetti di sostenibilità, intrattenimento e

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identità i punti cardine per un buon marketing applicato alle società sportive. «Individuare queste tre parole chiave è stato uno sforzo di sintesi che deriva da un attento studio dei più evoluti sistemi sportivi internazionali – spiega il professore Almiento - il valore sta soprattutto nello sviluppo sostenibile che scaturisce dalla sinergia dei tre concetti». Le imprese italiane, a suo parere, si sottopongono a studi e analisi di settore

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prima di scegliere come sponsorizzare eventuali società sportive? «Si certo, sempre di più. Non solo, la concorrenza per le società sportive proviene anche da settori diversi: un concerto musicale, per esempio. Un’azienda ha il problema di allocare al meglio un budget di comunicazione e deciderà in funzione di diverse variabili, come il target da raggiungere, il costo contatto utile, la possibilità di sfruttarlo in termini di web communication, l’attività di “social network” che ne


SPORT & IMPRESA può scaturire. Non è detto che la sponsorizzazione sportiva risulterà poi vincente». Ci sono reali e concreti riscontri per le imprese sponsorizzatrici nel momento in cui decidono di abbracciare una sponsorizzazione di questo tipo? «Ormai le possibilità di misurazione dei risultati di comunicazione offerti dal web hanno abituato le aziende a valutare gli effetti quantitativi e qualitativi delle azioni di comunicazione poste in essere. Sempre di più le aziende tendono a misurare gli effetti “concreti” nella loro attività, in termini di aumento delle vendite, per esempio». Quali sono gli sport che maggiormente attirano sponsor? «Sono gli sport con maggior seguito di pubblico. Gli sport meno popolari, che non possono più contare troppo sul mecenatismo o gli investimenti a pioggia che li sostenevano in un’altra epoca, dovranno ingegnarsi per dare comunque un’offerta appetibile per gli sponsor. Magari usando lo story telling per fornire contenuti». Quante, idealmente, sono le imprese italiane che credono nel marketing declinato allo sport? C’è diffidenza oggi più che in passato? E se sì, perché? «In generale, in Italia non è diffusa la cultura di marketing, termine che spesso si confonde con “pubblicità”. Di certo, le aziende private, potenziali sponsor, sono cresciute in questo senso molto di più rispetto a quelle sportive, che devono proporre il prodotto da sponsorizzare in modo più professionale. E’ il mondo dell’offerta sportiva italiana che deve fare grandi passi avanti e riuscire ad intercettare gli investimenti delle aziende italiane ed estere, ormai abituate ad essere approcciate in termini oggettivi di ritorno economico, di immagine, di brand».

SOSTENIBILITÀ Le società sportive, a tutti i livelli, devono impostare la propria attività in modo che sia sostenibile economica sul medio e lungo periodo. Fino a qualche anno fa, l’obiettivo era più semplice da raggiungere, potendo contare sull’apporto economico di aziende che erano disposte a sponsorizzare una società o un evento sportivo con una buona dose di mecenatismo. Oggi il mercato delle sponsorizzazioni è molto più complesso: le aziende disposte ad investire nel mercato delle sponsorizzazioni sportive in Italia sono diminuite e, soprattutto, sono molto attente al ritorno dell’investimento. La concorrenza arriva sia dall’interno del settore sportivo, sia da altri settori de come quello musicale, per esempio. Si compete sulla base della quantità e qualità dei contatti generati o sulla valorizzazione del brand generato dalla sponsorizzazione. Perché un’attività sportiva sia sostenibile, chi la conduce deve avere ben chiari i parametri che le aziende utilizzano per sapere dove effettuare l’investimento e adottare le strategie di marketing per esprimere il potenziale di mercato della società o dell’evento sportivo.

INTRATTENIMENTO L’obiettivo di ogni sana società sportiva che ambisce alla sostenibilità economica, dovrebbe essere quello di slegare il più possibile i risultati economici (biglietti, merchandising, sponsors) da quelli sportivi. I costi ci sono anche se si perde. Questo obiettivo si può raggiungere cercando di proporre l’avvenimento sportivo come espressione di un settore più ampio, quello dell’intrattenimento. La cultura italiana è ancora arretrata su questo fronte e, ancora una volta, il marketing può fornire un grande apporto: arricchimento della proposta sportiva, comunicazione e proposta di valori sportivi più alti del riduttivo binomio “vittoria-sconfitta”.

IDENTITÀ E, parlando di valori positivi, questi possono essere contenuti in un altro concetto fondamentale: ovvero quello di “identità”, la terza parola chiave. Per una squadra, avere un’identità precisa, un insieme di valori sportivi positivi in cui il pubblico e le aziende sponsor si riconoscono, significa avere meno pressione sulla necessità di vincere per avere un ritorno positivo in termini di pubblico e di ritorno dell’investimento in sponsorizzazione. Ecco ancora che il marketing ci aiuta nell’identificare questi valori e nel comunicarli in modo continuo ed efficace.

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LUXURY RETREAMENT

Come ti cambio il luxury travel: la nuova frontiera delle esperienze indimenticabili NEL 2017 I VIAGGIATORI DI LUSSO CERCHERANNO VACANZE SU MISURA, DA FARE IN LUOGHI INUSUALI O CALANDOSI NEI PANNI DEGLI ABITANTI DELLE LOCALITÀ CHE VISITERANNO. INTANTO SI STIMA CHE IL MERCATO CRESCERÀ DEL 4% FINO AL 2022

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estinazioni a rischio estinzione, mete avventurose o super esclusive: è questo che cercheranno i viaggiatori del segmento del lusso nel 2017, secondo quanto emerge dal Luxury Report stilato da Virtuoso, una rete di agenzie di viaggi di lusso operativa in tutto il mondo. Alla base di queste scelte rimane il desiderio di vivere un’esperienza che lasci il segno. I viaggiatori di lusso, infatti, specie quelli dei mercati maturi, vogliono vivere sempre di più qualcosa di speciale, come nuotare con gli squali in Australia o visitare l’Antartide, ma anche prendere un jet privato e fare il giro del mondo. Quelli dei mercati emergenti, invece, sono ancora concentrati sull’idea di lusso legato ai beni materiali di cui possono godere durante il viaggio. Per tutti, l’importante è uscire dallo stress della vita quotidiana sovraccarica di impegni: anche per questo molti desiderano sperimentare un ritorno

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di Silvia Baldini alla natura e fare esperienze uniche, per riscoprire una dimensione differente del vivere, più umana e autentica. Così, molti viaggiatori di lusso scelgono di vivere l'esperienza proprio come i "local" incontrati on the road. Adottandone usi e costumi o conoscendoli più da vicino. Tra le altre tendenze registrate, c’è anche quella della scelta di viaggi d’avventura, meglio se nell’ottica della sostenibilità. Si tratta di una tipologia in fortissima crescita: i ricchi amano divertirsi, ad esempio, con i Safari, sperimentare emozioni forti, o comunque fare esperienze che li mettano in contatto profondo con la natura. Oltre a questo, cercano già oggi e cercheranno sempre di più attività che consentano loro di mantenersi attivi: la vacanza in cui sia possibile impegnarsi in escursioni o attività fisiche viene da molti preferita rispetto a quella stanziale, di solo relax, perché aggiungere elementi differenti e inusuali rende tutto più unico, emozionante. Esclusivo, in una parola. E, non a caso, un’altra delle tendenze principali del 2017 individuata dal

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report è quella del viaggio creato su misura per la persona: il viaggiatore di lusso vuole sentirsi unico e desidera viaggi modellati su di lui, esperienze tailor made che facciano la differenza. E allora, ecco che dovrà crescere l’attenzione verso gusti e interessi dei viaggiatori: il rapporto tra chi prepara l’esperienza di viaggio e chi la vive si evolverà, tracciando un solco profondo rispetto al passato, obbligando chi opera nel settore a ripensare anche modelli organizzativi e di approccio al cliente. Dovranno evidentemente essere sviluppate nuove competenze di ascolto e analisi: in sostanza, nasceranno nuovi modelli economici che influenzeranno in maniera sempre più pervasiva il mercato del lusso. Nel frattempo, fino a oggi, gli affari nel settore lusso non hanno fatto altro che crescere: il rapporto 2016 Shaping the Future of Luxury Travel del Tourism Economics, facente parte dell’Oxford Economics Group, indica che tra il 2011 e il 2015 il comparto lusso è cresciuto più di qualsiasi altro comparto viaggi. Sono salite addirittura del


LUXURY RETREAMENT

7% le prenotazioni degli alberghi di alta classe fra il 2014 e 2015 nel mondo; Nord America ed Europa Occidentale costituiscono il 64% dei viaggi di business o prima classe oltre i confini nazionali. Fortissimo anche l’aumento in Asia di viaggi in business class, dovuto alla crescita del PIL nazionale. Elevato anche l’aumento annuo dei viaggi di lusso dalla Cina verso l’Europa: la crescita è del 2,8%, e i cinesi si muovono soprattutto con jet privati e in gruppi facoltosi. Il rapporto mette in evidenza anche il fatto che il tasso di crescita dei viaggi di lusso oltre i confini nazionali potrebbe essere del 6,2% nei prossimi dieci anni e, rispetto alle prenotazioni alberghiere, il settore del luxury travel continuerà a crescere con un tasso composto annuale del 4% fino al 2022. In India il mercato del lusso crescerà del 12,8%, una dato enorme, mentre in Medio Oriente, tra Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti il settore avrà una crescita del 4,4%. Se ci si chiede cosa cercheranno le nuove generazioni

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di viaggiatori di lusso, la risposta è contenuta nella ricerca di Amadeus Travel Intelligence che nel 2016 ha individuato le Luxury Travellers Tribes dei prossimi anni: la fetta più numerosa di viaggiatori è quella della tribù Bluxury (31%), ovvero quella che ricomprende i viaggiatori business che hanno tempo e denaro per fare anche altro, tra cui attività ricreative e rilassanti. Dominerà la scena anche la categoria dei Facoltosi Senza Tempo (24%), ovvero di coloro che non hanno un obiettivo netto per il viaggio, ma un’agenda organizzata in modo molto preciso in base ad alcune responsabilità e che desiderano avere momenti di privacy da dedicare a sé. Infine, ci sarà da prestare attenzione a coloro che si muovono per le occasioni speciali (20%), disposti anche a rinunciare ad alcune comodità in certe fasi del viaggio, se l’esperienza si prospetta superlativa. Insomma, i player del mercato sono avvisati: vendere il lusso sarà sempre più un ‘gioco’ per veri esperti.

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OFFERTEdiLAVORO Sida Group Srl, per azienda leader nel settore della logistica e trasporti, sta ricercando un DIRETTORE TECNICO DI AGENZIA Rif. FM/14 Il quale, inserito all’interno del gruppo, ricoprirà un ruolo di riferimento e responsabilità nella gestione organizzativa e operativa dell’agenzia. La risorsa deve aver maturato un’esperienza professionale pluriennale nel settore marittimo, turistico o affini, nello svolgimento di tutte le attività inerenti all’area Commerciale/Marketing, Armatoriale e Organizzativa, assumendo nello specifico le seguenti responsabilità: • curare le relazioni esterne con la rete vendita (ad es. agenzie di viaggi) e con gli armatori rappresentanti; • gestire il rapporto con gli agenti di vendita; • promuovere iniziative commerciali per l’azienda; • definire le linee guida per le attività commerciali inerenti ai trasporti e ai passeggeri; • implementare eventuali azioni correttive nella strategia commerciale; • gestire e redigere la reportistiche, le statistiche di

vendita ed il Budget; • definire le scelte strategiche per la determinazione delle tariffe e delle promozioni sui servizi offerti; • coordinare e gestire il team interno alle aree di front-office, back-office e booking; Il candidato ideale ha, preferibilmente, un’età compresa tra i 35 ed i 45 anni, è in possesso di una laurea in materie economiche o affini, conosce la lingua inglese in maniera fluente ed è in grado di utilizzare gli applicativi Office in completa autonomia. Verranno considerate positivamente le candidature che hanno ricoperto ruoli di responsabilità all’interno di agenzie di viaggi, tour operator o agenzie del turismo operanti nel settore Marittimo, dei Trasporti o provenienti dal mondo del mare. Completano il profilo spiccate capacità relazionali, determinazione, responsabilità, competenze organizzative e di problem solving, capacità di leadership e flessibilità. Sede di lavoro: Ancona

La WOOLRICH Footware Srl è la Business Unit Woolrich che per il brand si occupa della produzione e commercializzazione delle calzature. Allo scopo di strutturare e consolidare l’ufficio amministrativo sta ricercando un: DIRETTORE DI PRODUZIONE DDP/01 Il quale, in accordo con la DIREZIONE GENERALE avrà la responsabilità di gestire e supervisionare tutto il processo produttivo, dal momento della definizione del prodotto, valutazione acquisti/approvvigionamento, pianificazione e programmazione del processo produttivo e consegne, stabilendo i timing di realizzazione ed il coordinamento con le produzioni esterne. Sua responsabilità sarà quindi quella di presidiare i seguenti processi: • Pianificazione e programmazione della produzione • Controllo e avanzamento produzione interna ed esterna nel rispetto del timing concordato • Gestione terzisti

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Per azienda operante nel settore agroalimentare si ricerca un: TEMPORARY MANAGER ESPERIENZA COMMERCIALE – rif TM/01 Il quale verrà coinvolto in un progetto strategico di sviluppo che lo vedrà coinvolto prevalentemente nella pianificazione e coordinamento di azioni volte a promuovere il lancio e l’inserimento di prodotti mass market all’interno del canale “GDO” o “Normal Trade”. Si ricerca un profilo che abbia maturato decennale esperienza in ruoli apicali in qualità di Direttore Vendite o Commerciale, con competenze nella creazione, gestione e sviluppo rete vendita.

Si richiede: • Conoscenza dei canali distributivi diretti ed indiretti • Esperienza nella definizione di piani di sviluppo commerciali • Gestione budget, sensibilità economica, implementazione reportistica • Capacità di costruzione della relazione e gestione reti vendita

Gestione portafoglio fornitori Ricerca fornitori esteri Acquisti e approvvigionamenti Definizione prezzo di vendita Supervisione delle consegne

Requisiti richiesti: • Cultura economica • Laurea, preferibilmente in Ingegneria • Buona conoscenza della lingua inglese (utilizzata al lavoro) • Esperienza lavorativa almeno di 5-10 anni in ambiti Operation (produzione e acquisti) nel settore calzaturiero o affini (moda), in aziende di medie dimensioni • Conoscenze informatiche dei principali sistemi operativi ed applicativi Office. La sede di lavoro è nelle Marche, è richiesta la residenza o domicilio in zona.

Capacità di definizione strategica e visione globale, capacità realizzativa, intraprendenza e forte orientamento all’obiettivo completano il profilo ricercato. La sede di lavoro è nel centro Italia

Gli interessati sono pregati di inviare dettagliato curriculum, con consenso al trattamento dei dati, citando in busta il riferimento a: SIDA S.r.l. Via I° Maggio - 60131 Ancona - Fax 071/2852245 - info@sidasrl.it - www.sidasrl.it Consenso: richieste di autorizzazione provvisioria alla Ricerca e Selezione del personale in corso, ai sensi del D.Lgs. 276/03. I candidati ambosessi (L. 903/77) sono invitati a leggere sul nostro sito l’informativa sulla Privacy (D. Lgs. 196/03). 114

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Importante e prestigiosa Azienda della provincia di Ancona in forte crescita, operante nel settore dei servizi, ricerca un: DIRETTORE GENERALE rif: DIR/07 Il quale avrà la responsabilità del business attraverso la realizzazione della strategia e degli obiettivi assegnati, per cui sarà attivo nella fase di pianificazione, realizzazione, controllo e coordinamento di tutte le funzioni aziendali ed i servizi ad esse collegati; il candidato sarà inizialmente coinvolto in un processo di ottimizzazione e valorizzazione dell’attuale assetto organizzativo, intervenendo in termini di risorse, flussi e processi. La persona che verrà inserita ha un background culturale formativo di tipo gestionale ( laurea in economia, ingegneria gestionale), proviene da ruoli apicali di responsabilità (CFO, DIRETTORE OPERATION, DIRETTORE RISORSE UMANE, PROJECT MANAGER ) in realtà ben strutturate e modernamente organizzate. L’aver maturato un’esperienza importante in attività gestionali organizzative rappresenta un requisito preferenziale ai fini della ricerca. Ricerchiamo un profilo dalla forte responsabilità, elevata autorevolezza e leadership, che sia in grado di costruire e sviluppare le professionalità dei collaboratori; ottime doti organizzative e di pianificazione, capacità di gestione della complessità ed uno spiccato senso critico. E’ gradita la conoscenza della lingua inglese. La posizione sarà di tipo Dirigenziale, la sede di lavoro è nella Provincia di Ancona.

Per importante e storico gruppo aziendale di Ancona, si ricerca un: IMPIEGATO CONTABILE - AMMINISTRATIVO rif IMP/03 Il quale, inizialmente si occuperà di attività amministrative/ contabili e fiscali, di fatturazione passiva ed attiva e si dedicherà inoltre all’implementazione della reportistica ed analisi dei dati attraverso l’utilizzo del gestionale aziendale. Il candidato, inserito in un processo di crescita professionale, sarà affiancato dal responsabile amministrativo che lo formerà a ricoprire il ruolo di JUNIOR RESPONSABILE AMMINISTRATIVO. Il candidato ideale è un giovane con 2/4 anni di esperienza maturata nel ruolo, interessato a crescere professionalmente, disponibile ad apprendere e sviluppare importanti competenze amministrative. La provenienza da strutture medio grandi costituisce un requisito preferenziale. E’ richiesta un’ottima conoscenza della ragioneria, conoscenze contabili e fiscali, buon utilizzo della lingua inglese e dimestichezza con i gestionali, preferenziale Doc - Finance e/o Essentia. Capacità relazionali, intraprendenza, autonomia, capacità di lavorare in gruppo, curiosità e passione per questo lavoro completano il profilo.

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La Formazione Aziendale di Sida Group srl, attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche, supporta le imprese che intendono investire nell’aggiornamento e nel consolidamento delle competenze dei propri dipendenti. I corsi aziendali, possono essere finanziati o cofinanziati attraverso i Fondi Interprofessionali.

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Sida Group è accreditata alla formazione nelle regioni Marche ed Emilia Romagna e ai Servizi per il Lavoro nella Regione Marche. Ha ottenuto la certificazione ISO 9001 per l’erogazione dei corsi di formazione manageriale e per i servizi di consulenza strategica. A CHI CI RIVOLGIAMO? Dipendenti di aziende (Formazione Continua) Disoccupati/inoccupati (Formazione Superiore) Studenti in età scolare e apprendisti (Obbligo formativo)

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