ML Giugno 2016 - anno XXIII

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DOSSIER LE PROFESSIONI DEL FUTURO

www.mlmagazine.it | GIU. ‘16 N.04 anno XXIII € 2,00

Viaggio nel lavoro 4.0 tra nuove figure professionali e le abilità richieste. p. 14

FOCUS CULTURA E TERRITORIO

Guida completa ai maggiori festival delle Marche: tutto l’indotto e il dato occupazionale. p. 73

CLUB ECONOMIA E FINANZA

Un’economia mondiale in lenta ripresa. Novità sul fronte bancario e creditizio. p. 87


i villaggi italiani nel mondo

il viaggio su misura

la vacanza che conviene

la catena alberghiera


SOMMARIO

Giugno 2016 N.04 anno XXIII

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EDITORIALE di Flavio Guidi

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DOSSIER LE PROFESSIONI DEL FUTURO

22/ 40/ 50/ 67/ 50/

PRIMO PIANO Formazione professionale: quando il problem solving vale quanto una laurea Intervista a Stefano Berdini, presidente della Delegazione AIF delle Marche

Indagine sulle figure professionali più richieste La formazione continua, primo obiettivo di business aziendale Nuove professioni, Manager Sales & Trade Gestire il cambiamento, essere il cambiamento

PUNTO PMI

Nuovo provvedimento simest in favore delle Pmi Legge Sabatini Ter, spinta verso l’innovazione e la crescita delle imprese

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CNA

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CONFCOMMERCIO MARCHE

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FOCUS CULTURA E TERRITORIO

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Marche, riparte l’artigianato

Un’intesa che cambia il credito

Festival ed eventi culturali: indotto e ricaduta sul territorio La cultura, ingranaggio fondamentale dell’economia L’industria dello spettacolo, un business che crea posti di lavoro Effetto cult, quando il business fa festival

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CLUB ECONOMIA E FINANZA

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Un’economia mondiale in lenta ripresa Novita’ sul fronte bancario e creditizio. operazioni di ristrutturazioni SEGUE

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SOMMARIO SEGUE

Il collegamento tra ricavi (output) e costi (input) aziendali, gli strumenti gestionali (tecnologia) e la gestione delle risorse

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Manifatturiero e servizi, “l’impresa nuova”

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SPECIALE AGROALIMENTARE

103/ 114/

Le Marche e la corsa al Bio

Il settore biologico: un’occasione per il rilancio economico regionale Divella: “L’agroalimentare oltre 50mld di export entro il 2020”

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MARCHE DA ESPORTAZIONE

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CONTRIBUTI E INCENTIVI

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Giugno 2016 N.04 anno XXIII

Marche e iran: nuovi rapporti commerciali

UNIVERSITA’ E RICERCA Formazione nel campo dell’Agricoltura sociale presso l’Università Politecnica delle Marche TIM, Wikipedia e Università di Urbino Carlo Bo: al via #WiKiTIM per lo sviluppo della cultura digitale

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CARRIERE E POLTRONE

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SALUTE E BENESSERE

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CLUB MOTORI

OLQ ECCELLENZE Premio Marchigiani dell’anno Al centro medico associati fisiomed, un passo avanti nella diagnosi precoce delle malattie

PORTRAIT Eric Bagnarelli: “Coraggio, competenza e passione: la chiave per fare impresa nello spettacolo”



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EDITORIALE

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inori costi, più lavoro, più qualità della spesa, meno spreco, più partecipazione, più collaborazione, più solidarietà, meno burocrazia, meno corruzione e più responsabilità da parte di chi tutti i mesi prende un salario sicuro con un controllo sull’efficienza pressoché nullo. Esiste una classe, formata dall’amministrazione pubblica, dalla magistratura, dalle corporazioni, dai sindacati, dai politici, etc… tutta una forza lavoro improduttiva dove, chi vi lavora, gode del privilegio di avere lo

Management Academy Sida Group srl - Area Macroeconomica -

RIFORME STRUTTURALI = MAGGIOR IMPEGNO DEL SETTORE PUBBLICO stipendio fisso garantito e un’occupazione inamovibile. La spesa pubblica deve essere contratta per liberare risorse da destinare all’investimento e alla contrazione della pressione fiscale. Variabili, queste, che determinano la domanda aggregata e da qui la ripresa di quelle condizioni che favoriscono lo sviluppo. Oggi il maggior freno alla crescita è dato dall’inefficienza delle forze improduttive. Il costo del lavoro deve essere contenuto affinché le aziende possano ricostituire quella marginalità neces-

saria a giustificare l’investimento e a generare quelle risorse per finanziare lo stesso. Senza capitalizzazione delle imprese, anche se ci fosse motivazione all’investimento, questo obiettivo non potrebbe realizzarsi. Oggi le condizioni monetarie sono favorevoli, ma mancano gli investimenti reali. Questi non si muovono perché le condizioni che portano le aziende alla decisione di impiego non sono mature. La domanda non satura la capacità produttiva disponibile, il suo tasso di

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EDITORIALE crescita è lento e le risorse finanziarie delle imprese sono scarse. Il basso livello di capitalizzazione delle aziende inibisce l’indebitamento; il costo del lavoro è alto, la pressione fiscale è elevatissima e la burocrazia agisce negativamente sia per l’alto costo che per l’inefficienza dei servizi. L’unico elemento favorevole è la liquidità, “ma se il cavallo non ha sete, portarlo a bere ha poca efficacia”. Chi agisce nell’ambito dell’amministrazione pubblica e dei sistemi ad essi connessi e correlati, deve cambiare comportamento e sentire la responsabilità di un’economia solidale

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(parola che non vale solo per il comportamento privato), uscire dalla situazione di comfort in cui si è venuta a trovare, superare le abitudini e gli automatismi mentali in cui si è adagiato; bisogna riconquistare un ruolo attivo, propositivo e solidale. E’ nella misura in cui queste forze improduttive aumenteranno la loro laboriosità in termini quantitativi e qualitativi e prenderanno coscienza dell’importanza del ruolo che rivestono in questo momento storico, che avremo quell’impulso necessario a favorire la crescita. Crescita vuol dire più investimenti e

più sviluppo, minore disoccupazione e più benessere collettivo. Le giovani generazioni ne potranno beneficiare ricostituendo il sogno, il simbolo e il credo nei confronti delle generazioni che le precedono. Viviamo in un paese in cui la storia ci ha fatto sviluppare un potenziale creativo e un’intraprendenza elevata che rappresenta un elemento di distinzione rispetto alla altre nazioni. Il senso di consapevolezza è elevato, ma non diffuso. Bisogna pensare che il bene comune e l’equità sono valori funzionali all’equilibrio, sia sociale che personale.


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PARTECIPANO:

2030, il futuro che immaginavamo: tecnologie estreme e scenari al limite delle migliori trame hollywoodiane; i più banali gesti sostituiti da macchinari d’avanguardia, e automobili capaci di sovvertire le leggi della gravità terrestre. Ce lo immaginavamo così il futuro. Un po’ come nel divertente dipinto cinematografico di Robert Zemeckis. Ed ora che siamo ad un passo dal 2030, non c’è traccia di una società così avanzata e progredita, tanto da poter trasformare una DeLorean in una macchina del tempo. Che delusione questo futuro. Chi l’avrebbe detto che le figure professionali più utili sarebbero state quelle con le maggiori competenze in ambito psicologico. Il futuro tecnologizzato è stressante. Gli esseri umani vanno più facilmente in tilt, e chi possiede competenze in materia neuropsichiatrica ha pane per i suoi denti. L’emotività, l’empatia, la consulenza psicologica, il robot non sarà mai in grado di assicurarle. Dunque queste figure diventano centrali. Inoltre il mondo del lavoro, in relazione alla forte crisi economica che sembra non voler allentare la morsa, vede una certa contrazione degli stipendi e un inserimento occupazionale col contagocce. Pertanto chi è dentro, e deve difendere la posizione da un numero enorme di possibili competitor, deve sviluppare caratteristiche e competenze trasversali. Su tutti una forte attitudine al “problem solving” e all’adattamento. Non basta avere una specificità riconosciuta da anni di studi e di master. L’innata capacità di saper trovare vie d’uscita e soluzioni immediate agli ostacoli, fanno sì che il soggetto riceva una considerazione più attenta. Infine la creatività. In Europa il “creativo”, inteso sempre come colui che fa della propria spiccata inventiva un punto di forza per lo sviluppo progettuale, riceve attenzioni non indifferenti. Su questo il nostro Paese resta ancora un po’ indietro. Ma ce lo immaginavamo così questo futuro? Non proprio. Ci avevano detto che a lavorare sarebbero andati i robot, mentre gli umani sarebbero rimasti in panciolle a guardare. E che ad andare in “crash” sarebbero stati i “cervelloni automatici”. Gli psicologi del 2030 probabilmente non la penseranno così. Ma neanche quelli del 2016, a quanto pare. Mondo Lavoro Magazine


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PRIMOPIANO

FORMAZIONE PROFESSIONALE: QUANDO IL PROBLEM SOLVING VALE QUANTO UNA LAUREA La flessibilità e il mercato globale hanno rivoluzionato il mercato del lavoro. Le facoltà umanistiche restano un passo indietro rispetto alle lauree tecniche. E gli individui più ricercati sono quelli con una maggiore propensione all’individuare soluzioni creative ai problemi.

I

n un mondo del lavoro completamente rivoluzionato rispetto al secolo scorso, anche la formazione si trova a dover cambiare buona parte dell’approccio didattico di insegnamento. Il mercato odierno del lavoro sottintende una forte adattabilità dell’individuo alla flessibilità. Così come una marcata predisposizione al “problem solving” e a tutte quelle mansioni che rendono sempre più trasversali le figure professionali. In sostanza, il concetto del “questo non mi compete” è un lusso che potevano permettersi gli impiegati fino a 20 o 30 anni fa. Attualmente molte aziende investono in settori dove le capacità relazionali del dipendente devono essere così

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di Fabio Di Giulio

spiccate da assicurare una certa fluidità nell’agganciare nuovi contatti e renderli fruttuosi. “Infatti è l’area commerciale quella che oggi viene potenziata maggiormente – spiega l’ingegnere Stefano Berdini - amministratore unico della società OPeRA, presidente della Sezione del Terziario di Confindustria Fermo e presidente della Delegazione AIF (Associazione Italiana Formatori) delle Marche – ma senza dimenticare quella tecnica e gestionale. Pertanto sono questi gli ambiti in cui c’è una maggiore ricerca di personale”. Dunque, rispetto i settori da lei citati, quali sono le specificità entrate a far parte di questo nuovo mercato del lavoro? “Per il commerciale si cercano figure

in grado di favorire e sviluppare la relazione con i clienti, con forte propensione al mondo del social e della creazione di relazioni; tra le figure in ambito tecnico spiccano tutte quelle che hanno a che fare con l’analisi e lo sviluppo di applicativi SW con forte propensione al mondo del web. Infine per le figure in ambito gestionale sono ancora molto ricercati i responsabili in ambito operations e logistica”. Gli anni 2000 dovevano essere quelli della comunicazione. Eppure i laureati in queste materie faticano non poco ad inserirsi. Come mai? “La comunicazione è una competenza, forse la più importante, per qualsiasi tipo di occupazione anche di natura tecnica o scientifica. E mi


PRIMOPIANO inglesi hanno la loro efficacia. Ma si tratta, più che di una tendenza, quasi di una moda che riflette, però, secondo me anche una scarsa capacità di saper comunicare e di farsi capire. Se riempiamo di termini inglesi un colloquio o una discussione, molte volte vuol dire che ci mancano argomenti per farci capire dai nostri interlocutori”.

chiedo ancora perché nel nuovo millennio nelle nostre università non sia presente un modulo di comunicazione in tutti i corsi di laurea, perché non esistano opportunità di sviluppare i principi della comunicazione e della costruzione delle relazioni interpersonali se poi nel mondo del lavoro proprio queste sono le capacità più richieste ad un manager o a qualsiasi altra figura di responsabilità. Pertanto è evidente che esistano delle difficoltà per i laureati in discipline umanistiche anche se caratterizzate da approfondimenti e studi specialistici in ambito comunicazione, proprio perché in azienda non c’è bisogno di esperti solo di comunicazione, ma di tecnici e gestionali che sappiano fare della comunicazione lo strumento privilegiato per la gestione delle persone e dei gruppi di lavoro”.

Il digitale, i social network, il web in generale, possono essere delle valide nuove opportunità lavorative? “Il futuro del lavoro, a proposito di termini inglesi, sarà sempre di più “smart”. E tutto ciò che si muove lungo la rete può favorire questa forma di lavoro. Non dobbiamo pensare quindi che si tratti di una scappatoia, ma di un ambito che offre grandi opportunità soprattutto in un mondo dove chi non è connesso avrà sempre più problemi a costruire relazioni e sviluppare affari. Però, come dicevo, occorre essere preparati e formarsi adeguatamente. La facilità con cui si accede a queste nuove forme di tecnologia e di comunicazione infatti può far pensare che lavorare in questo ambito sia semplice e che non servano competenze specifiche. In realtà non è così, e ciò è dimostrato da chi ha costruito la propria fortuna dietro a nuovi business in questo ambito e che ha dovuto definire e sviluppare delle di strategie ben precise”.

Si fa un grande uso di acronimi in lingua inglese per definire ruoli a cui, un tempo, davamo nomi italiani. Perché questa tendenza? “Personalmente nutro una certa avversione per chi abusa dei termini inglesi, soprattutto quando ne esistono, nella nostra lingua, che spiegano bene il significato di ciò che si vuol dire. Resta inteso che alcuni termini

Quali sono le caratteristiche individuali meglio valutate in ambiente di lavoro? “Oggi i candidati vengono sempre di più valutati per le capacità trasversali piuttosto che per quelle tecniche. O meglio, queste ultime si danno per scontate per studenti provenienti da facoltà tecniche. È la loro capacità di risolvere problemi, di gestire situazioni complesse, di identificare soluzioni

creative, di saper gestire efficacemente le relazioni di cui si tiene sempre più conto. Personalmente poi aggiungo tre caratteristiche che mi capita molto spesso di ricercare in un potenziale candidato: la curiosità, l’umiltà e la creatività. Curiosità perché è l’atteggiamento che consente di porsi in ascolto e di osservare con interesse, di comprendere e di capire meglio cosa succede e come funzionano le cose, di andare oltre agli aspetti banali e scontati. Umiltà perché è indispensabile per mettersi in relazione con l’altro e con il gruppo, che ci permette di non dare per scontate le cose, che non ci chiude le possibilità e ci fa vedere le opportunità. Infine la creatività perché ci aiuta a vedere le cose sotto una luce nuova e diversa, ci fa approcciare ai problemi con maggiore ottimismo e ci aiuta a non fermarci di fronte alle prime difficoltà”. Il nostro Paese è al passo con la formazione professionale rispetto al resto d’Europa e rispetto ai mercati emergenti dove molte aziende italiane intendono rivolgersi? “La formazione professionale in Italia si ritrova ad affrontare aspetti critici sia di merito, che di metodo. Di merito perché le tematiche e gli argomenti affrontati, e in generale i contenuti, sono spesso molto lontani da quelli effettivamente richiesti dalle aziende. Si riscontra, a volte, una grande carenza in chi progetta i corsi, perché non si parte da un’analisi del fabbisogno formativo specifico, ma da richieste troppo generiche e spesso poco approfondite. Di metodo, perché la lezione frontale rimane una delle forme ancora oggi più utilizzata, ma che ha ormai segnato il passo. Bisognerebbe spingersi anche in questo senso verso forme di didattica più innovative e coinvolgenti”.

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO

INTELLIGENZA EMOTIVA Un nuovo modo di orientarsi nel progetto professionale

C

di Giada Cappelleti Management Academy Sida Group - Area Risorse Umane

he il quoziente intellettivo non sia più caratteristica imprescindibile per avere successo al lavoro e possedere le qualità per essere riconosciuti un talento, è fatto ormai noto; che le competenze emotive influiscano in maniera significativa sulla performance lavorativa della risorsa eccellente, è ancora un concetto al quale non sempre viene dato il giusto peso. Proprio così, molteplici studi sull’intelligenza hanno oramai confermato che in un’ottica di competenze professionali e di talentuosità lavorativa,

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ognuno di noi possiede delle intelligenze, intelligenze multiple, appunto che permettono di esprimere con maggiore facilità e padronanza alcune attività cognitive che caratterizzano il nostro modo di comportarci al lavoro. Gardner ad esempio ne individuò 7, linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestesica, intrapersonale e interpersonale scoprendo così che la persona performante non è soltanto quella che possiede un QI elevato, ma è anche colei che riesce ad applicare al meglio quelle che sono le proprie attitudini e

predisposizioni cognitive, cioè le intelligenze multiple che la caratterizzano e che spesso sono innate nell’individuo. Un ulteriore elemento di fondamentale importanza è rappresentato dalle competenze emotive e cioè dalla capacità di saper agire il contesto mantenendo il giusto equilibrio tra emozione e razionalità, aspetti questi alla base del concetto di intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva ( Goleman) conta forse più del QI che è fisso dall’adolescenza, più della competenza, più della cultura, per determinare


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO la riuscita nel lavoro. Questo perché l’intelligenza emotiva agisce e influisce sul saper essere e sul sapersi relazionare. La capacità di gestione dell’ansia e dello stress in situazioni critiche, lavorare per priorità, decidere in condizioni di incertezza, auto motivarsi ed auto stimarsi, così come la capacità di saper lavorare in gruppo, ascoltare e capire i sentimenti altrui, sono qualità fondamentali per poter equilibrare aspetto emotivo e razionale e per sapersi inserire ed agire in molteplici contesti. Le componenti dell’intelligenza emotiva sono 5: • MOTIVAZIONE: comporta la conoscenza delle tendenze emotive che guidano o facilitano il raggiungimento degli obiettivi. E’ la spinta interiore alla realizzazione e al miglioramento. • EMPATIA: comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui. E’ l’abilità di comprendere le emozioni, i punti di vista e le realtà degli altri. • CAPACITA’ DI SOCIALIZZAZIONE: l’abilità di comunicare e relazionarsi con gli altri. • CONSAPEVOLEZZA DI SE il comprendere noi stessi, le nostre emozioni, i nostri punti di forza, i nostri punti deboli e come noi siamo percepiti dagli altri. • PADRONANZA DI SE’: la capacità di dominare/controllare i propri stati d’animo interiori, le emozioni e gli impulsi distruttivi. Pensare prima di agire. Laddove la risorsa le possieda tutte, la sommatoria del valore di tali dimensioni permette di raggiungere già un buon 60% delle performance lavorative che rispecchiano l’eccellenza

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ricercata in azienda; il restante 40%, dettato appunto dalla capacità di applicare l’intelligenza o QI che viene richiesto dal ruolo, dipende dalla corrispondenza che esiste tra attività lavorative che la risorsa è chiamata a svolgere e corrispondenza con le proprie attitudini, “intelligenze” che lo svolgimento del ruolo richiede di mettere in campo. Il concetto di talento o eccellenza lavorativa quindi non è rappresentato dal genio della situazione, ne dal risolutore di tutti i problemi aziendali, ne tanto meno è il performer: il talento aziendale è colui che possiede una naturale inclinazione a svolgere quel determinato ruolo, sia esso operativo, esecutivo, gestionale, dirigenziale, imprenditoriale, esprimendo in esso doti innate, competenze, conoscenze,

esperienza, intelligenza, intelligenza emotiva, atteggiamento, carattere, tensione al risultato e capacità di apprendere e crescere. Le aziende quindi, nelle fasi di valutazione dei propri talenti, dovrebbero mettere in atto tutta una serie di strumentazioni che gli permettano di cogliere non solo la professionalità “tecnica” che la risorsa sa esprimere al lavoro, ma anche e soprattutto la capacità saper governare le emozioni nella gestione della complessità, del cambiamento e nella ricerca della soluzione del problema che gli si presenta. L’impatto dell’Intelligenza Emotiva sulla performance dei talenti è spesso di gran lunga superiore al tecnicismo/competenza professionale che li caratterizza.

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO

LA CREATIVITA’

L

di Stefania Lastella Management Academy Sida group - Area Risorse Umame

a veloce mutazione del contesto ed in particolare quella relativa ai sistemi organizzativi aziendali richiede sempre più una mente creativa

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che possa potenziare il problem solving. La creatività, rappresenta dunque un processo personale che conduce alla realizzazione di idee, prodotti o strutture giudicabili come nuove, originali, non semplicemente deriva-

bili da alternative anti-logiche. Essa rappresenta l’insieme della fluidità, “rapidità ideazionale”, sensibilità ai problemi , flessibilità della mente, abilità sintetiche ed analitiche, abilità di riorganizzazione e di ridefinizione, capacità di complessità delle strutture


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO concettuali e infine valutazione. L’ atto creativo, rimane dunque qualcosa di individuale anche quando si esprime in una dimensione collettiva, cosa che avviene sempre più spesso negli ambiti lavorativi e artistici, della ricerca scientifica o medica. Creatività e quoziente intellettivo, non sono significativamente correlati sebbene il costrutto della creatività sia connesso a quello di intelligenza divergente, la quale si compone di quattro fattori: fluidità, intesa come capacità dimostrata da un soggetto di fornire il maggior numero possibile di risposte ad una domanda data; flessibilità, ovvero il numero di categorie concettuali alle quali le risposte del soggetto possono essere ricondotte; originalità, come facoltà di esprimere idee nuove e realmente innovative, elaborazione, ossia abilità del soggetto di dare una veste concreta ed operativa alle proprie idee. Quanto più questi fattori saranno presenti nell’individuo, tanto più egli si rivelerà dotato di intelligenza divergente o di capacità creativa. Creatività è capacità di associazione tra stimoli e risposte caratterizzati dal fatto che gli elementi vengono correlati in modo inusuale.

BRAINSTORMING:

tecnica di creatività di gruppo per far emergere idee risolutive Sia nei sistemi organizzativi aziendali che nei sistemi organizzativi sanitari la creatività può essere potenziata con metodologie applicative di empowe-

A CURA DI

rement. Nel sistema azienda è molto favorito ad esempio, l’utilizzo del brainstorming, tecnica di creatività di gruppo che permette di fare emergere idee volte alla risoluzione di una situazione problematica, tale tecnica trova ampia applicazione nel marketing in quanto facilita lo sviluppo di nuo-

GRUPPO BALINT:

gruppi di medici che si riuniscono per discutere ed avere maggiore comprensione circa i bisogni del paziente vi prodotti, permette l’ottenimento di idee originali e miglioramento di prodotti già esistenti. . inoltre, la reattività ed il brainstorming trovano ampio margine di applicabilità nel campo pubblicitario per lo sviluppo di campagne adeguate , nel web marketing in cui la creatività è un elemento determinante alla base dei processi di comunicazione verbale e non verbale che si diffondono attraverso i vari social. Nei sistemi organizzativi, l’obiettivo è rendere applicabile la competenza creativa individuale. Ciò è realizzabile grazie alla costruzione di un team che genera condivisione e discussione di idee per stimolare i partecipanti e pensare; favorisce il businness planning, sviluppando e migliorando l’idea di un prodotto e la creazione artistica.

sta una buona componente di creatività nelle attività lavorative. Infatti, i “ case- management” sono gestiti all’interno dei gruppi creativi come il gruppo Balint: gruppi di medici professionisti che si radunano puntualmente per discutere ed avere una maggiore comprensione e sensibilità circa il bisogno del paziente, una maggiore gestione degli aspetti emotivi che caratterizzano la relazione di cura, maggiore attenzione alla relazione di rete che influenzano lavoro e clima istituzionale., con una migliore governance clinica e riduzione dei rischi di burn-out attraverso una esplorazione delle alternative creative da applicare al contesto. In conclusione, l’utilizzo del brainstorming in azienda e l’utilizzo del brainstorming in un sistema organizzativo sanitario (gruppo Balint), possono essere analizzate sia gli elementi aziendali da molteplici prospettive che i processi evolutivi delle relazioni terapeutiche. I partecipanti, oltre ad apprendere alcune tecniche del pensiero creativo, avranno la consapevolezza di essere parte integrante di un processo aziendale in un processo che coinvolge a pieno tutti i membri del contesto aziendale ed il coinvolgimento dei dipendenti nella costruzione di un clima differente, che favorisce cambiamento e creatività.

Anche nel settore sanitario è richie-

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO

IL TALENTO CHI È E COME LO SI DIVENTA

I

di Silvia Cichella Management Academy Sida group - Area Risorse Umame

l talento è un’abilità dai tratti distintivi che connota in maniera singolare un individuo. Il talento è dato da una elevata componente cognitiva che si sviluppa attraverso il rafforzamento delle interconnessioni sistemiche neuronali. La domanda più comune è sapere se talenti si nasce o si diventa. La risposta a tale domanda è essenzialmente questa: il talento è una qualità che si sviluppa durante l’arco di vita, in particolar modo nella fascia di età che va dai 0- ai 5 anni. In questa fase dello sviluppo dell’ essere umano, il cervello, organo adibito allo svolgimento delle funzioni cognitive, è in una fase “plastica” e quindi altamente potenziabile. Il potenziamento, è dato dalle sinapsi neuronali che sono l’ elemento chiave che permette lo sviluppo o meno di un certo tipo di talento, attraverso le interconnessioni sistemiche che si vengono a rafforzare. Quanto più l’esperienza educativa vissuta dalla persona durante lo sviluppo risulta essere determinante ed incisiva anche dal punto di vista emotivo, tanto più le interconnessio-

20 www.mlmagazine.it

ni neuronali si rafforzano e si espandono. E’ sulla base del rafforzamento delle sinapsi neuronali in una determinata area della corteccia cerebrale, che si viene a sviluppare un determinato tipo di intelligenza. Di fatti, il concetto di intelligenza, come sistema unidimensionale, misurabile solo attraverso il QI, è stato ampiamente superato attraverso il concetto di “intelligenze multiple”. La teoria dell’ intelligenza multipla sostiene la presenza nell’essere umano, di diversi tipi di intelligenza: logico- matematica, linguistico- verbale, cinestetica, visivo- spaziale, musicale, interpersonale, intrapersonale. Ognuno può avere un grado diverso di sviluppo delle diverse intelligenze: chi è artisticamente dotato, può non esserlo sul piano della produzione verbale, così come questi ultimi possono non eccellere nel disegno tecnico o nella matematica; tuttavia, i diversi tipi di intelligenza, possono essere sviluppate fino al punto di raggiungere adeguati livelli di competenza. Le differenze dei livelli di competenza, si rispecchiano nel diverso sviluppo degli emisferi

cerebrali: l’emisfero destro è essenzialmente adibito alle informazioni di tipo interpersonale, emotivo, artistiche e di tipo olistico quindi più prominente negli individui con talenti creativi; diversamente l’ emisfero sinistro è adibito alla elaborazione di informazioni logico- pragmatiche, organizzative e matematiche, dunque maggiormente sviluppato in quegli individui analitici. La teoria di Gardner trova un’ottima applicazione nell’ambito lavorativo, in particolare, l’intelligenza intrapersonale ed interpersonale, sembrano essere aspetti che rientrano nel concetto di intelligenza emotiva. Goleman, diede ampio spazio al concetto di intelligenza emotiva, ritenendola la maggiore predittrice del successo nella vita, accessibile virtualmente a tutti tramite l’esercizio che è offerto dalla formazione ma in particolar modo del sistema educativo con cui la persona si è confrontata sin dalla nascita. Per tanto, quanto più la pratica educativa dell’ educatore di riferimento stimola il potenziale biologico e cognitivo del bambino, tanto più questi sarà creativo. Una delle teorie più importanti che


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO illustrano lo sviluppo di un talento sulla base delle caratteristiche biologico –cognitive è la teoria di Piaget. La teoria piagetiana si può definire come una teoria strutturalista che descrive la nascita dell’intelligenza come un’interazione continua fra processi interni derivanti dalla programmazione ereditaria e fattori esogeni (selezione e interpretazione attiva delle informazioni dell’ambiente fisico e sociale). Infatti, per Piaget, l’intelligenza è un caso particolare dell’adattamento biologico, che supera le limitazioni imposte dalla struttura grazie alle invarianti funzionali (funzioni intellettive che operano attraverso lo sviluppo) che fanno parte delle funzioni biologiche più generali e che si manifestano in strutture diverse. Queste invarianti funzionali sono l’organizzazione cognitiva (tendenza del pensiero a essere costituito di sistemi le cui parti sono integrate in modo da formare un tutto) e l’adattamento cognitivo (interazione fra organismo e ambiente). L’adattamento implica due processi complementari: l’assimilazione (processo per cui la realtà viene adeguata all’organizzazione cognitiva che si ha a disposizione) e l’accomodamento (modifiche che avvengono nell’organizzazione cognitiva conseguentemente alle esigenze della realtà). L’attività intellettuale nasce dal bisogno di conoscere, che è una motivazione primaria e intrinseca. Un talento dunque, rappresenta una dote che tutti potenzialmente possediamo sin dalla nascita, ma che essendo multifattoriale e quindi costituito da una base organica, una cognitiva ed una esperienziale, va potenziato attraverso pratiche educative, nonché alimentato e mantenuto dai processi di adattamento e accomodamento all’ambiente.

A CURA DI

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO

LA FORMAZIONE CONTINUA: PRIMO OBIETTIVO DI BUSINESS AZIENDALE In un sistema in evoluzione non sopravvive la specie più forte, ma quella capace di adattarsi al cambiamento

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di Martina Brunetti Management Academy Sida Group - Area Orientamento e Formazione

econdo il XVI Rapporto sulla Formazione continua – Annualità 20142015 incoraggiare nelle persone la propensione alla cura e al rinnovamento costante del proprio patrimonio di competenze e conoscenze è considerato uno dei fattori decisivi per la costruzione di una Europa in grado di essere, al tempo stesso, inclusiva e economicamente competitiva. La partecipazione degli adulti ad attività educative e formative, anche prescindendo da immediate esigenze professionalizzanti, da almeno un quindicennio è un aspetto posto al centro delle politiche che cercano di innalzare i complessivi livelli di qualificazione della popolazione e delle forze lavoro, questo perché è ormai evidente che è possibile formare lavoratori costantemente aggiornati e cittadini in grado di scegliere consapevoli solo attraverso un attivo circuito di trasmissione delle conoscenze. Il perfezionamento delle capacità imprenditoriali e manageriali, nonché lo sviluppo e la qualificazione del

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personale dipendente, sono esigenze particolarmente sentite dalle aziende che aspirano al mantenimento e alla conseguente evoluzione della competitività sul mercato locale, nazionale o internazionale. Indispensabile, quindi, rispondere a tali bisogni attraverso la promozione e realizzazione di percorsi formativi e altri servizi finalizzati alla formazione, all’aggiornamento nonché al perfezionamento dei piccoli e medi imprenditori, del loro personale, degli operatori e dei servizi. L’acquisizione di nuove competenze da parte delle risorse umane delle organizzazioni industriali, pubbliche e di servizi, diventa oggi una dinamica strategica, un vantaggio imprescindibile e una fonte di business che persegue lo scopo di mantenere alti livelli di competitività sul mercato; aumentare il livello di soddisfazione dell’utente e dei clienti e fronteggiare con competenze e capacità le nuove sfide imposte dal sistema economico alle imprese. In tutto ciò, la formazione del personale incrementa il valore dell’impresa; conferisce lustro all’immagine aziendale e rinvigorisce la

motivazione del personale. Le organizzazioni sono sempre più chiamate ad avvalersi della formazione per far evolvere il capitale umano dell’impresa e la formazione professionale rappresenta lo strumento strategico per acquisire la forza per competere, l’arma vincente per espandersi in nuovi settori e mercati, grazie alle competenze specifiche e professionali di ciascuna persona coinvolta nel processo di crescita dell’organizzazione. Formare il personale significa far apprendere concetti, metodologie, strumenti e abilità nel fare, stimolare cambiamenti nella struttura dell’esperienza individuale per ottenere dalle persone comportamenti in sintonia con i propri valori e con il sistema aziendale di cui fanno parte. Come diceva Darwin “in un sistema in evoluzione non sopravvive la specie più forte, ma quella capace di adattarsi al cambiamento” e le imprese più rivoluzionarie sono proprio quelle che volentieri investono tempo e risorse nella formazione continua del proprio capitale umano.

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO

LE COMPETENZE DEL MANAGER DEL FUTURO

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di Silvia Battistelli Management Academy Sida Group - Area Ricerca & Sviluppo

iviamo un momento storico in cui il tessuto imprenditoriale è molto mutato a causa della crisi economica. Fra le aziende che sono riuscite a superarla, molte, anche fra gli attori più forti del sistema, sono cambiate e hanno dovuto ripensare, talvolta trasformando in modo significativo il proprio business. Se da un lato questi profondi cambiamenti che hanno interessato e tuttora interessano il mondo dell’impresa, e

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quindi il mercato del lavoro, hanno portato e continueranno a portare anche nel prossimo futuro alla nascita di nuove figure professionali, dall’altro essi hanno reso necessario anche un cambiamento delle competenze che il mondo del lavoro richiede, poiché la ridefinizione dei business aziendali si porta necessariamente dietro l’esigenza di definire le competenze dello staff, a livello di dirigenti, quadri e ma anger. Un tempo dal manager ci si attendevano soprattutto risultati economico

finanziari e quindi competenze fondamentali che egli doveva possedere andavano essenzialmente in questa direzione. Ma se anche per il futuro questa figura non potrà prescindere da competenze tradizionali che avranno sempre un ruolo fondamentale, quali il controllo di gestione, la finanza, il marketing, le conoscenze specifiche del settore in cui l’azienda opera, vi sono altri temi che hanno già assunto un ruolo fondamentale. Il manager oggi deve essere competente sul fronte dell’organizzazione sviluppo delle risorse umane, sulle re-


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO lazioni con i clienti, sul fronte dell’innovazione, sul product e project management… in poche parole egli deve avere conoscenze e competenze a 360 gradi. Si può dire che al manager oggi sia richiesta una visione sistemica dell’azienda, che ne interpreti le funzioni con approccio integrato. L’azienda infatti non è semplicemente una giustapposizione di aree o settori che possono essere presi per sé, essa è il risultato invece di tutte queste parti e delle interconnessioni esistenti e costituisce un vero e proprio sistema, come un organismo vivente; pertanto un manager capace non può prescindere da una conoscenza a tutto tondo dell’azienda, poiché fondamentale è la conoscenza e comprensione di quei meccanismi di correlazioni che interagiscono tra le varie funzioni e reparti aziendali. Tale necessità peraltro si ricollega anche a un cambiamento che molte aziende stanno avviando, che è quello di riorganizzarsi in business unit, alla guida delle quali vi è necessariamente un manager.

squadra, di gestire le risorse e la capacità di delega, poiché è fondamentale che un manager resti centrato nel proprio ruolo di “gestore” delegando ai collaboratori responsabilità operative. Altre caratteristiche essenziali, che rientrano nella sfera dell’autoefficacia personale, sono la resilienza e la creatività. Possedere stabilità emotiva, saper reagire positivamente agli eventi negativi e avversi, trasformarli in opportunità e momenti positivi: la resilienza è la capacità di reagire ai traumi di qualsiasi natura, personali, familiari, lavorativi riorganizzandosi positivamente, traendo nuove competenze, senza farsi abbattere e cadere in stadi di prostrazione ma anzi rafforzando la fiducia in sé stessi. Per la natura del suo ruolo il manager si trova ad essere maggiormente esposto a forte stress e pressioni, sarà dunque necessario che egli accresca la propria resilienza aumentando la capacità di resistere ed adattarsi, attingendo a energie positive insite dentro di sé.

Accanto a quelle evidenziate fin a qui, sarà sempre più importante per i manager possedere tutta una serie di competenze non specialistiche e trasversali, fondamentali per poter affrontare una realtà aziendale sempre più complessa e caratterizzata da numerose variabili e alta volatilità. Si tratta di competenze che attengono la sfera cognitiva e del pensiero, la sfera attitudinale e comportamentale, sociale e personale e che quindi sono riconducibili alla sfera delle competenze e dell’intelligenza emotiva. Queste comprendono ad esempio competenze fondamentali per poter gestire il proprio gruppo di lavoro: ottima capacità di leadership, ovviamente coerente con le linee guida aziendali, capacità di lavorare in

Di fronte ai repentini cambiamenti e agli imprevisti, è importante che il manager impari a trovare soluzioni nuove, pensando fuori dagli schemi, facendo ricorso all’intuizione e alla creatività per interpretare il mercato, dotandosi di strumenti sempre più variegati, poiché modelli e schemi tradizionali possono essere insufficienti a interpretare la situazione attuale.

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Tali capacità hanno un ruolo strategico e sono fondamentali nella gestione dei processi di cambiamento – change management - In questo senso è fondamentale che il manager riesca ad esse un problem solver e un buon decision maker. Se l’azienda vuole mantenersi competitiva, deve poter disporre di

manager capaci di interpretare e reagire al cambiamento, sia che esso sia endogeno, cioè conseguente dai processi di sviluppo aziendali o derivante da precise scelte strategiche, sia che esso sia esogeno, derivante cioè da fattori esterni imprevisti. Soprattutto in questo secondo caso appare quindi fondamentale saper comprendere, e in qualche modo prevedere, possibili cambiamenti futuri, anticiparli, delineare scenari, in modo da poter rispondere ad essi non tanto con un comportamento adattivo ma anticipatorio, per evitare di esserne travolti. I cambiamenti devono essere visti come opportunità per “giocare d’anticipo”, gettare le basi e predisporsi in modo maggiormente allineato alle sfide future. Quanto appena descritto dovrà trovare una contropartita nella formazione manageriale che non potrà far a meno, nei percorsi di formazione manageriale, di offrire un mix di competenze tecnico specialistiche e competenze trasversali, focalizzandosi sulle tematiche del cambiamento, della flessibilità e della comunicazione. Le metodiche proposte dovranno agire sulla creatività e sul ruolo attivo degli allievi, attraverso strumenti quali creative learning, lo studio di casi aziendali, simulazioni e project work, strumenti insomma che stimolino la proattività, lo spirito d’iniziativa, il problem solving. La formazione non dovrà perdere di vista l’obiettivo di rispondere alla domanda di nuovi manager con profili che siano dotati di buona visione d’insieme, ampia visione spazio-temporale, in grado di inserirsi comprendendo rapidamente i meccanismi aziendali, integrandosi e partecipando attivamente e proficuamente fin da subito alle attività aziendali.

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BUSINESS INTELLIGENCE & BIG DATA ANALYTICS Numeri e parole nei contemporanei sistemi di management e di competitive intelligence

di Laura Osmani Management Academy Sida Group - Area Business Analysis & Big Data Analytics uali gli elementi che possono descrivere la figura di un Data Scientist, Business Intelligence Manager o di un Chief Data Officer nel 2016? Cerchiamo di capire quali siano le caratteristiche che ne delineano ruoli e posizioni aziendali e quali siano le interazioni e le integrazioni con le aree funzionali e strategiche.

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Un bambino inizia pronunciando in sequenza numeri semplici, prosegue associando oggetti e azioni ad essi,

“Success is the sum of details” “Il successo è la somma dei dettagli” Harvey Samuel Firestone li memorizza, poi li somma, sottrae, moltiplica e divide; li colleziona successivamente all’interno di insiemi e

gruppi di varia entità e misura, … LI CONTA! E Poi? Con il passare del tempo impara ad ordinarli, classificarli, raccoglierli e organizzarli con cura, li aggrega e li analizza per poi riuscire a sintetizzare la quantità del dato nella qualità di un’informazione, quell’informare che nel suo significato principe era dare forma, era idea, concetto. Ora che l’informazione è generata va raccolta, letta, compresa, interpretata. Intus legere è leggere dentro, leg-


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO gere tra le righe, intelligenza è saper relazionare tra loro le informazioni, saperle confrontare, sistematizzare e comprendere, è saper creare ordine e flussi coerenti in quelle stringhe che dalla fine del XX secolo misuriamo in Kilo, Mega, Giga, Tera, Peta - Exa – Zetta e Yotta Byte. Individuare i bisogni, raccogliere i dati, analizzare gli elementi, trasformarli in informazione. Sviluppare poi soluzioni connotate da innovazione al servizio di sfide reali di business, analizzare processi oltreché dati e problemi per i quali saper individuare soluzioni e/o aree di miglioramento, identificare nuovi modelli di business, mappare processi e monitorare KPI di performance, consentire al top management di prendere decisioni con la consapevolezza che queste ultime poggino su solidi pilastri di analisi. Il sistema azienda si interfaccia e si confronta parallelamente da un lato con un ambiente e un contesto esterno ad essa e con il mercato e i mercati che pervadono e occupano tale spazio, dall’altro con l’organismo interno all’azienda stessa fatto di personale, procedure, architetture e componenti logiche e tecnologiche (informatiche e di processo). I due contesti si parlano attraverso un flusso di dati e informazioni che reciprocamente vengono scambiate, richieste ed esaminate nel più ampio insieme della competizione di mercato. Dati interni e dati esterni, strutturati e destrutturati contraddistinti dalle caratteristiche di Volume, Velocità, Varietà e Valore si inserisco nel flusso di misurazione, analisi, informazione e azione posto in atto nei processi di Business, Competitive e Social Intelligence. Il mercato, i nostri clienti finali e partner nei canali B2C e B2B parlano di

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sé, dei loro bisogni e necessità, parlano di noi e dei nostri competitor, cercano prodotti e servizi, commentano, esprimono giudizi, si confrontano e scelgono ciò che più soddisfa le loro esigenze, ed è in questo spazio che la sfida e la competizione prendono la forma del dato. I sistemi di Data Collection, Datawarehouse integrati con quelli di Customer Relationship Management (CRM) e Content Management System (CMS) e non da ultimo con gli Enterprise Resource Planning (ERP) consento ai Data Scientist di porre il proprio lavoro al servizio di Strategic Planner, Product Developer, Marketing Product Manager, Business Developer, Customer Service Manager, Technology Research, Resource & Manufacturing Planner, R&D Manager, Chief Financial Officer al fine di supportare fasi operative, di controllo delle performance fino a quelle propriamente strategiche e decisionali. Il flusso di informazioni ha la necessità di essere gestito e monitorato attraverso un attento sistema di Project Management che consenta un continuo confronto e interscambio di informazioni a livello interfunzionale tra il front line, il middle e l’executive management. Questo perché BIG sono i flussi di informazioni economiche e finanziarie, BIG sono le informazioni di marketing e di vendita, BIG sono i dati alfanumerici e geo-spaziali inseriti nei database relazionali e nei più contemporanei Geographical Information System, BIG sono gli scambi di dati destrutturati (video, immagini, parole e linguaggio composti da un elevato numero di metadati da cui estrarre informazioni attraverso tecniche di analisi semantica), BIG sono i Tweet, i post, BIG sono le ricerche online e della navigazione web.

Così come emerge però da un recente studio dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence, School of Management dell’Università di Milano l’utilizzo dei Big Data nei sistemi di analisi aziendale si diffonde trasversalmente dal mondo dei servizi bancari e assicurativi, della pubblica amministrazione e sanità a quelli legati al turismo e ai trasporti, passando per il tradizionale mondo delle telecomunicazioni da un lato e dei prodotti e utilities (alimentare, tessile/abbigliamento, automotive, metalmeccanico, degli elettrodomestici, chimico e della GDO) dall’altro, ma perché questa mole ingente di dati possa essere utilizzata ai fini strategici al massimo delle possibilità mancano ancora nel mercato figure specializzate, strategie condivise, team di governance inter funzionali che si scontrano poi ancora con la mancanza di strumenti di analytics adeguati, tecnologie e sistemi di aggiornamento, confrontabilità e integrazione delle fonti informative che ne garantisca l’adeguata qualificazione . Cos’è la Business Intelligence? Un approccio alla gestione e all’interpretazione del dato, una nuova disciplina di business, una nuova funzione o semplicemente la consapevolezza nell’affermare che: “Without data you’re just another person with an opinion” “Senza dati tu sei solo un’altra persona con un’opinione” William Edwards Deming.

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LE COMPETENZE ICT PER AFFRONTARE I NUOVI TREND TECNOLOGICI

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di Romano Mataloni Management Academy Sida Group - Area ICT, Project Management

egli ultimi 50 anni abbiamo assistito a grandi ed epocali cambiamenti tecnologici. Negli anni ’70 le famiglie (non tutte) avevano in casa un solo televisore bianco e nero, a tubi catodici. L’offerta televisiva consisteva in soli due canali RAI1 e RAI2 e la programmazione aveva inizio alle 16 del pomeriggio. Ricordo anche che se si voleva cambiare canale ci si doveva alzare dal divano per ruotare una manopola del televisore. Oggi tutte le famiglie hanno almeno due o tre televisori, ultrapiatti a colori con una offerta televisiva molto variegata su diverse piattaforme tecnologiche (satellitare, digitale terrestre,

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streaming) per centinaia e centinaia di canali di diverso intrattenimento. Per la telefonia ricordo che mia madre mi raccontava che in quegli stessi anni lei aveva il telefono in half duplex con gli inquilini del piano superiore, ovvero se uno dei due telefonava l’ altro non poteva avere una conversazione telefonica in quanto la linea era occupata. Ricordo pure il mitico telefono di casa con la “rotella” per comporre i numeri. Oggi noi tutti abbiamo gli smartphone con i quali possiamo, in qualsiasi momento, effettuare una chiamata telefonica, inviare o leggere sms, comunicare attraverso i social network. Sono solo due esempi a testimonianza di quali siano stati grandi i cambiamenti tecnologici che abbiamo avuto la fortuna di vivere.

L’ Information & Communication Technology, una delle scienze più innovative in questi ultimi decenni, ha avuto dei sensibili e significativi cambiamenti. Basti pensare all’ avvento di internet alla fine dello scorso millennio, che ha completamente sovvertito il modo di comunicare da monodirezionale, e solo di chi aveva il potere della comunicazione, a bidirezionale e democratico. Oggi stiamo vivendo la terza ondata della competizione guidata dall’IT. Già due volte negli ultimi cinquant’anni l‘ Information Technology ha ridisegnato radicalmente la competizione e la strategia; oggi siamo alle soglie di una terza trasformazione. La prima ondata dell’ IT risale agli anni Sessanta e Settanta. I prodot-


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO ti erano meccanici, le attività che si svolgevano all’interno della catena del valore venivano eseguite con processi manuali, con documenti cartacei e con comunicazione verbale. L’IT ha da prima automatizzato singole attività della catena del valore, dalla contabilità alla Processazione Ordini e Fatturazione, dal Cad (Computer-aided Design) all’Mrp (Manufacturing Resource Planning), creando delle isole informative dipartimentali per poi passare a soluzioni applicative integrate quali l’ ERP (Enterprise Resoruce Planning). In questa fase le aziende hanno avuto modo di standardizzare i propri processi aumentando la loro produttività, soprattutto perché enormi quantità di nuovi dati si sarebbero dovuti gestire, acquisire e analizzare in ogni attività. La seconda ondata dell ‘IT è stata contraddistinta dalla ascesa di Internet che con la sua connettività ubiquita¬ria e a basso costo ha dato avvio, negli anni Novanta, alla seconda ondata di trasformazione guidata dall’IT. Ha facilitato il coordinamento e l’integrazione delle singole attività con partner esterni quali Fornitori, Canali distributivi, Clienti abbattendo le barriere geografiche. Ha consentito, per esempio, alle imprese di integrare strettamente delle supply chain distribuite in tutto il mondo. La terza ondata dell ‘IT , che stiamo vivendo in questi anni, è invece caratterizzata da Internet of Things (IoT). I prodotti non saranno più solo meccanici ed elettrici, ma potranno e dovranno avere anche componenti elettroniche, di intelligenza, di capacità di memorizzazione e di connettività. Sono i cosiddetti “prodotti intelligenti interconnessi” che obbligheranno nel prossimo futuro le aziende a ripensare praticamente tutto quello che

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fanno: da come concepiscono, progettano e predispongono i prodotti a come li producono, li fanno funzionare e li riparano. I “prodotti intelligenti interconnessi” hanno tre elementi distintivi : • I componenti “fisici” che consistono nelle parti meccani¬che ed elettriche del prodotto. Per esempio In un’automobile includono il blocco motore, la carrozzeria, le gomme, le batterie, ... • I componenti “intelligenti” che consistono nei sensori, nei microprocessori, nel sistema di archiviazione dei dati, nei controlli, nel software, in un sistema operativo integrato e in un’interfaccia “aumentata” per l ‘utente . In un’automobile, per esempio, i componenti intelligenti includono l’unità di controllo del motore, il sistema di ripartizione della frenata, il parabrezza sensibile con i tergicristalli automatizzati e i display touch screen. • I componenti i “connettività” che altro non sono le porte, le antenne e i protocolli che consentono connessioni via cavo o wireless del prodotto secondo tre modalità: 1. One-to-One un singolo prodotto si connette con l’utilizzatore, con il produttore o con un altro prodotto attraverso una porta o un’altra interfaccia; è quello che avviene, per esempio, quando un’automobile viene attaccata a una macchina diagnostica. 2. One-to-Many un sistema centrale è connesso in maniera continua o intermittente a tanti prodotti nello stesso tempo. Per esempio, molte autovetture Tesla sono collegate a un sistema unitario del produttore che ne monitora la

performance ed effettua l’assistenza e gli upgrading a distanza. 3. Many-to-Many più prodotti si connettono a tanti altri tipi di prodotti e spesso anche a fonti esterne di dati. Vari tipi di macchine agricole sono collegate tra di loro e a un sistema di geo-localizzazione , per coordinare e ottimizzare l’operatività dell’azienda. Per esempio, delle aratrici automatiche iniettano il fertilizzante all’azoto a profondità e intervalli prestabiliti, dopodiché passano delle seminatrici che spargono i semi di mais direttamente nel terreno fertilizzato. I componenti intelli¬genti amplificano le capacità e il valore dei componenti fisici, mentre la connettività oltre ad amplificare le capacità e il valore dei componenti intelligenti, consente ad alcuni di loro di esistere al di fuori del prodotto fisico. La connettività infatti risponde a due obiettivi, ovvero consente lo scambio di informazioni tra il prodotto e il suo ambiente operativo, il suo produttore, i suoi utilizzatori, altri prodotti e altri sistemi ed inoltre permette ad alcune funzioni del prodotto di esistere al di fuori del dispositivo fisico, nel cosiddetto product cloud . Sono le nuove capacità di questi prodotti e i dati che essi genereranno, ad aprire la porta a una nuova era della competizione e questo ulteriore cambiamento obbligherà le aziende a scelte strategiche innovative su come creare e acquisire il valore, su come lavorare con i partner tradizionali e con quelli nuovi, su come assicurarsi un vantaggio competitivo man mano che le nuove capacità ridisegnano i confini tra i settori. Ebbene in questo scenario emergono

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO nuove figure e nuove competenze ICT e le aziende al fine di poter conseguire un vantaggio competitivo dovranno ricercare, coltivare, possedere. Secondo lo studio “Osservatorio delle competenze digitali” condotto da Agenzia per l’Italia Digitale, AICA,

motica, Mobile Applications, Cloud Computing, E-Commerce, Digitalizzazione flussi e processi, Business Analytics, Digital Identity Management & Security, Big Data, Social Media/Network, Collaboration. Tutti i trend tecnologici individuati

possedere un ampio ventaglio di competenze necessario a gestire bene la macchina IT e, allo stesso tempo, abilitare un percorso di cambiamento più generale in chiave digitale. La figura del CIO è critica per il 70% delle aziende

Fig.1 - TREND TECNOLOGICI AD ELEVATO IMPATTO SULLE COMPETENZE DELLE AZIENDEUTENTI Mobile payment IOT - Internet delle cose Domotica Mobile Appications Cloud Computing e-Commerce Digitalizzazione flussi e processi Business Analitycs Digital Identity Management & Security Big Data Social Media/Network Collaboration

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Assinform, Assintel, Assinter e pubblicato lo scorso Gennaio 2016 sono evidenziate da un lato i nuovi trends tecnologici e la necessità di una trasformazione digitale, dall’altro la necessità di figure professionali ICT che possano permettere alle varie organizzazioni (Aziende operanti nel settore ICT, Pubbliche Amministrazioni Locali e Centrali, Aziende utenti) di cavalcare i cambiamenti tecnologici in atto. Noi esamineremo dello studio, solo la parte relativa alle aziende utenti ovvero alle aziende private. I principali trends tecnologici individuati sono : Mobile Payment, IoT, Do-

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hanno un impatto significativo, medio o elevato, sulle competenze digitali. Quelli a maggior impatto sulle competenze interne sono quelli più innovativi del Mobile Payment, dell’ Internet of Things e della Domotica (vedasi Figura 1 dello studio). Le aziende utenti al fine di poter conseguire un vantaggio competitivo nei confronti dei propri concorrenti di settore, hanno a questo punto necessità di reperire e sviluppare competenze di alcuni dei profili ICT ritenuti tra i più critici da introdurre in azienda (figura 2 dello studio): • il CIO che, inevitabilmente, deve

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utenti; l’ICT Security Manager che, in un contesto in cui il business si apre sempre più al Web, al Mobile e al Cloud, deve essere in grado di evolversi e di prevenire e gestire nuove minacce e attacchi informatici; il Digital Media Specialist, profilo relativamente nuovo e quindi non facile da reperire sul mercato, in grado di indirizzare le tematiche di sviluppo e gestione dei canali digitali; Il Network Specialist che assicura l’allineamento della rete, incluse le infrastrutture di telecomuni-


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO Fig.2 - PROFILI ICT PIÙ CRITICI DA INTRODURRE/FORMARE NELLE AZIENDE UTENTI Chief Information Officer (CIO) ICT Security Manager Database Administrator Digital Media Specialist Network Specialist Project Manager ICT Operations Manager Enterprise Architect Business Analyst Business Information Manager Account Manager Developer System Analyst ICT Security Specialist Technical Specialist Service Manager System Architect Quality Assurance Manager

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cazione e/o dei computer, per soddisfare le esigenze di comunicazione dell’azienda, in momento in cui la connettività è essenziale; Il Project Manager detto anche “produttore del cambiamento”, che gestisce progetti per raggiungere la performance ottimale conforme alle specifiche originali. E’ Responsabile dell’ottenimento di risultati ottimali, conformi agli standard di qualità, sicurezza e sostenibilità nonchè coerenti con gli obiettivi, le performance, i costi ed i tempi definiti .

Secondo gli ultimi dati della Commis-

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sione Europea presentati nella Digital Assembly di Riga, si stima che entro il 2020 mancherà all’appello circa un milione di professionisti digitali. Il gap, che addirittura secondo alcuni è ritenuto sottostimato, è dovuto alla crescita di professionisti ICT di circa il 3% annuo, mentre i laureati in Informatica (principale serbatoio per le future figure digitali) sono calati del 13% dal 2006 al 2013. I trend tecnologici ed i cambiamenti, come ci hanno insegnato gli ultimi 50 anni, sono dirompenti e le aziende per mantenere o acquisire un vantaggio competitivo debbono essere digitali ed acquisire competenze qualifi-

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cate nel mondo ICT. La fame di competenze digitali è altissima, i tempi sono urgenti ed il vuoto va colmato subito; da un parte con una offerta formativa e dall’ altro da una maturità imprenditoriale che torni a considerare l’ICT come “vera leva strategica per vincere la competizione !!!“. In questo scenario il paese Italia non deve rimanere a guardare, se vuole continuare a competere con le altre nazioni, ma deve cercare di utilizzare al meglio le nuove tecnologie ed i nuovi trend con la sua immensa e grande capacità di creatività unica al mondo.

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LA NASCITA DI NUOVE FIGURE PROFESSIONALI LEGATE AL MONDO DEL WEB

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di Claudia Bartolini Management Academy Sida Group - Area Marketing, Trade e Digitale

l Web rappresenta oggi una grande risorsa per le aziende, in grado di generare opportunità di business. Tutto ciò ha causato l’emergere di diverse figure professionali. Si parla molto dei “digital advertiser”, ovvero coloro che gestiscono piattaforme promozionali a pagamento. Essi sono molto richiesti, e il loro numero crescerà, soprattutto nelle piccole e medie imprese. Abbiamo poi i “SEO”, che cercano di portare nelle prime pagine di Google e altri motori di ricerca i portali da loro curati (collegati a parole chiave specifiche). La nascita delle community all’interno delle quali gli utenti scambiano informazioni su uno o più argomenti, ha dato vita alla figura del “community manager”, un addetto alla gestione di una comunità virtuale, con i compiti di progettarne la struttura e di coordinarne le attività.

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Altra figura di grande rilevanza all’interno delle aziende è quella del Web Analyst. Egli si occupa della misurazione, raccolta, analisi e comunicazione dei dati web per scopi di comprensione e di ottimizzazione dell’utilizzo della rete globale. Tuttavia l’analisi web non è solo un processo per la misurazione del traffico di navigazione, ma può essere utilizzato come strumento di business e di ricerca di mercato, in modo da valutare e migliorare l’efficacia di un portale. Questo tipo di misurazioni possono anche aiutare le aziende a decifrare i risultati della stampa tradizionale o delle campagne pubblicitarie trasmesse, in modo da stimare come cambia il traffico verso un sito internet dopo il lancio di una nuova campagna pubblicitaria. Vengono in questo modo fornite informazioni circa il numero di visitatori di un portale e sul numero di pagine visionate.

Le aziende che vendono i propri prodotti o servizi on line e quelle che si occupano di moda, tecnologie, spettacolo e divertimento, alimentazione e benessere, non possono far a meno del Digital PR. La possibilità che gli utenti hanno oggi di recensire e commentare in ogni tipo di campo, rende necessaria una forma di relazione più diretta e reciproca e non più rivolta genericamente a tutti come in passato, per questo la P di PR sta per “People” (persone) e non per “Public” (pubblico). Il pubblico di riferimento non è più solo il giornalista, ma tutti coloro che scrivono e commentano on line e che hanno la capacità di influenzare in qualche modo l’opinione pubblica. Tutto ciò testimonia come il Web sia indubbiamente in questo periodo storico la più grande fucina per quanto concerne la nascita di nuove figure professionali.


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NUOVE FIGURE PROFESSIONALI NELLA FUNZIONE RISORSE UMANE COACH E TEMPORARY MANAGER

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di Giuliano Calza Management Academy Sida Group - Area Sviluppo Organizzativo e Internazionalizzazione

a funzione Risorse Umane è oggi obbligata dagli eventi che stanno modificando il contesto di riferimento a porsi un fondamentale domanda: quale è l’evoluzione futura, quali sono le nuove professioni, come sarà la sua gestione del capitale umano nel prossimo futuro? Lo scenario competitivo sta repentinamente ed inesorabilmente modifi-

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cando le modalità e il funzionamento stesso dei processi aziendali; la tecnologia e i sistemi applicati, i nuovi modelli organizzativi, la differente tipologia di giovani e quindi di potenziali talenti che dovremmo gestire tra qui e il 2050 ci impone di definire oggi una strategia gestionale che sia aderente al modello di business, alle caratteristiche territoriali e allo sviluppo futuro. Tutto ciò è fondamentale prima di

perdere il valore strategico che la funzione HR deve dare per la crescita e lo sviluppo dell’impresa. L’analisi deve partire in primis dal footprint industriale il quale disegna una Nazione ed una Regione pesantemente ridotte nelle quantità di risorse impiegate nel processo produttivo/commerciale e nelle dimensioni dell’impresa che è sempre più medio piccola e sempre meno medio-grande.

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO Seconda riflessione: lo scenario demografico, è indiscusso che la bassa densità di popolazione della nostra Regione che i demografi confermano costante anche nei prossimi 20/30 anni, si caratterizza però per un processo che repentinamente sta procedendo verso un cambiamento di “pelle” del fattore umano. Siamo destinati a confrontarci con nuove culture, nuovi stimoli e valori che in un “melting pot” accelerato cambieranno completamente la tipologia del capitale umano che abbiamo avuto fino ad ora quale riferimento gestionale. Ultimo, ma di certo non meno importante, è lo scenario economico che non ci permette di programmare in modalità costante o costantemente crescente, il turnover aziendale. Ciò perchè la volatilità del mercato, l’internazionalizzazione e la globalizzazione rendono i flussi del business in costante fluttuazione con estrema difficoltà previsionale. Se questo è lo scenario ed è questo il punto di partenza e di riferimento per definire la strategia HR credo che la prima riflessione vada fatta sulla necessità di inserire all’interno delle aziende o delle funzioni HR, figure professionali che fino ad oggi sono state utilizzate come ultima ratio ma che, a mio personale parere, saranno la chiave di una funzione HR strategica nel prossimo futuro. Percorriamo l’analisi a ritroso e partiamo dall’aspetto economico e di business. Il moderno responsabile delle Risorse Umane deve orientarsi nella gestione di una piccola e media impresa lavorando a quattro mani con l’imprenditore per comprendere i flussi e le dinamiche di redditività e produttività dell’azienda, rielaborando il modello organizzativo, snellendolo nei perio-

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di di basso e rinforzandolo nei periodi di alto impatto del business. Come fare? La risposta può sembrare ovvia ma in realtà non è quello che accade nella realtà. Il responsabile delle Risorse Umane deve, sempre di più, costruire una struttura organizzativa che preveda l’utilizzo del temporary manager come chiave strategica di successo. Per ineluttabile destino o per scarsa capacità ci troviamo comunque davanti ad una situazione che, per rendere le aziende pronte ad una reazione immediata agli stimoli del mercato, deve affidarsi a professionalità esterne da impiegare temporaneamente, da uno a tre anni, a seconda della difficoltà del momento o della complessità dell’attività o dall’entità della commessa. Paradossalmente ci troviamo anche in un momento storico del mercato del lavoro dove professionalità libere e disponibili di questa caratura sono di facile reperimento. Dunque perché ostinarsi nella costruzione di una struttura organizzativa rigida funzionale quando l’azienda non è in grado di sostenerla? Perché non pensare ad un HR che con l’imprenditore riesca a disegnare una organizzazione in continuo mutamento, chiamando di volta in volta, per la copertura dei ruoli strategici apicali, professionisti esterni provenienti dal settore e disponibili ad accettare delle sfide temporanee in quanto migliorative della loro condizione di vita. Sembra l’uovo di colombo ma in realtà, a pensarci approfonditamente, la qualità della vita del manager temporaneo permette delle pause di riposo che saranno in grado di aiutarlo durante i periodi di grande intensità professionale particolarmente duri. Dal punto di vista aziendale c’è la

garanzia di una copertura qualitativamente eccellente di posizioni strategiche solo nel così detto momento del bisogno. Seconda figura professionale che sempre di più entrerà a far parte, stabilmente o a livello consulenziale, in affiancamento al responsabile HR nelle aziende medio piccole è la figura del coach o, nella sua versione un po’ più smussata basata sulla politica del o leading by example, quella del mentor coach. Qual è il ruolo del coach nell’azienda del futuro? Accompagnare il responsabile HR nella facilitazione dei dipendenti, a tutti i livelli, rispetto alla comprensione del cambiamento. Il cambiamento spaventa già soltanto a pronunciarlo ed è prevalentemente inteso come qualcosa di negativo ed inevitabile. Il cambiamento è l’esatto contrario. È un’opportunità di crescita costante e dunque il mentor ed il coach avranno il difficile ma affascinante compito di coadiuvare le risorse umane nel processo di educazione al cambiamento come non già ineluttabile evento da subire ma come onda oceanica da cavalcare. Solo mediante professionalità in grado per esperienza, conoscenza e preparazione si potrà raggiungere questo ambizioso traguardo. Concludendo il business sta cambiando, il mondo sta cambiando, le risorse umane devono pensare ora al piano strategico futuro ricorrendo a strumenti ampiamente disponibili sul mercato quali i temporary manager e coaches e mentors. Organizzazioni snelle addestrate al cambiamento in grado di vincere lo scenario competitivo si devono orientare verso lo “human resources open business model”.


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ORIENTAMENTO PERMANENTE

L’

di Paola Cicchelli Management Academy Sida Group - Area Orientamento/Placement

orientamento è un processo che permette alla persona di prendere decisioni quando deve scegliere la direzione da seguire in ambito personale o professionale. Di conseguenza l’orientatore è colui che fornisce gli strumenti (“la bussola”) per individuare la strada da percorrere e raggiungere la destinazione. Ovviamente la strada non è scevra da pericoli ed ostacoli, per questo è importante iniziare presto ad orientarsi per lavorare su se stessi e conoscere il contesto. Come afferma Polàcek, “l’orienta-

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mento consiste nell’aiuto che viene dato da un esperto ad un soggetto in crescita perché elabori un progetto di vita (personale e professionale) e lo effettui progressivamente durante le fasi del suo sviluppo.” Per questo oggi è meglio parlare di orientamento permanente, inteso quindi come un processo continuo focalizzato all’individuazione e al potenziamento delle capacità della persona per realizzarsi integralmente. Ciò comporta l’acquisizione di una serie di conoscenze e competenze volte a rendere la persona autonoma nelle scelte. Nello specifico, la persona deve essere in grado di:

• Conoscere sé e le proprie risorse: attitudini, interessi e valori • Conoscere la realtà sociale e il mercato del lavoro • Scoprire e sviluppare una progettualità personale e professionale • Acquisire una maturazione della capacità decisionale. Considerando la continuità dell’orientamento durante l’arco della vita possiamo distinguere diverse tipologie di orientamento a seconda del periodo di vita in cui ci si trova: • Orientamento scolastico: insieme di azioni volte a supportare le scelte legate ai cicli di studio (scuola media, istituto superiore, università). Si

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO concretizza nell’abituare i ragazzi a conoscere se stessi individuando le attitudini e le aspirazione per poter scegliere un percorso formativo coerente con le proprie caratteristiche. • Orientamento professionale: insieme di azioni volte a supportare l’ingresso nel mercato del lavoro. In questo caso l’orientamento è volto a verificare e valorizzare le competenze, individuare i punti deboli da rafforzare e definire un obiettivo professionale raggiungibile. • Orientamento per il reinserimento lavorativo: insieme di azioni volte a sostenere un cambiamento di status/ruolo nel mercato del lavoro. Attraverso un’analisi del percorso professionale ed il bilancio di competenze si ridefinisce un nuovo progetto professionale in linea con le capacità individuali ed il contesto di riferimento. L’orientamento, quindi, deve essere inteso come strumento d’aiuto alle scelte che l’individuo si trova ad affrontare nelle situazioni di transizione tra formazione e lavoro, tra lavoro e formazione, tra lavoro e lavoro. Nell’orientamento continuo l’individuo diviene il protagonista del proprio processo di orientamento attraverso la consapevolezza del contesto in cui vive e l’individuazione dei vincoli, riuscendo così a sviluppare una adeguata strategia per superarli. Oggi l’orientamento non è più solo lo strumento per gestire la transizione tra scuola, formazione e lavoro, ma assume un valore permanente per la vita di ogni persona, garantendone lo sviluppo e il sostegno nei processi di scelta e di decisione con l’obiettivo di promuovere l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale. L’orientamento, pertanto, assume un ruolo strategico, con un impatto crescente sull’intera società e,

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soprattutto, sul futuro di ogni persona (Linee guida nazionali per l’orientamento permanente).

LA FIGURA DELL’ORIENTATORE L’ORIENTATORE, come definito nell’atlante delle professioni, accompagna giovani e adulti nella definizione del proprio progetto formativo e/o professionale e nella gestione di particolari momenti di transizione: studenti in passaggio da diversi ordini e gradi scolastici, studenti in uscita da percorsi formativi, lavoratori che desiderano cambiare lavoro o fare il punto della propria situazione

L’Orientatore fornisce assistenza, suggerimenti, e consigli alla persona aiutandola ad individuare le scelte più coerenti con le sue aspirazioni. professionale, persone disoccupate o inoccupate in cerca di occupazione o in reinserimento lavorativo. Fornisce assistenza, suggerimenti,

e consigli alla persona aiutandola ad individuare le scelte più coerenti con le sue aspirazioni, attitudini, competenze e motivazioni, attraverso attività di: accoglienza, consulenza informativa, colloqui, bilanci di competenze, azioni di formazione orientativa, definizione del progetto personale-professionale, accompagnamento alla ricerca attiva e all’inserimento lavorativo. Ogni percorso orientativo viene definito e condiviso con la persona in relazione alle esigenze individuali e ai vincoli dati dal contesto organizzativo in cui opera l’ORIENTATORE. Sebbene non siano ancora univocamente definiti i requisiti minimi di un orientatore, si può affermare che questi debba possedere conoscenze in merito a: • Mercato del lavoro • Sistema formativo italiano ed europeo • Legislazione del lavoro • Principali processi psicologici • Strumenti per la ricerca di lavoro • Profili professionali • Situazione socio-economica del territorio in cui si trovano a operare. L’attività di orientamento può essere svolta attraverso l’erogazione di informazioni, colloqui individuali o di gruppo dedicati alla ricerca di lavoro, alle scelte professionali, alle scelte formative, alla volontà e capacità di mettersi in proprio. Il percorso di orientamento può essere definito, dunque, come un viaggio dell’esplorazione del sé e della consapevolezza dove si impara a prendere decisioni attraverso un processo decisionale maturo ed autonomo… un viaggio in cui l’orientatore ti aiuta a definire l’itinerario e ti regala la “bussola”!

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NUOVE PROFESSIONI MANAGER SALES & TRADE

L

di Gaetano Ranieri Management Academy Sida Group - Area Sales & Trade Management

a vendita è un’attività sottoposta a continui mutamenti e strettamente legata a fattori variabili che è indispensabile conoscere, comprendere e valutare. L’evoluzione della domanda e offerta, il contesto competitivo in evoluzione perenne ha cambiato le relazioni di filiera e le imprese hanno preso sempre più spazio ampliando il proprio ruolo nella catena del valore. In questo scenario, l’attività di sales and trade management opera trasversalmente e solidalmente a diverse funzioni organizzative aziendali, garantendo apporto dinamico nelle attività di vendita, promozione, sviluppo di nuovi mercati e dinamiche commerciali per migliorare le performance di fatturato. Chi è veramente il manager sales & trade ? La figura manageriale è quella di un professionista di livello, in grado di produrre valore aggiunto. Deve possedere ottime competenze in ambito di organizzazione aziendale, vendite, gestione del budget, della rete distributiva e di vendita. Il manager sales & trade deve saper utilizzare strumenti di gestione e controllo, ana-

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lisi dei dati di vendite per intervenire in favore del raggiungimento degli obiettivi. Il manager sales & trade si pone obiettivi importanti, per tanto deve padroneggiare le metodologie e tecniche di gestione dell’attività, di controllo e misurazione dei risultati, analisi dei dati di vendita e informazioni riguardanti la clientela, gestione collaboratori e venditori. Il ruolo è importante e strategico, rappresenta il fulcro in azienda nell’attività di vendita e commercializzazione dei prodotti e servizi. Il manager sales & trade deve per tanto essere anche e prima di tutto, un abile negoziatore. Negoziare è un comportamento virtuoso, efficiente e utile sia livello individuale, sia sociale e organizzativo. Lo è all’interno di un team, in un’azienda come qualsiasi altra organizzazione. Di negoziatori veramente capaci ce ne sarebbe grande bisogno a tutti i livelli, ma non è così e per questo sono rari e ricercati. Tutti negoziamo o meglio tutti potremmo farlo e tutto andrebbe sicuramente meglio, ma non basta la buona volontà che tra l’altro spesso manca, servono capacità costruite e

allenate nel tempo. Negoziare nella vendita è l’unico modo per dare il massimo valore all’atto di vendita stesso, alla professionalità e al prodotto servizio commercializzato. La mancanza di abilità nella negoziazione riduce la trattativa al prezzo, allo sconto, demolendo il valore. Per le sue competenze e per le attività che svolge, il manager sales & trade è una figura di spicco nelle dinamiche aziendali, molto ricercato in tutti i settori dalla GDO alle aziende con reti commerciali e punti vendita. Il percorso di carriera può avviarsi in vari modi, partendo da figura junior a supporto di direttori commerciali, vendite e marketing, oppure da store manager, capo area o area manager. A quanti desiderano intraprendere questo percorso di carriera, il suggerimento è di dedicare tempo in formazione e tanta passione, per avere successo in una delle attività più gratificanti tra le tante in ambito manageriale. Gli sforzi e l’impegno saranno certamente ripagati da una professionalità da sempre tra le più ricercate e oggi tra le più ambite.

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NUOVE PROFESSIONALITÀ PER I MERCATI ESTERI

S

di Piergiorgio Gigli Management Academy Sida Group - Area Internazionalizzazione

ono già alcuni anni che la necessità di espansione nei mercati internazionali ha assunto connotati di routine nella maggior parte delle PMI italiane. Si parla a varie riprese di analisi e scelta dei mercati, delle forme di ingresso, selezione dei partner locali, reperimento delle risorse finanziarie etc. etc. In questo processo di allestimento/ampliamento della porzione aziendale deputata a seguire le “Vendite Estere”, ricordiamoci di avere ben chiare le figure professionali che attualmente risultano chiave per il coordinamento e l’ implementazione di strategie di crescita del tipo considerato. Esse sono: • Export Manager / Temporary Export Manager • Manager di Rete • Digital Export Manager / Digital Export Marketing Manager • Country Manager In prima istanza va detto che mentre le prime tre sono figure tipicamente in organico nazionale, e quindi deputate a seguire i mercati esteri in parte da remoto ed in parte mediante viaggi e trasferte di lavoro, l’ ultima è –salvo eccezioni- una figura residente nel mercato di riferimento, indipendentemente dalla struttura commerciale posta in essere in loco (filiale, ufficio presso importatore esclusivo, responsabile rete commerciale locale etc.).

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L’ Export Manager, o in casi particolari il Temporary Export Manager (sostituzioni, ingressi in mercati dove si opti da subito per una figura professionale esterna dalla specifica expertise nel mercato/nel ruolo specifico), è la figura di riferimento delle operazioni con l’ estero. Deve essere in grado di operare agevolmente su più mercati, di spaziare da assetti commerciali soft (trading partner, distributore/importatore esclusivo) ad altri più hard (rete di agenti locali, filiale commerciale), di comprendere gli aspetti tecnici di natura contrattuale, logistica e doganale per poter agevolmente interloquire con le rispettive professionalità, siano esse interne o esterne all’ azienda. E’ il regista del processo di esportazione dell’ azienda e come tale deve anche possedere spiccate capacità di leadership, relazionamento e problem solving che si rendono necessarie tanto internamente come nella gestione dei rapporti con le controparti e fornitori di servizi specifici. Il Manager di Rete invece è la figura professionale di riferimento quando si voglia approcciare uno o più mercati attraverso un Contratto di Rete: più imprese mettono insieme risorse complementari di natura finanziaria e professionale per il progetto di internazionalizzazione comune. Il Digital Export Manager (o Marketing Manager, nella variante dedicata alla funzione di supporto e promozione delle

vendite) è una figura nuova ed in rapida espansione: risponde a quelle che sono le potenzialità attuali del business all’ estero quali snellezza-tempestività-innovazione-economicità. Le parole Digital Export connotano in maniera equivocabile il ruolo: una professionalità chiave per dare slancio innovativo all’azione di penetrazione nei mercati esteri avvalendosi di tutti gli strumenti digitali quali e-commerce, social marketing, e-mailing e via dicendo. Infine, tra le figure qui ricordate il Country Manager rappresenta la fattispecie più rara, in quanto trattasi di ruolo residente e dedicato al singolo mercato. E’ tipicamente la figura a cui si ricorre quando le operazioni locali raggiungono una tale rilevanza per il business aziendale che si preferisce destinare al presidio delle stesse una risorsa ben individuata. Non è un General Manager, in quanto non siamo in presenza né di strutture né di poteri di firma, ma comunque risponde in prima persona del business nel mercato assegnatogli. Il Gruppo SIDA - attraverso i corsi erogati dalla sua Management Academy ed in particolar modo quello dedicato all’ Export & Digital Marketing – prepara gli studenti a ricoprire tali ruoli mediante una didattica stimolante ed attuale, basata sull’ intreccio del fare col sapere, ed un equilibrato mix tra conoscenze tecniche e competenze di gestione.


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IDENTIKIT DI UN PROFESSIONISTA - L’EVENT MANAGER - CREATORE DI RELAZIONI E LEADER PER PASSIONE

G

di Manuel Olivero Management Academy Sida Group - Area Organizzazione Eventi

li eventi, in ogni loro forma, sono un fenomeno senza tempo, visceralmente legato alla natura umana. Gli eventi rappresentano al meglio la spinta alle relazioni, all’aggregazione, che ci caratterizza come specie. La nostra vita, professionale e privata, è scandita da momenti di condivisione. Gli eventi rappresentano un fattore distintivo e indispensabile per la crescita di aziende e professionisti, di organizzazioni e di intere nazioni. Dai giochi olimpici ai piccoli meeting aziendali, passando per fiere, convention, congressi, partite di calcio, volley e basket, tornei di tennis, concerti, festival, kermesse folkloristiche, matrimoni, incentive e viaggi. Gli eventi sono il centro dello sviluppo relazionale, capaci anche di tradurre in realtà tangibile la forza attuale del digital, del web, dei social network. La creazione, la produzione, la gestione, il controllo nell’organizzazione di eventi, hanno bisogno di una figura professionale di riferimento. L’Event Manager è la risposta a questa esigenza. Il Manager dell’evento è una figura che nasce con una solida base di Project Management. L’evento è un progetto, l’Event Manager è un

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Project Manager specializzato nell’organizzazione di eventi. L’Event Manager può operare nel mercato come libero professionista, all’interno di una azienda, di un associazione, di una agenzia di marketing e comunicazione. L’Event Manager può organizzare un matrimonio e quindi essere un Wedding Planner. Può organizzare un evento formativo oppure un grande evento sportivo o un evento on-line. Molteplici sfaccettature per un solo DNA, per una “doppia elica” fatta di legami “chimici” e relazionali forti e produttive. L’Event Manager gestisce contenitori di relazioni costruite intorno a contenuti (in)formativi ed emozionali. Le relazioni sono quindi la chiave di una figura professionali che proprio in queste trova la sua massima espressione. Dinamismo, flessibilità e intelligenza emotiva sono altri asset essenziali in un ambiente dove tutto cambia a velocità soprannaturale e dove il contesto è mutevole come le sabbie mobili. Non a caso la professione dell’organizzatore di eventi è stata considerata nel 2016 (dalla società americana di ricerca del personale CareerCast, riferimento mondiale del settore) come

la quinta professione più stressante al mondo, preceduta dal soldato e dal pompiere, ma peggiore del reporter e del conduttore televisivo. Per governare il cambiamento e non cedere allo stress negativo, l’Event Manager deve saper gestire al meglio il tempo proprio e quello dello staff coordinato, avere cura dei dettagli e conoscenza delle tecnologie. Passione, leadership partecipativa, capacità di guardare oltre le apparenze. Queste le ulteriori caratteristiche per connettere al meglio le persone che a vario titolo partecipano all’evento, sia come fruitori che come operatori. La dedizione completa alle relazioni con l’altro è forse la sintesi estrema di questa professione che vive di incontri e confronti e di adattamento continuo. Coordinare altre persone, vuol dire prima di tutto essere al loro servizio, trasmettere valori, tradurre obiettivi numerici in obiettivi di vita. La formazione è un chiave essenziale per aprire le porte della professione. Una formazione che deve essere di qualità e che deve mixare le conoscenze teoriche con la sperimentazione pratica e fattiva, che privilegia percorsi in grado di garantire una formazione continua nel tempo, fatta, guarda caso, di scambi e relazioni.

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IL MANAGER DI RETE La situazione delle Reti in Italia e nelle Marche di Alberto Di Capua Management Academy Sida Group - Area Reti d’impresa

L

e Reti in Italia stanno crescendo di numero. Negli ultimi sei mesi sono aumentate del 17% e dal 2010 ad oggi i contratti sono aumentati del 52%. Dati di Aprile dell’Unioncamere riportano, inoltre, che 13.978 imprese italiane hanno stipulato 2.793 contratti di rete di cui 387 con soggettività giuridica (+13%) mentre dal 2010 ad oggi i contratti con soggettività giuridica sono praticamente raddoppiati. Anche nelle Marche (11° posto nella classifica nazionale) le Reti aumentano, coinvolgendo 459 imprese per un totale di un centinaio di reti di cui solo 5 con soggettività giuridica. Ricordiamo che l’attribuzione della soggettività giuridica alla rete, che nasce attraverso la stipulazione del contratto, è facoltativa ed è condizionata all’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese in cui ha sede. Ai fini di tale iscrizione sono necessarie: 1. L’istituzione di un fondo patrimoniale comune 2. L’istituzione di un organo comune 3. Una sede 4. Lo svolgimento da parte dell’or-

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gano comune di un’attività con terzi (anche commerciale) 5. La stipulazione del contratto per atto pubblico o scrittura privata autenticata

La Rete d’Imprese è figlia della Globalizzazione La prospettiva che la globalizzazione ci ha delineato è quella che per vincere la sfida sul mercato globale è necessario METTERSI IN RETE. L’agire sui mercati globali, infatti, conduce ad inevitabili riflessioni sulle dimensioni aziendali delle nostre imprese e sulla presenza di una cultura manageriale orientata alla crescita ed alla condivisione. La logica economica del “piccolo è bello” su cui si è

incardinato il nostro modello di sviluppo (anni ’80) non è più adatta a garantire alle PMI di rimanere competitive nelle nuova economia globale. Un percorso alternativo è da ricercarsi nel ricorso a forme infra ed inter aziendali, nell’ambito di reti d’imprese che consentono, in modo rapido e senza perdere le specificità proprie della singola unità partecipante, un potenziamento della struttura competitiva dell’impresa stessa. Nello specifico, la partecipazione a queste reti si traduce nell’attivazione di: scambi/condivisione di tecnologie, beni e servizi, transazioni finanziarie, movimenti di persone e di fattori produttivi, materiali ed immateriali. Da qui il motto “piccolo è bello” è da estendersi in “ma fare rete è meglio”. Il valore aggiunto, infatti, in termini di competitività generati dall’appartenenza ad una rete è dunque da ricercarsi nel fatto che le reti possono consentire alle imprese di specializzarsi reciprocamente, essere più creative e condividere le conoscenze (tecnologiche, imprenditoriali ed organizzative), co-innovare riducendo i costi ed il rischio che sono ripartiti tra più soggetti, moltiplicare il valore delle idee ampliando l’uso di cono-


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CLASSIFICA NAZIONALE DELLE RETI D’IMPRESA

3000 2.549

2400 1800 1200

1.198

1.170 886

765

730

600

671

524

459

447

386

347

291

287

249

180

scenze originali a più luoghi, settori ed applicazioni, incrementare il livello di flessibilità ed il grado di personalizzazione. La Governance della Rete. Il Manager di Rete Il crescente ricorso a dinamiche collaborative, dunque, è stato favorito in Italia dall’istituzione del ‘contratto di rete’, strumento operativo con il quale s’intende sviluppare una nuova modalità aggregativa tra piccole imprese dove però si aprono nuove problematiche sul fronte del coordinamento e la gestione strategica del network (la governance). Infatti, emerge un’importante area grigia sia in termini di funzioni, strumenti e competenze manageriali sia in termini di figura professionale preposta. In letteratura con l’espressione “network management” si fa riferi-

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mento ad un’attività svolta in presenza di interdipendenze e finalizzata a coordinare le strategie di attori operanti all’interno di un network, aventi obiettivi e preferenze che risultano convergenti/condivise (Kickert 1997). Questo differisce molto dal management all’interno delle aziende, laddove il manager è il “controllore del sistema” e si occupa di pianificare gli obiettivi, strutturare l’organizzazione e dirigere l’azienda (Meneguzzo, 2008). Ma quale potrebbe essere il percorso culturale e di esperienza grazie al quale un manager d’azienda, fortemente centrato sugli obiettivi della sua organizzazione, possa essere preposto alla governance di formule aggregative? Conoscendo le sue caratteristiche tipiche crediamo che un percorso possa esistere ma lo troviamo necessariamente lungo rispetto a ‘figure esterne’ mentalmente più

Basilicata

Trentino Alto Adige

Sicilia

Umbria

Calabria

Sardegna

Liguria

Marche

Friuli venezia Gulia

Piemonte

Abruzzo

Camapnia

Puglia

Lazio

Veneto

Toscana

Emilia Romagna

Lombardia

0

43

18

Valle D’Aosta

1.355

Molise

1.423

libere delle ‘figure interne’ della singola impresa. Questo per due ordini di motivi:

1. È necessario un arbitro, un soggetto super partes che garantisca una sorta d’imparzialità nello svolgimento dei suoi compiti di coordinamento e di governo della rete 2. Le sue competenze non si esauriscono in quelle tipiche del top o del middle management perché sono per cosi dire ‘camaleontiche’

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO accentrandone alcune e delegandone altre. Ciò con uno spirito di necessario adattamento a quelle che sono le multiformi problematiche strategiche che riscontra di volta in volta nella compagine che è chiamato a gestire. A questo proposito sembra che ci possano essere delle affinità tra la figura del Manager di Rete e il Temporay Manager essendo quest’ultimo un General Manager inserito però in un contesto dinamico esterno. Le strutture di rete necessitano inoltre di giovani manager capaci di integrare e, appena pronti, sostituire i temporary manager. Ma quali dovrebbero essere le sue principali attività. L’analisi che viene da alcune indagini sul campo ne riscontra almeno quattro: • Attività gestionali/amministrative come la gestione della documentazione, del budget e delle risorse umane affidate, monitoraggio del lavoro • Attività di rappresentanza, come riunioni, incontri, seminari, cerimonie, alle quali il manager è chiamato a partecipare in veste ufficiale • Attività di collegamento tra tutte le organizzazioni che presiede • Attività di tipo informativo che consistono nel far circolare le informazioni all’interno della rete e all’esterno. Il suo ruolo decisamente ‘collaborativo’ implica però alcune doti personali di un certo spessore. Vediamone alcune: 1. Doti di partnership, ossia è il primo partner della rete. Le relazioni tra le persone che compongono la rete è di importanza fondamentale. Senza amicizia e fiducia reci-

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proca la rete non può funzionare 2. Doti psicologiche che gli consentono di gestire i ruoli all’interno della rete, stemperando gli eccessi delle personalità dominanti e nello stesso tempo stimolando le opinioni e le idee di tutti gli attori coinvolti 3. Doti di anticipatore di problemi, individuando ed anticipando le criticità che potrebbero emergere nella gestione della rete 4. Doti di promotore, promuovendo ed attivando processi virtuosi di collaborazione e di sintesi Da quanto evidenziato, la guida e la gestione della rete d’impresa si presenta come un’attività di evidente complessità, soprattutto perché: 1. Mission ed interessi di ciascun retista possono non trovare completa realizzazione nella rete, o possono porsi in conflitto mettendo a rischio la sua sopravvivenza 2. Diversità di culture organizzative all’interno della rete, il che può dar luogo a conflitti tra le parti 3. Diversità in termini di modalità di funzionamento, distribuzione del potere, natura dei sistemi di controllo di ciascun retista possono influenzare l’efficacia della rete 4. Stakeholder e finanziatori diversi di ciascun retista 5. Potere differenziato delle aziende che possono dare un eguale potere di voto a i membri. Ma la strada ormai è tracciata… La posta in gioco del mercato globale è troppo alta per non riuscire a cimentarsi a fare ‘business networking’ e l’art 42, comma 2-bis della legge 122/2010 viene in aiuto, prospettando almeno tre tipologie di rete d’impresa, distinte per obiettivi ed orien-

tamento: 1. Reti di collaborazione, che danno origine ad alleanze tra i vari attori della rete per lo svolgimento di un’attività economica comune orientata alla produzione di reddito. L’obiettivo alla base di questa partnership è un incremento delle vendite (attraverso politiche commerciali e di marketing comuni), una riduzione dei costi (mediante la condivisione di infrastrutture ed attrezzature) ed un migliore utilizzo delle risorse 2. Reti di scambio d’informazioni e di coordinamento, di stampo commerciale che non richiedono la necessità di fondi comuni ed un organismo che gestisca le relazioni tra i vari partner perché aventi come unico scopo l’apporto di competenze tra le singole unità. 3. Reti associative che si costituiscono per l’esercizio comune di attività imprenditoriali, qualificate da un contratto associativo e costituite da un fondo patrimoniale, nonché di organi di gestione comuni e denominazione propria; queste reti sono orientate all’esercizio di un’attività imprenditoriale comune.

Riferimenti bibliografici Calabrese e Bosco: Le reti d’imprese. Un nuovo approccio manageriale. Forlani: Il contratto di rete come strumento di networking Tresca: Il Manager di rete per la governance condivisa delle reti d’impresa

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LE NUOVE FIGURE PROFESSIONALI NELLA FINANZA ALTERNATIVA

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di Fiammetta Giurato Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

a si definisce finanza alternativa, ma ben presto potrebbe essere la strategia finanziaria principale, se mantiene il suo ritmo di crescita. Si tratta di forme e canali di finanziamento che si differenziano rispetto al sistema bancario e al mercato finanziario tradizionale. Per citarne alcune, l’equity crowdfunding, il prestito peer-to-peer (social lending), reward e donation based crowdfunding (basato su ricompense o donazioni), l’invoice trading (compravendita di fatture) titoli di debito, quotazione in borsa, progetto elite, e private equity, hanno portato nuova linfa all’economia e incentivato l’innovazione e,

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in Europa, sono cresciuti del 144 per cento in un anno. A dirlo è l’Università di Cambridge in una ricerca, “Moving Mainstream-The European Alternative Finance Benchmarking Report”, secondo la quale il mercato della finanza alternativa in Europa ha raggiunto il valore di quasi tre miliardi di euro in totale (passando da 1,2 miliardi di euro nel 2013 a 2,9 miliardi di euro nel 2014) sfiorando il tetto dei sette miliardi di euro nel 2015. Tra l’altro, molti soggetti istituzionali manifestano sempre maggiore interesse nei confronti degli investimenti alternativi allo scopo di gestire il rischio e generare rendimenti. Questa tendenza emerge da uno studio realizzato da Aberdeen, in collaborazio-

ne con l’Ufficio Studi di MondoInstitutional, che ha messo in relazione proprio di recente i risultati di una survey sul mercato italiano con quelli di una ricerca analoga sul mercato inglese. Ne emerge che la maggior parte dei gestori e fiduciari di fondi pensione nel settore corporate e no profit ha scelto la strada degli alternativi, ma vorrebbe ricevere più informazioni, opportunità formative e supporto pratico. Assume, perciò, un’importanza strategica la formazione e la cultura degli operatori di tale mercato. È necessaria una formazione adeguata, non soltanto meramente teorica, ma pratica e di stampo aziendalistico. Il processo


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO formativo deve nascere dal contesto lavorativo e deve essere intrapreso in modo da garantire un’adeguata preparazione per garantirsi la possibilità di un inserimento stabile, duraturo e di successo in azienda. A onor del vero, in Italia il tasso di disoccupazione è senza dubbio alto, eppure esistono diverse figure professionali che le aziende non riescono a reperire. La maggior parte delle Pmi italiane, infatti, riscontra serie difficoltà nel trovare lavoratori altamente e mediamente specializzati. Una fra queste è, ad esempio, l’Equity Manager o Manager della Finanza Alternativa che rappresenta una figura nuova, innovativa e sempre più ricercata dal mercato del lavoro: un soggetto specializzato in grado d’identificare e gestire le fonti di finanziamento alternative più adeguate all’azienda, oggi discriminanti per favorire processi di internazionalizzazione, strutturazione, investimento e sviluppo delle PMI. Fra le funzioni dell’Equity Manager vi è quella di agire come specialista nell’ambito Equity Investment Banking, il coinvolgimento nella capitalizzazione delle imprese, lo sviluppo del business plan e dei modelli finanziari che vengono utilizzati per raccogliere fondi per le aziende clienti, operazioni di M & A (fusioni ed acquisizioni), supporto ai clienti per emissione di mini bond, identificazione di operatori di private equity, la ristrutturazione del debito e Progetto Elite. Va detto che, ancor prima di divenire Equity Manager, occorre avere forti competenze analitiche e quindi, accanto sempre nel settore della finanza alternativa, occupa un posto di rilievo l’analista finanziario. L’Analista finanziario d’impresa è colui che fornisce la propria valutazione su ogni decisione di carattere finanziario, che

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riguarda l’azienda per cui lavora. L’insieme delle attività dell’Analista finanziario possono essere sintetizzate in: controllo della situazione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, fra cui l’impiego della liquidità; raccolta delle informazioni sul bilancio aziendale e stima dei valori mobiliari (azioni e altri titoli); cura dei rapporti con gli istituti di credito; scelta dell’asset allocation (composizione del portafoglio di valori mobiliari) e del timing (tempistica di entrata e di uscita dai mercati), in caso di aziende dotate di particolare liquidità. L’attività dell’Analista è svolta prevalentemente sotto forma di lavoro dipendente, ma esistono spazi per esercitare la libera professione, in qualità di consulente finanziario al servizio delle imprese, sia pubbliche che private. Inoltre, vi sono altre nuove figure professionali che stanno trovando sempre più spazio e rilevanza anche all’interno delle moderne banche. Diversi istituti di credito ricercano professionisti esperti rappresentati dai Mediatori Creditizi e dagli Agenti Finanziari. La figura professionale del Mediatore Creditizio, oggi molto legata a politiche di lavoro e Assunzioni in Banca, costituisce una pedina molto importante nella gestione dei rapporti tra clientela e Istituto. Tale rapporto ha il fine di mettere in rapporto due soggetti, la Banca e il Cliente, entrambi interessati a concludere un affare. È quindi fondamentale un suo atteggiamento “super-partes”. Un’altra figura professionale è quella dell’Agente Finanziario che ha la funzione di promozione e conclusione di contratti che seguono dallo svolgimento di un’attività finanziaria legata proprio ad un incarico di promozione e collocamento di prodotti e servizi finanziari.

Si deduce, quindi, che tante offerte di assunzioni in genere sono dedicate a chi vuole lavorare in questo settore, ma soluzioni da valutare sono anche le offerte formative offerte dagli stessi Istituti o aziende e rappresentati dagli stage di formazione, nonché i master post-universitari organizzati da blasonati Atenei e importanti Istituti ed Enti legati al settore finanziario. A tal proposito, il Gruppo SIDA, che da Marzo del 2015 è divenuto Partner Equity Markets di Borsa Italiana, ha avviato un percorso formativo volto a trattare questa tematica quanto mai rilevante. Si tratta dell’Executive Master in Equity Management: Manager della finanza alternativa e analista finanziario. Il percorso porta a specializzarsi in un ambito estremamente innovativo e promettente che sta generando milioni di posti di lavoro nel mondo, aggiornare la propria preparazione finanziaria e professionale su temi la cui padronanza sarà strategica nella ridefinizione dell’economia post-crisi. Inutile dire che Sida Group, in quanto Partner Equity Markets di Borsa Italiana opera sul mercato dei capitali nei diversi settori di riferimento e condivide con Borsa Italiana l’impegno a sostenere lo sviluppo del sistema imprenditoriale italiano, attraverso un innovativo percorso di sviluppo organizzativo e manageriale volto a rendere imprese già meritevoli e orientate alla crescita ancora più competitive, più visibili e più attrattive nei confronti degli investitori di capitale. Risulta chiaro come la trasmissione delle competenze da parte di chi lavora nell’eccellenza in un simile ambito possa garantire un vantaggio competitivo nella formazione dei Manager del settore di domani.

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GESTIRE IL CAMBIAMENTO, ESSERE IL CAMBIAMENTO

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di Michele Barchiesi Management Academy Sida Group - Sviluppo Organizzativo e Strategia d’Impresa

ambiare, normalmente, genera sconforto. Anche quando sembra l’unica via, anche quando non esistono alternative plausibili, anche quando è palese che sia la cosa più giusta da fare, essere protagonisti di un cambiamento crea in un qualche modo una qualche forma di disagio, o di paura. Il problema di solito sta nella parziale disponibilità di informazione, nella non totale percezione delle prospettive, nella non piena consapevolezza delle proprie capacità. A completare il quadro di incertezza, ci sono una serie di luoghi comuni che ci tengono sistematicamente distanti da alcuni tipi di scenari. Si dice, seppur con un minimo di retorica (che a volte non guasta), che il cambiamento non è qualcosa che si programma o si annuncia, ma è qualcosa che ti si palesa come già esistente, già effettivo, nel momento in cui ti prendi la responsabilità di praticare una scelta. Di questo si tratta, di scegliere. E, prima di farlo, di conoscere. Siamo in un Paese strano, dove molte persone, ad esempio, dicono che può fare impresa solo chi ha già i capitali, che dicono che le banche non danno credito, che dicono che è molto più

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sicuro e tranquillo lavorare come dipendente, e così via. Ora, dicessi che non è vera alcuna di queste affermazioni, in modo assoluto e perentorio, sarei solo un povero sciocco, disinformato e presuntuoso. Dico, piuttosto, che i tempi cambiano e con essi cambiano i mercati, i contesti socio-economici, le regole di funzionamento del sistema, le opportunità e il metro di misura del valore e, non ultimo, che non tutte le regole né tutti i vincoli e i rischi esistono in modo equivalente per tutte le persone. Creare una nuova impresa, così come subentrare, a qualsiasi titolo, in una realtà preesistente, può essere in alcuni casi l’unica possibilità reale e concreta, ed è prima di tutto una questione di coraggio, di lungimiranza, di pianificazione, di volontà di realizzare progetti precisi, di consapevolezza. Non si tratta quindi di un gesto insensato o di una mossa azzardata, o per lo meno, dato lo stato attuale dei mercati, non è meno rischioso che lanciare CV da un aeroplano e aspettare che risponda qualcuno che ti inserisca in un’azienda longeva, solida, strutturata, dove ti venga proposto un contratto sicuro, ricco e durevole. La liquidità oggi c’è, anzi, ne è stato inondato ogni mercato, oggi molti settori stanno prendendo fiato prima di

ripartire, i comportamenti di acquisto e la propensione al consumo stanno finalmente vedendo spiragli di luce, oggi perfino le condizioni macroeconomiche (iniziative della Banca Centrale Europea, debolezza del petrolio, economia statunitense in ripresa) sono ben allineate: occorrono quindi progettualità supportate da persone determinate, perché il momento è di quelli così buoni che difficilmente se ne ripresenteranno altri così, per molto tempo. Inutile dilungarsi ancora, se ne parla tanto e tanto se ne è già parlato, occorre passare ai fatti concreti (chi ancora non lo avesse fatto), e per chiunque avesse dubbi e paure (assolutamente leciti e plausibili), non ci si deve mai dimenticare che esistono soggetti che, di mestiere, si adoperano proprio per appianare queste asperità psicologiche, procedurali, finanziarie, e che possono permettere la realizzazione pratica di un sogno, scongiurando il più possibile qualsiasi incidente di percorso. Perché so bene che in Italia le ultime generazioni sono forse cresciute, loro malgrado, con una percezione distorta della realtà, ma faccio presente che in questo mondo, in questa vita, si può anche vincere.


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FRANCHISE DEVELOPMENT MANAGER:

la nuova professione per i manager del settore retail di Mattia Bocchini Mamagement Academy Sida Group - Coordinatore Area Engineering, Quality & Pharmacy IL MERCATO In una situazione economico-finanziaria incerta come quella che l’unione europea stà vivendo in questo momento, avere degli indicatori di investimento del business e delle proiezioni di costi e ricavi stabiliti e rispettati con un prospect di almeno12 mesi, rappresenta l’arma vincente per attrarre investitori e nuove iniziative imprenditoriali. In uno scenario come quello sopradescritto la metodologia di sviluppo del business model in formula di franchising è diventata ad oggi una delle

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soluzioni più appetibili e richieste dal mercato. Il seguire le logiche della grande distribuzione (GDO) obbliga i grandi e piccoli marchi del settore retail a strizzare l’occhio al modello di sviluppo rappresentato dal franchising, facendo naturalmente nascere la definizione e l’inquadramento di una nuova figura professionale chiamata Franchise Development Manager. IL FRANCHISE DEVELOPMENT MANAGER Le caratteristiche richieste dal merca-

to alla figura professionale sopra menzionata sono a servizio di entrambi gli attori principali del mondo del franchising: il Franchisor, cioè la società/ azienda che sviluppa il format e ne è titolare del marchio; e il Franchisee, cioè l’investitore della nuova attività, cioè colui che aprirà/gestirà il nuovo punto vendita con le logiche e il format della casa madre. Il tutto si può racchiudere nel seguente modus operandi: un imprenditore, denominato “franchisor”, concede ad un altro imprenditore, “franchisee”, il

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO diritto di esercitare un’attività di servizi, produzione di beni o rivendita di prodotti, utilizzando il marchio e l’insegna del frachisor stesso. E’ bene definire e chiarire quali sono le competenze che occorrono per poter supportare lo sviluppo di un azienda nel percorso di rete in franchising, che ovviamente devono far parte delle skills del manager di questo settore: • Elaborazione Business Plan del Franchisor (analisi del mercato, studio della concorrenza, definizione del posizionamento competitivo “to business e to consumer”); • Studio della fattibilità economica finanziaria, tecnica e definizione degli apporti economici (fee e royalty); • Elaborazione del piano economico-finanziario previsionale tipo per l’affiliato; analisi del business format ed eventuale implementazioni di ottimizzazione del modello. Definizione e/ revisione del contratto franchising. • Sviluppare il manuale operativo e la modulistica che definisce delle linee guida su come operare per il franchisee • Definizione e/o restyling del progetto d’identità e di comunicazione (marchio, coordinato di base, insegna, immagine del punto vendita, sito web, brochure, ecc…); Definita la fase strutturale e di studio del progetto franchising, entrano in gioco tutte quelle competenze che occorrono per mettere a punto la strategia di promozione e sviluppo della rete, finalizzata all’incremento di nuovi punti vendita affiliati, attraverso la progettazione e l’attuazione di campagne promozionali e pubblicitarie multicanale, in linea con gli obiettivi di marketing.

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Le competenze necessarie sono le seguenti: • Studio e individuazione del target (potenziali affiliati); definizione della proposta commerciale di affiliazione; • Ideazione e realizzazione di campagne promozionali, pubblicitarie multicanale e organizzazione aree espositive in fiere nazionali e internazionali; • Gestione richieste di affiliazione e chiusura del contratto franchising; • Selezione e valutazione della location per nuove aperture secondo principi di geomarketing. Dall’elenco delle attività che debbono essere svolte è facile intuire come il Franchise Development Manager è una figura professionale con competenze trasversali e con spiccate doti manageriali, che deve necessariamente avere una conoscenza del mercato dettagliata e necessità di società (Franchisor) che abbiano un piano di investimento e sviluppo estremamente chiaro e dettagliato per poter mettere in atto scelte strategiche che dovranno essere rispettate nel corso degli anni. Con le attuali certezze che dà il modello di sviluppo in franchising, con l’aumento del mercato per le rischieste di format ben definiti e con la recente apertura degli istituti di credito a questo tipo di investimento, la professione di Franchise Development Manager è destinata a diventare una delle più ricercate e necessarie nel panorama europeo e mondiale, ricordando che tale professionalità necessità di essere costantemente in linea ed aggiornata agli sviluppi delle più innovative metodologie di marketing e ed ai sempre più frequenti nuovi trend del mercato.

COME SI STÀ MUOVENDO IL GRUPPO SIDA In un mercato con un orientamento così elevato verso il business model del franchising la Sida Group ha deciso di mettere la propria professionalità a disposizione delle aziende Franchisor e dei Franchisee tramite l’erogazione di un pacchetto di servizi di consulenza integrati a favore delle aziende denominato: Franchising In The Box. La mission è quella di fornire un pacchetto di servizi integrati appetibile per tutte le aziende che lavorano tramite la creazione e lo sviluppo di punti vendita/distribuzione in franchising, evitando di dover interloquire con più soggetti ma solamente con una delle società leader per i servizi di consulenza. Il pacchetto si compone delle seguenti cinque attività: • Attività di Geomarketing per identificare la location migliore per le esigenze aziendali • Ricerca mirata dello store/location/immobile e contestuale trattativa commerciale • Sviluppo del business plan e finanziabilità dell’attività dedicati al singolo franchisee • Attività di ricerca e selezione di store-manager e forza vendita • Formazione diretta della rete vendita La Sida Group dà la possibilità di poter personalizzare tale pacchetto di servizi in base alle esigenze della clientela e del piano di sviluppo che il franchisor ha pianificato.


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MANAGEMENT DELLA POLITICA: LE COMPETENZE DEL POLITICO NEL PASSAGGIO ALLA III REPUBBLICA

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di Alessandro Massi Management Academy Sida Group - Area Finance e Risk Management

rimarie. Consultazioni sul web. Scelte di un segretario di partito. Parliamo dei metodi di selezione della classe dirigente che Governa il nostro Paese. Negli ultimi anni il mondo politico e la cittadinanza si è interrogata molto spesso su quali dovessero essere gli strumenti migliori per garantire la migliore selezione della classe politica e soprattutto su quali dovessero essere le caratteristiche fondamentali, anzi le Skills, utilizzando un termine

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caro agli HR, di coloro che si accingevano a governare gli enti statali o decentrati. Tale esigenza nasce principalmente dalla caduta di coloro che nella I Repubblica determinavano una scrematura in entrata, fondamentale, basandosi su canoni prestabiliti della cosiddetta “gavetta politica”, per il quale non era possibile fare ad es. il consigliere comunale. Se prima il candidato non avesse acquisito esperienza e competenze fondamentali, quali la capacità d’ascolto o la conoscenza degli atti di base di

un ente locale, difficilmente sarebbe stato proposto per un ruolo tanto importante, quanto strategico per alimentare la crescita di un gruppo unito da valori, ideali, interessi con lo scopo di mantenere vivo il contatto con la comunità e gli stakeholders. Tutto ciò era possibile, è evidente, in una struttura complessa come i partiti della I Repubblica, i quali possedevano strutture organizzative tali da far impallidire una multinazionale, ma soprattutto vedeva gente preparata culturalmente ed istituzionalmente che con competenze manageriale gestivano interi dipartimenti, dedicati

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO agli enti locali, alla comunicazione, al tesseramento etc, con risorse sia economiche che umane da dover gestire. La morte di questi partiti avvenuta a seguito di Tangentopoli, ha fatto emergere certamente i lati oscuri di queste organizzazioni, ma ha, altresì, compromesso dei metodi di selezione della classe dirigente, facendo sì che negli anni a seguire nessuno abbia potuto seguire una teoria o una prassi ben definita. Oggi ritorna prepotentemente in ballo il tema della formazione e del livello culturale della nostra classe dirigente, assistiamo impotenti molto spesso a casi di improvvisazione, palesi affermazione contrarie a norme costituzionali ed ai principi dell’UE, scarsa conoscenza dei contesti in cui si va operare, mancanza di rispetto dei ruoli. Seppur alcuni partiti abbiamo mantenuto delle scuole di formazione politica, le quali erano veri e propri vivai dove i giovani amministratori avevano modo di formarsi ma soprattutto confrontarsi con coetanei ed amministratori più esperti, ci troviamo in contesto sociale per il quale risulta necessario avere piena conoscenza ed essere competenti riguardo il funzionamento delle istituzioni, dell’evoluzione del contesto storico, economico e sociale della realtà in cui si opera, in modo tale da saper dare delle risposte concrete rispetto alle istanze ricevute, senza addirittura millantare servizi che l’ente dove si opera non è preposto a dare. Facendo nostri dei canoni cari alla strategia d’impresa, è evidente e sempre più urgente che il politico che sarà parte attiva del contesto politico del futuro abbia ben chiaro in mente la vision rispetto alle azioni che vuole compiere nel suo mandato, ma soprattutto ben chiara la mission rispet-

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to al quale si candida per la comunità. Ora dati i vincoli imposti dall’Unione Europea riguardo il patto di stabilità, l’imposizione fiscale concentrata maggiormente negli enti locali, redigere un programma di mandato non può prescindere da una seria programmazione economica; da un lato è necessario conoscere ed essere competenti del funzionamento del bilancio e delle leve finanziarie su cui può contare l’ente, ciò permette una attenzione riguardo gli investimenti pro azione amministrativa che si vogliono fare nel corso del mandato, dall’altro bisogna sempre tenere bene a mente l’andamento della spese sostenute dall’ente, in particolare è utile monitorare il costo del personale e i costi di ogni servizio parametrati sull’effettiva efficienza dello stesso. Ciò presuppone una costante formazione su sulla dimensione economica e finanziaria dell’ente pubblico al fine di indirizzare in maniera concreta la macchina amministrativa senza subire le scelte del dirigente o del responsabile di turno, che ne possiede dato il ruolo conoscenza diretta. Formazione e conoscenza della dimensione economica e finanziaria, ma anche possesso delle cosiddette “competenze trasversali” o meglio “soft skills” cioè la capacità di saper sviluppare la leadership attraverso l’acquisizione di tecniche di comunicazione efficace, capacità oratorie e capacità di team building. In particolare è fondamentale muoversi su due binari paralleli al fine di fare una efficace formazione in questo senso, uno prevede una formazione dedicata sui seguenti temi da svolgere presso società di consulenza specializzate nel settore del marketing e delle risorse umane, dall’altro fare

una preliminare esperienza in gruppi complessi come associazioni culturali, sportive o di volontariato sviluppando a capacità di mediazione e di lavoro di gruppo. Non a caso l’attuale Premier Matteo Renzi non nasconde la sua provenienza dal mondo dell’Agesci (scout). Nell’Italia che si appresta ad entrare nella III Repubblica con scenari e composizione politiche completamente mutate esiste l’urgenza di saper gestire l’evoluzione della macchina amministrativa e degli enti centrali e periferici, difatti di fronte alla razionalizzazione della spesa pubblica, al taglio di molti enti pubblici economici, alla fusione tra comuni, ad una presenza sempre più cospicua dell’istituzione europea, della riorganizzazione degli uffici pubblici, è evidente che la comunità ha bisogno di figure poliedriche, pronte a fronteggiare i cambiamenti con competenza e abilità anche manageriali di gestione. Sida Group ha compreso questa necessità, seppur avendo una tradizione trentennale nella formazione manageriale dedicata al mondo aziendale, sapendo il ruolo fondamentale della conoscenza e della competenza nel contesto sociale, in termini di valore aggiunto, ha l’ambizione di dare un supporto a coloro hanno la volontà di formarsi ed essere essi stessi valore aggiunto nella comunità volendo plasmarla ed indirizzarla secondo il volere proprio e di quello del gruppo politico di riferimento. E’ una sfida affasciante sia per la Sida Group, ma soprattutto per il potenziale amministratore che ne trarrà beneficio in stima ed in visibilità nei confronti dell’elettore che ritornerà a fidarsi della politica sulla base della competenza che si possiede.

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DAL REVENUE MANAGER AL PERSONAL CONCIERGE: LE NUOVE FRONTIERE DEL TURISMO 4.0 CONQUISTANO IL SETTORE ALBERGHIERO

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urismo. Una parola che piace tanto e che attira giovani in cerca di un’occupazione o un’esperienza lavorativa. In fondo tutti amiamo viaggiare e sogniamo da piccoli un lavoro che ci permetta di visitare il mondo. E’ arrivato il momento di svegliarci, però. E di capire che per lavorare nel mondo del turismo c’è bisogno di tanta formazione professionale. E soprattutto di passione, perché in verità chi lavora nel turismo, normalmente, lo fa mentre tutti sono in vacanza. Ma quali sono realmente le professioni che il mercato interno del turismo richiede? La varietà degli operatori che operano nel settore turistico-alberghiero ed il relativo panorama delle professioni si presenta molto variegato. Innanzitutto, oltre alla competenza, è richiesta un’elevata conoscenza delle lingue. Mentre la prima grande rivoluzione, avvenuta già da qualche anno, riguarda l’evoluzione tecnologica: servizi di booking online (diretti o intermediati), gestionali e channel manager, applicazione e georeferenziazione, danno agli operatori turistici strumenti nuovi di sviluppo commerciale e fidelizzazione. Proprio in questo ambito si inseriscono i nuovi profili ricercati nel settore, che spiccano per le competenze legate al web e ai social network. Al fianco del

di Letizia Ciaccafava web marketer, a gestire gli strumenti di vendita, troviamo oggi uno tra i profili più richiesti nell’ambito dell’hotellerie: il revenue/pricing manager. Ovvero colui che attraverso la gestione delle leve del prezzo, con l’obiettivo di aumentare quanto più possibile i ricavi, gestisce i listini tariffari delle camere oggi oramai totalmente dinamici. Al passo con gli strumenti di marketing e vendite crescono anche le esigenze legate ai processi di gestione dell’accoglienza. Il turismo 4.0 passa dal concetto di viaggio all’ “esperienza” (meglio se condivisa tramite i social). E dal turista all’ “ospite”. Per rendere ogni soggiorno indimenticabile oggi sono sempre più ricercate le figure tradizionali, perno dell’accoglienza e dell’hotellerie, quali il capo ricevimento, la governante, che trovano la loro evoluzione nelle figure nuove del concierge e del guest relations soprattutto nell’offerta alberghiera di lusso e nel settore business ultimamente in grande crescita. Che ruolo gioca in questo scenario la formazione per i giovani che vogliono intraprendere una delle professioni sopracitate? Primo step è la scelta della Scuola Secondaria Superiore la cui offerta formativa riguarda principalmente tematiche inerenti l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera registrando negli ultimi anni un notevole

incremento di iscritti. La formazione superiore si completa con il percorso biennale post diploma che costituisce la recente offerta di istruzione terziaria non accademica e che prevede ore di formazione svolte per il 50% da esperti del mondo del lavoro e per una parte di tirocinio in azienda. Parecchi sono i percorsi universitari nati nell’ambito del turismo negli ultimi anni: quasi 30 lauree triennali e più di 20 magistrali tra scienze del turismo e classi miste. La formazione accademica, quindi, rappresenta una prima importante fase di training, luoghi preposti per l’acquisizione di metodi. La vera “scuola”, però, i giovani l’affrontano sul campo attraverso percorsi di specializzazione ed alta formazione: master di I e II livello che presentano programmi altamente specializzati su tematiche in linea con quanto chiesto dal mercato. Tecniche di accoglienza, lingue straniere, social moderation, pricing e revenue, web marketing e cross selling, sono alcune delle tematiche affrontate che si alternano a momenti di tirocinio formativo in strutture italiane o estere. Un’opportunità che vede un collocamento quasi certo di figure formate e pronte all’operatività per un percorso di crescita professionale in un settore pronto ad accogliere giovani intraprendenti con una forte passione per l’accoglienza.

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ENERGY ENVIRONMENTAL MANAGER:

la professione richiesta per gestire energia e ambiente

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di Mattia Bocchini Mamagement Academy Sida Group - Coordinatore Area Engineering, Quality & Pharmacy

n un mercato sempre più sensibile alle tematiche del risparmio energetico, il rispetto dell’ambiente e allo smaltimento dei rifiuti, supportato dalle normative europee che stanno indirizzando i paesi facenti arte dell’unione verso una maggiore sensibilizzazione di tali tematiche l’Energy Environmental Manager rappresenta sempre più la figura di riferimento del settore energia e ambiente. L’esperto in sviluppo energetico è la figura professionale che si occupa di progettare e organizzare l’uso razionale ed efficiente dell’energia nella struttura in cui opera, orientando al rispetto dell’ambiente la sua attività e quella dei suoi colleghi. Il profilo professionale può essere racchiuso in tre macro caratteristiche: 1. Attività svolte 2. Competenze e attitudini 3. Target aziende 1. Attività svolte • Analizza i processi interni di produzione e le procedure organizzative • Raccoglie e analizza i dati sui consu-

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mi energetici • Individua i fabbisogni energetici delle unità produttive • Progetta sistemi di controllo e gestione dell’energia • Ricerca le fonti energetiche più convenienti e rispettose dell’ambiente • Gestisce i contratti di fornitura energetica • Si occupa delle richieste di contributi economici previsti dal Piano Energetico Nazionale • Svolge attività di informazione e formazione per sensibilizzare all’uso razionale dell’energia e alla sostenibilità ambientale 2. Competenze e attitudini (tecniche, trasversali, personali) Competenze tecniche • Conoscenza dell’economia aziendale • Conoscenza dei titoli di efficienza energetica (TEE), del mercato dei certificati verdi e della normativa energica • Conoscenza delle società di servizi energetici

• Conoscenza delle fonti di energia rinnovabili • Conoscenza e capacità di applicare le tecniche della contabilità generale • Conoscenza e capacità di applicare le tecniche dell’analisi finanziaria • Conoscenza e capacità di applicare le tecniche del bilancio energetico • Conoscenza e capacità di applicare le tecniche di valutazione dei flussi energetici interni • Conoscenza e capacità di applicare le tecniche di elaborazione di indicatori energetici • Conoscenza e capacità di applicare le tecniche di comunicazione strutturata • Capacità di individuare i fabbisogni energetici delle unità produttive • Capacità di gestire i contratti di fornitura energetica Competenze trasversali • Capacità organizzative • Capacità comunicative (scritto e/o orale) • Capacità di negoziazione • Capacità di risoluzione dei problemi


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO • Capacità di analisi • Capacità relazionali (empatia) • Capacità decisionali Caratteristiche personali e attitudini • Propensione all’ innovazione • Propensione all’ aggiornamento 3. Target aziende • L’esperto in risparmio energetico svolge la sua professione generalmente come dipendente presso grandi imprese industriali, negli enti di grandi dimensioni che opera-

no nel settore civile, nel terziario o in quello dei trasporti. • Lavorare in modo autonomo, in qualità di consulente esterno. La trasversalità del Energy Enviromental Manager è indiscussa, ed è la caratteristica principale che contraddistingue questa figura professionale da una figura prettamente tecnica. La testimonianza della necessità, da parte del mercato e delle aziende, di tale figura professionale è rappresentata anche dal riscontro che la Sida

Group e la Management Academy Sida Group stanno avendo in questo momento in merito alla richiesta di: • Servizi di consulenza di efficienza, pianificazione e risparmio energetico (erogati dalla Sida Group). • Formazione e inserimento di figure professionali di Energy Enviromental Manager con l’erogazione dell’”Executive master in Energy Management e Sviluppo Sostenibile” e del “Master in TQM – Qualità, Ambiente e Sicurezza”.

QUALI SARANNO LE PROFESSIONI SANITARIE DEL FUTURO?

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di Anna Masturzo Management Academy Sida Group - Team Leader Area Farmacia e Sanità

uovi approcci alle professioni sanitarie vogliono soprattutto dire investimenti in formazione: è quanto emerso anche nel nostro Paese all’interno della nuova legge di stabilità ,comma 566. Attraverso questa legge il Parlamento ha dato via libera a una potenziale ,innovativa, messa in discussione sull’ attuale organizzazione del lavoro in sanità; questa ridefinizione del lavoro sarebbe attuata attraverso la ridefinizione del le capacità professionali

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delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. Ecco nel dettaglio il comma 566. “Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, con accordo tra Governo e regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati, sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali

e le responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi complementari. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Questo obiettivo, così come il Ministero della Salute lo ha definito, rappresenta una prevista crescita delle competenze degli infermieri e delle

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO altre professioni sanitarie che possa attuare una trasformazione dell’organizzazione del lavoro, garantendo prestazioni sanitarie sempre più efficaci ed efficienti. Ci troviamo a questo punto di fronte ad un innovativo modello dell’organizzazione del lavoro in sanità, un modello che permette realmente ad alcune professioni sanitarie sino ad ora relegate ad un ruolo di “Cenerentole del settore”di operare nel pieno rispetto delle loro potenzialità e capacità; ciò premesso ma tutto considerato, sarà necessario al più presto mettere mano al riordinamento del programma dei corsi di laurea di queste professioni. Investire nella formazione vorrebbe dire risolvere a monte il principale problema del sistema sanitario nazionale, vale a dire la difficoltà nella governance, difficoltà che si traduce nella necessità di mantenere i bilanci in equilibrio e in un’efficace analisi dei costi di produzione; questi due fattori hanno impedito sinora di portare alla luce i motivi delle sacche di inefficienza ancora presenti nei sistemi sanitari regionali. Per suggerire come risolvere questo ed altri problemi legati al futuro del sistema sanitario, futuro che implica necessariamente un aggiornamento continuo delle competenze dei professionisti operanti nel settore, la Fondazione Centro di Formazione Manageriale di Ancona, ha pubblicato un esaustivo studio. Secondo questo studio la formazione avanzata della sanità dovrà necessariamente trovare nuovi approcci, quale quelli di tipo economico-finanziario, di disruption (innovazione di tipo rivoluzionario), di resilienza ed altri: in tutti i casi i nuovi paradigmi di formazione nella sanità dovranno necessariamente comprendere un ap-

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proccio “olistico” vale a dire considerare in modo totalmente interconnesso il mondo del lavoro ed il mondo della formazione. Secondo Flavio Guidi, Direttore Scientifico della stessa Fondazione, : “Il rapporto sistemico economico è legato da due variabili: l’insieme degli operatori economici e il contesto nel suo insieme. Il contesto con cui il soggetto economico ambiente interagisce si presenta caratterizzato, nel suo stato e nel suo divenire, da profondi cambiamenti e fenomeni quali: la globalizzazione, le innovazioni tecnologiche (tra cui la digitalizzazione), lo sviluppo culturale, le scoperte scientifiche, l’evoluzione delle telecomunicazioni e il web social, l’evoluzione degli strumenti di apprendimento,

l’evoluzione di Internet, l’evoluzione degli strumenti di trasporto, lo sviluppo infrastrutturale, i fenomeni migratori, i fenomeni geopolitici, i fenomeni di sviluppo economico con correlati i fenomeni urbanistici, l’esplosione delle metropoli,ecc...”. Ed ancora: “Siamo in una fase di profonda rivoluzione dello scenario che caratterizza il contesto e gli operatori economici che operano in questo sempre nuovo e diverso quadro, dove le variabili trovano nuovi sistemi di interconnessioni che sono mosse da un’esigenza di funzionalismo (strumento necessario per garantire la sopravvivenza e la crescita), che le spinge a riconfigurare la loro offerta... L’entità dei cambiamenti e l’esigenza di velocizzare la realizzazione, attri-


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO buiscono alla formazione (acculturamento) un ruolo fondamentale. Il processo di formazione assorbe quindi i caratteri dell’entità, della complessità del fenomeno e della velocità del cambiamento da realizzare, sia quelli legati ai due soggetti del sistema, che ai nuovi rapporti che necessita.” I temi che la Fondazione ha approfondito e che si sono sviluppati prima in una ricerca, e poi coagulati in una opera totalmente innovativa sulla formazione nel settore sanitario, hanno evidenziato un approccio nuovo ai percorsi formativi e coadiuvato da strumenti di selezione,orientamento, e di placement; nell’opera sono sottolineati nel dettaglio tutti gli elementi per un nuovo modo di concepire la formazione che, in diretto collegamento con le esigenze aziendali, bypassa il tradizionale orientamento “product oriented” dei corsi formativi per trasformarlo in un approccio totalmente “marketing oriented-l’uomo giusto con le competenze richieste dall’azienda - al posto giusto”. In questo contesto, l’esperienza di formazione e le competenze personali diventano un fattore competitivo molto importante, in grado di influire direttamente sulle prestazioni aziendali; l’innovazione nell’ambito dell’assistenza sanitaria passa quindi necessariamente dalla formazione manageriale che ha un ruolo determinante sull’evoluzione delle organizzazioni ospedaliere. Le competenze imprescindibili per svolgere un ruolo manageriale in ambito sanitario possono variare in relazione al tipo di ruolo e funzioni, ma dovendo fare riferimento a una base comune, sicuramente tra le competenze di tipo specialistico, rientrerebbero quelle clinico assistenziali; le competenze manageriali rivestono

A CURA DI

per questi ruoli inoltre un fattore determinante, in particolare l’approccio verso i problemi e la capacità non solo di individuare soluzioni, ma di farlo favorendo l’innovazione. Inoltre sono importantissime le capacità relazionali e di leadership. Per quanto riguarda i manager nelle aziende sanitarie possiamo dire che grazie alla formazione il modo in cui il dirigente vede e interpreta il proprio ruolo in azienda si sta evolvendo dal concetto di status al concetto di valore/contributo, da una visione del rapporto dipendente-datore di lavoro a una visione fornitore-cliente in cui il manager diventa professionista e fornitore strategico di tempo, energia, capacità e intelligenza.

Le aziende del settore chiedono risorse umane adattabili, resilienti, in grado di afferrare e gestire il mutamento continuo delle condizioni dei mercati Le nuove professioni del futuro del SSN sono quelle di manager (ricordiamo il recente decreto sulla riforma della PA che prevede per i manager della sanità l’iscrizione in appositi albi regionali); questi manager opereranno nel settore di finanza e controllo, degli acquisti e della gestione delle scorte, dell’organizzazione, della comunicazione e del marketing; e con particolare riguardo all’innovazione nell’ambito dell’ ICT e della gestione dell’innovazione in generale tra le figure chiave troviamo i project manager, i responsabili della qualità, e i facility manager che si occupano di risorse. Per concludere citando ancora le pa-

role di Flavio Guidi:” Lo sviluppo del ruolo strategico del settore sanitario italiano comprende alcuni passaggi fondamentali, tra i quali: salvaguardare e favorire i processi di innovazione tecnologica, diffondendo la formazione e la cultura digitale del sistema, rilevare correttamente gli impatti gestionali ed operativi della diffusione di una cultura di total health management, implementazione degli strumenti di sanità digitale per migliorare l’accessibilità e la continuità delle prestazioni sanitarie. In questo senso bisogna considerare che le professioni sanitarie si sono profondamente evolute sia in ambito ordinamentale che di necessità formative, in risposta all’esigenza di adeguamento dell’evoluzione scientifica e tecnologica della sanità, corrispondente ad una diversa organizzazione del lavoro e dell’integrazione del Sistema Sanitario nazionale nel paradigma europeo… Le aziende del settore chiedono risorse umane adattabili, resilienti, in grado di afferrare e gestire il mutamento continuo delle condizioni dei mercati; i candidati devono entrare nell’impresa già formati specificamente sul settore di riferimento, condividerne immediatamente i meccanismi, adattarsi velocemente alle richieste dei colleghi e della struttura, lavorando sinergicamente all’interno del gruppo di lavoro. Candidati così definiti devono seguire un percorso formativo nuovo, e inusuale. Questo percorso nasce direttamente a partire dalle esigenze aziendali: quali sono le caratteristiche generali e particolari necessarie vengono definite attraverso un’attenta analisi di mercato che mira a strutturare il percorso formativo a monte attingendo direttamente alle necessità dell’impresa e convertendole nei percorsi formativi corretti.”

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COMUNICAZIONE INTEGRATA E BRAND MANAGEMENT: IL LEGAME DI VALORE DEL XXI SECOLO di Mario Becchetti Management Academy Sida Group - Area Marketing e Comunicazione

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a comunicazione integrata per la brand reputation è divenuta una leva strategica per governare il cambiamento e creare valore nella nuova economia globale e digitale del XXI Secolo: per utilizzarla adeguatamente sono indispensabili veri e propri “manager della comunicazione integrata”. Le trasformazioni indotte dai processi di globalizzazione e digital transformation richiedono una profonda evoluzione delle strategie di marketing e comunicazione di ogni impresa e organizzazione, qualunque sia il settore di appartenenza. La digitalizzazione opera come agente di cambiamento desruptive che fa cadere i confini tra comparti e territori, offrendo grandi opportunità ma anche rilevanti minacce. Da un lato apre a tutti le porte della grande piazza digitale globale, anche alle piccole imprese. Dall’altro le nuove tecnologie, facilitando le connessioni, fanno crescere esponenzialmente il “rumore” di fondo di questa piazza globale. Ogni impresa può emergere e diffe-

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renziarsi solo se investe in una consapevole e mirata strategia di comunicazione integrata, che a sua volta deve avere il proprio il brand al centro dell’azione di marketing. E’ il brand management, che necessariamente deve essere gestito e sviluppato attraverso una strategia di comunicazione che non punti solo al marketing del prodotto ma anche alla promozione della corporate identity nei confronti di tutti gli stakeholders aziendali, che per questo diventano anche i pubblici dell’impresa. La creazione del valore, infatti, sempre più si basa su innovative strategie di brand storytelling tese a sviluppare per ogni impresa e organizzazione: • brand identity; • brand awareness; • brand image; • brand reputation; • brand experience; • brand loyalty; • brand value. Questo può avvenire solo attraverso una consapevole strategia che, partendo dal brand, sappia sviluppa-

re valore, riconoscibilità e memoria dell’offerta aziendale, attraverso iniziative di comunicazione integrata: istituzionale, di marketing, finanziaria, organizzativa. Il valore dell’offerta aziendale, infatti, non si basa più solo sugli attributi fisici dei prodotti/servizi, ma anche sul suo valore immateriale percepito dai clienti e alimentato da significati, simboli, valori, associazioni, esperienze, emozioni, status alimentati attraverso la comunicazione integrata. Un esempio per tutti: il valore che Apple è in grado di spuntare sul mercato dipende sicuramente dal valore dei suoi prodotti, ma anche dalla campagna di comunicazione corporate che da decenni sta svolgendo in tutto il mondo. Chi non ricorda il primo spot “Think different”, realizzato ben 20 anni fa, che continua a rappresentare un modello di semplicità ed efficacia di comunicazione corporate basata sulla promozione del brand? Sono molteplici i pubblici di riferimento, gli strumenti da utilizzare, i valori e i significati da promuovere: brand reputation, corporate identity,


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO brand storytelling, content marketing, digital marketing, sono alcuni delle nuove parole d’ordine alla base di una moderna strategia di comunicazione integrata per promuovere prodotti, servizi, valori e reputazione delle imprese e delle organizzazioni, presso tutti i pubblici e gli stakeholders. Un ulteriore esempio dell’importanza della reputation è rappresentato dallo sviluppo della Corporate Social Responsability. E’ questa la nuova frontiera della sostenibilità aziendale, da sviluppare attraverso nuove forme di comunicazione tese a creare un rapporto di fiducia strutturato con il sistema degli stakeholders. Lo provano la diffusione crescente del numero di imprese che realizzano il Bilancio sociale o il fatto l’Harward Business Review abbia inserito i parametri di responsabilità sociale, insieme a quelli finanziari, tra i criteri di valutazione della sua classifica dei top 100 CEO al mondo. Per gestire il cambiamento, dunque, sempre più le imprese sono chiamate a diventare “media company”, il cui

Più COMUNICAZIONE INTEGRATA: >istituzionale >di marketing >finanziaria

A CURA DI

successo competitivo è legato alla capacità di costruire efficaci e coerenti strategie di comunicazione integrata, coordinando i diversi mezzi, raccontando e promuovendo il valore materiale e immateriale del brand e dell’offerta aziendale. Ciò vale per le imprese profit ma anche ogni altra organizzazione che svolge un’intensa attività relazionale: istituzioni, categorie economiche, sindacati, associazioni no-profit, enti culturali,, partiti, ecc..

Per gestire il cambiamento, sempre più imprese sono chiamate a diventare “media company” Questa transizione rappresenta un vero e proprio “salto di paradigma” che può essere affrontato con successo, soprattutto dalle piccole imprese, solo attraverso professionalità e competenze di eccellenza.

Piu' BRAND REPUTATION BRAND IMAGE BRAND IDENTITY

Come pianificare e organizzare una strategia di comunicazione integrata? Come sviluppare brand reputation e storytelling? Come predisporre un piano operativo di comunicazione integrata utilizzando mezzi off-line e on-line? Come fare comunicazione digitale e social media marketing? Come comunicare con i clienti, i fornitori, le banche, gli investitori e i dipendenti? Come svolgere attività di media e public relations? Come fare employer branding ed affrontare le crisi di comunicazione? Le soluzioni a queste domande possono essere offerte solo da manager e professionalità che siano capaci di presidiare l’intero processo di comunicazione integrata, dalla fase di pianificazione della strategia a quella di organizzazione, implementazione e controllo dei risultati. E’ questa una delle sfide principali che hanno di fronte le imprese e tutte le organizzazioni per creare valore e governare con successo il cambiamento del mercato e del marketing del XXI Secolo.

Più REPUTAZIONE E CAPITALE RELAZIONALE

Più «ATTRAZIONE» DI: > clienti di qualità > fornitori di qualità > finanziamenti > investitori > partnerships > dipendenti > consulenti > benefici pubblici > consenso sociale

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LA FIGURA DELL’EUROPROGETTISTA

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di Antonio Morano Management Academy Sida Group - Area Europrogettazione

’attività dell’europrogettista è, in questo momento di difficile accesso al credito ed al capitale di rischio, una delle professioni più promettenti e che offre ottime prospettive di crescita professionale. Per le imprese, che hanno necessità di trovare nuove risorse, un contributo europeo rappresenta una imperdibile

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opportunità di sviluppo. Allo stesso modo, per gli enti locali, i fondi europei rappresentano una via obbligata per realizzare progetti innovativi non supportabili con finanziamenti ordinari. L’europrogettista è, dunque, un professionista esperto dei principali programmi europei e delle tecniche e

metodologie di europrogettazione, la sua attività è finalizzata al reperimento di finanziamenti europei, sia per le imprese che per gli enti pubblici. Per svolgere l’attività di europrogettista la legge italiana non richiede l’iscrizione a particolari albi o registri, né particolari titoli di studio. Tuttavia sono richieste una serie di conoscenze e capacità specifiche per lavorare bene


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO e con successo. In Italia, oggi, molti fondi restano inutilizzati per mancanza di competenze e per affrontare gli standard elevati della Commissione serve un approccio metodologico e la conoscenza delle tecniche di redazione della proposta di progetto. L’ Europrogettista deve conoscere a fondo il contesto istituzionale e sociale di riferimento, gestire il lavoro in team, avere forti competenze relazionali e di project management e creare una rete di contatti. Inoltre, le conoscenze e capacità necessarie per lavorare bene come Europrogettista sono le seguenti: • conoscenza dei bandi su cui lavorare, incluse le modalità di rendicontazione. Questa conoscenza può essere acquisita leggendo la documentazione relativa al bando. Tuttavia, spesso, documentazione è ridondante: si tratta, nella maggior parte dei casi, di centinaia di pagine che confondono e scoraggiano chi affronta questo mestiere in modo privo della professionalità richiesta. Al contrario, un europrogettista ben preparato è in grado di reperire velocemente in tali documenti le informazioni di cui necessita, conoscendo quali siano le parti più importanti da cui iniziare. • capacità di strutturare il progetto, sia sotto l’aspetto del programma di lavoro che del budget, in maniera coerente con la griglia di valutazione contenuta nella documentazione. In particolare, in questa fase, è necessario capire bene i criteri di valutazione. La cosa migliore sarebbe accumulare esperienza: alla fine del processo di selezione la valutazione di ogni progetto viene trasmessa al progettista. Dopo aver esaminato molte valutazioni, e cioè dopo aver presentato molti proget-

A CURA DI

ti, i criteri di valutazione risultano molto più chiari. Questo processo, però, richiede un lungo periodo di prova. Le indicazioni di progettisti esperti, invece, accorciano i tempi di apprendimento evitando di dover ricorrere ad un processo di apprendimento basato su prove ed errori. • capacità di strutturare il progetto in maniera coerente con gli obiettivi e se previste le priorità annuali. Questo richiede un esame approfondito del testo del programma e del bando. E’ inoltre necessario conoscere bene (o ottenere il supporto di qualcuno che conosce bene) il settore in cui si progetta. Infine, poiché i progetti finanziano lo sviluppo di strumenti e metodologie innovative, è necessaria una buona dose di creatività, in modo da produrre idee progettuali che oltre a essere coerenti con obiettivi e priorità, siano innovative. • conoscenza di organizzazioni di altri Paesi, in maniera da costituire partenariati diversificati geograficamente e con le competenze necessarie per realizzare l’idea progettuale. Anche in questo caso è utile rivolgersi a progettisti che hanno già una propria rete. • conoscenza dell’inglese (e possibilmente di almeno altre due lingue dell’unione europea), perché i contatti coi potenziali partner e la gran parte dei materiali sono in inglese e capacità di scrittura. I progetti possono essere in genere scritti anche in Italiano, ma scriverli in inglese fa risparmiare tempo ai partners e ai valutatori. Inoltre l’idea progettuale deve essere ‘venduta’ bene, perciò è necessario saper scrivere in maniera efficace. • capacità di saper lavorare in autonomia e sotto stress. Il lavoro del

progettista è un lavoro solitario, si trascorrono molte ore davanti al pc, a leggere documentazione e a perfezionare il progetto. Altre ore debbono essere impiegate nel contatto con i partner, da cui vanno raccolte informazioni e documenti e con cui è necessario negoziare ruolo e budget nel progetto. È necessario rimanere motivati e organizzare il proprio lavoro in modo da rispettare la scadenza. La supervisione di un progettista esperto aiuta a programmare meglio i tempi, a ridurre gli errori e a mantenere la calma.

La figura dell’Europrogettista implica il continuo aggiornamento e la sistematica attivazione di relazioni pubbliche In ragione della sempre maggiore competizione per aggiudicarsi i finanziamenti europei, l’attività del professionista dell’Europrogettazione implica il continuo aggiornamento e la sistematica attivazione di relazioni pubbliche, mentre i percorsi formativi professionali mirano all’aggiornamento degli strumenti dell’Europrogettazione, della metodologia di progettazione e delle fasi di vita del progetto, ovvero il PCM (Project Cycle Management). Occorre quindi formarsi per affrontare il mondo competitivo dell’europrogettazione, e aggiornare le proprie competenze continuamente, partecipando a incontri, conferenze e percorsi formativi specialistici, al fine di apprendere la capacità progettuale di elaborare proposte innovative ed in linea con gli obiettivi dell’Unione, in modo di presentare proposte competitive a livello europeo.

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DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO

IL SONDAGGIO LE PROFESSIONI DEL FUTURO

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uesto mese abbiamo coinvolto i lettori di ML Magazine in una riflessione sulle professioni del futuro. Siamo preparati all’ondata di nuovi impieghi che fioriranno nei prossimi 15 anni? Che

ne sarà dei mestieri classici? Esiste un futuro lavorativo in Italia? Le università italiane sono competitive? Ecco quanto ne è emerso.

Uno studio realizzato dall’istituto di ricerca FastFuture per conto del governo britannico ha individuato le 20 nuove professioni che nasceranno o si svilupperanno entro il 2030, tra cui: nanomedico, agricoltore/allevatore genetista, manager/consulente della terza età, pilota spaziale, broker del tempo, assistente sociale per social network. Questi, secondo i nostri lettori, i settori con maggiori prospettive per le professioni del futuro: Recenti studi sulle tendenze dell’occupazione nei paesi ad alto reddito concordano nell’affermare che l’artigianato e tutti i lavori basati sul “saper fare con le mani” saranno tra le professioni più ricercate nei prossimi 10 anni. I nostri lettori sono d’accordo?

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Secondo l’organizzazione internazionale del lavoro, il 60% dei lavoratori del mondo non possiede un contratto, e solo il 42 % un contratto a tempo indeterminato: il futuro sembra essere dei freelance. Abbiamo chiesto: Credete che in futuro ci sarà la scomparsa del posto fisso dal mercato del lavoro?


DOSSIERLEPROFESSIONIDELFUTURO Il fondatore di Technogym, Nerio Alessandri, sosteneva in una intervista del 2013 che il futuro dei nostri giovani è in Italia, e consigliava loro un’esperienza internazionale finalizzata però al ritorno in patria. Da recenti statistiche emerge, tuttavia, come la nostra epoca sia segnata da una forte “voglia di scappare” all’estero in cerca di opportunità, meritocrazia, esperienze e nuovi orizzonti. Abbiamo chiesto: siete d’accordo con la filosofia di Alessandri e sull’esistenza di reali prospettive lavorative per i giovani in Italia?

La popolazione tra i 25 e i 34 anni degli Stati Uniti conta 42 laureati su 100: l’Italia appena 21. Nell’Unione Europea il 44% dei manager ha una laurea o specializzazione superiore: in Italia solo il 15, mentre il 37% ha la scuola dell’obbligo. Secondo i nostri lettori, dove va ricercato il gap tra Italia ed estero?

*la maggioranza dei rispondenti “Altro” ritiene che il gap tra Italia ed estero sia dato dalla combinazione dei fattori citati

Secondo Riccardo Pietrabissa, docente al Politecnico di Milano «ai lavoratori, fra 20-30 anni, serviranno tre “commodity” di lavoro: parlare molto bene almeno l’inglese, conoscere le nuove tecnologie e saper leggere un bilancio. Oltre a una buona preparazione generale perché il mercato oggi cambia di continuo e non conta quello che sai fare, ma l’attitudine a fare un lavoro e a impararlo facilmente. Il lavoratore del 2030 dovrà capire e risolvere problemi più complessi di oggi». Abbiamo chiesto: a fronte di ciò, ritenete che il sistema d’istruzione italiano sia atto a formare giovani con tali competenze?

*la maggioranza dei rispondenti “Altro” trova che il nostro sistema non sia in grado di fornire un livello di preparazione adeguato poiché troppo teorico e a causa della scarsa preparazione dei docenti.

Ilaria Maselli, coautrice dello studio CEPS “How returns from tertiary education differ by field of study” ha sostenuto che “Gli studenti italiani studiano cose giudicate inutili dal mercato del lavoro”. I nostri lettori sono d’accordo?

INFORMAZIONI SUL SONDAGGIO Sondaggio realizzato da Mind X Up Srl. Sondaggio online, pubblicato all'interno delle newsletter, sulla pagina Facebook e sul sito di Mondo Lavoro ML Magazine. Indagine gestita attraverso piattaforma CAWI dal 18 Maggio al 3 Giugno 2016. Campione non probabilistico. Totale rispondenti: 99

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PUNTO.PMI

NUOVO PROVVEDIMENTO SIMEST IN FAVORE DELLE PMI di Alessandro Stecconi Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

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a Società italiana per le imprese all’estero (SIMEST) ha messo a disposizione € 80 milioni per il finanziamento delle aziende che compiono iniziative di internazionalizzazione sui mercati extra UE, nonché di patrimonializzazione delle PMI esportatrici. Le risorse destinate a sostenere la realizzazione di questi interventi saranno erogate senza garanzie. Le imprese potranno usufruire di una netta riduzione del costo della fideiussione da prestare per ottenere il finanziamento. La finalità dell’iniziativa è di agevolare l’accesso ai due interventi di sviluppo internazionale permettendo da un lato, di diffondere nuovi pro-

dotti e servizi a marchio italiano e di acquisire ulteriori mercati oltre quelli già esistenti, nonché per preservare e migliorare la struttura patrimoniale delle PMI esportatrici sviluppando il loro livello di competitività estera. Per quanto riguarda i programmi di inserimento nei mercati extra UE, sono beneficiarie del finanziamento agevolato tutte le imprese italiane, sia in forma singola che aggregata. L’investimento deve essere realizzato in un solo paese di destinazione ed essere funzionale alla diffusione di beni o servizi prodotti in Italia, o comunque distribuiti con il marchio di imprese italiane. È necessario che la struttura sia costituita da un solo ufficio, negozio o corner, gestito direttamente dall’impresa o tramite un soggetto

terzo locale. Gli investimenti infine non devono risultare nella creazione di una rete di distribuzione già precostituita. Nel caso in cui non si intenda accedere a queste nuove fonti di finanza agevolata, rimane in ogni caso la possibilità di richiedere il contributo a valere soltanto sul fondo 394/81. Non sono richieste restrizioni particolari circa la tipologia dell’intervento riguardo i programmi di patrimonializzazione delle PMI esportatrici. L’iniziativa si rivolge a tutte le piccole e medie imprese costituite in forma di S.p.A. aventi sede legale in Italia che, nel corso degli ultimi tre esercizi finanziari, abbiano conseguito un fatturato estero medio pari almeno al 35% di quello totale.

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PUNTO.PMI

LEGGE SABATINI TER: spinta verso l’innovazione e la crescita delle imprese di Nicasio Riggio Management Academy Sida Group - Area Finanza Agevolata

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ovità importanti in tema di finanziamenti agevolati grazie alla possibilità di usufruire delle agevolazioni previste dalla nuova Legge Sabatini Ter, che ha preso ufficialmente il via lo scorso 2 maggio. Il Decreto del 25 gennaio 2016 ha apportato modifiche per la “Nuova Sabatini”, strumento a disposizione delle imprese per l’acquisto di beni strumentali. Le agevolazioni sono destinate alle micro, piccole e medie imprese che operano sull’intero territorio nazionale con esclusione del solo settore delle attività finanziarie e assicurative. Una delle principali novità è rappresentata dalla possibilità, per le imprese beneficiarie, di ottenere la concessione dei contributi anche a fronte dei finanziamenti erogati dal sistema bancario e dalle società di leasing (intermediari finanziari) con fondi propri, e non solo a valere sulla provvista di Cassa Depositi e Prestiti appositamente costituita (ad oggi è pari a 5 mld €). Sono inoltre previsti tempi ridotti per la concessione degli aiuti,

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semplificando in tal senso le procedure e la documentazione da produrre in sede di erogazione finale. I predetti finanziamenti possono essere concessi dai menzionati istituti anche mediante l’utilizzo di una provvista alternativa. Il prestito potrà avere una durata massima di 5 anni decorrenti dalla data di stipula del contratto o, nel caso di leasing finanziario, dalla data di consegna del bene. Il preammortamento, coincidente con il periodo di realizzazione dell’investimento, potrà avere una durata massima di 12 mesi. Entrando nel dettaglio, è importante sottolineare che la Sabatini Ter finanzia l’acquisto di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché di hardware, software e tecnologie digitali (voci B.II.2, B.II.3 e B.II.4 dell’attivo di Stato patrimoniale), beni strumentali che integrano con nuovi moduli l’impianto o il macchinario preesistente, e che introducono una nuova funzionalità nel ciclo produttivo. Sono inoltre finanziabili le acquisizioni di attivi di uno stabilimento, se vengono soddi-

sfatti determinati requisiti specifici. La spesa complessiva prevista assoggettabile a contributo non può essere inferiore a 20.000 euro e superiore a 2 milioni di euro. Per quanto concerne l’entità dell’aiuto, il MiSE concede un contributo in favore delle PMI, che copre parte degli interessi a carico delle imprese sui finanziamenti bancari sopra menzionati, in relazione agli investimenti realizzati. Il contributo riconosciuto dalla misura è pari all’ammontare degli interessi, calcolati su un piano di ammortamento convenzionale con rate semestrali, al tasso del 2,75% annuo per cinque anni. Si sottolinea inoltre la possibilità, da parte delle PMI, di beneficiare contestualmente alla richiesta, anche della garanzia del Fondo Centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese, fino alla misura massima prevista dalla vigente normativa (80% dell’ammontare del finanziamento), sul finanziamento bancario, con priorità di accesso, così da agevolare l’accesso anche a quelle imprese che manifestano difficoltà nell’approccio al sistema bancario.


CNA

Ad affermarlo l’indagine congiunturale “Trend Marche”, realizzata da Cna e Confartigianato Marche in collaborazione con la Banca Popolare di Ancona UBI, l’Università di Urbino, l’Università politecnica delle Marche e l’Istat regionale.

MARCHE, RIPARTE L’ARTIGIANATO. La rilevazione, effettuata sui bilanci del 2015 di 3 mila imprese artigiane delle Marche, è stata presentata a Jesi nelle sede della BPA – UBI in una giornata dedicata all’economia regionale, nazionale e internazionale. Presentato il ‘XX Rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia’ di Sergio Giacchi

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artigianato? Le imprese chiudono, ma quelle che resistono sono ripartite. Dall’inizio della crisi alla fine di marzo dell’anno in corso le imprese artigiane delle Marche sono passate da 52.699 a 46.797. Si sono persi per strada 5.902 imprese e 17 mila posti di lavoro, con una diminuzione del valore aggiunto del 18 per cento. Solo nel 2015, l’anno si è chiuso con 897 artigiani in meno e nel primo trimestre del 2016 le imprese artigiane registrate alle Camere di Commercio hanno perso altre 577 unità. Ma se le imprese in attività sono diminuite, quelle che sono rimaste hanno ricominciato a vendere, a fare utili e ad investire. E l’artigianato continua ad avere un peso fondamentale nell’economia regionale, con 123.849 addetti che lavorano all’interno delle 46.797 imprese. Un primato nazionale che vede impiegato nelle imprese artigiane il 27,3 per cento di tutti gli addetti marchigiani, rispetto ad una media nazionale del 17,2 per cento. Ad affermarlo l’indagine congiuntu-

rale “Trend Marche”, realizzata da Cna e Confartigianato Marche, in collaborazione con la UBI Banca Popolare di Ancona, l’Università di Urbino, l’Università Politecnica delle Marche e l’Istat regionale. La rilevazione, effettuata sui bilanci del 2015 di 3 mila imprese artigiane delle Marche, è stata presentata a Jesi nelle sede della UBI BPA all’Esagono, in una giornata dedicata all’economia regionale, nazionale e internazionale. Ad illustrare “Trend Marche” ha pensato Ilario Favaretto dell’Università “Carlo Bo” di Urbino, mentre il Pro Rettore dell’Università Politecnica delle Marche, Gianluca Gregori, ha approfondito le tematiche relative a manifattura, turismo e internazionalizzazione delle imprese. In apertura, il direttore del Centro Einaudi, Giuseppe Russo, ha presentato il “XX Rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia”, che per la prima volta negli ultimi anni, parla di un segnale di crescita globale e nazionale. Al convegno sono intervenuti anche il presidente della Banca Popolare di Ancona, Corrado Mariotti, il vice pre-

sidente di Confartigianato Marche, Giuseppe Mazzarella e Alberto Barilari, della presidenza Cna Marche. Ha concluso i lavori il direttore generale UBI BPA, Nunzio Tartaglia. IL RAPPORTO TREND MARCHE Sono stati anni difficili per gli artigiani delle Marche, ma chi è rimasto sul mercato comincia a vedere una luce in fondo al tunnel. E non è quella del treno. E’ quella di una ripresa che comincia a far sentire i suoi effetti. Almeno sui bilanci delle 3 mila imprese del campione selezionato e certificato dall’Istat che sono state alla base dell’indagine “Trend Marche”. “Nella seconda metà del 2015” - ha affermato Ilario Favaretto dell’Università “Carlo Bo” di Urbino - si è assistito, da parte delle imprese artigiane del nostro campione, ad un incremento del fatturato piuttosto rilevante (+27,8 per cento) dovuto soprattutto al mercato interno (+29 per cento). Meno forte la crescita del conto terzi, con un incremento del fatturato che si è fermato al 7,6 per cento”.

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CNA

EXPORT MANIFATTURIERO E TURISMO LE STRADE DELLO SVILUPPO Le piccole e medie imprese manifatturiere esportano le Marche. Nel 2015 le micro e piccole imprese della regione hanno esportato merci per un valore di 4.498 milioni di euro, pari al 37,5 per cento del totale dell’export manifatturiero. “Ma non tutte le piccole imprese - ha affermato il Pro Rettore dell’Università Politecnica delle Marche, Gianluca Gregori - hanno la possibilità di sfruttare le opportunità dell’internazionalizzazione e diventa fondamentale attrarre domanda turistica per favorire la ripresa della domanda interna. Su questo fronte, le Marche sono in ritardo e si collocano al settimo posto in Italia con 8,1 presenze per residente. In particolare, riusciamo ad attrarre ancora pochi stranieri. Lo scorso anno solo il 18,2 per cento delle presenze, a fronte di una media nazionale del 49,4 per cento”. “LA RIPRESA, E SE TOCCASSE A NOI?” - XX RAPPORTO EINAUDI SULL’ECONOMIA GLOBALE E L’ITALIA “Negli anni della crisi il reddito dispo-

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nibile degli italiani è sceso da 18.287 a 15.948 euro mentre nelle Marche si è passati da 19.144 a 16.722 euro. Ma a partire dal primo trimestre 2015, l’Italia può finalmente affermare che la sua economia è in ripresa”. Lo affermano Mario Deaglio e Giuseppe Russo, nel “XX rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia”. Ma la crisi, ricordano, è stata lunga e pesante. Dal 2008 l’Italia ha perso 9 punti percentuali di reddito. Una frana che si è tradotta nella riduzione dell’8 per cento dei consumi ed il 30 per cento degli investimenti “Il trend negativo - ha ricordato Russo, a Jesi, presentando il rapporto Einaudi - ha cominciato a cambiare nel 2015, quando per la prima volta si è registrata una crescita dei consumi delle famiglie del 2,1 per cento, rispetto all’anno precedente” INTERVENTO DI ALBERTO BARILARI – MEMBRO PRESIDENZA CNA MARCHE L’Osservatorio Congiunturale di TrendMarche mette in evidenza come il 2015 sia l’anno della ripresa anche per le micro e le piccole imprese. Una ripresa che si è fatta attendere ma

che è finalmente arrivata, i numeri ne danno evidenza. Anche in questi anni di crisi, nelle Marche, i processi di innovazione sono proseguiti e hanno riguardato importanti filiere del nostro tessuto di imprese. In particolare alcuni distretti-chiave delle produzioni marchigiane, quali quello delle macchine per la lavorazione del legno, delle linee di arredamento specializzato. In conclusione, la ripresa che si delinea apre una nuova fase di opportunità per le nostre micro e piccole e medie imprese che non può essere lasciata al caso, occorrono riferimenti e occorrono linee certe di politica economica e industriale. DICHIARAZIONE DI NUNZIO TARTAGLIA – DIRETTORE BPA UBI I dati che emergono sia dal XX Rapporto Einaudi che dall’Osservatorio regionale “Trend Marche” sono in linea con quanto andiamo sostenendo da tempo. E cioè che non solo il peggio è alle spalle, ma si avvertono dalla fine del 2014 segnali di ripresa che magari possono sembrare ancora timidi, ma ci sono. Chi ha avuto la capacità di innovarsi, di adeguare le proprie dimensioni alle nuove regole del mercato globale, non solo ce l’ha fatta, ma in molti casi ha consolidato i propri fatturati. Peraltro, è ciò che è accaduto anche alla nostra Banca, che ha saputo rimodularsi al proprio interno fin dai primi segnali di crisi. Sappiamo tutti delle difficoltà incontrate anche dal comparto bancario, ma per quanto ci riguarda possiamo dire di aver retto all’urto (anche per le nostre adeguate dimensioni) e di essere pronti a sostenere tutte quelle imprese che sono capaci di adeguare progetti e management, mosse dalla spinta di voler crescere, con coraggio e spirito d’intraprendenza.


CONFCOMMERCIO

UN’INTESA CHE CAMBIA IL CREDITO Storico accordo di settore tra Confcommercio Marche Centrali e Confidicoop Marche

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NCONA – Un accordo storico che cambierà gli scenari legati al Credito del mondo dell’imprenditoria del Commercio, del Turismo, dei Servizi, della Logistica, dell’Intermediazione, delle Professioni e del Lavoro Autonomo.

Questo è il senso dell’intesa sul finanziamento alle Imprese siglata da Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali e Confidicoop Marche nella sede Confcommercio Marche Centrali in piazza della Repubblica ad Ancona. L’intesa consente a Confcommercio Marche Centrali di

dotarsi di strumenti finanziari ancora più efficaci tali da porla quale riferimento unico e privilegiato, nel panorama associativo, in quanto a consulenza e competenza. “Si tratta di un accordo veramente strategico – il commento del prof.Massimiliano Polacco direttore generale Confcom-

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CONFCOMMERCIO mercio Imprese per l’Italia Marche Centrali –, che cambia l’assetto attuale, e quello che si stava delineando, del credito nel nostro territorio. Ecco perché abbiamo deciso di uscire da una vecchia logica di sistema per rinnovare la nostra offerta, attraverso la sinergia tra Confidicoop Marche e Rete Credito Marche Ascomfidi, e puntare ad avere nuovi strumenti di sostegno creditizio alla Piccola e Media Impresa”. “L’accordo – ancora Polacco –, ci permette inoltre di migliorare la performance della garanzia offerta alle Imprese dato che si tratta di un Confidi vigilato cioè controllato da Banca Italia. Garantiremo dunque in maniera più forte le agevolazioni per l’accesso al credito bancario e miglioreremo le condizioni per ottenere i finanziamenti”. L’intesa firmata è già esecutiva e le Imprese possono già presentare le pratiche inerenti il credito agevolato rivolgendosi a tutti gli uffici territoriali di Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali (come da tabella allegata) quindi sia nell’area della provincia di Ancona che in quella di Macerata. Confcommercio Marche Centrali promuoverà gli strumenti finanziari di accesso al credito ritenuti più idonei alle esigenze delle PMI e sosterrà, con l’obiettivo di potenziarlo, il sistema delle garanzie per l’espansione del credito favorendo forme di razionalizzazione che valorizzino il ruolo dei Confidi. Con questa intesa Confcommercio Marche Centrali vuole stimolare la ripresa del canale dei finanziamenti alle Imprese e creare le migliori condizioni possibili per la ripresa e la crescita dell’economia nel nostro territorio. Del resto è indispensabile effettuare quel salto culturale, da tempo auspicato a parole ed ora tangibile, per

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rispondere alle sfide del mercato con un nuovo atteggiamento che deve tradursi in decisioni e azioni conseguenti. Solo in questo modo le Imprese riacquisteranno fiducia e potranno superare la difficile crisi con rinnovato slancio imprenditoriale. CON CONFCOMMERCIO CREDITO, INCENTIVI E FINANZIAMENTI ALLE IMPRESE NELLE MANI DI UN CONFIDI ‘VIGILATO’. La svolta sul credito di Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali anticipa i tempi di sviluppo di un sistema che sempre più si baserà sull’operatività dei Confidi ‘vigilati’ dalla Banca Italia. La scelta di Confcommercio Marche Centrali si configura come un passo deciso nella tutela delle Imprese che accedono e accederanno al credito convenzionato. Questo perché la garanzia che viene offerta agli imprenditori è tutelata dal controllo di Banca Italia ed è dunque decisamente differente rispetto a quella data da un Confidi vecchio stampo non direttamente vigilato. Le banche dunque ricorreranno sempre più a questo tipo di garanzia e Confcommercio Marche Centrali si è preparata al cambiamento attuando questa nuova strategia che porterà ad una rinnovata attività di coordinamento, presidio e controllo della rete commerciale. Se si considerano gli standard qualitativi delle cooperative di garanzia marchigiane si può affermare che Confcommercio Marche Centrali ha scelto la via della solidità. Per questo ora più che mai è importante scegliere Confcommercio e accedere agli uffici territoriali che daranno agli imprenditori tutte le informazioni necessarie.

UN NUOVO MODO DI FARE CREDITO: ECCO DOVE ANDARE PER INIZIARE Ancona Sede Centrale - Piazza della Repubblica,1 tel.07122911 / fax 071205996 ancona@confcommerciomarchecentrali.it Macerata - Viale Puccinotti 1/2 tel.0733234130 / fax 0712291307 macerata@confcommerciomarchecentrali.it Castelfidardo - Via XVIII Settembre, 19 tel.0712291380 / fax 0712291381 castelfidardo@confcommerciomarchecentrali.it Chiaravalle - Via D’Antona, 16 tel.0712291390 / fax 0712291392 chiaravalle@confcommerciomarchecentrali.it Civitanova Marche - Via F.Rosselli, 3 tel.0733772202 / fax 0712291317 civitanova@confcommerciomarchecentrali.it Fabriano - Via G.di Vittorio, 3/a tel.0712291356 / fax 0712291353 fabriano@confcommerciomarchecentrali.it Jesi - Via Pasquinelli, 2/a tel.0712291342 / fax 0712291343 jesi@confcommerciomarchecentrali.it Numana - Via Flaminia, 6 tel. 0712291360 / fax 0712291362 numana@confcommerciomachecentrali.it Osimo - Via M.Polo, 186 tel. 0712291320 / fax 0712291327 osimo@confcommerciomachecentrali.it Recanati - Via del Mare, 22 tel 071980252 / fax 0712291379 recanati@confcommerciomarchecentrali.it San Severino Marche - Viale Bigioli, 92/94 tel 0733634949 / fax 0712291398 sanseverino@confcommerciomarchecentrali.it Senigallia - Viale Leopardi, 129 tel. 0712291331 / fax 0712291333 senigallia@confcommerciomachecentrali.it Tolentino - Via Nazionale, 3/5 tel.0733972583 / fax 0712291388 tolentino@confcommerciomarchecentrali.it


Cultura& TERRITORIO


FOCUSCULTURA&TERRITORIO

LA CULTURA, INGRANAGGIO FONDAMENTALE DELL’ECONOMIA Per ogni euro investito in cultura ne ritornano 1,7. Una filiera che in Italia vale 226 miliardi di euro. Nelle Marche 2,3 miliardi. Il primato delle province marchigiane più performanti va a Pesaro e a Macerata.

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na ricchezza che vale 226 miliardi di euro. Ovvero il 15,6% sul totale dell’economia nazionale. Questa è la capacità dei sistemi culturali di generare un volume d’affari e di mettere in moto un meccanismo virtuoso da cui prende forma una filiera che comprende il settore pubblico e quello privato. Gli ultimi dati rilevati provengono dal Rapporto Unioncamere e sono aggiornati al 2014. Dell’intero ammontare relativo al totale della filiera cultura, l’attivazione prende la fetta più importante

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di Andrea Maccarone (143 miliardi di euro, ossia il 9,9%), mentre il sistema produttivo culturale rappresenta il 5,8% con 83,9 miliardi di euro. Inoltre per ogni euro investito in cultura ne ritornano 1,7. Ma, nel concreto, di che cosa si tratta quando si parla di sistema produttivo culturale? Il tema è ampio: si va dalla pubblica Amministrazione dei teatri, biblioteche, musei) alle associazioni non profit, passando per le imprese private che operano nel settore. IL SISTEMA PRODUTTIVO CULTURALE Fondamentalmente ci si muove su

quattro macro-aree: industrie culturali, industrie creative, performing arts e arti visive e patrimonio storico-artistico. Nel primo caso, quello delle industrie culturali, ci troviamo nell’universo della musica (la cui produzione è cresciuta di un 4% nel 2014), dei libri e della stampa. L’editoria, nello specifico, ha perso oltre 2,5 milioni di lettori tra il 2010 e il 2014, ma l’editoria digitale è cresciuta del 39,4%. Fanno parte delle industrie culturali anche i film, video, radio-tv, videogiochi e software. Mentre per industrie creative s’intende l’architettura, la co-


FOCUSCULTURA&TERRITORIO municazione e branding, il design, le produzioni di beni e servizi creative driven. Nelle arti performative sono comprese tutte quelle rappresentazioni artistiche e spettacoli quali festival e manifestazioni convegnistiche e fieristiche. Infine il patrimonio storico-artistico, rappresentato dai musei, biblioteche e archivi, luoghi e monumenti storici. Il valore aggiunto, sul totale dell’economia, del sistema produttivo culturale italiano nel 2014 ha toccato i 78,6 miliardi di euro (5,4%). Nello stesso anno sono state censite 443.208 imprese di settore (7,3% sull’intero tessuto produttivo), ed un totale di 1,424 milioni di occupati (5,9% sul totale dell’occupazione). Il valore aggiunto della cultura nelle province italiane porta Macerata a svettare in settima posizione nella top ten delle province più virtuose: 7,4% di valore aggiunto e 8,3% di occupazione. E per quanto riguarda la domanda estera di cultura? L’export culturale è aumentato, tra il 2013 e il 2014, del 3,7% e nel 2014 ha registrato un attivo record di 26 miliardi di euro. A livello nazionale esportiamo oltre 43 milioni di euro di cultura e ne importiamo circa 17 milioni. Ciò vuol dire che il saldo si chiude in positivo con 26 milioni di export culturale. Nel 2015 sono state oltre 23 mila le assunzioni in questo settore da parte delle Pmi (+7% rispetto al 2014), di cui oltre 20 mila a carattere non stagionale (+20% rispetto al 2014). Di questi sono più del 50% ad aver siglato contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, il 30% sono giovani (fino a 29 anni di età) e il 45% sono figure high-skill. Nel rapporto tra pubblico e privato ad avere l’impatto maggiore nel settore culturale sono proprio le imprese, che contribuiscono ad arricchire il sistema culturale per oltre il 93% del

valore aggiunto. Mentre le istituzioni pubbliche si attestano al 3,5% e le istituzioni non profit al 2,9%. E anche sul fronte occupazionale (,1,5 milioni di occupati) a detenere il primato sono le imprese private che influiscono per il 93,4% sull’intero dato di settore. Seguono le istituzioni pubbliche con il 3,6% ed infine le non profit con il 3,1%. L’EFFETTO MOLTIPLICATORE Per ogni euro investito in cultura, ne ritornano 1,7. Quindi una filiera che, se gestita nella maniera migliore, può generare un volume d’affari di quasi il doppio del valore investito. Questo è il cosiddetto effetto moltiplicatore. Ed è piuttosto interessante andare ad approfondire il comportamento nei diversi segmenti del settore stesso. Nelle industrie creative, ad esempio, per ogni euro investito se ne attivano 2,2. Mentre il patrimonio artistico e storico ne attiva 2. Meno virtuose, invece, le industrie culturali e le performing arts che ne attivano rispettivamente 1,3 e 1,2. L’INDOTTO TURISTICO Il contributo alla spesa turistica da parte dell’industria culturale è davvero considerevole. Sempre secondo il Rapporto Unioncamere 2014, sono stati attivati dal sistema culturale ben 28,3 miliardi di euro, ovvero il 37,3%

del totale della spesa turtistica (era il 33,6% nel 2011). Nella ripartizione geografica, è l’Italia centrale a guidare la classifica con il 43,9% della spesa attivata sul totale della spesa turistica. Segue il Nord Ovest (41,9%), poi il Nord Est (36,1%) ed infine il Sud e le isole con il 30,1%. Cos’è che attira maggiormente il turista culturale? Sicuramente le città d’arte, che influiscono per il 43,4% di incidenza sul totale della spesa turistica. A parimerito le località montane e lacuali (37%). Poco distanti le località collinari e le mete religiose (34%). Le località marine, invece, incidono solo per il 31%. I PRIMATI CULTURALI DELLE MARCHE Il settore della cultura raggiunge traguardi piuttosto incoraggianti nelle Marche. Considerando l’intera filiera, il valore aggiunto del settore arriva al 20% del totale dell’economia regionale. Gli occupati, censiti al 2014, sono 48.500 (7,2% del totale). Le imprese 12.781 (7,3% del totale) e il valore aggiunto raggiunge i 2,3 miliardi di euro (6,6% del totale). Per quota di spesa turistica attivata dall’industria culturale le Marche toccano i 947 milioni di euro (51,1%). E le province ai primi posti per ruolo della cultura su valore aggiunto e occupazione sono Pesaro-Urbino (al 2° posto a livello nazionale) e Macerata (7° posto).

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“L’ARTE: IL PREMIO SERALE ALLA FATICA DIURNA” Lo spettacolo come antidoto alla crisi. Ci fa sentire come se tutto andasse bene, e tiene in allenamento il cervello. Gilberto Santini, direttore dell’Amat: “il teatro è la riscoperta di un luogo protetto per stare insieme che ci fa capire meglio il presente” di Chiara Bartolomei afferma Santini - le stagioni di prosa nei teatri marchigiani hanno registrato un aumento di pubblico con tanti giovani. E’ la riscoperta di un luogo protetto per stare insieme che ci fa capire meglio il presente”.

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l teatro oltre la crisi. I giovani riscoprono i luoghi d’arte, e si ritagliano uno spazio ideale dove cominciare a costruire i loro sogni. In un certo senso vale il refrain: “The show must go on”. Nel senso che lo spettacolo deve andare avanti, nonostante il momento economico sfavorevole. E dopo un periodo di difficoltà, il business dello spettacolo live, inteso sia come musica dal vivo che come pièce teatrale, torna a macinare biglietti. Ne sa qualcosa Gilberto Santini, da dieci anni una delle figura di spicco nel panorama teatrale nazionale. Docente di Storia del teatro e dello spettacolo presso la Facoltà di lingue e letterature straniere dell’Università di Urbino, è il direttore dell’Amat. “E’ in salute il teatro, in controtendenza rispetto alla crisi –

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Quali sono i principi secondo cui Amat va a comporre la propria stagione teatrale? “Lo sguardo fondamentale è rivolto all’identità del luogo in cui operiamo. Credo, infatti, che i tempi confusi in cui viviamo ci chiedano una grande attenzione nel far sì che le stagioni siano ‘porte aperte’ con elementi di chiara riconoscibilità per lo spettatore. La nostra proposta vuole offrire un’esperienza precisa, soprattutto positiva rispetto a ciò che uno spettatore può portarsi a casa”. Si è fatto un’idea di che cosa desidera vedere, oggi, il pubblico? “Credo inoltre ci sia una gran voglia di novità, sia da parte nostra che da parte del pubblico. Per questo cerchiamo di inserire nella stagione punti di conoscenza diversi, in modo che possa risultare un’avventura interessante”. Lei si affida ad un metodo ben preciso

per comporre una stagione teatrale? Penso che una stagione teatrale debba far leva sulla varietà. E non mi riferisco solo a certe atmosfere, sentimenti e obiettivi, ma anche ai linguaggi. Soprattutto dall’anno scorso, grazie all’input multidisciplinare dell’Amat, stiamo percorrendo e intrecciando i linguaggi teatrali con quelli della danza e della musica”. Con la crisi sono calati gli abbonati rispetto alle stagioni passate? “Direi di no. Anzi, di questi tempi si fanno gli abbonamenti alle cose che ci fanno stare bene. Il teatro è come una palestra, mantiene il cervello in movimento. Poi una stagione è sempre concepita unitariamente. Se uno la vede tutta, coglie meglio il ritmo che abbiamo scelto nel costruirla. E’ un’avventura che va oltre la visione dei singoli spettacoli”. Poi, un tempo, c’era lo spettatore casuale, quello che saltuariamente andava a teatro dopo una lunga giornata di lavoro. Quel tipo di target esiste ancora? O si è definitivamente estinto? “C’è, eccome se c’è. Nell’arte c’è qualcosa che, come diceva Savinio, può essere “il premio serale alla sua fatica diurna”.


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L’INDUSTRIA DELLO SPETTACOLO: un business che crea posti di lavoro

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uarant’anni nel business degli spettacoli. Claudio Trotta, milanese, classe 1957 e patron di Barley Arts, è l’organizzatore di concerti per eccellenza. La sua agenzia di spettacoli e produzioni è nata nel 1979. E da allora è rimasta sempre indipendente, senza farsi mai fagocitare dalle multinazionali del settore. Una voce autorevole per commentare le sorti di questo segmento produttivo e, soprattutto, per delineare i risvolti futuri di un mondo imprenditoriale tanto affascinante, quanto rischioso. Giusto per tratteggiare la figura del promoter Claudio Trotta,

di Lucia Fava a chi non lo conoscesse: stiamo parlando dell’agente italiano di Bruce Springsteen, tanto per dirne uno. Tra gli artisti di fama mondiale, sono stati della sua scuderia alcuni mostri sacri come B.B. King, Phil Collins, Billy Joel, Bryan Adams, Ray Charles, Barry White, Earth Wind & Fire, Van Morrison e molti altri. Tra gli italiani: Ligabue, Negramaro, J-Ax, Roberto Vecchioni, Renato Zero, Piero Pelu’, Francesco De Gregori, Gianna Nannini. Tutti spettacoli di dimensioni enormi. Dagli stadi ai palasport, fino ai maggiori festival su scala nazionale. Claudio Trotta ha movimentato milioni di spettatori, con un relativo

indotto per tutte le città che hanno ospitato i suoi eventi. Un esempio attuale? San Siro, luglio 2016: Trotta è costretto a raddoppiare la data dello spettacolo di Bruce Springsteen. Così al 3 luglio si è aggiunto il 5 luglio. Un totale di oltre 100mila spettatori che arrivano da tutta Italia, e che dovranno spostarsi in città con i mezzi pubblici per raggiungere lo stadio. Ma in molti dovranno anche mangiare, dormire. Insomma, usufruire di tutti quei servizi che una città può mettere a disposizione. Dunque è semplice rendersi conto di che cosa voglia dire, in termini di indotto territoriale, per una città ospitare i grandi concerti.

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FOCUSCULTURA&TERRITORIO Poi c’è tutta un’economia interna allo spettacolo, che riguarda i dipendenti di queste enormi produzioni da stadio e da palasport. A grandi linee si va da un numero di 100 unità, a circa 400 occupati in una singola data, tra palchisti, arrampichini, facchini, runner, security, fonici, elettricisti, autisti, autotrasportatori, merchandising e una miriade di altre figure coinvolte a pieno titolo nell’evento. In pratica un’industria che si muove di città in città, ad ogni data del tour. Tutto questo lo sa bene Claudio Trotta, che del settore in questione è ormai una colonna portante. “E’ il lavoro più bello del mondo, secondo me, ovviamente – dice l’imprenditore – ma è anche uno dei più rischiosi. Ci sono variabili incontrollabili che possono ogni volta mettere a repentaglio lo svolgimento di uno spettacolo. Penso al meteo, quando si sta all’aperto. Oppure ad una normale malattia dell’artista”. Non ci sono assicurazioni che possano mettere al sicuro almeno una parte delle spese? “Sì, ma si tratta, appunto, di una parte delle spese. Quando un concerto viene annullato ci sono sempre dei costi che vanno in fumo. Prima di tutto i costi di promozione”. Per quanto riguarda l’aspetto normativo e legislativo di questo settore, a che livello siamo in Italia? “Pessimo. Basti pensare che per allestire un grande spettacolo di piazza, o in uno stadio, le leggi vigenti in Italia sono le stesse di un cantiere edile. Oppure se parliamo delle autorizzazioni necessarie al controllo su spettacoli in luoghi pubblici, ci si appoggia alle norme che regolamentano le discoteche. Da questo punto di vista siamo molto arretrati rispetto ad altri Paesi europei”.

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A proposito di leggi che regolamentano il settore degli spettacoli dal vivo, lei è reduce da un’assoluzione per una condanna penale che le sarebbe piovuta addosso a causa di uno sforamento di orario di Bruce Springsteen durante uno dei suoi concerti a San Siro. Che cosa è successo? “Una situazione assurda. Ecco, parliamo ancora di leggi obsolete. In pratica l’artista aveva sforato di ventidue minuti sull’orario consentito per l’emissione sonora. Il reato in questione è di tipo penale: disturbo della quiete pubblica, una legge del Codice Rocco che risale al secolo scorso. Ma al di là di questo aspetto, è oltremodo insensato ritenere responsabile l’organizzatore del concerto rispetto ad un’inadempienza dell’artista. Comunque sono stato assolto, e il mio processo ha fatto sì che ora a San Siro si possa suonare un’ora in più. Quello che ho passato è, almeno, servito a qualcosa di positivo”.

Il mestiere di organizzatore di concerti sta diventando un percorso sempre più battuto da molti giovani. Esistono dei corsi di studio o di formazione che possano permettere ai giovani interessati di qualificarsi per intraprendere questa strada? “Assolutamente sì. Sono a conoscenza di corsi di formazione che si svolgono periodicamente tra Roma, Milano e Modena. Ma sono certo che ce ne saranno altri anche in varie città d’I-

talia. Ma oltre alla formazione, sento di dover consigliare ai futuri promoter di partire da una nicchia. Bisogna cominciare dal proprio territorio e inventarsi un format, un piccolo evento. Che ne so, una rassegna ad esempio. Oppure prendere un artista sotto la propria ala protettrice, e cominciare a procurargli i primi ingaggi. Occorre partire dal piccolo, ed essere capaci di crescere insieme al prodotto che si sta curando. Mai pensare che questo sia un lavoro dai soldi facili. Anzi, bisogna essere sempre preparati al peggio e non mollare mai. Se il lavoro svolto è di qualità, allora i risultati prima o poi arriveranno”. Quanto è cambiato questo settore negli anni? “Da quando ho cominciato io è completamente diverso. Solo soffermandosi sull’elemento della comunicazione penso al fatto che io ho mosso i primi passi nell’industria dello spettacolo quando non c’era internet, gli smartphone e nemmeno il fax. Si comunicava con il telex, o con costosissime chiamate internazionali. E poi non c’erano le conferenze di settore, quelle dove vado costantemente da 28 anni. Si tengono a Londra, e in quell’occasione si incontrano tutti gli attori principali di questo settore. Insomma, le differenze tra ieri e oggi sono abissali. Però, nonostante oggi ci siano più strumenti per comunicare, un tempo l’intera industria musicale generava molti più profitti. La discografia, ad esempio, faceva la fortuna delle etichette discografiche. Mentre con l’arrivo di internet molte piccole e grandi etichette sono state sepolte. E’ cambiato, e non poco, questo settore. Ma se si lavora con competenza, i margini e gli spazi per fare impresa ci sono ancora”.


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EFFETTO CULT, QUANDO IL BUSINESS FA FESTIVAL In migliaia da tutto il mondo per gli eventi culturali delle Marche, un fenomeno che genera indotto per milioni di euro e dà occupazione

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n palcoscenico che va da giugno a settembre, un’offerta che spazia dall’opera lirica al rock, dalla letteratura alla filosofia, con appuntamenti diffusi in tutta la Regione. Un cartellone che ogni anno richiama un pubblico di decine di migliaia di visitatori da tutta Italia e dall’estero. Una macchina organizzativa che dà lavoro a centinaia di addetti, fattura numeri da grande impresa, e crea un indotto economico per il sistema della ricettività, del commercio e della ristorazione. È la stagione dei festival culturali. Con l’estate riparte uno dei motori della soft economy delle Marche, il modello di sviluppo che contraddistingue la regione basato su cultura, paesaggio e tipicità. Dalla rassegna di nicchia, diventata anno dopo anno il ritrovo fisso degli appassionati del genere, fino al maxi raduno che richiama decine di migliaia di persone in una sola serata, i festival delle Marche coprono ogni angolo dell’offerta culturale e qualsiasi esigenza. Basta citare i nomi per riconoscere alcuni fenomeni di portata nazionale e internazionale, come il Rossini Opera Festival di Pesaro, il Summer Jamboree di Senigallia, il Montelago Celtic Festival nell’altopiano di Colfiorito, al fianco di una ricchissima agenda di appuntamenti dedicati ad un pubblico appassiona-

di Emanuele Garofalo

to ed esigente, come la rassegna del teatro d’avanguardia Inteatro di Ancona, il cartellone del jazz tra Ancona, Fano e Fermo, la filosofia declinata al contemporaneo di Popsophia, la danza di Civitanova, il raduno a Senigallia della trasmissione Radio Rai Caterpillar, la musica contemporanea di Musicultura a Macerata, la poesia di Lunaria a Recanati, il Festival Adriatico Mediterraneo che si interroga sull’identità e sulla vocazione europea di Ancona e delle Marche. Tutti insieme, i festival culturali spostano una massa critica di visitatori e turisti, un pubblico di qualità, che spesso diventa ospite fisso e affezionato a questi appuntamenti.

ROSSINI OPERA FESTIVAL Il più blasonato di questi eventi è senza dubbio il Rossini Opera Festival a Pesaro (dall’8 al 20 agosto), il mese di concerti e spettacoli nel nome del compositore pesarese. Arrivato alla sua 37esima edizione, lo scorso anno il botteghino ha registrato un pubblico di 15.810 persone e un incasso che ha sfiorato il milione di euro, a fronte di un fatturato totale di oltre 5 milioni di euro, impiegando direttamente 136 addetti alla produzione delle opere. Seconda le stime della Fondazione Rof, ogni euro di investimento pubblico ne genera altri 7 di indotto per il territorio. Numeri in crescita rispetto al 2014 e spettatori per la maggior

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FOCUSCULTURA&TERRITORIO parte stranieri, pari al 64,5% della platea, con presenze da ben 34 nazioni differenti. Un evento mondiale perciò, ampiamente coperto da stampa e media internazionali, con tanto di canale Youtube. Il programma: “La donna del lago”, Adriatic Arena (8, 11,14 e 17 agosto ore 20), “Il turco in Italia”, Teatro Rossini (9, 12, 15 e 18 agosto ore 20), “Ciro in Babilonia”, Teatro Rossini (10, 13, 16 e 20 agosto ore 20), “Il viaggio a Reims”, Teatro Rossini (12 e 15 agosto ore 11), “Florez 20”, Adriatic Arena (19 agosto ore 20,30). Mentre per quanto riguarda la parte concertistica Accademia Rossiniana, Teatro Sperimentale (18 luglio, ore 20 Concerto conclusivo), Auditorium Pedrotti (13 agosto, ore 11 Concerto vocale), Concerti di Belcanto, Auditorium Pedrotti (11 e 17 agosto, ore 16.30), Duetti amorosi, Teatro Rossini (14 agosto, ore 16), Il cerchio magico, Auditorium Pedrotti (16 agosto, ore 11), Hommage à Nourrit, Teatro Rossini (18 agosto, ore 16). Info: www.rossinioperafestival.it

suon di musica rock, ha fatto segnare veri record in questi sedici anni di storia. L’ultima edizione ha stimato 400 mila presenze durante i 10 giorni di divertimento, con un picco di 25 mila persone nel clou della festa hawaiana in spiaggia, calcolando un ritorno economico per la città pari a 2,5 milioni di euro per i commercianti e l’accoglienza dei visitatori. Alla organizzazione di questo maxi evento lavorano 120 persone ogni anno. Per di più contratti stagionali, nulla di stabile. Però, considerata la giovane età degli occupati dal Summer Jamboree, si intuisce che per i più, l’opportunità di lavorare in una struttura del genere, sia un arrotondamento estivo, ma anche un importante banco di prova per chi nella vita abbia serie intenzioni di abbracciare il mondo del lavoro in ambito spettacoli. Il Jamboree è anche un appuntamento seguitissimo e amato dal suo pubblico, anche via internet: 100 mila i followers su Facebook, 250 mila i contatti al sito, 200 le testate nazionali e internazionali che hanno seguito l’ultima edizione. Il Jamboree è diventato un vero caso

SUMMER JAMBOREE Quando si parla di grandi numeri è impossibile non ricordare il Summer Jamboree (dal 29 luglio al 7 agosto) di Senigallia. Il raduno a tema anni ‘50 a

marchigiano, citato anche dal Sole 24 Ore come esempio di soft economy. La prossima edizione si svolgerà da sabato 30 luglio a domenica 8 agosto, a cui si aggiunge un giorno di pre-fe-

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stival il 29 luglio. Il Summer Jamboree è diventato uno degli eventi di riferimento dell’estate Italiana, il pubblico è costituito in larga parte da giovani e adulti 20/45 anni e famiglie a cui si aggiungono persone più grandi con punte fino ai 60/70 anni. Ciò che tutti riconoscono al Summer Jamboree è il clima particolarmente piacevole e spensierato che vi si respira. A partire dalla piazza dedicata al palco principale (il Main Stage allestito al Foro Annonario) per arrivare alle affascinanti piazze, locations caratteristiche e vie cittadine come Piazza del Duca, Via Carducci, Piazza Simoncelli, Rocca Roveresca, Piazza Saffi, Lungomare Alighieri, Lungomare Mameli, Rotonda a mare, Teatro La Fenice. Nove giorni suonati, in cui la città intera si immerge nelle affascinanti e travolgenti atmosfere anni ’50. <<Il Summer Jamboree è un evento che nasce dalla voglia di esplorare al meglio un periodo della nostra storia in cui la cultura italiana del dopoguerra ha contribuito in parte a comporre una cifra stilistica, per di più musicale, ricnosciuta in tutto il mondo – spiegano gli organizzatori Angelo Di Liberto e Alessandro Piccinini – da un semplice evento per appassionati, molto presto il Jamboree si è trasformato in un festival enorme e di largo richiamo, incidendo fortemente sul turismo regionale. Di questo non possiamo che esserne orgogliosi, e crediamo che manifestazioni di questo calibro possano sicuramente migliorare l’immagine turistica che andremo a vendere fuori dai confini regionali e nazionali>>. Della storia del Summer Jamboree hanno fatto parte artisti considerati delle vere e proprie pietre miliari del rock’n’roll mondiale. Un esempio? Indimenticabile Jerry Lee Lewis in Piazza Garibaldi nel 2007, oppure gli Stray Cats al Foro Annona-


FOCUSCULTURA&TERRITORIO rio nel 2008. E ancora: Chuck Berry e Wanda Jackson al Foro nel 2010. I più grandi, ancora viventi, del rock’n’roll mondiale sono passati di qua. E molti altri sono in arrivo per l’edizione che prenderà il via il prossimo 29 luglio. Il programma 2016 al Foro Annonario: Gaynel Hodge (30 luglio), The Good Fellas & Dance Show (31 luglio), Rockin’ Raffi (1 agosto), Big Sandy & His Fly-Rights (2 agosto), The Bellfuries (4 agosto), Kid Ramos e a seguire WS “Fluke” Holland (5 agosto), gran finale con la Abbey Town Jump Orchestra (6 agosto). Ben 39 concerti su 3 palchi (Main Stage Foro Annonario, Kraken Stage ai Giardini della Rocca Roveresca e Via Carducci) ad ingresso gratuito. Info: www.summerjamboree.com

MONTELAGO CELTIC FESTIVAL Tra le proposte uniche nel panorama italiano, spicca il Montelago Celtic Festival (dal 4 al 6 agosto), il campeggio di tre giorni all’aria aperta nell’altopiano di Colfiorito interamente ispirato alla cultura celtica, che ogni anno richiama 20 mila persone. In tredici anni di storia, Montelago ha registrato 220 mila presenze, da tutta Europa e da 18 paesi extraeuropei. Un mito alimentato anche dal tam tam via in-

ternet, con 35 mila contatti su Facebook che fanno di Montelago il secondo festival europeo di musica celtica per numero di fan sui social network. Da questa tradizione sono nati anche tre marchi di prodotti “made in” Montelago, due birre e un idromele. Il programma prevede corsi, incontri, presentazioni di libri e attività sportive legate alla cultura e la tradizione celtica, che si svolgono ogni giorno dalla mattina al pomeriggio. Poi, dal tramonto, spazio alla musica. Info: www.montelagocelticfestival.it MUSICULTURA Dal 1990, Macerata può vantare il suo marchio di qualità nel campo della musica pop. Si tratta di Musicultura (dal 23 al 25 giugno allo Sferisterio di Macerata), la rassegna musicale di cantautori italiani dedicata alla scoperta di giovani talenti, seguita direttamente dalla Rai con migliaia di ore di collegamento radio e dirette tv. Sul palco dello Sferisterio, in 27 anni si sono alternati tutti i big della musica italiana, richiamando un totale di 180 mila presenze solo nelle serate finali. Una vera istituzione della musica, diventato un appuntamento obbligato per gli appassionati e per gli

addetti ai lavori. Oggi alla sua XXVII edizione il prestigioso Comitato Artistico è formato dal gotha della musica italiana tra cui: Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Luca Carboni, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Teresa De Sio, Niccolò Fabi, Tiziano Ferro, Max Gazzè, Giorgia, Maurizio Maggiani, Dacia Maraini, Marta sui tubi, Mariella Nava, Gino Paoli, Vasco Rossi, Enrico Ruggeri, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Antonello Venditti, Sandro Veronesi, Federico Zampaglione, Stefano Zecchi. I numeri del Festival: oltre 700 persone coinvolte nell’arco di 6 mesi fra staff del festival, volontari, addetti ai lavori, tecnici, addetti alla produzione radio e televisiva, sarte, truccatrici, falegnami e maestranze varie. Quasi 50 stagisti delle Università di Camerino e di Macerata coinvolti ogni anno in progetti speciali che li vedono protagonisti nella redazione e nella giuria del festival. Un mese di audizioni dal vivo a cavallo fra gennaio e febbraio durante le quali vengono convocati a Macerata oltre 300 musicisti provenienti da tutta Italia. Nella settimana conclusiva del festival 35mila presenze in città fra le tre serate dello Sferisterio e la settimana

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FOCUSCULTURA&TERRITORIO di appuntamenti gratuiti nel centro storico. Le strutture ricettive (hotel e ristoranti) in città e nel raggio di 30 km occupati dagli artisti ospiti del festival e dagli spettatori. In pratica un’industria che crea un giro d’affari che coinvolge tutto il territorio. In arrivo per l’edizione attuale una pletora di artisti di tutto rilievo: Gianna Nannini, Tiromancino, Eugenio Finardi, James Senese/Napoli Centrale, Simone Cristicchi, Nino Frassica, Dacia Maraini, Francesco Gabbani, Chiara Dello Iacovo. Info: www.musicultura.it

LUNARIA E da una costola di Musicultura ha preso vita il Festival Lunaria (dal 16 luglio al 4 agosto) che si svolge ogni anno, dal 1996 a Recanati. E la prossima edizione festeggerà i suoi primi 20 anni di attività con un cast del tutto eccezionale. Lunaria riprende la collaudata formula de festival “Musicultura”, sviluppandone e approfondendone i contenuti. Rispetto al “Premio”, dove la scena è condivisa da molteplici protagonisti, “Lunaria” concentra l’attenzione su due ospiti per volta. Un esponente di spicco della “canzone” ed uno della “parola”, individuati per affinità o contrasto, sono chiamati a condividere per una sera lo stesso palco e a confrontare i rispettivi codici espressivi, distanti ma imprescindibilmente legati, attin-

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gendo ad un patrimonio musicale e poetico – letterario d’eccellenza, in bilico tra tradizione e ricerca. Tra i principali live di quest’estate: sabato 16 luglio Joan Baez in concerto (biglietti circuito Amat, vivaticket.it - Info: 071.7574320), giovedì 21 lugli Luca Barbarossa e la Social Band (ingresso libero). Info: www.musicultura.it/lunaria

filosofi e l’iperspazio del contemporaneo come orizzonte. Popsophia nel 2016 si annuncia con “Il ritorno della Forza”, il nuovo tema protagonista del festival internazionale che si svolgerà dal 14 al 17 luglio a Rocca Costanza di Pesaro. Un tema sfacciatamente pop, ma, come sempre, estremamente reale. Dalla forza della Legge, alla lotta per l’egemonia tra forze culturali, politiche ed economiche. La forza della democrazia contro la forza

POPSOPHIA Tra i fenomeni emergenti c’è invece il festival del contemporaneo, Popsophia (dal 14 al 17 luglio a Pesaro). Quattro edizioni itineranti nelle Marche, da Civitanova a Pesaro, ma già entrate nel calendario degli eventi regionali. L’Istituto di ricerca informazione e statistica ha indagato il pubblico di Popsophia, rintracciando oltre 150 mila spettatori di cui il 30% da altre Regioni. Concerti, cinema, mostre e dibattiti pubblici con i big del pensiero contemporaneo hanno decretato in breve tempo il successo di pubblico e critica di Popsophia. Spade laser come penne, Jedi come

dei fondamentalismi, con la minaccia della guerra sullo sfondo. Fino alla seduzione della parte tetra della Forza,il potere senza libertà. Info: www. popsophia.it ADRIATICO MEDITERRANEO Politica, economica, cultura e sociale si intrecciano nel Festival Adriatico Mediterraneo (edizione 2016 dal 27 agosto al 3 settembre), con base ad Ancona, ma per sua natura kermesse diffusa nella Regione e con tappe internazionali in 9 paesi esteri. Dal 2007, AdMed è il festival culturale che meglio rappresenta l’identità regionale e lo slancio verso l’estero


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delle Marche. Solo nel 2015, gli spettatori coinvolti nelle iniziative del festival sono stati 55 mila, ma non è stata l’annata record: nel 2011, i 200 eventi promossi dal festival hanno richiamato 85 mila persone. Il Festival è ormai una realtà ben radicata e strutturata nel territorio, tanto che durante l’anno dà occupazione a ben 10 persone, mentre nei giorni della kermesse sono 30 le unità impiegate a tempo pieno nella produzione. “Siamo molto soddisfatti del percorso che stiamo svolgendo - spiega Giovanni Seneca, presidente dell’Associazione Adriatico Mediterraneo – negli anni si sono poste le basi per delle collaborazioni internazionali concrete, che certamente hanno dato i loro frutti. Adesso si tratta di andare avanti e l’impegno è quello di incrementare il confronto e le possibilità di collaborazioni con tutte le realtà a cui culturalmente siamo legati”. Per il biennio 2015/2016 oltre al contributo della Regione Marche e di altri soggetti sancito ogni anno attraverso con un protocollo di intesa, l’associazione Adriatico Mediterraneo si avvale

di contributi provenienti dall’unione europea come vincitore capofila di un bando EACEA-europa creativa ed è inserita in 2 progetti del distretto culturale evoluto di iniziativa e interesse regionale. Tra gli artisti che negli anni si sono esibiti ad AdMed, sono da segnalare: Emir Kusturica, Tahar Ben Jelloun, Petrag, Matvejevic, Noa, Goran Bregovic, Ute Lemper, Diamanda Galas, Petros Markaris, Charlotte Rampling, Vicente Amigo, Boban Markovic, Paolo Rumiz, Massimo Cacciari, Moni Ovadia, Giovanni Allevi, Eugenio Bennato, Paolo Villaggio, Nicola Piovani, Neri Marcorè, Dario Fo, Carmen Consoli, Teresa de Sio, Ambrogio Sparagna. Info: www. adriaticomediterraneo.eu

pagnie provenienti da 9 Paesi. Nato nel 1977 come Festival Internazionale di Polverigi (Ancona-Marche), Inteatro Festival è arrivato oggi alla sua 38esima edizione ed è la punta di diamante dell’attività estiva di Marche Teatro. Alla storica manifestazione, negli anni, sono stati ospitati più di 8.000 artisti provenienti da tutti i paesi del mondo. “Inteatro ha sicuramente contribuito a far conoscere questo territorio anche fuori dalle Marche – spiega il direttore artistico del festival e del consorzio Marche Teatro, Velia Papa - e il fatto di aver lavorato su un target di nicchia è molto importante. Parliamo di una fascia di pubblico interessata alle innovazioni culturali e artistiche. La carta vincente, per noi, è proprio la nicchia di pubblico a cui ci rivolgiamo, perché nel tempo ha capacità di incidere. Inteatro si muove su un ambito legato a territori creativi, che sono fortemente in grado di sottolineare un’immagine delle marche come territorio creativo. Riflessione che dovrebbero fare anche gli enti pubblici”. Il programma: “Jaguar” (29 giugno, Ancona / Teatro Sperimentale), “La posibilitad que desaparece frente al paisaje” (2 luglio, Polverigi / Teatro della Luna), “Balthazar” (30 giugno,

INTEATRO Storico appuntamento dedicato alle arti performative che quest’anno si tiene dal 29 giugno al 9 luglio tra Polverigi e Ancona. Un evento dal carattere innovativo e internazionale che propone in questa edizione 2016: 10 giorni di performance tra danza e teatro con 11 prime nazionali per 15 com-

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FOCUSCULTURA&TERRITORIO tra personale tecnico e organizzativo. Mentre il cast artistico, mediamente, supera i 180 artisti coinvolti. Civitanova Danza, con una media spettatori dell’85% per riempimento spazi, supera le 4mila presenze nei teatri e sfonda il numero delle 1500 persone per gli eventi gratuiti presso il Lido Cluana. Il programma: “Joseph Kids” (9 luglio, Teatro Annibal Caro), “Giselle” (16 luglio, Teatro Rossini), “Carmen” (24 luglio, Palasport Eurosuole Forum), Compagnia Blucinque e Qanat / Cirko Vertigo (6 agosto, Teatro Rossini). Info: www.civitanovadanza.it Polverigi / Teatro della Luna), “Verein zur Aufhebung des Notwendigen_A hundred wars to world peace” (3 luglio, Polverigi / Teatro della Luna), “Home Visit Europe - Europa a domicilio” (dall’1 al 9 luglio, appartamenti privati), “Happy” (2 luglio, Polverigi / Parco di Villa Nappi), “The Roots” (8 luglio, Ancona / Teatro delle Muse). Info: www.inteatro.it CIVITANOVA DANZA Dal 9 luglio al 6 agosto Civitanova Marche ospita la XXIII° edizione del festival internazionale Civitanova Danza dedicato al maestro Enrico Cecchetti. L’edizione 2016 conferma la struttura inaugurata per il ventennale: il programma - curato da Gilberto Santini, direttore AMAT - si articola in due sezioni, Festival nel festival e La notte della stella. A queste si aggiunge Civitanova Danza in famiglia, una vera e propria festa per tutta la famiglia. Le due giornate di Festival nel festival, vero nucleo progettuale della manifestazione, offrono al pubblico una maratona di danza che tocca

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tutti i teatri della città dal pomeriggio a notte fonda con prime e anteprime italiane e assolute e quattro residenze nell’ambito del progetto Civitanova Casa della Danza. Con La notte della stella Civitanova Danza offre al suo pubblico una serata all’insegna delle esperienze più popolari. La struttura di Civitanova Danza fa parte di quei contenitori che danno lavoro ad un discreto gruppo di addetti: circa 30,

MARCHE JAZZ NETWORK Al fianco dei grandi eventi, che richiamano decine di migliaia di spettatori ad ogni edizione, l’agenda marchigiana è ricca di eventi rivolti ad un pubblico appassionato e specializzato che segue e ritorna stabilmente alle iniziative. Da ricordare il circuito del Marche Jazz Network, che riunisce Ancona Jazz, Fano Jazz e Tam, Tutta un’Altra Musica. Una rete di 150 eventi all’anno, che richiamano in tut-


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to circa 35 mila presenze. Info: www. marchejazznetwork.it Ancona Jazz è tra i più longevi festival di settore: 40 anni e centinaia di concerti prodotti e organizzati nel capoluogo. L’edizione 2016 si svolgerà tra il 16 e il 23 luglio nel capoluogo marchigiano, con una preview il 1 luglio in cui si esibirà il Lena-Pietropali.Di Leonardo Trio al Roof Garden dell’Hotel SeePort di Ancona. Mentre l’avvio ufficiale del festival sarà ad opera di Stefano Bollani (16 luglio, Corte interna della Mole Vanvitelliana). Si proseguirà con: Billy Branch with Edo N’Doss Blues Quintet (17

luglio, Agritusimo Moroder di Ancona), Adam Baldych with Helge Lien Trio (18 luglio, Mole Vanvitelliana), Tonino Horta & Ronnie Cuber with Colours Jazz Orchestra (19 luglio, Mole Vanvitelliana), Dena DeRose Trio & Guests (20 luglio, Agriturismo Moroder), Fred Wesley & The New JB’s (21 luglio, Mole Vanvitelliana), Martin Wind Quartet (22 luglio, Agriturismo Moroder) e Max Ionata Hammond Trio (23 luglio, Roof Garden del SeePort Hotel). Info: www.anconajazz.com Fano Jazz by the sea, come evidenzia il nome stesso della rassegna, pone

l’accento su come la musica “colta” possa diventare un volano per un certo tipo di turismo. E infatti accanto ai nomi più blasonati della musica “nera” si affiancano alcune tra le location più suggestive della città di Fano. Il programma: Noa (22 luglio), John Scofield – Brad Mehldau – Mark Guiliana (24 luglio), The Yellowjackets (25 luglio), Volcan Trio (26 luglio), The Kenny Garret Quintet (27 luglio), Phronesis (28 luglio), Lars Danielsson Group (29 luglio), Roberto Gatto Special Project (30 luglio), No BS! Brass Band (31 luglio). Info: www.fanojazznetwork.it

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Via della Tecnica 75 60015 Falconara Marittima (AN) TEL. 071 914569


CLUB

ECONOMIA

&FINANZA


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UN’ECONOMIA MONDIALE IN LENTA RIPRESA

di Giuseppe Barchiesi Club Economia e Finanza Sida Group

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o status dell’economia mondiale è per sua stessa natura un argomento di importanza prioritaria ed indiscutibile, ma il suo moto altalenante di questi ultimi anni, in particolar modo degli ultimi trimestri, ha innalzato ulteriormente l’attenzione e l’apprensione nutrite nei suoi confronti, data la palese difficoltà che si incontra nel provare a fare previsioni che abbiano un’elevata attendibilità. A dispetto di un 2015, infatti, che è andato a chiudersi con una discreta dose di entusiasmo, il 2016 ha disilluso molti, con una doccia fredda causata dagli ulteriori cali del prezzo del greggio nonché dalla crisi dei mercati asiatici e di quello cinese in particolar modo (una recidiva di quanto visto già qualche mese prima), con la paura di una svalutazione strategica dello yuan. Ma essendo quanto mai doveroso guardare verso il futuro, comprenderne le potenziali fattezze e relegare il passato al ruolo di benchmark, ma non di guida, diventa necessario

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ponderare al meglio la situazione attuale per provare ad intravedere gli scenari a venire. Volendo sintetizzare i cardini di questa analisi, sicuramente spicca la possibilità che il petrolio rimanga debole troppo a lungo: l’ipotesi delle economie petrolifere debilitate da una prolungata depressione del loro mercato primario è sostanzialmente negativa per il nostro export, con particolare riguardo di quei prodotti a più alto valore aggiunto. E di tanti fattori che condizionano le contrattazioni, di sicuro la tensione tra Arabia Saudita e Iran fungono da ulteriore elemento di interferenza e squilibrio. Il petrolio, tuttora e per molto tempo ancora, è il vero ago che segna l’andamento e le prospettive dello sviluppo mondiale: tutti i mercati sono in qualche modo connessi ad esso, e anche solo pensando all’Italia, se da una parte il prezzo contenuto favorisce le nostre importazioni, dall’altra raffredda anche le esportazioni, con un effetto complessivo negativo sulla nostra economia.


CLUBECONOMIA&FINANZA L’economia statunitense sta lievemente rallentando, certamente non registrerà alcuna recessione, ma si tratta di una situazione che comunque preoccupa il FMI e gli operatori internazionali; la Cina, dal canto suo, rimane un osservato speciale, anche se non dovrebbero verificarsi altri tracolli come quelli registrati nel recente passato (complice anche una politica monetaria e fiscale in atto piuttosto espansive); il Giappone sta soffrendo e ha realizzato tre trimestri consecutivi di PIL negativo, ma anche in questo caso ci si può ragionevolmente aspettare un allentamento della politica monetaria e della stretta fiscale. La situazione politica ed economica europea è l’altro fattore determinante da analizzare: i flussi migratori di profughi e rifugiati hanno inasprito e rese evidenti le eterogenie di condotta dei diversi Paesi della Comunità, con un ulteriore effetto destabilizzante in una situazione già critica, data la complessiva stagnazione dei mercati interni, il problema della deflazione e le differenti velocità di ripresa riscontrabili di nazione in nazione, ma anche di regione in regione. Le tensioni e le polemiche tra la BCE, la Germania e altri Paesi europei, sul ruolo della politica nei processi di rilancio economico, non depongono a favore del fronte ot-

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timista: non significa che la situazione debba precipitare, ma che sicuramente non sarà tempestiva e reattiva come sarebbe più utile che fosse. Il Quantitative Easing sta sicuramente ottenendo risultati, ma l’inerzia del sistema è elevata e anche qui le tempistiche di reazione sembrano dilatate (fattore, questo, di estrema negatività, dato un mercato globale nettamente caratterizzato da una spiccata frenesia). L’economia europea sta dunque rialzando la testa, anche a fronte dei miglioramenti del mercato del lavoro, con conseguente aumentata fiducia e propensione al consumo e all’investimento da parte delle famiglie, ma rimane ancora vulnerabile ad eventuali ulteriori rallentamenti da parte delle economie asiatiche, ma anche a dinamiche endogene, come la potenziale uscita della Gran Bretagna dall’Area Euro. Il quadro rimane comunque positivo: politiche monetarie e fiscali più permissive sono un espediente del quale non si può sicuramente abusare, ma che può essere determinante in momenti come questi. Europa e Asia ne stanno facendo ricorso in modo deciso, gli USA sono un passo più avanti e stanno in parte perfino rientrando dalla fase permissivista, avendo già riscontrato risposte incoraggianti.

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NOVITA’ SUL FRONTE BANCARIO E CREDITIZIO. OPERAZIONI DI RISTRUTTURAZIONI

di Massimo Sbrolla Club Economia e Finanza Sida Group

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l sistema bancario europeo soffre di una profonda crisi che è costata miliardi di euro tra salvataggi pubblici e danni all’economia reale. In questo generalizzato malessere , le banche italiane stanno vivendo una fase di debolezza estrema per ragioni in parte comuni con il resto del continente , in parte specifiche del nostro mercato. Le banche italiane sono consapevoli che il sistema creditizio avrà bisogno nei prossimi anni di un forte consolidamento e di una trasformazione che può definirsi epocale. Le attività retail : conti correnti, carte, bonifici ,ecc.., saranno sempre più disintermediate e questo renderà la rete fisica ancora più inutile se non si sarà capaci di reinventarsi. E’ necessaria una vera e propria rivoluzione culturale che porti il bancario tipico ad agire come un gestore di clientela , uscendo dalla filiale ed avventurandosi nel mercato aperto; bisogna passare da una mentalità “ pro-

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duct oriented “ ad una “ customer oriented “ . La rete fisica continuerà ad avere un senso solo se riuscirà ad offrire consulenza e servizi ad alto valore aggiunto sul modello di alcune reti di private banker o di promotori finanziari. La digitalizzazione è diventata urgente ed indispensabile come lo sono il presidio dei rischi e la qualità della governance. In presenza di questa rivoluzione rimane comunque confermato il ruolo delle banche nel contesto economico mondiale e saldo il principio che le banche non possono , o meglio, non devono fallire ; infatti, molto più di altre imprese, le banche sono tra loro interconnesse e dalla loro attività dipendono le sorti dell’economia reale. Seguendo questo principio, cioè che è essenziale che le banche non falliscano, tutte le riforme e gli interventi delle varie autorità di vigilanza, puntano verso una maggiore patrimonializzazione del sistema bancario.


CLUBECONOMIA&FINANZA In un contesto in cui il margine d’interesse , che rappresenta ancora la principale fonte dei ricavi di una banca, si è andato sempre più assottigliando a causa dell’andamento dei tassi sui mercati internazionali oggi prossimi allo zero, se non in alcuni casi negativi, i bilanci delle banche si sono notevolmente appesantiti per il problema delle sofferenze ( non performance loans). Senza una soluzione sistemica , i bilanci delle banche continueranno ad essere gravati dai crediti non esigibili o esigibili solo in parte ; crediti ceduti sul mercato a tassi lasciati alla mercè del compratore . Negli ultimi mesi, infatti, i rischi di instabilità finanziaria sono cresciuti sul piano globale a causa di un deterioramento verificatosi, per motivi diversi, in ogni parte del mondo. Se i Paesi emergenti soffrono soprattutto per le conseguenze del crollo dei prezzi del petrolio e delle altre materie prime, in Europa i rischi vengono principalmente dai crediti deteriorati che ammontano ormai a ben 900 miliardi di dollari. L’Italia è il paese più esposto su questo fronte con le “sofferenze” bancarie che hanno raggiunto l’11,2 % di tutti gli impieghi rispetto, ad esempio , al 2,8 % della Gran Bretagna, al 6,7 % della Spagna , altro paese considerato malato, e al 4,3 % della media UE. In Italia Unicredit ed Intesa sono rispettivamente al 10,8 % e al !0,7 %, mentre altri Istituti più deboli sono a livelli molto più elevati. Prendiamo ad esempio il mondo delle banche di credito cooperativo, dove stanno emergendo qua e là nuove situazioni critiche. Alcune sono state risolte in silenzio a fine 2015, tramite acquisizioni da parte di Bcc più grandi , ma restano comunque, soprattutto in certe regioni del mezzogiorno, diverse aziende di credito cooperativo in situazioni tali che il loro funzionamento nei prossimi diciotto mesi è in dubbio. Da un’indagine Banca d’Italia, sono 50 le Bcc ( che rappresentano il 16 % dell’Attivo della categoria ), che presentano contemporaneamente coefficienti di capitale troppo bassi e tassi di copertura delle sofferenze inferiori a quelli medi del sistema bancario nazionale. E stiamo parlando di un mondo che oggi rappresenta pur sempre il 6 % degli attivi bancari in Italia e ben il 15 % degli sportelli. In questa chiave, c’è da apprezzare lo sforzo fatto con la riforma delle Banche di Credito Cooperativo,da poco approvata , che tende da una parte ad una maggiore patrimonializzazione delle banche più deboli e dall’altra ad un controllo sulle stesse da parte di una holding centrale con un proprio patrimonio , sottoscritto dalle varie bcc, un proprio consiglio di amministrazione e un proprio staff. Sotto questa sorte di “ ombrello “ , tutte le Bcc continueranno ad operare con la propria indipendenza ( propri manager e proprio bilancio ) ma legate da un vincolo di garanzia

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reciproca. Ovviamente non tutte le Bcc saranno considerate sullo stesso piano , ma quelle che avranno patrimoni più robusti, meno crediti in default e un governo societario sano , saranno più indipendenti, le altre saranno via via commissariate ed obbligate ad operazioni di aggregazioni e/o ristrutturazioni . Per risolvere invece la situazione delle banche più grandi , dopo quanto attuato a fine anno per la risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti, si è provveduto alla costituzione di un Fondo di investimento alternativo ( Atlante ) con la finalità iniziale di sostenere gli aumenti di capitale di Popolare di Vicenza e Veneto Banca ( totale 2,5 miliardi )per evitare una crisi sistemica in caso di mancata sottoscrizione da parte del mercato ( come già avvenuto nel caso della Popolare di Vicenza ), con perdite enormi per tutte le banche , nonché per gli stessi cittadini-risparmiatori. Ma l’obiettivo , forse più delicato, è l’abbattimento di ca. 80 miliardi lordi di crediti in sofferenza nei bilanci delle banche su un totale di 200 a livello sistema. Il meccanismo consentirà l’acquisto della parte più a rischio (“ Junior” ) di queste sofferenze che aggiungendosi alla parte “ senior “ , che sono comunque richieste dal mercato, consentirà di far uscire completamente dai bilanci i crediti in sofferenza, con valutazioni molto più alte ( 40 % è la media delle attuali valutazioni nei bilanci ) rispetto a quanto sarebbero disposti a pagare i fondi hedge che hanno fin qui avanzato proposte di acquisto a valori intorno al 20 %. Per fare un esempio, basti pensare al Monte dei Paschi di Siena per il quale si potrebbero asportare parte delle sofferenze ai prezzi di valutazione di bilancio, senza obbligare Siena a dissanguarsi in nuove violente svalutazioni ; se Siena fosse costretta a cedere tutti i suoi 46 miliardi di crediti deteriorati al valore medio del 20 % ( come è stato proposto da alcuni fondi speculativi ) , il patrimonio della banca finirebbe azzerato. Atlante dovrebbe invece comprare a prezzi più alti , potenzialmente guadagnando meno o comunque rischiando di più, in modo da evitare nuove perdite insostenibili per il sistema bancario. La dotazione iniziale di “ Atlante “ è stata all’incirca di 4,25 miliardi ( si dovrebbero raggiungere almeno i 6 miliardi in poco tempo ) che sono stati sottoscritti dalle maggiori Banche, tra cui Unicredit, Intesa San Paolo e Ubi, le grandi compagnie assicurative , come Generali, Unipol e Cattolica, alcune Fondazioni di origine bancaria e la Cassa Depositi e Prestiti. Tutta l’impalcatura è stata costruita in modo da evitare la contestazione di un aiuto di Stato che porterebbe come conseguenza perdite per gli investitori e i risparmiatori , il che farebbe saltare l’intero progetto. A

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CLUBECONOMIA&FINANZA questo punto non possiamo che augurarci che il meccanismo funzioni e che i bilanci degli Istituti di credito possano gradualmente ripulirsi di un fardello che non permette ancora di riprendere la piena attività. Come se tutto ciò non bastasse, per gli Istituti di credito si è aperto anche il tema del peso delle obbligazioni pubbliche nei propri bilanci. In sostanza, alcuni paesi dell’eurozona, Germania ed Olanda in testa, chiedono di porre dei limiti all’ammontare di debito pubblico nei portafogli delle banche, sostenendo che questa è una condizione necessaria prima di adottare una assicurazione unica sui depositi o di dotare il Fondo di risoluzione bancaria di un paracadute finanziario. In pratica i rischi delle banche europee , dicono i tedeschi, si possono anche condividere, ma prima vanno ridotti, e un eccesso di titoli di stato nei loro portafogli rappresenta un rischio troppo elevato. Le proposte sul tavolo presentate all’Ecofin il 22 e 23 aprile erano sostanzialmente tre: lasciare tutto così com’è ; introdurre un tetto al possesso di titoli di Stato da parte delle

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banche; attribuire a quei titoli un certo grado di rischio che renderebbe necessari adeguati accantonamenti in bilancio come si fa con i prestiti alle imprese. Ovviamente queste ipotesi, se applicate, avrebbero effetti molto diversi da paese a paese, ma comunque molto rilevanti. Per il momento il Consiglio informale dei ministri delle finanze europei, ad Amsterdam , ha rigettato la richiesta della Germania , appoggiata da alcuni paesi del Nord Europa, di mettere un freno se non un tetto al possesso di Titoli di Stato da parte delle banche, ma il dibattito rimane aperto e rallenta comunque la realizzazione del terzo pilastro dell’unione bancaria europea , cioè la garanzia comune dell’eurozona sui depositi bancari, realizzazione che sta molto a cuore alla BCE che vorrebbe che la ponderazione dei titoli pubblici nei bilanci e la condivisione del rischio, cioè la garanzia sui depositi, debbano procedere in parallelo. E’ una disputa complicata che influirà sul futuro dell’Eurozona e che per ora, è del tutto aperta.


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IL COLLEGAMENTO TRA RICAVI (OUTPUT) E COSTI (INPUT) AZIENDALI, GLI STRUMENTI GESTIONALI (TECNOLOGIA) E LA GESTIONE DELLE RISORSE

di Flavio Guidi Club Economia e Finanza Sida Group

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el processo mentale che governa la gestione sta prepotentemente prendendo posto l’interconnessione diretta tra i ricavi (o prestazioni) e gli strumenti gestionali e tra i costi relativi alla produzione dell’output aziendale e gli strumenti gestionali. Il fine ultimo di ogni azienda è la produzione di ricavi ad un costo sempre più basso. Tutta l’attività mentale, tecnologica e di utilizzo delle risorse dell’azienda deve essere direttamente connessa con questi due fattori del sistema aziendale. L’ottimizzazione del volume dei ricavi e la minimizzazione dei costi per produrre i volumi deve essere posta alla base di ogni attività mentale di governo dell’azienda. Que-

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sti due fattori rappresentano la base, il punto di partenza e di riferimento di ogni processo di ricerca, speculazione, elaborazione e decisione di breve, medio e lungo periodo. Tutta la filosofia di gestione deve essere fortemente basata su questi due obiettivi o variabili del sistema e trovare in queste due componenti la risposta di miglioramento, di inizio e di orientamento del processo cognitivo. L’utilizzo della conoscenza, delle competenze e della tecnologia deve trovare la sua diretta connessione con queste due componenti del sistema. Rispettando questa prassi, infatti, si soddisfa il principio della funzionalità del sistema azienda, sia essa privata che pubblica. Nell’azienda pubblica avremo, al po-

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sto dei ricavi, il volume e la qualità delle prestazioni. Queste riflessioni possono sembrare banali e scontate, ma è proprio su questa consapevolezza che le grandi aziende stanno basando i loro stili comportamentali di gestione. I big data, gli analysts e le tecnologie web stanno facendo emergere sempre più l’importanza di questa connessione diretta. Essa, nelle organizzazioni evolute, è il fondamento e la base di riferimento e di rispetto di ogni attività gestionale. Non solo più i costi, ma ancor prima i ricavi. L’attività di apprendimento, reclutamento, selezione, formazione, ricerca, orientamento, organizzazione, comportamento e gestione deve trovare il suo riferimento fondamentale nei maggiori ricavi. La connessione diretta porta alla sintesi e velocizza i processi e le attività, evitando dispersioni e distrazioni e favorendo semplificazioni efficaci e normalizzazioni organizzative, accrescendo la coerenza comportamentale e la convergenza verso un’unità di pensiero, di decisione e di azione. Al centro resta sempre l’obiettivo dei ricavi, dei volumi e dei margini, dove i margini sono la differenza tra il volume di ciò che si produce e il costo necessario per produrre quei ricavi o prestazioni. Il riferimento diretto e immediato ai ricavi e

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ai loro volumi semplifica e purifica il pensiero da ogni divagazione mirante a non soddisfare le esigenze motivazionali che non sono coerenti con gli obiettivi fondamentali. L’organismo azienda si alimenta di risorse che sono umane e materiali (macchine, tecnologie, organizzazioni, processi) e ogni scelta e decisione deve trovare la sua base e risposta positiva nel volume dei ricavi e nel relativo margine. Al centro di ogni attività cognitiva e di ogni comportamento deve trovare posto il volume dei ricavi e del margine. Il rispetto della qualità rapportata al mercato è considerata una declinazione scontata o necessaria. Se pensiamo ad un processo di reclutamento e di selezione, ponendo l’attenzione ai ricavi, cercheremo persone fortemente orientate, capaci e competenti a soddisfare questa esigenza primaria. Pensiamo alla scelta di tecnologie e innovazioni, esempio allo sfruttamento delle conoscenze, del linguaggio, all’utilizzo di dati, delle risorse interne o esterne, all’apprendimento, all’orientamento, alla formazione, alla strutturazione organizzativa, alla velocità nei processi decisionali e comunicativi: tutto deve far riferimento al volume dei ricavi e dei margini, nello spazio e nel tempo.


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MANIFATTURIERO E SERVIZI “L’IMPRESA NUOVA”

di Osvaldo Fanella Club Economia e Finanza Sida Group

“Spesso una cosa buona non ci piace quando non ne siamo all’altezza” E Nietzsche

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osa è successo in questi ultimi anni, e ancora sta succedendo, nel mondo manifatturiero italiano? Quali difficoltà affrontano e quali esigenze specifiche esprimono le piccole e medie imprese? L’immagine offerta dalle più recenti ricerche presenta luci e ombre. Da un lato i dati sembrano accreditare la tenuta sui mercati esteri e un diffuso impegno sull’innovazione, soprattutto di prodotto. Dall’altro mostrano un sistema organizzativo poco evoluto, scarsamente capace di utilizzare le tecnologie di comunicazione, orientato ancora al modello dell’impresa familiare. Ed in più, specialmente in quelle di più piccola dimensione, una ancora insufficiente capacità di strutturare i rapporti con il settore della finanza agevolata e del

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credito in genere. Un diffuso attardarsi su posizioni di business model che non sembrano agganciarsi saldamente ai nuovi filoni di sviluppo organizzativo e di mercato. Sulla base di questa premessa, appare chiara la rilevanza assunta dal tema dell’innovazione nel processo di rinnovamento che stanno compiendo i sistemi produttivi, in particolare i sistemi territoriali. Processo che richiede la partecipazione a reti di collaborazione tra imprese tramite l’allungamento delle filiere oltre i confini aziendali. E’ il concetto di extended enterprise “azienda estesa”: l’impresa oggi si trova, e ancor più si troverà domani, a competere su scenari complessi e ricchi di relazioni con l’ambiente interno, con il mercato ed i clienti, con i fornitori, con i partner produttivi e commerciali, con gli organismi di categoria e le istituzioni.

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CLUBECONOMIA&FINANZA Sorge quindi la necessità di permettere una più stretta interazione ed integrazione che travalichi i confini spaziali dell’azienda e che le consenta di essere un sistema aperto: e questo perché è improbabile, ovvero troppo oneroso se non addirittura rischioso, che un’impresa possa disporre al suo interno di tutta la conoscenza di cui necessita nella competizione a cui è chiamata. Da qui l’importanza che assume la presenza di un terziario efficiente per ogni area specifica, dalla formazione alla logistica, dalla finanza ai trasporti, dalla tecnologia della comunicazione e dei processi allo sviluppo delle risorse umane e dell’organizzazione. A questa opera di rinnovamento e potenziamento del sistema produttivo manifatturiero e non, possono senza dubbio contribuire le organizzazioni di servizi, nella misura in cui esse si caratterizzeranno come centri di competenza, con il compito di aiutare le aziende a realizzare un sistema impresa organizzativamente e tecnologicamente evoluto, in grado di animare e orientare la rete di “vicinanza” al mercato e sviluppare “ l’impresa nuova “ di cui abbiamo accennato sopra. Essa dovrà strutturarsi armonicamente in una articolazione flessibile, leggera, connessa e sempre aggiornata, reattiva ai cambiamenti ed in grado di anticiparli, collaborativa e collegata ai fornitori ed ai partner esterni tramite forme strategiche di outsoursing e di alleanze/collaborazioni/ accordi, sia con partecipazione di capitali (accordi equity) sia senza. Accanto a queste forme di partnership può rivelarsi opportuno svilupparne altre di natura consulenziale, basate su un concreto valore professionale ed un reale rapporto fiduciario. Intorno alle difficoltà del mondo produttivo nascono, pertanto, nuove opportunità l’offerta di servizi di qualità alle imprese (soprattutto piccole e medie) capaci di supportarle nella difficile sfida globale diventa strategico per lo sviluppo del business di queste ultime. Quale ruolo, allora, per l’impresa di servizi? Come può aiutare le aziende clienti nella loro difficile sfida? Come deve attrezzarsi per creare vantaggi competitivi? L’esperienza ci insegna che, in questo ambito, due sono le direttrici di sviluppo che iI contesto competitivo sembra indicare: 1. un modello organizzativo sostenuto da quattro pilastri:

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a. qualità delle persone e dell’organizzazione. L’azienda, qualsiasi azienda di qualsiasi settore, è innanzitutto un serbatoio di competenze (competenze individuali) che - in virtù delle relazioni tra individui - permette di sedimentare nuova conoscenza, che non appartiene più ai singoli ma diventa patrimonio aziendale e si manifesta nello svolgersi integrato delle attività e dei processi (competenze organizzative). b. infrastutture e processi interni fortemente digitalizzati c. soluzioni innovative e di qualità, con pricing a misura di prestazione/risultato. In questi tempi di aumento di costi ed intensa competizione, è notevole la difficoltà di differenziare i propri servizi da quelli della concorrenza: finché i clienti non percepiscono differenze tra i servizi delle diverse società, non prestano attenzione al fornitore bensì al prezzo. L’alternativa alla competizione sul prezzo risiede nello sviluppo di un’offerta, di un’erogazione e di un’immagine differenziate e di qualità. E’ necessario pertanto che le strategie gestionali delle aziende di servizi mirino ad eccellere in tre aree chiave: la differenziazione competitiva, la qualità del servizio e la produttività sostenibile. d. un sistema di marketing capace di valorizzare, oltre le soluzioni, la prossimità con il cliente e la sua possibilità di interazione con il “competenze center” della società. 2. la creazione di alleanze strategiche, che permettano di implementare un network consulenziale aggregato ed organico, dove si apra l’opportunità di trovare nuovi prodotti /servizi per il proprio mercato e nuovi mercati peri propri prodotti/servizi. In più con il vantaggio di entrare a far parte di un network esclusivo, che crea relazioni e diventa un market piace unico sul territorio Nella navigazione di questo mare, un ruolo di ammiraglia Io possono sostenere le società di consulenza, soprattutto quelle che offrono servizi nelle aree chiave aziendali Se sapranno sviluppare la loro strategia gestionale lungo le direttrici della vicinanza e del rapporto di fiducia con i committenti, del supporto ad essi nella comprensione del servizio, della ricerca di soluzioni innovative e di qualità, di un pricing a misura di prestazione/risultato, potranno fare della loro offerta di valore un progetto vincente per se stesse e, soprattutto, per le imprese clienti.


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DIETA MEDITERRANEA E SISTEMA AGROALIMENTARE DI QUALITÀ di Vilma Mazzocco Management Academy Sida Group - Responsabile area agroalimentare

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’anno 2015 per il settore agroalimentare è stato positivo sia nei mercati esteri sia in quello interno. Il consumo di prodotti alimentari made in Italy nel mondo segna il record storico e spinge verso l’alto il fatturato del comparto agroalimentare italiano, offrendo opportunità di rinnovamento e sviluppo del settore forse irripetibili. L’anno di Expo ha fatto bene al settore agroalimentare del nostro Paese. L’effetto combinato della grande manifestazione organizzata a Milano, che ha acceso le luci dei riflettori del palcoscenico mondiale sulla cucina italiana, e della ripresa dei consumi interni ha portato al record storico di export agroalimentare e a un fatturato totale dell’agroalimentare italiano che raggiunge i 135 miliardi. L’agroalimentare, secondo comparto manifatturiero made in Italy per valore, svolge un effetto traino unico sull’intera economia per l’impatto positivo di immagine sui mercati esteri dove il cibo made in Italy è sinonimo di qualità. Non si è mai consumato così tanto made in Italy alimentare nel mondo come nel corso del 2015. Il made in Italy piace sempre di più all’estero e in Italia torna la dieta mediterranea. Le esportazioni del comparto

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hanno infatti segnato un nuovo record storico, rispetto al 2014, a circa 36 miliardi di euro (+7 per cento), con aumenti che vanno dall’11 per cento per l’ortofrutta al 10 per cento per l’olio di oliva, dal +9 per cento per la pasta al +6 per cento per il vino. Quest’ultimo ha realizzato il record storico con un preconsuntivo annuale di 5,4 miliardi di fatturato realizzati oltre i confini nazionali, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Istat relativi ai primi 10 mesi del 2015. A favorire un tale andamento positivo la ripresa dell’economia internazionale e i tassi di cambio favorevoli su mercati importanti come quello statunitense. Non di meno, è la conferma che L’Italia ha saputo cogliere l’opportunità di Expo per raccontare al mondo il modello agroalimentare e i suoi valori unici. Inoltre bisogna sottolineare che l’agricoltura italiana ha il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp che salvaguardano tradizione e biodiversità, ha la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico, ha la più vasta rete di aziende agricole e mercati di vendita a chilometri zero, ma ha anche la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma e non ci sono coltivazioni di

organismi geneticamente modificati. La svolta si è fatta sentire anche all’interno dei confini nazionali dove, spinta anche dall’effetto dei dibattiti legati all’Expo sull’alimentazione di qualità, è tornata alla ribalta in maniera prepotente la dieta mediterranea, con un aumento che va dal 4 per cento negli acquisti di frutta al 17 per cento per quelli di olio di oliva. Crescono anche la spesa per il pesce (+5 per cento), per gli ortaggi freschi e per la pasta secca (+1 per cento), in netta controtendenza rispetto agli anni della crisi dove si era registrato un drastico crollo. I consumi alimentari degli italiani nel 2015 dopo sette anni di calo tornano a salire debolmente dello 0,3 per cento, ma con un deciso orientamento a privilegiare cibi salutari per una maggiore consapevolezza dello stretto rapporto tra alimentazione e benessere. Per sostenere questa domanda di qualità il 2014 ed il 2020 saranno disponibili quasi 21 miliardi di euro per il sistema agricolo con interventi regionali per l’insediamento dei giovani, l’ammodernamento delle imprese e per il sostegno delle filiere. Un flusso di risorse finanziarie occasione importante e forse irripetibile per sostenere il grande sforzo di rinnovamento dell’agricoltura italiana e la competitività delle imprese.

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POLITICA DI SVILUPPO RURALE DELL’UE, FEASR E PROGRAMMI DI SVILUPPO RURALE di Vilma Mazzocco Management Academy Sida Group - Responsabile area agroalimentare

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a Strategia Europa 2020 indica che la futura crescita economica nell’Unione europea dovrebbe essere intelligente, sostenibile e inclusiva. La Strategia è incentrata su cinque traguardi ambiziosi in materia di occupazione, istruzione, riduzione della povertà e clima/energia, per i quali fissa specifici obiettivi principali. In linea con la strategia Europa 2020 e con gli obiettivi generali della riforma della PAC (Politica Agricola Comune), è possibile individuare tre obiettivi strategici a lungo termine per la Politica di sviluppo rurale dell’UE nel

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periodo 2014-2020: • stimolare la competitività del settore agricolo • garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima • realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e comunità rurali, compresi la creazione e la difesa dei posti di lavoro. La Politica di sviluppo rurale si è rafforzata e confermata come secondo pilastro della PAC. Con la riforma si è voluto migliorare la competitività del settore agricolo e forestale, rafforzare i legami tra l’attività primaria e l’ambiente, migliorare la qualità del-

la vita nelle aree rurali, dare impulso alla cooperazione e all’innovazione e incentivare la diversificazione dell’economia nelle comunità rurali. La Politica agricola e rurale svolge un ruolo fondamentale nella coesione territoriale, economica e sociale dell’Unione e nella protezione dell’ambiente. Assieme alle misure di mercato (primo pilastro), la politica di sviluppo rurale (secondo pilastro) è diventata una componente essenziale del modello agricolo europeo fondato sulla multifunzionalità dell’attività agricola. Il suo obiettivo principale è di creare un quadro coerente e sostenibile che salvaguardi il futuro delle


SPECIALEAGROALIMENTARE aree rurali, basandosi in particolare sulla sua capacità di fornire una gamma di servizi pubblici che trascendono la semplice produzione di alimenti e sulla capacità delle economie rurali di creare nuove fonti di reddito e di occupazione proteggendo la cultura, l’ambiente e il patrimonio delle aree rurali. Nell’ambito del Programma finanziario pluriennale 2014-2020, il FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale) è stato dotato di 85 miliardi EUR. Il FEASR contribuisce alla realizzazione della Strategia Europa 2020 promuovendo uno sviluppo rurale sostenibile in tutta l’Unione europea, a complemento degli altri strumenti della PAC, della politica di coesione e della politica comune della pesca. Per conseguire gli obiettivi corrispondenti alle sei aree prioritarie, gli Stati membri hanno elaborato un Programma di sviluppo rurale basato su un insieme di misure: a. Innovazione e trasferimento delle conoscenze Questo obiettivo fondamentale (e più specificamente il previsto Partenariato europeo per l’innovazione «PEI» in materia di produttività e sostenibilità agricola) deve essere raggiunto attraverso varie misure di sviluppo rurale come il «trasferimento di conoscenze», la «cooperazione» e gli «investimenti in immobilizzazioni materiali». Il PEI intende promuovere l’efficienza nell’uso delle risorse, la produttività e uno sviluppo dell’agricoltura e della silvicoltura a basse emissioni, rispettoso del clima e resistente al cambiamento climatico. Introduce misure rafforzate nel settore dei servizi di consulenza destinati alle aziende agricole (incluse misure atte a promuovere l’attenuazione del

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cambiamento climatico e l’adattamento a quest’ultimo, ad affrontare le sfide ambientali e a dare impulso allo sviluppo economico e alla formazione professionale). b. Investimenti, ammodernamento, ristrutturazione delle aziende agricole, giovani agricoltori e piccoli agricoltori Nel campo della ristrutturazione delle aziende agricole, degli investimenti e dell’ammodernamento sono disponibili misure che includono aliquote di sostegno più elevate quando son o collegate a progetti PEI o a progetti connessi. Per i giovani agricoltori è disponibile una serie di misure che include sovvenzioni per l’avviamento di imprese (fino a 70 000 EUR), investimenti generali in immobilizzazioni materiali, servizi di formazione e di consulenza. Ai piccoli agricoltori sono offerti aiuti all’avviamento (fino a 15 000 EUR) o misure di ristrutturazione. c. Pagamenti agro-climatico-ambientali, agricoltura biologica e Natura 2000 È disponibile una serie di pagamenti agro-climatico-ambientali al fine di preservare e promuovere i cambiamenti necessari nelle pratiche agricole che apportano un contributo positivo all’ambiente e al clima. Queste misure devono essere incluse nei programmi di sviluppo rurale, ponendo l’accento su contratti comuni, su un’adeguata formazione/informazione e una maggiore flessibilità al momento di prorogare i contratti iniziali. Inoltre, viene introdotta una misura distinta per sostenere l’agricoltura biologica. d. Sistemi di qualità Si devono destinare fondi per sostenere la partecipazione degli agricoltori a sistemi di qualità come la denominazione di origine protetta (DOP), l’in-

dicazione geografica protetta (IGP) e la specialità tradizionale garantita (STG), nonché a sistemi di etichettatura biologica, inclusi i regimi di certificazione agricola riconosciuti dagli Stati membri. Questo aiuto si limita a 3 000 EUR per azienda. e. Sistema di gestione dei rischi Le assicurazioni e i fondi di mutualizzazione per i danni alle coltivazioni causati dalle condizioni metereologiche o da malattie animali (attualmente disponibili nel quadro del primo pilastro in virtù dell’articolo 68 del regolamento (CE n. 73/2009) sono estese in maniera da includere un nuovo strumento di stabilizzazione del reddito sotto forma di contributi finanziari a fondi di mutualizzazione che offrono un risarcimento agli agricoltori colpiti da un drastico calo del reddito (fino al 70% delle perdite qualora il reddito cali del 30%). f. Organizzazione dei produttori È concesso un sostegno alla creazione di organizzazioni dei produttori, sulla base di un piano d’attività e limitato a entità definite come PMI, allo scopo di adeguare la produzione e i prodotti dei soci alle esigenze del mercato, di permettere la commercializzazione in comune, di centralizzare le vendite e di assicurare la fornitura all’ingrosso nonché di migliorare l’organizzazione e i processi innovativi. g. Boschi, zone montane e zone soggette a vincoli naturali Occorre rafforzare le misure forestali e offrire un sostegno più lineare attraverso sussidi e pagamenti annuali. Per le aree montane e le terre agricole a nord del 62º parallelo, si possono concedere aiuti fino a 450 EUR/ettaro (un aumento rispetto ai 250 EUR/ ettaro). Entro il 2018 si applicheranno

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SPECIALEAGROALIMENTARE nuove delimitazioni per le aree soggette ai vincoli naturali basate su otto criteri biofisici. Al fine di preservare o migliorare l’ambiente in determinate aree, gli Stati membri si riservano il diritto di definire aree soggette a vincoli naturali fino al 10% delle superfici agricole. h. LEADER, servizi di base e attività non agricole Viene posta una maggiore enfasi sull’approccio LEADER, sulla sensibilizzazione e su altre forme di sostegno preparatorio a favore di strategie di promozione della flessibilità a operare con altri fondi a livello locale, come la cooperazione urbano-rurale. LEADER sarà ormai l’approccio comune a uno sviluppo locale di tipo partecipativo finanziato dai seguenti fondi PEI: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) e il Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (FEASR). I servizi di base e il rinnovamento dei villaggi, come gli investimenti nell’infrastruttura a banda larga e nell’energia rinnovabile, possono andare oltre la rilocalizzazione di attività su piccola scala o la riconversione degli edifici, attualmente previste.

PSR MARCHE 2014 - 2020

I fondi possono anche essere utilizzati per attività non agricole collegate alle comunità rurali. Nell’ambito dei rispettivi Programmi di sviluppo rurale, gli Stati membri e le Regioni hanno fissato gli obiettivi quantificati in relazione alle esigenze del territorio interessato dal PSR.

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LE MARCHE E LA CORSA AL BIO Attualmente sono 2.449 le aziende agricole biologiche sul territorio con una superficie a conduzione biologica regionale di 57.030 ettari pari al 12,74% della superficie agricola utilizzata (SAU) regionale, su una media nazionale dell’11,17%.

L’

aumento esponenziale della domanda di prodotti biologici da parte dei consumatori ha bisogno di un sostegno strategico attraverso la conversione di altre superfici a questo metodo di produzione. La Regione Marche sta perseguendo questo obiettivo attraverso specifici bandi e con incentivi per la creazione di filiere bio locali e regionali, per la stesura di accordi agroambientali d’area (per la

di Andrea Maccarone tutela delle acque e della biodiversità) e per la promozione dei bio-distretti agroalimentari di qualità e rurali. “Come regione Marche siamo tra i primi in Italia a dare specifica attenzione alla necessità di forme di aggregazione più estese come le filiere – spiega l’assessore regionale all’agricoltura Anna Casini - in grado di garantire al consumatore prodotti certificati e di promuovere i territori di provenienza”.

Dunque, tradotto in azioni concrete, quali sono gli strumenti per il conseguimento dell’obiettivo, e gli effetti sull’economia e sul territorio? “L’aumento esponenziale della domanda di prodotti biologici da parte dei consumatori ha bisogno di un sostegno strategico attraverso la conversione di altre superfici a questo metodo di produzione. E’ quanto abbiamo rilevato negli incontri con il partenariato e gli operatori nella fase di predisposizione del PSR 2014/2020.

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SPECIALEAGROALIMENTARE La Regione Marche sta perseguendo questo obiettivo attraverso specifici bandi e con incentivi per la creazione di filiere bio locali e regionali, per la stesura di accordi agroambientali d’area (per la tutela delle acque e della biodiversità) e per la promozione dei bio-distretti agroalimentari di qualità e rurali. Ritengo che questa sia la giusta direzione per dare forza a un nuovo modello agricolo basato sull’approccio agroecologico in grado di rispondere sia alla domanda di cibo buono e sano a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente, sia alla necessità di mitigazione del cambiamento climatico. Si tratta inoltre di offrire nuovi spazi economici e di lavoro ai giovani, salvaguardando al contempo le produzioni non OGM, che possono costituire il volano per dei nuovi processi di sviluppo locale. Fino al 2020 quindi, la Regione Marche in base a quanto previsto dalla programmazione del Piano di sviluppo rurale, erogherà in questo settore contributi per 80milioni di euro”. Recentemente, lei e il presidente Ceriscioli, avete preso parte all’incontro “Il biologico, futuro delle Marche”. Come può, questo segmento del settore agroalimentare, definire realmente gli scenari futuri regionali? “Oggi c’è grandissima attenzione al settore sia in termini di tutela dell’ambiente e del paesaggio oltre che di attenzione alla salute. E’ dimostrato scientificamente, infatti, che il primato della longevità che questa regione vanta è strettamente connesso alla qualità della vita e dell’alimentazione. Le Marche inoltre sono state delle vere e proprie pioniere del biologico sin dal 1978, quando cominciò a diffondersi questo metodo di produzione sul territorio regionale. In questi trent’anni nelle Marche,

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la pratica colturale si è diffusa rapidamente. Attualmente sono 2.449 le aziende agricole biologiche sul territorio con una superficie a conduzione biologica regionale di 57.030 ettari pari al 12,74% della superficie agricola utilizzata (SAU) regionale (media nazionale: 11,17%). Oggi, grazie all’evoluzione delle tecniche di coltivazione che hanno permesso di ridurre le differenze di produzione con le colture convenzionali e grazie all’aumento della richiesta di tali prodotti da parte

ti nella Regione Marche nel 2014 (3° regione in ambito nazionale dopo Toscana ed Emilia Romagna). In sintesi il settore continua a dare segnali positivi: lo confermano i dati elaborati dal SINAB, il Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica, sulla base delle informazioni trasmesse da Organismi di Controllo e i dati regionali e nazionali di Sib relativi al 2015. Anche i consumi proseguono la loro crescita, con un incremento nel 2015 compreso tra il 15 ed il 20%.

dei consumatori, si sta assistendo ad una nuova prospettiva per il settore biologico. Oltre alla produzione di alimenti di alta qualità inoltre, gli agricoltori biologici, nell’ambito della multifunzionalità aziendale, forniscono anche altri servizi come ad esempio quello dell’ospitalità che si realizza in 168 strutture aziendali pari al 18,4% dei 913 agriturismi operan-

Sicuramente tale progressione è stata favorita dal leggero miglioramento del quadro economico generale, ma anche e soprattutto da una consapevolezza e informazione più diffusa tra i consumatori. Nel primi mesi di quest’anno gli acquisti di prodotti bio sono ancora in aumento”. Quali i principali asset strategici su cui


SPECIALEAGROALIMENTARE la Regione ha improntato le politiche di settore? “Le politiche dell’agricoltura fanno riferimento al Piano di sviluppo Rurale 2014-2020, un documento di programmazione importantissimo che prevede un budget, nei prossimi sette anni, di 538 milioni di euro. Le risorse saranno destinate alla competitività dell’agricoltura marchigiana, alla gestione sostenibile delle risorse naturali, alla mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, all’innovazione, e allo sviluppo inclusivo delle zone rurali. Solo nel corso del 2014 sono stati iniettati nel sistema economico regionale ben 100 milioni di euro. Per quanto riguarda la nuova programmazione 2014-2020, la celere approvazione del provvedimento ha consentito di garantire l’immediata uscita dei bandi più attesi dalle imprese agricole regionali. Dopo il pagamento di 100 Meuro del vecchio PSR, in cinque mesi del 2016 sono stati approvati 25 bandi per 170 Meuro. In particolare sono stati già emanati il bando per il sostegno all’agricoltura biologica (30 milioni di Euro), quello per il finanziamento degli investimenti produttivi aziendali (22 milioni di Euro) e quello per il ricambio generazionale (25 milioni di euro)”. Sono molti i giovani che si lanciano in esperienze imprenditoriali legate alla terra. E’ possibile avere una stima del fenomeno, e una relativa analisi? “Tenuti ai margini del mercato del lavoro, in difficoltà a tenere il passo a causa della crisi se titolari di imprese, i ragazzi riscoprono la campagna. Il “rinnovamento” del settore agricolo marchigiano è quindi l’obiettivo principale che la misura Giovani del Piano di sviluppo rurale 2014-2020 si pone sostenendo l’insediamento di giovani capoazienda. Attualmente

infatti, il 70% degli imprenditori agricoli marchigiani, ha più di 54 anni. Il ricambio generazionale ha anche un risvolto economico poiché i giovani imprenditori sono maggiormente propensi ad innovare, diversificare, formarsi ed informarsi utilizzando anche strumentazioni informatiche e telematiche. Inoltre l’insediamento di giovani comporta anche una maggiore probabilità che la comunità locale resti attiva e proiettata verso il futuro. Con questo bando verranno premiati i progetti che dimostrano una validità e qualità dell’idea imprenditoriale e la prospettiva di un aumento dell’occupazione in linea con l’obiettivo di introdurre innovazione e competitività nel settore agricolo regionale e opportunità per il territorio. Viene inoltre considerata l’ubicazione attraverso una premialità alle aziende in area montana, dove il problema della progressiva diminuzione dei residenti è più sentito ed ha ripercussioni negative anche sulle attività economiche e sociali. Già con il vecchio Psr le imprese giovani hanno effettuato investimenti per 107 milioni di euro. Per il bando appena scaduto sono arrivate 350 domande per un contributo totale richiesto di oltre 70 milioni di euro a fronte di investimenti da realizzare per circa 109 milioni”. Qual è, secondo lei, la principale motivazione di questa grande escalation dell’export agroalimentare marchigiano? “La qualità è la chiave del successo. Le nostre produzioni presentano una serie di eccellenze, libere dagli ogm e con filiere sempre tracciabili, che nel 2015 hanno garantito al nostro export performance al di là delle aspettative sui mercati italiani e soprattutto esteri. Nel terzo trimestre del 2015 le esportazioni regionali di prodotti

agroalimentari sono cresciute complessivamente del 15 %, salendo a quota 269,5 milioni di euro, in controtendenza rispetto al dato generale (secondo un’analisi Coldiretti sui nuovi dati sul commercio estero diffusi dall’Istat). Questi dati ci confortano e ci spingono a proseguire nella direzione intrapresa dalla Regione Marche di valorizzazione e sostegno del settore soprattutto grazie alle misure del Piano di sviluppo rurale 2014-2020. L’auspicio è utilizzare al meglio queste risorse per continuare a garantire la qualità dei nostri prodotti, la produzione biologica, gli investimenti per l’innovazione delle imprese e il ricambio generazionale e la promozione in Italia e all’estero”. Il turismo internazionale riscopre le colline e le zone interne, proprio grazie alle peculiarità enogastronomiche e agroalimentari. Se questo è un giusto percorso da battere, per l’incremento di un indotto turistico che farebbe molto bene alle Marche, come pensa si dovrebbe gestire la comunicazione riguardo il turismo legato al food? “Abbiamo numerose eccellenze di produzione e una tradizione culinaria che ritengo siano anche una opportunità per questo territorio. Ambiente, paesaggio, enogastronomia, cultura sono il nostro “tesoretto” rispetto alle difficoltà della crisi delle pmi. Questo territorio è un brand e va difeso con grande senso di responsabilità stando in questa partita con correttezza, coerenza e impegno. Le azioni di promozione più utilizzate consistono nelle attività di comunicazione e informazione, degustazioni, partecipazione a fiere di interesse internazionale, workshop, incoming. Usa, Cina, India, Canada, Giappone, Svizzera sono i Paesi target delle azioni soggette a sostegno”.

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MADE IN ITALY NEL SETTORE AGROALIMENTARE di Giulio Guidi Responsabile Management Academy Sida Group

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l comparto agroalimentare è un‘insindacabile colonna portante del Made in Italy, garantendo il successo del sistema produttivo italiano sia sul mercato locale che su quelli internazionali e contribuendo alla costruzione dell’immagine dell’Italia quale Paese di produzioni ad elevato valore aggiunto. Il brand Made in Italy trae forza dal concetto di qualità dei prodotti, una sorta di matrioska che contiene al suo interno altri valori tra loro strettamente correlati, tra cui: sicurezza alimentare, salubrità, tracciabilità, innovazione, benessere animale, protezione ambientale e via dicendo, diventando così un fattore centrale di sostenibilità e di competitività (Istat, 2014). Questi sensibili temi, sono gli stessi toccati dalla Carta di Milano, l’eredità culturale di quella che si è rivelata essere una straordinaria vetrina per i prodotti italiani (e non solo), ovvero Expo Milano, a cui va sicuramente una parte di merito per il picco di fatturato di 135 miliardi reclamato dall’agroalimentare italiano nel 2015. Un altro baluardo della qualità del settore alimentare italiano nel mondo è Eataly, che contribuisce a fare del Made in Italy un marchio di eccellenza riconosciuto a livello internazionale, aumentando esponenzialmente il

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valore dei prodotti italiani nei mercati esteri. A riprova della grande qualità delle nostre produzioni, l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall’Unione europea (280 prodotti DOP, IGP e STG e 523 vini DOCG, DOC e IGT), attestandosi come leader assoluto nel campo delle eccellenze agroalimentari (ICQRF, 2015). Per le imprese agroalimentari italiane ricevere una certificazione di qualità rappresenta un concreto passaporto per l’export, perché questi marchi oltre ad essere il fiore all’occhiello della produzione alimentare italiana, svolgono all’estero un’importantissima funzione di apripista per gli altri prodotti alimentari, valorizzando l’immagine dell’Italia nel mondo. I prodotti alimentari italiani ad Indicazione Geografica (inclusi i vini) costituiscono un mercato di assoluto rilievo, fatturando circa 12 miliardi di euro, con un’incidenza di circa il 9% sul fatturato totale nazionale (Accredia, 2014). L’ottima reputazione di cui godono i prodotti alimentari Made in Italy garantisce loro un vantaggio competitivo in termini di prezzo, ma allo stesso tempo, alimenta fenomeni di

frode ed imitazione sia in Italia che all’estero. Secondo le stime di Federalimentare, il fenomeno dell’Italian Sounding, unito a quello della contraffazione propriamente detta, costa annualmente alle imprese italiane circa 60 miliardi di euro, ovvero circa la metà del fatturato totale del prodotto dall’industria alimentare italiana e circa il doppio del valore dell’export italiano (FareAmbiente, 2015). Pericoli per la qualità e la salubrità di prodotti alimentari possono celarsi dietro relazioni con Paesi stranieri dove vigono standard diversi da quelli previsti dalle norme comunitarie. Non si può non menzionare in questa sede il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) e il controverso dibattito attualmente aperto sull’entrata in vigore di questo trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti d’America. Difatti, da una parte abbiamo la promessa di grandi vantaggi in termini di export, fatturato e occupazione; dall’altra dubbi sui potenziali effetti negativi, tra cui la diminuzione degli standard di sicurezza alimentare, per quanto l’Unione Europea cerchi di placare le proteste scacciando i fantasmi degli organismi geneticamente modificati e rassicurando i propri cittadini che sotto questo profilo, tutto rimarrà invariato.


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IL VINO E IL SUO PERCORSO NELLA STORIA di Rosaria Mestichelli Management Academy Sida Group - Area Agroalimentare

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e origini del vino – oro autunnale portato a maturazione in armonia con la terra e con gli astri – sprofondano nei tempi più remoti, e la ricca sfera di simboli e significati a esso collegati attraversa l’intera storia dell’uomo, così che la bevanda, generatrice di virtù del corpo e di gioia dell’anima, sensi intrecciati a razionalità, viene da sempre percepita come sacra e segreta, emblema del sottile confine tra una realtà fisica e materiale e i significati, ossia tra una fusione di sapori e gusti e un’alchimia di sensazioni (Morcellini, 2008). Il termine vino deriva dal verbo “sanscrito vena” (amare), che fa riferimento all’antica radice indoeuropea “wino”, cui sono legate anche le espressioni greche “oinos” e “voinos” e la parola latina “vinum” (Pollini, 2008). Le origini della Vitis Vinifera vengo-

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no fatte risalire intorno al 1700 a. C. nella regione transcaucasica, mentre i primi esperimenti di fermentazione nel periodo neolitico. Subito il vino si impone come strumento di mediazione tra gli umani tramite la comunicazione tra gli stessi e la divinità: lo stato di ebrezza e la connessa perdita di controllo sono la realizzazione di un contatto tra l’umano e il soprannaturale attraverso la simpatia con il dio (Ciaschini e Socci, 2008). Per i Sumeri il vino è collegato alla cultura, all’iniziazione, al passaggio dallo stato selvaggio dell’uomo a quello della civiltà, ma soprattutto all’invocazione degli dei durante le offerte. L’antico Egitto conosce già vari tipi di vino, dedicati agli dei in particolare durante le cerimonie funebri; interessante è un affresco tombale tebano, che riproduce dettagliatamente le varie fasi del processo di vinificazione, dalla vendemmia delle uve al

trasporto della bevanda lungo il Nilo con delle imbarcazioni. Nell’Antica Grecia il vino è incarnato dal dio Dioniso, che, rappresentando il potere inebriante e le virtù sociali e benefiche della bevanda, è visto come il fautore della civiltà, il patrono dell’agricoltura e del teatro. La bevanda viene poi elogiata da poeti, storici, artisti e filosofi: facendo vivere sensazioni diverse, il vino si fa e fa raccontare, tanto da generare analogie con la verità stessa, intesa come continua alternanza tra esteriorizzazione e interiorità, ma anche come parte del divino. Tutto ciò è ancor più vero per la civiltà Romana se si pensa al proverbio latino “in vino veritas” e alla venerazione del dio Bacco. Persino nella tradizione cristiana il vino assume e accresce tale funzione diventando simbolo ovvero sostanza stessa della divinità. Nel tempo, in accordo con l’evoluzio-


SPECIALEAGROALIMENTARE ne dell’umanità, iniziano a prevalere gli aspetti più economici e profani del vino, con una sua notevole produzione, commercializzazione, esportazione e importazione e un suo utilizzo a complemento della medicina nel periodo medioevale. Nonostante la definizione di “homo oeconomicus”, proposta dall’empirismo anglosassone agli inizi della storia contemporanea, stilizzi i comportamenti umani intorno a ineludibili motivazioni economiche e logiche di mercato fornendone una spiegazione più riduttiva e discreta, il vino non perde tuttavia la sua funzione mediatrice tra le persone, la quale viene anzi amplificata nel contesto attuale dei sistemi economici globali e locali (Ciaschini e Socci, 2008). Se è vero che oggigiorno il mercato del vino è passato da business di natura fortemente agricola guidato dall’offerta a vero e proprio settore dell’industria alimentare caratterizzato da elevati livelli di competizione, la forza inestimabile del vino come simbolo del racconto di tutti i tempi permane comunque, e ciò in forza del suo profondo legame con il territorio, divenendo in un’epoca di globalizzazione e omologazione un utile strumento di definizione della propria identità. Alla storia millenaria del vino si contrappone invece la recente affermazione, in ambito di management aziendale, dell’orientamento al mercato, ossia di un’accurata attenzione all’evoluzione dell’ambiente esterno – soprattutto delle azioni dei concorrenti e dei bisogni e delle preferenze dei consumatori – che, se tradotta in adeguati piani e strategie, può far beneficiare le aziende di performance superiori (Carlotta Gaeta, A.A. 2011/12).

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L’INDUSTRIA DELL’OLIO di Michele Rismondo Management Academy Sida Group - Area Agroalimentare

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l settore dell’olio di oliva riveste un ruolo di particolare importanza in Italia, soprattutto nelle regioni del Meridione dove si concentra quasi il 90% dell’intera produzione nazionale. Secondo i dati più aggiornati, forniti dal

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Consorzio Olivicolo Italiano UNAPROL, in Italia sono presenti 900 mila aziende agricole a vocazione olivicola per un totale di 1 milione di ettari investiti in olivicoltura ed un valore della produzione in campo di circa 1,4 miliardi di euro.

In questo contesto la diversità delle caratteristiche degli attori che operano all’interno del settore, insieme alle dinamiche di mercato ad essi associate, delineano un panorama produttivo variegato che vede la presenza di circa 673 confezionatori, 2.624 confe-


SPECIALEAGROALIMENTARE zionatori con frantoio, 3.760 frantoi, operanti però su livelli e su mercati diversi. Da una parte, infatti, è ancora molto radicato l’approvvigionamento diretto da parte dei privati presso il produttore, peculiarità che infonde al settore un ruolo socio-culturale importante, visto lo stretto legame con il territorio. Dall’altra c’è invece la grande industria, che necessita di massa critica, di un prodotto più standardizzato sul piano qualitativo e che segmenta la propria produzione più sulle caratteristiche organolettiche dell’olio che non sulla provenienza. PRODUZIONE E CONSUMO. Il settore dell’olio di oliva italiano è caratterizzato da uno spiccato dualismo geografico, con le grandi aziende olearie concentrate nell’Italia centrosettentrionale (Umbria, Toscana e Liguria) il cui prodotto è destinato prevalentemente alla GDO e all’export. Al Sud invece, nonostante l’elevato numero di aziende, poche sono quelle che hanno un fatturato superiore ai 20 milioni di euro. Esiste infatti un flusso rilevante di olio che dalle regioni di produzione del Sud viene spedito nel Centro-Nord per essere imbottigliato e commercializzato. A poche grandi imprese si affianca dunque un elevato numero di piccole e medie aziende, comprendenti anche frantoi, che imbottigliano e commercializzano olio per lo più nella stessa regione. Il consumo interno italiano di olio di oliva è, in media, pari a circa 600.000 tonnellate l’anno, mentre il volume delle esportazioni è pari a circa 400.000 tonnellate l’anno. La produzione italiana media, escludendo la riduzione determinata da cause climatiche o da condizioni fitosanitarie eccezionali come quelle del 2015, è pari a 350.000-400.000 tonnellate, il che implica la necessità di importare

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circa 600.000 tonnellate di olio. Il mercato spagnolo è sicuramente la nostra prima fonte di approvvigionamento, seguita dalla Grecia e dalla Tunisia, mentre i principali paesi importatori sono Stai Uniti, Germania, Giappone, Canada e Francia.

L’Italia è il primo Stato dell’UE cui corrisponde circa 11 mila tonnellate annue di oli Dop e Igp. Sono coltivati con metodo biologico circa 170 mila ettari di olivi. QUALITÀ e MADE IN ITALY L’Italia è il primo Stato dell’UE per quanto riguarda gli oli d’oliva extravergine designati da Denominazioni di Origine ed Indicazioni Geografiche Protette (42 DOP e 1 IGP per una percentuale di circa il 2% della produzione totale), cui corrispondono circa 11.000 tonnellate annue di prodotto. Mentre sono coltivati con metodo biologico circa 170 mila ettari di olivi, ossia il 14 per cento della SAU olivi-

cola nazionale. Le produzioni di qualità quindi ricoprono ancora un’importanza marginale, ma riscuotono sempre maggiore interesse da parte del consumatore italiano. Gli scandali sulla contraffazione che hanno coinvolto molte grandi aziende confezionatrici, insieme alle recenti polemiche sull’importazione senza dazi dell’olio tunisino hanno contribuito ad incentivare la ricerca sempre maggiore di un olio di qualità certificata e “100% italiano”. In questo senso una novità del mercato è rappresentata dagli olii monovarietali. Una collaborazione tra Agenzia Servizi Settore Agroalimentare Marche (ASSAM), Centro di ricerca per l’olivicoltura e l’industria olearia del CRA – sezione di Spoleto e Istituto di Biometeorologia del CNR, ha promosso la Rassegna Nazionale degli Olii Monovarietali. Tali enti hanno pubblicato la banca dati dei profili degli oli monovarietali consultabile sul sito www.olimonovarietali. it. In Italia ci sono 395 diverse varietà di olive iscritte ufficialmente nello Schedario Oleicolo Italiano, moltissime di queste varietà sono autoctone molto radicate nel territorio di origine. Il patrimonio olivicolo così estremamente variegato offre dunque la possibilità di proporre sul mercato produzioni differenziate, nelle caratteristiche chimiche e nelle sensazioni organolettiche, tutto ciò arricchito di storia, cultura e tradizioni locali. L’olio in questo modo non viene più visto come un semplice condimento ma come prodotte che, con le giuste caratteristiche, è in grado di esaltare il gusto di un piatto e trovare i suoi specifici abbinamenti gastronomici.

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GABRIELLONI, L’EXTRA VERGINE DI OLIVA DA PODIO DELLA QUALITÀ

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ono in pochi a poter vantare un medagliere degno del più forte atleta al Mondo. Ma qui non stiamo parlando di sport, bensì di enogastronomia e, in modo particolare, di olio extra vergine di oliva. Cinque Medaglie d’Oro e 2 d’Argento a Los Angeles, 1 Medaglia d’Oro a New York, 1 Gran Menzione a Dubai, 2 Medaglie d’Oro a Milano, svariati podi in Competizioni nazionali e costante presenza in riviste e guide di settore: Slow Food, Bibenda, la tedesca Der Feinschmecker, Dove Viaggi e molto altro ancora. Per concludere questo palmarès ne citeremo solo altri due, forse i più ambiti, perché l’uno è l’Atlante degli oli italiani e l’altro il Flos Olei; il primo pubblicato da Mondadori ed il secondo è quella che si può considerare la “bibbia” mondiale degli oli, che ha definito il Laudato il miglior blend di oli al Mondo, prodotto con metodo tradizionale. Gabrielloni è tutto questo: un’azienda recanatese leader nella produzione di olio extra vergine di oliva diretto al mercato di nicchia (www.gabrielloni. it). E il termine “nicchia” non è uno stratagemma del marketing volto ad aumentare le vendite, ma coerenza con criteri di processo i quali sì, posi-

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zionano il prodotto nell’alto di gamma, accrescendone il valore aggiunto e quindi l’acquisto. “L’appeal di un prodotto è creato da una corretta e continua comunicazione”, affermano le artefici dell’azienda Gabriella ed Elisabetta Gabrielloni, “una comunicazione su cui oggi più che mai occorre investire. Ma non dimentichiamoci” aggiungono prontamente “la sostanza di questa comunicazione, perché occorre veicolare realtà concrete e tangibili a chiunque voglia toccarle con mano”. Il fascino paesaggistico, il gusto di un prodotto, il suo profumo, insomma tutto ciò che sta alla fine di un processo e ne determina il risultato, ha e deve avere al suo interno il lavoro, questa dialettica incessante tra uomo e natura. “Forma sì, ma anche materia”, aggiunge Gabriella, “altrimenti si rischia di immettere nel mercato prodotti che avranno le gambe corte”. E di materia, nell’Azienda Gabrielloni, ce n’è molta. 20 varietà di olive coltivate nei possedimenti di famiglia; accorta manutenzione del terreno agricolo; interventi di potatura performanti; coltivazione a basso impatto ambientale; abbacchiatura manuale in modo da evitare fratture del frutto, causa di fermentazioni; raccolta differenziata in base

al punto di maturazione. E, ancora, considerando l’oliveto distante 1 Km dal frantoio di famiglia, frangitura immediata delle olive, sempre entro 2 ore dalla raccolta e spesso entro 1 ora; spremitura a presse; filtraggio dell’olio goccia a goccia con cotone idrofilo. Alla crescente domanda di artigianalità e autenticità enogastronomica, Gabrielloni ha risposto e continua a rispondere in modo ottimale, offrendo anche alla potenziale clientela soggiorni campestri nell’Agriturismo di loro proprietà Al Crepuscolo (www.gabrielloni.it), dove circondati dagli oliveti, si verifica la bontà dell’olio direttamente sul piatto. Consapevoli della grande opportunità internazionale offerta dal mercato enogastronomico targato “Made in Italy”, l’obiettivo perseguito da Gabrielloni è estendere la cultura dell’extra vergine anche in quei paesi lontani dall’uso dell’olio di oliva, come la Thailandia, comunicando quelle salutari proprietà che fanno di questo prodotto un condimento ma anche un primo nutrimento. Non dimentichiamoci che l’olio extra vergine di oliva, per il suo contenuto di omega 6 ed omega 3, è l’alimento più simile al latte materno. Un effettivo potere nutraceutico contenuto in un frutto e nel suo prodotto trasformato, l’olio.


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AGRICOLTURA SOCIALE: LA NUOVA LEGGE di Michele Rasetti Management Academy Sida Group - Area Agroalimentare

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ccupazione dei lavoratori con disabilità, attività sociali per le comunità locali, supporto alle terapie riabilitative, progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare: sono le finalità dell’agricoltura sociale, al centro di una nuova legge che fissa le regole relative a operatori del settore, esercizio dell’attività e interventi di sostegno. Si tratta della legge 141/2015 (Gazzetta Ufficiale 08/09/2015). Operatori L’agricoltura sociale è esercitata da imprenditori agricoli, in forma singola o associata, e dalle cooperative sociali (con l’agricoltura come attività prevalente; se il fatturato agricolo è superiore al 30% sono considerate operatori dell’agricoltura sociale in proporzione corrispondente al fatturato agricolo). L’agricoltura sociale può essere svolta in associazione con cooperative sociali, imprese sociali, associazioni di promozione sociale. Sono possibili collaborazioni con servizi sociosanitari ed enti pubblici competenti per territorio, attraverso politiche fra imprese, produttori agricoli e istituzioni locali. Gli operatori possono costituire organizzazioni di produttori. Se l’attività è esercitata in fabbricati già esistenti nel fondo,

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questi mantengono il riconoscimento della ruralità. Attività Le attività esercitate devono essere dirette a realizzare: • l’inserimento di persone disabili, lavoratori svantaggiati, minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale; • attività sociali per le comunità locali (promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e servizi utili per la vita quotidiana); • prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative anche attraverso l’ausili di animali allevati e coltivazione delle piante; • progetti finalizzati all’educazione ambientale e culturale, alla salvaguardia della biodiversità, alla conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica. Requisiti I requisiti minimi richiesti per le attività appena elencate saranno dettagliati in un apposito decreto mini-

steriale, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge (entro il 23 novembre). Entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, le Regioni adeguano le normative per il riconoscimento degli operatori del settore, prevedendo un riconoscimento provvisorio per coloro che svolgono l’attività di agricoltura sociale da almeno due anni e fissando un termine di almeno un anno per l’eventuale adeguamento ai requisiti richiesti per l’abilitazione definitiva. Interventi di sostegno Le Regioni possono promuovere il recupero del patrimonio edilizio ad uso degli imprenditori agricoli per attività di agricoltura sociale. La legge prevede comunque una serie di possibili interventi di sostegno: priorità per i prodotti da agricoltura sociale nelle mense scolastiche e ospedaliere, iniziative comunali, priorità nella vendita o locazione di terreni demaniali agricoli, piani regionali di sviluppo rurale. E’ infine istituito l’Osservatorio sull’agricoltura sociale, che definisce linee guida ed effettua monitoraggio, valutazione, promozione delle attività di agricoltura sociale. Questo nuovo organismo è nominato dal ministero delle Politiche Agricole, con apposito decreto.

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“L’AGROALIMENTARE OLTRE 50MLD DI EXPORT ENTRO IL 2020” Nel 2015 l’export di settore ha segnato +7%. Divella: “basterebbe confermare questo passo sino a fine decennio per raggiungere l’obiettivo. Questa crescita garantirebbe di colmare in gran parte il gap con Germania e Francia”. di Graziella Mastronicola

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e il food e il fashion vanno forte è perché le aziende hanno investito sul futuro. Niente è arrivato per grazia”. Francesco Divella, procuratore dell’omonima azienda di famiglia ed esponente della quarta generazione, riflette sulla “forza dell’italianità” che ha fatto decollare l’innovazione di un segmento tradizionale come l’agroalimentare. F. Divella Spa è un’azienda italiana produttrice di pasta di semola di grano duro. La società detiene circa il 9% di quota del mercato italiano della pasta e impiega 320 dipendenti distribuiti nei 3 stabilimenti della F. Divella Spa, che nel complesso, producono 200mila tonnellate annue di pasta, di cui 30mila tonnellate esportate nei 5 continenti. F. Divella Spa macina quotidianamente 1350 tonnellate di grano e produce oltre 150 formati di pasta di semola di grano duro, trafilata al bronzo, all’uovo,

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integrale ed arricchita di verdure disidratate. La guida dell’azienda è saldamente in mano alla terza generazione. La storia dell’azienda risale al 1890, quando il fondatore, Francesco Divella, ha abbandonato il commercio di farine e granaglie, costruendo il primo mulino per la macinazione del grano. Successivamente nel 1905 è stato inaugurato il pastificio di Rutigliano (in provincia di Bari). Dopo una fase d’espansione, l’azienda a conduzione familiare, ha assunto l’attuale assetto. Ora, grazie ad uno slancio del settore agroalimentare italiano, l’Italia del food & beverage si prepara a conquistare l’ultimo miglio di distribuzione, con l’obiettivo di superare la soglia dei 50mld di export entro il 2020. E’ un traguardo possibile? “Grazie agli sforzi del Governo e del Ministro MISE Calenda, l’impegno promozionale a favore dell’export alimentare finalmente ha voltato pagina, in termini di strategie, di sinergie e di risorse dedicate – spiega Francesco Divella - in questo

quadro è stata spesa e richiamata più volte, anche ai massimi livelli istituzionali, la scommessa dei 50 miliardi di export agroalimentare al 2020. Non è un traguardo velleitario, ma alla portata, ove si ricordi che la quota agroalimentare esportata nel 2015 ha messo a segno una spinta vicina al +7%. E che basterebbe confermare questo passo sino a fine decennio per raggiungere l’obiettivo. Questa crescita garantirebbe di colmare in gran parte il gap con Germania e Francia”. Quali sono i mercati esteri di riferimento oggi, e quali le strategie per consolidare la nostra presenza nel mondo? “In un contesto così complesso, globalizzato e soggetto a radicali trasformazioni, occorre ricordare un passaggio epocale. Il Paese nel 2015 ha giocato la carta di Expo, e l’ha fatto con risultati che sono andati oltre ogni aspettativa. Il modello agroalimentare italiano ne è uscito vincente a livello internazionale. Capi di Stato e rappresentanti di tutti i canali prin-


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cipali dei maggiori Paesi hanno reso omaggio a quello che è stato identificato da tutti come modello ideale in grado di vincere la sfida mondiale di alimentare il pianeta nella maniera più equilibrata e sostenibile possibile. Anche da un punto di vista più strettamente commerciale, Expo ha rappresentato uno strumento unico per la promozione delle nostre esportazioni alimentari. Il consuntivo 2015 registra così una quota export dell’industria alimentare pari a 28.966 milioni di euro, con un aumento del +6,7% sul 2014, che ha quasi raddoppiato il passo del 2014. Risalta subito la performance di alcuni grandi mercati, a cominciare dagli USA (+19,5%). I principali paesi di sbocco del nostro export sono rappresentati dalla Germania poi Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Svizzera e il Canada”. Quali, invece, le difficoltà riscontrate dalle industrie italiane nell’affrontare l’internazionalizzazione? “Sul fronte estero, oltre la contraffa-

zione, vanno ricordate le barriere non tariffarie e le campagne aggressive verso il nostro modello alimentare mediterraneo. Fra queste, l’etichettatura “a semaforo” adottata nel Regno Unito, su cui il settore ha vinto una battaglia importante con la votazione di condanna del Parlamento Europeo del 12 aprile scorso, cui ora deve seguire il giudizio finale della Commissione. La concezione del Made in Italy legato esclusivamente a una filiera 100% italiana (con riferimento all’origine della materia prima) costituisce un approccio “integralista” che contrasta con le normative attualmente in vigore con la nozione doganale di “Made in” vigente nell’UE, basata sull’ultima trasformazione sostanziale dei prodotti. Essi danneggiano le nostre grandi tradizioni di trasformatori e l’immagine del “food and beverage” italiano nel mondo, confermata, tra l’altro, dalla leadership italiana a livello comunitario per riconoscimenti di denominazioni protette. Ricordo infatti che oltre il 22% delle denominazioni europee riconosciute appartiene infatti al nostro paese”. Le sorti delle Pmi del settore? E’ giusto pensare che debbano anch’esse guardare ai mercati esteri per dribblare la crisi che ancora attanaglia tutto il settore produttivo? L’industria alimentare, a sostegno di queste sfide, investe l’8% del fatturato in ricerca e sviluppo. Di questa quota: l’1,8% in R&S formale ed informale di prodotti e processi innovativi, oltre il 4% in nuovi impianti, automazione, ICT (tecnologie dell’informazione della comunicazione) e logistica, e circa il 2% in analisi e controllo di qualità e sicurezza. Il settore coniuga la sapienza, le tradizioni, i localismi del modello alimentare italiano e del suo enorme patrimonio eno-gastro-

nomico con la costante innovazione di processo e di prodotto”. Quali sono le principali attività che vi vedono impegnati come Giovani Imprenditori del settore alimentare sul tema dell’innovazione e della competitività delle PMI? “Anche noi come Giovani Imprenditori di Federalimentare abbiamo privilegiato numerosi momenti di approfondimento su tematiche importanti per la crescita della competitività delle nostre imprese come le relazioni relazioni fra GDO e PMI agroalimentari, serie di eventi di avvicinamento ad EXPO in collaborazione con Confagricoltura, CNR e MIUR dal titolo “Filiere intelligenti” che hanno riguardato le tematiche del biopackaging, l’agricoltura di precisione, I prodotti tipici (tra sostenibilità, sicurezza alimentare e legalità), la nuova azienda agroalimentare (tra produzione e territorio), la tracciabilità, l’informatica digitale, il carbon footprint, L’organizzazione del X FORUM in EXPO che ha visto protagonista il “saper fare italiano” insieme ad altri settori come Fashion & Furniture (25.9.2015). Inoltre recentemente abbiamo organizzato un tavolo Tavolo di discussione sull’economia circolare e i suoi riflessi sulla sostenibilità dell’industria agroalimentare, incontrato i vertici del Mipaaf e dell’Agenzia europea EFSA di Parma. La prossima attività sarà l’organizzazione di un incontro sul tema logistica ed e-commerce in ordine alle opportunità per la competitività e il miglioramento delle performance di export per i prodotti agroalimentari (in fase di organizzazione con top player come DHL Express e Amazon). Senza dimenticare il contributo attivo durante l’ultima edizione 2016 di CIBUS a Parma (9-12 Maggio)”.

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IL SETTORE ORTOFRUTTICOLO IN ITALIA E IN EUROPA di Michele Rismondo Management Academy Sida Group - Area Agroalimentare

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l valore economico prodotto dalle imprese agricole italiane ad orientamento ortofrutticolo rappresenta uno dei più elevati in ambito nazionale, con oltre il 22% della Produzione Lorda Vendibile riconducibile alla coltivazione e trasformazione di ortaggi, frutta e agrumi. Oltre al ruolo economico, il settore esprime anche

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una domanda di lavoro cruciale, differenziata sia su livelli specialistici (es. agricoltura specializzata, trasformazione) sia su livelli di manodopera semplice (es. raccolta in campo). La filiera ortofrutticola italiana conta circa 450.000 aziende agricole e oltre 850.000 ettari dedicati. Nonostante la forte vocazione produttiva e le tradizioni di uno stile

alimentare fondato sulla dieta mediterranea, l’Italia di oggi non è però in grado di reggere il confronto con altri paesi europei relativamente al consumo pro-capite di frutta che, prendendo ad esempio Francia e Germania, ha segnato continui aumenti negli ultimi anni. In Italia dal 2000 al 2014 si è registrato un calo complessivo del 14% nel consumo pro-capite.


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Solo nel 2015, secondo l’ultimo rapporto dell’osservatorio Macfrut Consumers’ Trend, i consumi nazionali di ortofrutta sono aumentati del +3%, con volumi che tornano al di sopra degli 8 milioni di tonnellate. Si tratta di un segnale incoraggiante per il settore ortofrutticolo che rialza la testa dopo aver fatto registrare per alcuni anni volumi di vendita al di sotto della suddetta soglia. Positivo è invece il trend del commercio internazionale di ortofrutta, con un export che nel 2015 ha superato quota 4,5 miliardi a valore, con +10,9% rispetto al 2014 (elaborazione Fruitimprese sui dati ufficiali Istat). LE DUE FACCE DI UN SETTORE IN CRESCITA Sul fronte mercato e consumi un elemento che emerge con chiarezza è il sempre maggiore interesse dei consumatori nei confronti di prodotti ad alto contenuto di innovazione e con caratteristiche di distintività. Ne è una dimostrazione la costante crescita negli ultimi anni del biologico

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e l’apprezzamento per le nuove varietà, anche caratterizzate da referenze tipiche e locali, ma anche di frutta esotica, nonché di prodotti caratterizzati da un maggior contenuto di servizio come le preparazioni di IV o V gamma. Tra i prodotti con i consumi in crescita e ad alto contenuto di innovazione ci sono i piccoli frutti (fragole, lamponi, mirtilli, more), il melone, il kiwi, le pere, ma soprattutto le mele che, grazie alla diversificazione varietale e alla brandizzazione, vanno a costituire una vera e propria “categoria” di prodotto nei reparti ortofrutta. Tra gli ortaggi è da notare la crescita esponenziale dei consumi di radicchio degli ultimi anni legata ad un progetto di valorizzazione del legame prodotto/territorio. Il radicchio tardivo di Treviso IGP e il Variegato di Castelfranco IGP presentano una forte crescita degli acquisti in Italia pari all’8% medio annuo. Affianco a questi esempi virtuosi di valorizzazione delle produzioni locali e dell’innovazione soprattutto nelle

Regioni del centro-nord si osserva, invece, la forte crisi dell’agrumicoltura tradizionale siciliana. Nei mesi scorsi in Sicilia ci sono state numerose proteste degli agricoltori che chiedono politiche in grado di maggiormente le produzioni regionali rispetto all’importazione di agrumi, in particolare arance, dal Nord Africa e dalla Spagna. Nel 2015 l’importazione di agrumi ha raggiunto il massimo storico con 480 milioni di chili. Di conseguenza egli ultimi quindici anni una pianta di arance su tre (31%) è stata tagliata, si è assistito al dimezzamento dei limoni (-50%) e a una riduzione del 18% delle piante di mandarini. Sono andati persi 60mila ettari di agrumi e ne sono rimasti 124mila, dei quali 30mila in Calabria e 71mila in Sicilia. Le coltivazioni di agrumi vengono oggi sostituite sempre più spesso da coltivazioni di frutta tropicale come mango e avocado che risultano più redditizie, ma che rischiano di fare perdere il legame storico ed identitario dei territori con le produzioni agrumicole.

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L’ AGRICOLTURA BIOLOGICA di Michele Rismondo Management Academy Sida Group - Area Agroalimentare I DATI DEL BIO IN ITALIA L’agricoltura biologica occupa oggi in Italia più di 55.000 operatori, con una superficie di oltre 1,3 milioni di ettari che rappresenta circa l’11% della superficie agricola totale nazionale. Dal 2005 il mercato degli alimenti biologici nel nostro Paese risulta in continua crescita, con un fatturato globale che nel 2014 ha raggiunto i 3,88 miliardi di Euro (dati Ismea, Assobio e Nomisma, 2015). Tale valore comprende il mercato interno, comprese le vendite da parte di ristorazione, bar e food service, per un totale di 2,46 miliardi di

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Euro, al quale si aggiunge quello delle esportazioni (1,42 miliardi di Euro), dirette prevalentemente verso Europa, USA, Giappone e i Paesi emergenti (Cina, Federazione Russa, Brasile e Argentina). L’Italia, inoltre, è il paese maggior esportatore al Mondo di prodotti biologici, con un tasso di crescita medio annuo del 9,5 % dal 2007 al 2014 (Dati Fibl-AMI e Nomisma 2015). Per quanto concerne i canali distributivi, le vendite di prodotti biologici confezionati presso la grande distribuzione rappresentano, sempre secondo Ismea, il 41,6% del mercato interno de-

gli alimenti biologici, raggiungendo gli 855 milioni di euro. Il secondo canale per valore del fatturato è rappresentato dai negozi specializzati, che incidono per il 32,7% sul valore del mercato degli alimenti biologici complessivo, mentre una quota abbastanza ampia in termini di fatturato è detenuta anche dai canali più alternativi (10,5%), come mercatini, vendite dirette, gas ed e-commerce, e dai negozi tradizionali (9,3%), seguiti, infine, da farmacie, erboristerie e parafarmacie (6%). Che il biologico stia crescendo espo-


SPECIALEAGROALIMENTARE nenzialmente lo testimonia il dato della domanda interna che nel 2014 è cresciuta del 20% rispetto all’anno precedente, con punte del 44% per i biscotti frollini, del 37% per gli alimenti a base di soia, il 36% per la frutta secca, il 29% per la pasta secca e il 24% per lo yogurt. Nel canale della distribuzione moderna (iper e super) il biologico ha raggiunto oggi il 2,9% sul totale dei consumi alimentari. IL PIANO STRATEGICO NAZIONALE PER IL BIOLOGICO Lo scorso 25 marzo il Mipaaf, in Conferenza Stato-Regioni, ha approvato il Piano Strategico Nazionale per il Biologico, un piano che prevede una serie di obiettivi mirati per la crescita del settore, sia in termini di mercato sia di superficie dedicata all’agricoltura biologica, da raggiungere entro il 2020 attraverso una serie di azioni specifiche che riguardano: 1. rafforzamento della fase produttiva; 2. rafforzamento delle relazioni di filiera (relazioni verticali);

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3. rafforzamento del sistema biologico (relazioni orizzontali) Certamente, gran parte della crescita di superfici e operatori del Bio degli ultimi anni è dovuta anche ai notevoli contributi e investimenti a favore dell’agricoltura biologica che la programmazione dello sviluppo rurale ha riservato. Nella programmazione 2007-2013, infatti, le risorse pubbliche investite a favore dell’agricoltura e della zootecnia biologiche nell’ambito della misura dedicate ai cosiddetti “pagamenti agroambientali” hanno raggiunto i 1.591 milioni di Euro, incidendo per l’11,2% sulla spesa pubblica totale sostenuta nell’ambito di tutti i Piani di Sviluppo Rurale Regionali. IL BIOLOGICO VISTO DAGLI OPERATORI Se, da un lato, i dati del biologico evidenziano un trend di crescita in grado di dare linfa al comparto agricolo, dall’altro esistono delle criticità del settore evidenziate dal mondo della produzione che rischiano di limitare gli effetti positivi delle dinamiche di

mercato. Gli operatori del settore lamentano, infatti, l’eccesso di burocrazia legata alla complessità di un sistema che impone oneri amministrativi e finanziari a carico degli agricoltori (sistema di controllo, accesso ai contributi, ecc.), tutti elementi che rendono ostica e poco appetibile la conversione verso il biologico. Un altro elemento critico riguarda le difficoltà di accesso al mercato da parte dei produttori biologici, derivante da una scarsa capacità di completare la filiera e di aggregazione dei produttori, da prezzi alla produzione talvolta poco remunerativi, anche a causa della concorrenza non sempre equa sui mercati internazionali, nonché dalla ancora scarsa consapevolezza dei consumatori circa le peculiarità dei prodotti biologici rispetto a quelli convenzionali. Ne emerge uno scenario nel quale una quota rilevante delle produzioni biologiche italiane non riesce ad essere valorizzata, finendo spesso per essere immessa e venduta nel mercato del convenzionale.

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SPECIALEAGROALIMENTARE

UN MESTIERE FORTEMENTE ESPRESSIVO: L’IMPRENDITORE AGRICOLTORE INNOVATIVO

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iventare “agricoltori” a casa propria in città, nutrire il pianeta con gli insetti, gustare un gelato in roll o una birra a base di quinoa realizzata attraverso l’impiego integrato di bio-processi alimentari naturali, ordinare cibo a distanza con un messaggio su Whatsapp, poter acquistare alimenti probiotici sani e di sicuro utilizzo, il tutto valorizzando e promuovendo il territorio marchigiano. Questi sono alcuni dei servizi offerti dalle startup del settore agrifood di The Hive, incubatore e acceleratore di startup, che sinergicamente hanno

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l’obiettivo di unire l’agricoltura tradizionale con l’innovazione. L’agroalimentare è un settore fortemente interessato all’affermazione su scala globale dei modelli di produzione e consumo sostenibili e la food innovation è essenziale. “La vera motivazione che ci porta a focalizzarci sull’accelerazione delle nostre startup è valorizzare il settore agroalimentare e trasformare le specifiche conoscenze in innovazione” afferma Giorgio Guidi, founder di The Hive. Creare dei ‘cluster’ perchè l’innovazione nasce dal confronto, favorire l’incontro tra ricercatori, startupper

e aziende del territorio per proporre nuovi modelli di business e permettere uno sviluppo sostenibile e, non da meno, cogliere le opportunità offerte dal programma europeo di ricerca Horizon 2020. L’UE finanzia progetti per l’agricoltura attraverso questo suo programma e per questo in The Hive è attivo un team di Europrogettazione in grado di far partecipare ai bandi europei le aziende accelerate per sviluppare un’industria agroalimentare sostenibile e competitiva. Ben tre programmi sono stati vinti per le startup di The Hive, dimostrando l’interesse per permettere alle imprese nascenti di utilizzare le nuove


SPECIALEAGROALIMENTARE tecnologie e ai consumatori di avere maggior conoscenza dei prodotti che acquistano e consumano. Per avvicinare la cittadinanza attiva e i futuri consumatori alle idee di business delle startup, nel mese scorso l’evento “Stay Hungry...StartFood” ha ‘contaminato’ la Mole Vanvitelliana di Ancona, soddisfando la curiosità di chi non immaginava quali potessero essere i prodotti o servizi innovativi. Diverse startup sono nate e hanno raggiunto la loro maturità, mentre altre sono in fase di lancio. Ma quali sono queste startup del settore agri-food? Conosciamole meglio! BioPic ha reinventato l’agricoltura urbana e casalinga prendendo il meglio della tradizione dell’agricoltura biologica e ibridandola con le nuove tecnologie di app per smarthphone e illuminazione a led di quarta generazione, in modo da offrire un prodotto ecologico facile da usare e diventare “agricoltori” a casa propria, anche se non si abita in campagna. Mashcream è un concept basato sulla produzione espressa di gelato artigianale, un mix di prodotto e marketing, di macchinario e social network, di gelato e show cooking. Insomma social cooking. Non è solo un gelato, ma una vera e propria esperienza che coinvolge il consumatore a partire dallo spettacolo offerto dalla fase di preparazione, con un gusto morbido e compatto che è dato principalmente dalla frutta fresca che viene scelta, fino al piacere di assaporarne la bontà. Innovazione tecnologica, grazie ad una piastra refrigerata ad una temperatura di lavoro di circa -25°C, e tradizione del gelato italiano, per la prima volta uniti insieme per creare un gelato “emozionale”. Nutrinsect, azienda bio-tecnologica specializzata nello studio, ricerca ed estrazione da fon-

ti innovative ottenute da animali (inclusi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, insetti, batteri, cellule, muffe e lieviti), vegetali e frutti di molecole e principi attivi ad interesse nutrizionale, sia umano che animale, nutraceutico, alimentare, farmaceutico, tecnologico e cosmetico. Quinoa Marche rappresenta un’idea imprenditoriale già arrivata a maturità, nata dalla passione di tre fratelli, Oriana, Samuele ed Emanuele Zannini per la campagna e per la quinoa, che loro definiscono ‘super seme’. L’obiettivo è quello d’introdurre e diffondere nel contesto marchigiano la coltivazione e trasformazione della quinoa strutturando una filiera produttiva altamente innovativa e sostenibile sotto il profilo ambientale, sociale ed economico, per rispondere alla crescente domanda di cibi sani e nutrienti. Anche Synbiofood è ormai un business collaudato, un luogo ideale dove poter vivere l’esclusivo piacere del mangiar bene in modo salutare ed equilibrato, unendo alla gioia del palato la sicurezza di un perfetto apporto nutrizionale. Per questo motivo ha abbinato le proprietà dei probiotici a cibi di primissima qualità, selezionati sul territorio da esperti gastronomi, per offrire pasti veloci, sani e di qualità. Barny, già in sperimentazione a Roma in zona Prati, permette al consumatore fuori casa di ordinare un pranzo inviando un messaggio su WhatsApp, scegliendo tra una grandissima varietà di prodotti altamente selezionati nei migliori ristoranti di ogni quartiere. Il fattorino dedicato li acquisterà e li consegnerà senza alcun costo aggiuntivo. Mille Querce è una startup agricola innovativa che nasce in un appezzamento di terra a Monte Giberto, nelle Marche, dedita alla produzione di particolari colture riconosciute a li-

vello mondiale tra cui l’olio di oliva, il miele ed i tartufi. Le attività della società sono inoltre orientate allo sviluppo, alla produzione ed alla commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito agricolo, tra cui la ricerca e la sperimentazione di modelli di intervento di agricoltura di precisione; alimenti funzionali e prodotti di agricoltura nutraceutica e modelli di intervento agronomico con macchine operatrici dotate di sistemi intelligenti. Le startup appena descritte sono la prova che The Hive crede fermamente nell’innovazione della filiera agroalimentare e lo dimostra continuamente, non solo fornendo loro il supporto necessario a lanciarsi sul mercato, ma anche facendole partecipare ad eventi di settore, come il Seed&Chips, il primo salone internazionale dedicato all’innovazione digitale nella filiera agroalimentare ed enogastronomica in svolgimento proprio in questi giorni a Milano. Non solo, The Hive è anche socio costituente del Cluster Agrifood Marche, che ha l’obiettivo di incrementare la competitività del settore agro-alimentare regionale attraverso la cooperazione e il trasferimento di conoscenza tra i diversi attori appartenenti alla filiera. E come ulteriore dimostrazione che l’innovazione è strettamente collegata all’agri-food, come evoluzione di The Hive è nato TH2, il nuovo corporate accelerator dedicato all’Internet of Food e al Digital Manufacturing. Dalle startup di The Hive alle “growup”, cioè alle società che hanno superato la fase di verifica del modello di business, del prodotto e del mercato e devono solo trovare la spinta definitiva per arrivare ai clienti nel modo più efficace e perchè no, diventare protagonisti dell’agricoltura del futuro.

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SPECIALEAGROALIMENTARE

FINANZIARE LA FORMAZIONE PER GARANTIRE L’APPRENDIMENTO LUNGO TUTTO L’ARCO DELLA VITA In una fase di cambiamento e innovazione, quali sono gli strumenti che aiutano i giovani e le aziende a rimanere spendibili all’interno dei contesti professionali? di Claudia Nofrini Management Academy Sida Group - Area Formazione Finanziata

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ià negli ultimi anni le associazioni di Formazione Manageriale si ponevano la questione del progettare il futuro attraverso le sfide della formazione nell’Italia che cambia, ponendo al centro delle riflessioni l’importanza di «sviluppare una nuova cultura manageriale e imprenditoriale capace di valorizzare quello che la nostra “genialità”, il nostro essere “italiani” rappresenta nel mondo» (Vladimir Nanut, presidente ASFOR) La formazione è necessaria per generare nuovo valore economico e rafforzarsi in una dimensione più ampia e solida, per consolidare le competenze dei responsabili aziendali, per sviluppare le professionalità delle nuove generazioni, per operare con determinazione ed efficacia nei diversi ambiti organizzativi-produttivi in un mercato del lavoro sempre più competitivo ed esigente.

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Per favorire la copertura economica dei processi formativi vengono incontro due fronti di finanziamento importanti, il FONDO SOCIALE EUROPEO e i FONDI INTERPROFESSIONALI che permettono di poter spaziare in tutti gli ambiti della formazione aziendale moderna: dalle risorse umane (considerate oggi fulcro vitale per l’efficacia e l’efficienza dell’impresa innovativa) con la formazione riguardante anche competenze trasversali quali comunicazione, public speaking, motivazione, gestione del tempo, organizzazione del ruolo, leadership del management, ai corsi tecnologici a partire dal basic per giungere all’avanzato, al sistema qualità e sicurezza, contabilità, gestione economica aziendale (analisi di bilancio etc.), aspetti legali, architettura aziendale, programmi gestionali, governance, internazionalizzazione, delocalizzazione produttiva etc.

Offriamo qui una sintesi delle opportunità attuali rappresentate dal Fondo Sociale Europeo e dai Fondi Interprofessionali. CORSI DI FORMAZIONE FSE Sono finanziati dal Fondo Sociale Europeo, costituito da risorse comunitarie a cui attingono tutti i paesi membri dell’Unione Europea per finanziare le attività ritenute in grado di realizzare gli obiettivi tematici in base a priorità che le Regioni poi adeguano rispetto al contesto di riferimento: • qualificare il sistema formativo nelle sue diverse componenti - dall’istruzione e formazione professionale all’alta formazione - per favorire l’inserimento, il reinserimento e una permanenza qualificata delle persone nel mercato del lavoro; • rafforzare e innovare i percorsi formativi di raccordo tra il sistema educativo e il mondo del lavoro e tra un lavoro e l’altro;


SPECIALEAGROALIMENTARE • affrontare in modo mirato l’emergenza occupazionale con misure complesse di intervento che accompagnino i processi di ristrutturazione e riposizionamento strategico di imprese e comparti/filiere e che forniscano ai lavoratori le competenze necessarie alla permanenza nel posto di lavoro o a un’eventuale ricollocazione; • sostenere interventi complessi per corrispondere ai fabbisogni di competenze necessari all’innovazione e alla qualificazione della base produttiva; • riorganizzare i centri per l’impiego e renderli maggiormente accessibili, anche attraverso le tecnologie digitali; • aprire il sistema educativo e formativo a una dimensione internazionale; • razionalizzare gli interventi per l’inclusione sociale delle persone in condizioni di svantaggio, con particolare attenzione alle persone disabili; • promuovere la capacità di azione integrata delle diverse istituzioni competenti nella programmazione degli interventi per l’occupazione. IL FSE REGIONE MARCHE La finalità principale della Regione Marche è la promozione di una ripresa economica che permetta di riavviare la realtà occupazionale. Da questo punto di vista i target prioritari sono i giovani e le donne. I fondi europei Marche Por Fse 20142020 corrispondono a circa 288 milioni di euro. In termini pratici verranno finanziati gli interventi compiuti tra il 2015 e il 2023. La ripartizione dei fondi seguirà questi criteri: • occupazione 186,6 milioni • inclusione sociale 51,5 milioni

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• istruzione e formazione 29,2 milioni • amministrazione pubblica efficiente 11,1 milioni • assistenza tecnica per la realizzazione degli interventi 9,5 milioni. IL FSE REGIONE EMILIA ROMAGNA Per il periodo 2014/2020 la Regione Emilia Romagna ha elaborato la propria strategia di programmazione delle risorse Fse disponibili, pari a 786 milioni di euro di risorse europee, nazionali e regionali. La strategia è stata condivisa con le istituzioni e le parti sociali del territorio, a partire da una duplice priorità: garantire che nella regione tutti i cittadini abbiano pari diritti di acquisire conoscenze e competenze ampie e innovative e di crescere e lavorare esprimendo al meglio le proprie potenzialità e, al contempo, fare in modo che l’offerta formativa finanziata dal Fse risponda sempre più e sempre meglio ai fabbisogni di competenze necessari all’innovazione e alla qualificazione delle imprese emiliano-romagnole. La ripartizione dei fondi seguirà questi criteri: • occupazione 490.620 milioni • inclusione sociale 157.250 milioni • istruzione e formazione 108.502 milioni • rafforzamento della capacità dei soggetti che operano nell’istruzione, nella formazione e nel lavoro 1,572 milioni • assistenza tecnica per la realizzazione degli interventi 28,305 milioni. FONDI INTERPROFESSIONALI I Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua sono organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle Parti Sociali attraverso specifici Accordi Interconfe-

derali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I fondi interprofessionali sono utilizzati dalle aziende di tutti i settori per la formazione continua dei propri dipendenti, dedicando la quota dello 0,30% dei contributi versati all’Inps (il “contributo obbligatorio per la disoccupazione involontaria”), alla formazione gratuita dei dipendenti aziendali, analizzando quali siano i bisogni interni e di conseguenza progettare le attività formative, anche con la collaborazione di enti esterni. L’adesione a un fondo non comporta alcuna spesa per le imprese, ed è possibile in qualsiasi momento, senza alcuna penale, rinunciarvi. Oggi in Italia sono operativi circa 18 fondi differenti che si traducono in varie opportunità di finanziamento: • voucher formativi: consentono ad un’azienda di acquistare da un “catalogo” delle attività formative per i propri dipendenti: si possono acquistare seminari, master, giornate di studio, corsi • piani formativi aziendali: consentono all’azienda di pianificare e realizzare percorsi personalizzati per colmare le esigenze formative interne che si evidenziano dall’analisi dei fabbisogni • progetti territoriali o settoriali: un’impresa può usufruire di vari progetti formativi organizzati da enti e associazioni che rispondono alle caratteristiche e necessità così come sono espresse negli avvisi pubblici banditi dai vari Fondi Paritetici Interprofessionali. Per maggiori informazioni rivolgersi alla dott.ssa Francesca De Palma presso Sida Group srl 071-28521

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CANALE 12

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MARCHE da ESPORTAZIONE

MARCHE E IRAN: NUOVI RAPPORTI COMMERCIALI Le imprese del territorio voleranno in medioriente per riallacciare i rapporti commerciali post-embargo. Ceriscioli: “Si aprono scenari interessanti non solo per le Pmi, ma anche per scambi culturali che possono rafforzare il gemellaggio con una regione iraniana”.

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l governatore Luca Ceriscioli accompagnerà una delegazione di imprenditori in Iran, a ridosso dell’estate. Una spedizione alla riscoperta di un mercato con cui l’Italia, e le Marche in particolare, hanno avuto rapporti di proficua collaborazione prima delle sanzioni internazionali sul nucleare.

“Quello iraniano è un mercato da rivitalizzare per rilanciare l’economia. Servono 900 miliardi di euro e il nostro Paese dispone di queste risorse”, ha detto l’ambasciatore Jahanbakhsh Mozaffari, presente all’incontro a cui hanno partecipato oltre duecento imprenditori marchigiani. “Il nostro è un mercato ricco che può offrire op-

portunità alle imprese marchigiane. Siamo i primi produttori di energia al mondo, abbiamo una popolazione di 80 milioni di abitanti, siamo geograficamente strategici per raggiungere un bacino di 300 milioni di persone dell’area mediorientale. Saremo il mercato emergente del prossimo decennio e abbiamo bisogno di tutti i

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MARCHE da ESPORTAZIONE settori merceologici, a seguito della cessazione delle sanzioni. Dopo aver visitato alcune azienda marchigiane e apprezzato la qualità delle vostre produzioni, l’entusiasmo a collaborare con le Marche è aumentato. L’Iran ha avuto rapporti storici con l’Italia, dai tempi della Repubblica di Venezia. Quattrocento anni di relazioni diplomatiche che hanno portato il vostro Paese a essere il primo partner commerciale nel periodo antecedente le sanzioni. Oggi gli iraniani apprezzano il made in Italy. Le principali aziende italiane sono già presenti in Iran. I 28 memorandum, del valore di 100 miliardi, firmati dal premier Matteo Renzi nella recente visita a Teheran, testimoniano l’interesse concreto a sviluppare rapporti commerciali. Guardiamo con attenzione alle piccole e medie imprese che caratterizzano anche la nostra economia. Raccordiamole con le Camere di commercio dei due Paesi e venite in Iran con la missione del presidente Ceriscioli. Se gli imprenditori marchigiani toccano con mano la nostra realtà, possono farsi un’idea concreta su un mercato dinamico che offre opportunità di crescita e sviluppo”. Ceriscioli ha espresso “l’onore per essere, le Marche, la prima regione visitata dall’ambasciatore dopo la fine delle sanzioni. Si aprono scenari interessanti non solo per le Pmi, ma anche per scambi culturali che possono rafforzare il gemellaggio con una regione iraniana, proposto dall’ambasciatore nella visita a Palazzo Raffaello. Nel colloquio con lui ho apprezzato la serietà, la concretezza, il desiderio di tradurre in tempi rapidi le parole in fatti: attitudini comuni ai marchigiani che agevolano i rapporti di collaborazione”. Ceriscioli ha ricordato che agli iraniani “piace viaggia-

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re, visitare l’Italia. Amano la cultura, il mare, lo shopping: caratteristiche che corrispondono perfettamente alle opportunità offerte dal turismo marchigiano. Abbiamo di fronte, quindi, una grande occasione che le imprese devono cogliere appieno. Ma tutto si gioca sulla velocità, perché le opportunità, dopo la fine delle sanzioni, si aprono a tutto il mondo occidentale. L’Italia deve valorizzare il ruolo storico che ha sempre avuto con l’Iran”. Secondo le proiezioni macro economiche più accreditate, l’Iran è tra i Paesi del Medio Oriente e Nord Africa con un Pil elevato e seconda economia dopo l’Arabia Saudita. Più della metà della popolazione è al di sotto dei 35 anni di età. Il tasso di scolarizzazione giovanile è molto elevato (ha raggiunto pressoché la totalità della popolazione), in particolar modo tra le ragazze. La forte spinta demografica in atto sorreggerà lo sviluppo dell’economia: già oggi l’e-commerce, cioè l’abitudine a comprare attraverso i canali digitali, vale 17 miliardi di euro, contro i 25 dell’Italia. Dopo le sanzioni “c’è fame e curiosità per i prodotti occidentali”, apprezzati per la qualità e il design. Nel corso del 2015 le Marche hanno esportato, verso l’Iran, merci per un valore di 16,7 milioni di euro, in calo del 23% rispetto all’anno precedente. I principali settori di esportazione sono stati la meccanica (32%), gli apparecchi elettrici (23%), mobili e prodotti in legno (10%). Nonostante le sanzioni, in termini percentuali si sono avuti incrementi significativi nel tessile e abbigliamento, calzature e pelletterie, gomma e materie plastiche. “Questa è la mia prima visita in una regione italiana, dopo la fine dell’embargo e il recente accordo stipulato con il governo italiano”, spiega l’am-

basciatore Mozaffari. “Siamo molto interessati al vostro tessuto economico e alle tante piccole e medie imprese del vostro territorio – aggiunge – speriamo, con la reciproca collaborazione, di riuscire a recuperare il tempo perduto e accelerare e facilitare le relazioni tra Iran e la regione. Questa missione avrà non solo fini commerciali ma anche culturali per permettere e agevolare scambi e incontri tra persone e culture diverse”. “La regione Marche – aggiunge il presidente Ceriscioli – è pronta a fare la sua parte per sostenere la rinascita di queste relazioni, che rappresenta un’opportunità importantissima per il nostro territorio. Una visita, quella della delegazione iraniana, molto apprezzata dalle aziende marchigiane, che possono offrire il know how, la qualità dei prodotti e forte dinamismo”. L’accordo siglato con il premier Renzi e l’Iran traccia indicazioni chiare. Sta ora alle Regioni dare piena operatività a questo percorso di riavvicinamento per sostenere la rinascita di relazione tra i due Paesi. “Siamo pronti ad offrire tutte le condizioni per lavorare con decisione e offrire alle nostre piccole e medie imprese il sostegno e gli appoggi necessari per agevolare le relazioni e gli interscambi” ha aggiunto il governatore delle Marche. Dunque l’ambasciatore ha immediatamente proposto un accordo di cooperazione tra le Marche e un’altra Regione dell’Iran e la costituzione di una “squadra di imprese” interessate agli scambi con l’Iran, coordinata dalla Regione, in sinergia con la Camera di commercio iraniana, pronta ad organizzare la missione in Iran per trovare il partner commerciale di riferimento.


MARCHE

CONTRIBUTI E INCENTIVI A CURA DELLA DIVISIONE STRATEGIA E FINANZA D'IMPRESA SIDA GROUP SRL

MISE E CASSA DEPOSITI E PRESTITI

MINISTERO POLITICHE AGRICOLE

“Sabatini Ter” Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico che istituisce un nuovo strumento per accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese e migliorare l’accesso al credito delle micro, piccole e medie imprese.Alle imprese verrà riconosciuto dal Mise un contributo in conto interessi pari all’ammontare complessivo degli interessi calcolato su un tasso favorevole del 2,75%, ripartito in cinque anni in quote annuali costanti. SCADENZA: FINO AD ESAURIMENTO FONDI

“Sostegno al settore agricolo e agroindustriale” In fase di pubblicazione il programma di investimenti per il settore agricolo e agroalimentare per oltre 2 milioni di euro per il triennio 2015-2017. Gli obiettivi del Piano messo a punto dal Ministero sono: potenziare la produttività, aumentare la capacità produttiva, favorire l’internazionalizzazione, accrescere la competitività, far nascere start-up e creare nuova occupazione.

MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO “Restart ValVibrata” Il Ministero dello sviluppo Economico, Regione Abruzzo e Regione Marche hanno riconosciuto l’area di crisi complessa Vibrata Piceno quale soggetto beneficario di importanti contributi. Nelle prossime settimane saranno pubblicati i bandi contenenti le linee guida per sfruttare le risorse disponibili.

SCADENZA: IN FASE DI PUBBLICAZIONE INVITALIA “Sostegno alle start-up in aree di crisi” Il Ministero dello Sviluppo Economico, la Regione Marche, la Regione Umbria e Invitalia hanno sottoscritto un Accordo di Programma per l’attuazione del Piano di sviluppo dell’area di crisi, impegnando risorse pubbliche pari a 81 milioni di euro (35 nazionali, 46 regionali). A tal fine sono disponibili incentivi agli investimenti e all’occupazione.

SCADENZA: IN FASE DI ATTIVAZIONE AGCM - AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO “Rating di legalità” “La finalità della normativa è quella della promozione e introduzione dei principi di comportamento etico in ambito aziendale, tramite l’assegnazione di un “riconoscimento” - misurato in “stellette” , da 1 a 3 – indicativo del rispetto della legalità da parte delle imprese che ne abbiano fatto richiesta e, più in generale, del grado di attenzione riposto nella corretta gestione del proprio business. All’attribuzione del rating l’ordinamento ricollega vantaggi in sede di concessione di finanziamenti pubblici e agevolazioni per l’accesso al credito bancario. Il rating di legalità è stato disciplinato con delibera AGCM 14 novembre 2012, n. 24075, ha durata di due anni dal rilascio ed è rinnovabile su richiesta. Potranno richiedere l’attribuzione del rating le imprese operative in Italia che abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso l’anno precedente alla richiesta e che siano iscritte al registro delle imprese da almeno due anni.”

PRESENTAZIONE TELEMATICA

SCADENZA: 30/06/2016 REGIONE MARCHE “Sostegno alle start-up in aree di crisi” Il progetto è finalizzato allo sviluppo occupazionale e produttivo nelle aree colpite dalla crisi, favorendo e incentivando interventi sia per il miglioramento che per la riqualificazione delle imprese esistenti come anche per l’impianto di nuove attività produttive. Il contributo a fondo perduto può arrivare fino al 100% delle spese ammissibili.

SCADENZA: IN FASE DI PUBBLICAZIONE

A CURA DI

*Per consultare la sezione completa, e le restanti regioni, link al sito www.mlmagazine.it

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UNIVERSITÀ&RICERCA

FORMAZIONE NEL CAMPO DELL’AGRICOLTURA SOCIALE PRESSO L’UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE di Gianfranco Romanazzi*

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’Agricoltura sociale (AS) è un settore in grande sviluppo negli ultimi anni, nel quale l’attività agricola assume una molteplicità di funzioni, oltre a quelle tradizionali, ed offre servizi a vantaggio delle comunità e dei territori in cui esse abitano. Le funzioni della AS sono finalizzate all’inserimento socio-lavorativo di individui con disabilità o svantaggiati, da una parte, ed alla fornitura di servizi sociali, socio-sanitari ed educativi dall’altra, mediante l’utilizzo delle risorse materiali ed immateriali impiegate nelle attività agricole. I beneficiari della AS sono molteplici: a) le comunità locali, che attraverso esperienze di AS sviluppano l’inclusione sociale e lavorativa e forniscono servizi utili per la vita quotidiana delle persone; b) gli individui interessati da varie forme di disagio (fisico, psichico, psicologico, emotivo e cognitivo) attraverso prestazioni e servizi forniti dalla AS che affiancano e supportano le terapie mediche; c) l’ambiente di vita delle comunità locali, attraverso attività formative che migliorano la conoscenza del territorio e delle sue risorse, promuovendo principi etici di

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sostenibilità e di economia sociale. L’AS recupera quei valori di solidarietà e di inclusione che l’agricoltura ha mantenuto fin dalla sua nascita. Si osserva una maggiore capacità di affermazione laddove le aziende agricole sociali sono riuscite a realizzare reti, aggregando soggetti pubblici, privati e del terzo settore. L’AS ha ricevuto di

recente una connotazione ben precisa, a seguito della Legge n 141 del 18 agosto 2015, mentre nelle Marche è stata regolamentata con la LR 21/2011 sulla multifunzionalità dell’azienda agricola. Negli ultimi anni è emerso un bisogno di formazione per gli operatori delle imprese e cooperative agricole sociali, che il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali

(D3A) dell’Università Politecnica delle Marche, notoriamente impegnato nell’offerta formativa in ambito agrario, alimentare ed ambientale, sta cercando di soddisfare. Nell’ambito del corso di laurea magistrale in “Scienze agrarie e del territorio”, accanto al tradizionale “Produzione e Protezione delle colture”, è stato di recente attivato il curriculum “Agricoltura sociale”. Tale curriculum, primo e unico nel panorama nazionale ad affrontare tale tematica, è nato a seguito di numerose istanze provenienti dal territorio, soprattutto marchigiano, nel quale operano diverse strutture per le quali l’agricoltura è vista come possibilità di: a) inclusione lavorativa e servizi per la qualità della vita (ad es. agrinido e longevità attiva); b) servizi terapeutici-riabilitativi per persone con disabilità; c) recupero e terapia dalle dipendenze; d) fornitore di servizi ecosistemici per il territorio. Il laureato nell’ambito di questo curriculum deve avere solide basi nella gestione delle produzioni agrarie, conseguite nel primo anno di studio, accompagnate da conoscenze specialistiche riguardanti l’AS acquisite in piccola parte nel primo anno e soprattutto nel secondo anno del percor-


UNIVERSITÀ&RICERCA

Inserimenti lavorativi nella legatura del kiwi, Cooperativa Agricola Sociale “Terra e Vita” di Recanati (MC).

so di studio. Nel primo anno di corso, comune ai due curricula, vengono impartiti gli insegnamenti di Agronomia del territorio, Sistemi colturali erbacei, Vivaismo e biotecnologie in arboricoltura, Gestione e tutela della biodiversità e del paesaggio, Miglioramento genetico e ingegneria genetica, Economia e politica agraria e Chimica e biochimica dei fitofarmaci. Nel secondo anno di corso gli studenti del curriculum “Agricoltura sociale” seguono gli insegnamenti di Orto-floro-frutticoltura sociale, Benessere e sviluppo in agricoltura sociale, Disagio psichico e prospettive di integrazione sociale e Zootecnia sociale. Alcuni laureati in “Scienze agrarie e del territorio” presso il D3A già operano in imprese e cooperative agricole sociali marchigiane. Il primo anno di attivazione del curriculum “Agricoltura sociale” presso il D3A ha mostrato un buon interesse da parte degli studenti, con provenienze, oltre che dagli studi tradizionali di natura agraria, anche da altre classi di laurea. Il laureato del curriculum “Agricoltura sociale” deve esser preparato a gestire colture ortive, frutticole ed officinali, alla cui gestione l’ospite della fattoria sociale contribuisce vedendo poi i frutti del proprio lavoro. Tale laureato deve essere in grado di: a) indirizzare le competenze agronomiche e produt-

tive all’organizzazione delle diverse realtà di AS a seconda degli obiettivi e degli utenti interessati, con la capacita di programmare, in accordo con educatori specializzati nella gestione degli utenti, a seconda delle esigenze specifiche e con continuità durante l’anno; b) favorire la sostenibilità dell’azienda sociale tramite la valorizzazione e commercializzazione in azienda o in sistemi specializzati; c) offrire opportunità di recupero, inclusione ed autonomina sociale degli utenti, a seconda delle loro capacità; d) interfacciarsi con gli operatori sanitari e sociali che seguono gli ospiti dal punto di vista terapeutico.

Agrinido “L’Orto dei Pulcini”, Azienda Agricola Lupini, Ostra (AN), Progetto “Agrinido di Qualità”, Regione Marche.

Il D3A intende potenziare tale percorso di studi mediante una intensificazione dei rapporti con le strutture del territorio operanti nel campo dell’AS, anche tramite convenzioni nell’ambito delle quali lo studente potrà svolgere in azienda il Tirocinio Formativo e di Orientamento, e in alcuni casi sviluppare anche ricerche inerenti la Tesi di laurea. Il D3A è attivo già da diversi anni in attività di AS con l’Azienda Agraria Didattico-Sperimentale “Pasquale Rosati” di Agugliano (AN) (presso la quale vengono svolte attività di AS prevalentemente orientate a studenti delle scuole materne e primarie), l’Or-

to Botanico della Selva di Gallignano (AN) (dov’è presente un percorso sensoriale con piante officinali per ipovedenti) e lo spin off H.O.R.T. Soc. Coop. (che gestisce una serie di progetti con bambini, anziani e categorie disagiate in percorsi di AS). Oltre al curriculum “Agricoltura sociale” della laurea magistrale in “Scienze agrarie e del territorio”, il D3A, assieme al Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali della stessa Università e congiuntamente ad altre realtà presenti sul territorio ed operanti nel campo dell’AS, si propone di istituire un master di I livello in “Imprese e reti di agricoltura sociale”, così da formare una professionalità in grado di operare in tale contesto, con competenze di natura agronomica e di altre discipline inerenti l’AS, sviluppate in sinergia, anche per chi già opera nel settore e vuole incrementare il proprio bagaglio tecnico e culturale. Tali percorsi offrono alla collettività marchigiana (e non solo) un’importante e qualificata opportunità di formazione in un settore che è in fase di sviluppo accelerato in tutto il mondo, e che appare di notevole interesse per le Istituzioni regionali e le Amministrazioni locali, essendo in grado di coinvolgere attivamente i cittadini e le associazioni che operano sul territorio, contribuendo in tal modo ad aumentare la coesione sociale, il benessere e la qualità della vita delle comunità locali.

*Università Politecnica delle Marche, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali - Presidente del Consiglio Unificato dei Corsi di laurea in “Scienze e tecnologie agrarie” e laurea magistrale in “Scienze agrarie e del territorio” e-mail g.romanazzi@univpm.it

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UNIVERSITÀ&RICERCA

TIM, WIKIPEDIA E UNIVERSITÀ DI URBINO CARLO BO: AL VIA #WIKITIM PER LO SVILUPPO DELLA CULTURA DIGITALE di Giovanni Boccia Artieri, Presidente della Scuola di Scienze della Comunicazione della Università di Urbino Carlo Bo

W

ikipedia è una risorsa comune che percepiamo come qualcosa da dare per scontato, che incontriamo quando facciamo una ricerca online su qualsiasi tema e che si presenta spesso tra i primi risultati. In questo senso il nostro approccio con quella che vediamo come una grande enciclopedia online è da lettori che si imbattono con naturalità in un archivio amplissimo che è sempre a nostra disposizione. Raramente ci chiediamo come venga generata questa ricchezza che attraverso Internet abbiamo a disposizio-

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ne. Piuttosto siamo pronti a lamentarci quando riscontriamo qualcosa di sbagliato, magari imbattendoci in una voce su cui abbiamo sufficienti competenze. Questo nostro punto di vista risente di una miopia abbastanza diffusa che vede Wikipedia unicamente come una fonte da consultare, dimenticando che per sua natura noi siamo allo stesso tempo fruitori e produttori delle voci. O, almeno, questa possibilità ci è data ed è, forse, rappresentativa della natura più autentica di questo progetto che, quando venne fondato nel 2001 da Jimmy Wales e Larry Sanger, conteneva già in nuce l’idea di un web che sarebbe diventato sociale e

comunitario. Un buon esercizio per colmare questo difetto percettivo sta nel rovesciare il punto di vista e provare l’altro lato della lettura: quello della scrittura. E farlo dal versante delle proprie competenze, cercando di entrare nella dimensione più viva di questo progetto collettivo. È così che all’Università di Urbino Carlo Bo abbiamo imparato a guardare Wikipedia in modo rovesciato: da semplici utenti, come spesso siamo, ci siamo confrontati con la possibilità di diventarne autori. Lo abbiamo fatto con un progetto che ha coinvolto TIM che lo ha promosso, Wikimedia e le Università.


UNIVERSITÀ&RICERCA Attraverso un progetto pilota, #wikiTIM, abbiamo proposto sei voci che sono centrali per capire la cultura digitale oggi e che nella versione italiana erano da arricchire, perfezionare o addirittura erano assenti. L’idea è stata quella di partire dagli UGC, quel contenuto generato dagli utenti che è il motore e il senso di una realtà come Wikipedia. Scegliere questa voce è stato un modo di costruire la nostra mise en abîme che tiene assieme contenuto, forma ed il modo di lavorare stesso. Le altre voci sono arrivate via via con naturalezza: intelligenza collettiva, disintermediazione, cultura partecipativa, (che non esisteva in italiano), narrazione transmediale, (che era “comunicazione transmediale”), social Tv. Tutte voci che raccontano le ricadute del digitale sul tempo presente, modi diversi e interconnessi di leggere le trasformazioni che riguardano la nostra vita – relazionale, mediale, politica, di impresa – nella connessione web. Con un gruppo di post-doc e studentesse e studenti delle lauree triennale e magistrale di Scienze della Comunicazione abbiamo vissuto la formazione dei wikipediani e molte ore fuori dall’orario di lezione di confronto nelle aule, in chat, nelle sandbox del progetto e sui documenti condivisi. Non abbiamo fatto niente di eccezionale. Niente che chiunque non possa fare. Ma confrontarsi con un metodo di lavoro su voci non tecniche, con un team di venti persone con competenze ed esperienze molto diverse, con lemmi che erano carenti di fonti e verifiche, spesso abbozzati e poveri, rispettando il lavoro già fatto da altri, confrontandosi con le grammatiche di Wikipedia e con in mente l’idea di contribuire con un sapere qualificato come quello universitario, non è stato

per niente semplice. Si è trattato di affrontare una sfida non indifferente, che ha richiesto di rinunciare ad una vocazione autoriale nella scrittura della voce o ad un’impostazione che vuole dettare un modo “giusto” di affrontare un tema. Wikipedia, come sappiamo, utilizza una logica partecipativa e collaborativa alla costruzione del sapere che non necessariamente si sposa con l’idea di univocità di una voce ma, piuttosto, con quella di neutralità: offrire cioè tutti gli elementi per orientarsi attraverso interpretazioni anche diverse o

addirittura contrastanti. Le voci non sono pensate come la chiusura di un sapere dentro i confini di una precisione disciplinare. L’esattezza chirurgica con cui una disciplina affronta un lemma è, piuttosto, una delle versioni da porre al vaglio di una lettura collettiva. Il senso, in definitiva, è quello di prendersi cura di voci affinché siano migliorate da altri, dove “migliorate” va intesa come la disponibilità ad aprirsi ad altri punti di vista e ad

impostazioni differenti. Anche quelle delle diverse persone che ci hanno lavorato, per intenderci. Scrivere una voce su Wikipedia non è come vedersi affidare la cura di una voce per la Treccani, non ha a che fare con le proprie competenze, con il proprio punto di vista e restituire un sapere chiuso nei confini del testo. Le voci le abbiamo quindi discusse, abbiamo letto e studiato, cercato fonti e citazioni, abbiamo abbozzato parti, ce le siamo modificate e corrette a vicenda, le abbiamo scritte e riscritte e alla fine il prodotto è quello di una intelligenza collettiva che costruisce forse una realtà sub-ottima ma che si presenta come aperta, pronta alla modifica di altri utenti e che dall’invito ad essere modificata trae il suo senso. Abbiamo capito che il modo giusto per rapportarsi a Wikipedia non è quello da semplice lettore, non è affidarsi alla sua attendibilità ma affrontare ogni voce come un’opportunità di miglioramento. Ma per farlo sono sufficienti molte volte le proprie competenze di lettore: se leggiamo una frase che fa affermazioni che non contengono una fonte, possiamo segnalarla. Se una voce sembra povera ed imprecisa, possiamo segnalarla. Chi arriverà dopo di noi avrà strumenti in più per capire e, se ha le competenze, per modificare. Non abbiamo fatto niente di eccezionale. Ma rovesciare la prospettiva di approccio a quella grande risorsa condivisa del sapere ci ha messo di fronte ad un modo diverso di pensarci, anche come Università, nelle costruzione partecipativa di conoscenza.

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CARRIERE & POLTRONE Riccardo Strano NUOVA PF ALLA STRATEGIA MACROREGIONE ADRIATICO IONICA E COOPERAZIONE TERRITORIALE EUROPEA

Luca Cordero DI MONTEZEMOLO SI DIMETTE DA CONSIGLIERE DI TOD’S

L’imprenditore ha rassegnato le proprie dimissioni con efficacia immediata “per sopraggiunti ulteriori incarichi professionali”. Montezemolo era stato nominato nel consiglio di amministrazione della società di Diego Della Valle già nel 2001, dopo la quotazione in Borsa, ed è titolare di 233.200 azioni (per un controvalore in Borsa di poco superiore ai 17 milioni di euro). Era consigliere non esecutivo e indipendente del gruppo, pur senza appartenere ad alcuno dei comitati interni al cda.

Il nuovo incarico di Posizione di Funzione per la “Strategia Macroregione Adriatico Ionica e cooperazione territoriale europea” nell’ambito del Gabinetto del presidente della Regione Marche, è stato assegnato a Riccardo Strano, già in comando dall’Enit, con qualifica di Direttore dell’ENIT-Agenzia Nazionale per il Turismo in Nord America, con sede principale a New York ed uffici satellite a Chicago, Los Angeles e Toronto nonchè Coordinatore per il Brasile e l’Argentina.

Cesare Spuri ALLA PF EDILIZIA SANITARIA E OSPEDALIERA DELLA REG. MARCHE

Stefania Tibaldi ALLA PF RETE ELETTRICA REGIONALE

L’ingegnare maceratese, già dirigente alla Provincia di Macerata, viene confermata, ad interim, alla direzione della Pf “Rete elettrica regionale, autorizzazioni energetiche, gas e idrocarburi”

Già responsabile del Dipartimento regionale della protezione civile, Cesare Spuri assumerà ad interim la Pf “Edilizia sanitaria e ospedaliera” nell’ambito dell’Asr. Il dirigente pubblico maceratese era stato trasferito a dicembre scorso dall’ufficio personale della Provincia al dipartimento regionale della Protezione Civile.

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La ricerca è un gioco di squadra

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• Conoscenza relativa alla progettazione in aziende del settore meccanico e/o impiantistica industriale • Ottima padronanza del quadro normativo relativo alla sicurezza in azienda ed in particolare alla prevenzione e controllo degli incendi • buona conoscenza della lingua inglese • ottimo utilizzo del computer • Residenza nelle Marche • Laurea in Ingegneria o in discipline tecniche Vogliamo entrare in contatto con persone determinate, con forte spirito d’iniziativa e motivate al ruolo. Rigore professionale e flessibilità nell’approccio con il cliente completano il profilo.

Sida Group, per Albergo di prossima apertura nella provincia di Ancona, si ricerca: CHEF DE CUISINE – RIF AC/02

Sida Group, per Albergo di prossima apertura nella provincia di Ancona, ricerca: CAPI PARTITA – RIF CP/01

La figura dovrà supportare il lavoro dell’Executive Chef e sostituirlo nei momenti di assenza. Il candidato ideale è in possesso di un diploma specifico, ha maturato un’esperienza pregressa di almeno 5/6 anni nel ruolo e ha lavorato in cucine di tipo gourmet.

Si cercano giovani diplomati che abbiano maturato un’esperienza nel suddetto ruolo di almeno 2/3 anni e che abbiano lavorato (anche per stage e tirocini) in ristoranti di alto livello. I candidati ideali hanno capacità di lavoro di squadra e di gestione del lavoro in maniera autonoma.

Per Albergo di prossima apertura nella provincia di Ancona, si cerca: EXECUTIVE CHEF – RIF EC/01 Sarà responsabile dell’organizzazione e della gestione della cucina e della brigata. Si occuperà di predisporre i menu, gestire gli ordini e controllare le richieste dei capi-partita nel rispetto del budget a disposizione. Il Azienda di medie - grandi dimensioni, con un fatturato di circa 30 Mio di euro, operante nel settore della distribuzione, ricerca un: RESPONSABILE AMMINISTRATIVO rif: RAM/01 Il quale, rispondendo direttamente alla Proprietà, dovrà garantire il corretto svolgimento delle procedure amministrative- contabili, finanziarie e di controllo di gestione; sarà quindi prevalentemente coinvolto in attività di gestione ciclo passivo e attivo, adempimenti fiscali, rapporti con

candidato ideale ha maturato esperienze nel campo della banchettistica e ha competenze nell’ambito del food cost. Ha anche sviluppato un’esperienza almeno decennale e certificata nel ruolo in strutture stellate, ha elevate competenze organizzative e di gestione del lavoro di squadra e sa interfacciarsi con colleghi e superiori in maniera positiva e propositiva.

le Banche, reperimento risorse finanziarie e del controllo di gestione. Il candidato sarà coadiuvato da un team di circa 6 risorse. Costituisce requisito preferenziale aver maturato esperienza precedente o in aziende di revisione o in realtà aziendali con fatturato superiore ai 20-30 Mio con un team da gesrtire. Il candidato ideale è un professionista, preferibilmente di età compresa tra i 35-45 anni, dinamico ed intraprendente, capace di gestire e motivare un team e di lavorare per obiettivi e scadenze. La sede di lavoro si trova ad Ancona nord.

Sida Group per conto di un’importante realtà industriale del Centro Italia operante nel settore dei beni di consumo durevole, ricerca: DIRETTORE ACQUISTI rif: DA/SD Il quale in accordo con la Direzione Aziendale sarà responsabile del raggiungimento degli obiettivi prefissati, presidiando e coordinando le attività legate all’acquisto e all’approvvigionamento di materie prime e materiali di consumo necessari allo svolgimento dell’attività di produzione dell’Azienda. Nello specifico di occuperà di : • Gestire e pianificare operativamente i processi di approvvigionamento (Supply Chain) nel rispetto delle tempistiche aziendali; • Gestire il budget di acquisto previsto per i prodotti assegnati; • Analizzare i fornitori attraverso attività di benchmarking interno ed esterno, in funzione delle esigenze rilevate; • Svolgere attività di negoziazione, trattative e gestione operativa nell’ambito degli acquisti. Il candidato ideale: • ha un’età preferibilmente intorno ai 40-45 anni; • ha già un’esperienza consolidata nel ruolo ricercato nel settore di riferimento dell’azienda; • ha un’ottima conoscenza delle modalità di acquisto, pagamento e consegna delle merci, in particolare delle materie prime; • ha una buona padronanza della lingua inglese. Completano il profilo un’elevata capacità di analisi e negoziazione; ottime doti relazionali e comunicative; capacità organizzative e di gestione del tempo; esperienza nella ricerca e selezione di fornitori e nelle trattative d’acquisto; spiccate capacità decisionali e di problem solving.

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Gli interessati sono pregati di inviare dettagliato curriculum, con consenso al trattamento dei dati, citando in busta il riferimento a: SIDA S.r.l. Via I° Maggio - 60131 Ancona - Fax 071/2852245 - info@sidasrl.it - www.sidasrl.it Consenso: richieste di autorizzazione provvisioria alla Ricerca e Selezione del personale in corso, ai sensi del D.Lgs. 276/03. I candidati ambosessi (L. 903/77) sono invitati a leggere sul nostro sito l’informativa sulla Privacy (D. Lgs. 196/03).


ECCELLENZE

IL MEGLIO DELLE MARCHE SFILA A LA FONTE. A PORTONOVO VA IN SCENA IL PREMIO MARCHIGIANI DELL’ANNO. Da ventisette anni il gran galà dei marchigiani eccellenti omaggia le figure più rappresentative. L’idea di Sartini e Roscioni accende i riflettori sulla Baia.

A

ll’Hotel La Fonte di Portonovo sfila il meglio delle Marche. Il 7 luglio va in scena la ventisettesima edizione del Premio Marchigiani dell’Anno. Presentatore e conduttore dell’evento il giornalista Andrea Carloni. Mentre nel Comitato d’Onore, fra gli altri, i rettori delle Università marchigiane di Urbino, Macerata, Camerino e Univpm con il prof. Sauro Longhi in veste di presidente del Comitato d’Onore. Il Premio Nazionale promosso dall’Aics (Associazione Italiana Cultura Sport) nasce nel 1990 su inventiva del Presidente del Comitato Regionale Aics Marche, Giorgio Sartini, e con il supporto di Aldo Roscioni storico titolare de La Fonte, che per onorare la marchigianità ha deciso di premiare quanti, con il loro impegno, promuovono il nome delle Marche in Italia e nel mondo. Oltre 200 sono state le personalità insignite del prestigioso ed ambito riconoscimento, uomini e donne nel campo dell’industria, del

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commercio, cultura, sport, ambiente, spettacolo, turismo, ricerca scientifica, sanità, innovazione, cinema. Lo stesso premio ha il patrocinio del Parlamento Europeo e della Regione Marche, del Consiglio Regionale del-

le Marche, dell’Università Politecnica delle Marche, delle cinque Province, del Corpo Consolare-Marche e di tante altre realtà vicine all’Aics tra cui: Accademia dei Georgofili, Accademia Nazionale di Storia e Cultura Marchigiana, Ussi Marche, Unione Camere di Commercio delle Marche, Aidda (Associazione Imprenditrici e Dinne Dirigenti d’Azienda), Pro Loco Calamo di Ancona. Si tratta di uno degli eventi di maggior rilevo e prestigio per le Marche, e di pieno valore

a livello nazionale, premiando tutte quelle personalità marchigiane, o che fanno riferimento alle Marche, che si sono distinte nel corso dell’anno per particolari meriti sul piano economico, istituzionale, diplomatico, sportivo, culturale ed artistico. Nel corso degli anni, il Premio, organizzato dall’Aics, è stato conferito a personalità del calibro di Diego Della Valle, Francesco e Vittorio Merloni, Valeria Moriconi, Carlo Bo, Pietro Zampetti, Giovanna Trillini, Valentina Vezzali, Tonino Carino, Giampiero Solari, Mons. Angelo Comastri, Linda Valori, Roberta Faccani. Tutte figure di spicco, che nei rispettivi settori hanno saputo portare in Italia e nel mondo il nome delle Marche, sottolineandone peculiarità e caratteristiche. E dopo ventisette anni il Premio è ancora in auge e seguitissimo da un pubblico sempre attento a sostenere i propri corregionali meritevoli di attenzione mediatica e non solo. Come ad ogni edizione, la serata coinvolge anche le maggiori autorità locali in veste di spettatori e di giuria premiante.


SALUTE&BENESSERE

AL CENTRO MEDICO ASSOCIATI FISIOMED, UN PASSO AVANTI NELLA DIAGNOSI PRECOCE DELLE MALATTIE

L’

esame permette di tenere sotto controllo l’evoluzione di alcune malattie del fegato. Un’indagine molto meno invasiva del tradizionale prelievo di tessuto e per l’attrezzatura che sfrutta, ricorda un po’ l’ecografia. Controllare la salute del fegato con un esame indolore, non invasivo e che

consente diagnosi precoci oggi è possibile grazie a una nuova metodica francese, detta Fibroscan o Elastografia epatica (con tecnica share wave). Gli scorretti stili di vita, soprattutto in campo alimentare, possono favorire lo sviluppo di malattie metaboliche quali diabete, ipercolesterolomia ed ipertrigliceridemia che spesso sono campanelli d’allarme per patologie non solo del cuore, ma anche del fe-

gato. Molto importante, quindi, è fare diagnosi accurate e precoci. Da oggi, grazie strumenti quali il Fibroscan, I pazienti hanno a disposizione un ‘alleato’ prezioso. CHE COSA È IN GRADO DI DIAGNOSTICARE L’esame permette di tenere sotto controllo l’evoluzione di alcune malattie del fegato, tra cui l’epatite B, l’epatite C, senza bisogno di ricorrere al pre-

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SALUTE&BENESSERE 5.3 kPa senza che vi siano differenza di età; mentre in relazione al sesso si evidenzia come le donne abbiano mediamente livelli significativamente più bassi. A CHI PUÒ ESSERE PRESCRITTO L’esame può essere prescritto a qualsiasi malato che soffre di una malattia del fegato che comporta un rischio di fibrosi e di cirrosi. In genere deve essere ripetuto 1-2 volte l’anno e, in un prossimo futuro, diventerà l’esame di routine per chi soffre di una malattia del fegato.

lievo bioptico di parte del tessuto dell’organo (che comunque rimane il Gold Standard). L’esame, infatti, è molto meno invasivo del tradizionale prelievo di tessuto e per l’attrezzatura che sfrutta, ricorda un po’ l’ecografia. Si tratta di un’apparecchiatura dotata di una sonda, che viene appoggiata sull’addome superiore in corrispondenza del lobo destro del fegato. Questa sonda emette una vibrazione meccanica che viaggia all’interno del fegato con una velocità diversa a seconda che l’organo sia sano o che ci siano fibrosi e/o cirrosi, che rendono più duri i tessuti. La sonda è collegata a un computer che calcola la velocità cui le vibrazioni meccaniche raggiungono il fegato e le traduce in un numero, che indica lo stato di salute del fegato. Il Fibroscan è un apparecchio molto simile ad un ecografo, che attraverso una sonda, poggiata sulla parete toracica, tra gli spazi intercostali, invia al fegato delle onde elastiche. La velocità di propagazione di queste onde

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attraverso il tessuto epatico viene elaborata da un calcolatore, che fornisce in tempo reale una stima quantitativa dell’elasticità/rigidità del fegato. L’esame è indolore, dura circa 5-10 minuti. Il dispositivo misura la rigidità di una sezione cilindrica tessuto epatico di 4 cm di lunghezza e di 1 cm di diametro che si trova ad una profondità di 2.5 cm al di sotto della superficie cutanea. Queste dimensioni sono all’incirca 100 volte maggiori di un campione bioptico standard e dunque più rappresentative dell’intero parenchima, consentendo così di ridurre l’errore di campionamento. Il sistema è tarato in modo da rifiutare automaticamente le stime di elasticità se la propagazione dell’onda elastica non è misurata in modo appropriato. Infatti solo le onde la cui velocità di propagazione è costante sono validate e ciò permette di eliminare gli artefatti dovuti alla presenza di strutture vascolari o di lesioni focali. Il valore medio della liver stiffness nel paziente esente da malattia epatica è di circa

VANTAGGI • non è invasivo, né doloroso ma ugualmente affidabile • può essere ripetuto frequentemente • offre risultati oggettivi, • è rapido: in 10-15 minuti fornisce una diagnosi certa Inoltre è in grado di misurare la stadiazione della fibrosi epatica, di fondamentale importanza per definire la prognosi e indirizzare le scelte terapeutiche nei pazienti con epatite cronica. Per le sue caratteristiche, dunque, il fibrosan con tecnica “share wave” , è particolarmente utile per un monitoraggio nel tempo delle malattie epatiche, della loro evoluzione e della risposta al trattamento.


CERTIFICAZIONE

MANAGEMENT ACADEMY SIDA GROUP: La certificazione KHC verso la soddisfazione degli allievi di Paolo Dell’Uomo Management Academy Sida Group - Area qualità

P

er affrontare le sfide attuali del mercato del lavoro occorre poter far conto su competenze solide e qualifiche certe, soprattutto è importante che queste siano sempre aggiornate; in tal senso autoformazione e la formazione acquistano un ruolo cruciale. Per chi decide di intraprendere un percorso formativo è fondamentale riuscire a compiere una scelta ragionata, potendo valutare le varie opzioni sulla base di criteri certi. Da sempre attenta a offri tre ai propri allievi contenuti, modalità e metodiche sempre aggiornati ed effettivamente rispondenti alle necessità degli allievi, Sida Group ha fatto un altro passo in questa direzione. Lo scorso 29 aprile ha ricevuto l’audit svolto da dall’ente di certificazione KHC – Know How Certification. L’audit ha avuto come oggetto il corso Auditor Interno di Sistemi di

Gestione Qualità (TQM), al termine della Verifica Ispettiva, l’ente certificatore ha ritenuto conforme il corso allo schema: “Requisiti Corsi per la Qualificazione dei Corsi di Formazione KHC QI 1001012 Rev.10” nonché la qualifica del docente Paolo Dell’Uomo. È importante sottolineare che l’ente KHC – Know How Certification svolge l’attività di qualifica/Registrazione dei Corsi di Formazione propedeutici alla Certificazione della figura professionale, in conformità alla UNI EN ISO/IEC 17065:2012 ed agli Schemi di Certificazione KHC. Esso è riconosciuto e accreditato da Accredia, ente nazionale italiano per le certificazioni di terza parte. L’ottenimento di questa certificazione dunque, si inquadra perfettamente nella mission della Management Academy Sida Group, al centro della quale c’è la totale soddisfazione degli allievi. Attraverso il precorso di qualifica del-

le Competenze è così possibile offrire una opportunità in più agli allievi del Master TQM, i quali, dopo aver superato gli esami appositamente previsti, potranno ricevere anche l’attestato KHC, che conferisce maggiore spendibilità alla propria figura professionale, sia come interno alle organizzazioni sia come esperto qualificato nel settore delle Audit secondo lo schema della Iso 19011:2012. La Management Academy Sida Group si è posta come prossimo obiettivo quello di estendere tale attestato di qualifica delle competenze a tutte le altre norme che sono comprese del percorso TQM: ISO 14001; OHSAS 18001; ISO 50001; ISO 27001; ISO TS 16949. Tale obiettivo rientra in quello più grande di mantenere l’offerta formativa sempre adeguata e il linea con le attese e i bisogni degli allievi e allo stesso tempo delle imprese in cui questi operano o andranno a operare.

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CLUBMOTORI

MOTORI EURO 6: UN NUOVO PASSO VERSO IL TRASPORTO ECOSOSTENIBILE

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ualsiasi motore a combustione interna produce idrocarburi incombusti (HC), ossidi di azoto (NOx), particolato (PM), ossido di carbonio (CO), anidride carbonica (CO2) e acqua. Sostanze in gran parte nocive per la salute e l’ambiente. Ecco perché, da oltre vent’anni, sono stati fissati dei tetti massimi per le emissioni, il cui rispetto viene certificato da laboratori specializzati che operano mediante banchi a rulli e seguendo un preciso schema di “guida”; vale a dire alternando accelerazioni, rallentamenti, soste e tratti a velocità costante secondo sequenze preordinate. Cicli di prova anacronistici o legati a condizioni impossibili da replicare nella marcia quotidiana. Almeno sino al 2017, quando dovrebbe entrare in gioco un nuovo metodo di rilevamento, più aderente alla realtà. Uno degli obiettivi principali per tutti i costruttori è contenere le emissioni, dato che le normative divengono sempre più stringenti. Come fare? Ottimizzando la combustione – l’iniezione diretta, in tal senso, ha portato grandi benefici consentendo di polverizzare con estrema precisione il carburante – e introducendo la tecnologia EGR (sigla derivata dall’inglese Exhaust Gas Recirculation), che

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consiste nel riciclare i gas di scarico reiniettandoli nelle camere di combustione così da contenere temperature interne ed eccessi d’ossigeno: principali fattori della formazione degli ossidi d’azoto (NOx). EGR che può essere tradizionale, detta anche “ad alta pressione”, se i gas vengono recuperati all’uscita dai cilindri e reiniettati direttamente nell’aspirazione miscelandoli con l’aria in entrata, oppure “a bassa pressione” se il recupero avviene più a valle, dopo il passaggio nella turbina e nel filtro anti particolato. Da sola, l’EGR non è sufficiente per rispettare la normativa Euro 6. Per rientrare nel più recente limite di emissioni è necessario ricorrere a dispositivi di trattamento post combustione, vale a dire dei

gas di scarico. Catalizzatori e filtri antiparticolato sono così diventati una costante da due decenni. I primi sono essenzialmente dei blocchi di ceramica solcati internamente da una miriade di canali entro i quali circolano i gas combusti; canali rivestiti con materiali “attivi” (palladio, platino e rodio in primis) che rendono possibili le reazioni chimiche capaci di trasformare gli inquinanti in sostanze meno nocive. Una soluzione che, nella maggioranza dei casi, consente ai motori benzina a iniezione indiretta di rientrare nei limiti dell’Euro 6. Non così, invece, per i diesel che devono ricorrere al filtro antiparticolato onde abbattere le polveri fini. Si tratta, nel caso specifico, di un vero e proprio filtro che trattiene la fuliggine e che per


CLUBMOTORI

questo va periodicamente rigenerato “bruciando” a oltre 600°C i residui. Un’operazione che le vetture moderne eseguono autonomamente. Il vero nemico del diesel – e in parte dei motori a benzina a iniezione diretta – sono gli ossidi di azoto (NOx), prodotti in quantità a causa della combustione magra, ricca di ossigeno. La norma Euro 6, nello specifico, applicabile dal 1 settembre 2014 in sede d’omologazione e dal 1 settembre 2015 per quanto riguarda l’immatricolazione e la vendita dei nuovi veicoli, prevede per i td emissioni di 0,08 g/km. Un valore ridottissimo – l’Euro 5 prevedeva 0,18 g/km – che impone l’adozione di un catalizzatore specifico: deNOx, vale a dire ad accumulo,

da pulire periodicamente arricchendo l’iniezione di carburante, oppure SCR (Selective Catalytic Reduction), più tecnologico e indicato per le vetture di medio/alte prestazioni, perché consente di mantenere alte potenze specifiche nonostante le emissioni contenute. Potenze che senza questa soluzione, soprattutto per i motori Diesel, dovrebbero essere tagliate drasticamente. Quest’ultimo catalizzatore trasforma i NOx in vapore acqueo (H2O) e azoto (N2): ambedue innocui. La reazione chimica si ottiene iniettando un liquido, l’AdBlue, composto da una miscela di acqua (67,5%) e urea (32,5%). L’iniezione a monte dell’SCR, a contatto con i gas di scarico ad alta temperatura, trasforma l’AdBlue in ammoniaca (NH3), che funge da riduttore trasformando gli ossidi d’azoto in vapore acqueo e azoto. LE NOVITÀ FORD Ford Motor Company ha stretto accordi con il Gruppo Volkswagen e PSA (il gruppo francese ha adottato il sistema già da tempo) in vista del passaggio ad una tecnologia molto efficace nella pulizia delle emissioni dei motori diesel. Ford, che attualmente utilizza le “trappole” LNT (Lean NOx Trap) per

ridurre le emissioni inquinanti dei suoi motori diesel, ha infatti dichiarato che il nuovo EcoBlue 2.000, che sostituirà il suo attuale TDCI con la stessa cilindrata, avrà la Selective Catalytic Reduction. La Casa prevede inoltre di introdurre un 1,5 litri diesel EcoBlue dal 2017, configurabile per adottare entrambi i sistemi, LNT e SCR. Anche l’EcoBlue da 2 litri riduce le emissioni di CO2 fino al 13% grazie ad una certosina riduzione delle perdite causate dagli attriti interni. L’unità è dichiarata essere anche più silenziosa e potrà erogare più di 200 CV. Ford continuerà probabilmente ad utilizzare le trappole LNT nei suoi motori diesel più piccoli, nonostante i progressivi inasprimenti delle norme sulle emissioni previsti dai regolatori dell’Unione Europea. In effetti i motori più sollecitati emettono più NOx, perché l’Azoto è un gas inerte e per “convincerlo” a legarsi con l’ossigeno ci vogliono temperature elevate: un motore installato in una vettura compatta sarà poco spremuto e la sua pulizia potrà essere assicurata anche da una LNT. Una piccola nota personale: la Ford Eusebi dispone dell’intera gamma Euro 6. Invitiamo tutti ad effettuare un Test-drive del mezzo desiderato, per provare le prestazioni di queste nuove motorizzazioni, sia sulle vetture che sui veicoli commerciali. a cura di

Viale Mattei 11, Fano - 61032 (PU) www.fordeusebi.it

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CLUBMOTORI

NUOVA TIGUAN: IL SUV DI ULTIMA GENERAZIONE CONQUISTA IL MERCATO CON LA NUOVA CONCESSIONARIA VOLKSWAGEN VIA VAI SPA

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lta tecnologia, comfort, eleganza e prestazioni di assoluto livello, per un mezzo che sta diventando di culto. Via Vai, concessionaria Volkswagen l’ha presentata in anteprima presso la nuova sede di Ancona il 14 Maggio con un grande successo di pubblico che conferma il trend di crescita dell’azienda a due cifre per il 2016 con un mercato dell’auto finalmente in ripresa.

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Un matrimonio lungo 35 anni, quello tra Via Vai Spa e Volkswagen. Lo showroom di Ancona ha inaugurato a gennaio del 2016, in una struttura di oltre 9mila metri quadri complessivi, di cui 5mila coperti e mille riservati all’esposizione della gamma Volkswagen. Il taglio del nastro lo scorso 22 gennaio. Alla guida dell’azienda l’AD Paolo Giacchetti e il responsabile commerciale Giuseppe Di Maio. Motivo d’orgoglio per il presidente Franco Moschini è il consolida-

mento del settore automotive della Moschini Spa, che con le aziende Via Vai e Domina Spa, ha superato i 100 dipendenti e oltre 3.000 auto nuove vendute nel 2015. Recentemente, la struttura di Ancona in via Natalucci 2 (zona Baraccola), ha posto un focus su uno dei mezzi più attraenti della gamma Volkswagen: la nuova Tiguan, il primo SUV a beneficiare di tutti i progressi ottenuti grazie al pianale trasversale MQB, che ha permesso di ottenere una vettura dalle


CLUBMOTORI linee sportive ma con tutto il comfort e l’efficienza tipici del brand. Nuova Tiguan misura 4.486 mm di lunghezza e 1.839 mm di larghezza, rispettivamente più 60 mm e più 30 mm rispetto alla precedente. In abbinamento ai nuovi sistemi di Infotainment, Nuova Tiguan offre di serie la più avanzata tecnologia di integrazione con i dispositivi mobili: l’App-Connect. Inoltre si arricchisce del sistema Volkswagen Media Control che dà la possibilità ad ogni passeggero di gestire il sistema di Infotainment attraverso un tablet o uno smartphone e senza alcun collegamento fisico. Nuova Tiguan si contraddistingue anche per i più moderni sistemi di sicurezza ed assistenza alla guida. È equipaggiata di Rilevatore di Stanchezza FatigueDetection e Sistema Anti Collisione Multipla MulticollisionBrake, ma soprattutto di Front Assist con funzione di frenata di emergenza City, dotata ora anche di riconoscimento pedoni, e cofano motore attivo.Il riconoscimento pedoni rileva le persone con l’ausilio di una telecamera e avverte il conducente mediante un segnale ottico e acustico, andando ad effettuare una frenata di emergenza qualora non ci sia alcun intervento da parte del conducente. Qualora l’impatto sia inevitabile, il cofano motore attivo a sua volta aumenta la distanza tra il motore e il cofano, andando ad attenuare in modo determinante la gravità dell’impatto.Alta tecnologia, comfort, eleganza e prestazioni di assoluto livello, per un mezzo che sta conquistando il mercato che, dopo anni di flessione segna nuovamente un trend positivo. “Abbiamo riscontrato un importante +19% da inizio anno a livello Italia e addirittura un +29% di Volkswagen vendute nella zona della Via Vai SpA – afferma il responsabile commerciale Giuseppe

Di Maio – c’è un forte interesse per il segmento dei SUV che coprono oltre il 25% dell’intero mercato e con Nuova Tiguan Volkswagen rilancia la gamma SUV per essere protagonista del segmento”. Qual è l’orientamento odierno del cliente? “Il cliente predilige, nella nostra zona, le vetture alimentate a Metano e Volkswagen con Golf TGI a metano risponde a pieno alle richieste del cliente. Golf infatti dopo nel suo segmento è la n°1 delle vendite e con la versione a metano è sul podio in assoluto delle più vendute in Italia tra quelle alimentate a metano. Anche il modello UP! metano e per i Veicoli Commerciali con il Caddy TGI hanno un ottimo riscontro sia sui clienti retail che business”. E per quanto riguarda le nuove tecnologie? “Tra le alimentazioni a basso impatto ambientale sicuramente l’ibrido è quella più innovativa e che vive il maggior sviluppo in questo ultimo periodo, coniugando la possibilità di viaggiare in modalità solo elettrica, o abbinando la modalità ibrida che unisce il motore elettrico a quello

termico per ottimizzare prestazioni e consumi. Volkswagen con la Gamma GTE è presente con Golf e Passat che esprimono il massimo della tecnologia in tal senso”. La novità 2016 secondo il suo punto di vista? “La Nuova tiguan è sicuramente la protagonista di quest’anno con un modello completamente nuovo ”. Via Vai è presente anche nel mondo dei veicoli commerciali? “Sì, siamo anche concessionari di veicoli commerciali e specializzati flotte, nella consulenza e gestione del parco veicoli aziendali in modo da offrire ai nostri clienti il supporto necessario per ottimizzare la flotta aziendale, dal piccolo imprenditore alla grande azienda guidandolo a scegliere tra le varie formule di acquisto: leasing o noleggio, in base alle peculiarità della singola azienda. In termini di veicoli commerciali Volkswagen copre tutte le esigenze di mobilità partendo dal modello Caddy, anche a Metano, fino al più grande Crafter, allestiti in base alle specifiche richieste del cliente. Inoltre anche la gamma vetture comprende modelli N1 con tutti i benefici fiscale che ne conseguono”.

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“CORAGGIO, COMPETENZA E PASSIONE: LA CHIAVE PER FARE IMPRESA NELLO SPETTACOLO” L’organizzazione di concerti è un business che piace a molti. Ma per farne una professione che genera profitti serve preparazione e conoscenza del mercato di riferimento. Il booking agent Eric Bagnarelli è un pilastro nelle Marche: “cultura e spettacoli sono basilari per alimentare il turismo”

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veva 25 anni quando ha aperto la sua agenzia di booking per musica dal vivo, la Comcerto. Era il 2005. Ha cominciato dal basso, e nel giro di qualche anno è riuscito ad assemblare una scuderia di artisti internazionali da grammy award. Eric Bagnarelli, anconetano, 36 anni, è un imprenditore nel settore dello spettacolo, con un ruolo ben definito: è un booking agent, ovvero il rappresentante esclusivo, su suolo nazionale, di una schiera di musicisti tra i più rinomati della scena pop europea. Un meccanismo che spesso non è molto chiaro a chi non gravita all’interno di questo segmento del settore commercio, perché in fondo

di Alessandro Bracciatelli di puro commercio si tratta. Il ruolo degli agenti come Eric non è altro che quello di un intermediario: compra artisti, ad esempio, dall’Inghilterra o dagli States, dove risiedono le multinazionali dello spettacolo o i colossi dei concerti, e rivende in esclusiva in Italia. Poi, quando il rapporto tra le due figure si consolida, succede che dalla piccola band emergente si riesce a passare a quella di successo. Quindi a diventare l’uomo chiave per portare in Italia le pop-star del momento. Ecco, a grandi linee, e in maniera molto condensata, è questa la strada percorsa da Bagnarelli che oggi vanta nel proprio roster artisti del calibro di Mumford & Sons (vincitori di un Grammy Award nel 2013). Negli anni Eric ha prodotto spettacoli

in location come l’Arena di Verona, il Teatro degli Arcimboldi di Milano, Pistoia Blues, e in molte altre grandi strutture da migliaia di persone di capienza. Un lavoro di responsabilità, che prevede una grossa competenza manageriale nella gestione del rischio d’impresa e soprattutto la conoscenza di tutte quelle norme e leggi che sottintendono la tutela della struttura stessa e di chi vi lavora. Dietro un concerto si celano decine di insidie che spesso tolgono il sonno a chi fa il lavoro di Eric. “Ma a volte è proprio questa tensione dovuta all’adrenalina a fare di questo mestiere il più bel lavoro che si possa fare – dice Bagnarelli – lo scivolone capita anche ai più preparati. In fin dei conti l’esperienza si fa sul campo. E dagli errori si deve

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PORTRAIT per forza imparare, altrimenti la reiterazione dello stesso errore porta alla chiusura dell’azienda. Per me è stato fondamentale girare l’Italia, e trovarmi dover misurare la mia esperienza in contesti sempre più ampi e difficili da gestire”. Seppure il centro nevralgico dei grandi spettacoli si divide tra Milano e Roma, lei ha scelto di mantenere la base della sua agenzia ad Ancona. Lontano dal cuore pulsante del settore. Perché questa decisione? “Principalmente perché è ad Ancona che risiede la mia famiglia: ho una moglie e una figlia piccola. Ma si tratta anche di una precisa scelta di vita. Sicuramente vivere a Milano avrebbe agevolato, specialmente nei primi anni, i contatti con i principali interlocutori di questo settore. Per non parlare dei tempi di spostamento. Ma ho sempre creduto che fosse importante mantenere un equilibrio personale e una realtà quotidiana diversa e distante da quella in cui le attività della Comcerto si svolgono. Perciò la base è rimasta qui. E alla fine di ogni tour non vedo l’ora di tornare a casa dalla mia famiglia”. Quali sono state le difficoltà maggiori che ha incontrato nel suo cammino imprenditoriale? “Nel territorio marchigiano la mancanza di punti di riferimento nel mio specifico settore. Mentre più in generale, nei primi anni, la cosa più difficile è stata guadagnarsi la fiducia dei referenti internazionali con i quali oggi lavoro tutti i giorni”. Le Marche possono definirsi una regione in cui si punta davvero sul settore degli spettacoli, per costruire un percorso di crescita turistica? “Non proprio. Penso che ci siano im-

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portanti realtà, e professionisti affermati. Ma non credo che sia il settore principale su cui si sia puntato negli anni per la crescita e lo sviluppo del turismo”. Allora qual è la regione italiana dove le istituzioni aiutano di più gli imprenditori come lei? Penso che l’Emilia Romagna sia al primo posto in Italia per sviluppo del settore spettacoli. Non tanto per aiuti diretti agli imprenditori, quanto più per sostegno ai progetti importanti e di lunga durata che poi negli anni hanno dimostrato valenza e hanno confermato una crescita importante”.

Dunque, dal suo punto di vista, è sensato puntare sugli spettacoli per ravvivare un territorio? Quali sono gli strumenti per raggiungere questo obiettivo? “Cultura e spettacoli sono basilari per alimentare la curiosità, l’interesse e molto altro. Quindi la risposta è sicuramente sì. I mezzi vanno ragionati di luogo in luogo, e di situazione in situazione. È importante farlo con dei professionisti, in quanto spesso l’organizzazione di spettacoli è considerata cosa di poco conto. Viene approcciata in modo superficiale e addirittura amatoriale quando invece

andrebbe curata nei dettagli”. Infatti inn Europa sembra esserci una certa preparazione tra gli addetti ai lavori di questo settore, specialmente in Inghilterra. Ma in Italia, com’è la situazione? “Negli ultimi 5-10 anni sono aumentati i corsi universitari, master e corsi di formazione specifici, ma la maggior parte degli operatori attualmente in attività hanno fatto studi non inerenti. Diciamo che molti di noi hanno approfondito sul campo”. Quali caratteristiche servono all’imprenditore che vive di questo lavoro? “Passione, dedizione, conoscenza profonda dello spettacolo che si sta producendo. Poi un pò di coraggio e scaltrezza, certamente, non guastano”. Qual è stato il momento di maggiore crisi del settore? E da cosa è stato causato? “Forse questo settore, pur avendone risentito, ha subìto la crisi in maniera meno consistente. Può sembrare anomalo, ma in un determinato periodo credevo sarebbe crollato totalmente il mercato, perché le persone avrebbero dovuto fare tagli importanti alle spese personali come teatro, musica. Invece ho notato che molti hanno rinunciato ad altro, ma non allo spettacolo, quasi fosse una via di fuga, uno svago dai problemi della quotidianità”. Un consiglio ai giovani che vorrebbero iniziare questo percorso? “Avvicinarsi a questo mestiere con serietà, mettendo da parte la semplice curiosità o l’idea di conoscere un cantante piuttosto che un altro. Non perdere tempo con esperienze poco formative, ed eventualmente scegliere bene il percorso di studi da compiere in parallelo”.


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