ML Dicembre 2016 - anno XXIII

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DOSSIER INDUSTRIA 4.0

Tutto quello che c’è da sapere sulla quarta rivoluzione industriale p. 13

LE MARCHE DEL SISMA

I distretti colpiti e le risorse in arrivo. Tutte le misure per ripartire p. 43

ECCELLENZE E TERRITORIO

Velenosi entra nell’“élite” di Borsa Italiana

p. 133

www.mlmagazine.it | DIC. ‘16 N.08 anno XXIII € 2,00

LE MARCHE DEL SISMA INTERVISTA AL MINISTRO:

Maurizio Martina



SOMMARIO 7

Dicembre

2016 N.08 anno XXIII

EDITORIALE

La formazione dei giovani di Flavio Guidi

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PRIMO PIANO

13

DOSSIER INDUSTRIA 4.0

14/ 32/ 37/

43 44/ 50/

65 66/

La sfida 4.0 nel mercato globale Intervista a Cristiano Ferracuti, Pres. Giovani Industriali La quarta rivoluzione industriale e la digitalizzazione dei sistemi Industria 4.0: cosa c’è da sapere Agevolazioni per l’artigianato digitale Detrazioni fiscali per chi investe in start up

LE MARCHE DEL SISMA Sos Marche “Non lasceremo soli gli imprenditori”. Intervista al Min. Martina

INNOVAZIONE

Il futuro della comunicazione viaggia su Voip La salute del business si controlla con un “clic

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COACHING

69

FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

73/ 78/ 87/

98

08

Quanto tempo spendi rimanendo in attesa?

Le nuove configurazioni del lavoro La formazione e l’orientamento nel progetto professionale Il salto di cultura nei mestieri del futuro

EUROPA E FINANZIAMENTI

Dall’Europa alle Marche: imprese all’assalto dei bandi Por-Fesr. - Risorse su cui contare

SEGUE

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SOMMARIO SEGUE

102 105/ 107/ 109/

Dicembre

2016 N.08 anno XXIII

08

CLUB ECONOMIA E FINANZA

Il quadro internazionale L’immigrazione: un fenomeno che costituisce una ricchezza per l’economia italiana Produttività: variabile strategica per la competitivita’ del sistema-paese e delle imprese Come impiegare i soldi disponibili con i tassi sotto zero

111

FINANZA E FUTURO

113

SPECIALE LA MENTE GOVERNA L’AZIENDA

116/ 118/ 120/

Deutsche Bank: l’investimento responsabile

La mente: come cambierà nel futuro La mente e l’azienda La mente e le neuroscienze

126

FORMAZIONE

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CLUB MOTORI

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ECCELLENZE E TERRITORIO

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POLITICA E TERRITORIO

International House Tvc Ancona-Jesi: dove la formazione diventa crescita

Velenosi: eccellenza marchigiana entra nell’“élite” di Borsa Italiana

Progetto di valorizzazione urbanistica della città di Ancona

138/

4

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“Auguri Ancona”: il Natale da non perdere

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TURISMO E TERRITORIO

142 144

CARRIERE E POLTRONE

146

OFFERTE DI LAVORO QUALIFICATE

Like Tourism 2016

PORTRAIT

E’ marchigiana la personal chef di Jovanotti Intervista a Maria Vittoria Griffoni



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Nicola Del Conte Fabio Di Giulio Emanuele Garofalo Giulio Guidi Mario Iesari Angelo Labanti Andrea Leonelli Angela Maccarone Anna Masturzo Vilma Mazzocco Alessandra Monticelli Laura Osmani Loredana Pistonesi Lorenzo Rafaiani Nicasio Riggio Raffaele Sansone Massimo Sbrolla Alessandro Scarlato

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PARTECIPANO:

CHI HA PAURA DEL CAMBIAMENTO? Quindi è arrivata. La Quarta Rivoluzione Industriale è tra noi, così ci dicono. Sembra ieri che osservavamo da lontano quel quadro della marcia frontale del popolo, quello dove spiccava l’uomo con la barba al centro e la donna con in braccio un bambino. Il Quarto Stato, già. Quello lì. Roba d’altri tempi. Anzi, del secolo scorso. Adesso, invece, siamo alla quarta rivoluzione industriale. Fa paura solo il pensiero. E’ la rivoluzione dominata dai sistemi digitali, che prima o poi si ribelleranno, come nei vecchi film di fantascienza, e finiranno per annientarci. O magari l’hanno già fatto e non ce ne siamo accorti, visto che la comunicazione 4.0, quella social, ha anestetizzato la materia grigia di molti di noi. E pensare che da bambini immaginavamo il futuro, sì supertecnologizzato, ma vissuto da menti superpotenziate che tutto avrebbero potuto. Non è proprio così. Ma al di là di ciò che non ritroviamo dei nostri sogni di bambino in questo futuro un po’ arrugginito, si assiste ad un’asincronia di passo tra pubblico e privato. Nel senso: le istituzioni preparano il terreno per accogliere il passaggio verso la digitalizzazione dei sistemi produttivi, poi magari vai in un qualunque ufficio comunale e la burocrazia è sommersa di carta e inutili passaggi, ma qui apriremmo un altro link da uscirci pazzi. Dicevamo della differenza di passo: le imprese non sono tutte pronte alla trasformazione. In primis le più piccole. Bene l’arrivo di bandi e finanziamenti europei, per carità. Ma manca una diffusa cultura d’impresa che aiuti tutti gli imprenditori a parlare la stessa lingua. Il tessuto imprenditoriale italiano è maculato, e per niente omogeneo. In questo scenario ci sarà sicuramente chi si farà trovare pronto ad accogliere il cambiamento, e chi no. Chi resterà indietro rischierà di perdersi. E allora ecco in arrivo un’altra scrematura. Come se non fosse bastata la crisi a segare un’intera fascia di piccole imprese. Quindi attenzione. Il cambiamento è sempre un’opportunità. Ma bisogna essere preparati. Altrimenti… Mondo Lavoro Magazine


EDITORIALE

LA FORMAZIONE DEI GIOVANI STRUMENTO PER INNOVARE LE ORGANIZZAZIONI DEL FUTURO E NECESSARIO PER AFFRONTARE LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO

I

l mercato del lavoro è mutato e sta mutando velocemente. Di cosa abbisognano le aziende? Qual è la mentalità che deve caratterizzare i manager e gli specialists della classe occupazionale futura? 1. Fondamentali: conoscenza dell’inglese e dell’informatica digitale; 2. Intelligenza emotiva, empatia, intraprendenza, problem solving, determinazione, decision-making, creatività, pro-attività, capacità relazionale; 3. Qualità dei valori e senso di responsabilità nel processo formativo e nell’approccio al lavoro; 4. Motivazione al successo con disponibilità a condividere sistemi

premianti, spirito di imprenditorialità; 5. Equilibrio emotivo e maturità psicologica; 6. Flessibilità ed eccleticità, agilità mentale; 7. Predisposizione all’apprendimento e all’autoformazione; 8. Mentalità economica/organizzativa/finanziaria, predisposizione mentale alla vendita, ai risultati economici e alla riorganizzazione continua; 9. Resilienza e capacità di adattamento; 10. Capacità e velocità operativa, capacità di sintesi; 11. Visione strategica, mentalità alla pianificazione, visione eclettica e

sistemica; 12. Capacità di lavorare in gruppo/ squadra; 13. Propensione alla crescita individuale e professionale; 14. Senso di appartenenza, di fedeltà, di condivisione, di valori e di progettualità; 15. Mentalità intuitiva (insight intellettuale/insight emotivo); 16. Coraggio. Queste sono le principali aspettative delle aziende, come si evince da una ricerca condotta nel 2015 dalla Fondazione Centro Formazione Manageriale di Ancona su un campione di 500 aziende che devono predisporre la nuova classe manageriale e degli

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EDITORIALE specialists. Il manager è colui che guida la macchina organizzativa ai vari livelli aziendali, gestendo le risorse in relazione agli obiettivi che vengono fissati dalla governance. Lo specialist è colui che mette a punto la macchina organizzativa e ne cura la manutenzione, in relazione agli obiettivi che il manager definisce. Quali i fabbisogni emergenti del mercato dei giovani? a. Un lavoro più gratificante e motivante b. Un lavoro in un contesto organizzativo intelligente e aperto alla pro-attività c. Un lavoro coinvolgente e responsabilizzante d. Un lavoro che consenta un’espressione individuale e permetta di sentire l’appartenenza ad un gruppo organizzato e orientato alla crescita

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e. Un lavoro dove il processo decisionale è condiviso e co-partecipato. Tutto ciò implica una rivoluzione nei processi formativi, dove la figura del nuovo manager diventa centrale. Ciò implica una profonda rivoluzione nella filiera educativa e formativa. La Scuola di Palo Alto dalla California, che spicca per la cultura formativa basata sulla filosofia di Lupelius, sta già applicando una metodologia didattica che risponde alle nuove esigenze. L’intera filiera formativa, che va dalla famiglia ad ogni livello della scuola fino all’università e agli studi superiori, dovrà essere profondamente ristrutturata per accogliere questa nuova realtà ed esigenza. Dovrà essere velocemente acculturata e formata l’attuale classe formativa. Si dovrà agire sui contenuti, sulle metodologie

didattiche, sulle strutture dei processi, sulla composizione del corpo docente e di tutoraggio. Si dovrà perseguire la visione per cui la formazione è un’azienda la cui funzione è perseguire l’obiettivo “dall’uomo giusto al posto giusto” e come tale il suo orientamento strategico è quello di soddisfare le esigenze del consumatore, dove per consumatore del contesto lavorativo si intendono da un lato l’occupato e dall’altro le aziende. E’ nella misura in cui il sistema didattico saprà integralmente riformarsi che si riuscirà a competere e a rispondere al profondo processo di cambiamento in atto. La filosofia del lavoro è già mutata e sta mutando ogni giorno a velocità esponenziale. Solo se si saprà dare velocemente risposta a questa esigenza evolutiva si riuscirà, come paese, a mantenere una posizione centrale nel processo di globalizzazione.


i villaggi italiani nel mondo

il viaggio su misura

la vacanza che conviene

la catena alberghiera


PRIMOPIANO

Cristiano Ferracuti, Presidente Giovani Imprenditori Confindustria Marche

LA SFIDA 4.0 NEL MERCATO GLOBALE: “LE PMI ITALIANE SOTTODIMENSIONATE”

È

in atto un cambiamento epocale. La digitalizzazione del complesso sistema industriale, che non riguarda solo l’aspetto produttivo legato ai macchinari, porterebbe le imprese a compiere quel passo avanti che da tempo si richiede al segmento industriale. Però il termi-

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di Andrea Maccarone ne Industria 4.0 appare ancora un po’ fumoso, poco chiaro. Molti imprenditori faticano a comprenderne realmente il significato e a mettere in atto questo agognato cambiamento. «Secondo me siamo mentalmente pronti per quella che sarà una nuova generazione e un nuovo modo di fare Manufacturing – spiega Cristiano Ferracuti,

Presidente dei Giovani Imprenditori Confindustria Marche e imprenditore calzaturiero - oggi più che mai le imprese si rendono conto della necessità del cambiamento, indispensabile per arrivare più velocemente nei mercati e far arrivare più velocemente i nostri prodotti al mercato stesso. L’Italia è oggettivamente in partenza per


PRIMOPIANO quanto riguarda l’industria 4.0, ma le nostre Pmi non sono dimensionalmente pronte per attuare nello specifico quelli che sono i punti fermi di un Industria 4.0. Come ad esempio una maggiore automazione, una maggiore connettività tra le macchine». Nella sua azienda che cosa è stato introdotto, o cosa sarà introdotto, con l’arrivo del piano Industria 4.0? Io produco calzature per bambino/a, e quello che stiamo cercando di fare, e che spero faremo, è mettere in rete e automatizzare, facendo dialogare tra di loro, tutte quelle fasi di prototipìa della scarpa fino al momento del taglio del pellame che servirà fisicamente poi per realizzare una scarpa». Cosa è cambiato maggiormente, negli ultimi 20 anni, nel tessuto industriale italiano e nel modo di fare impresa? «Sicuramente il tessuto industriale si è evoluto. La qualità dei nostri prodotti è aumentata, così come è aumentata la varietà di ciò che produciamo. I nostri clienti oggi sono globali, che si trovano magari dall’altra parte del mondo. Hanno necessità diverse e le imprese si sono dovute adattare rapidamente a quelle che sono le richieste del mercato. Un esempio pratico: nel mio settore, in questi giorni, stiamo preparando il campionario invernale 2017/2018 che sarà presentato a gennaio e che il consumatore finale troverà nei negozi da settembre del 2017. In collezione dovremmo pensare di mettere, pur trattandosi di collezione invernale, una linea di sandali che sarà destinata ai paesi più caldi tipo Emirati Arabi o al cliente russo che comprerà gli stessi sandali, non certo per Mosca, ma per la vacanza che farà ai caraibi con la famiglia durante il freddo inverno russo. Questo per dimostrare come le vecchie regole non

contano più, oggi le aziende devono essere aperte a tutti gli input e a tutte le richieste che arrivano dai clienti, per non perdere quote di mercato e competitività verso i nostri concorrenti».

presente se parliamo di Industria 4.0? Probabilmente programmatori-ingegneri informatici e meccanici, ma sempre affiancati al tecnico di prodotto che dovrà spiegare loro cosa le macchine dovranno fare per lui».

Il processo di digitalizzazione può favorire l’internazionalizzazione dell’impresa? In che modo? «Ovviamnete sì. Oggi il cliente lo si può e lo si deve raggiungere con un click. Poter mostrare on-line i propri prodotti accorcia le distanze e facilita il contatto con il cliente. La digitalizzazione di un prodotto ci permette in molti casi di essere presenti sui mercati o sulle piattaforme digitali multi-marche che rendono la presentazione dei nostri prodotti più veloce e spesso più economica. E’ indubbio però che questo è solo il primo passo, il primo contatto per raggiungere un nuovo mercato. Poi è il nostro prodotto, la nostra storia, la nostra passione che deve attrarre il cliente e portarlo all’acquisto finale».

Oggi si parla molto di innovazione come mezzo per favorire lo sviluppo dell’azienda. Ma che cosa si intende, realmente, per innovazione? «L’innovazione può essere di processo o di prodotto in un’azienda o entrambe ovviamente. Innovare un processo secondo me deve voler dire apportare quei cambiamenti che aumentano la produttività del processo stesso e quindi un miglioramento per l’azienda. Anche un prodotto può essere innovativo e questo è indubbiamente un valore aggiunto al momento della vendita. Tutto va sempre confrontato e analizzato, però, settore per settore».

Come cambierà il lavoro in questa quarta rivoluzione industriale, e quali saranno le professionalità maggiormente richieste da ora in avanti? «Non so se il lavoro cambierà radicalmente in questa quarta rivoluzione industriale. Sicuramente le grandi imprese, quelle più tecnologicamente avanzate, potranno sfruttare meglio le possibilità che la tecnologia, connessa ad un’automazione intelligente, può dar loro maggiore produttività. Sicuramente per tutte quelle piccole-medie imprese che rappresentano in maggioranza il tessuto industriale italiano, i cambiamenti saranno più lenti e le innovazioni saranno legate magari più al processo di produzione che al prodotto stesso. Le figure che magari serviranno di più rispetto al

Molto spesso gli imprenditori chiedono al Governo centrale italiano di semplificare e deburocratizzare. Dunque, in questo senso digitalizzare i processi industriali può voler dire semplificare? «Secondo me le due cose vanno un attimo distinte ed analizzate con due parametri diversi. Semplificare i processi industriali è compito dell’imprenditore, e non sempre basta digitalizzare per semplificare all’interno dell’azienda. Mentre semplificare o ridurre al minimo la burocrazia è, invece, compito ed obbligo del governo centrale. E una maggiore digitalizzazione può essere, sicuramente, non la soluzione, ma un importante aiuto alle aziende che in un mondo così veloce non possono più permettersi di spendere tempo e soldi dietro a lungaggini burocratiche».

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EDITORIA & COMUNICAZIONE


DOSSIER INDUSTRIA4.0

Dossier

INDUSTRIA

4.0

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DOSSIER INDUSTRIA4.0

INDUSTRIA 4.0, COSA C’E’ DA SAPERE di Loredana Pistonesi

U

n piano atteso da mesi: ben 11. Prima annunciato, poi rinviato. E alla fine arrivato. Per le imprese una manna dal cielo. Soprattutto per chi fa dell’innovazione uno dei processi chiave per lo sviluppo e l’internazionalizzazione. Siamo a tutti gli effetti entrati nella quarta rivoluzione industriale. Siamo pronti a cavalcarla? Questo lo sapremo a breve. Ma intanto andiamo a capire di che si tratta. IL PIANO Un aumento di 10 miliardi degli investimenti privati in innovazione nel 2017 (da 80 miliardi a 90 miliardi),

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11,3 miliardi di spesa privata in più nel triennio 2017-2020 per la ricerca e lo sviluppo, un incremento di 2,6 miliardi dei finanziamenti privati, soprattutto nell’early stage, il periodo iniziale d’investimento. Un impegno pubblico di 13 miliardi di euro, distribuito in sette anni tra il 2018 e il 2024 per la copertura degli investimenti privati sostenuti nel 2017, attraverso il contributo di superammortamento, iperammortamento, Beni strumentali Nuova Sabatini, e investimenti supportati dal credito di imposta per la ricerca. Sono alcuni dei numeri del Piano nazionale “Industria 4.0” presentato a

Milano lo scorso 21 settembre dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. CHE COS’E’ INDUSTRIA 4.0 Con il termine “Industria 4.0” (I4.0) si vuole indicare la quarta rivoluzione industriale che ha l’obiettivo di portare a una produzione quasi integralmente basata su un utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse e collegate ad internet. Il piano italiano segue analoghe iniziative avviate negli Stati Uniti, in Germania e in Francia. Tra le direttrici strategiche d’intervento, quelle di incentivare gli inve-


DOSSIER INDUSTRIA4.0 stimenti privati su tecnologie e beni I4.0, aumentare la spesa privata in Ricerca, Sviluppo e Innovazione e rafforzare la finanza a supporto di I4.0, Venture capital e start-up. Un piano, ha sottolineato il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, che non ricorre ad incentivi a bando prestabiliti, ma organizzato su incentivi fiscali “orizzontali” attivabili dalle imprese nel proprio bilancio. Sul piano delle competenze e della formazione, il piano vuole diffondere una cultura I4.0 attraverso: • Scuola Digitale e Alternanza Scuola Lavoro • Percorsi Universitari e Istituti Tecnici Superiori dedicati • Potenziamento dei Cluster e dei dottorati • Creazione Competence Center e Digital Innovation Hub I benefici derivanti attesi da Industria 4.0: • Maggiore flessibilità attraverso la produzione di piccoli lotti ai costi della grande scala • Maggiore velocità dal prototipo alla produzione in serie attraverso tecnologie innovative • Maggiore produttività attraverso minori tempi di set-up, riduzione errori e fermi macchina • Migliore qualità e minori scarti mediante sensori che monitorano la produzione in tempo reale • Maggiore competitività del prodotto grazie a maggiori funzionalità derivanti dall’Internet delle cose Gli strumenti pubblici di supporto mirano a: • Garantire gli investimenti privati • Supportare i grandi investimenti innovativi • Rafforzare e innovare il presidio di

mercati internazionali • Supportare lo scambio salario-produttività attraverso la contrattazione decentrata aziendale IPERAMMORTAMENTO Il piano propone un incremento dell’aliquota per investimenti I4.0: dall’attuale 140% al 250%. SUPERAMMORTAMENTO Proroga del superammortamento con aliquota al 140% ad eccezione di veicoli ed altri mezzi di trasporto che prevedono una maggiorazione ridotta al 120%. CABINA DI REGIA La cabina di regia sarà composta da: Presidenza del Consiglio, dai ministeri dell’Economia, dello Sviluppo economico, dell’Istruzione, del Lavoro, delle Politiche agricole, dell’Ambiente, dai Politecnici di Bari, Milano e Torino oltre alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, i Centri di ricerca, la Cassa Depositi e Prestiti, Confindustria e, più in generale, mondo economico e imprenditoriale e organizzazioni sindacali. CAMPAGNA INFORMATIVA Sono previsti eventi sul territorio, seminari formativi (documenti, video, testimonianze) destinati a manager aziendali per sensibilizzare le PMI su temi di innovazione digitale e I4.0. Riguardo i tempi di attuazione: le misure entreranno in legge di bilancio. IL PIANO PER L’AGRICOLTURA E L’AGROALIMENTARE Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che all’interno del Piano Industria 4.0 sono previsti investimenti mirati nella ricerca e nello sviluppo delle tecnologie per agricoltura e agroalimentare.

In particolare sono previsti: • Accesso delle imprese agricole, contoterzisti e agroindustria alle misure di sostegno agli investimenti come iperammortamento al 250% e superammortamento per acquisto di tecnologie 4.0; • Investimenti per favorire l’accesso delle imprese alla banda ultralarga, in coordinamento con le risorse per tali infrastrutture comprese nei fondi europei agricoli; • Azzeramento del costo della garanzia primaria Ismea per le imprese agricole, attraverso un plafond dedicato nell’ambito del rifinanziamento del Fondo di Garanzia Mise; • Rilancio e estensione dei contratti di sviluppo anche per le imprese agricole e la filiera agroalimentare; • Potenziamento della ricerca agricola e agroalimentare con il Crea. «L’agricoltura e l’agroalimentare ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina - giocheranno un ruolo da protagonisti per lo sviluppo del modello economico nazionale. Ringrazio il Presidente Renzi e i Ministri Calenda e Giannini per aver condiviso un percorso che segnerà in maniera sostanziale il futuro del nostro Paese. Vogliamo un settore primario sempre più sostenibile e innovativo, puntando sulle chiavi della ricerca e della tecnologia. Sono due elementi che devono andare insieme e l’agricoltura di precisione risponde a questa esigenza. Abbiamo lanciato a luglio le nostre Linee guida che ora costituiscono parte integrante del progetto Industria 4.0. Vogliamo far crescere le tecnologie di precisione in agricoltura e arrivare al 10% delle superfici coltivate con queste innovazioni entro il 2021. Per lavorare immediatamente abbiamo convocato la filiera al Ministero per una prima riunione operativa il 28 settembre».

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DOSSIER INDUSTRIA4.0

LA RIVOLUZIONE È SMART Manifattura smart e Internet of things, è in atto la maggiore innovazione dell’industria dagli anni ‘70.

di Emanuele Garofalo

E

lettrodomestici comandati dallo smartphone, automobili che si guidano da sé, fabbriche interamente automatizzate e prodotti creati con stampanti in 3d. Non è fantascienza, né sono visioni di un prossimo futuro. Anzi, per molte imprese italiane questi esempi sono già una realtà quotidiana. È lo stravolgimento portato nelle abitazioni e nelle imprese dalla “Internet delle cose”, come l’hanno chiamata gli esperti coniando il neologismo Internet of things, ovvero l’applicazione dell’intelligenza digitale agli oggetti reali. Il risultato? Prodotti nuovi e processi produttivi completamente rinnovati, incentrati sulla connessione tra mondo reale e web, capaci di modificarsi in base all’analisi di flussi costanti di informazioni in tempo reale. In sostanza, maggiore efficienza, produttività e quindi competitività. Insomma, in una parola sola, si parla di prodotti e fabbriche “smart”. È la vera quarta rivoluzione industriale, il maggiore balzo in avanti fatto dalla manifattura dagli anni ‘70, dall’avvento della robotica e dell’automazione nelle aziende. Il nome di questa rivoluzione? Ovvio: Industria 4.0. Un mercato che, secondo lo studio del Politecnico di Milano, nel 2015 in Italia ha rappresentato un business di 1,2 miliardi di euro, con un ritmo di

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crescita previsto del 20%. E l’orizzonte di questo nuovo mondo è ancora tutto in espansione. Domotica, robotica, smart cities, industria biomedicale, smart mobility, agricoltura di precisione, fino ad arrivare alla vera e propria smart manifacturing, l’innovazione nel campo della manifattura, sono solo alcuni esempi di mercati e settori in cui la quarta rivoluzione industriale sta intervenendo in modo radicale. Per non perdere il treno della trasformazione digitale, sulla scia dei programmi già avviati da Usa, Francia e Germania, anche il governo Renzi ha presentato il suo piano Industria 4.0, nel cui solco si inseriscono anche i finanziamenti e gli interventi anticipati dalla Regione Marche. Al primo punto del programma italiano ci sono gli investimenti pubblici per 13 miliardi di euro entro il 2020, tra cui l’aumento del superammortamento al 250% per chi acquista beni strumentali di alta tecnologia, l’aumento delle detrazioni fiscali fino al 30% per gli investimenti fino ad un milione di euro in nuove imprese innovative, la creazione di fondi di investimento dedicati alle imprese I4.0 e alla industrializzazione di idee o brevetti ad alto contenuto tecnologico. Il secondo cardine è la formazione: di intesa con le Università, il governo

punta a formare 200 mila studenti universitari e 3 mila figure manageriali sui temi della Industria 4.0, fino ad introdurre la trasformazione digitale negli Istituti tecnici superiori, anche con programmi mirati di alternanza scuola-lavoro per i ragazzi. Il piano prevede anche un investimento pubblico-privato per estendere la banda ultra larga fino a 100 Mbps, con l’obiettivo di raggiungere metà delle aziende italiane entro il 2020 con questa infrastruttura. Secondo le previsioni del governo, questo pacchetto di agevolazioni e di incentivi pubblici dovrebbero mettere in moto investimenti privati per 24 miliardi di euro. Sfida raccolta anche dalla Regione Marche che, in occasione degli Open Days di Bruxelles dello scorso ottobre, ha presentato una proposta di legge regionale sull’Industria 4.0. Al centro della proposta, la promozione della cultura della manifattura innovativa con il concorso delle associazioni di categoria, degli stakeholders del territorio e sostenere la reindustrializzazione e il rilancio produttivo per trasformare il sistema industriale marchigiano e accrescerne il potenziale competitivo, coniugando la tradizione con l’innovazione tecnologica e il mondo virtuale della rete internet evoluta. Interventi che possono contare su risorse già destinate dalla Regione pari a 2 milioni di euro.


2017

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BUONE FESTE! DOSSIER TURISMO FOCUS LAVORO Insieme a chi punta in alto Vittorio Sgarbi Il viceministro

Maurizio Battino

Enrico Morando “L’Italia riparte dalle riforme” p. 58

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I LIKE MARCHE

DOSSIER WATERFRONT

FOCUS MACROREGIONI

Rodolfo Giampieri:

Ceriscioli:

Scenari sul futuro home port delle Marche

il prof. dell’Univpm tra le menti più influenti al mondo p. 143

il porto un hub culturale p. 19

CLUB ECONOMIA E FINANZA

La metamorfosi del centroitalia

DOSSIER AMBIENTE-ENERGIA

La strategia industriale cinese

le Marche resteranno unite

p. 72

Un viaggio nelle eco-performance locali e Italiane. p. 14

La situazione del credito e delle banche p. 99

SPECIALE BANCHE E CREDITO

PORTRAIT

La situazione e la crisi del credito: le cause della volatilità e instabilità del sistema. p. 73

Evita Greco:

l’esordio prestigioso delle “cose che iniziano”. p. 145

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PORTRAIT

dell’economia

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“Io, testimonial delle Marche” p. 28

2016 L’anno della British Invasion

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DOSSIER LE PROFESSIONI DEL FUTURO

FOCUS CULTURA E TERRITORIO Guida completa ai maggiori festival delle Marche: tutto l’indotto e il dato occupazionale. p. 73

CLUB ECONOMIA E FINANZA

Un’economia mondiale in lenta ripresa. Novità sul fronte bancario e creditizio. p. 87

DOSSIER BENI RIFUGIO

Insieme a chi punta in alto

Brexit o no, il trend dell’investimento sicuro è in aumento. Tutti gli scenari p.12

SPECIALE DIGITAL BUSINESS

CLUB ECONOMIA E FINANZA

Dai droni all’information security, le tante sfaccettature di un mercato in p. 79 crescita

Come dare fiducia ai risparmiatorie rallentare la fuga di capitali p. 52

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DOVE INVESTIRE

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Viaggio nel lavoro 4.0 tra nuove figure professionali e le abilità richieste. p. 14

La corsa ai beni rifugio

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DOSSIER

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Insieme a chi punta in alto STRATEGIE

I nuovi scenari finanIl futuro dell’edilizia HOTEL EXCELSIOR ziari e la formazione eLA leFONTE prospettive manageriale della del settore classe politica. p. 51 immobiliare. p. 89

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LE MARCHE DEL SISMA

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DOSSIER INDUSTRIA4.0

“LE MARCHE NON ANCORA 4.0” Innovazione e rivoluzione digitale, Giorgio Fanesi (Pluservice) è critico: «Serve un cambio di mentalità e una visione politica più ampia. Siamo indietro».

di Emanuele Garofalo

«S

iamo rimasti per troppo tempo chiusi nella nostra mentalità marchigiana, bella e interessante, ma oggi dobbiamo adeguarci e avere una visione globale». A far schioccare la frusta è Giorgio Fanesi, presidente di Pluservice, la società di Senigallia meglio nota per l’app con i baffi, MyCicero, la piattaforma di smart mobility dedicata al trasporto urbano che sta sbarcando nelle città di tutta Italia e anche all’estero. Le Marche ai tempi dell’Industria 4.0, secondo uno degli attori della trasformazione digitale come Fanesi, non hanno ancora inserito la marcia giusta per intercettare il cambiamento. «La mancanza di collaborazione tra piccole imprese, fare maggiore ricerca applicata, avere una visione politica ampia e rendere smart il territorio. Abbiamo tutte le potenzialità, ma siamo indietro» accusa senza mezzi termini l’imprenditore. Fanesi, cosa manca secondo lei? «Rispetto a tante altre realtà italiane con cui lavoriamo, siamo molto indietro. Il mondo sta cambiando, le distanze tra molte aree metropolitane e macroregioni sono ridotte drasticamente, si può fare Bologna-Milano in un’ora, questo cambia la cartina politica. I trasporti ci

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penalizzano sicuramente, per arrivare a Roma ci mettiamo 3-4 ore e questo si riflette nella mentalità. Abbiamo visto che nemmeno le fusioni tra Comuni come Senigallia e Morro d’Alba vengono accettate dai cittadini. Pensate che le aziende di trasporto regionale nemmeno si parlano tra loro e per andare da Pesaro ad Ascoli si devono fare 4 biglietti diversi. Queste cose non rientrano nemmeno tra le priorità espresse dalla Regione. Ecco, vediamo questa grande assenza delle istituzioni, manca una visione politica, la consapevolezza che, per fortuna dico io, ormai viviamo in un mondo globalizzato e vanno resi smart i territori. Significa offrire ai lavoratori servizi adeguati alla vita quotidiana di oggi, dagli asili nidi fino alle residenze per anziani. Per l’Industria 4.0 non servono solo le competenze, deve essere la società ad adeguarsi alle novità». Le imprese stanno facendo la loro parte per innovarsi? «Anche noi aziende non abbiamo ancora maturato la consapevolezza della cooperazione, di quanto sia importante fare squadra per andare a competere fuori della nostra regione, andare insieme a competere per le grandi commesse. Dobbiamo trovare le sinergie con il territorio e con le Università, soprattut-

to per la formazione. Abbiamo bisogno di personale altamente specializzato. A mio avviso le richieste di lavoro sono tante, ad esempio nel settore della ingegneria informatica c’è una grande carenza di personale». La ricerca e lo sviluppo delle aziende marchigiane non è sufficiente? «Quello che manca è la ricerca applicata. Sicuramente nelle Marche si fa innovazione, la nostra attività giornaliera è quasi al 70% dovuta a servizi innovativi, e vedo anche altre realtà nel territorio a questo livello. Ma l’innovazione viene sempre vista troppo a livello scientifico, di ricerca applicata se ne fa poca. Stiamo iniziando a farlo con le Università, ma siamo all’inizio. Questo è il futuro, ma deve esserci anche un cambio radicale delle banche». Quale deve essere il ruolo degli istituti di credito? «Con le nuove normative, dovranno entrare nei capitali delle aziende, anche questa è una grande rivoluzione. Negli Usa è la normalità, da noi lo vedremo dal prossimo anno. Questo obbligherà le banche a cambiare ritmo, fare impresa, entrare nel merito dell’innovazione, nell’interesse reciproco delle aziende».


DOSSIER INDUSTRIA4.0

LA POLITECNICA DELLE MARCHE STUDIA LA FABBRICA INTELLIGENTE L’Univpm è nella cabina di regia del piano italiano Industria 4.0. Siglati i primi accordi con Ge Oil & Gas, Lardini e Messersì Packaging per innovare le aziende

di Emanuele Garofalo

L

a quarta rivoluzione industriale italiana passa anche dai cervelli dell’Università Politecnica delle Marche. L’Univpm ha un ruolo da protagonista nelle strategie nazionali e regionali per sviluppare l’Industria 4.0. Due in particolare i programmi in cui l’Ateneo marchigiano è partner di rilievo: il primo è il cluster nazionale Fabbrica Intelligente, il secondo è il cluster Marche, l’aggregazione di imprese e enti che

collaborano per promuovere le eccellenze nella ricerca e nell’innovazione.

ATENEO INCARICATO DA MIUR E MISE DI PENSARE AL MANIFATTURIERO SOSTENIBILE, IN PARTNERSHIP CON LE MAGGIORI AZIENDE DEL TERRITORIO A livello nazionale, l’Univpm è stato scelto come membro dell’Organo di

Coordinamento e Gestione (Ocg) della Fabbrica Intelligente, l’aggregazione di enti di ricerca incaricati dal Ministero dell’istruzione e dal Ministero dello sviluppo economico di mettere a punto e attuare una strategia italiana basata sull’innovazione. Il cluster ha avviato quattro progetti di ricerca e sviluppo per un investimento di circa 48 milioni di euro che permetteranno di studiare, realizzare ed utilizzare tecnologie innovative per un manifatturiero sostenibile, che è tra

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DOSSIER INDUSTRIA4.0 gli obiettivi primari e specifici di Horizon 2020, il programma di ricerca finanziato dalla Commissione europea. In particolare il progetto targato Univpm all’interno di Fabbrica Intelligente è Sustainable Manufacturing, a cui partecipano il Dipartimento di Ingegneria Industriale e Scienze Matematiche e il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione della Politecnica collaborando con importanti aziende del territorio, tra cui Elica, Indesit Company, Itaca, Gruppo Loccioni, Nuova Maip, Nuova Simonelli, Picenum Plast, Profilglass, Eurosuole, Zannini.

essere durante il 2016 dall’Università Politecnica delle Marche con Ge Oil & Gas, Lardini e Messersì Packaging, i primi tre protocolli messi a segno a cui seguiranno altre firme con importanti aziende del territorio.

AGRIFOOD, E-LIVING E MARCHE MANIFACTURING, SONO I TRE POLI TECNOLOGICI DELLA REGIONE CHE RIUNISCONO 86 AZIENDE E 9 ENTI DI RICERCA

Nell’accordo quadro tra GE Oil & Gas, leader globale dell’industria oil & gas, e l’Università marchigiana, l’Univpm può offrire elevate competenze specialistiche nelle tecnologie e nelle soluzioni applicative per la meccanica, in particolare nello sviluppo di nuove metodologie legate alla progettazione e alla ottimizzazione dei processi produttivi delle turbomacchine. Si pensa in particolare a nuove infrastrutture informatiche e automazioni intelligenti legate alla produzione dei moduli industriali. Il progetto con Lardini, invece, nasce per valorizzare nel mondo il Made in Marche e propone un investimento sulla formazione di capitale umano qualificato per la ricerca in un settore,

Diretta conseguenza di Fabbrica Intelligente è il cluster Marche, dove sono riuniti i tre cluster tecnologici avviati nella regione: Agrifood Marche per l’agroalimentare, e-living per la domotica, Marche Manifacturing per il manifatturiero. Una strategia che coinvolge ad oggi 86 aziende e 9 enti di ricerca e che ha già prodotto i primi tre accordi quadro con importanti imprese marchigiane, Ge Oil & Gas, Lardini e Messersì Packaging. Industria 4.0 infatti significa contaminazione tra enti di ricerca e aziende, l’innovazione entra nei processi manifatturieri e il trasferimento tecnologico arriva dalle collaborazioni con le Università. Uno scambio che si traduce in sistemi produttivi ad alta efficienza che consentono di minimizzare i costi di produzione, migliorare la produttività e la qualità del prodotto e produzione personalizzata. Vanno verso questi target gli accordi posti in

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DAI NUOVI MODELLI DI BUSINESS AI PROCESSI DI OTTIMIZZAZIONE PRODUTTIVI, DAI NUOVI MATERIALI ALL’AUTOMAZIONE INDUSTRIALE, FINO ALLA GESTIONE ENERGETICA DEGLI IMPIANTI PRODUTTIVI, ECCO COME POSSONO EVOLVERE LE IMPRESE.

quello del manifatturiero di “qualità”, strategico per il paese. L’Università Politecnica delle Marche e l’azienda Lardini hanno firmato una convenzione per la realizzazione di progetti di ricerca sulla “innovazione del processo produttivo e innovazione di prodotto”, in sostanza le ricerche potranno spaziare dai nuovi modelli di business ai processi di ottimizzazione produttivi, dai nuovi materiali hi-tech all’automazione industriale, fino alla gestione energetica degli impianti produttivi. Sullo stesso filone si aggiunge l’accordo firmato con Messersì Packaging che progetta e realizza soluzioni per l’imballaggio industriale fortemente orientata all’automazione industriale con la produzione di macchine e linee di tutte le tipologie utilizzate nei settori manifatturieri e logistici in Italia e nel mondo. L’accordo prevede attività di ricerca applicata nei campi dell’automazione industriale per macchine e sistemi di imballaggio per tutti i settori di produzione manifatturiera nazionali e internazionali. I focus riguardano l’innovazione dei processi, la sostenibilità energetica e ambientale, efficienza della prestazione, semplificazione e ottimizzazione della manutenzione ordinaria e straordinaria e infine lo sviluppo e modernizzazione delle linee di prodotto in funzione di nuove applicazioni.


DOSSIER INDUSTRIA4.0

Il pensiero computazionale: le nuove competenze manageriali nell’era della rivoluzione tecnologica di Luigi Apollonio Management Academy Sida Group - Area ICT Digitale

P

arlare dell’impresa del futuro, in un’era di continue trasformazioni e rivoluzioni tecnologiche e culturali significa parlare di un nuovo modello di pensiero economico, strategico e aziendale. Il pensiero manageriale che ha caratterizzato l’economia del secolo scorso e che ha lanciato il sistema imprenditoriale all’interno di un mercato globale sta affrontando un processo di metamorfosi dei suoi paradigmi. Gli strumenti tecnologici oggi non rappresentano più un supporto allo

A CURA DI

sviluppo d’impresa, essi diventano invece le infrastrutture principali. Il computer rappresenta l’architettura d’azienda, scheletro e cuore pulsante del business e dell’organizzazione. Per questo motivo accanto al pensiero manageriale, fatto degli strumenti e delle tecniche per la direzione e gestione dell’organizzazione aziendale, si sta affiancando un nuovo modello cognitivo: il pensiero Computazionale. Utilizzato per la prima volta da Jeannette Wing nel 2006, il Pensiero Computazionale «rappresenta un insieme

di attitudini e competenze universali che tutti, non soltanto gli informatici, potrebbero assimilare ed utilizzare». Secondo la Wing questo tipo di pensiero coinvolge la soluzione dei problemi, la capacità di analisi, la progettazione di sistemi e la comprensione del comportamento umano attingendo ai concetti fondamentali su cui si basa l’informatica. Le capacità di astrazione, di ragionamento logico e simbolico, il saper scomporre un problema in tanti problemi più piccoli sono proprie del pensiero computazionale e ad oggi vedono la loro applicazione nella vita

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DOSSIER INDUSTRIA4.0

di ogni giorno come nelle nuove professioni emergenti. Pensare come uno scienziato del computer, scrive la Wing, significa molto di più del saper programmare. Ciò che è richiesto è pensare a livelli multipli di astrazione. Per questo motivo, quelle computazionali non sono capacità relegate all’ambito della tecnica ma appartengono a competenze intellettive e cognitive che nell’esperienza Statunitense sono state introdotte nei percorsi formativi a partire dalle scuole primarie. Non è un caso, infatti, se oggi la domanda di lavoro nell’ambito della programmazione, negli States come nel resto del mondo, è in continua crescita e coinvolge sempre di più i giovani diplomati tecnico-informatici. È la popolazione più giovane, i “nativi digitali”, ad avere al contempo le competenze tecniche nell’utilizzo degli strumenti informatici e quelle capacità cognitive computazionali che segnano la differenza sostanziale tra il programmatore puro ed il nuovo “management tecnologico”.

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Se si tengono in considerazione nuovi ambiti professionali come i Big Data, la Business Intelligence o la Sicurezza Informatica, le competenze richieste non sono solo competenze tecniche informatiche ma anche statistico-matematiche e analitiche. In questo senso le doti computazionali si rendono sempre più necessarie quanto più si ha a che fare con la gestione di dati e di informazioni. La costruzione di algoritmi per l’analisi dei dati, l’elaborazione di modelli predittivi per il business aziendale o per la prevenzione degli attacchi informatici richiedono questo tipo di doti. La tecnica sicuramente, ma anche il pensiero predittivo-analitico grazie al quale elaborare software e algoritmi su misura per quelle che sono le esigenze dell’impresa. Come ogni forma di rivoluzione, non mancano le difficoltà nell’affrontare cambiamenti epocali. Negli Stati Uniti la richiesta che gli studenti imparino a programmare è sempre più pressante ed ha aperto lo spazio ad una diatriba tra i sostenitori della “program-

mazione sin da piccoli” e chi invece non considera realistico l’obiettivo di insegnare a programmare a tutti gli alunni. Nel Regno Unito, ad esempio, imparare a programmare è diventato obbligatorio per tutti gli studenti dal 2014. Per utilizzare quindi ancora le parole di Jeannette Wing, oltre alla lettura, alla scrittura ed alla matematica la nuova alfabetizzazione passa attraverso l’utilizzo dell’alfabeto e del pensiero tecnologico. A partire dal sistema formativo primario, quindi, l’obiettivo è quello di «aggiungere il pensiero Computazionale alle capacità analitiche di ogni bambino». Conoscere i linguaggi di programmazione sarà necessario quanto conoscere le lingue internazionali, saper programmare quanto saper leggere e scrivere, saper elaborare modelli algoritmici per la costruzione di modelli predittivi e utilizzare data warehouse per la gestione di Big Data sarà necessario quanto conoscere gli elementi basilari della matematica. Nella società tecnologica in evoluzione, il pensiero Computazionale rappresenta l’approccio ed il metodo attraverso cui gli uomini possono risolvere i problemi, non è al contrario il tentativo di rendere gli uomini al pari del computer. A proposito di ciò ed a conclusione del ragionamento, la nuova frontiera dello sviluppo economico e di impresa non sarà la creazione di tanti manager-automi impegnati nel ragionare come fossero calcolatori, al contrario a vincere sarà chi saprà coniugare le proprietà esclusivamente “umane” come la creatività, l’intuizione, l’immaginazione a competenze tecniche logico-informatiche necessarie per affrontare analiticamente le complessità organizzative e gestionali dell’impresa moderna.

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AGEVOLAZIONI FINANZIARIE FISCALI E DEL LAVORO - Indice FINANZIARIE

• Industria 4.0: Rifinaziamento del fondo centrale di garanzia e sabatini ter • Contratti di sviluppo: finanziamenti alle imprese con progetti in industria 4.0 • Made in italy: supporto alle pmi e investimenti in banda ultra larga • Interventi in favore del settore dell’autotrasporto • Agevolazioni per lo sviluppo dell’artigianato digitale e della manifattura sostenibile

• Iri e flat tax: quale appeal?

FISCALI

• Superammortamento e iperammortamento • Industria 4.0: Detrazioni per chi investe in start up • I piani individuali di risparmio per le imprese • Bonus investimenti nel mezzogiorno: come accedere al beneficio

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AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0

INDUSTRIA 4.0: RIFINANZIAMENTO DEL FONDO CENTRALE DI GARANZIA E SABATINI TER di Angelo Labanti Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

I

l Piano Nazionale Industria 4.0 rappresenta una tappa fondamentale di un percorso condiviso con numerosi stakeholders del mondo imprenditoriale. Tra le numerose iniziative messe in

A CURA DI

atto dal governo per il rilancio della crescita e dell’innovazione del nostro Paese ci sono due importanti novità: il rifinanziamento del Fondo di Garanzia alle PMI e la proroga della Sabatini Ter.

1) Fondo Centrale di Garanzia Istituito con Legge N. 662/1996 Art.2, Comma 100, Lettera a), il fondo è operativo dal 2000 e ha lo scopo di agevolare l’accesso al credito da parte delle PMI, concedendo una garanzia

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AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0 o controgaranzia pubblica che si affianchi o si sostituisca alle garanzie reali fornite dall’impresa, che dunque non riceve un contributo in denaro, bensì la concreta possibilità di ottenere dei finanziamenti senza garanzie aggiuntive sugli importi garantiti dal fondo. In sostanza le imprese possono accedere più facilmente al credito bancario grazie alla presenza di un “soggetto garante” che copre in buona parte gli eventuali rischi derivanti da situazioni di insolvenza. Si tratta di un fondo rotativo, che si autoalimenta mediante la normale operatività e rappresenta un efficace strumento di supporto alle imprese. La nuova dote stanziata dal Governo per il Fondo ammonta a circa 1 miliardo di euro e in base alle previsioni del Ministro dello Sviluppo Economico con l’effetto leva, che il Fondo potrà attivare, si attiveranno finanziamenti bancari tra i 23 e i 26 miliardi. La scelta del Governo è motivata dal fatto che il Fondo Centrale di garanzia si è dimostrato uno strumento decisivo per l’accesso al credito delle PMI, basti pensare che al 31 agosto 2016 le richieste di accesso al Fondo hanno mostrato una crescita dell’8,2% rispetto allo stesso periodo del 2015, dimostrandosi uno strumento particolarmente utile per le PMI, sostenendo le esigenze di liquidità e di nuovi investimenti. Tuttavia, il punto centrale della riforma sarà l’introduzione di un modello di rating interno al Fondo ai fini della valutazione economico-finanziaria basata sull’utilizzo del credit scoring. Il nuovo modello di valutazione sarà basato su 5 classi di merito creditizio e la percentuale di copertura sarà più

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alta per le operazioni di investimento e per le imprese con classe di merito più basse, mentre diminuirà per le operazioni di liquidità a breve termine. 2) Sabatini Ter In merito alla Sabatini Ter, la legge di Bilancio 2017 si muove su due fronti: proroga fino al 31 dicembre 2018 e contestuale rifinanziamento. A fronte della riforma, dal 2017 un quota pari al 20% dei contributi statali sarà riservata all’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature “aventi come finalità la realizzazione di investimenti in tecnologie, compresi gli investimenti in big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersicurity, robotica avanzata e meccanotronica, realtà aumentata, manifattura 4D, Rfid”. Per la proroga della Nuova Sabatini è previsto nel complesso uno stazionamento di 560 milioni. La copertura verrà spalmata: 28 milioni nel 2017, 84 milioni nel 2018 e il resto fino al 2023. L’investimento deve prevedere un finanziamento bancario o leasing concesso da parte di banche o società di leasing aderenti alla Convenzione MiSE-ABI-Cdp, con le seguenti caratteristiche: • Essere deliberato a copertura degli investimenti e fino al 100% degli stessi; • Avere durata massima, comprensiva di un periodo di preammortamento o prelocazione non superiore ai 12 mesi, di 5 anni decorrenti dalla data di consegna del bene. Qualora la fornitura di leasing finanziario riguardi una pluralità di beni, la predetta durata massima decorre dalla data di consegna dell’ultimo bene; • Essere deliberato per un valore non

inferiore a 20.000 euro e non superiore a 2 milioni di euro, anche se frazionato in più iniziative di acquisto, per ciascuna impresa beneficiaria; • In caso di leasing finanziario l’impresa locataria deve esercitare anticipatamente, al momento della stipula del contratto, l’opzione di acquisto prevista dal contratto medesimo, i cui effetti decorrono dal termine della locazione finanziaria, fermo restando l’adempimento di tutte le obbligazioni contrattuali. Possono beneficiare delle agevolazioni le PMI di tutti i settori produttivi ( ad eccezione delle attività finanziarie e assicurative, di cui alla sezione K delle attività economiche ATECO 2007) che: • Hanno sede operativa in Italia e sono regolarmente iscritte nel registro delle imprese, ovvero nel registro delle imprese di pesca; • Sono nel pieno esercizio dei propri diritti, non sono in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali; • Non rientrano tra i soggetti che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato gli aiuti individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione Europea; • Non si trovano in situazioni tali da risultare “imprese in difficoltà”. Sono ammesse anche imprese estere con sede in uno Stato membro dell’Unione Europea e che alla data di presentazione della domanda non hanno sede operativa in Italia. In tal caso le imprese proponenti devono provvdere all’apertura della predetta sede operativa entro il termine massimo consentito per l’ultimazione ed attestarne l’avvenuta attivazione, nonché la conseguente iscrizione al registro delle imprese di riferimento.


AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0

CONTRATTI DI SVILUPPO: FINANZIAMENTI ALLE IMPRESE CON PROGETTI DI INDUSTRIA 4.0 di Lorenzo Rafaiani Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

I

Contratti di Sviluppo sono uno strumento introdotto dal Ministero dello Sviluppo Economico al fine di incentivare le realizzazione di grandi investimenti, in particolare nelle zone svantaggiate del Mezzogiorno: Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise,

A CURA DI

Puglia, Sardegna e Sicilia. Per il 2017 questa misura verrà rilanciata sfruttando l’integrazione con il programma Industria 4.0, che permetterà di sfruttare ulteriori risorse. Il Mise ha infatti deciso di destinare parte dei 13,4 miliardi sbloccati recentemente dal Cipe (Comitato

Interministeriale per la Programmazione Economica), al finanziamento dei Contratti di Sviluppo gestiti da Invitalia, con 1,4 miliardi di euro. Le nuove risorse rese disponibili permetteranno di finanziare circa 50 grandi progetti di investimento, ciascuno da minimo 20 milioni di euro,

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AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0 tramite l’erogazione di agevolazioni personalizzate in base alle esigenze specifiche delle imprese, con priorità accordata ai soggetti che propongono progetti coerenti con le linee guida di Industria 4.0. Il rilancio dei Contratti di Sviluppo prevede inoltre la loro estensione alle imprese agricole e alla filiera agroalimentare. Le risorse verranno concentrate all’80% nel Mezzogiorno e consentiranno di attivare investimenti diretti per circa 2,4 miliardi di Euro. Uno degli obiettivi del nuovo piano Industria 4.0 è infatti quello di interrompere il trend ormai costante che vede la caduta degli investimenti industriali soprattutto al Sud, rilanciando il settore produttivo italiano e indirizzandolo sui binari dell’innovazione tecnologica e dell’Internet of Things. Il nuovo impulso avrà inoltre un’importante ricaduta occupazionale, che si stima coinvolgerà circa 34.000 posti di lavoro tra occupazione nuova e salvaguardata. I programma imprenditoriali agevolabili con i contratti di sviluppo 2017 potranno essere composti da uno o più progetti di investimento, eventualmente integrati da progetti di ricerca, sviluppo e innovazione, connessi e funzionali tra loro, che riguardano: • Settore industriale: il programma di sviluppo in questo settore deve riguardare la produzione di beni o servizi, la cui realizzazione deve essere effettuata attraverso uno o più investimenti con carattere innovativo e tecnologico; • Settore tutela ambientale: devono

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riguardare iniziative volte alla salvaguardia dell’ambiente, per la cui realizzazione sono necessari progetti di investimento e progetti di ricerca, sviluppo ed innovazione; • Sviluppo di attività turistiche e commerciali: iniziative tese ad aumentare e migliorare l’offerta turistica ricettiva, i servizi di supporto al prodotto turistico e le attività commerciali, eventualmente integrate da progetti di innovazione nell’organizzazione o nel processo volti a migliorare la fruizione del prodotto e la caratterizzazione del territorio.

I richiedenti avranno la possibilità di beneficiare di diverse tipologie di agevolazioni finanziarie, concesse anche in combinazione tra di loro: dal contributo a fondo perduto, al finanziamento agevolato e al contributo in conto interessi. Scendendo più nel dettaglio, il finanziamento agevolato si sostanzia in un mutuo di importo pari al 75% delle spese ammissibili, con durata massima di 10 anni oltre ad un periodo

di utilizzo e preammortamento proporzionale alla durata del progetto. Il tasso agevolato è pari al 20% del tasso in vigore al momento della concessione delle agevolazioni. Il contributo in conto interessi viene concesso qualora l’impresa richieda un finanziamento bancario, a tasso di mercato, volto a coprire i costi del progetto di sviluppo, la cui durata massima rientri negli stessi limiti prima esposti. L’importo dell’agevolazione in questo caso è rapportato al tasso d’interesse applicato al finanziamento bancario, ed è stato fissato a 400 punti base, ma comunque non oltre l’80% di tale tasso. L’entità degli incentivi a fondo perduto dipende dalla tipologia di progetto, dalla localizzazione dell’iniziativa e dalla dimensione di impresa. Il nuovo impulso fornito ai Contratti di Sviluppo grazie al Piano Industria 4.0 assume maggiore spessore se si osservano i risultati conseguiti fino ad oggi grazie a questo strumento. Fino allo scorso 1° agosto erano stati complessivamente finanziati 72 contratti di sviluppo, su 546 domande presentate, attivando investimenti per 2,7 miliardi, di cui oltre l’80% al Sud. Sono stati concessi nel complesso 1,364 miliardi di agevolazioni, con una ricaduta occupazione di oltre 40 mila posti di lavoro. Proprio in considerazione del fabbisogno espresso e della grande efficacia dimostrata in questi anni, il Mise ha deciso di puntare sui Contratti di Sviluppo come una delle linee di supporto attraverso le quali implementare e incoraggiare gli investimenti previsti da Industria 4.0.


AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0

MADE IN ITALY: supporto alle PMI e investimenti in Banda Ultra Larga di Nicasio Riggio Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

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ari lettori, è ufficiale: stiamo assistendo ad una nuova rivoluzione industriale che coinvolgerà le imprese italiane attive nei settori industriale, manifatturiero, di servizi e agricoli. Non a caso in questi mesi si

A CURA DI

sta parlando di Industria 4.0 e della cosiddetta quarta rivoluzione industriale: non c’è attualmente una descrizione chiara del fenomeno, ma si tratta di un processo oramai avviato che porterà all’automatizzazione di tutto il processo industriale. Questa tendenza è confermata anche da un

recente rapporto di una primaria società di consulenza McKinsey, secondo il quale le nuove tecnologie digitali avranno un impatto profondo su quattro direttrici principali di sviluppo: centralizzazione e conservazione delle informazioni (big data, open data, Internet of Things (IoT) e cloud

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AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0

computing), valorizzazione delle informazioni, interazione fra uomo e macchina, manifattura additiva e robotica. Lo sviluppo di queste quattro direttrici, assieme alle conoscenze e competenze operative possedute dalle imprese, rappresenteranno il terreno sul quale saranno studiate e formulate le opportunità finanziarie rivolte alle PMI per la crescita e la realizzazione di investimenti strutturali e nell’utilizzo della banda ultra larga. Industria 4.0 è un piano organico che vede come protagonisti Palazzo Chigi e sei ministeri, con un impegno pubblico importante (circa 50 miliardi per privati e settore pubblico) che si estenderà fino al 2020. Uno degli scopi che si prefigge la misura è quello di garantire lo sviluppo e la crescita delle imprese, attraverso un cambio radicale dell’approccio al processo produttivo e una maggiore flessibilità attraverso la produzione di piccoli lotti di prodotti ai costi della grande scala, maggiore velocità nel passaggio dal prototipo iniziale alla produzione in serie attraverso tecnologie innovative, incremento della produttività in tempi ridotti, la riduzione degli errori e degli scarti dall’esecuzione delle lavorazioni. Lo strumento prevede la possibilità per tutte le imprese di usufruire delle cosiddette “infrastrutture abilitanti” entro il 2020, attraverso un piano di copertura da banda ultralarga a 30

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megabit al secondo per tutti, e a 100 megabit al secondo per almeno la metà delle aziende: il raggiungimento di questo obiettivo strategico avverrà attraverso la creazione di 6 consorzi in ambito IoT. In termini finanziari sono disponibili 6,7 miliardi tra fondi nazionali ed europei, oltre a 6 miliardi di impegno privato. Un altro importante impegno riguarda il sostegno e il corretto funzionamento del sistema della ricerca ed innovazione, linfa vitale per il trasferimento della conoscenza, al fine di supplire alle difficoltà che le PMI incontrano nell’individuare partner strategici per investire in tecnologie digitali: a questo risulterebbe strategica l’individuazione dei cosiddetti Digital Innovation Hub in partnership pubblico-privata, dove le imprese possono apprendere, conoscere le tecnologie e i business services digitali, cominciando a sviluppare nuove soluzioni e modelli di business. Il ruolo di questi hub (interconnessi tra loro a livello nazionale ed europeo) potrebbe essere anche quello di supportare le aziende nell’individuare le migliori soluzioni tra quelle esistenti e capire come le nuove tecnologie possono supportare il loro business, creando al contempo network virtuosi. Sono previsti interventi per il sostegno della R&D, attraverso la semplificazione degli accordi tra imprese ed enti pubblici di ricerca, il rafforzamento su progetti di filiera, la valorizzazione dei progetti di ricerca e del ruolo professionale dei soggetti coinvolti. A supporto di queste iniziative sarà importante prevedere la formazione qualificata del capitale umano, strategico per la realizzazione di progetti innovativi e ad alto contenuto tecnologico: a riguardo sono previ-

ste misure e iniziative volte a creare una managerialità adeguata che non guardi solo agli aspetti economici e finanziari, ma che abbia competenze anche in ambito tecnico. Non manca il sostegno all’innovazione e a tutto quello che permetterà alle imprese di rinnovare la propria dotazione tecnologica e il parco macchine disponibile per il ciclo produttivo, assieme al programma dedicato all’industrializzazione delle idee e dei brevetti innovativi; infine è prevista la possibilità di usufruire di fondi di venture capital dedicati a start-up per il lancio sul mercato e lo sviluppo progressivo delle tecnologie e delle competenze utilizzate. Il sostegno finanziario che il Governo ha previsto con il nuovo piano supporterà le imprese nell’acquisizione di tecnologie innovative e avanzate che consentiranno la piena connessione e il passaggio a un nuovo paradigma economico. In un futuro molto prossimo le aziende avranno la possibilità di lavorare con strumenti all’avanguardia come i robot collaborativi interconnessi, i big data, il cloud computing, l’internet of thing, le macchine interconnesse per ottimizzare i processi di produzione, la realtà aumentata a supporto dei processi produttivi, le stampanti 3D connesse a software di sviluppo digitali, nonché la possibilità di sfruttare un’ampia banca dati e di gestire elevate quantità di dati su sistemi aperti per ottimizzare prodotti e processi produttivi.


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Interventi in favore del settore dell’autotrasporto

C

di Angelo Labanti Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

on il Decreto del 19 luglio 2016 sono state disposte le modalità di erogazione delle risorse a favore delle imprese di autotrasporto per l’anno 2016. Le risorse finanziare necessarie alla realizzazione dell’intervento ammontano a complessivi 25.000.000 di euro. Saranno finanziate le imprese di autotrasporto di merci per conto terzi, regolarmente iscritte all’Albo degli autotrasportatori di cose per conto terzi, che vogliano rinnovare o adeguare il parco veicoli, che vogliano acquistare beni strumentali per il trasporto intermodale, nonché favorire iniziative di collaborazione e di aggregazione fra le imprese. Sono ammessi i seguenti investimenti: A. Acquisizione anche mediante locazione finanziaria di Automezzi industriali pesanti nuovi di fabbrica a trazione alternativa a metano CNG e elettrica di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 3,5 tonnellate e fino a 7 tonnellate. Il contributo è determinato in 3.500 € per ogni veicolo CNG e in 10.000 per ogni veicolo elettrico, considerando la notevole differenza di costo con i veicoli ad alimentazione diesel; B. Acquisizione anche mediante locazione finanziaria di Automezzi industriali pesanti nuovi di fabbrica a trazione alternativa a metano CNG e gas naturale liquefatto LNG di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 7 tonnellate. Il contributo

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è determinato in 8.000 € per ogni veicolo a trazione alternativa a metano CNG ed in 20.000 € per ogni veicolo a trazione alternativa a gas liquefatto LNG; C. Radiazione per rottamazione o per esportazione al di fuori del territorio dell’unione europea, di automezzi di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 11,5 tonnellate, con contestuale acquisizione, anche mediante locazione finanziaria, di automezzi industriali pesanti nuovi di fabbrica, adibiti al trasporto merci di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 11,5 tonnellate. Il contributo è determinato in 7.000 € per ogni veicolo radiato ( i contributi sono maggiorati del 10% in caso di interventi effettuati da PMI); D. Acquisizione anche mediante locazione di rimorchi, semirimorchi, nuovi di fabbrica, per il trasporto combinato ferroviario rispondenti alla normativa UIC 596-5 e per il trasporto combinato marittimo dotati di ganci da nave rispondenti alla normativa IMO, dotati di almeno un dispositivo innovativo indicato nel decreto. Il contributo viene determinato: • Nel limite del 10% del costo di acquisizione in caso di medie imprese e del 20% di tale costo per le piccole imprese con un tetto massimo di 5.000 € per ogni rimorchio. La acquisizioni sono ammissibili qualora sostenute

nell’ambito di un programma di investimento destinato a creare un nuovo stabilimento, ampliare uno stabilimento esistente, diversificare la produzione di uno stabilimento mediante prodotti nuovi aggiuntivi o trasformare radicalmente il processo produttivo complessivo di uno stabilimento esistente; • Per le acquisizioni effettuate da imprese che non rientrano tra le piccole e media imprese in 1.500 €, tenuto conto che è possibile incentivare il 40% della differenza di costo tra i veicoli intermodali dotati di almeno un dispositivo innovativo e veicoli equivalenti stradali; • Sono finanziabili le acquisizioni effettuate anche mediante locazione finanziaria di gruppi di 8 casse mobili e 1 rimorchio o semirimorchi portacasse. Il contributo viene determinato, tenuto conto dei costi aggiuntivi rispetto all’acquisto di veicoli equivalenti stradali, in 8.500 € per l’acquisto di ciascun insieme di 8 casse e 1 rimorchio o semirimorchio. L’importo massimo ammissibile per ogni singola impresa non può superare i 600.000 €. Le domande devono essere presentate dal 20 ottobre 2016 al 15 aprile 2017 in via telematica secondo le indicazioni pubblicate sul sito del Ministero nella sezione Autotrasporto – Contributi e incentivi. Il termine ultimo per terminare i lavori è stabilito nel 15 aprile 2017.

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AGEVOLAZIONI PER LO SVILUPPO DELL’ARTIGIANATO DIGITALE E DELLA MANIFATTURA SOSTENIBILE di Lorenzo Rafaiani Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

C

on decreto 21 giugno 2016 sono state definite le modalità di accesso ai contributi per interventi nel campo della manifattura sostenibile e dell’artigianato digitale. Possono presentare la domanda le associazioni temporanee di impresa (ATI), i raggruppamenti temporanei di imprese (RTI) o reti di imprese. I soggetti richiedenti devono essere composti per il 50% da imprese artigiane o microimprese. I progetti devono essere finalizzati allo sviluppo o alla creazione di: • Centri per l’artigianato digitale, anche virtuali, in cui si svolgano attività di ricerca e sviluppo finalizzate alla creazione di nuovi software e hardware a codice sorgente aperto, in grado di concorrere allo sviluppo delle tecnologie di fabbricazione digitale e di modalità commerciali non convenzionali, nonché alla diffusione delle conoscenze acquisite alle scuole, alla cittadinanza, alle imprese artigiane e alle microimprese; • Incubatori in grado di facilitare, attraverso la messa a disposizione di spazi fisici, di dotazioni infrastrutturali e di specifiche competenze, lo sviluppo innovativo di realtà imprenditoriali operanti nell’ambito dell’artigianato digitale;

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• Centri finalizzati all’erogazione di servizi di fabbricazione digitale come la modellizzazione e la stampa 3D, la prototipazione elettronica avanzata, il taglio laser e la fresatura a controllo numerico, nonché allo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo centrale sulla fabbricazione digitale. Devono inoltre prevedere: • Spese ammissibili, al netto dell’IVA, non inferiori a 100.000 € e non superiori a 800.000 €; • Una durata non inferiore a 24 mesi e non superiore a 36 mesi dalla data di ricezione del decreto di concessione; • Forme di collaborazione con Istituti di ricerca pubblici, Università, Istituzioni scolastiche autonome ed Enti autonomi con funzioni di rappresentanza del tessuto produttivo. L’agevolazione consiste in una sovvenzione parzialmente rimborsabile a copertura del 70% dell’importo del programma ammesso alle agevolazioni. La sovvenzione parzialmente rimborsabile consiste in un finanziamento a tasso zero. La parte di sovvenzione da non restituire (contributo in conto impianti e /o conto gestione) è pari al 20% dell’importo complessivo del programma considerato ammissibile. Le istanze vengono valutate dal Ministero sulla base dei seguenti criteri:

A) Articolazione e solidità patrimoniale del soggetto proponente sulla base dei seguenti indicatori: • Importo previsto del fondo patrimoniale comune ovvero del fondo consortile in rapporto all’importo del programma (minimo 30%); • Grado di omogeneità patrimoniale dell’aggregazione, valutato in base all’apporto al fondo patrimoniale comune ovvero al fondo consortile assicurativo da ciascuna impresa partecipante; B) Qualità della proposta progettuale, valutata sulla base dei seguenti indicatori: • Struttura tecnico-organizzativa destinata alla realizzazione del programma; • Completezza, analiticità, cantierabilità e validità progettuale del programma presentato; C) Rispondenza del programma delle collaborazioni attivate: • Numero e qualità degli accordi di collaborazione con Istituti di ricerca pubblici e università; • Numero e qualità degli accordi di collaborazione con istituzioni scolastiche autonome d Enti autonomi con funzioni di rappresentanza del tessuto produttivo. È stato attribuito un punteggio maggiorato del 50% per le imprese che hanno conseguito il rating di legalità.

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IRI E FLAT TAX QUALE APPEAL? di Gianluca Canuti Management Academy Sida Group - Area Fiscale/Societaria

I

l Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2017 disciplina all’art. 73 la nuova imposta sul reddito d’impresa (IRI). Si tratta di un prelievo proporzionale, pari al 24%, applicabile agli utili prodotti e lasciati in azienda sotto forma di riserva. Gli eventuali prelievi degli utili e delle riserve effettuati dall’imprenditore individuale o la distribuzione da parte della società faranno scattare la tassazione ordinaria con l’applicazione dell’Irpef ordinaria dal 23% al 43%. Dall’interpretazione letterale della norma si desume che l’imposta sul reddito d’impresa è applicabile a seguito di esercizio dell’opzione ed interessa una tipologia limitata di soggetti e cioè imprenditori individuali, snc, sas e società di fatto. Sono certamente esclusi dall’applicazione del-

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la nuova imposta gli esercenti arti e professioni in forma individuale, ma anche in forma associata. La valutazione sull’opportunità di esercitare l’opzione si gioca su più fattori. In primis sul livello di reddito e la quantità di prelievi. E’ chiaro che con livelli di reddito bassi che scontano una aliquota Iperf del 23% o per ditte individuali o società con elevati prelevamenti di utili la nuova imposta si presenta con scarso appeal. Rimangono altresì estranei a tale opzione , in quanto non conveniente, i contribuenti con reddito agrario, i minimi ed i contribuenti con regime forfettario che oltre al fatto che scontano ad oggi tassazioni con aliquote inferiori dovrebbero passare anche al regime ordinario con aggravio anche di adempimenti fiscali per i quali

oggi sono esonerati. Altro aspetto delicato da tenere in considerazione riguarderà le riserve di utili. Una parte delle riserve potrebbe essersi formata con utili “vecchi” già tassati in base al principio della trasparenza, ed un’altra parte con utili soggetti al prelievo proporzionale previsto per la nuova IRI. Il Legislatore in questo senso presuppone che le riserve iscritte dopo aver effettuato il prelievo o la distribuzione si considerano formate con utili di più recente produzione. Una volta che queste riserve saranno oggetto di distribuzione sconteranno quindi il prelievo progressivo. Da queste riflessione emerge che occorrerà, nel consigliare i clienti, fare molta attenzione e valutare diversi aspetti onde evitare abbagli.

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SUPERAMMORTAMENTO E IPERAMMORTAMENTO di Raffaele Sansone Management Academy Sida Group - Area Fiscale/Societaria

T

ra le molte novità della Legge di Bilancio 2017, viene confermata la proroga del superammortamento e l’introduzione dell’iperammortamento, anche per il periodo d’imposta 2017. Con l’ipotesi che il periodo temporale si estenda anche alla metà del periodo d’imposta 2018, (purché siano versati acconti sull’acquisto, almeno pari al 20% nel 2017). Tuttavia, il superammortamento al 140% perde qualche pezzo: per le auto aziendali, infatti, varrà solo se l’uso aziendale è esclusivo, i veicoli e gli altri mezzi di trasporto non esclusivamente strumentali godranno di un superammortamento ridotto al 120%. Parallelamente viene introdotto l’iperammortamento al 250% per gli

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investimenti in innovazione. Si tratta di una nuova agevolazione legata all’acquisto di beni che “favoriscono i processi di trasformazione tecnologica e/o digitale in chiave Industria 4.0”. Il superammortamento al 140%, verrebbe esteso dalla Legge di Bilancio attualmente in discussione anche ai software, purché i software stessi siano collegati alla “trasformazione tecnologica in chiave Industria 4.0”. Si tratta di una novità assoluta in quanto la normativa entrata in vigore nel 2016, non prevede il superammortamento per i beni immateriali. Come lo scorso anno l’attuale Legge di Bilancio in discussione prevede che il superammortamento e l’iperammortamento: • non si applichi ai beni immateriali con l’eccezione sopra spiegata dei software (a sua volta soggetta ai

vincoli sopra esposti); • non si applichi ai beni con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5%; • non rilevi ai fini degli acconti e non sia rilevante ai fini di Irap e studi di settore. Attualmente si discute della possibilità di introdurre l’iperammortamento al 250% su circa 50 categorie diverse di beni. Come previsto per il superammortamento, anche l’iperammortamento è esteso agli acquisti effettuati in leasing. Al fine di fruire dell’iperammortamento al 250%, occorrerà: • produrre autocertificazione ai sensi del Dpr 445/2000; • una perizia giurata di un professionista, qualora il costo del bene superi un milione di euro.

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AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0 Facciamo un esempio Ipotizziamo di acquistare un macchinario del costo di euro 1.000,00, soggetto al 10% di aliquota d’ammortamento. Il primo anno l’aliquota si dimezza per cui l’ammortamento sarà pari al 5% (ad eccezione dei professionisti per i quali l’aliquota non si dimezza). In contabilità nulla cambia: iscriveremo il bene nell’attivo al costo di 1.000, stanzieremo una quota d’ammortamento pari a 50, avremo un Fondo ammortamento pari a 50. Sarà solo in sede di Dichiarazione mod. Unico che effettueremo una

variazione in diminuzione (superammortamento) pari al 40% di 50, cioè 20 (che diventa 150% di 50, cioè 75 nel caso di iperammortamento). In totale dedurremo fiscalmente una quota d’ammortamento pari a 70 (pari a 125 nel caso di iperammortamento). Per gli anni successivi la quota di ammortamento sarà pari a 100, incrementata di ulteriori 40 (150 in caso di iperammortamento), sotto forma di variazione in diminuzione, per un totale di 140 (250 in caso di iperammortamento) e fino al termine del processo di ammortamento.

Per il momento si consiglia di tenere un prospetto, per seguire questo superammortamento, utile in caso di verifica, integrativo del Registro cespiti ammortizzabili in quanto in quest’ultimo non apparirà il superammortamento. In conclusione, un investimento di 1.000,00 euro, fatto nel corso del 2017 (come già per il 2016), creerà un vantaggio economico aggiuntivo (costo deducibile) di 400,00 euro, che in caso di bene avente il beneficio dell’iperammortamento, il vantaggio economico aggiuntivo, sarà di 1.500,00 euro.

IPOTESI DI ACQUISTO DI UN MACCHINARIO DEL COSTO DI EURO 1.000,00 NEL 2017 Aliquota Ordinaria

Superammortamento

Iperammortamento

Aliquota

Ammortamento

Aliquota

Ammortamento

Aliquota

Ammortamento

2017*

5%

50 (1° anno)*

7% (5% + 40%)

70 (1° anno)*

12,50% (5% + 150%)

125 (1° anno)*

2018

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2019

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2020

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2021

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2022

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2023

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2024

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2025

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2026

10%

100

14% (10% + 40%)

140

25% (10% + 150%)

250

2027

5%

50

7% (5% + 40%)

70

12,50% (5% + 150%)

125

Tot.

100%

1.000

140%

1.400

250%

2.500

*Per il 1° anno l’aliquota è ridotta della metà (eccezione per i professionisti per i quali l’aliquota non si dimezza)

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INDUSTRIA 4.0: DETRAZIONI PER CHI INVESTE IN START UP

L

di Francesco Cesari Management Academy Sida Group - Area Fiscale/Societaria

a Legge di Bilancio 2017 presentata il 15 ottobre 2016 prevede nuove agevolazioni fiscali per le imprese e le Start up. La manovra finanziaria per il triennio 2017/2019 ha stanziato 26,5 miliardi di euro e, tra questi, una buona parte è destinata alle imprese. Con le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2017 saranno mobilitati 0,45 miliardi di euro a favore di start up innovative e imprese; l’obiettivo è quello di mobilitare ulteriori 2,6 miliardi di risorse private. Per gli investimenti in Start up innovative, che saranno portati ad un massimo di 1 mln di euro dagli attuali 500 mila euro, aumenta la detrazione fiscale che passa dal 19% al 30%.

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Ciò significa che se un’azienda investe nel capitale sociale di una Start up all’azienda viene riconosciuta a valere sulle imposte dovute a fine anno una detrazione fiscale del 30% dell’investimento partecipativo effettuato nell’azienda nascente. Se la detrazione dovesse superare l’importo dell’imposta lorda, l’eccedenza potrà essere portata in detrazione dalle imposte sui redditi dei periodi successivi non oltre il terzo. Inoltre, per i primi quattro anni le aziende sponsor delle Start up potranno assorbire le perdite delle nuove PMI, consentendo quindi da un lato l’investimento e, parallelamente, meno rischi finanziari per le nuove attività. La possibilità di cedere le perdite costituisce una deroga al con-

solidato fiscale nazionale e le aziende sponsor potranno detrarre la perdita con lo sgravio al 30% sugli investimenti. Esempio: investimento per 500.000 € in start up innovative PRIMA la detrazione fiscale era del 19% nel limite massimo di 500.000 € e pertanto 95.000 € annui ORA detrazione fiscale è del 30% nel limite massimo di 500.000 € e pertanto 150.000 € annui Maggior VANTAGGIO FISCALE in detrazione d’imposta + 55.000 € + le eventuali perdite future della nuova azienda.

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INDUSTRIA 4.0 I piani individuali di risparmio per le imprese di Roberto Antonella Management Academy Sida Group - Area Fiscale/Societaria

L

a legge di stabilità presentata in Parlamento sabato 15 ottobre 2016 contiene al suo interno un’importante novità che riguarda le imprese: i piani individuali di risparmio. I Pir sono dei prodotti del risparmio gestito emessi da società di gestione del risparmio ed altri investitori istituzionali che potranno essere sottoscritti da persone fisiche. Il risparmio delle famiglie sarà così veicolato a sostegno delle imprese nazionali, in particolare di quelle piccole e medie. I PIR saranno agevolati mediante una detassazione degli interessi, qualora l’investimento sia effettuato come finanziamento fruttifero di interessi, e del capital gain che si andrà a produrre da un eventuale smobilizzo dell’investimento. Con la Legge di Stabilità 2017 viene ufficializzato il provvedimento. I piani individuali di risparmio puntano a slegare gli investitori dagli impieghi bancari e premieranno chi investirà le propria disponibilità nelle piccole e medie imprese con la detassazione degli investimenti di medio e lungo periodo. L’obiettivo è quello di premiare chi investe nell’economia reale e che quindi fornisce maggiori

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risorse economiche per la crescita. I Pir, i piani individuali di risparmio, consistono in una detassazione sugli interessi o sul capital gain per gli investimenti: gli investitori che aderiranno ai PIR potranno godere di agevolazioni fiscali nella misura massima di 30 mila euro l’anno. La Legge di stabilità 2017 ha confermato il tetto massimo di investimento agevolato e ha inserito alcuni limiti per quel che riguarda il periodo d’investimento: l’investimento non può superare i 150 mila euro e deve essere mantenuto per almeno cinque anni. Rispettando questi requisiti si può godere della detassazione degli interessi maturati e dell’eventuale capital gain sulla vendita qualora l’investimento venga smobilizzato dopo 5 anni. Per i piani individuali di risparmio di durata inferiore ai cinque anni sarà applicata la normale tassazione sui guadagni in conto capitale, i capital gain, del 26%. Non c’è alcun limite alla platea delle imprese beneficiarie e potranno quindi aprire piani individuali di risparmio tutte le società di capitali. I PIR sono da vedere come uno strumento alternativo per il reperimento di risorse finanziarie e saranno in

grado di veicolare capitali alla quasi totalità delle imprese italiane, quotate e non. CREDITO D’IMPOSTA RICERCA E SVILUPPO Il Piano Nazionale Industria 4.0 presentato dal Governo prevede un restyling del credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo. Le novità riguardano: 1. Proroga dell’agevolazione di un anno fino al 2020 2. Il beneficio sale al 50% per qualsiasi tipologia di spesa inerente al progetto di ricerca 3. L’importo massimo annuale del credito d’imposta di ciascun beneficiario sale da 5 milioni a 20 milioni. Viene invece confermato: • l’approccio incrementale in base al quale il credito d’imposta viene riconosciuto sugli investimenti in R&S sostenuti in eccedenza rispetto alla media dei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31/12/2015. • L’ammontare minimo di investimenti in attività di ricerca e sviluppo che è fissato in Euro 30.000.

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BONUS INVESTIMENTI NEL MEZZOGIORNO: come accedere al beneficio di Angelo Labanti, Lorenzo Rafaiani Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

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l credito di imposta per i nuovi investimenti è attribuibile alle imprese di qualsiasi dimensione che effettuano l’acquisizione di beni strumentali nuovi a decorrere dal 1 Gennaio 2016 e fino al Dicembre 2019. Possono beneficiare del credito di imposta tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa indipendentemente dalla forma giuridica assunta. Come espressamente previsto dalla norma, l’agevolazione non si applica ai soggetti che operano in determinati settori ( industria siderurgica, carbonifera, della costruzione navale, delle fibre sintetiche, dei trasporti e delle relativa infrastrutture, della produzione e della distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche, nonché ai settori crediti-

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zio, finanziario e assicurativo). Ai fini dell’individuazione del settore di appartenenza si tiene conto del codice attività indicato nella tabella ATECO 2007. Sono inoltre escluse le imprese in difficoltà come definite dagli “ Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziare in difficoltà” AMBITO TERRITORIALE Gli investimenti devono essere destinati a strutture produttive localizzate: • Nelle Regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia (ammissibili alle deroghe previste dall’art. 107, paragrafo 3, lettera a, del Trattato del funzionamento dell’Unione europea);

• Nelle Regioni Molise, Sardegna e Abruzzo (ammissibili alle deroghe previste dall’art. 107, paragrafo 3, lettera c), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea). MISURA DELL’AIUTO La misura dell’incentivo varia a seconda della dimensione dell’impresa richiedente: • 20% della spesa ammissibile per le piccole imprese; • 15% della spesa ammissibile per le medie imprese; • 10% della spesa ammissibile per le grandi imprese. • Sono considerate piccole imprese quelle che contestualmente hanno meno di 50 occupati e un fatturato annuo oppure un totale di bilancio

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AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0 annuo non superiore a 10 milioni di euro. Sono medie imprese quelle che contestualmente hanno meno di 250 occupati e un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. INVESTIMENTI AGEVOLABILI I beni di investimento oggetto di agevolazione, che possono consistere in macchinari, impianti e attrezzature nuove da destinare a strutture produttive già esistenti o da impiantare nei territori agevolabili, devono necessariamente rientrare in un progetto di “investimento iniziale”, come definito dalla Commissione europea, riguardante: • La creazione di un nuovo stabilimento; • L’ampliamento della capacità di uno stabilimento esistente; • La diversificazione della produzione di uno stabilimento per ottenere prodotti mai fabbricati precedentemente o un cambiamento fondamentale del processo produttivo complessivo di uno stabilimento esistente. Le grandi imprese residenti nelle zone di Abruzzo, Molise e Sardegna posso accedere ai finanziamenti solo a fronte “ di un investimento iniziale a favore di una nuova attività economica nella zona interessata”. Un’ulteriore delimitazione deriva dall’utilizzo delle risorse europee e di cofinanziamento nazionale previste nel programma operativo nazionale “Imprese e competitività 2014-2020” FESR (PON) e nei programmi operativi 2014-2020 relativi al Fondo europeo di sviluppo regionale delle regioni in cui si applica l’incentivo ( POR). Qualora la copertura finanziaria dell’agevolazione sia effettuata con

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tali fondi, l’incentivo potrà essere destinato alle sole PMI ricadenti nei territori delle Regioni interessate, con esclusione, quindi, delle grandi imprese. Gli investimenti potranno essere ammessi al bonus non solo se acquistati da terzi, ma anche se realizzati in economia o mediante contratto di appalto. Condizione fondamentale da rispettare, in ogni caso, è il sostenimento dei costi durante il periodo di efficacia temporale del credito d’imposta , ossia dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2019. Per la definizione dei requisiti di strumentalità e novità richiesti per i beni oggetto di agevolazione, sono pienamente valide le definizioni espresse in occasione della precedente edizione del credito di imposta. La “strumentalità” rispetto all’attività esercitata dall’impresa beneficiaria è soddisfatta se i beni sono di uso durevole ed atti ad essere impiegati come strumenti di produzione all’interno del processo produttivo dell’impresa. Sono esclusi i beni autonomamente destinati alla vendita, come pure quelli trasformati o assemblati per l’ottenimento di prodotti destinati alla vendita, nonché materiali di consumo. In merito al requisito della “novità”, si segnala che deve trattarsi di beni a qualunque titolo non utilizzati prima. Possono, tuttavia, essere agevolati, in quanto considerati nuovi, i beni esposti in showroom ed utilizzati esclusivamente dal rivenditore a scopo illustrativo. In caso di beni complessi qualora alla loro realizzazione abbiano concorso anche beni usati, il requisito della novità sussiste se il costo dei beni usati utilizzati per la loro realizzazione non sia stato prevalente rispetto a quello

complessivo sostenuto. Nel caso in cui il bene complesso, che incorpora anche un bene usato, sia stato acquistato a titolo derivativo da terzi, il cedente dovrà attestare che il costo del bene usato non è di prevalente entità rispetto al costo complessivo. Anche in merito alla struttura produttiva, singola unità locale o stabilimento ubicato nelle aree territoriali ammissibili in cui il beneficiario esercita l’attività d’impresa, l’agenzia specifica che può trattarsi di: • Un autonomo ramo di azienda, inteso come un insieme coordinato di beni materiali, immateriali e risorse umane precisamente identificabili ed esclusivamente ad esso attribuibili, dotato di autonomia decisionale come centro di costo e di profitto, idoneo allo svolgimento di un’attività consistente nella produzione di un output specifico indirizzato al mercato; • Una autonoma diramazione territoriale dell’azienda ovvero una mera linea di produzione o un reparto, pur dotato di autonomia organizzativa, purchè costituisca di per sé un centro autonomo di imputazione di costi e non Rappresenti parte integrante del processo produttivo dell’unità locale situata nello stesso territorio comunale ovvero nel medesimo perimetro aziendale. COME SI CALCOLA L’AGEVOLAZIONE Il credito d’imposta è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni agevolabili, eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta, relativi alle medesime categorie dei beni d’investimento della stessa struttura produttiva, ad esclusione degli ammortamenti dei beni che formano oggetto dell’investimento agevolato.


AGEVOLAZIONI INDUSTRIA4.0 Come indicato dall’Agenzia delle Entrate, l’ammontare dell’investimento (lordo) ammissibile all’agevolazione è dato, per ciascun periodo agevolato e per ciascuna struttura produttiva, dal costo complessivo delle acquisizioni di macchinari, impianti e attrezzature varie ammissibili. Ai fini della determinazione dell’investimento netto su cui calcolare il credito d’imposta, l’investimento lordo deve essere decurtato degli ammortamenti fiscali dedotti nel periodo di imposta- ad eccezione di quelli dedotti in applicazione del super ammortamento – relativi ai medesimi beni appartenenti alla struttura produttiva nella quale si effettua il nuovo investimento. Tuttavia, nel calcolo dell’investimento ammissibile non rilevano gli ammortamenti dei beni che formano oggetto dell’investimento agevolato, che, pertanto, non devono essere sottratti dall’importo complessivo dell’investimento lordo. Per chiarire il concetto, si riporta l’esempio fornito dall’Agenzia delle Entrate. ESEMPIO Si supponga che un imprenditore, nell’esercizio X, effettui un investimento in beni strumentali nuovi per un importo complessivo di 130mila euro, così suddiviso: - impianti per 100mila euro; - attrezzature per 30mila euro. Il valore complessivo degli ammortamenti fiscali dedotti nel medesimo periodo di imposta (X), relativi alle medesime categorie dei beni d’investimento e già esistenti nella stessa struttura produttiva in cui vengono effettuati gli investimenti agevolabili, è pari a 31mila euro [12mila (impianti) + 11mila (macchinari) + 8mila (attrezzature)].

A CURA DI

Gli ammortamenti fiscali rilevanti ai fini dell’agevolazione in commento sono solo quelli relativi ai medesimi beni appartenenti alla struttura produttiva nella quale si effettua il nuovo investimento. Nel caso di specie, ai fini del calcolo dell’investimento netto, rilevano gli ammortamenti fiscali dedotti relativi ai soli impianti e attrezzature, in quanto non sono stati effettuati investimenti in macchinari. Di conseguenza, il totale degli ammortamenti fiscali rilevanti, relativi ai beni già esistenti nella medesima struttura produttiva, da sottrarre all’investimento lordo (130mila), è pari a 20mila euro [12mila (impianti) + 8mila (attrezzature)]. L’investimento netto su cui applicare la percentuale di spettanza del credito di imposta risulta, pertanto, pari a 110mila euro (130mila - 20mila). Per gli investimenti effettuati mediante contratti di locazione finanziaria, rileva, ai fini del calcolo dell’agevolazione, il costo sostenuto dal locatore per l’acquisto dei beni. In tal caso, come peraltro espressamente previsto dalla norma, il costo non comprende le eventuali spese di manutenzione. Nessuna rilevanza può attribuirsi al prezzo di riscatto ed al canone periodico pagato dall’impresa. COME ACCEDERE AL CREDITO D’IMPOSTA Le imprese interessate devono presentare, a partire dal 30 giugno 2016 e fino al 31 dicembre 2019, esclusivamente in via telematica, la comunicazione per la fruizione del credito d’imposta per gli investimenti nel mezzogiorno, approvata con provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 24 marzo 2016. Il beneficiario può utilizzare credito solo in compensazione, presentando il modello di pagamento F24 esclusi-

vamente tramite il servizio telematico Entratel o Fisconline, pena il rifiuto dell’operazione di versamento. La compensazione del credito può essere esercitata a partire dal quinto giorno successivo alla data di rilascio della ricevuta attestante la fruibilità del credito. L’ammontare del credito utilizzato in compensazione, anche in più soluzioni, non può eccedere l’importo risultante dalla ricevuta dell’Agenzia delle entrate, pena lo scarto del modello F24. RILEVANZA DEL BONUS AI FINI FISCALI Il credito d’imposta deve essere indicato nel quadro RU del modello di dichiarazione relativo al periodo di imposta nel corso del quale il credito stesso è maturato, nonché nel quadro RU dei modelli di dichiarazione relativi ai periodi di imposta nel corso dei quali il credito viene utilizzato in compensazione. Il credito di imposta, come sottolineato nella circolare n.34/E/2016, che non è soggetto: • Al limite dei 250.000 € applicabile ai crediti d’imposta agevolati; • Al limite dei 700.000 € previsto per la compensabilità di crediti e contributi (art.34, legge n.388/2000); • Al divieto di compensazione dei crediti relativi alle imposte erariali in presenza di debiti iscritti a ruolo, per imposte erariali ed accessori, di ammontare superiore a 1500 € (art.17, dlgs. N.241/1997). Si specifica inoltre che il credito di imposta è da considerarsi rilevante ai fini fiscali. Ciò comporta, tra l’altro, che tale credito, ai fini Irpef, Ires e Irap è da considerarsi come contributo tassabile. Naturalmente, le quote di ammortamento calcolate sui beni strumentali agevolabili sono deducibili dal reddito di impresa.

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LE MARCHE DEL SISMA

Le Marche

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SOS MARCHE: I DISTRETTI COLPITI di Fabio Di Giulio

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n dramma nel dramma. Lo sciame sismico che sta colpendo le Marche dallo scorso 24 agosto ha messo in ginocchio un territorio denso di imprese. E c’è il rischio concreto di mettere in pericolo tutti quei distretti altamente produttivi, che vanno dallo zootecnico al manifatturiero. I comuni marchigiani maggiormente toccati dal sisma sono ben diciannove:

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Acquacanina, Caldarola, Camerino, Castelsantangelo Sul Nera, Cingoli, Fiastra, Fiuminata, Matelica, Montecavallo, Muccia, Pievebovigliana, Pieve Torina, Pioraco, San Severino Marche, Sefro, Serra Petrona, Tolentino, Ussita, Visso. In totale si tratta di 8.023 imprese per 21.315 addetti. Un’economia per lo più agricola, che oggi si trova a dover far fronte all’enorme problema dei danni alle strutture. Con la scossa delle 7,41 dello scorso 30 ottobre, una botta tremenda

da 6.5, sono crollate stalle, fabbricati rurali, oltre ad abitazioni e piccole strutture ricettive come bed and breakfast e agriturismi. Per non parlare, poi, delle prenotazioni cancellate di chi aveva già deciso di trascorrere il natale e il capodanno sui monti Sibillini. I piccoli imprenditori si trovano ora a dover far fronte ad una situazione apocalittica. Investimenti di una vita andati in macerie, e le attese di guadagno sulla produzione attuale che,


LE MARCHE DEL SISMA poco a poco, si allontanano sempre di più. I BORGHI FANTASMA E LE AZIENDE Visso è uno dei piccoli comuni maggiormente disastrati. Un borgo montanaro di poco più di mille abitanti, per 165 imprese attive e oltre 400 addetti. In pratica quasi la metà del paese lavora nelle piccole aziende locali. L’interruzione della produzione causata dal sisma ha letteralmente paralizzato le vite di quasi tutte le famiglie. Stesso discorso per Pieve Torina: 1.500 abitanti, 158 imprese e 349 addetti. E ancora: Ussita, poco più di 400 abitanti, 49 piccole imprese e 90 addetti. Questa è una delle località che ha subito i danni più gravi. L’elenco è lungo. E scorrendo la lista emerge sempre più lugubre la Spoon River delle aziende a conduzione familiare che rischiano di non rialzarsi più. In totale si contano oltre 25 mila sfollati, molti alloggiati provvisoriamente lungo la costa negli alberghi che hanno messo a disposizione le proprie strutture. Altri, invece, preferiscono dormire in macchina per non abbandonare le abitazioni lesionate e a rischio sciacalli. I DISTRETTI A RISCHIO Le Marche, si sa, sono famose in Italia e nel mondo grazie ai distretti produttivi che l’hanno contraddistinta da sempre. Basti pensare alla pelletteria di Tolentino, che tutti conoscono per aver dato i natali alle poltrone Frau. Oppure Serra Petrona con la sua tipica Vernaccia. Nella provincia maceratese i principali danni sono stati registrati nelle aziende che producono salumi. Pioraco, invece, è nota per la produzione di carta: lo stabilimento delle cartiere “Fedrigoni”, appartiene al gruppo delle Cartiere Fedrigoni Group. Danni alle strutture anche a

Pievebovigliana, dove tra le attività economiche più tradizionali, diffuse e attive vi sono quelle artigianali, come la rinomata arte della tessitura finalizzata alla realizzazione di tappeti e di tanti altri prodotti caratterizzati da motivi artistici pregiati. Anche a Matelica non mancano, purtroppo, problemi alle piccole attività produttive. Un territorio noto in tutta Italia per la produzione del Verdicchio, e che oggi vede molti imprenditori alle prese con il conto dei danni inferte dal sisma alle strutture. Insomma, basta addentrarsi tra le piccole e medie imprese dell’area scossa dall’onda tellurica, che si scoprono realtà un tempo prestigiose e redditizie, e ora in forte difficoltà. IL DANNO AL TURISMO La bellezza senza tempo dei borghi arroccati sui costoni dei Sibillini, è da sempre motivo di forte attrazione turistica. In autunno per le tante fiere gastronomiche che si snodano come serpenti tra i piccoli comuni uniti dai caratteristici tornanti. E in inverno per chi ama trascorrere i weekend sulle piste da sci, lontani dall’affollamento delle Dolomiti e più a contatto con la tradizione del territorio. Gli operatori turistici si auguravano quest’anno una stagione migliore, rispetto a quella scorsa, dove la neve si è fatta attendere così tanto da rimpiangere la coltre pure esagerata che nel 2012 isolò intere frazioni. E invece, a causa del terremoto, i titolari delle strutture alberghiere si troveranno a dover fare i conti con un flusso turistico non troppo soddisfacente. Ma l’operosità dei marchigiani è risaputa, così come la loro incessante caparbietà. Una popolazione che ha saputo dare vita a imprese e prodotti riconosciuti in tutto il mondo non si lascerà abbattere, e gli imprenditori delle zone colpite dal

sisma si stanno già armando di buona volontà per rilanciare la sfida e non abbandonare il territorio. UN ESEMPIO DI CORAGGIO L’azienda La Pasta di Camerino non molla il territorio. Anzi raddoppia, e assume 20 nuovi dipendenti. Con 16 milioni di euro di fatturato, 250 quintali di pasta all’uovo prodotta ogni giorno, il 20% della quale è esportata sul mercato di Germania ed Usa, e 48 dipendenti, per la maggior parte donne, ha già vissuto il dramma del sisma del 1997. All’indomani della gravissima scossa del 30 ottobre che ha lasciato senza casa amici, parenti e molti dei dipendenti dell’azienda, Federico Maccari, Direttore del La Pasta di Camerino, annuncia la decisione presa di concerto con la sua famiglia, di voler investire ancora, creando un nuovo stabilimento con una nuova linea di produzione ed ampliando al contempo la gamma dei prodotti sempre a Camerino. «Quando hai vissuto 4 anni in un container a causa del terremoto del 1997 – dice Federico Maccari 25 anni appena compiuti – sai bene cosa significhi fare i conti con un terremoto. A distanza di meno di 20 anni il nostro territorio e noi stessi, affrontiamo questa nuova tragedia che, seppur fortunatamente non registri vittime, ha distrutto gran parte del patrimonio storico ed artistico ma anche abitativo e dell’artigianato di Camerino, Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, Muccia, Pievetorina, Castelraimondo, San Severino Marche e degli altri comuni confinanti. Il nostro stabilimento è tornato a pieno regime già dalle ore immediatamente successive alla scossa di quella terribile domenica mattina, ma la paura è stata tantissima».

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DALLA REGIONE IN ARRIVO MISURE A SOSTEGNO DELLE COMUNITÀ COLPITE Tra le più immediate: la realizzazione di un portale che certifichi e divulghi le produzioni marchigiane di qualità, ristoro del lucro cessante, temporary shop per riavviare l’economia cittadina. Sul lavoro: si faccia uso degli ammortizzatori sociali e dei bandi ancora aperti.

di Loredana Pistonesi

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cuole, sostegni alle imprese, alle attività economiche, al reddito dei lavoratori. «Una terapia d’urto, per superare l’emergenza in atto, recependo le esigenze che vengono dai territori». È quanto hanno proposto gli assessori regionali al Lavoro, Loretta Bravi, e alle Attività Produttive, Manuela Bora, nel corso dell’incontro a Force con sindaci ascolani dei comuni terremotati, rappresentanti della categorie produttive e cittadini intervenuti. Il primo di una serie di confronti che coinvolge anche altre realtà. «È necessario creare un valore aggiunto ai territori devastati dal sisma, per scongiurare il rischio di desertificazione delle aree montane,

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con i giovani che sono più propensi ad abbandonare la montagna», hanno detto gli amministratori durante l’incontro. La Regione, presente con molti dirigenti dei vari settori amministrativi, ha assicurato che è in arrivo un pacchetto organico di misure di sostegno alle comunità colpite dal sisma che «vada oltre le disposizioni dei decreti sul terremoto – hanno aggiunto - l’intenzione è, nel rispetto delle norme europee e nazionali, di aiutare chi ha subito non solo danni diretti, che vengono liquidati secondo le modalità stabilite dal decreto e con risorse nazionali, come crolli o danneggiamenti infrastrutturali, ma anche indiretti, come i mancati redditi». Molte attività artigiane della ristorazione o

bar, infatti, pur avendo i locali agibili, hanno dovuto cessare l’attività perché ubicata all’interno di zone dichiarate “rosse”, quindi interdette al pubblico. Un’ampia parte della riunione è stata dedicata al tema della scuola, anche in vista della programmazione del dimensionamento scolastico (nuove classi) 2017: le comunità terremotate sono state spostate sulla costa, molti genitori hanno paura a far rientrare i figli in plessi a più piani. «Garantiremo a tutti i ragazzi il regolare svolgimento dell’anno scolastico – ha assicurato l’assessore all’Istruzione Bravi – Se ci sarà bisogno di nuove classi, d’intesa con il Ministero e gli Uffici scolastici territoriali, le realizzeremo». Ha poi indicato i criteri che guideran-


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no il dimensionamento: ascolto delle famiglie, mantenere unite le comunità laddove è possibile, richiesta di fondi al Ministero per allestire nuove classi (se necessarie), adeguamento dei trasporti scolastici se il problema si porrà. «Insieme decidiamo cosa è bene fare, ogni realtà avrà un progetto specifico alle proprie esigenze. Senza la scuola, finisce la comunità cittadina», ha concluso Bravi. Sul fronte delle attività economiche, l’assessora Bora ha assicurato che «stiamo lavorando per dare una priorità d’intervento alle questioni produttive. In realtà si tratta di aggiornare quelle che avevamo già definito dopo il sisma del 24 agosto. Le nuove scosse, o meglio i nuovi terremoti, hanno rimesso tutto in discus-

sione, perché l’area d’intervento sarà necessariamente più vasta rispetto alle prime previsioni». Tra le misure più immediate indicate, la realizzazione di un portale che certifichi e divulghi le produzioni marchigiane di qualità (già si registrano azioni di sciacallaggio, con finti produttori marchigiani che propongono produzioni non marchigiane), ristoro del lucro cessante (mancati redditi), “temporary shop” (aree artigiane e commerciali provvisorie, attrezzate in zone sicure dei comuni terremotati, per riavviare l’economia cittadina). Per quanto riguarda, invece, le misure di sostegno al lavoro, sono state indicate le opportunità relative agli ammortizzatori sociali, ai bandi ancora aperti (e a quelli futuri

che prevedranno priorità per le aree terremotate), alle misure offerte dalle disposizioni sulle aree di crisi complesse (che ricomprendono anche comuni terremotati). Recependo un’indicazione dei partecipanti all’incontro, l’assessore Bravi si è mostrata disponibile ad attivare corsi di formazione per la filiera edile, come quelli già esistenti per il tessile e moda, legno e arredo, calzatura. Saranno focalizzati sulle esigenze della ricostruzione, in particolare sulle nuove procedure tecniche che richiedono competenze più elevate, rispetto al passato, scongiurando il rischio che le imprese locali possano essere escluse dalla ricostruzione per mancanza di requisiti professionali.

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IL DRAMMA DEGLI ALLEVATORI: a rischio oltre un milione di animali da reddito L’assessore regionale all’Agricoltura: “Nessuno verrà lasciato solo”. La Regione pronta ad intervenire con 45 milioni di euro, grazie al fondo di rotazione con il quale il Governo centrale finanzierà il 17 per cento di cofinanziamento del Psr (Programma di sviluppo rurale). di Chiara Bartolomei

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ono state effettuate 125 verifiche alle strutture agricole e zootecniche marchigiane danneggiate dal sisma del 30 ottobre. Si tratta di nuove segnalazioni rispetto ai controlli conclusi dopo il sisma del 24 agosto scorso. In tutto dieci le squadre al lavoro impegnate nelle verifiche alle aziende e alle relative strutture. Alle quattro operative nella provincia di Macerata, sono state aggiunte tre provenienti da Ancona e altre tre da Pesaro e Urbino. Le lesioni segnalate riguardano, soprattutto, allevamenti e abitazioni agricole. L’area interessata dall’ultimo sciame sismico ha una vocazione produttiva zootecnica molto significativa, con una popo-

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lazione animale, da reddito, composta da circa 12.000 bovini, 35.000 ovini, 17.000 suini e 1 milione di capi avicoli. Questi allevamenti, nonostante i danni che il sisma ha arrecato, continuano a produrre. «Stiamo concentrando lo sforzo nelle aree a maggiore criticità, convogliando squadre di tecnici nel Maceratese – afferma la vicepresidente e assessore all’Agricoltura, Anna Casini – Nessuno verrà lasciato solo. Le istituzioni sono e saranno vicine agli agricoltori e agli allevatori danneggiati dal sisma, perché l’obiettivo primario è garantire la continuità economica e produttiva del settore agricolo, presidio insostituibile dell’entroterra appenninico marchigiano». Oltre l’80 per cento delle strutture agricole e zo-

otecniche delle zone terremotate marchigiane, controllate delle dieci squadre regionali al lavoro, presenta danni apparenti, che andranno certificati poi dai tecnici abilitati AeDes. Il dato si riferisce alla metà delle 125 verifiche in corso, che hanno evidenziato l’urgenza di disporre di strutture di emergenza. I controlli si riferiscono alle sole segnalazioni finora pervenute dai Comuni, mentre appare evidente che il quadro complessivo delle devastazioni possa risultare maggiore. I dati sono stati riferiti dalla vicepresidente e assessore all’Agricoltura, Anna Casini che, al servizio decentrato Agricoltura di Macerata, ha riunito i componenti del Tavolo politico strategico del settore agricolo. Una riunione operativa


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per gestire le criticità a seguito del terremoto e per programmare il futuro. Alla riunione erano presenti i rappresentanti di Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, Agci Marche, Legacoop Marche, Unici Marche, Confcooperative e Uecoop. «Abbiamo le risorse per ripartire, non svendiamo il bestiame a chi non si fa scrupoli di lucrare su un’emergenza. Tutto sarà ripristinato e l’entroterra non verrà abbandonato», ha detto l’assessore. La priorità segna-

lata, condivisa da tutte le associazioni, è quella di provvedere, nel minor tempo possibile, a installare stalle provvisorie e abitazioni per gli allevatori: «Il territorio non va abbandonato, perché senza una ripresa economica delle attività tradizionali dell’entroterra, le aree montane non potranno ripartire e perderanno la propria identità - ha ribadito Casini - La Regione aiuterà tutte le aziende coinvolte dal sisma a superare i disagi della fase di emergenza e ini-

zieremo subito la ricostruzione». L’assessore ha anche invitato le associazioni a produrre proposte per costruire la strategia delle aree interne che, ha affermato, «attueremo con i circa 45 milioni di euro che la Regione ha a disposizione, grazie al fondo di rotazione con il quale il Governo finanzierà il 17 per cento di cofinanziamento del Psr (Programma di sviluppo rurale)». Intanto sono state decise immediate azioni a sostegno del sistema agricolo e allevatoriale per le zone colpite dal terremoto, a seguito delle ultime tragiche scosse dello scorso 30 ottobre: una misura urgente messa a disposizione dal Ministero per la copertura del mancato reddito delle imprese allevatoriali, con un aiuto a capo bovino di circa 400 euro e aiuti in fase di valutazione per ovini e suini. Per non parlare dell’accoglimento della proposta di raddoppiare il plafond disponibile per le gare in corso per le stalle tunnel temporanee e per le casette, e la disponibilità del numero 1515 del Corpo Forestale dello Stato per raccogliere tutte le segnalazioni e le richieste di aiuto da parte degli agricoltori e degli allevatori delle zone colpite dal sisma. «Comprendiamo lo stato psicologico di preoccupazione e di paura dei cittadini dei Comuni colpiti dal sisma – si legge in un comunicato congiunto diramato dagli Assessorati all’Agricoltura delle Regioni Lazio, Umbria e Marche - ma vogliamo assicurare che il lavoro prosegue da parte delle Istituzioni, della Protezione Civile, del Ministero della Salute e di tutti i soggetti competenti senza sosta per fronteggiare al meglio, nella complessità dell’analisi caso per caso, la situazione».

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“NON LASCEREMO SOLI GLI IMPRENDITORI” Il ministro Maurizio Martina annuncia 340 milioni per il rilancio del settore agricolo di Andrea Maccarone

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iù di 3 mila imprese e oltre 100 mila animali a rischio. Il settore più colpito dal terremoto è sicuramente quello agricolo. E mentre si aggiornano costantemente i dati relativi al sisma, il ministro alle Politiche Agricole Maurizio Martina annuncia lo stanziamento di 340 milioni di euro

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per il rilancio delle zone colpite. Intanto il bollettino di guerra riguardante il numero dei Comuni marchigiani coinvolti si attesta a 122, di cui 54 nella provincia di Macerata, 26 in quella di Fermo, 28 nell’Ascolano e 14 nella provincia di Ancona. Sono 283 la zone rosse: 151 nel maceratese, 16 nel fermano, 108 nel Piceno e 8 nell’Anconetano. Le persone assistite sono

ad oggi 25.423 in totale: di cui 5.818 in loco (palestre, capannoni, palazzetti); 11.444 in autonoma sistemazione e 8.161 in albergo. Le attività produttive dichiarate inagibili sono a quota 1.000, di cui 917 nel maceratese, 37 nel fermano, 42 nell’ascolano e 4 nell’anconetano. Proprio a far ripartire le attività produttive è concentrato il lavoro della Regione Marche. Infatti è stata


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Il Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina consegnata la prima casetta in legno ad un benzinaio/gommista di Montefortino. La struttura è stata donata da una famiglia di Spoleto al comune di Montefortino e ha un valore di diecimila euro. Infine 63 sono invece i municipi inagibili (36 nella provincia di Macerata, 8 di Fermo, 17 di Ascoli Piceno e 2 di Ancona). Mentre le stalle inagibili sono 212, (112 nella provincia

di Macerata, 8 in quella di Fermo, 35 nel Piceno e 57 nella provincia di Ancona). Le Marche sono una regione con una forte propensione alla produzione agricola. Dunque il danno recato alle imprese di settore ha messo in ginocchio un intero distretto. Così il governo regionale si sta muovendo su vari fronti per cercare anche di dare massima assistenza alle imprese coin-

volte. In che modo? Ad esempio sul sito istituzionale della Regione verrà inserito un elenco di aziende con produzioni certificate e tradizionali per promuovere eventi di solidarietà. Il dirigente del settore Competitività ha emanato un avviso pubblico in cui si invitano le attività interessate ad iscriversi. La richiesta potrà essere presentata direttamente dagli imprenditori

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LE MARCHE DEL SISMA to zootecnia concordato con l’Unione europea. Semplificazione e massima trasparenza amministrativa sono i due cardini di questo lavoro».

o attraverso i Centri di assistenza agricola. Le Marche vantano, oggi, sei Dop (denominazioni origine protetta), sette Igp (indicazioni geografiche protette) e una Sgt (specialità tradizionale garantita), alle quali vanno aggiunte le denominazioni vitivinicole, per un totale di 35 produzioni a indicazione geografica. Inoltre altri 84 prodotti sono certificati con il marchio QM e 151 sono iscritti nell’elenco nazionale. A questi dati si sommano gli oltre 55mila ettari coltivati ad agricoltura biologica (più del 10% della superficie regionale) che coinvolge oltre 2.100 operatori marchigiani. La maggior parte di queste produzioni certificate sono state danneggiate dal sisma, con il caso eclatante del Ciauscolo Igp, per il quale la Regione ha già chiesto al Ministero deroghe sul disciplinare. E proprio dal Ministero alle Politiche Agricole, quali misure e strategie si stanno mettendo in atto per sostenere le aree del centro Italia colpite dal sisma? «Siamo attivi per gestire l’emergenza dal 24 agosto – spiega il ministro Maurizio Martina - e con la scossa del 30 ottobre lo scenario si è complicato moltissimo. Siamo davanti al peggior evento sismico degli ultimi trent’anni. Ora serve innanzi-

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tutto concentrarsi per superare la fase critica. Siamo intervenuti tagliando burocrazia, soprattutto per garantire la continuità produttiva e salvaguardare il lavoro agricolo. Per il rilancio del settore nelle zone colpite abbiamo previsto un 340 milioni di euro». Gli allevatori sono il segmento produttivo più a rischio, quali misure effettive saranno approntate? «Per gli allevatori colpiti abbiamo stanziato subito 11 milioni per la tutela rispetto al mancato reddito. In particolare abbiamo previsto un aiuto di circa 400 euro per ogni capo bovino. Questo per esempio porterebbe circa 8mila euro a un’azienda media da 20 animali e stiamo lavorando su aiuti mirati anche per ovini e suini. Dobbiamo fare in modo che possano proseguire la loro fondamentale attività sul territorio». Il timore degli imprenditori è quello di non riuscire ad accedere in maniera tempestiva ai finanziamenti. Quali saranno le modalità e le tempistiche? «Ci saranno iter semplici per l’erogazione dei fondi a partire da gennaio 2017. Sarà Agea direttamente a erogare le risorse che rientrano nel pacchet-

I territori colpiti dal terremoto vivono di un brand che è legato a doppia mandata ai prodotti della loro terra. Che cosa si deve fare per riportare in alto il brand territoriale e dei prodotti tipici? «Per quei territori l’agroalimentare è più di un’esperienza produttiva. Fa parte della storia, della cultura, dell’identità. Vogliamo guardare oltre l’emergenza, perché la ripartenza sarà possibile quanto più sarà concreto l’impegno di tutti e io credo che innanzi tutto serva far conoscere questi prodotti. Quello che i cittadini, insieme ad associazioni e organizzazioni, possono fare è di acquistare e a loro volte promuovere i prodotti eccellenti di quel territorio». Anche il turismo di queste località è legato alle tipicità dei prodotti agricoli. Un altro dei timori degli imprenditori è il forte calo di turisti per paura del persistere dello sciame sismico. Su questo versante quali sono le misure di assistenza per far sì che queste zone possano proseguire ad essere visitate e quindi a trarne beneficio economico dal flusso turistico? «Non lasceremo soli gli imprenditori. La nostra prima preoccupazione è stata quella di affrontare l’emergenza mettendo al sicuro innanzitutto le persone, così come gli animali. Una volta garantito il sostegno necessario in questa prima fase, lavoreremo in squadra con le Regioni e le istituzioni locali per ridare nuovo slancio alle imprese di queste zone, attraverso finanziamenti, scelte concrete. Dobbiamo ripartire proprio dall’agroalimentare. Ci rialzeremo anche questa volta. Insieme».


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LE MARCHE RIPARTONO DALLA TERRA Il secondo sisma del 30 ottobre ha messo aziende e territori in ginocchio, ma gli agricoltori resistono sui luoghi colpiti. Di Sante (Coldiretti): «Rischiano di cambiare la geografia e l’economia della regione». di Emanuele Garofalo

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ove la terra trema ancora sono rimasti solo loro, gli agricoltori e le proprie famiglie per accudire ciò che resta: le coltivazioni e i pascoli. In tenda o in camper, a sfidare il gelo dell’inverno alle porte, perché non hanno alternative, la sopravvivenza e la prospettiva di un futuro sono qui, negli stessi luoghi e nello stesso territorio distrutto dal terremoto del 30

ottobre. Resistono le piccole imprese agroalimentari, spesso a conduzione familiare, con bambini e anziani a seguito, resistono e combattono la mancanza di tutto, dall’assenza degli abiti a quella del mangime, di fienili e stalle per gli animali, fino alla mancanza di liquidità e reddito, con un occhio sempre aperto per la paura di essere derubati dagli sciacalli. «Rischiamo la desertificazione di intere aree della regione, è in corso il cambiamento ge-

ografico ed economico delle Marche» avverte il presidente di Coldiretti Marche Tommaso Di Sante. Parlano i numeri: circa 800 attività produttive colpite e rese inagibili, di cui oltre 700 nel maceratese, 122 Comuni travolti, oltre 25 mila sfollati e quindi le ripercussioni economiche. Secondo Coldiretti, sono a rischio le 220 mila presenze turistiche annue nelle 180 strutture ricettive e agriturismi diffusi lungo i Sibillini, oltre 60 mila animali, tra ovi-

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LE MARCHE DEL SISMA ni, bovini e suini, stentano nelle zone terremotate e per effetto dello stress causato dall’infinito sciame sismico è calata la produzione del latte del 30%. Di Sante, come stanno reagendo gli imprenditori? Con grande temperamento, piglio e forza di volontà. Visitando i territori colpiti dal sisma abbiamo visto territori spopolati, desertificati, dove resistono solo le nostre imprese. Sono zone di grandi allevamenti bovini e ovini, abbandonare questa terra significa abbandonare ogni prospettiva di futuro. Come Coldiretti, Cia e come Consorzio Agrario Adriatico stiamo cercando di stare vicino a loro sotto tutti punti di vista.

Cosa chiedono e di cosa hanno bisogno gli agricoltori e le imprese? Adesso si sta affrontando ancora la fase emergenziale. Entro novembre sono attesi i moduli abitativi e i moduli stalla, le casette in legno per le famiglie degli agricoltori e le tensostrutture per animali che possono contenere 20 capi bovini ciascuna. Devo dire che la corsa della solidarietà è stata grande, da ogni parte d’Italia sono arrivati camper o la disponibilità delle stalle di altri agricoltori per ospitare gli animali. Come Consorzio Agrario Adriatico abbiamo messo a disposizione 170 quintali di mangimi per le pecore e 240 quintali per i bovini, perché anche l’approvvigionamento è un problema con la viabilità dissestata e i fienili inagibili. Andremo a piantare una tensostruttura di grandi

dimensioni a Pievebovigliana come punto di raccolta degli aiuti e delle materie prime. Un altro problema è la mancanza di reddito e liquidità per le aziende, che in questo momento non riescono a lavorare e vendere i propri prodotti. Nel nuovo decreto del governo siamo riusciti ad aumentare da 1 a 10 milioni di euro gli stanziamenti per gli agricoltori, 400 euro per capo. E nei prossimi mesi cosa sarà necessario fare? Quando la terra finirà di tremare, bisognerà ricostruire con tutti i crismi e i criteri antisismici. Dopo il terremoto del 1997, alcune aziende avevano già reinvestito sul territorio, avevano ricostruito e dobbiamo aiutarli a rifarlo. Perché se i nostri imprenditori abbandonano questi territori sarà un danno per la collettività, sarà la desertificazione di intere aree ricche di storia e cultura, senza il presidio e la coltivazione dell’uomo ci sarà il rischio di crollo idrogeologico dei terreni abbandonati. Dovranno ripartire le comunità, le scuole, far tornare le persone. Come dopo il sisma di agosto ad Amatrice, è scattata la corsa all’acquisto solidale dei prodotti tipici dei territori colpiti. Possono essere gesti utili? Le iniziative di questo tipo possono essere utili, ma vanno organizzate per evitare che diventino una forma di sciacallaggio a danno delle aziende. Non devono essere offerte per chi acquista, ma un aiuto concreto per chi si vede costretto a dare via i propri prodotti, magari perché non possono tenerli nei propri magazzini. Per questo con Campagna Amica stiamo cercando di strutturare la cosa, per creare un circuito di vendita sicuro e utile agli agricoltori colpiti dal sisma.

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LE MARCHE DEL SISMA

Approvato alla camera il decreto terremoto. In arrivo 300 milioni L’Onorevole Emanuele Lodolini: “Una prova di responsabilità da parte del Parlamento”. Ma intanto la produzione è in ginocchio. E lo spopolamento mette a rischio 300 posti lavoro. Onorevole Emanuele Lodolini

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pprovato lo scorso 14 dicembre il Decreto Legge Terremoto che interessa 131 comuni, la stragrande maggioranza dei quali marchigiani. <<La sfida è: Vincere la scommessa della ricostruzione e quella di far tornare a vivere i cittadini nei territori colpiti dal sisma>> afferma l’onorevole Emanuele Lodolini. Il decreto finanzia le micro e piccole imprese, dà sostegno ai lavoratori, sostiene le aziende agricole e lo spostamento temporaneo all’interno delle stesse comunità di piccoli esercizi commerciali quanto di aziende più grandi. Favorisce inoltre l’autorganizzazione dei cittadini e stabilisce l’aumento del personale degli enti locali. La dotazione assegnata nel decreto per il 2016 al fondo della ricostruzione è pari a 266.427.000 euro. A questi vanno aggiunti gli interventi previsti nella legge di Bilancio: 100 milioni per il 2017 e 200 milioni di euro annui dall’anno 2018 all’anno 2047 per la concessione del credito d’imposta

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di Alessandra Monticelli

per l’accesso ai finanziamenti agevolati, di durata venticinquennale, previsti per la ricostruzione privata. <<Sicuramente si è scritta una pagina nella storia di questo Paese – prosegue Lodolini - una pagina nella quale la politica si è messa davvero al servizio dei cittadini e delle imprese ed in cui le Marche hanno avuto un posto di rilievo per uscire da una tragedia come quella del sisma del 24 agosto e del 30 ottobre>>. La sfida che il Parlamento si è posto è ricostruire rapidamente territori ricchi di storia e di cultura quanto deboli a livello sociale e umano mantenendo integro il tessuto umano e civile e restituendo forza e futuro a quello sociale ed economico. L’istituzione degli Uffici speciali per la ricostruzione post sisma sosterranno questo processo. Il decreto stabilisce di ricostruire oltre alle prime case anche le seconde fuori dal cratere se lesionate e affittate come prima casa. E prevede interventi integrati sul territorio, sicurezza, trasparenza e legalità (con l’istituzione di una ‘struttura di missione’ del Viminale, controlli

da parte di Anac e Corte dei Conti e l’istituzione di un elenco speciale dei professionisti abilitati), mediante l’uso delle buone prassi e sulla base di positive precedenti esperienze quali la ricostruzione emiliana e la sorveglianza degli appalti di Expo. A RISCHIO IL LAVORO Ma intanto l’emergenza mette a rischio almeno 300 posti di lavoro. Da una prima stima fatta da Legacoop Marche fra le imprese aderenti, emerge che i settori più colpiti dal secondo terremoto, che interessa l’area dal 26 ottobre, sono quelli del sociale e della produzione lavoro delle cooperative che operano nel maceratese. Lo spopolamento del territorio ha causato l’interruzione dei servizi erogati per conto delle amministrazioni pubbliche, servizi domiciliari, nelle case di riposo e per la pulizia delle scuole. Bloccata anche le attività di una cooperativa agro-forestale che fornisce servizi forestali nel Parco nazionale dei Monti Sibillini.


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TERREMOTO MARCHE: RICOSTRUZIONE, MA ANCHE SVILUPPO di Mario Becchetti Management Academy Sida Group - Area Marketing e Comunicazione

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e Marche e il Centro-Italia sono state ferite in modo devastante dalla sequenza di scosse del terremoto di ottobre scorso, che hanno interessato un’area territoriale di oltre 130 kilometri quadrati. Questo sisma ha seguito quello del 24 agosto scorso di Amatrice, che ha fatto registrare centinaia di morti. L’unica nota positiva del sisma di ottobre è che non ha avuto vittime nonostante si sia caratterizzato per un’intensità elevatissima, che lo pone il 4° posto in una tragica graduatoria dei terremoti nazionali del ‘900, dopo quelli di Messina (1908) della Marsica in Abruzzo (1908) e dell’Irpinia del 1980. Questo aspetto, quasi incredibile considerata l’intensità devastante del sisma di ottobre, è derivato soprattutto dagli effetti positivi sulla qualità del patrimonio edilizio generati dagli interventi di miglioramento sismico realizzati con la ricostruzione di Mar-

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che ed Umbria dopo il sisma del ’97. Ci sono stati crolli, ma la tenuta generale del patrimonio edilizio ha consentito di rendicontare tale tragedia solo in termini di danni fisici e non di vite umane. Questo non è poco. Ma ora bisogna guardare subito avanti. C’è da gestire la difficile fase della prima emergenza, per ridare un tetto stabile, prima dell’inverno pieno, a tutte le migliaia di sfollati. Ma è necessario programmare subito anche la fase di ricostruzione vera e propria. Perché chi ha avuto esperienza in questo campo, purtroppo, sa che la ricostruzione non è una gara di velocità, bensì una maratona da affrontare con lucidità e tenuta. Per questo, anche se si è ancora nella fase dell’emergenza, è possibile delineare alcune “best practices”, in termini di linee di indirizzo auspicabili. Perché la gestione della fase di rinascita dopo il sisma è anche una diffi-

cilissima e lunga esperienza di project management, che va affrontata secondo i principi di tale modello. Innanzitutto, vanno chiariti i suoi obiettivi di fondo, che dovrebbe essere i seguenti: • Gestione dell’emergenza; • Realizzazione della ricostruzione; • Promozione dello sviluppo. Le prime due finalità sono quelle più conosciute. Nei primi mesi dell’emergenza, quelli attuali, l’obiettivo principale è di garantire un alloggio che sia il più sicuro e strutturato possibile alle migliaia di sfollati. Facile a dirsi, molto complesso a farsi in tempi rapidi, senza sradicare le popolazioni dai loro luoghi di origine. Dopo il sisma del 1997 ci si riuscì in tempi record, assicurando la realizzazione di casette e strutture temporanee vicine alle comunità locali colpite dal sisma. L’attività di ricostruzione vera e propria riguarda i beni fisici colpiti e danneggiati: case dei privati; edifici pubblici strategici, come scuole, università e ospedali; chiese e beni cul-

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LE MARCHE DEL SISMA turali; altre infrastrutture pubbliche, come ponti e strade. Di solito per ognuno di queste tipologie di beni viene programmata una specifica linea di finanziamento, con distinte modalità di accesso ai fondi stanziati per la loro ricostruzione. La ricostruzione delle prime case dei cittadini è sicuramente la priorità delle priorità e lo scopo di questo articolo non è di entrare nel merito di tali interventi che ormai, purtroppo, hanno collaudati modelli di riferimento per la loro realizzazione. Si vuole evidenziare, invece, che c’è anche un’ulteriore e delicatissima sfida strategica che riguarda il rilancio delle funzioni vitali dei territori colpiti: oltre alle case, alle scuole e alle chiese c’è da affrontare il problema del lavoro e delle attività economiche, soprattutto per evitare processi di desertificazione e favorire la tenuta complessiva del tessuto economico e sociale delle aree colpite. Si pensi, ad esempio, agli effetti del terremoto sul turismo; sulle università; sulle piccole attività artigianali, commerciali e agricole; sulle aziende di ogni settore costrette ad interrompere per un lungo periodo di tempo la propria attività o a trasferirla. In altri termini, oltre al danno materiale c’è la necessità di non far “morire” le comunità, le imprese e le attività strategiche, soprattutto per evitare fenomeni di spopolamento spesso legati alla perdita delle occasioni di lavoro in loco. Per questa terza e fondamentale finalità serve un vero “piano di rinascita e sviluppo” per rilanciare la crescita futura dei contesti territoriali colpiti dal sisma. Anche l’esperienza del sisma del ’97 può essere un punto di riferimento. Lo stesso progetto viario del Quadrilatero nacque per questa finalità. Il “Quadrilatero” era quello geogra-

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fico delle aree colpite dal terremoto: rilanciare un grande progetto di investimento pubblico in infrastrutture viarie di oltre 2 miliardi di Euro per il raddoppio di SS77 e SS76 è stata una strategia portata avanti per rilanciare le prospettive di sviluppo delle zone terremotate di Marche ed Umbria. Quali interventi realizzare ora? Un piano di rinascita e sviluppo post-terremoto, per la sua dimensione, necessariamente dovrebbe far perno sull’integrazione di molteplici canali di finanziamento: fondi europei, anche con l’intervento della Bei e la rimodulazione dei piani operativi 2014-2020; fondi nazionali, anche con l’azione della Cassa Depositi e Prestiti; risorse regionali. I filoni di intervento di questo piano potrebbero essere i seguenti: • Imprese; • Università e formazione; • Infrastrutture • Sicurezza e miglioramento sismico.

Dal punto di vista delle imprese emergono due principali tipologie di interventi: agevolazioni fiscali e contributive; incentivi diretti alle aziende orientati al loro sviluppo. La prima misura è automatica e utile soprattutto per la sua facilità di applicazione. Si tratta di consolidare per il periodo più lungo possibile la misura di esonero dal pagamento di tasse e contributi le imprese danneggiate dal sisma, ma anche quelle delle aree del cratere individuato come ammissibile ai finanziamenti. Perché il sisma, purtroppo, produce un effetto recessivo su tutta l’area coinvolta. Le agevolazioni fiscali, ovviamente, dovrebbero consolidarsi anche per i cittadini e le famiglie, per sostenere il loro reddito e la domanda locale. Oltre a questi esoneri, sarebbe necessaria una fiscalità di vantaggio, abbinata a semplificazioni amministrative, anche per chi intende realizzare nuovi investimenti economici e


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produttivi nelle aree interessate, sia interni che provenienti dall’esterno, creando delle vere e proprie “aree a fiscalità e burocrazia 0”. Questa misura dovrebbe favorirebbe anche la nascita di nuove imprese e le start-up, soprattutto giovanili. E’ indispensabile anche un sistema articolato e organico di incentivi diretti per le imprese per sostenere gli investimenti, che potrebbero così integrarsi con gli effetti delle agevolazioni fiscali. Queste misure orientate allo sviluppo non dovrebbero far passare in secondo piano misure più ordinarie, ma ugualmente importanti per il ristoro delle imprese, come i contributi per i danni fisici subiti a sedi, macchinari, scorte e i contributi per i trasferimenti di attività resisi necessari in conseguenza del sisma. Oltre al ristoro dei danni subiti, le imprese hanno bisogno anche di un compenso per il cosiddetto “lucro cessante, ossia per la caduta/perdita

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di fatturato derivante dal sisma. E’ una misura già efficacemente sperimentata dopo il sisma del ’97 ed ha aiutato a superare l’effetto “alone” recessivo della crisi sismica a moltissime attività economiche di piccola dimensione, soprattutto artigianali, commerciali, agricole e turistiche. Un altro tema centrale del piano di sviluppo dovrebbe riguardare l’area formativa: nelle Marche c’è un nodo strategico di intervento che riguarda l’Università di Camerino, per cui è necessario sviluppare un progetto strategico di rilancio. Fondamentale è anche il tema del ripristino e dello sviluppo delle infrastrutture viarie, ma anche digitali. Questo settore è molto rilevante considerando la piccola dimensione di moltissimi centri colpiti e la loro localizzazione nelle zone interne dell’entroterra di Marche ed Umbria.

Per ultimo, ma non di importanza, il tema della prevenzione e della formazione. La messa in sicurezza del patrimonio edilizio, anche quello non danneggiato (ad esempio gli edifici pubblici strategici ad alt affluenza di pubblico, come scuole, ospedali e università), e la sua certificazione di rischiosità, potrebbe essere il perno di un piano di investimenti pubblici per il miglioramento antisismico: oltre che importante per la sicurezza, questo piano di sicurezza nazionale potrebbe rappresentare un efficace volano anche di rilancio economico, per i lavori edilizi che potrebbe attivare. In questo ambito diventa indispensabile anche lo sviluppo di coerenti attività formative per la sicurezza e le certificazioni, in collaborazione con gli ordini professionali interessati, a partire da quelli degli ingegneri e degli architetti. In definitiva, l’emergenza e la ricostruzione hanno la priorità su tutto, per garantire risposte veloci ad efficaci alle decine di migliaia di cittadini colpiti dalla tragedia sismica, la messa in sicurezza delle infrastrutture pubbliche e del patrimonio culturale. Ma è anche importante attivare un piano strategico con cui porsi il problema più ampio della tenuta futura del contesto economico e sociale, ossia per favorire prospettive di sviluppo di medio-lungo periodo di comunità così duramente colpite dall’evento sismico. Per potersi muovere efficacemente in questa direzione c’è una precondizione strategica: lavorare insieme tra livelli istituzionali e territori, ossia con grande capacità di collaborazione e coinvolgimento delle comunità locali, per renderle autenticamente protagoniste del loro progetto di rinascita.

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LE MARCHE DEL SISMA

BANCA MACERATA

SEMPRE PIU’ VICINA ALLE POPOLAZIONI COLPITE DAL TERREMOTO Dalla raccolta fondi alla sospensione del pagamento dei mutui per tutti i soggetti che hanno riportato gravi danni, fino all’annullamento degli eventi per il decennale. Il direttore Ferdinando Cavallini: «raccolti quasi 20mila euro per gli sfollati».

di Letizia Ciaccafava

L’

istituto a sostegno del terri¬torio. Banca della Provincia di Macerata tende le mani ai territori toccati dal dram¬ma del terremoto, e mette in campo una serie di iniziative per avvici¬narsi sempre di più alle imprese e alle popolazioni colpite dal sisma. Dalla raccolta fondi alla sospensio¬ne del pagamento dei mutui , fino all’annullamento degli eventi per il decennale. <<Il terremoto che ha colpito la nostra provincia, causando danni a tutta la fascia montana e pedemontana, ha messo in seria crisi un intero si¬stema – ha spiegato il direttore Fer¬dinando Cavallini – ma non dob¬biamo abbassare la guar-

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dia. Il nostro Punto Operativo di Camerino ha subito dei gravi danni, ed è stato dismes¬so. Siamo emotivamente coinvolti negli eventi causati dal sisma, e sia¬mo molto presenti soprattutto sul piano concreto e fattivo. Infatti ci siamo subito attivati per sostenere diverse iniziative di solidarietà atte ad aiutare e sostenere la popolazio¬ne che purtroppo è stata pesante-mente danneggiata>>. Per prima cosa l’Istituto ha deciso di sospendere tutte le attività e gli eventi di marketing previsti fino a fine anno, e più in particolare gli spettacoli del decennale di TacaBanca previsti a Ca¬merino e Recanati, ed il tradizionale concerto Gospel di Natale a

Macerata, anche in segno di rispetto e parteci¬pazione per le persone che si trova¬no in una situazione di emergenza. In questo modo l’utilizzo delle som¬me non più spese ha consentito alla Banca di attuare un’assistenza diretta ad un significativo numero di perso¬ne, che essendosi dovute allontanare dalle proprie residenze, presentano necessità a cui c’è bisogno di rispon¬dere con urgenza. I risparmi relativi all’annullamento delle iniziative sono quindi stati dirottati all’acquisto di beni di prima necessità (soprattutto vestiario) per gli sfollati ospitati nei camping della costa, tramite un’ope¬razione che verrà effettuata per mezzo della Protezione Ci-


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vile. <<Abbiamo comprato 2mila capi di abbigliamen¬to in pile per aiutare gli sfollati a pro¬teggersi dal freddo che ha investito le zone del cratere – spiega Cavallini – tutte le forniture da noi acquistate, inoltre, sono state reperite da impre¬se del territorio che in un certo qual modo sono state toccate dal sisma. In questo modo siamo andati a compra¬re proprio da quegli imprenditori che in questo particolare momento hanno bisogno di clienti. Ci è sembrato un gesto doveroso>>. Inoltre si è appe¬na conclusa la raccolta fondi per so¬stenere le popolazioni terremotate: le donazioni raccolte sono state destinate alla Regione Marche, , al fine di far fronte ai bisogni immediati delle popolazioni colpite dal sisma ed ai successivi interventi mirati sulle città. La Banca della Provincia di Macera¬ta, che inizialmente aveva annuncia¬to

di partecipare con un versamento dell’1% delle somme totali donate, con un minimo di 5mila euro, ha ora innalzato il minimo a 10mila euro, in ottica di concentrare tutte le energie e le risorse a disposizione dell’Istituto a sostegno delle popolazioni terremo¬tate. <<Il conto corrente che abbiamo attivato fin da subito ha raccolto €18.791. – ha aggiunto il direttore – Anche questa iniziativa si inserisce all’interno di un sistema di aiuto e sostegno al no¬stro territorio>>. Infatti già dal primo drammatico terremoto di agosto, l’I¬stituto si è impegnato per mettere in atto interventi a favore di coloro che si sono trovati improvvisamente in con¬dizioni di difficoltà per aver subito il danneggiamento o l’inagibilità anche parziale degli immobili residenziali e delle strutture dedicate al lavoro. Per questo è stata immediatamente atti¬vata una mo-

ratoria sui mutui per le popolazioni colpite . La Banca della Provincia di Macerata ha quindi già da tempo risposto all’invi¬to dell’ABI per la sospensione delle rate dei finanziamenti accesi dai resi¬denti delle aree colpite dal sisma che ha fatto tremare il Centro Italia negli ultimi mesi. Un segno di vicinanza e sostegno ai clienti dell’Istituto in dif¬ficoltà, che la Banca vuole aiutare ed assistere in un momento così compli¬cato per tutto il territorio marchigia¬no. <<Per i prossimi quattro anni il nostro istituto bancario getterà basi ancora più solide – annuncia Cavalli¬ni – avremo un chiaro piano strate¬gico che prevede uno sviluppo impor¬tante della nostra banca. Nonostante la crisi e la sfiducia che ha colpito le persone coinvolte nel dramma del terremoto, il nostro isti¬tuto riesce a dare risposte fattive e in breve tempo>>.

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CNA

Negli anni della crisi, tra il 2009 e il 2015, secondo i dati presentati dalla Cna Marche in occasione dell’assemblea regionale, il numero delle imprese manifatturiere ad alta tecnologia è diminuito del 12,6 per cento mentre il numero delle imprese a basso contenuto tecnologico è diminuito solo dell’8,9 per cento. Il risultato? Un sistema dove il 61 per cento delle 19.600 imprese produce manufatti a basso contenuto tecnologico.

Colpiti dal sisma e frenati da bassa tecnologia e scarsa innovazione. Nelle marche a rischio interi distretti produttivi Sabatini: “servono interventi urgenti a sostegno di imprese e artigiani che hanno visto le aziende danneggiate dal sisma o che hanno visto crollare produzione e fatturato, perché mentre i ricavi sono fermi, le spese corrono e senza interventi pubblici straordinari porteranno alla chiusura di molte attività”. di Sergio Giacchi

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C

olpiti dal sisma e frenati da bassa tecnologia, scarsa innovazione e poca informatizzazione. Nella nostra regione a rischio interi distretti produttivi. Il grido d’allarme arriva dall’assemblea della Cna Marche. A lanciarlo il presidente regionale Cna Gino Sabatini secondo il quale “servono interventi urgenti a sostegno di imprese e artigiani che hanno visto le aziende danneggiate o che hanno visto crollare produzione e fatturato. Se le istituzioni non prevedono aiuti e ammortizzatori sociali subito, tra qualche mese potrebbe essere troppo tardi perché mentre i ricavi sono fermi, le spese corrono e senza interventi pubblici straordinari porteranno alla chiusura di molte attività”. Colpiti dal sisma. Considerando solo il cratere, le aziende danneggiate in modo diretto o indiretto dal terremoto sono più di 10 mila e occupano 40 mila addetti. Seicento quelle inagibili. Agroalimentare, turismo, calzaturiero, servizi di alloggio e ristorazione. Tutto fermo. Un sistema produttivo da salvare e far ripartire. Un appello subito accolto dall’assessora alle Attività produttive della Regione Marche Manuela Bora secondo la quale “si concorderanno con i territori le decisioni da assumere per rilanciare il tessuto produttivo danneggiato e le misure più idonee a favorire la ripresa economica, a partire dalle agevolazioni fiscali e contributive stabilite dai decreti del Governo” Frenati da bassa tecnologia, scarsa innovazione e ritardi nell’informatizzazione. In nove anni, dal 2007 ad oggi il Pil delle Marche è diminuito del 12,5 per cento. Anche se lo scorso anno aveva ricominciato a crescere dello 0,7 per cento arrivando a 39,1

CNA miliardi di euro, di cui il 17 per cento garantito dall’artigianato. Negli anni della crisi, tra il 2009 e il 2015 il numero delle imprese manifatturiere ad alta tecnologia è diminuito del 12,6 per cento mentre il numero delle imprese a basso contenuto tecnologico è diminuito solo dell’8,9 per cento. Il risultato? Un sistema dove il 61 per cento delle 19.600 imprese produce manufatti a basso contenuto tecnologico. Nei servizi, invece, le imprese con un contenuto elevato di conoscenza o di tecnologia, tra il 2009 e il 2015 sono aumentate del 15 per cento ma continuano a rappresentare meno del 30 per cento di tutte le imprese di servizi marchigiane. Insomma, nelle Marche due imprese manifatturiere su tre e tre imprese dei servizi su quattro sono a basso contenuto di innovazione e solo l’11 per cento vende i propri prodotti on line. La fotografia dell’alta tecnologia e dell’innovazione nelle imprese marchigiane è stata presentata dal direttore del Centro Studi Sistema della Cna Marche Giovanni Dini il quale ha ricordato che il tasso di innovazione del sistema produttivo marchigiano, secondo gli ultimi dati Istat, è del 24,5 per cento rispetto ad una media nazionale del 33,5 per cento. Peggio di noi solo Molise, Calabria, Campania e Sardegna. Inoltre nelle imprese marchigiane solo 3,2 addetti ogni mille si occupano di ricerca e sviluppo contro una media nazionale del 4,1 per mille. Bassa anche la spesa delle imprese in ricerca e sviluppo, lo 0,4 per cento del Pil, contro una spesa nazionale dello 0,7 per cento. “Si tratta” ha commentato il segretario Cna Marche Otello Gregorini “di ritardi che vanno colmati se vogliamo essere competitivi e agganciare stabilmente la ripresa. I finanziamenti

di Industria 4.0 e quelli del Por Fesr 2014 –2012 sono opportunità che vanno utilizzate nel migliori dei modi per puntare sulle nuove tecnologie ed aumentare l’innovazione e la ricerca nelle imprese marchigiane. In particolare dei 337,3 milioni di euro di risorse Por Fesr a disposizione delle Marche fino al 2020, ben 114,1 sono destinati alla ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, altri 67,8 alla competitività dei sistemi produttivi e 24,3 per l’agenda digitale. Utilizzare bene queste risorse significa porre le condizioni per la ripresa e lo sviluppo del nostro sistema produttivo”. Risorse per recuperare i ritardi e per rilanciare la competitività delle imprese marchigiane. Ne hanno parlato con Gregorini e l’Assessora Bora, Roberto Gabrielli (Bpa) e Germana Giombini (Uniurb) rappresentanti del mondo del credito e delle Università, in una tavola rotonda coordinata da Ilario Favaretto, direttore scientifico di “Argomenti”, una rivista economica edita dall’Università di Urbino in collaborazione con la Cna Marche, che dedica il numero in uscita a “Industria 4.0” ed alle occasioni di sviluppo che offre per le piccole e medie imprese. “Industria 4.0” ha dichiarato l’assessora Manuela Bora “è la via giusta per sostenere le imprese che intraprendono processi di trasformazione digitale, con l’obiettivo di raggiungere maggiori livelli di produttività, competitività, efficienza e qualità. C’è già un piano nazionale adottato e la Regione Marche - in accordo con tutte le associazioni di categoria - sta redigendo una proposta di legge. L’auspicio è che anche gli artigiani, e tutto il settore manifatturiero, sappiano cogliere le opportunità che la quarta rivoluzione industriale offre.”

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IL FUTURO DELLA COMUNICAZIONE VIAGGIA SU VOIP Daniele Frenquelli, Amministratore Microtel

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d un anno esatto dalla inaugurazione delle nuova sede show room delle Microtel, siamo andati ad incontrare l’amministratore Daniele Frenquelli ed il suo team per farci raccontare gli sviluppi tecnologici messi a punto da Microtel per il miglioramento delle strutture di comunicazione per aziende e professionisti. Da anni l’azienda è il punto di riferimento nelle Marche per gli strumenti di comunicazione evoluti, centralini telefonici digitali. Un anno fa l’inaugurazione della sede nuova con un laboratorio di sviluppo. Cosa è successo da allora? «Dopo il successo dell’inaugurazione ci siamo concentrati sullo sviluppo dei nostri prodotti e servizi – spiega Frenquelli - con particolare attenzione alla tecnologia VoIP». Di cosa si tratta? «Il Voice over IP, è una tecnologia che rende possibile effettuare una conversazione telefonica sfruttando una connessione Internet. Infatti tutto il

traffico voce può viaggiare attraverso le rete con enormi vantaggi in termini di prestazioni ed economia». Molto interessante. Ma quali sono i vantaggi per le aziende ed i professionisti che decidono di adottare il VoIP? «Subito direi un taglio netto ai costi per le chiamate. In seconda battuta direi la possibilità di liberarsi dal giogo dei gestori telefonici. Lo standard VoIP è uno standard evoluto che permette una serie di servizi e personalizzazioni del modo in cui noi comunichiamo. Il tutto è gestito dai nuovi centralini telefonici digitali che combinati al VoIP sono una potente macchina per la gestione del traffico voce e dati. Immaginate di trasformare lo smartphone o il tablet in un vero e proprio ufficio portatile. Pensate alla possibilità di poter gestire molte chimate in entrata contemporaneamente senza creare attese. I vantaggi di poter visualizzare sul proprio pc o mac una scheda completa della persona che sta chiamando. La possibilità di effettuare videochiamate e video conferenze in modo efficiente semplice e gratuito. Quante trasferte echilometri

si potranno risparmiare». Mi sembra che questo sistema ottimizzi molti processi aziendali. Non è così? «Assolutamente vero. L’azienda risparmia sui costi e sulle procedure, guadagna gestendo meglio la comunicazione interna ed esterna. I clienti hanno la percezione di un sistema efficiente e sempre in grado di dare feedback. Noi la chiamiamo “comunicazione competitiva”, abbiamo verificato come le aziende che prendono in seria considerazione la comunicazione e gli strumenti più evoluti ottengono subito un vantaggio competitivo sui concorrenti». E quali saranno le prossime novità? «Non dovrei dirlo, ma siamo in chiusura di una partnership che ci permetterà di portare nelle Marche la vera fibra per internet. Vogliamo essere i promotori per un vero salto nel futuro per le aziende ed i professionsti delle Marche e stiamo investendo su una rete in grado di portare connessioni ad internet ad altissima velocità e stabilità fino 1.000 mega con banda minima garantita».

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INNOVAZIONE

LA SALUTE DEL BUSINESS SI CONTROLLA CON UN “CLIC” di Lucia Fava

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elda Informatica compie 40 anni di attività. E ha promosso lo scorso 2 dicembre, con l’Università Politecnica delle Marche, un seminario formativo alla Facoltà di Economia e Commercio di Ancona, Dipartimento di Management dal titolo, “Evoluzione: dai sistemi gestionali ERP alla Business Intelligence”. Dove esponenti del mondo accademico, esperti e consulenti del mondo aziendale, si sono confrontati per evidenziare le opportunità e le criticità nell’impiegare questi strumenti di nuova generazione nelle Aziende Pubbliche e Private. Sponsor dell’iniziativa è stata Qlik, la rivoluzionaria applicazione self-service alla portata di tutte le aziende, capace con un semplice “clic” di ana-

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lizzare dati e report per prendere le giuste decisioni in ogni momento. Inoltre, Qlik è lo strumento di Business Intelligence che consente di realizzare con facilità ed immediatezza “cruscotti” di controllo per tutto il management. L’attuale situazione di mercato dominata principalmente dalla crisi e dalla concorrenza, ha reso i mercati fluidi e mutevoli alterando la fedeltà dei consumatori ed il loro potere d’acquisto. Di conseguenza le aziende sono costrette a monitorare puntualmente le proprie voci di costo e di guadagno per avere la possibilità di correggere velocemente le strategie e mantenere la competitività sul mercato. Da qui il bisogno di avere a disposizione la conoscenza di tutti i dati aziendali. Quando? Subito.

Fino a poco tempo fa per indagare sui propri dati, le aziende hanno utilizzato strumenti software di Business Intelligence (BI) tradizionali, che legandosi al Software Gestionale (ERP) hanno permesso la visualizzazione dei dati solo attraverso interrogazioni preimpostate, le cosiddette statistiche tradizionali, che il più delle volte sono solo sui dati consolidati. Queste soluzioni non hanno però fornito il vantaggio dell’immediatezza della risposta né tantomeno la possibilità di analisi predittiva (Discovery) su come anticipare e non subire il mercato. Qlik, invece, la soluzione di Business Intelligence che la Selda propone, ha caratteristiche fortemente innovative sia nei tempi d’implementazione che nei costi sostenibili. Da qui il successo mondiale riscontrato non solo fra


INNOVAZIONE

Al centro: Pasquale De Angelis, Direttore Commerciale SELDA

le grandi e medie aziende, ma anche nelle realtà aziendali più piccole. Agli imprenditori si richiede la lungimiranza d’investire in innovazione per poter rimanere più competitivi sul mercato. Infatti, da una recente indagine, le aziende che usano la Business Intelligence sono le più performanti. <<Grazie a Qlik e al nostro staff di analisti senior che conoscono bene i processi organizzativi delle aziende, abbiamo superato i 100 progetti su tutto il territorio nazionale - illustra Pasquale De Angelis, direttore commerciale di Selda Informatica - Qlik rappresenta un vero salto generazionale per la Business Intelligence. E’ come il passaggio dal treno a vapore a quello elettrico. Ecco perché riusciamo a realizzare progetti con un quarto del tempo e la metà del costo, rispetto ai concorrenti e con risultati due volte

più efficaci>>. L’evento si è concluso con un attestato di Confindustria Ascoli Piceno per i primi 40 anni di attività di Selda Informatica, consegnato da Fabrizio Luciani Presidente del Terziario Confindustria Marche e dove Pasquale De Angelis, ha ufficializzato d’istituire con il Dipartimento di Management diretto dal professor Stefano Marasca e dal suo assistente professor Danilo Scarponi un premio annuale per la miglior tesi che riguarderà la Business Intelligence & Analytics. Selda è una società di software e servizi di informatica che, dal 1977, ha consolidato una forte esperienza nell’area del software gestionale per aziende e nell’integrazione di sistemi. L’azienda si avvale della collaborazione di professionisti di alto livello per fornire soluzioni sempre all’a-

vanguardia e in linea con il continuo sviluppo degli strumenti informatici. Dunque, Selda è un vero e proprio laboratorio del software che confeziona soluzioni su misura per ogni realtà aziendale. Un partner per la progettazione e la revisione dei sistemi informativi, o per risolvere le molteplici esigenze organizzative e di controllo delle aziende in crescita. Nell’ ultimo decennio Selda, con la partnership di Qlik, si è specializzata nella progettazione e realizzazione di soluzioni di Business Intelligence con aziende private e della pubblica amministrazione in tutte le maggiori aree aziendali: Logistica, Finance, Vendite, Produzione e Risorse Umane.

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COACHING

QUANTO TEMPO SPENDI RIMANENDO IN ATTESA? di Luigi De Seneen

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l nuovo valore assoluto della nostra società e sicuramente il tempo. Cerchiamo in tutti i modi di preservarne la quantità e la qualità. Ogni imprenditore e manager ha imparato ad apprezzare le tecniche di programmazione, il cosiddetto “ time management”. L’obiettivo è fare più cose, farle con maggiore qualità e soprattutto evitare la sgradevole sensazione di aver sprecato la risorsa tempo in attività non prioritarie. Velocità era il motto degli anni ottanta, performance quello dei novanta. Nel nuovo millennio la parola d’ordine è “qualità del tempo”. Come si innalza la qualità? Uno stratagemma è quello di aumentare sempre di più la sensazione di controllo. Maggiore è la dominanza dei ritmi e dell’utilizzo del tempo e maggiore sarà la qualità percepita. Nelle relazioni interpersonali diventa fondamentale preten-

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dere rispetto per il proprio tempo e soprattutto dimostrare rispetto per il corretto impiego del tempo altrui. Il cliente, il partner, il fornitore si aspettano esattamente questo ogni volta che entrano in contatto con noi, con la nostra azienda o con il nostro studio professionale. Si augurano risposte e feedback veloci, precisi e perfettamente corrispondenti alle attese. Questo lo si ottiene con una corretta cultura aziendale rivolta alla attenzione per il tempo altrui. La formazione alla attenzione consente di trasmettere un’immagine di efficiente focalizzazione agli input esterni. Chi si interfaccia con noi avrà la sensazione che il proprio tempo e le proprie aspettative siano al centro dell’interesse di chi ascolta. Chi incontrava Gianni Agnelli racconta che la procedura era la seguente: si sapeva esattamente che l’incontro sarebbe stato breve, pochi minuti.

La certezza era che L’Avvocato in quel breve momento avrebbe dato la massima attenzione ed un feedback preciso a quanto ascoltato. E così era. Questo è uno degli aspetti caratterizzanti delle persone carismatiche. L’abitudine a valorizzare il tempo degli altri è frutto della installazione di precise procedure orientate a dare sempre certezza dei tempi di risposta, alla possibilità di tracciare i rapporti esterni. Se avete comprato qualcosa da Amazon avrete avuto la possibilità di tracciare il vostro ordine dalla presa in carico alla consegna. Momento per momento sapete dove si trova il vostro ordine e i tempi che seguono. Le procedure fanno si che la nostra struttura sia riconosciuta per uno stile differenziante. “Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero.” Aristotele


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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

LA MOTIVAZIONE: INDIVIDUO, AZIENDA, LAVORO di Angela Maccarone Management Academy Sida Group - Area Risorse Umane

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he cosa significa essere motivati? Come mai le aziende chiedono e pongono come condizione fondamentale la motivazione dell’individuo durante un processo selettivo o di valutazione del proprio personale? La risposta a queste domande parte da un’analisi del modello aziendale che si è sviluppato e concretizzato negli ultimi decenni, il quale ha visto mettere in atto sostanziali trasformazioni da un punto di vista organizzativo e produttivo. In particolare, ciò che fa la differenza, è la modalità in cui l’azienda viene

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strutturata internamente, le decisioni che vengono prese durante la costruzione delle aree interne in termini di strategie ma anche di risorse che le compongono. La ricerca di talenti, di potenziali e di competenze più o meno acquisite, risulta fondamentale nella scelta delle risorse umane da introdurre, ma una delle componenti più importanti che viene richiesta ed indagata in fase di selezione, è la motivazione che caratterizza l’individuo. Il concetto di motivazione legata all’ambiente lavorativo, trae origine da studi psicologici che hanno trovato una definizione comune nella de-

scrizione di un comportamento che si dirige verso un determinato obiettivo, conseguenza di una serie di fattori dinamici che attuano o orientano un’azione rispetto ad una meta specifica. Risulta evidente, quindi, come un comportamento privo di motivazione porti inevitabilmente a fallire. Legando il concetto appena espresso al mondo aziendale, si riesce più facilmente a comprendere l’importanza della presenza di individui fortemente motivati, che abbiano ben chiaro l’obiettivo finale, che lo condividano e che facciano di tutto pur di raggiungerlo, mettendo in campo conoscenze, competenze e continuo desiderio di


FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO accrescerle. Un’azienda composta per lo più da risorse stimolate si muove nella direzione di un aumento della qualità del lavoro, di un miglioramento finanziario, economico e produttivo della stessa. Da quanto si può intendere già fin ora, naturalmente la motivazione è un processo che nasce già all’interno dell’individuo, una caratteristica che lo contraddistingue sia in ambito lavorativo che privato, un modo di affrontare la vita di tutti i giorni indipendentemente dal contesto ambientale in cui si trova. A tal proposito è interessante provare a fare un breve approfondimento su alcuni studi psicologici che hanno tentato di indagare ciò che sta alla base del processo che attiva questa componente. Una ricerca considerata tra le più importanti in questo ambito, è quella portata avanti dallo psicologo Abraham Maslow, il quale nel 1954 teorizza una serie di bisogni il cui soddisfacimento orienta e attiva la motivazione dell’individuo, inserendoli all’interno di un modello piramidale, la Piramide di Maslow. In questo modello lo psicologo individua alla base una serie di bisogni di natura materiale e fisiologica, necessari alla sopravvivenza dell’individuo, il quale, una volta soddisfatti, può continuare a salire la piramide ponendosi obiettivi più alti. Al secondo posto si trova il bisogno di sicurezza, ovvero la necessità di garantirsi un futuro e costruire delle certezze sul lungo periodo. Una volta garantita la sopravvivenza e l’esistenza nel tempo futuro, la motivazione dell’individuo si sposta su bisogni sociali o associativi, che sviluppano il senso di appartenenza ad un gruppo di qualsiasi natura, ovviamente anche lavorativa, in quanto è dimostrato che un gruppo unito verso il raggiungimento di

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un obiettivo condiviso attraverso un metodo riconosciuto ed approvato da tutti i membri, garantisce con percentuali molto più alte l’arrivo al target finale. Direttamente consequenziale è il bisogno di stima, una volta riconosciutosi all’interno del gruppo, l’individuo ha necessità di percepire se stesso e le azioni che intraprende, come parte fondamentale dell’intero processo produttivo, aumentando la propria autostima in relazione all’entità del contributo che riesce a dare e al rispetto che riesce ad ottenere dagli altri membri. L’ultimo gradino della piramide individuata da Maslow è relativo al bisogno di autorealizzazione, ovvero di aumentare costantemente ed in maniera autonoma le proprie potenzialità, di sviluppare la creatività e l’ingegno per potersi rinnovare e collocare al meglio all’interno di cambiamenti e nuovi contesti siano essi di natura personale o lavorativa. Il livello più alto di necessità individuato dallo psicologo risulta estremamente interessante ed attuale in un’ottica aziendale, in quanto, per usare le parole dello studioso, “il desiderio di diventare sempre più quello che si è veramente, di diventare il massimo che uno è in grado di raggiungere” garantisce all’azienda la presenza di una risorsa che, non sentendo mai completamente soddisfatto il bisogno, ha una motivazione costante e crescente rispetto agli obiettivi che le vengono posti. Se secondo Maslow “un bisogno soddisfatto non è più motivatore di comportamenti”, allora diventa di grande interesse anche per il manager assicurarsi del livello di soddisfazione di ogni gradino, per comprendere al meglio come mantenere sempre viva quella motivazione che già l’individuo stesso deve necessariamente

possedere al fine di stimolarla costantemente. Un ultimo spunto che è possibile cogliere dagli studi dello psicologo statunitense, riguarda le richieste che vengono fatte dai vertici aziendali al giorno d’oggi rispetto alla tipologia di risorsa ricercata. Se fino a qualche decennio fa gli individui e le stesse aziende erano più concentrati sulla soddisfazione del bisogno di sicurezza per garantire una serie di risultati economici e produttivi, ad oggi è il bisogno di autorealizzazione che in qualche modo governa il rapporto tra azienda e lavoratore. Da una parte l’individuo orientato al successo, sceglie una posizione lavorativa in un’ottica di soddisfacimento del bisogno di stima, che sia intesa come percezione rispetto a se stessi o di riconoscimenti che vengono da altri, e della crescita personale; dall’altra parte il modello aziendale odierno viene strutturato attraverso figure di responsabili, manager o futuri tali, caratterizzati proprio da una motivazione infinita, in grado di essere stimolata da obiettivi diversi e ricerca di conoscenze e competenze sempre nuove. La figura del talento, oggi tanto presente nelle richieste aziendali, si riferisce proprio alle caratteristiche appena descritte, ad individui che mostrano le potenzialità per una crescita in termini lavorativi dovuta ad uno stato motivazionale che parte in primis da loro stessi, per poi essere sviluppata dall’azienda stessa. In questo senso le motivazioni individuali devono sposarsi con gli obiettivi aziendali, al fine di far convergere il più possibile gli intenti dell’individuo con quelli produttivi e lavorativi, aumentando di giorno in giorno le performance del proprio management e del personale.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

Intelligenza emotiva

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di Andrea Leonelli Management Academy Sida Group - Area Risorse Umane

intelligenza è stata considerata, nella storia, come un unico concetto collegato alle caratteristiche, di un individuo, innate o comunque poco flessibili e migliorabili. Negli anni ’80, gli studiosi in materia hanno evidenziato come l’intelligenza fosse un concetto composto da più fattori. In un primo mometo si iniziò a parlare di un’intelligenza generale e di un’intelligenza specifica. In seguito, l’analisi dei fattori dell’intelligenza portò a sottolineare come esistano capacità mentali differenti ed indipendenti l’una dall’altra, ad esempio: comprensione verbale, fluidità verbale, capacità numerica, visualizzazione spaziale, memoria, ragionamento e velocità percettiva. Questi studi e i modelli sull’intelligenza si sono evoluti fino ad arrivare a considerare nuovi fattori e nuove tipologie d’intelligenza, come ad esempio l’intelligenza personale, maturata dalla diversificazione tipologica di Gardner, che va a prendere, finalmente, in considerazione l’individuo nella relazione con l’altro. Oggi sappiamo che l’intelligenza è legata anche alle competenze sociali e relazionali che possono essere sviluppate accrescendo la cosiddetta intelligenza emotiva. È negli anni 90 che, con gli studi di Goleman, si afferma il concetto di Intelligenza emotiva che egli stesso definisce come: “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazio-

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ni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare…” Approfondendo successivamente il costrutto venne poi specificato che l’intelligenza emotiva è il potenziale di un individuo nell’apprendere le capacità pratiche che sono basate sulla consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia e abilità nelle relazioni interpersonali. Le capacità pratiche apprese, sulla base del potenziale intellettivo, sono le competenze, chiamate appunto competenze emotive, che favoriscono un determinato livello di prestazione. Le competenze emotive si strutturano in due tipologie: personali e sociali Le competenze personali determinano il modo in cui controlliamo noi stessi e sono: • la consapevolezza di sé: intesa come la capacità di una persona nel riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta. Lo sviluppo di questa competenza comporta la conoscenza dei propri stati interiori; • la padronanza di sé: intesa come la capacità di controllare i sentimenti in modo appropriato e si fonda sull’autoconsapevolezza. Lo sviluppo di questa competenza comporta la capacità di controllare i propri stati interiori; • la motivazione: intesa come la capacità di dominare le emozioni al fine di raggiungere un obiettivo. Lo sviluppo di questa competenza comporta

che le tendenze emotive guidino o facilitano il raggiungimento di obiettivi. Le competenze sociali determinano il modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri e sono: • L’empatia: intesa come la capacità di cogliere i sottili segnali sociali che indicano bisogni o desideri altrui. Lo sviluppo di questa competenza comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui. • Le abilità sociali: intesa come l’abilità nelle relazioni interpersonali. Lo sviluppo di questa competenza comporta abilità nell’indurre risposte desiderabili negli altri. Essere emotivamente intelligenti significa, quindi, apprendere e sviluppare queste competenze ed imparare a riconoscere e gestire le proprie emotività in funzione di comportamenti vantaggiosi per sé stessi e per gli altri. Contrariamente al Quoziente intellettivo (QI), che si dimostra stabile e poco modificabile, l’intelligenza emotiva è soggetta a continuo sviluppo se stimolate le giuste competenze, in modo opportuno. In ambito lavorativo è fondamentale considerare l’importanza dello sviluppo dell’intelligenza emotiva poiché tutte le figure professionali sono coinvolte nella gestione emotiva e quindi delle competenze emotive che hanno valori propri, per ogni comportamento lavorativo, al fine di favorire una performance adeguata e competitiva.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

LE NUOVE CONFIGURAZIONI DEL LAVORO di Paola Cicchelli Management Academy Sida Group - Area Orientamento/Placement

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ggi più che mai si parla spesso di lavoro flessibile, ma cosa si intende esattamente? Per lavoro flessibile si intende una prestazione lavorativa per la quale il lavoratore non è legato costantemente al proprio posto di lavoro. La fissità del posto di lavoro viene ormai superata dall’esigenza di dinamismo dello stesso in quanto la forza lavoro sta cambiando e di conseguenza si modificano le esigenze del lavoro. Già da diversi anni si è sviluppata una presenza consistente di lavoratori che hanno un rapporto di lavoro differente da quello tradizionale caratterizzata da dipendenti a tempo pieno e indeterminato occupati spesso presso un unico datore di lavoro per tutto il periodo di attività fino al

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pensionamento. Oggi infatti si sono moltiplicate le forme di lavoro dette atipiche che prevedono logiche di flessibilità e autonomia. Tra le nuove tipologie di lavoro flessibile è possibile citare lo smart working, il coworking ed il telelavoro: • Flessibilità intesa come strumento per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nonché incrementare la produttività. Questo è l’obiettivo dello smart working, ovvero il lavoro agile su cui il Governo ha presentato un disegno di legge collegato alla Legge di Stabilità 2016. Lo smart worker è un lavoratore dipendente che esegue le sue prestazioni al di fuori dai locali aziendali, anche per un solo giorno a settimana, utilizzando strumenti tecnologici per lavorare in remoto (pc, smartphone, tablet) senza po-

stazione fissa in ufficio. • Per coworking invece si intende spazi di lavoro condivisi fra professionisti e aziende. Il coworking si basa sulla condivisione di un ambiente di lavoro, che non è l’azienda per cui si lavora, mantenendo un’attività indipendente. La differenza sta proprio nel fatto che coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione ma professionisti non collegati tra loro. In diverse città italiane si possono trovare delle strutture adibite al coworking che mettono a disposizione delle postazioni di lavoro di cui ogni lavoratore può beneficiare. • Il telelavoro può essere inteso come un modo di lavorare indipendente dalla localizzazione geografica dell’ufficio o dell’azienda, facilitato

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO dall’uso di strumenti informatici e telematici e caratterizzato da una flessibilità sia nell’organizzazione, sia nelle modalità di svolgimento. Il telelavoro permette di liberare il lavoro dai vincoli spaziali e temporali, e, di conseguenza, le persone possono scegliere dove, quando e come lavorare. Focalizzare l’attenzione su un modello di lavoro agile, o smart working, comporta notevoli vantaggi, sia per l’imprenditore che per la forza lavoro, sia in termini di produttività e competitività che di occupazione. Infatti a beneficiare del lavoro flessibile non sono solo i lavoratori ma anche i datori di lavoro e l’ambiente. I vantaggi per i datori di lavoro sono riconducibili ad una gestione più snella dell’ufficio evitando il sovraffollamento risparmiando anche sull’acquisto e/o locazione dello stabile; la possibilità di inserire nel proprio organico persone diversamente abili o svantaggiate ed accedere ai benefici fiscali; ridurre il turn-over, avere una migliore job satisfaction e produttività nonché abbattimento del tasso di assenteismo; ridurre i problemi di convivenza e conflittualità tra i lavoratori, grazie a interazioni a distanza e ridotte ai minimi termini, inoltre questo distacco lavorativo è bilanciato da un maggiore tempo libero e minori vincoli che permettono di crearsi altre attività ricreative e sociali. Anche l’ambiente ricava dei vantaggi dal lavoro flessibile in quanto metterebbe fine al pendolarismo producendo un risparmio dei tempi e dei costi di trasporto quotidiani per il tragitto casa-lavoro, riducendo così anche il traffico su strada e su ferrovia e di conseguenza l’inquinamento. Importanti sono, infine, i vantaggi sia

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economici che sociali per i lavoratori. A livelli economico possono risparmiare sui costi di trasporto e dell’affitto. A livello personale e sociale hanno la possibilità di conciliare i tempi di vita e di lavoro riuscendo a recuperare i “tempi morti” di viaggio e attesa, trasformati in tempi di riposo o di lavoro. Il tutto porta ad una maggiore produttività, soddisfazione, motivazione, creatività e motivazione dovuta ad una maggiore autonomia, minore stress professionale e turn-over del personale. Da studi eseguiti, su tale nuova modalità lavorativa, emerge che chi lavora fuori dall’azienda aumenta la propria produttività del 30-40% e riduce il fenomeno dell’assenteismo (malattie “facili o strategiche”) di oltre il 60%. Ma il concreto beneficio è legato al concreto abbattimento dei costi dovuti agli spostamenti casa-ufficio sia usando mezzi propri sia usando trasporti pubblici. A beneficiare di

queste tipologie lavorative sarebbero anche e soprattutto le stesse aziende che vedrebbero ridursi considerevolmente i costi legati direttamente alla logistica complessiva. In una considerazione più ampia, il lavoro flessibile può favorire anche l’occupazione femminile permettendo il rientro dalla maternità e il bilanciamento degli impegni tra attività lavorativa e la gestione dei figli, inoltre modelli di lavoro basati sulla flessibilità degli orari e dei luoghi possono anche facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e contrastare in parte il fenomeno della disoccupazione giovanile.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

DIGITALE E NUOVE PROFESSIONI di Laura Osmani Mind X Up

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n adolescente degli anni ’80 i esprimendo i desiderata per il suo futuro probabilmente esordiva: “Da grande vorrei diventare un ingegnere, un medico, un architetto, vorrei fare l’avvocato, il magistra-

to o il professore”. Ed oggi? E quali saranno i desiderata dei giovani tra dieci, venti anni? In un mercato del lavoro e delle professioni in rapido mutamento, radicalizzato all’interno di organizzazioni aziendali sempre meno verticali e sempre più trasversali in termini di competenze e inter-

connessioni tra funzioni, non più analogiche, ma digitali, ecco che sempre più si viene in contatto con ruoli e job description legate al mondo del NUMERO.0, 2.0, 3.0, 4.0 a più infinito, in questa nuova rivoluzione digitale. Ecco allora che figure quali: il web digital stategist, il SEO/SEM specialist,

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO il Social Media Manager, il content manager, il big data analyst/intelligence, il reputation manager, il web project manager e il web designer, il privacy guadians, solo per citarne alcune, divengono le protagoniste di una nuova rivoluzione digitale, che genera intorno a sé un indotto economico in termini non solo di offerte di lavoro dedicate, ma di ampiezza del portafoglio prodotti delle società di formazione. Una rivoluzione che richiede aggiornamento continuo interno alle società di recruitment, richiama investimenti in innovazione ed information technology al nostro tessuto di piccole e medie imprese e le pone davanti ad una scelta di cambiamento che non può più essere definita solo culturale, ma di approccio ad un mercato in evoluzione, che sempre più parla via #Hashtag, via post, via internet, e segue le trame delle rete e di network e online social network. Tale scelta impone un passaggio che non è solo generazionale, è un passaggio essenziale che fa da ponte tra il presente e il futuro e garantisce continuità in termini di conoscenza, di memoria storica e di competenza e nuove prospettive di sviluppo che poggino su basi solide, nel rispetto di quanto espresso anche da Winston Churchill “Di questo sono certo. Se apriamo una lite tra il presente e il passato, rischiamo di perdere il futuro”. A scala nazionale lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) nel settembre scorso ha pubblicato un executive summary dedicato alla presentazione del Piano Nazionale Industria 4.0, in cui presenta un excursus che va “dalla prima rivoluzione industriale di fine 18° secolo con l’utilizzo di macchine ad energia meccanica, passando per la seconda di inizio 20° secolo legata alla produzione di massa e alla catena

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di montaggio, arrivando alla terza dei primi anni ’70 connessa all’utilizzo di elettronica e IT per i sistemi di automatizzazione della produzione, fino a giungere alla quarta, quella delle connessioni tra sistemi fisici e digitali, analisi complesse, big data e real-time, di tecnologie abilitanti quali l’Advanced Manufacturing Solutions, Additive Manufacturing, Augmented Reality, Simulation, Horizontal Vertical Integration, Industrial Internet, Cloud, Cyber Sicurity, Big Data Analytics. (Fonte: http://www. sviluppoeconomico.gov.it/images/ stories/documenti/Piano_Industria_40.pdf) Horizon 2020, programma quadro UE, per la ricerca e l’innovazione si prefigge l’obiettivo di “trasferire grandi idee dal laboratorio al mercato” con la disponibilità nel periodo di finanziamento 2014-2020 di circa 80 miliardi di euro. Il focus parafrasando è “la ricerca scientifica d’eccellenza finanziata dal Consiglio Europeo per la Ricerca (CER), nonché la formazione e sviluppo di nuove competenze attraverso l’erogazione di borse legate alla Marie Curie Action, investimenti in tecnologie emergenti. Uno sguardo non solo rivolto al pianeta ricerca, ma anche alle piccole medie imprese definite fonte cruciale di occupazione e innovazione. Eccellenza finalizzata alla promozione della partecipazione e della generazione di sinergie”. (Fonte:https://ec.europa.eu/programmes/horizon2020/sites/ horizon2020/files/H2020_IT_KI0213413ITN.pdf) Non è però solo questione di innovazione e tecnologia, ci si adatta ai cambiamenti del mercato perché si va incontro anche ad un modello di comportamento d’acquisto oramai diverso che in alcuni settori (i.e. turismo, beni di largo consumo) è sicuramente

maggiormente sentito. La ricerca delle informazioni su prodotti e servizi viene effettuata online ed è sempre online che può avvenire la fase conclusiva dell’acquisto e relativa transazione, oppure verificarsi un acquisto differito offline sui canali al dettaglio o tramite intermediazione. Ma i vari touch points di contatto di qualsiasi natura essi siano, dai tradizionali incontri personali, scritti, telefonici, ai moderni sistemi di chat, social sempre più vanno presidiati e monitorati in fase di presales informativa, in cui l’utente si trova davanti al mercato e alle offerte da selezionare, in fase sales in cui fattivamente effettua un acquisto, after sales di supporto costante e continuo post acquisto e di monitoraggio del suo livello di soddisfazione in merito a prodotti e/o servizi acquistati e ancillary di cui ha beneficiato. La finalità è quella di generare conoscenza del mercato e nuove opportunità di business che è il canale digital a veicolare e generare ed è un mondo che va ascoltato, compreso, capito, che ha bisogno di conoscenze e nuove competenze legate a nuove figure professionali e job description tipiche dell’industria 4.0. Da qui la necessità di presidiare con figure specializzate e orientate alla gestione multicanale del processo di contatto e vendita con il cliente o con il dealer sono anche i 5 momenti della verità, STIMULUS (the stimulus moment or Trigger MOT), ZMOT (The Zero Moment of Truth or Search MOT), FMOT (The First Momento of Truth or Shelf MOT), SMOT (The Second Moment of Truth or Experience MOT), UMOT (The Ultimate Moment of Truth or Sharing MOT). (Fonte: http://www.emeraldcg.com/blog2/ retail-moments-of-truth-defined-stimulus-zmot-fmot-smot-umot).


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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

La formazione e l’orientamento nel progetto professionale di Martina Brunetti Management Academy Sida Group - Area Orientamento e Formazione

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a percezione che i giovani hanno di loro stessi sta cambiando e sta cambiando anche la percezione che hanno rispetto alle attese e ai desideri del futuro, sia per quanto riguarda la sfera affettiva sia per quanto riguarda i progetti professionali. I loro percorsi di ricerca si snodano, anche contraddittoriamente, attraverso immagini rinnovate dell’essere donne e uomini, ma anche attraverso legami profondi con stereotipi e ruoli che appartengono al passato. Sapersi orientare coincide con il possesso e la padronanza di una strumentazione cognitiva ed emotivo-relazionale che consenta di affrontare, in forma esperta, tutti i fattori che connotano, significativamente, l’attuale società del cambiamento. Lo scopo è quello di favorire un riadattamento dinamico alle trasformazioni che si estenda, persino, alla capacità di prevederle in modo da poterle direzionare e gestire in forma autonoma e competente. In una logica di sistema, l’orientamento che si attua a livello di scuola secondaria e quello universitario si integrano in un complessivo orientamento allo studio, propedeutico ad indirizzare verso scelte lavorative e professionali. Le azioni di orientamento sono un elemento costitutivo e imprescindibile dell’offerta formativa. Orientare,

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dunque, include non solo i contenuti disciplinari, ma anche le relazioni, i processi, i significati, attraverso i quali il diritto all’apprendimento divenga anche il diritto alla buona qualità della vita. Secondo gli studi di Rogers, dedicati al processo educativo, è importante rilevare il ruolo e il valore della comunicazione per incoraggiare o consolidare un processo di maturazione e trasformazione degli allievi, che prenda in considerazione la comprensione delle potenzialità dei medesimi in un’esortazione verso obiettivi-meta. Conoscere i processi di comunicazione è utile all’insegnante, il quale è bene che tenga presente che a scuola tutti portano i propri bisogni e attese, e l’ideale sarebbe che l’attività scolastica smussasse gli aspetti negativi del rapporto interpersonale, valorizzando nel frattempo quelli positivi. In base alla definizione di Leonardo Evangelista, “fare orientamento significa aiutare le persone a costruire percorsi pienamente soddisfacenti in ambito formativo e professionale, durante tutto l’arco della vita. Naturalmente, pienamente soddisfacenti per l’utente, qualunque siano i suoi desideri. In che modo è possibile costruire percorsi formativi e professionali soddisfacenti? Ecco alcuni suggerimenti: • Attivare corsi scolastici e di formazione.

• Svolgere attività di tutoraggio (cioè dare assistenza) a chi è impegnato in percorsi formativi. • Promuovere tirocini. • Promuovere l’incontro fra domanda e offerta di lavoro attraverso apposite banche dati. • Comunicare informazioni sulle alternative scolastiche e professionali. • Fare informazione su vari ambiti di vita: salute, sessualità, affettività, invecchiamento, lutto, spiritualità ecc. Queste situazioni possono infatti impedire il perseguimento di obiettivi professionali soddisfacenti. • Fare consulenza su scelte formative e professionali. • Fare consulenza su scelte e problemi di vita (di nuovo, l’ipotesi è che le difficoltà in diversi ambiti della vita possano impedire il perseguimento di obiettivi professionali soddisfacenti). • Promuovere la maturazione personale e l’autonoma capacità di scelta attraverso attività di vario tipo, quali psicoterapia/counseling, meditazione, assistenza religiosa, insegnamento di materie scolastiche, formazione ecc. • Promuovere l’autonoma capacità di scelta attraverso attività focalizzate sulle scelte formative e professionali, come ad esempio l’analisi di casi (formativi e professionali)”.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

NUOVE FORMULE DI COMPENSO PER L’ATTIVITÀ SUL LAVORO di Riccardo Cruccolini Management Academy Sida group - Area Risorse Umane

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l contratto di lavoro subordinato si caratterizza per un determinato“contenuto assicurativo” in base al quale il lavoratore acquista maggiore sicurezza, poiché trasferisce al-

cuni rischi sul datore di lavoro, che in cambio paga a quest’ultimo un “premio assicurativo” che si traduce in un più basso livello di reddito. Sostanzialmente si caratterizza per una data ripartizione dei rischi fra le

parti, in virtù della quale una serie di impedimenti personali del lavoratore (quali malattia, infortunio, ecc.) e alcune sopravvenienze negative dell’impresa vengono poste nella sfera di rischio del datore e sottratte

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO a quella del prestatore di lavoro garantendogli, entro certi limiti, la continuità e la stabilità dell’occupazione e del reddito. Obiettivo comune e sempre più sentito da parte dei datori di lavoro e da parte dei lavoratori è quella di ripartire diversamente questo rischio rendendo aleatoria una parte più cospicua della retribuzione per i primi a fronte di una maggiore possibilità di guadagno per i secondi. A conferma di ciò, negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo svilimento del sistema centralizzato della contrattazione collettiva in quanto non è più in grado di produrre benefici né per le imprese né per i lavoratori essendo il campo di applicazione limitato al territorio nazionale mentre le aziende si trovano a competere in un mercato sempre più globale. In tal senso, lo strumento principe per poter permettere una diversa allocazione di questo contenuto assicurativo è sicuramente la contrattazione di secondo livello in quanto, a prescindere dall’applicazione o meno del contratto nazionale al rapporto di lavoro, la possibilità di utilizzare il contratto individuale per derogare in peius rischia di andare a contrastare con quanto stabilito dall’art.36 della Costituzione con la conseguenza di essere sconfessati dalla giurisprudenza. Infatti se si applica il contratto nazionale lo spazio per realizzare una diversa ripartizione del rischio si trova all’interno del contratto collettivo aziendale che può derogare in peius al contratto collettivo rendendo aleatoria l’erogazione di una parte di retribuzione che il contratto nazionale garantiva in forma fissa.

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Questa soluzione pare praticabile perché la giurisprudenza maggioritaria afferma che il contratto collettivo di secondo livello è legittimato a modificare anche in senso peggiorativo il contratto nazionale. In tal modo si realizza una ripartizione del rischio diversa da quella contemplata dal contratto nazionale, poiché una parte del trattamento economico che quest’ultimo prevedeva in forma fissa viene resa aleatoria in cambio di maggiori chances di guadagno per il lavoratore. Appare pertanto evidente che la contrattazione di secondo livello, sia essa aziendale o territoriale, rappresenta uno strumento strategico per rimodulare le formule remunerative del lavoro e per rendere maggiormente stimolante e appagante l’attività subordinata. Nonostante ciò ad oggi la sua diffusione si è concentrata nel settore industriale di grandi aziende ubicate prevalentemente del centro nord mentre ha avuto una minore diffusione tra le aziende del terziario e quelle di piccola e media dimensione. Ancorché una serie di accordi interconfederali (in ultimo quello del 10 gennaio 2014) abbiano inteso dettare una specifica disciplina delle ipotesi in cui il contratto aziendale può derogare quello nazionale, cercando di ripartire le competenze tra i diversi livelli della contrattazione collettiva, quella di secondo livello continua a ricevere una significativa spinta alla sua diffusione anche attraverso numerosi interventi legislativi relativi a sgravi contributivi ed alla tassazione agevolata delle somme erogate. In particolare, l’indirizzo già delineato dalla legge di stabilità 2016, che

ha previsto l’introduzione di una tassazione agevolata con cedolare secca del 10% entro una soglia di 2.000 euro, elevato a 2.500 euro per le aziende che coinvolgono i lavoratori nell’organizzazione del lavoro in maniera paritetica, sembra possa essere rafforzato dalla legge di stabilità 2017. Le nuove regole confermano infatti un incremento delle soglie tassate con cedolare che dovrebbero salire da i 2mila ai 3mila euro ed arrivare a 4mila in caso di coinvolgimento paritetico dei lavoratori oltre ad allargare sensibilmente la platea dei soggetti beneficiari in quanto il limite reddituale si dovrebbe alzare dagli attuali 50mila euro a 80mila euro annui, estendendo il beneficio anche ai quadri ed una parte della dirigenza non apicale. Il tutto mantenendo lo stretto legame tra premio di risultato e la contrattazione di secondo livello legate ad incrementi misurabili di produttività, redditività, qualità efficienza ed innovazione e, anche la possibilità di convertire il premio agevolato in benefit ricompresi nel welfare aziendale rimanendo così completamente detassati (evitano cosi pure l’imposta sostitutiva del 10%). Inoltre qualora il premio previsto dalla contrattazione di secondo livello sia sostituito, per scelta del lavoratore, con spese sanitarie o con misure di previdenza complementare queste somme non intaccheranno la deducibilità prevista di 5.164,57 euro annui per i versamenti alla forma pensionistica complementare né la soglia di 3.615,20 euro annui per i contributi legati all’assistenza sanitaria integrativa.

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NUOVE FIGURE PROFESSIONALI NEL SETTORE ICT E DIGITALE di Simona Caporaletti Management Academy Sida Group Area ICT Digitale

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ell’epoca dell’Internet delle Cose, della casa domotica e dei dispositivi iperconnessi, a cambiare è la percezione che abbiamo della tecnologia e quella delle nostre stesse esistenze. Si trasforma la cultura corrente, in una evoluzione verso un digitale totale e omnicomprensivo che abbraccia da un lato le abitudini ed esperienze di ognuno, e coinvolge dall’altro una ridefinizione profonda dei modelli di business. Con la creazione di nuovi servizi interattivi e intelligenti e lo sviluppo di nuove filiere ed ecosistemi dell’innovazione muta infatti la richiesta di competenze e professionalità in seno a imprese e pubbliche amministrazioni, tutte rivolte come sono a un salto culturale di portata globale, quello basato sul concetto di informazione in senso

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ampio. ICT, acronimo di Information Communication Technology, è la scienza che studia in modo integrato i sistemi di elaborazione, trasformazione e trasmissione dell’informazione. Comprende l’insieme delle nuove tecnologie che consente di trattare e scambiare informazioni ed è costituita da aree diverse e complementari: informatica, elettronica e telecomunicazioni, tutte alla base dell’evoluzione digitale del nostro tempo. Evoluzione che comporta una vera e propria rivoluzione nel mercato del lavoro, con il fiorire e il consolidarsi di nuove figure professionali e il fabbisogno di competenze digitali specialistiche nel settore dell’ICT. Una galassia, questa che vede le aziende del sistema ICT investire fortemente negli ambiti di: • Cloud Computing (tecnologie che permettono di elaborare, archiviare

e memorizzare dati grazie all’uso di risorse hardware e software distribuite su Internet) • Digitalizzazione di processi e flussi informativi • Applicazioni Mobile • Soluzioni per il Business Analytics a cui si aggiungono le professionalità dedicate all’elaborazione e alla gestione dei dati - Big Data, termine usato per descrivere una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore - e quelle del pianeta e-commerce, legato a doppio filo alle modalità di pagamento tramite dispositivi mobili. Il potenziamento di specifiche expertise Stando a ricerche recenti sulle competenze professionali del digitale e

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO dell’ICT, le aziende punterebbero a potenziare, nel prossimo futuro, specifiche expertise all’interno delle macro-aree definite dallo European e-Competence Framework (e-CF), progettato e sviluppato per essere utilizzato e condiviso da aziende dell’ICT, da manager e dipartimenti delle risorse umane, pubblica amministrazione, enti di formazione e altre organizzazioni del settore pubblico e privato. Le figure professionali emergenti richieste dal settore del digitale e dell’ICT sono di seguito identificate, all’interno di tali macro-aree. • Area Plan (pianificare): è l’area che individua competenze rivolte all’allineamento tra la strategia di business aziendale e l’ICT, con la definizione dei livelli di servizio e di ideazione del business plan. Le figure professionali più richieste sono quelle associate alla pianificazione di prodotti, servizi, applicazioni, con particolare attenzione agli impatti delle soluzioni ICT in termini di eco-responsabilità ed innovazione eco-sostenibile. • Area Build (realizzare): è l’ambito che identifica le competenze relative alle attività di sviluppo di nuove applicazioni oltre che di testing ed integrazione di nuove componenti - hardware o software, ad esempio - in sistemi esistenti. I profili ricercati in questo comparto sono specializzati nell’ingegnerizzazione dei sistemi, nell’implementazione di soluzioni operative e nella produzione della documentazione di supporto. • Area Run (operare): è invece il settore rivolto all’individuazione delle abilità relative alle attività di eserci-

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zio, in particolare per l’erogazione dei servizi in conformità a obiettivi e livelli stabiliti e per il delicato ruolo di supporto e assistenza agli utenti, fino alla gestione e alla risoluzione delle criticità. Le competenze specifiche richieste sono quelle di problem solving e grande conoscenza del target di riferimento. • Area Enable (abilitare): include competenze trasversali ai processi ICT; tra le expertise necessarie ricercate dalle aziende del settore, quelle relative, ad esempio, allo sviluppo di strategie per la sicurezza informatica e per la gestione della qualità ICT, oltre che all’implementazione di politiche di formazione del personale e di definizione di procedure per la gestione degli approvvigionamenti. Non ultime, le competenze rivolte alla gestione dei contratti, alle strategie di vendita e alla gestione dei canali di vendita. Tra le nuove abilità necessarie spiccano quelle del Marketing digitale: in primis la conoscenza delle tecnologie a supporto delle attività di marketing nei canali digitali (social media, mobile, email…) e gli skill necessari alla misurazione dei risultati di tali attività. • Area Manager (gestire): concerne infine le competenze di gestione sia di tipo business (governance dei sistemi formativi, gestione delle relazioni con clienti e fornitori…) che di tipo tecnico (gestione dei progetti, dell’ICT quality e della sicurezza informatica). I profili più diffusi e i più carenti Il profilo professionale più diffuso tra le aziende operanti nel settore ICT è quello del Project manager, presente, secondo analisi recenti, in quattro

aziende su cinque, e quello dell’ICT Consultant, accanto a figure commerciali come l’Account manager. Molto frequente nelle grandi aziende anche la figura del Systems Administrator. Project manager e Account manager, sempre presenti nelle realtà di maggiori dimensioni, non sempre si ritrovano in quelle medio-piccole e meno strutturate. I profili più carenti nelle società del settore, sia in quelle medio-grandi che, ancor più, in quelle più piccole, sono il Digital Media Specialist, figura in grado di progettare applicazioni e user experience per i canali digitali, e il Business Information Manager, chiamato a gestire l’evoluzione tecnica e funzionale del sistema informativo in relazione al business di riferimento. Entrambi i profili sono ad oggi presenti in meno del 50% per cento delle aziende del comparto ICT. Aspetti critici nel reperimento delle professionalità e prospettive future Non mancano, allo stato attuale, evidenti criticità nel reperimento sul mercato dei profili necessari allo svolgimento delle mansioni emergenti, così come evidenti difficoltà nel formare e aggiornare risorse già presenti in azienda. Gli ambiti più carenti sono quelli che afferiscono all’area più imprenditoriale della gestione e a quella della pianificazione, soprattutto nelle società di dimensioni minori, con fatturato inferiore ai 50 milioni di euro. Nello sviluppo di nuove competenze digitali il sistema formativo sarà chiamato a giocare un ruolo sempre più rilevante nei confronti delle aziende al fine di colmare il cosiddetto mismatch fra offerta e domanda di professionalità, e soddisfare le esigenze legate a profili necessari in un mercato che viaggia spedito verso la digitalizzazione globale.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

La vendita online: il suo futuro e le nuove professioni richieste da questa realtà di Simona Caporaletti Management Academy Sida Group - Area ICT Digitale

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ala a vista d’occhio la vecchia diffidenza verso l’e-commerce, o commercio via Internet, che si tratti di beni o servizi online. Resta ancora, è vero, una esigua dose di sfiducia rispetto a questo canale di vendita, legata soprattutto al tema della sicurezza dei sistemi di pagamento sul web ma, stando a ricerche recenti riportate da Il Sole 24 Ore, si tratterebbe davvero di tempi d’oro per gli acquisti online in Italia, protagonisti di un trend con tassi di crescita a doppia cifra. Pare che il valore complessivo dello shopping in rete toccherà quota 19,3 miliardi di euro entro la fine dell’anno 2016, oltre 2,7 miliardi di euro in più rispetto al 2015, con un trend di crescita del +17% determinato, in particolare, dai comparti dell’abbigliamento, dell’informatica, dell’elettronica, dell’editoria e del turismo. Si parla di un giro d’affari dai numeri che fanno riflettere: un totale di 115 milioni di ordini per l’acquisto di prodotti nel 2016 con uno scontrino medio di 75 euro, e 45 milioni di ordini nel settore dei servizi, con una “battuta” media pari a 253 euro (dati presentati dall’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm Politecnico di Milano).

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L’esempio Alibaba Un operatore della vendita in rete del calibro di Alibaba - gigante della vendita online a livello mondiale fresca di inaugurazione del quartier generale Sudeuropeo a Milano, e con un fatturato pari a quello dei concorrenti Ebay e Amazon messe insieme - ha appena inserito nella lista di venditori una cinquantina di nuovi marchi per vedersi dischiudere un mercato enorme: gli utenti Alibaba attivi sono ad oggi 439 milioni, comprano online di tutto, specialmente tramite smartphone. “Mettiamo in contatto brand e aziende, anche piccole, con potenziali clienti - ha spiegato il managing director Rodrigo Cipriani -: il nostro obiettivo è moltiplicare il business in modo esponenziale”. Un Eldorado immune da crisi? Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, gli italiani che acquistano online attraverso i diversi portali di commercio elettronico sarebbero 18,8 milioni sui 30,8 milioni di persone in grado di fare compere in rete. Un dato, questo, che indicherebbe una vera e propria impennata del canale Internet, con una penetrazione del 61%, in netta crescita rispetto a qualche anno fa. Il potenziale ancora inespresso degli

acquisti online sembra dunque essere ancora enorme, considerando che le imprese italiane attive nel commercio su Internet sono al momento appena 40mila contro le 800mila a livello europeo, di cui 200mila solo in Francia. “Il mercato e-commerce B2C - ha osservato Alessandro Perego, direttore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano - resta ancora prevalentemente legato al mondo dei servizi, che valgono il 55% del totale acquistato online dai consumatori italiani; la spesa in rete di prodotti cresce a un tasso più elevato (+27%) rispetto a quella di servizi (+10%). Di questo passo l’e-commerce B2C varrà entro tre anni il 10 per cento del totale degli acquisti retail”. Una sorta di Eldorado immune da crisi, dunque, quello della vendita online, che ha spinto un numero corposo di imprese tradizionali - sia dell’industria che della distribuzione - a provarci, affiancando magari alla gestione della vendita classica quella tramite la rete, in una strategia multicanale che consenta di ampliare l’esperienza d’acquisto del consumatore anche al web, e raggiungere così un mercato sempre più ampio che strizzi l’occhio al commercio con l’estero. Chiaro che anche il mercato del lavo-

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO ro si sia modellato, o stia provando ad allinearsi, ai nuovi modelli di acquisto. L’e-commerce manager e le altre professioni dell’e-commerce Tra le figure professionali sempre più richieste in modo trasversale a tutti i settori merceologici, dalla moda all’editoria, fino ai servizi, spicca quella dell’e-commerce manager: una figura, questa, che si occupa delle vendite online a tutto tondo, dall’elaborazione delle strategie per il lancio di un prodotto o di un servizio nel commercio elettronico all’atto di vendita stesso, con la responsabilità di tutto ciò che accade lungo tutto il processo di acquisto - da quando il cliente invia l’ordine a quando ritira infine la merce. Cura inoltre i rapporti con le società che forniscono i servizi in outsourcing (ricerca di nuove risorse) e ha una cultura consolidata nei mercati internazionali, nel marketing e nel controllo di gestione, oltre che competenze da un punto di vista tecnico, economico e gestionale. L’e-commerce manager decide infine a quali beni e servizi la vendita online va dedicata, quali campagne pubblicitarie effettuare e come organizzare le pagine web destinate agli acquisti in rete. Tra le altre figure necessarie al mondo della vendita online spiccano: • L’e-commerce developer: è colui che sviluppa le piattaforme e-commerce, un programmatore in grado di sviluppare piattaforme proprie e di personalizzare quelle open source o di parti terze. Deve aver maturato forti competenze tecniche ed essere specializzato nella gestione di una delle piattaforme più in uso. • Web marketing manager: se all’e-commerce manager è richiesta

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una conoscenza almeno basilare di ogni aspetto relativo all’attività di vendita online, ogni singolo settore richiede figure professionali con competenze specifiche. Una di queste è il Web marketing manager, che si occupa delle promozioni online e dell’aumento del traffico sul sito web dell’azienda. Per adempiere a tale ruolo occorrono competenze tecnico-pratiche in ambito AdWords, social network e direct mail marketing. • Web content editor: è colui che si occupa della realizzazione dei contenuti da inserire nelle pagine di e-commerce. Crea testi, cura le schede prodotto, sceglie le immagini e i video da utilizzare online. Tra le sue abilità non può mancare la creatività, per la proposta di contenuti accattivanti e chiari di facile comprensione per chiunque. Dovrebbe inoltre possedere competenze SEO ed essere capace di fornire contenuti ottimizzati per i motori di ricerca. • User Experience Designer: letteralmente traducibile come “designer per l’esperienza dell’utente”, è la figura che progetta o rinnova lo store online al fine di renderlo il più funzionale possibile. Fa sì, quindi, che questo sia intuitivo, piacevole e semplice da navigare al fine di coinvolgere il potenziale acquirente online e condurlo in modo gradevole attraverso l’intero processo di acquisto. • e-Store Manager: E’ l’omologo del classico store manager di un qualsiasi negozio fisico, applicato all’ambito del commercio elettronico. Gestisce tutte le attività dello shop online e intrattiene i rapporti

con professionisti e tecnici che di volta in volta forniscono servizi di consulenza e supporto. Possiede solide conoscenze del mercato di riferimento e della tipologia di prodotti trattata, oltre che delle principali dinamiche del web: le sue responsabilità vanno infatti dalle attività di vendita giornaliera alla supervisione delle attività di gestione magazzino, logistica e customer care. Ha una buona consapevolezza delle leve di marketing utilizzabili, come le campagne promozionali e gli sconti, oltre che una profonda conoscenza dei propri utenti-tipo. • Conversion Rate Optimizer: E’ il professionista che si occupa di aiutare l’imprenditore online ad incrementare il tasso di conversione del proprio sito e-commerce. Se il web marketing manager si occupa di portare sul sito un traffico maggiore e di migliore qualità (più profilato, in gergo) tramite campagne ad hoc, il Conversion Rate Optimizer analizza l’andamento degli indicatori-chiave del sito e il comportamento degli utenti per concordare con il committente le azioni più opportune in termini di maggiore efficacia del sito stesso. Le competenze di base di questa figura professionale riguardano gli strumenti di Business Intelligence (come ad esempio Google Analytics) e quelli per lo studio del comportamento degli utenti nel loro approccio con il processo di acquisto. E’ chiaro infine, come per ognuna delle professionalità richieste sia richiesto un percorso di studi strutturato e sistematico che consenta di ottenere le competenze necessarie per affrontare le numerose sfide del settore digitale e ICT.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

I SISTEMI DIDATTICI E QUELLI SULLA SICUREZZA SOCIALE NON SONO PIÙ FUNZIONALI RISPETTO ALLE NUOVE E PROSPETTICHE REALTÀ DEL MERCATO DEL LAVORO di Silvia Battistelli Management Academy Sida Group - Area Ricerca & Sviluppo

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in atto un cambiamento con caratteri esponenziali nel mercato del lavoro. Chi saprà gestire questo processo di cambiamento si troverà in posizione di vantaggio, chi non saprà pianificare l’evento e organizzarsi si troverà in futuro in posizione di svantaggio e a vivere situazioni di emarginazione e decadenza. Questa considerazione vale sia per la dimensione microeconomica, quindi l’azienda, che per la dimensione sistemica/ macroeconomica. L’ambiente di lavoro è oggigiorno molto diverso rispetto a quello in cui

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eravamo entrati noi. L’assunto era che terminato un lavoro ne trovavi un altro che ti assicurava un periodo di permanenza quanto più lungo. Oggi il tasso della vita media delle aziende è di 3,5 anni, una volta era di 10 anni. Il ciclo di vita dei prodotti si è fortemente accorciato, in due anni un nuovo prodotto esce di scena destabilizzando l’azienda. Il veloce cambiamento ha come effetto di rendere volatile il lavoro. Le istituzioni sono inadeguate, sia quelle della filiera educativa che quelle della sicurezza sociale.

Oggi il mondo del lavoro è cambiato, si pensi alla GIG economy, un modello economico sempre più diffuso in cui il lavoro non è fisso ma on demand: si pensi al lavoro flessibile. Le università si basano su vecchi modelli. Non sfornano giovani in possesso di competenze e abilità di cui le imprese hanno bisogno. Dobbiamo ridisegnare queste istituzioni che sono così importanti per la nostra società. Tutta la filiera didattica incentrata sul concetto di product oriented dovrà essere ristrutturata sul concetto di customer o loyalty oriented, concetto

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO secondo il quale ogni azienda sta operando, dove il centro della strategia strutturale organizzativa del sistema didattico dovrà risiedere nella capacità di realizzare l’obiettivo: “la persona giusta al posto giusto”; e dove il placement dovrà essere la funzione centrale di congiunzione e progettazione del processo didattico. La didattica attuale è abituata a partire dalla cultura, cooptata da processi tradizionali e motivazionali tra i più svariati, e a confezionare il prodotto didattico senza tener conto, se non marginalmente, delle esigenze specifiche del mercato del lavoro, dove intervengono come attori l’individuo e l’azienda. Lasciando poi che il matching faccia il suo corso tra le parti. Ciò ha come effetto la disfunzionalità del ruolo che l’attuale didattica deve svolgere. La cultura deve essere creata e orientata dalle esigenze e dai caratteri del nuovo mercato del lavoro, affinché i prodotti siano composti tenendo conto delle nuove esigenze dell’offerta e della domanda, nel matching che si realizza e si verifica l’efficacia funzionale dell’attività didattica. In una recente ricerca industriale svolta dalla fondazione Centro Formazione Manageriale di Ancona, è stato individuato un modello didattico che, già sperimentato e in corso di ulteriore verifica, dà un risultato del 93% nell’attività di placement; ciò rende il collegamento immediato tra mercato e struttura formativa con una risposta immediata che informa l’orientamento della strutturazione culturale, nonché la configurazione e la realizzazione del prodotto. Il modello prevede la creazione, a monte del processo didattico, di una attività di ricerca e selezione e di

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orientamento professionale strutturato e la creazione all’interno della struttura didattica di una subfunzione dedicata al placement, nonché una alla R&D e una al marketing. Il momento didattico è solo uno delle attività aziendali accanto a cui deve essere strutturata quella dell’orientamento e del placement. Da non dimenticare che, come qualsiasi attività umana svolta per creare beni e servizi (aziende), è da considerarsi etimologicamente industria come tale deve sottostare alle logiche funzionali aziendali. Bisogna introdurre, se si vuole rendere funzionale il sistema formativo alle nuove realtà del mondo del lavoro, il concetto di azienda e con ciò operare velocemente a revisionare e riorganizzare ristrutturando questo strumento per renderlo quanto più adeguato al nuovo e fluido mondo del lavoro. Il nuovo modello didattico della Fondazione Centro Formazione Manageriale di Ancona. Risultato di una ricerca industriale e con sperimentazione condotta da Sida Group srl, scuola di management: “accademia del management”. 1. L’azienda formativa sviluppa quante più convenzioni con le aziende target rispetto a quelli che sono i caratteri culturali e di specializzazione del know how di cui dispone l’istituto. 2. Nella convenzione viene richiesto di offrire la possibilità di organizzare un periodo di stage retribuito (stage curriculari o extracurriculari) di almeno sei mesi, l’azienda si impegna condividere un progetto di stage e di individuare un tutor interno che dovrà accompagnare l’allievo nello svolgimento dello

stage. 3. A fronte di questo impegno la struttura formativa si impegna al reclutamento, alla selezione, all’orientamento, alla definizione del progetto professionale, alla verifica delle compatibilità del candidato con quelli che sono i caratteri dell’azienda destinataria, onde evitare il fenomeno di un turnover repentino, nonché l’individuazione di un tutor che segua tutto il progetto formativo del candidato. Tutta questa attività viene offerta all’azienda da parte dell’ente formativo gratuitamente. 4. Il progetto formativo viene organizzato quanto più possibile sulle esigenze specifiche dell’azienda target. Per rafforzarne la funzionalità, il percorso formativo dell’allievo viene accompagnato da due project work: uno mirante a conoscere l’azienda in tutti i suoi aspetti (patrimoniali, economici, finanziari, commerciali, organizzativi, produttivi e strategici), uno calato sul campo aziendale in cui dovrà essere svolto lo stage da parte dell’allievo, propedeutico all’eventuale inserimento, curandone tutte declinazioni organizzative della sub funzione in cui viene inizializzato il candidato. Entrambi i project work avranno il compito di far in modo che l’iniziato entrando in azienda sia in grado di creare subito valore alla stessa, agevolando con ciò l’interesse dell’azienda ad assumere velocemente lo stagista. Sida Group Scuola di management sta sperimentando questo nuovo modello di didattica, i risultati raggiunti sono che il 93% degli stagisti vengono assunti dall’azienda che ha partecipato al progetto di inserimento aziendale.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

IL SALTO DI CULTURA NEI MESTIERI DEL FUTURO Che l’epoca del solo “saper fare” sia finita, ne sono convinti in molti, compreso il sottoscritto, ma se questo è quanto, occorre discutere su cosa il mercato richieda oggi e cosa presumibilmente richiederà nel futuro. di Michele Barchiesi Management Academy Sida Group - Sviluppo Organizzativo e Strategia d’Impresa

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n un continuo percorso evolutivo, i mestieri, le arti e le professioni richiedono sempre nuove abilità, sempre più affinate competenze, che vanno abbinate ad una capacità di intravedere il futuro sensibilmente più spiccata rispetto al passato. Con un ritmo sempre più serrato, i sistemi economici stanno accelerando, i cicli di vita di

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molti prodotti si stanno accorciando, la tecnologia e la società, più che mai in questo periodo, vanno a velocità molto diverse: è quindi oramai facile intuire che gli approcci di successo del passato molto difficilmente possono mantenere la loro efficacia nel presente, ancor meno nel futuro. Aleatorietà di molte variabili di scenario, densificazione del tessuto eco-

nomico e sua fisiologica e progressiva internazionalizzazione, avanzamento e rapida evoluzione del commercio on line, mutamenti nel comportamento d’acquisto, saturazione delle quote, poderose barriere all’entrata su molti settori tradizionali: questi sono solo alcuni dei fattori che rendono i mercati sistematicamente più complessi e selettivi rispetto ad un

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO passato anche piuttosto recente. Se si vuole mantenere la capacità di essere competitivi e se si vuole avere ancora una prospettiva economica di potenziale successo, occorre cambiare, prima di dover subire il cambiamento. Ai molti ragazzi che si affacciano verso il mondo del lavoro, tanti dei quali lo fanno con pochissima fiducia, o con speranze mal riposte, di solito ci tengo a ricordare alcuni aspetti che reputo fondamentali, perché credo fermamente che il futuro non è affatto funereo, ma occorre capirlo prima che diventi presente. Innanzitutto, i normali percorsi formativi non ci hanno realmente resi capaci di percepire e affrontare problemi, ma piuttosto ad eseguire procedure. I “problemi” di matematica fatti a scuola, ad esempio, altro non sono che pretesti narrativi coi quali invitarci a svolgere algoritmi noti. Un problema, in quanto tale, tende ad essere invece qualcosa di nuovo, potenzialmente inaspettato, non ancora calcolato. E allora, basti ricordarci tutti quanti che i processi possono essere sistematizzati praticamente in ogni ambito, perciò non importa quanto siamo bravi, prima o poi verremo bypassati da una qualche forma di automazione (che di solito, male che vada, costa meno di un essere umano). E perfino nel caso in cui, in modo o nell’altro, ci presentassimo davanti al mercato capaci di risolvere problemi in modo infallibile e secondo “formule” inimitabili, perdiamo di vista il fatto che più è serrata la competizione e più stretti sono i suoi tempi, più diventa importante non già risolvere un problema, ma piuttosto fare in modo che esso non si verifichi affatto. Quindi, dalla parte delle competenze, occorre più che mai, a mio avviso, non farsi prendere dallo sconforto di non riuscire a trovare l’incavo preciso

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per le nostre qualità specifiche e certificate (né tantomeno accontentarsi di fare quello che capita), ed invece affinare la capacità di approcciare in modo ampio e trasversale alle problematiche che possono porsi, cercando sempre di anticipare l’imprevisto e di intravedere come trasformare ogni potenziale rischio in un vantaggio. La nostra competenza specialistica diventa quindi uno dei nostri strumenti, magari il migliore, ma non l’unico, per portare a casa il risultato. Facile? Affatto, ma se lo fosse, non dovremmo neanche star qui a parlarne, poiché sarebbe già qualcosa che fanno tutti. Da un punto di vista, invece, di mercato, il tempo dei grandi operatori, così come quello dei solisti, è probabilmente tramontato. O meglio: è forse finita l’epoca in cui nascono simili soggetti, nel senso che quelli già presenti hanno in un qualche modo sigillato pressoché qualsiasi ingresso nei loro ambiti di riferimento. In termini di esempi, è forse possibile che di qui a dieci anni possa nascere una casa automobilistica che possa far dimenticare la Ferrari, o una marca di orologi che nell’immaginario collettivo scalzi definitivamente la Rolex? Quando Facebook completerà il suo ciclo di vita, si parlerà ancora di social networking così come lo abbiamo imparato proprio dalle sue pagine o quel mercato specifico sarà tramontato anch’esso o profondamente mutato, prima di lasciar spazio a qualche nome nuovo? Può esistere una nuova multinazionale in stile Philip Morris o Unilever? Domande, forse, prive di una risposta unica ed inattaccabile, ma che sicuramente trovano invece certezze (nello specifico, dei “no” secchi e senza appello, per lo meno in un orizzonte di breve e medio periodo) se calate nel nostro piccolo quoti-

diano. Per cui, o si crea un percorso mirato ad entrare in queste realtà (la difficoltà nel riuscirci dipende molto dalla grande quantità di persone con le stesse ambizioni e dalla nostra reale capacità di metterci in gioco), o ci si cala nell’ordine di idee di intraprendere qualcosa di diverso, magari di proprio. E al classico timore del “rischio di impresa” rispondo semplicemente che in un mondo dove un giovane è statisticamente destinato a cambiare lavoro dalle 4 alle 8 volte nel corso della sua vita utile operativa (con tutto ciò che deriva anche da un punto di vista di continuità finanziaria e capacità di investimento), ci sono scelte che comportano rischi quanto meno simili, come l’affidare il proprio futuro nelle mani di terze persone. Non ho la sfera di cristallo e non voglio imporre alcun punto di vista, ma a mio parere siamo potenzialmente all’alba di un risorgimento imprenditoriale italiano, fatto di piccole eccellenze, radicate nel territorio, che sanno armonizzare tradizione ed innovazione, che ravvivano e rinnovano il passato, che sanno comunicare una qualità senza tempo, che sanno prendere ciò che c’è di buono dal mondo che si lasciano alle spalle e che ne sanno anche giudicare serenamente e migliorare i difetti; magari, che fanno massa critica collaborando in reti, caratterizzate da una conduzione orchestrata da dei manager, capaci di fare progetti comuni, di organizzare e promuovere interi territori come meta-imprese. È un modo forse nuovo di fare business, alieno a molte nostre precedenti storie locali, fatte di individualità forti, determinate e testarde (nel bene e nel male), ma i tempi sono cambiati, e alcune qualità di ieri potrebbero oggi addirittura rappresentare delle zavorre.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

DIGITAL TRANSFORMATION E DIREZIONE RISORSE UMANE di Vilma Mazzocco Management Academy Sida Group - Area Formazione e Strategia Aziendale

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l mercato del lavoro vive oggi una profonda trasformazione, le scelte e le politiche delle Direzioni Human Research (HR) diventano sempre più strategiche per attrarre, valorizzare e sostenere i talenti, guidando la trasformazione digitale delle imprese, trasformandone i processi e sviluppando le competenze necessarie per rispondere nel miglior modo possibile alle richieste del mercato. L’innovazione digitale sta infatti rivoluzionando non solo le organizzazioni di servizi, ma anche quelle appartenenti a settori più tradizionali come il manifatturiero. Le Direzioni del personale dovranno far leva sempre più non solo sugli aspetti tradizionali quali remunerazione o tipologia di lavoro, ma soprattutto sullo sviluppo di competenze di diversa natura (tecniche, organizzative, relazionali, personali o sociali), che possano assicurare l’employability del personale nel lungo periodo, oltre che sulla qualità dell’ambiente di lavoro proprio per attrarre e mantenere le proprie risorse umane ed i talenti. Rispetto agli anni precedenti cresce inoltre la necessità di organizzare iniziative di Smart Working orientate alla revisione dei modelli di lavoro. La trasformazione digitale investe tutte le professioni e tutti i comparti produttivi. Per il settore delle risorse umane ciò comporta una duplice sfida: da un lato

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costringe a ripensare i processi e le professionalità interne e, dall’altro, richiede di svolgere un ruolo di guida a supporto dell’intera organizzazione. Le funzioni aziendali che necessitano maggiormente di introdurre nuovi ruoli e competenze digitali risultano essere i Sistemi Informativi, i processi di Innovazione, Ricerca e Sviluppo il Marketing e Customer Care, l’Organizzazione e Risorse Umane e le Vendite. Questi i profili che saranno più richiesti in azienda nel corso del 2016: • Digital Marketing Manager e Social Media Manager, in aumento rispetto allo scorso anno, con il compito di gestire e ottimizzare le interazioni digitali con i clienti attuali e potenziali attraverso i canali social, web e mobile, nel rispetto degli obiettivi di vendita, di marketing e coerentemente con la brand reputation dell’azienda; • Technology Marketing Officer, figure professionali con competenze sia di marketing che tecnologiche, per allineare le strategie digitali di marketing con gli obiettivi di business, svolgendo un ruolo di collegamento con la Direzione ICT nelle attività di gestione e valutazione di soluzioni e fornitura di tecnologia; • Digital Workspace Manager per presidiare la gestione degli spazi di lavoro e coordinare la progettazione e la diffusione di tecnologie digitali utili

alla gestione flessibile degli stessi; • Innovation Consultant, Consulente per l’Innovazione – si tratta di un consulente esterno specializzato in vari aspetti dell’innovazione. Di solito è coinvolto dall’azienda per un breve periodo di tempo: se comincia a lavorare full time per il cliente di una società, finisce per assumere il ruolo di innovation manager; • Change Agent, Agente di cambiamento – È focalizzato sulla parte di innovazione riguardante le Human Resources (HR). Diffonde la cultura dell’innovazione all’interno di una organizzazione e ha le caratteristiche necessarie per motivare le persone a cambiare. Il suo obiettivo è definire e implementare una strategia di trasformazione. Il principale compito che ha chi ricopre questo ruolo è mettere in piedi una struttura che supporti l’innovazione all’interno dell’azienda e allo stesso tempo assicurarsi che le principali figure “politiche” aziendali capiscano il valore del cambiamento in atto. Per ottenerne il supporto deve saperli guidare e motivare. La modalità prevalente con cui le nuove professionalità digitali vengono inserite all’interno delle organizzazioni avviene ancora attraverso lo sviluppo interno, spesso preferito alla ricerca sul mercato in cui risulta più difficile trovare queste tipologie di ruoli già formati.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

LA RIORGANIZZAZIONE DEI TALENTI E DEL PERSONALE NELLE AZIENDE di Luca Masieri Management Academy Sida Group - Area Formazione

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ggigiorno, tra i principali fattori di successo dell’azienda troviamo la capacità di attrarre, sviluppare e fare in modo che i “talenti” restino fedeli a una determinata realtà aziendale. Come si manifesta il talento? Per gli esperti di “talent management”, il talento si manifesta nei giovani che dimostrano alta capacità di probelm solving, leadership e de-

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cision making, creatività, capacità di adattamento, genialità ed empatia che prescinde dal percorso di studi e dai risultati ad esso associati. Più in generale, il talento è una serie di capacità innate che suggeriscono come svolgere una determinata attività e come realizzare qualcosa nel modo più efficace possibile. Di fondamentale importanza è, inoltre, tenere presente che il talento non è necessariamente colui che dimostra genialità, ma è colui che ha un alto potenziale di crescita rispetto

alle mansioni e al ruolo che ricopre, dove può portare maggiore valore all’ azienda. Infatti, può accadere che una persona geniale, se collocata nel contesto sbagliato, non riesca a produrre valore per l’impresa. Come si individua un talento? Prima di tutto bisogna prendere coscienza che non è sufficiente il solo colloquio di assunzione per trovare la persona giusta, tanto che Rogers, ne Il colloquio d’assunzione (1999), sostiene che il colloquio ha la stessa effica-


FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO cia che avrebbe la pratica di scegliere le persone a caso. Per ottenere un buon risultato da un processo selettivo bisogna innanzitutto “fissare gli standard e rispettarli” ed affrontare conseguentemente il colloquio in modo strutturato, con serietà e accurata professionalità. L’introduzione dell’ Assessment centre è una pratica molto efficace, che consente di valutare il candidato attraverso prove di abilità, test attitudinali, test della personalità e lavori di gruppo per valutare le capacità di problem solving e di cooperazione dei candidati.

• Il successo • La presenza di collaboratori che lavorino per fare le cose, non per vederle già fatte e compiute • La burocrazia ridotta al minimo indispensabile • Manager che sappiano motivare i dipendenti fornendo spunti e soluzioni ai vari problemi • La soddisfazione dei dipendenti

Cos’è che attira un talento in azienda? Gli esperti dicono che un talento è principalmente interessato allo sviluppo professionale e, conseguentemente, ad un percorso di carriera; ad opportunità di formazione e ad un clima di ‘libertà’ che possa permettere momenti di autoapprendimento e di crescita personale e professionale. Inoltre, il talento è alla continua ricerca di realtà aziendali che diano flessibilità oraria, flessibilità del luogo di lavoro, servizi alla famiglia e benefit in generale. Inoltre, va sottolineato che il reclutamento dei migliori candidati è legato alla reputazione dell’azienda, procedimento che comincia all’interno dell’azienda stessa. Le principali caratteristiche che un’azienda deve avere per attirare talenti sono:

A CURA DI

• La buona reputazione • Azienda con forte spirito imprenditoriale e spiccata propensione all’innovazione • Forte senso di responsabilità • Creatività e propensione al team building • L’Ambizione • Rispetto da parte della concorrenza, che si manifesta attraverso la scelta da parte dei clienti, dalle dimostrazioni di stima da parte dei

suoi azionisti ed è supportata entusiasticamente dai suoi dipendenti Altri fattori per attrarre talenti sono: • Curare gli annunci di ricerca producendo Job description chiare, con tutte le informazioni fondamentali • Trasmettere i valori del proprio brand • Spiegare come si gestiscono i processi aziendali • Mostrare gli spazi in cui si svolge il lavoro • Curare le relazioni e i collegamenti sia con le realtà del territorio che con scuole e università • Curare al meglio la presenza dell’azienda sui social Come si valorizza un talento? In primo luogo, vanno eliminati dall’azienda eventuali preconcetti legati a distinzioni di età, sesso, religione, provenienza familiare ed orientamento sessuale. In secondo luogo, va individuato per ogni talento uno specifico percorso di crescita che persegua lo scopo di fornire gli elementi “mancanti” sia di carattere tecnico, ma soprattutto di carattere psicologico. Per valorizzare i talenti, le imprese devono investire su nuovo profilo di dirigente, in grado di ottenere il meglio da una popolazione aziendale molto eterogenea. Sono necessari manager che sappiano far crescere il personale in un ambiente appagante e che siano in grado di scegliere per l’azienda sistemi e tecnologie adatti ad attrarre e trattenere i migliori talenti.

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FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

LA DIGITAL TRANSFORMATION E IL NUOVO MERCATO DEI SERVIZI di Giulio Guidi Management Academy Sida Group - Area Formazione e Strategia Aziendale

L’

innovazione digitale è un passaggio irrinunciabile per la nostra competitività internazionale, che può dare molti frutti: efficienze operative, flessibilità della produzione, miglioramento del time-to-market, trasformazione della relazione con i clienti e i partner – anche affiancando nuovi modelli di servizio alla vendita dei prodotti. L’86% delle aziende del settore manifatturiero (dati Cisco) mette al centro delle proprie strategie di crescita il passaggio da modelli di ricavo centrati sul prodotto a modelli orientati al servizio. Oggi non è sufficiente fare un buon prodotto: quello che avviene dopo che il prodotto è stato venduto diventa sempre più importante. I costruttori di macchine industriali che sfruttano con successo i servizi, ad esempio, li stanno usando per creare modelli di business innovativi. Questa capacità consente loro di farsi pagare in base a risultati concreti – come la disponi-

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bilità degli impianti – proprio come si fanno pagare per i prodotti venduti come investimento di capitale. Le aziende che non sfruttano i servizi per ottenere fonti di ricavo ricorrenti rischiano di rimanere indietro in questo nuovo scenario di mercato sempre più dinamico. La “digital disruption” avrà un impatto significativo sulle aziende nei prossimi tre anni. Ciò nonostante, molte aziende del manifatturiero stanno avendo difficoltà nella transizione verso modelli orientati al servizio o non si stanno muovendo abbastanza rapidamente. Per risolvere il “dilemma dei servizi” è necessaria la trasformazione digitale del business. Questa trasformazione è un cambiamento organizzativo ottenuto mediante l’adozione di nuovi modelli di business e l’uso di tecnologie digitali per migliorare le performance aziendali. Tutto ciò consente una conoscenza molto più approfondita delle operazioni aziendali e una maggiore agilità. Le tecnologie digitali come il cloud, i Big Data, Internet

of Things e analytics sono tra quelle che avranno il maggiore impatto sulla produzione industriale nei prossimi tre anni. Alle quali ovviamente si affiancano le tecnologie tipicamente “manifatturiere” come la robotica e la stampa 3D. Elementi che sottolineano il ruolo fondamentale della digitalizzazione per l’evoluzione del settore, specialmente quando connettere l’intero ecosistema manifatturiero diventa un fattore critico. Secondo l’analisi economica fatta da Cisco (2015), il risultato della digitalizzazione per una grande azienda manifatturiera che abbia un fatturato di 20 miliardi di dollari può essere un aumento dei profitti del 12,8% nei prossimi tre anni – o del 19% nei prossimi dieci anni. Ma per ottenere quel valore aggiunto, bisogna passare da un pensiero a breve termine a una pianificazione a lungo termine e la possibilità di ottenere risultati significativi dipende dalla capacità di accelerare la transizione verso un modello di business maggiormente basato sui servizi.

A CURA DI



FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO

RITORNO ALLE ORIGINI: I GIOVANI SCELGONO LA TERRA Marika Socci, Azienda Vinicola Socci

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na passione di famiglia, tramandata da nonno a nipoti. L’azienda vinicola Socci di Castelplanio è un piccolo esempio di impresa di nicchia, che resiste alle spallate della crisi e al cannibalismo delle grandi produzioni grazie alla caparbietà e la convinzione delle nuove generazioni. Infatti alla guida dell’azienda che produce Verdicchio oggi c’è Marika. Trentun’anni, ex contabile in un’azienda locale e insegnante di ginnastica ritmica. Dopo gli studi ha subito cercato una sistemazione per godersi l’indipendenza economica e l’emancipazione dalla famiglia. Fino a rendersi conto, però, che la sua strada non era tra le pareti di un ufficio, sommersa di scartoffie e bilanci azien-

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di Chiara Bartolomei

dali. Si è voltata indietro. E ha ritrovato le sue radici. In un fazzoletto di terra, tra borghi e colline, nonno Umberto aveva iniziato a produrre vino nei primi anni ’70. Prima le uve della famiglia Socci venivano conferite alle grandi cantine sociali del territorio. Solo con la nascita dell’azienda vinicola hanno cominciato a produrre e imbottigliare il frutto della loro terra. La seconda generazione è proseguita con papà Pierluigi. E oggi Marika ha fatto la sua scelta di vita: è entrata in azienda, e si occupa un po’ di tutto. Dalla vendemmia fino al marketing e la vendita del suo amato Verdicchio. La cantina ha prodotto l’ultimo anno circa 15 mila bottiglie. E da un “hobby costoso”, come lo definisce Marika, si è arrivati ad una struttura più completa, seppure sempre a con-

duzione familiare. « Ciò che vorrei è poter vivere della mia passione e della passione della mia famiglia con soddisfazione – spiega Marika - con la consapevolezza di portare avanti qualcosa che è partito da tempi passati e che arriverà lontano anche grazie al mio contributo. Qualcosa che parlerà sempre di noi, della nostra gioia di vivere anche stando a contatto con la fatica, del nostro trascorso, dei nostri sogni». Una visione romantica e positiva, la sua. Ma che cosa spinge oggi molti giovani a tornare a contatto con la natura? «Nel mio percorso ho incontrato tanti giovani che lavorano la terra, portando avanti tradizioni e apportando in tutto ciò qualcosa che viene da loro, idee vincenti. Tradizione e innova-


FOCUS IL FUTURO DEL LAVORO zione, in fondo, vanno di pari passo. Dal mio punto di vista è bello pensare che ci siano giovani che decidono di investire la loro vita in una passione qualunque essa sia, e che scelgano di trovare in essa il modo per vivere. Se poi la scelta è tornare a fare lavori che facevano i nostri nonni, beh, io ne sono un esempio calzante. La realizzazione che si prova nel veder crescere un prodotto che nasce dalla terra, e che diventa tutt’altro, è un’emozione indescrivibile. Almeno questo è ciò che provo nel fare il mio lavoro. Ma penso che sia comune a tutti quei giovani che, come me, ad un certo punto della loro vita hanno deciso di abbracciare la vita nei campi». Gli esperti sostengono che all’estero guardano con grande interesse il Verdicchio delle nostre terre. Ma nel resto d’Italia gode delle stesse attenzioni che adesso riscuote fuori dai confini nazionali? «Innanzitutto posso confermarlo, dall’estero guardano con grande interesse il nostro Verdicchio, dati alla mano. Il numero delle esportazioni è cresciuto in maniera esponenziale. Il mercato estero è molto più interessato al Verdicchio rispetto al mercato Italiano e a quello locale, tanto che molti definiscono il Verdicchio come l’ambasciatore del delle Marche nel mondo. Già dal 2014 stiamo assistendo ad una forte crescita dell’export, tanto che il valore del vino venduto all’estero e il valore del vino consumato all’interno della nostra Italia è quasi in parità. I paesi maggiormente interessati al nostro vitigno marchigiano sono gli Stati Uniti, il Belgio l’Olanda e la Ger-

mania». Motivo? «Da una parte c’è stata una consistente campagna pubblicitaria che alcuni Istituti di zona hanno fatto e continuano a fare per promuovere questo vitigno all’estero: investimenti davvero consistenti hanno permesso di far arrivare il nome Verdicchio lontano e di creare interesse nei suoi riguardi. Dall’altra ci siamo noi, i produttori che sanno fare il vino. Che hanno capito la grande potenzialità di questo vitigno, quindi non si accontentano e vogliono fare qualità andando anche in contro alle esigenze del cliente».

Quali sono, secondo lei, i punti di forza del Verdicchio? «Il Verdicchio non è un vino “semplice”. E’ importante, con una forte struttura. E’ un vino di corpo, con un’ottima spalla acida e nella maggior parte dei casi è un vino di gradazione. Tutte queste caratteristiche, ad un appassionato, lo rendono un vino al quale non poter rinunciare. Allo stesso tempo, invece, per tante altre persone lo rendono un vino “duro” a volte difficile».

Quali, invece, le difficolta che incontra un piccolo produttore come lei? «Ciò che noto con rammarico è la poca attenzione a noi piccoli produttori. Appartenendo a questa categoria ho potuto constatare la vera difficoltà che ho nel ricercare una mia clientela. Ci sono davvero tanti curiosi, tanti amanti del mondo del vino. Ma ce ne sono pochi disposti a spendere qualche euro in più per avere un prodotto limitato, un prodotto che quando finisce non c’è più perchè ne sono state imbottigliate 6 mila bottiglie e non di più. Un prodotto che è il risultato di un lavoro mai meccanizzato, ma sempre manuale. Un prodotto che viene portato dalla terra alla cantina al cliente, direttamente dal produttore. Da colui che può raccontarti la sua storia». Bene, ma allora cosa bisognerebbe fare per permettere anche ai piccoli di entrare nei mercato? «Premetto: ho enorme stima di tutti i miei colleghi produttori, e capisco che ognuno, a seconda delle dimensioni della cantina e delle aspirazioni, debba lavorare in maniera differente. Però, per noi piccole cantine, l’unica via d’uscita per non farci soltanto ammirare da lontano, è di metterci insieme: lavorare in squadra almeno per quanto riguarda l’estero. Questa è, dal mio punto di vista, l’unica soluzione se non ci si vuole accontentare di appena qualche contatto. Se poi ci fosse un istituto che coadiuvasse il tutto sarebbe davvero un grande traguardo».

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IL FUTURO DEL LAVORO

INFORMAZIONI SUL SONDAGGIO Sondaggio realizzato da Mind X Up Srl. Sondaggio online, pubblicato all'interno delle newsletter, sulla pagina Facebook e sul sito di Mondo Lavoro ML Magazine. Indagine gestita attraverso piattaforma CAWI dal 23 Novembre al 03 Dicembre 2016. Campione non probabilistico. Totale rispondenti: 108

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l focus di questo mese è dedicato al futuro del lavoro. Mai come in questo momento la questione del lavoro si trova al centro del dibattito politico e sociale. Come si è evoluta nel tempo la concezione del lavoro? Quali le attuali prospettive? Qual è il ruolo e il valore del lavoro per l’uomo? Quali le dinamiche attuali nel rapporto tra individuo Il concetto di lavoro ha subito nei secoli una radicale trasformazione. Quale tra le seguenti definizioni storiche si avvicina maggiormente alla concezione di lavoro per i lettori?

Qual è la visione più diffusa del rapporto tra lavoro e individuo all’interno del nostro campione?

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e azienda? Quali leve attivare per tener viva e stimolare la motivazione? Come coltivare talenti? Abbiamo chiesto ai nostri lettori di svelarci quale sia il loro rapporto con il lavoro, che cosa li motivi maggiormente e il loro parere sulla gestione del personale ad alto potenziale.


E quale il fattore dal più forte impatto motivazionale?

Qual è la qualità che identifica un talento?

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In che modo, secondo i lettori, un’azienda dovrebbe intervenire per tener viva la motivazione?

Spesso vige la convinzione che possano bastare uno o due talenti per portare l’azienda al successo. I nostri lettori sono d’accordo?

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EUROPA&FINANZIAMENTI

DALL’EUROPA ALLE MARCHE:

IMPRESE ALL’ASSALTO DEI BANDI POR-FESR. RISORSE SU CUI CONTARE

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ruxelles sempre più vicina. Con i fondi europei la Regione Marche viaggia a ritmi incalzanti. Le risorse comunitarie giungono nel momento più propizio per l’economia locale e ne costituiscono un supporto fondamentale. I bandi attivati nell’ambito del Por Fesr 2014-2020 stanno riscuotendo un notevole successo e sono tanti gli imprenditori che hanno già tratto beneficio dal loro utilizzo: una vasta platea destinata ad ampliarsi nel corso dei prossimi anni. Tra export e start up, passando per la specializzazione “intelligente” e la gestione ambientale, è partita la corsa e i principali settori dell’economia sono interessati da questa onda lunga verso il futuro. Obiettivo: crescere, innovarsi, realizzare i propri sogni. Del resto, l’accesso ai bandi è sempre più rapido: tra web e portale, www. europa.marche.it, i bandi sono acces-

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di Federica Buroni sibili e comunicare le nuove opportunità è sempre più facile. Ma c’è di più. Per chi volesse andare oltre, d’ora in poi, l’Europa approda in teatro: la novità di questa edizione è infatti lo spettacolo itinerante, il Marche punto Europa Show, che racconta pregi e virtù dei nuovi progetti. La prima tappa dello spettacolo è stata a Jesi, al teatro Moriconi, dove oltre ad imprenditori e rappresentanti di categoria, è salita sul palco l’assessore alle Politiche comunitarie, Manuela Bora, che ha illustrato le opportunità delle nuove risorse. Ma è solo l’inizio del Marche punto Europa show che tornerà a teatro, a Fermo, a fine gennaio. Un percorso, quello dello spettacolo itinerante, che viaggia a braccetto con tutti gli altri canali di informazione sui bandi Ue della Regione. Tra le novità, anche la Pec, regione.marche. politichecomunitarie@emarche.it con la quale l’ente tiene aggiornati gli im-

prenditori. Oltre, naturalmente, alla pagina Fb “2020 Marche” che registra il maggior numero di like tra le pagine Fesr del Belpaese. Comunicare oltre i confini non è mai stato così semplice. Così, nel lungo viaggio alla scoperta dei bandi Fesr 2014-2020, è già lungo l’elenco d’ imprenditori che ne ha tratto utilità. Tra i primi ad aver colto questa grande occasione, un gruppo di imprese con un solo filo conduttore: rappresentare un punto di riferimento per chi, come loro, ha deciso di realizzare i sogni nel cassetto. E’ il caso del team di aziende la cui capofila è la Tre P Engineering srl di Chiaravalle, che ha scelto di mettere sul mercato un nuovo piano cottura a gas. Il sogno nel cassetto, appunto. Già, perchè come spiega il responsabile del progetto, Michele Marcantoni, <i fondi dell’Unione europea hanno fatto tantissimo la differenza


EUROPA&FINANZIAMENTI

tra un sogno nel cassetto ed aver raggiunto dalla microimpresa alla multinazionale per sviluppare insieme un nuovo elettrodomestico>. Dal desiderio alla realtà, dunque, con le nuove risorse dell’Unione europea: questo gruppo di aziende ha puntato tutto sulle nuove opportunità. Marcantoni rilancia: <Il nostro progetto costa 2,4 milioni di euro, circa il 50% ci vengono dalle risorse Fesr. I fondi sono stati un aiuto importante>. Sempre in provincia di Ancona, un altro gruppo di aziende ha scelto l’Europa ma puntando sull’energia. Escomarche, società capofila, nove partner, ha deciso di mettere a punto un sistema integrato per la riqualificazione energetica intelligente e l’ottimizzazione territoriale. Il progetto si chiama Energis++, è stato avviato nel 2014 e terminerà a metà 2018 per essere subito immesso sul mercato. E’ lo stesso presidente della società,

Otello Gregorini, ad illustrare i dettagli. <Il prodotto finale è un software di gestione dei consumi energetici: ci saranno sensori che consentono di rilevare i dati e, quindi, di effettuare un monitoraggio costante>. Un software pensato per il doppio binario. Dice infatti Gregorini: <Sarà utile sia per la pubblica amministrazione sia per i privati per la pianificazione energetica>. Anche in questo caso, sono state proprio le risorse europee a svolgere un ruolo chiave, uno step fondamentale per rendere concreta un’idea. E’ ancora il presidente della società a chiarire: <Questi fondi ci hanno aiutato a portare avanti un progetto che avevamo in mente di sviluppare da alcuni anni ma la crisi economica che aveva colpito il settore e il conseguente clima di incertezza, ci avevano fatto riporre nel cassetto>. Ed ecco, allora, il filo conduttore. Un

viaggio fruttuoso che varca i confini del Belpaese per arricchire le nostre imprese. Su entrambi i progetti, nascono e si costituiscono brevetti. Nel caso della Tre P Engineering srl di Chiaravalle, sul progetto del piano cottura a gas ci sono già dieci brevetti di cui otto della stessa azienda e uno di un partner della società: alla fine, con ogni probabilità, ci saranno spunti per depositarne degli altri. Per quanto riguarda la Escomarche e i suoi nove partner, il progetto deriva già dallo sviluppo di un brevetto sul sensore a basso costo per il monitoraggio multizona, denominato Comfort Eye, la cui domanda di brevetto italiana è stata deposita dalla Politecnica delle Marche, tra i partner del progetto. Chiosa Gregorini: <Energis++ potrà completare il percorso e lo sviluppo del brevetto da parte di un’azienda marchigiana>. Un sogno che diventa realtà.

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CLUBECONOMIA&FINANZA

IL QUADRO INTERNAZIONALE di Giuseppe Barchiesi Club Economia e Finanza Sida Group

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l Fondo Monetario Internazionale, dopo la Brexit, ha rivisto al ribasso le stime di crescita mondiale, portandole al + 3,1%, la stessa percentuale dello scorso anno. Migliori le prospettive per il 2017, con una previsione del + 3,4%. Al suo interno, e limitandoci alle

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principali economie, gli Stati Uniti cresceranno quest’anno circa del 1,6%, l’area Euro del 1,7%, la Cina del 6,7% (Cina che, è giusto ricordarlo, sta attuando un proprio specifico piano strategico quinquennale e che, quindi, non dovrebbe destare alcuna reale preoccupazione su un suo eventuale stato di crisi).

Le principali turbative alla crescita trovano origine, oltre che dalla ricordata Brexit, dall’andamento al ribasso delle materie prime, con particolare riguardo al petrolio, che ha creato una forte contrazione della domanda interna dei Paesi produttori. Altri elementi di instabilità provengono, per l’Europa dal fenomeno


CLUBECONOMIA&FINANZA dell’immigrazione e da una importante diversità di vedute sulle leve della crescita europea (l’Unione Europea ha una moneta unica, ma non una politica economica altrettanto coesa e omogenea), per gli Stati Uniti dalle elezioni presidenziali, con una campagna elettorale particolarmente aspra. Ma c’è un altro grandissimo elemento di turbativa dei mercati e della crescita, di cui si preferisce non parlare, tanto meno di tenerne conto, forse per un consapevole senso di impotenza: i derivati. Se qualcuno ritiene che il fenomeno appartenga solo all’area finanziaria, limitando e contendo solo in quell’ambito gli effetti, allora vuol dire che non si è tenuto in alcun conto di quanto avvenuto a livello mondiale dal 2007 in poi, le cui conseguenze sono ancora oggi presenti. Un dato su ogni altra considerazione: il volume dei derivati, nella sola Europa, è stimato in circa 160.000 miliardi di euro, pari a circa cinque volte il PIL annuale della stessa area. Per meglio comprendere gli scenari futuri, sono tre, quindi, i treni su cui l’economia mondiale può contare, che sviluppano singolarmente il seguente PIL su base annua: • USA oltre 18.000 miliardi; • Cina oltre 11.000 miliardi; • Area Euro oltre 19.000 miliardi complessivamente. Le dinamiche delle economie Americana e Area Euro, sono facilmente rilevabili: gli USA hanno ormai intrapreso un cammino virtuoso consolidato che li porterà a crescere nel 2017 intorno al 2,2%; l’Europa, soprattutto grazie al quantitative easing, dovrebbe superare la stessa soglia USA. Meno decifrabile, anche perché si tende a fare molta confusione, la crescita della Cina.

A CURA DI

Innanzitutto la moneta cinese, lo Yuan, dallo scorso settembre è entrato nel paniere del FMI. A dicembre, poi, si discuterà della possibilità di attribuire alla Cina lo status di Economia di Mercato, con inevitabili “effetti” negli scambi commerciali e nei dazi. La Cina rappresenta un modello di sviluppo molto particolare che si basa su di una precisa pianificazione economica, tipica dei Paesi Comunisti, realizzata però con principi capitalistici. In questo periodo, con molto rigore, sta attuando l’ultimo piano quinquennale 2016 – 2020, che prevede un’economia trainata dai consumi interni più che dalle esportazioni e dagli investimenti. I leader Cinesi, in sostanza, pensano di costruire una società “moderatamente prospera”, con un importante obbiettivo di almeno raddoppiare il volume del PIL del 2010 (circa 6.000 miliardi di dollari) entro il 2020. Per raggiungere tale importante obiettivo, quindi, la crescita del PIL annuale deve essere pari al 6,5% minimo, con un massimo del 7%. Questa strategia consentirà di passare da uno sviluppo “sbilanciato, non coordinato e insostenibile”, ad un altro concetto di sviluppo “verde, sostenibile e innovativo” In definitiva, il piano quinquennale, assolutamente in fase di puntuale realizzazione, prevede sempre più produzione e consumo interni, infrastrutture e maggiore qualità della vita. Il calo dell’export è paradigmatico del cambiamento del modello di sviluppo. Ma attenzione, la Cina nel contempo ha chiuso anche i rubinetti di certi prodotti dall’estero, con un “protezionismo” per certi versi molto più duro, con un import che si sta contraendo del 14% (-12%) per l’Italia. Per cui, le notizie sulla presunta

crisi del modello cinese sono sostanzialmente infondate, o fornite da fonti non debitamente informate, o sono quanto meno mirate a creare ad hoc delle oscillazioni borsistiche. Per la Cina nessun allarme, tutto sta procedendo secondo quanto previsto nella loro pianificazione. In Italia, per un imprenditore che apra una finestra sul mondo, questo è il quadro internazionale che gli si presenta, di cui deve tener conto qualsiasi sia il suo settore di attività economica, al fine di cogliere tutte le grandi opportunità, contendo o annullando le minacce. Di che cosa ha bisogno: innanzitutto, di un quadro politico stabile sia europeo (la sola stabilità monetaria della moneta unica non può essere sufficiente se manca una “politica unica”) che Italiano (se la Cina riesce a pianificare e attuare piani quinquennali, lo Stivale è capace di alternare diversi governi nello stesso lasso temporale, con tutte le conseguenti discontinuità economiche e normative). In assenza di tale continuità, non si può programmare una strategia di lungo periodo indispensabile e fondamentale per il mercato globale. Ha bisogno, in particolare, oltre che di affinare le sue doti imprenditoriali, con umiltà, senza, mai pensare di essere ad un traguardo, ma sempre su di una linea di partenza di una crescita politica, sindacale, sociale, oggi perfino ambientale. Di soldi? No, per quanto possa suonare assurdo, di questi ce ne sono anche troppi, mancano invece imprenditori idonei per i nuovi tempi, con una buona strategia e con progetti vincenti. Nessuna banca si tirerà mai indietro se chiamata a finanziare progetti, e quindi il futuro, se questi sono sensati, completi, solidi, lungimiranti. Le banche sono lì esattamente per questo.

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CLUBECONOMIA&FINANZA

I DERIVATI

cigno nero del nostro divenire economico finanziario di Alessandro Scarlato Club Economia e Finanza Sida Group

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contratti derivati sono strumenti finanziari che si caratterizzano per il fatto di “derivare” la loro efficacia, normalmente lo scambio di flussi monetari tra i contraenti, dal verificarsi o meno di un evento, ovvero dall’avverarsi di una condizione che viene denominata “sottostante”. Questo può essere rappresentato da una merce o da un indice finanziario su indici diversi, comunemente di cambio e di Borsa L’origine di questi strumenti, contrariamente a quanto si possa pensare, è molto antica ma lo sviluppo su larga scala risale alla prima metà del 1800, quando vennero costituite le Borse per gli scambi sulle materie prime fondamentali dell’epoca, e cioè, il cotone ed il grano. I produttori di queste “commodities” vendevano i raccolti futuri ad un prezzo prestabilito, normalmente in cambio di un anticipo che consentiva loro di provvedere economicamente alle necessità correnti, alle spese di impianto e a tutte le incombenze tra un raccolto e l’altro. Si trattava di contratti molto semplici, definiti “futures” ma la loro diffusione, come accennavo prima, richiese ben presto l’adozione di una precisa

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regolamentazione che individuava nelle Borse, cito per tutte il Chicago Board of Trade, il luogo nel quale questi contratti venivano stipulati, scambiati e incassati. Probabilmente, fu chiara già allora alle autorità competenti la possibilità che in questi contratti la connotazione speculativa prendesse il sopravvento sullo scopo “assicurativo”, a causa, sia della posizione di debolezza nella quale poteva essere costretta a negoziare una delle controparti, normalmente il coltivatore/produttore, sia per il fatto che i derivati diventavano oggetto di scambio ai fini speculativi tra i soggetti più diversi. Ma tanta lungimiranza non sembra aver caratterizzato l’azione del legislatore e, soprattutto, degli enti preposti ai controlli, sull’ulteriore sviluppo e la massiccia diffusione dei derivati a partire dagli anni ’90. In effetti, alla fine del secolo scorso i derivati, dapprima utilizzati quasi esclusivamente per operazioni di copertura del rischio, assumono le caratteristiche di una vera e propria scommessa ed il “sottostante” non è più una merce ma un indice, una va-

luta o, addirittura, il risultato di una combinazione matematica di difficile comprensione e, perfino, le condizioni meteorologiche di una determinata zona in un determinato periodo futuro. All’origine della grave crisi economica e finanziaria, il cui inizio solo per consuetudine si tende a collocare nell’anno 2008 mentre le radici sono molto più profonde, vi è senz’altro la proliferazione incontrollata del mercato dei derivati e la vendita scriteriata a tutti messa in atto da banchieri avidi e senza scrupoli. Il collegamento con l’economia reale si dissolve e si inventa di sana pianta un’economia “di carta” che coinvolge privati, imprese ed enti pubblici. L’obbiettivo dichiarato, nella maggior parte dei casi, è quello di fornire a questi soggetti, titolari di posizioni a debito nei confronti del sistema bancario, una copertura in caso di aumento dei tassi di interesse: il più delle volte, però, il contratto stipulato non ha alcuna attinenza con le caratteristiche economiche e finanziarie del soggetto contraente, con i flussi finanziari della sua attività, con la sua capacità futura di onorare gli impegni. Inoltre, nel caso dei tassi di inte-


CLUBECONOMIA&FINANZA resse, la scommessa, perché di questo si tratta, si rivela un boomerang e ben presto i guadagni preventivati si trasformano in esborsi crescenti in misura tale da causare, talvolta, il default del contraente. Addirittura, si sviluppano a macchia d’olio, i cosiddetti CDS – Credit Default Swap, contrati derivati che dovrebbero fornire copertura in caso di insolvenza del debitore ma che, in effetti, scommettono proprio sul fatto che il debitore non paghi. Senza alcun controllo, e con migliaia di cause in tribunale, i derivati contribuiscono a dissestare l’economia mondiale ma la cosa peggiore è che nulla è stato fatto per porre fine ad un meccanismo tanto perverso quanto letale. Attualmente, infatti, il valore

dei derivati in circolazione sembra essere superiore a dieci volte il PIL mondiale e costituisce, a mio parere, la più grave minaccia non solo sullo sviluppo economico futuro ma addirittura sulla stabilità sociale del pianeta, soprattutto per la difficoltà di quantificare correttamente il loro valore e la leva finanziaria ch eleva potenzialmente il rischio.. Difatti, sono molte le banche internazionali che hanno nei loro bilanci quantità enormi di derivati la cui valutazione viene fatta secondo modelli interni di ciascuna banca, non essendo questi strumenti quotati nei mercati regolamentati. L’applicazione di regole più severe ed uguali per tutte le banche, vedi Basilea 4, potrebbe costringere molti colossi del credito a valutazioni più prudenti facendo

emergere, con sufficiente certezza, perdite ingenti ed il conseguente avvio di aiuti di stato, al fine di disinnescare un imprevedibile “effetto domino”. Per intenderci, con un esempio purtroppo attuale, possiamo paragonare il problema dei derivati a quello della faglia di San Andreas in California: nessuna sa quando né come, ma prima o poi il Big One, quello sismico e quello finanziario, arriverà e sarà devastante. Trovare il rimedio non sarà impresa facile per governi e banchieri centrali ma, in compenso, circolano teorie e soluzioni tra l’agghiacciante e l’esilarante per suffragare le quali vengono utilizzate, spesso in maniera distorta, teorie e dichiarazioni di autorevoli esponenti dell’economia mondiale. Ma di questo parleremo un’altra volta.

L’immigrazione: un fenomeno che costituisce una ricchezza per l’economia italiana

L

a presenza straniera nella società italiana ha acquisito in breve tempo una dimensione di assoluta rilevanza: sono 5,8 milioni i presenti (di cui 5 milioni con «dimora abituale» e iscrizione anagrafica presso un comune italiano) Essi rappresentano il 9,5% di quella che è indicata da Eurostat come popolazione abitualmente residente in Italia. L’Italia va considerata a pieno titolo uno dei grandi paesi europei di immigrazione. In Italia è residente il 14,5% del totale degli stranieri localizzati nei 28 paesi dell’UE.

A CURA DI

di Mario Iesari Club Economia e Finanza Sida Group Due punti percentuali in più del peso demografico del nostro Paese rispetto al totale della popolazione abitualmente residente in UE-28 (12,1%). Inoltre si osserva una crescita del radicamento in conseguenza di 4 fenomeni in particolare: una presenza che tende ad essere sempre più di natura familiare, la crescita dell’anzianità del soggiorno, l’aumento del peso delle seconde generazioni, infine si rafforza la condizione giuridica stabile del soggiorno e si accresce il passaggio alla cittadinanza italiana. Ma quale è il contributo degli immigrati alla ricchezza nazionale?

Producono ricchezza più di quanta ne consumano oppure sono effettivamente un peso per la nostra comunità come alcuni sostengono spesso in maniera virulenta? Dal punto di vista delle entrate Il Pil prodotto dagli oltre 5 milioni di stranieri che vivono in Italia è pari a 127 miliardi di euro a fronte di un costo per le casse dello Stato di 15 miliardi (1,75% della spesa pubblica). Il contributo economico dell’immigrazione si traduce in quasi 11 miliardi di versamenti previdenziali pagati ogni anno ed in 7 miliardi di Irpef versata: si tratta di un importante sostegno

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CLUBECONOMIA&FINANZA per le casse dell’Inps e la conseguente erogazione delle pensioni: ripartendo il volume complessivo dei contributi versati dagli stranieri per i redditi da pensione medi, è possibile affermare che i contributi dei lavoratori stranieri equivalgano a 640mila pensioni italiane ; un dato che va confrontato 100 mila pensionati stranieri su un totale di 16 milioni. Significativo anche il contributo offerto dall’imprenditoria straniera: nel 2015 si contano 656 mila imprenditori immigrati e 550 mila imprese a conduzione straniera (il 9,1% del totale) che hanno generato un valore aggiunto complessivo di 96 miliardi euro. Negli ultimi anni (2011/2015), mentre le imprese condotte da italiani sono diminuite (-2,6%), quelle condotte da immigrati hanno registrato un incremento significativo +21,3%. Queste aziende contribuiscono, con 96 miliardi di euro, alla creazione del 6,7% del Valore Aggiunto nazionale. Si tratta per lo più di nuovi protagonisti che si cimentano per la prima volta con la disciplina del mercato, prevalentemente impegnati nell’eterogeneo ramo dei servizi alle famiglie e alle imprese, ma che non disdegnano nemmeno di operare in comparti industriali ad alta intensità di lavoro. Questi dati ed in generale gli studi fino ad ora realizzati concordano quindi nel risultato: l’immigrazione ha un impatto positivo sui conti pubblici italiani Gli stranieri contribuiscono alle entrate più di quanto costano in termini di spesa pubblica. Il contributo medio di un immigrato alle entrate pubbliche è inferiore a quello di un autoctono, ma anche la spesa pubblica da lui attivata è più contenuta. Per le prime ciò è dovuto alla natura progressiva del prelievo sul reddito, che è più basso per gli stranieri, ma anche a consumi a loro imputabili (volumi ridotti e meno costosi). La minor spesa pubblica erogata si

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spiega con la giovane età media degli stranieri (inferiore a quella degli autoctoni) che li porta a usufruire meno di pensioni e sanità, i due maggiori comparti di spesa pubblica, e molto più di assistenza (disabilità, famiglia/figli, disoccupazione, edilizia sociale, esclusione sociale), che nel bilancio pubblico italiano ha un peso molto contenuto. Trattandosi di immigrazione recente, sono ancora prevalenti le prime generazioni che sono arrivate già formate e quindi anche la spesa per l’istruzione per immigrato è inferiore a quella media degli italiani. L’impatto positivo sui conti pubblici è dovuto principalmente al fatto che l’Italia è un paese a recente immigrazione. Prevalgono gli stranieri di prima generazione, venuti in Italia spesso da soli per cercare lavoro, quindi con un’età ancora lontana dal pensionamento. L’impatto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche rimane positivo anche nel lungo periodo, grazie al flusso continuo di lavoratori e alla loro elevata fecondità che permettono di frenare l’aumento del tasso di dipendenza (rapporto tra over-65enni e popolazione attiva) dovuto all’invecchiamento della popolazione italiana. Il saldo positivo è dato, secondo la Ragioneria generale dello Stato, dalla somma di un effetto immediato sull’occupazione e uno più ritardato sulle pensioni: un incremento di 40mila nuovi immigrati l’anno dal 2020 al 2060 comporterebbe una riduzione cumulata di 20 punti percentuali di PIL della spesa pubblica per pensioni, sanità e assistenza. Gli stranieri controbilanciano il calo demografico. In assenza di immigrati la popolazione in Italia si sarebbe ridotta di 128mila unità dal principio del 2002 all’avvio del 2015, a causa di un saldo naturale (nati meno morti) sempre più in rosso. Al contrario, grazie ai nuovi arrivi e alle loro nascite (oltre 75mila nel 2014, contro poco

più di 5mila morti), nello stesso periodo gli stranieri hanno fatto salire la popolazione residente nel Paese di 3,8 milioni, a 60,8 Milioni. Gli immigrati danno un notevole impulso soprattutto alla popolazione in età lavorativa (tra i 15 e i 64 anni): nel 2015 i cittadini stranieri in questa fascia demografica erano quasi 4 milioni (il 10,0% del totale); secondo proiezioni ISTAT, nel 2065 saranno oltre 7 milioni (22,7%). Nel cinquantennio 2015-2065 la popolazione autoctona di 15-64enni diminuirà di oltre 170mila unità all’anno. Una depressione demografica notevole che non potrà che essere contrastata - almeno parzialmente - da consistenti flussi di immigrazione, pena un forte ridimensionamento dell’economia e di tuttala vita sociale del Paese. E una ragione in più per puntare a più alti livelli di produttività per gli immigrati. Dal punto di vista demografico, nel 2015, gli italiani in età lavorativa rappresentano il 63,2%, mentre tra gli stranieri la quota raggiunge il 78,1%. Tuttavia, mentre la produttività per occupato supera i 135 mila euro per gli italiani, nel caso degli immigrati il v.a. per occupato è di poco superiore ai 50 mila Infine i dati dimostrano che anche gli immigrati stranieri partecipano ai fenomeni di micro-imprenditorialità che, tra luci e ombre, formano la componente principale del modello di sviluppo italiano, a volte intersecandosi con le dinamiche distrettuali, altre volte muovendosi secondo traiettorie diverse, specialmente nel commercio e nei servizi. Questo secondo una tendenza già da tempo riscontrata in paesi come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, il Regno Unito: tutti paesi in cui il tasso di lavoro autonomo degli immigrati è oggi superiore o simile a della popolazione autoctona. Sebbene con intensità minore, dovuta soprattutto ad una maggiore regolamentazione delle attività economiche,


CLUBECONOMIA&FINANZA fenomeni analoghi sono cresciuti anche nell’Europa continentale. Si tratta probabilmente della maggiore novità emersa negli ultimi vent’anni nei rapporti tra lavoratori immigrati e sistemi economici riceventi, una novità che riguarda vari aspetti: • La diversificazione della popolazione immigrata, e specificamente la manifestazione di aspetti di mobilità socio-economica in un contesto avverso: quello della ricezione contrastata dell’immigrazione nelle società sviluppate, “importatrici riluttanti” di manodopera immigrata • Il ricambio del fattore imprenditoriale, secondo la teoria della “successione ecologica” con riferimento soprattutto alle attività più faticose, meno remunerative, con basse barriere all’ingresso (edilizia, piccolo commercio…) • L’introduzione sui mercati di nuovi prodotti e servizi, specialmente nei

settori del cibo, dell’intrattenimento, in minor misura dell’offerta commerciale di complementi d’arredo, tessuti, prodotti per l’abbigliamento di origine esotica (artigianato “etnico”) • Il contributo potenziale e auspicato nei confronti dello sviluppo dei luoghi di origine, in una prospettiva di “transnazionalismo economico”, in cui le imprese promosse dagli immigrati nelle società riceventi innescano la nascita di nuove attività, sussidiarie o anche indipendenti, nei paesi di provenienza: un fenomeno che nell’ambito della cooperazione internazionale va sotto il nome di co-sviluppo. • Le trasformazioni in senso multietnico, peraltro controverse, di quartieri e spazi urbani, in cui negozi dalle insegne straniere sono spesso individuati come simboli di una mutazione irreversibile di luoghi conosciuti e familiari, da molti mal accolta, fino

ad apparire talvolta come una sorta di lesione dell’ordine sociale e simbolico. • I cambiamenti della composizione e del funzionamento degli anelli inferiori delle catene di subfornitura in alcuni settori economici, anch’essi non privi di ripercussioni e di reazioni conflittuali da parte degli operatori italiani impegnati nei medesimi ambiti, come i contoterzisti dell’abbigliamento. Tuttavia se vogliamo quindi che gli imprenditori stranieri continuino a prospe¬rare nel nostro paese e a svolgere la funzione di traino che hanno avuto finora, sarà necessario far fronte non solo alle problematiche che hanno in comune con le imprese di italiani, ma anche alla mancanza di integrazione sociale che gli stranieri in generale subiscono, che alla lunga rischia di scoraggiare o compromettere anche quella economica.

PRODUTTIVITÀ: VARIABILE STRATEGICA PER LA COMPETITIVITÀ DEL SISTEMA-PAESE E DELLE IMPRESE Il ruolo centrale della formazione manageriale e della digital transformation per il suo rafforzamento

di Mario Becchetti Club Economia e Finanza Sida Group

È

ampio il dibattito sulle difficoltà dell’Italia di sviluppare tassi di crescita del Pil simili a quelli degli altri Paesi. Le cause sono molteplici. Tra

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queste ce n’è una che rappresenta una sorta di “pietra angolare” per spiegare il gap di crescita e di competitività dell’economia e delle imprese nazionali rispetto agli altri Paesi, soprattut-

to europei: l’andamento della produttività del lavoro. Questa forma di produttività viene calcolata statisticamente quale rapporto tra il valore aggiunto prodotto

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CLUBECONOMIA&FINANZA in volume e l’impiego del fattore lavoro utilizzato per ottenerlo, misurato in termini di ore lavorate. Tale indice misura l’efficacia e l’efficienza con cui un dato stock di lavoro riesce a produrre ricchezza per il Paese. L’andamento di questo indice presenta risvolti macro e microeconomici. Inoltre è sempre più importante per spiegare la capacità competitiva dei vari sistemi-Paesi: con l’Euro siamo in un sistema di cambi fissi, in cui non sono possibili manovre di recupero di competitività basate sulla svalutazione della moneta. In questo contesto, dunque, l’andamento della produttività dei fattori determina in gran parte la capacità competitività delle economie nazionali, sul piano macro, e delle singole imprese, sul piano microeconomico. Ebbene, i recenti dati Istat di novembre scorso certificano che in Italia nel periodo 1995-2015 la produttività del lavoro è aumentata ad un tasso medio annuo di solo +0,3%. Nello stesso periodo la crescita della produttività del lavoro in Italia è risultata decisamente inferiore sia alla media UE-28 (+1,6%) che all’area Euro (+1,3%). Tabella - Andamento della produttività del lavoro (variazione % media) PAESI

PERIODO 1995-2015

2015

UE-28

+1,6

+1,6

EA-19

+1,3

+1,1

Germania

+1,5

+0,9

Francia

+1,6

+0,5

Spagna

+0,6

+0,6

Regno Unito

+1,5

+1,2

Italia

+0,3

-0,3

Fonte: Istat, novembre 2016. Come si evince dalla tabella, questo gap di produttività è risultato particolarmente forte verso alcuni

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Paesi benchmark, in quanto più direttamente concorrenti con il nostro sistema produttivo. Tre Paesi leader, ad esempio, hanno avuto tassi di crescita 5 volte superiori a quello del nostro Paese: Germania +1,5%; Francia +1,6%; Regno Unito 1,5%. Addirittura anche la Spagna, nello stesso periodo 1995-2015, ha registrato una crescita doppia (+0,6%) rispetto a quella dell’Italia. Questo gap di produttività dell’Italia, purtroppo, sembra essere un trend consolidato, che trova conferme anche in dati più vicini a noi: nel 2015 l’Italia è l’unico Paese tra quelli considerati a registrare un segno negativo (-0,3%). Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, pur con un rallentamento, continuano ad avere una crescita positiva della produttività .Il divario dell’Italia rispetto alle altre economie europee è risultato particolarmente ampio soprattutto in termini di valore aggiunto, cresciuto a ritmi molto meno sostenuti rispetto agli altri Paesi europei. La dinamica delle ore lavorate è stata invece molto simile. Cosa significa tutto ciò? E soprattutto, quali sono le indicazioni di policy per migliorare questa situazione di svantaggio competitivo comparato che altrimenti rischia di penalizzare anche nel futuro la nostra economia e le nostre imprese? Innanzitutto bisogna acquisire la consapevolezza della criticità di questa variabile per la competitività: la produttività del lavoro è la variabile chiave su cui sviluppare politiche industriali, a livello macroeconomico, e investimenti significativi a livello micro di strategia competitiva imprenditoriale. Sul piano nazionale il Piano Industria 4.0 rappresenta un primo ma importante passo in questa direzione. Ma l’aspetto di rilievo è anche quello microeconomico, che riguarda i comportamenti strategici ed orga-

nizzativi delle singole imprese. ECome si aumenta la produttività del lavoro a livello di singola azienda? Data una certa organizzazione, che presenta uno stock di lavoratori e modelli strutturali, come ottenere i risultati migliori, sul piano commerciale, produttivo e finanziario? Le modalità cono molteplici, ma ce ne sono due che stanno diventando sempre più importanti: • innovare strutturalmente prodotti e processi, soprattutto attraverso la trasformazione digitale dell’intera impresa; • puntare sulla formazione manageriale, per innalzare le conoscenze disponibili nell’organizzazione per gestire il cambiamento. Il primo punto è ormai una priorità assoluta: la 4° rivoluzione industriale impone a tutte le imprese di riorientare in un’ottica digitale tutti i propri modelli di business. Questa priorità riguarda non solo le imprese che operano in settori tecnologici. Anzi, il problema si pone soprattutto per la cosiddetta “old economy”, ossia per l’industria manifatturiera tradizionale, in particolare di piccola dimensione, che altrimenti rischia di essere spiazzata dalle imprese con maggiore orientamento digitale. Un esempio per tutti è quello dell’e-commerce: da diverse indagini risulta che in Italia questa modalità di vendita digitale è stata sviluppata da meno del 10% delle imprese. Se non si riorienta anche in questo campo, per il settore manifatturiero tradizionale sono elevati i rischi competitivi. Anche perché la nuova tendenza è quella per cui i grandi player digitali stanno sfruttando le loro piattaforme digitali come market-place per vendere molti altri prodotti, oltre a quelli tradizionali per cui sono nati. Anche qui un esempio per tutti: Ama-


CLUBECONOMIA&FINANZA zon sta iniziando a sfruttare la propria catena di distribuzione per vendere di tutto, addirittura anche beni deperibili e alimentari. Ma per gestire la digital trasformation e, più in generale, tutti i processi di innovazione aziendale tesi a incrementare la produttività dell’impresa, sono necessarie competenze imprenditoriali e conoscenza manageriali avanzate. Da qui emerge il ruolo centrale dei processi di formazione manageriale, per sviluppare quelle skills e conoscenze capaci di anticipare e governare il cambiamento della 4° rivoluzione industriale. Il valore dell’impresa, infatti, non è più solo quello che deriva dal suo bilancio di esercizio: è rilevante anche il suo valore intangibile e im-

materiale, ossia il suo “capitale intellettuale”. Questo “intangible assets” è il valore immateriale del capitale umano, organizzativo e relazionale che un’impresa possiede, che può e deve essere rafforzato attraverso specifici e strutturati processi di formazione manageriale e imprenditoriale. E’ questa un’area di investimento strategica per le imprese, che non possono fare da sole: sono chiamate a rivolgersi a player ed operatori qualificati nel campo della formazione manageriale, ad esempio come Sida Group. Una volta investire nella formazione manageriale era considerata una sorta di lusso. Oggi non è solo una necessità, ma una vera precondizione di competitività: in altri

termini, mentre un tempo le risorse immateriali della conoscenza erano “needed to win”, ossia utili per eccellere e primeggiare sul mercato, oggi sono diventate “needed to play”, ossia fonti di adattabilità e gestione del cambiamento indispensabili per competere ma anche sopravvivere nella nuova economia immateriale e digitale della conoscenza. In definitiva, nella knowledge economy investire nella formazione manageriale diventa la modalità per incrementare la produttività, la competitività e per alimentare la propria capacità di creare valore nel lungo periodo, per l’azienda e per l’intera comunità in cui la stessa impresa opera.

COME IMPIEGARE I SOLDI DISPONIBILI CON I TASSI SOTTO ZERO di Massimo Sbrolla Club Economia e Finanza Sida Group

N

on esiste un rimedio facile contro la sindrome dei mini tassi. Non c’è panacea capace di saziare la sete di rendimento senza sollevare l’asticella del rischio. Si può cercare però un compromesso tra l’esigenza di catturare un flusso di reddito soddisfacente e la disponibilità a mettere in campo scelte meno conservative, rinunciando a qualche protezione. In un mercato con ca. 11 mila miliardi di dollari di obbligazioni a rendimento negativo e metà del debito governativo della zona euro sotto zero, sembrano esserci poche alternative. Del

A CURA DI

resto, se è vero che nessuna ricetta è priva di rischio , conviene sempre combinare strategie differenti , alla ricerca di un buon equilibrio , con l’ottica di una sana diversificazione. In campo obbligazionario , la strada più semplice, ma non meno insidiosa, è quella di allungare la scadenza. Il successo dei BTP a 50 anni collocato il 4 ottobre con un rendimento lordo del 2,85% e domanda record , è di per sé emblematico. Ma, anche senza arrivare a scadenze così lunghe, occorre ricordare che l’aumento della durata finanziaria rende più sensibili i portafogli ai movimenti dei tassi; aspetto questo,

che non dobbiamo sottovalutare in vista di una probabile prosecuzione del progetto rialzista negli USA. Credo superfluo ricordare che titoli con cedole più corpose ( 5-6 % ) che si trovano ancora sul mercato, possono essere acquistati solo a prezzi molto elevati, per cui il rendimento effettivo , che tiene conto del prezzo e della cedola, è quello di mercato che, come detto, oscilla su valori di poco superiori allo zero per le durate brevi e vicino al 3% lordo per scadenze intorno ai 50 anni ,ovviamente,in questo caso, aumentandone il rischio . Pertanto possiamo concludere

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CLUBECONOMIA&FINANZA che con i bond, in questo momento, si porta a casa un risultato discreto solo diminuendo la soglia di sicurezza. Per coloro che accettano una dose di rischio più elevata, si può ipotizzare di inserire nel portafoglio anche un po’ di emissioni con durata illimitata ( i perpetual ) che pagano rendimenti lordi superiori al 5%; in alternativa , obbligazioni “ subordinate “ con durata compresa tra i 16 e 30 anni , anche in questo caso con il rendimento che può arrivare intorno al 5%. Se la propensione al rischio è medio alta è comunque consigliabile di non superare nel proprio portafoglio una soglia del 10-12 %; se invece è piuttosto alta si può arrivare al 20-25 %. Altra via per ottenere dei buoni rendimenti è rappresentata dall’investimento in fondi a cedola. In questo caso, il flusso di cassa costante rassicura l’investitore, evocando le caratteristiche tipiche dell’investimento obbligazionario, tanto care al risparmiatore italiano, ma il rischio di prendere male le misure è sempre in agguato: la ricerca di un coupon elevato implica una componente rilevante di azioni , obbligazioni speculative o bond emergenti all’interno del portafoglio, e, in alcuni casi, può portare all’erosione del capitale investito. D’altra parte , con un investimento calibrato, per non deteriorare troppo la qualità del portafoglio obbligazionario, può aver senso allargare il proprio orizzonte all’universo high yield , magari anche oltre la zona euro, affacciandosi a titoli in valuta estera per avere accesso alle aree dove i tassi di riferimento sono più elevati . In questo caso quali emissioni e quali divise scegliere? L’euro dovrebbe indebolirsi rispetto al biglietto verde, al dollaro canadese e alla corona norvegese; poi ci sono i paesi emergenti anche se , pur tenendo conto che ogni paese fa storia a sé, il rafforzamento del biglietto verde e il rialzo dei tassi negli States sono sempre stati forieri di difficoltà per gli emergenti. C’è

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poi chi alla cedola obbligazionaria preferisce da tempo il coupon azionario. La tentazione nasce dalla constatazione che i titoli con elevati dividendi, in crescita da almeno 5 anni, rappresentati dall’indice “Eurostoxx Selected Dividend 30” , offrono un rendimento del 5,3 % e “ l’Eurostoxx 600” , il tradizionale benchmark azionario europeo, dà il 3,6 % , il doppio della cedola staccata dal Btp a 10 anni ( 1,6 % ) e quasi cinque volte il rendimento dell’indice obbligazionario Barclays Euro Aggregate corporates ( 0,7 % ). Tra l’altro le blue chip di Piazza Affari sono in cima alla lista dei titoli più generosi d’Europa: Intesa Sanpaolo con uno yeld del 9% occupa il secondo gradino del podio dell’alto rendimento tra i titoli dello Stoxx 600, ma è tutta Piazza Affari a mettersi in mostra con un rendimento del 4,2% rispetto al 3,6% dello Stoxx 600. Dobbiamo però tenere conto che la differenza si spiega anche con la distanza in termini di performance , da inizio anno l’indice europeo perde il 5,4% rispetto al meno 24% del Ftse Mib. Sul mercato non mancano comunque soluzioni più sofisticate come i certificati che consentono di “trasformare “ il rischio azionario in cedole potenzialmente più generose , o opportunità di investimento innovative come il prestito tra privati. In quest’ultimo caso anziché investire in Btp e quindi fare credito allo Stato , o alle grandi Aziende tramite i corporate bond , oggi si può prestare denaro direttamente ad altre persone tramite un sistema organizzato di prestiti tra privati ( vigilato da Bankitalia ) che facilita l’incontro via web tra chi ha bisogno di un finanziamento e i risparmiatori disposti a mettere a frutto una parte del loro capitale, incassando gli interessi mese dopo mese , a mò di cedola. Ci guadagnano tutti : i prestatori ottengono un rendimento appetibile e decorrelato alla performance di azioni e bond. I buoni pagatori si finanziano a

condizioni vantaggiose e la società che gestisce la piattaforma incassa la commissione per il servizio. Il rendimento di queste operazioni varia dal 4 al 7 % , al netto delle commissioni per il servizio, in base al profilo di rischio dei soggetti a cui si decide di prestare denaro ; vanno ovviamente considerati il prelievo fiscale e le eventuali perdite su crediti. Ultima considerazione vorrei farla sugli effetti sui mercati delle prossime elezioni americane( quando ho scritto l’articolo non ne conoscevo ancora l’esito). Ebbene se dovesse vincere la Clinton , la Borsa tirerebbe un doppio sospiro di sollievo : di certo nel breve periodo in quanto da sempre , la conferma del partito al potere ha tranquillizzato i mercati nei due-tre mesi dopo il voto. Ma anche nel lungo termine perché con un presidente democratico le azioni americane si sono rivalutate in media del 7% l’anno contro il 3 % della performance con un repubblicano. Se invece vince Trump , nell’immediato scendono le azioni USA e le valute dei paesi emergenti e sale l’indice Vix di volatilità delle borse. Ma al di là di queste considerazioni rimane valida a tutte le latitudini la “regola d’oro “scritta in tutti i manuali di finanza comportamentale che mette tutti d’accordo: non importa chi occupa la Casa Bianca , tanto in borsa , guadagna solo chi compra ai minimi e vende ai massimi. Sembra facile, ma qualcuno lo fa davvero? I dati di raccolta dei fondi comuni e degli ETF fotografano una realtà ben diversa. Pochissimi, anche tra gli investitori professionali riescono a cavalcare l’onda giusta. Sono infatti sempre più numerosi coloro che acquistano vicino ai massimi e vendono in prossimità dei minimi di mercato in preda al panico. Invece , nell’impossibilità di prevedere il punto esatto del crollo o del picco, sono i nervi saldi che in genere premiano nel lungo periodo. Pertanto pazienza, perseveranza e lungimiranza.

A CURA DI


FINANZA & FUTURO

DEUTSCHE BANK

L’INVESTIMENTO RESPONSABILE di Giancarlo Temperilli Executive Advisor - Gruppo Deutsche Bank Finanza & Futuro L’Investimento Responsabile Ralph Waldo Emerson, filosofo e scrittore americano del 19° secolo, scriveva in piena Rivoluzione in-dustriale: “Fare bene è il risultato di fare del bene. È questa l’essenza del capitalismo”. Ma lo è vera-mente? Troppo spesso negli ultimi decenni l’investitore ha guardato soprattutto a sé stesso, cercando di massimizzare il proprio profitto investendo laddove sperava di estrarre il maggior valore, facendo leva su alcuni parametri classici di valutazione delle società di interesse: margini, struttura di costi, pro-spettive di crescita degli utili, analisi del mercato di riferimento. Lo stesso facevano le società: in un contesto in cui l’investitore e l’azionista erano molto attenti alle dinamiche di breve e medio termine (i risultati trimestrali, il pagamento periodico di dividendi…), le stesse società erano e probabilmente in parte sono incentivate a massimizzare i benefici immediati a scapito di quelli futuri. Questa “mio-pia” operativa e strategica ha accompagnato gran parte della crescita economica globale, prima nei Paesi sviluppati sia – più recentemente – nei Paesi in via di sviluppo. Probabilmente quest’ottica di breve termine ha anche accelerato il progresso umano, accompagnandolo a ritmi esponenziali a parti-re dalla Prima rivoluzione industriale, poi attraverso le successive rivoluzioni industriali che si

sono susseguite negli ultimi secoli. Negli ultimi decenni abbiamo potuto appurare tutti gli effetti deleteri di questi eccessi. Sono stati proprio questi ultimi decenni a ricordarci che ogni società, ogni Stato è un insieme di esseri umani, e ogni gruppo di esseri umani genera un impatto maggiore di quello facilmen-te estrapolabile dai bilanci e dalle analisi di periodo degli analisti. Solo così, in Francia come in Cina, ci siamo resi sempre più conto – come investitori, come azionisti e come cittadini, di quanto sia fonda-mentale un’analisi approfondita dell’impatto ambientale, sociale e di governance che ogni società pro-duce. Allo stesso modo, ci siamo resi sempre più conto che gli stessi Stati, in quanto società di esseri umani, vanno valutati e comparati in base al loro contributo collettivo all’ambiente ed alla collettività, in modo non dissimile da quello con cui si possono analizzare le società, ma con scale e metriche di-verse. Tornando al nostro punto di vista di investitori, diversi studi hanno dimostrato che chi è in grado di guardare da una prospettiva più ampia le società e gli Stati in cui investire, riesce nel tempo a benefi-ciare di maggiore rendimento, perché riesce a estrarre non solo il valore di società solide dal punto di vista puramente finanziario, ma si pone anche l’obiettivo di estrapolare parte di quella “utilità sociale” che danno le società e gli Stati più attenti a “fare bene” e “fare del bene”.

Meglio ancora, negli ultimi anni si è sempre più sentita l’esigenza di affiancare l’analisi finanziaria a queste considerazioni di natu-ra ambientale, sociale e di governance (ESG ), per arrivare più recentemente a rendersi conto che gli aspetti strategici, finanziari e di sostenibilità non vanno visti come dimensioni diverse, ma come di-mensioni integrate ed interconnesse, da leggere assieme in un bilancio integrato. Il concetto di Inte-grated reporting (IR) è recentemente diventato uno sbocco naturale dell’attenzione alla sostenibilità, rendendo sempre più comune la scelta delle società di attuare una politica di comunicazione integrata che unisce in un unico report periodico tutte le informazioni utili a comprendere la creazione di valore che la società pone in essere, andando a dare uno sguardo di lungo termine non solo ai propri azioni-sti, ma anche alle comunità dell’indotto, del settore e degli Stati in cui opera, oltre che alla collettività in generale. Creare valore nel tempo e “fare del bene”, quindi, sono sempre più visti dei sinonimi: e non ci riferiamo certo a società “non profit”, bensì a aziende di fama mondiale e società medie e pic-cole che hanno compreso come le due strade (“fare bene” e “fare del bene”) siano in realtà un’unica strada integrata che permette agli azionisti, agli investitori ed alle collettività di estrarre quanto più valore possibile sia nell’immediato che nel medio e lungo termine.

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FINANZA & FUTURO Deutsche Bank e la Sostenibilità Il Gruppo Deutsche Bank ha da tempo adottato elevati standard ambientali e sociali nel proprio busi-ness per un futuro sostenibile. In queste misure rientrano, oltre alla normativa interna, anche commitment esterni in termini di ade-sione a principi internazionali, quali quelli del Global Compact UN, le linee guida OCSE, il principio ISO 14001, oltre che gli standard di gestione ambientale. In questa analisi ci concentreremo sul punto di vista dell’investitore, ricordandoci però che il Gruppo DeutscheBank è attivo sulle tematiche di sostenibilità in tutte le aree di business in cui opera, dalla creazione di Green Bonds al coinvolgimento diretto nel microcredito. Il Reporting delle informazioni ESG Deutsche Bank intende la sostenibilità come valore e fonte di valore aggiunto: “fare del bene” vuole tramutarsi in “fare bene” alla stregua di parametri squisitamente finanziari quali il rendimento, la liqui-dità e la volatilità di un investimento. Nell’abbracciare l’approccio alla sostenibilità nell’ambito degli investimenti, il nostro Gruppo si affida a un esperto tra i pionieri del rating di impatto ambientale e sociale, Oekom Research AG. La filosofia di Oekom mira ad analizzare e selezionare la performance ambientale e sociale per aziende, settori ed interi Paesi , sulla base del concetto di rating stabilito scientificamente e migliorato regolarmente in modo da adattarsi all’evoluzione delle dinamiche di mercato, pur mantenendo un approccio puramen-te quantitativo. L’universo di analisi copre più di 6200 società globali, incluse 3800 società listate di grande e media capitalizzazione, incorporate sia nei Paesi sviluppati che nei Paesi in via di sviluppo, oltre che 5500 veicoli finanziari non quotati; a livello governativo sono analizzati 56 Stati e 700

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autorità locali e re-gionali. L’universo di analisi di Oekom comprende anche i singoli settori, sia quelli maggiormente attivi nelle tematiche di sostenibilità (ad esempio chi è attivo nelle energie rinnovabili) sia quelli meno diretta-mente implicati in esse (ad esempio il settore tessile). Coerentemente con le evidenze empiriche e la necessità di dotare gli investitori di un approccio che sia sempre più in linea con il trend di analisi olistica delle società (in linea con l’Integrated Reporting), Oekom utilizza un approccio “Best in Class” – di carattere relativo e non assoluto – per dare risalto alle società eccellenti leader in ogni settore, che assumono una visibilità di primo piano e forniscono potenzialità di diversificazione: di conseguenza, il portafoglio non risulta quindi concentrato esclusi-vamente nei settori con rating ESG elevato in senso assoluto, ma spazia anche nei campi in cui non vi è ancora – per motivi tecnologici o per il business intrinseco – una rappresentanza di rating elevati (pensiamo al settore automobilistico, anche per i leader delle auto elettriche), ma in cui sono comun-que presenti società attente alla sostenibilità, che vanno incoraggiate ed accompagnate nel loro per-corso di miglioramento. In questa maniera, gli investitori del Gruppo Deutsche Bank possono spaziare tra circa 550 società globali che rientrano nell’universo “Prime”, che ha al suo interno una diversificazione tale da minimiz-zare il rischio di concentrazione finanziaria nei portafogli, ma che allo stesso tempo espone gli investi-tori ai leader in tutti i settori industriali. Infine, oltre al rispetto degli standard di Oekom Research, Deutsche Bank Wealth Management ag-giunge un ulteriore filtro che assicura il rispetto dei criteri di sostenibilità – questa volta assoluti – interni al gruppo Deutsche Bank. Così facendo, Deutsche Bank è in grado di offrire al

Cliente interes-sato profili di Gestione Patrimoniale Personalizzata in singoli titoli ESG-compliant azionari ed obbliga-zionari, con diversi gradi di esposizione neutrale all’azionario, che uniscono la ricetta di Oekom alla lunga esperienza nella Gestione degli attivi. Il Carbon risk rating Il 2015 ha segnato un anno di svolta per la sensibilizzazione del panorama internazionale nei confronti del riscaldamento globale. L’avvio dei Sustainable Development Goals (SDGs ) delle Nazioni Unite a settembre e poi l’accordo COP21 di dicembre a Parigi hanno dato nuova concretezza al trend sempre più pervasivo di attenzione alla sostenibilità discusso poc’anzi. È stato il Segretario generale delle Na-zioni Unite, Ban Ki-moon, a ricordare agli investitori istituzionali (fondi pensione, società assicurative, endowments, fondazioni…), a gennaio del 2016, quanto essi stessi siano altrettanto fondamentali per il rispetto degli accordi di Parigi. Gli investitori istituzionali possono essere parte attiva di questo im-pegno e, chi non lo è – ha aggiunto Ban Ki-moon – si troverà “dalla parte sbagliata della storia”. A riguardo della de-carbonizzazione, la società di analisi Oekom mette a disposizione la piattaforma “Carbon Services”, che permette una tracciabilità approfondita dei rischi legati alla produzione ed all’utilizzo del carbone nelle attività produttive, logistiche e di consumo. Questo strumento integra oltre 100 indicatori tra quelli specifici ai singoli settori industriali e quelli invece cross-settoriali, ed è a disposizione di tutte le 3800 società che fanno parte dell’universo di analisi menzionato nella sezione precedente. Lo strumento di analisi trova la sua sintesi nel “Carbon Risk Rating”, che rappresenta un indicatore omnicomprensivo che cattura la “Carbon per-formance” delle società.


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LA MENTE: CHE COS’È, COME SI FORMA E COME FUNZIONA Scopriamo le principali funzioni mentali dell’ essere umano: astrazione ed insight. di Silvia Cichella Management Academy Sida group - Area Risorse Umame

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ffrontare il complesso concetto cognitivo di mente, implica stabilire che: tutte le “immagini mentali” derivanti dall’esperienza passata dell’uomo, si sommano insieme in tal significato. La mente dell’ uomo infatti, rappre-

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senta il sistema di controllo tra la persona ed il suo ambiente ed è implicata costantemente in un processo di problem solving rivolto alla sopravvivenza. Parlare di mente, implica il riferimento diretto ai concetti di intelletto e di insight (intuizione). Per tanto, la mente suddivisa in ana-

litica e reattiva, permette all’uomo le più abili astrazioni di pensiero. La parte analitica infatti, corrisponde alla mente conscia e consapevole, che pensa e che osserva i dati, gli INPUT, ai quali susseguono prodotti mentali, OUTPUT; è la componente che ci consente di ricordare e di risolvere i problemi.

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SPECIALE LA MENTE GOVERNA L’AZIENDA La mente reattiva invece, è quella parte della mente di una persona che lavora esclusivamente sui processi automatici di stimolo – risposta. È svincolata dal controllo volontario dell’ essere umano ed ha un impatto maggiore rispetto ai processi di consapevolezza e di scopo, di pensiero, corpo ed azioni. I compiti vitali, vengono portati avanti dall’uomo che si affida per lo svolgimento di essi, alla mente analitica e concreta poiché tale qualità della mente, ci permette di essere abili nella vita pratica. E’ grazie a tale componente che ognuno di noi è capace di svolgere le attività in linea alla propria persona ed alla propria professione e raggiungere gli obiettivi prefissati. E’ dopo un primo approccio di tipo analitico e concreto al mondo che l’ uomo comincia a sviluppare una mente “astratta”, una mente che permette di concepire aspetti ideali e superiori, come ad esempio i modelli educativi e sociali, la politica o la religione. In un processo di funzionamento della mente di tipo avanzato, l’ uomo giunge ad apprendere le informazioni derivanti dall’ambiente circostante senza alcuno sforzo e dunque per intuizione o “illuminazione diretta”. Tale funzione è specifica dell’ intelletto, inteso come la facoltà della mente capace di DISCRIMINARE, DISCERNERE E COORDINARE. Tali abilità sono fondamentali per l’ avanzamento dell’ uomo in tutti i campi della realtà. “Guardare con gli occhi della mente” è la frase che allude dunque alla principale funzione che la mente garantisce all’uomo, ovvero quella di “insight”. L’ insight, è il processo per il quale la mente astratta è capace di “vedere ol-

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tre” o “vedere in profondità “. Si tratta dunque di uno “sguardo nuovo sulla realtà” che giunge quasi improvvisamente e che consente all’uomo non solo di riconoscere ma anche di cogliere quasi improvvisamente le relazioni tra aspetti della realtà che prima non riusciva a vedere, così che la realtà che prima appariva frammentata e problematica viene colta in modo globale. Ad esempio, un problema da tempo dibattuto, trova una soluzione nuova perché visto sotto una prospettiva completamente diversa. Questa è un’esperienza frequente che spesso accade nella vita quotidiana, specie dopo ripetute riflessioni su una certa situazione ed improvvisamente riusciamo a vederla in modo diverso, tanto che la nuova comprensione ci permette di pianificare comportamenti ed agire in modo più adeguato alla situazione stessa, situazione che, ci rendeva bloccati. In questo modo, la mente, grazie i processi di insight, permette l’ avvicinamento dell’ uomo al suo “se – mentale”, alla sua consapevolezza. L’ insight “rompe” le euristiche. Il pensiero intuitivo dettato dalla mente analitica, rappresenta la rottura tra un pensiero fondato costantemente su “euristiche mentali”, ovvero, l’ insieme di condotte che non garantiscono la soluzione del problema ma che consentono all’uomo di avvicinarsi alla meta, ed un pensiero innovativo. L’ euristica più specificatamente , viene definita come “scorciatoia mentale”: regola semplice e approssimativa, riproposizione standard di pensieri e comportamenti, che utilizziamo quando ci troviamo di fronte a soluzioni da risolvere. Le euristiche prodotte dalla nostra mente sono coinvolte nella formula-

zione dei processi di giudizio. Infatti, può accadere che: a seguito della acquisizione dell’ informazione e della elaborazione della stessa, l’ individuo può produrre un giudizio “erroneo”. L’ errore emergente non deriva direttamente da una “irrazionalità” pertinente alla persona quanto rappresenta il prodotto della utilizzazione di euristiche che come già accennato, sono le responsabili di risposte approssimative, le quali a loro volta causano errori grossolani. Seguendo il meccanismo di velocità della mente nella attribuzione di qualità alla realtà, le euristiche sono anch’ esse spontanee e veloci e nei confronti di un dato problema, vanno spesso verso la stessa direzione, generando i BIAS: errori cognitivi secondo cui la mente imbocca, purtroppo un tunnel di ragionamento. Quindi, il “pensiero non pensato”, è una sensazione che affiora e che attraversa la ns mente, scompare e riappare finché la situazione problematica viene non solo osservata ma anche risolta ad un livello diverso. Nella vita quotidiana ovviamente queste intuizioni non avvengono con molta facilità, vengono infatti privilegiate il più delle volte da colloqui a carattere formativo, ovvero dei “laboratori” in cui sulla base delle varie esamine, vengono prodotti molti insight che consentono alla persona di osservare la realtà in modo differente ed eventualmente accelerare i cambiamenti vitali. L’insight, funzione principale della mente, rappresenta una nuova comprensione della realtà perché allarga lo spazio della consapevolezza. Ma l’ insight mentale ha le sue caratteristiche: possiamo infatti distinguere tra un insight intellettuale e un insight emotivo.

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SPECIALE LA MENTE GOVERNA L’AZIENDA Il primo, l’ insight intellettuale, fa riferimento ad un tipo di conoscenza e di comprensione che avviene, come la parola dice a livello di intelletto e dunque, a livello di giudizio e riflessione e che si adopera tramite conoscenza per descrizione. Diversamente l’ insight emotivo, si fonda sulle emozioni ed i concetti di familiarità; il soggetto infatti si accorge e vede, sente affettivamente parlando, non attraverso delle inferenze logiche ma bensì per esperienze dirette. L’ esempio concreto può essere quello di bere una coppa di vino bianco fermo e comprenderne le differenze: sapere come quel vino è perché

lo si è già assaggiato in precedenza e sapere come è quel vino perché conosciamo bene le sue componenti in termini chimici e di solfati. Grazie alla composizione strutturale della mente, non solo possiamo conoscere attraverso i processi di insight, ma anche generare cambiamenti relativi alla nostra vita, ne è una dimostrazione l’ insight emotivo. L’ insight emotivo però va sempre “calibrato”: la maggiore consapevolezza di se non deve restare solo ed esclusivamente sul piano intellettuale e generare quella “conoscenza senza conoscere concretamente”, la quale difficilmente produce cambiamento;

d’ altra parte, occorre evitare l’ estremo opposto. L’ insight emotivo infatti, richiede una integrazione equa tra sentire e comprendere in modo che si formi un’ esperienza complessiva del significato dell’ esperienza. In conclusione possiamo stabilire che: chi non ha un insight è molto facile che abbia il suo opposto – un atteggiamento difensivo verso la vita, un “blocco inibitorio “ – motivo per cui è difficile che avvenga un processo di cambiamento e di conoscenza reale. Allo stesso tempo, però, non è detto che lo faccia chi ha una migliore consapevolezza di ciò che sta accadendo.

LA MENTE: COME CAMBIERÀ NEL FUTURO di Nicola Del Conte Management Academy Sida Group - Area Risorse Umane

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e accettiamo l’idea che la mente è la personalizzazione del cervello,

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l’organizzazione delle connessioni neuronali attraverso l’esperienza, quel cervello sarà molto vulnerabile alla tecnologia del XXI secolo” (Susan Greenfield, ricercatrice presso il Dipartimento di Farmacologia dell’Uni-

versità di Oxford). Il cervello umano è plastico, risponde di conseguenza a tutto ciò alla quale è esposto, risultando “vulnerabile”. Allenarlo è un nostro dovere. La nostra

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mente potrebbe essere pensata come un muscolo che bisogna allenare quotidianamente per ottenere risultati soddisfacenti. L’essere umano è in continua evoluzione, ma la nostra mente sarà pronta ad affrontare le continue innovazioni tecnologiche e i frequenti bombardamenti di informazioni? Nessuno può fornirci una risposta giusta e assoluta. Forse la mente non penserà allo stesso modo in cui lo facciamo oggi, in quanto il pensiero sarà impegnato non solo per controllare oggetti e azioni, ma anche per comunicare con gli altri per via neuro telepatica ad esempio. Ricollegandoci a una massima di Charles Darwin “Non è la specie più forte a sopravvivere e nemmeno quella più intelligente, ma la specie che risponde meglio al cambiamento”, forse non vi sarà un cambiamento o un’evoluzione della mente umana, ma solo un adattamento della stessa alle prossime innovazioni tecnologiche. Ripercorrendo tutte le fasi della storia umana, il cambiamento ha sempre suscitato 2 stati d’animo opposti: paura e perplessità da un lato; felicità ed entusiasmo dall’altro. Se nel Medioevo, la mente umana

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denotava una certa potenzialità, la si deve al suo adattamento a usi e costumi del tempo. Se nel 2100, la mente umana sarà capace di risolvere equazioni complesse senza l’aiuto di apparecchi elettronici ad esempio, si potrebbe parlare di evoluzione della mente umana sicuramente ma, pensandoci bene non è altro che il risultato di un ulteriore adattamento. Ora, una domanda lecita che tutti dovremmo porci è: “ le nostre menti si “adatteranno” tutte in egual modo al cambiamento? Saremo nuovamente di fronte alla creazione di fronti /stati d’animo opposti citati poco fa? Forse un modo, o un metodo utile a far sì che ci sia un’omogeneità della popolazione a fronte del cambiamento sia il Brain Training. Il “Brain Training” può essere definito come una ginnastica mentale, un allenamento cognitivo, utile al potenziamento delle capacità mentali. Ovviamente tale metodo, cosi come altri, non è attendibile al 100%, ma potrebbe darci una mano per rispondere ai continui cambiamenti alla quale siamo esposti. La mente, quando esposta a situazioni nuove, elabora l’imput molto più lentamente rispetto a eventi già affrontati. E se il “Brain Training” ci aiutasse a ridurre, dimezzare i tempi di reazione rispetto a nuove situazioni?

Di certo, poco importa se un allenamento cognitivo serva a rispondere in pochi secondi a un quiz con elevata difficoltà. Pensiamo invece agli eventi incontrollabili, come i disastri naturali e non. Numerosi sociologi e psicologici hanno evidenziato come di fronte a eventi quali terremoto, tornado, incendi, attentati e quant’altro, la maggior parte delle persone dimentica di avere un cervello, una mente appunto, capace di elaborare l’evento razionalmente. Purtroppo tutto ciò provoca caos, paura che porta tutti irreversibilmente nella strada sbagliata. Ora: “il Brain Training può educare la mente a elaborare questi disastri in diverso modo? Può portarci verso la strada giusta? Verso la salvezza?” Ritornando all’affermazione di Susan Greenfield, la quale “caratterizza” la mente come vulnerabile alle tecnologie, potremmo aggiungere che essa sia più o meno vulnerabile a tutto ciò che viene percepito come “nuovo”. Data tale vulnerabilità, potremmo concludere che il nostro obiettivo non sia quello di renderci meno vulnerabili, bensì allenare la mente affinché sia capace di affrontare determinate situazioni nel modo giusto. Quindi, la mente cambierà nel futuro? Sicuramente saranno molte le cose che cambieranno, evolveranno, trasformeranno il mondo. Compito nostro e, soprattutto del nostro cervello sarà quello di saper affrontare il cambiamento. Il Mondo cambia in modo vertiginoso, di conseguenza anche la mente di tutti noi.

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LA MENTE E L’AZIENDA di Anna Masturzo Management Academy Sida Group - Area Ricerca & Sviluppo

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all’enciclopedia Treccani: ménte s. f. [lat. mens mĕntis, affine al lat. meminisse e al gr. μιμνήσκω «ricordare»]. – 1. Il complesso delle facoltà umane che più specificamente si riferiscono al pensiero, e in partic. quelle intellet-

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tive, percettive, mnemoniche, intuitive, volitive, nella integrazione dinamica che si attua nell’uomo. In un articolo dal titolo “La mente e l’Azienda” la prima domanda che possiamo porci è: ”L’ azienda, che possiede una identità, ha una mente? In quanto definisce una mission, ha una vision, identifica valori, entra in

rapporti commerciali e giuridici con persone fisiche e con molti altri tipi di enti con cui sottoscrive accordi, contratti, e così via, questo dimostra che ha una mente?”. La prima e più immediata risposta è che ogni azienda è formata da molte menti reali, vale a dire quelle di qualsiasi persona che entra nel gio-


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co dell’identità dell’industria come azienda. Dunque ogni analisi che volesse esplorare il rapporto mente azienda dovrà tenere conto dell’identità di ciascuna di queste menti e del loro insieme, considerando che tale insieme non è soltanto la semplice somma delle parti o la combinazione dei loro conflitti. Sui temi etici e su quelli economici l’azienda ha un ruolo di conoscenza attraverso l’interpretazione, in quanto portatrice di una rilettura della realtà che si manifesta nell’agire di tutti coloro che lavorano all’interno di essa; imprenditori, dipendenti, clienti e fornitori “leggono” la realtà attraverso il filtro aziendale, e attivano decisioni e comportamenti spesso profondamente diversi da quelli che porrebbero in atto come singoli – e questo si vede bene quando in un clima aziendale difficile i lavoratori riescono comunque a perseguire gli obiettivi generali prefissi, anche in situazioni che porterebbero a considerare che la mente aziendale sia disconnessa da alcune delle parti che la compongono, in questo caso quello della comunicazione manager dipendenti.

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Di fatto non avendo l’azienda una mente reale unica, ed esistendo come una mente collettiva creata dalle menti che hanno un ruolo al suo interno, potremmo definire che l’azienda agisce nel mondo reale attraverso una mente virtuale, cosa che, nell’epoca dell’ICT, diventa assolutamente possibile senza confini di luogo e di tempo. Quindi nell’azienda le realtà in cui viviamo (quella fisica e quella mentale) diventano una sola realtà, un sistema COMPLESSO di interconnessioni che esprime di fatto una mente unica. Considerare la mente aziendale vuol dire effettuare una trama di analisi che studiano ogni aspetto della questione aziendale in rapporto all’intera realtà in cui viviamo, nessuno escluso; ad esempio, ragionare in termini di risultati di bilancio è necessario per qualsiasi azienda, ma quale sarà il fattore “tempo” da prendere in considerazione? L’analisi dirà che è del tutto ovvio che la base sia il trimestre, l’anno, o il periodo di investimento previsto, e così via, ma solo in rapporto a determinati aspetti, perché per altri occorrerà prendere in considerazione tempi molto più brevi (ad esempio quelli di chi investe in Borsa) o molto più lunghi (ad esempio in tema di impatto ambientale sul territorio). Quindi la mente aziendale decide sul suo piano e le conseguenze si ripercuotono sul piano delle altre menti

e su quello della realtà fisica: in altri termini le tematiche connesse all’esplorazione della mente aziendale riguardano il ruolo stesso dell’azienda nella complessità integrata dei sistemi sociali, economici e politici, visti nella loro totale interazione. A questo punto possiamo introdurre il concetto di management della complessità, vale a dire la considerazione di come gestire la mente dell’ impresa-organizzazione innovativa in quanto sistema sociale con molti protagonisti in contesti diversi che diventano fondamentali, -regole, stili, culture, paradigmi, punti di partenza, percorsi storici e persino accidenti del caso. In questo caso la dinamica del cambiamento, sempre più dipendente dalla natura multi-tecnologica dei prodotti e dei processi produttivi vede la mente aziendale verso un percorso di “system integrating”,vale a dire un processo di integrazione sistematica di molte tecnologie e molti saperi. Il sistema deve essere caratterizzato dalla ROBUSTEZZA/RIDONDANZA, tipica di tutti i sistemi complessi, biologici e no, in cui le risorse per raggiungere l’obiettivo possono agire ed essere utilizzate addirittura attraverso percorsi casuali e non è tanto necessaria la programmazione dell’utilizzo delle risorse rispetto ai costi quanto la strategia di immaginare tutte le dinamiche possibili. In altre parole la mente aziendale, in un contesto multiforme come quello attuale deve riferirsi ad un unico paradigma:”Quando tutto cambia cambia tutto”, cavalcando come su un surf l’onda dell’innovazione e della mutazione per divenire un continuum unico con il cuore e la passione di fare azienda.

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LA MENTE E LE NEUROSCIENZE di Silvia Cichella Management Academy Sida group - Area Risorse Umame

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l rapporto tra mente e neuroscienze è da sempre un argomento particolarmente affascinante sia per la psicologia che per i neuroscienziati. Di recente, l’impiego dei metodi di brain imaging ha permesso di dare uno sguardo alle reti delle connessioni neuronali, e se da un lato la genetica rappresenta il sistema di controllo

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di tali connessioni, dall’altro, tali connessioni subiscono anche l’influenza dei fattori ambientali. Parlare del rapporto tra: mente e neuroscienze, implica fare riferimento al sistema di coscienza dell’essere umano ed alla “Theory of Mind” o Teoria della Mente (T.O.M.) La coscienza, consiste nel disporre di una mente e di un sé che control-

la e gestisce al tempo stesso il mondo dentro di noi e fuori di noi. Senza di essa, cioè senza una mente dotata di soggettività, non avremmo alcun modo di avere una percezione di noi sia fisica che mentale e cognitiva, dunque non possiamo essere coscienti senza una mente di cui esserlo. A livello neuronale, la mente, corri-


SPECIALE LA MENTE GOVERNA L’AZIENDA spondendo ai termini cognitivi della coscienza, possiede strutture cerebrali situate nel tronco encefalico, al talamo ed alla corteccia cerebrale. La mente e la coscienza dell’essere umano si strutturano in una serie di funzioni: gli stati mentali, sono personali; l’analisi degli aspetti comportamentali degli individui, ci permette di fare inferenze sulle azioni degli altri; lo studio del cervello, consente la comprensione di alcuni aspetti della funzione cerebrale in individui nei quali si presume l’assenza o la presenza di stati mentali coscienti. L’evoluzione del cervello, viene quindi messa in relazione all’emergere progressivo della mente e della coscienza, ovvero del Se. La mente, dunque sembrerebbe emergere quando le interconnessioni neuronali generano “eventi mentali” che corrispondono ad eventi cerebrali, traducibili nel concetto di immagine mentale visiva, uditiva, viscerale, olfattiva, ecc..).le rappresentazioni che ne derivano, sono dunque attribuibili ad eventi che si trovano sia fuori che dentro il cervello, quindi nel nostro corpo o fuori di noi.La coscienza è dunque uno stato della mente in cui la persona ha la consapevolezza totale di se stessa e di essere l’autore di determinati pensieri. Ma la capacità di riconoscere tali eventi mentali ed averne una data percezione è pura responsabilità della “Theory of Mind”, ovvero Teoria della Mente. La T.O.M., si configura come l’abilità di comprendere gli stati mentali propri ed altrui e conferisce all’uomo competenze di tipo sociali e comunicative, indispensabili per i rapporti di relazione interpersonali. La capacità di attribuire stati mentali interni altrui e di fare inferenze circa conoscenze, desideri e credenze agli

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altri e prevedere i comportamenti di chi ci circonda, è una competenza che si sviluppa durante l’infanzia. Le funzioni della T.O.M., sono differenti. Sicuramente la prima funzione è di tipo sociale e fa riferimento alla “mentalizzazione”, ovvero ci permette non solo di comprendere il comportamento altrui ma anche di dare un senso alle azioni che osserviamo anche se sono azioni implicite. A livello di comunicazione interpersonale, la teoria della mente ci permette di essere “attori” della comunicazione e quindi di cogliere le intenzioni alla base di un messaggio. Ovviamente, tutto ciò, implica anche la possibilità di “previsione”, circa il comportamento delle persone che osserviamo. Nell’età evolutiva, tali funzioni sono di estrema importanza poiché consentono al bambino di farsi delle “aspettative” e di verificarle, nonché di adattare il suo comportamento agli altri ed imparare ad essere adattabile. Di conseguenza, il bambino, sviluppa la capacità di meta- rappresentazione. In una prospettiva evolutiva, la T.O.M., ha comparsa entro i primi tre anni di vita del bambino e via via progredisce essendo una competenza cognitiva molto complessa. Scientificamente, la T.O.M., viene valutata attraverso delle prove standardizzate come ad esempio il Test della Falsa Credenza di Pemmer & Wilmer, 1983, e viene utilizzato con bambini di età compresa tra i 4 e 9 anni. Genericamente, viene mostrata al bambino una scena in cui una bambola di nome Sally mette una biglia in un cestino all’interno di una stanza. Successivamente Sally esce dalla stanza ed a sua insaputa entra un altro personaggio, Anne, che sposta la biglia dal cestino ad un cassetto. Al bambino che osserva la scena, viene chiesto di rispondere dove Sally andrà

a cercare la biglia una volta rientrata nella stanza. I bambini normodotati, all’età di 5 anni circa, hanno sviluppato i processi di mentalizzazione e dunque rispondono correttamente, ovvero “nel cestino”. L’osservazione dello sviluppo dei processi di mentalizzazione appare molto importante nella fase del gioco del bambino, perché è in questa fase che il bambino sviluppa non solo il senso “motorio “ e “funzionale” del gioco, ovvero delle caratteristiche fisiche e funzionali dell’oggetto in questione ma soprattutto, il bambino sviluppa l’aspetto simbolico del gioco: ovvero l’introduzione degli aspetti di fantasia. Il far finta che uno scatolone sia un’ astronave rappresenta nel bambino la consolidata abilità si mentalizzazione tale per cui egli è sempre conscio della differenza tra reale e fantastico. La mancata presenza di T.O.M., ha notevoli implicazioni nella sintomatologia autistica. Di fatti, i bambini autistici, mostrano un deficit consistente nella capacità di menta- rappresentazione e tale deficit è alla base delle anomalie relative allo sviluppo di tipo sociale e comunicativo. Il soggetto autistico infatti sembra mostrare una “cecità mentale” nei confronti di pensieri, intenzioni e desideri altrui, diversi appunto dai propri. Risulta altresì difficile, per l’autistico comprendere le strategie di simulazione e finzione, in quanto incapaci di operare simbolizzazioni o manipolazioni della rappresentazione di realtà. Affermiamo dunque che la capacità di mentalizzazione è il presupposto di base per lo sviluppo della coscienza di sé e degli aspetti del comportamento di tipo pro- sociale. Senza una “mente” nel cervello, la persona non sarebbe capace di pensiero concreto ed astratto e di relazione interpersonale.

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IL CERVELLO E L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA di Silvia Battistelli Management Academy Sida Group - Area Ricerca & Sviluppo

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uello fra Neuroscienza e tecnologia è un rapporto che nel corso degli ultimi decenni si è intensificato sempre di più. Questo rapporto è fatto di influenze, interconnessioni, collaborazioni e scambi continui e si sviluppa secondo una duplice e reciproca direttrice. Da una parte infatti i progressi fatti dalle discipline che studiano il cervello nei suoi aspetti cognitivi (meccanismi mentali fatti di immagini, raffigurazioni, proiezioni) e neuro scientifici (meccanismi neurali costituiti da interazioni chimiche ed elettriche) hanno fornito a discipline come la robotica un grandissimo supporto alla creazione di sistemi sempre più evoluti. Queste ultime per loro conto forniscono contributi sperimentali alla ricerca cognitiva e neuro scientifica. Il risultato di questo scambio continuo sono quelle innovazioni che,

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coniugando le scoperte sul funzionamento del cervello e del sistema nervoso con quelle in campo tecnologico, portano all’invenzione di apparecchi e strumenti sempre più avanzati. Un esempio di tali strumenti possono essere senz’altro quei robot che, sempre più perfetti, sono capaci di riprodurre in comportamento dell’uomo, il suo agire, al sua sensibilità, e quindi di sostituirlo in molteplici attività, ad esempio in lavori a basso valore aggiunto, oppure al contrario, in attività pericolose. Ma gli strumenti più interessanti realizzati in tal senso sono certamente quelli che possono restituire funzioni vitali a persone disabili dalla nascita o rese tali da incidenti di particolare gravità. In questo senso vale la pena ricordare un esempio emblematico, che molti hanno potuto vedere durante l’apertura dei mondiali di calcio in

Brasile nel 2014. Grazie a un esoscheletro robotizzato, i cui movimenti erano direttamente influenzati dagli impulsi motori trasmessi dal suo cervello, un ragazzo paraplegico ha potuto tirare il calcio d’inizio della cerimonia inaugurale. La tuta robotizzata o esoscheletro, battezzata Bra-Santos Dumont (da BRA Brasile e Santos Dumont, figura pionieristica dell’aviazione brasiliana) è il risultato di trent’anni di ricerca. L’equipe a cui si deve la sua creazione si componeva di 150 elementi fra ingegneri e neuro scienziati da tutto il mondo, guidati dal neuro scienziato brasiliano, in forza alla Duke University in North Carolina Miguel Nicolelis. Egli può essere considerato un pioniere dello studio dei neuroni per codificare il linguaggio del cervello e nella creazione di una interfaccia cervello – macchina. La tuta comprende un casco al cui in-


SPECIALE LA MENTE GOVERNA L’AZIENDA terno una cuffia per l’encefalogramma rileva gli impulsi motori generati dal cervello e li invia a un computer che a sua volta genera il movimento nell’esoscheletro stesso. Questa invenzione, che potrebbe consentire un giorno a molti pazienti paraplegici di abbandonare la sedia a rotelle, rappresenta l’esempio forse più eclatante di quelle invenzioni che frutto di decenni di ricerca e studio in stretta collaborazione fra neuro scienziati, psicologi, ingegneri, programmatori che hanno avuto come risultato la creazioni di parti del corpo bioniche, che oggi esistono davvero ma che come alcuni film degli anni 70 ed 80 ci dimostrano, sono il frutto di studi pioneristici avviati molti decenni fa. Fra queste l’esempio più “antico” è costituito dall’orecchio bionico. Sperimentato sia dagli anni sessanta, si tratta di una protesi robotica denominata impianto cocleare, consiste infatti in una protesi che raccolti impulsi sonori esterni, comunica direttamente con il nervo acustico attraverso impulsi elettrici sostituendosi alla coclea. L’intervento consente di riacquistare l’udito sia a chi l’ha perduto a seguito di traumi o infezioni, sia a chi è nato privo di udito. In questo ultimo caso l’impianto della protesi entro il primo anno di vita consente di annullare completamente il deficit uditivo e il bambino non riporterà ritardi nello sviluppo delle proprie capacità comunicative. Attualmente in Italia, la metà dei quasi mille interventi realizzati annualmente viene eseguita su pazienti pediatrici. Diversi centri di ricerca lavorano su sistemi volti al recupero di arti e articolazioni. Si basa sullo stesso principio dell’esoscheletro descritto sopra la gamba

A CURA DI

robotica realizzata dal Rehabilitation Center di Chigago. Che risponde a impulsi cerebrali che vengono tradotti in movimenti. La realizzazione della protesi che richiesto quattro anni di studio ha consentito nel 2012 al trentunenne Zac Vawter, privato di una gamba da un incidente, di salire sul secondo grattacielo più alto degli Stati Uniti, situato a Chicago. LA protesi è stata realizzata grazie a 8 milioni di dollari investiti dall’esercito americano ed entro qualche anno potranno essere disponibili anche per i soldati mutilati dalle mine. Sul fronte della ricerca in campo bionico anche l’Italia è all’avanguardia. Infatti l’Istituto di Robotica della Scuola Sant’Anna di Pisa è il coordinatore del progetto finanziato dalla Commissione Europea Cyberlegs, progetto che ha portato allo sviluppo di una “gamba bionica” che potrebbe essere commercializzata fra pochi anni. Essa si compone di due parti: una protesi trans femorale vera e propria che sostituisce l’arto mancante e una sorta di “tutore” pelvico che, collegato a entrambi gli arti per facilitare il movimento. Questo sistema sviluppato è pensato per i pazienti che hanno subito amputazioni sopra al ginocchio o pazienti anziani con deficit del movimento. Lo stesso istituto pisano ha anche sviluppato un cosiddetto dito bionico, ovvero una neuro protesi fissata chirurgicamente al braccio e dotata di micro sensori al silicio che “sentono le superfici” generando segnali elettrici che vengono poi convertiti in impulsi e trasmessi ai nervi dell’avambraccio robotico. La protesi è già stata testata sull’uomo e il prossimo passo, a cui la ricerca mira, è la creazione di una mano robotica che possa trasmettere

sensazioni realistiche. Vale la pena ricordare come la biorobotica si stia focalizzando anche su protesi pensate per recuperare un altro senso fondamentale: la vista. Su questo fronte diversi attori stanno sviluppando occhi artificiali con funzionalità diverse a seconda dell’origine della cecità. La Second Sight, americana, ha sviluppato Argus II, un occhio artificiale che consente di “vedere” seppur in bianco e nero, luci ombre e sagome. Consiste in un chip impiantato nella retina che riceve le “immagini” provenienti da una microcamera montata su un paio di occhiali. Anche la tedesca Retina Implant AG ha sviluppato un sistema che funziona grazie a un chip impiantato nella retina, denominato Alpha IMS, che consente un visione più nitida, che consente quindi anche di riconoscere le forme in modo più distinto. In Italia gli studi su questo fronte vengono portati avanti dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che sta lavorando, con esiti promettenti, sull’utilizzo di cellule fotovoltaiche capaci di convertire la luce in elettricità, per la creazione di una retina artificiale. Solo negli anni settanta gli studi sulla bionica apparivano così avveniristici e i suoi risultati ancora così lontani nel futuro, al punto che la fantasia dei creatori di prodotti per la tv immaginava la donna o l’uomo bionico come umani dotati di superpoteri. A distanza di qualche decennio grazie al grande contributo offerto dalle neuroscienze, dalle scienze cognitive, dalla robotica e dall’ingegneria, tali studi hanno fatto tali e tanti progressi che oggi potremmo dire che l’uomo bionico è già in mezzo a noi.

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SPECIALE LA MENTE GOVERNA L’AZIENDA

Manager e dipendenti nella palestra della mente Intervista a Roland Del Vecchio, mental coach per atleti e imprese. «Addestriamo a cambiare, in un mondo che va alla velocità della luce» di Emanuele Garofalo

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apere affrontare le crisi, rinnovarsi, aprirsi a nuovi punti di vista, comunicare, ora più che mai, sono abilità fondamentali per fare impresa. Sono talenti naturali di manager e capitani d’industria di successo? No, sono capacità da acquisire o migliorare con un vero e proprio allenamento mirato. È materia del mental coach. «L’imprenditore, o il suo team di lavoro, al termine di un percorso di mental coaching sviluppano flessibilità e equilibrio. Senza questo atteggiamento mentale, innovare può essere difficile e una sofferenza: si tenterà sempre di risollevarsi riproponendo i propri vecchi schemi. Oggi il mondo del lavoro viaggia alla velocità della luce, ci dimostra che riproporre i metodi del passato non funziona» spiega Roland Del Vecchio, mental coach di professione per atleti, aziende e società di formazione. Chi è e cosa fa il mental coach? Il mental coach è una guida che applica un programma con il suo cliente, soggetto singolo o gruppo che sia. Questo programma è finalizzato alla costruzione di un atteggiamento mentale per superare gli impedimenti che inconsciamente il cliente ha. Il mental coaching, in modo simile alla psicologia o alla programmazione neuro linguistica, par-

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te dalla unicità del soggetto e si basa su esercizi affinché il soggetto stesso possa esprimere le proprie potenzialità, per ottenere quelli che sono i suoi obiettivi. A differenza dello psicologo però, il buon coach deve capire come ragiona il soggetto e tramite l’addestramento costruire un ponte che permette al soggetto di passare da dove si trova a dove sarebbe utile che si trovasse. Chi si rivolge al mental coach e cosa chiede? Il primo passo è del cliente, deve essere motivato e sentire la necessità di un cambiamento, deve volere qualcosa che non può ottenere con un semplice consulente. L’imprenditore che cerca un mental coach si rende conto che quello che vuole non riesce ad ottenerlo perché ha una limitazione personale e chiede un aiuto pratico. C’è anche chi si rivolge al mental coach per fare un investimento su di sé, per avere un miglioramento personale. Un altro motivo è il tentativo di compensare le proprie carenze, trasformando il proprio gruppo di lavoro. Ci contattano dicendo “il mio team avrebbe bisogno di te, non ho la capacità comunicativa per ottenere quello che voglio”. Un’altra occasione di interesse verso il nostro lavoro sono le aziende che devono assolvere doveri formativi, e per questo scelgono i percorsi di mental coaching. Quello che non possiamo

fare invece è rispondere a chi ci chiama e dice “quel reparto deve fatturare di più”. Come interviene un mental coach? Andiamo a capire quali sono le dinamiche inefficaci, controproducenti, negative e generiamo il programma per presentare a queste persone lo spostamento. Lavoriamo con dialoghi tramite domande spiazzanti e contro intuitive, a cui seguono esercizi di socializzazione preparati e sottoposti al cliente. Il dialogo ci dà il punto di partenza e torniamo al dialogo dopo gli esercizi per valutare le risposte. Il più delle volte, la nostra difficoltà è spiegare al manager che il problema da lui individuato all’apparenza in realtà è un altro e più profondo. Tra le imprese sta aumentando la cultura e l’abitudine di rivolgersi a figure come il mental coach? Sì, in Italia il coaching in generale nel 2015 ha movimentato dai 10 ai 15 milioni di euro. È una cultura che sta crescendo, anche per effetto del marketing del settore del problem solving. Non sta crescendo però così velocemente come mi sarei aspettato. Il mental coaching è un settore che esiste dagli anni ‘90 in Italia e che oggi va verso la maturità dell’accettazione, dopo aver affrontato la fase della derisione e del contrasto, come succede per tutti i settori innovativi.


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FORMAZIONE

INTERNATIONAL HOUSE TVC ANCONA-JESI: dove la formazione diventa crescita di Silvia Baldini

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i cosa ha davvero bisogno un’azienda quando si rivolge ad un centro linguistico per migliorare l’inglese dei suoi dipendenti? Di che “inglese” stiamo parlando e qual è il modo più efficace per farlo apprendere? IH TVC Ancona|Jesi, nata a Jesi come The Victoria Company e diventata International House nel 2015, ha basato i suoi servizi per aziende appunto su queste domande al fine di fornire un prodotto che punti in tutto e per tutto all’eccellenza. Vediamo quindi a che conclusioni ha portato la ricerca di Victoria in ambito di percorsi linguistici per aziende. Sinergia e precisione Un percorso linguistico ha successo solo se tutte le parti in causa lavorano verso la stessa direzione. Questo è più semplice nei corsi per privati, in cui i protagonisti sono essenzialmen-

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te insegnante, partecipante al corso e personale addetto alla customer care. Nei corsi per aziende questo processo coinvolge anche direzione dell’azienda e responsabile delle risorse umane e occorre che gli obiettivi del corso ed il loro effettivo raggiungimento siano monitorati da tutte le parti. Per fare questo, IH TVC ha al suo interno una corporate account officer, addetta a ‘plasmare’ il corso insieme ai responsabili aziendali, e una corporate course coordinator, che organizza il corso aziendale nella sua molteplicità di servizi. Gli eventuali partecipanti al corso vengono sottoposti ad una mappatura del loro livello linguistico, a cui segue un report ed una proposta del percorso linguistico adatto a loro alla luce dell’obiettivo dell’azienda. Una volta ultimato il corso, la direttrice didattica e l’insegnante formulano un report di fine corso per ogni partecipante in cui ci si accerta dell’effettivo conseguimento dell’obiettivo, report essenziale alle aziende per pro-

gettare una formazione linguistica in azienda. Sartorialità proprio così, un corso è come un abito e un abito di qualità eccellente è fatto su misura di chi dovrà indossarlo. I servizi offerti da IH TVC sono molteplici: non solo lezioni frontali, ma anche phone o e-mail tasks (simulazioni di telefonate o mail aziendali), piattaforme multimediali, accesso a sessioni di conversazioni di gruppo o eventi insieme agli studenti privati, eventuali esami per certificazioni linguistiche (anche di business English) o viaggi studio all’estero. Questi elementi vengono combinati di caso in caso per offrire al cliente la soluzione migliore per la sua impresa. Non solo: IH TVC offre anche corsi ESP (English for Specific Purposes): percorsi linguistici mirati a diversi settori specifici, come quelli per ingegneri, avvocati o chi lavora nella moda.


FORMAZIONE Flessibilità Il tempo è un fattore fondamentale per un corso. Se l’azienda si deve impegnare a ritagliare, nell’arco della settimana lavorativa, il momento dello studio, è anche vero che il centro linguistico deve far sì che le soluzioni che propone invadano il meno possibile il processo di produzione. Un esempio virtuoso di flessibilità si può riscontrare nel progetto English On The Move For Key People: Indesit Company che ha valso all’allora The Victoria Company il Label Europeo delle Lingue nel 2010. Questo percorso formativo, rivolto ai manager spesso in viaggio di Indesit Company, permetteva ai partecipanti di fare formazione anche quando non erano in ufficio, in completa autonomia. Il corso comprendeva, oltre alle lezioni in mini gruppi con un insegnante ed un ospite di volta in volta diverso (scelto ovviamente in base alla sua esperienza sull’argomento trattato in classe), anche phone tasks, e-mail tasks e accesso a piattaforme specifiche h24 la cui attività è monitorata dal docente. Questo metodo di successo, applicato poi in infinite declinazioni nei corsi aziendali attuali, ha permesso a ogni manager coinvolto di partecipare ad un percorso formativo creato ad hoc per le sue esigenze, con un obiettivo fisso ma dei contenuti che variavano in base al suo feedback e che si inserivano armoniosamente nella sua giornata lavorativa. Non solo corsi A volte all’interno dell’azienda non si riesce a trovare il tempo per far seguire agli impiegati un corso con cadenza regolare, ma allo stesso tempo possono emergere delle difficolta in attività quotidiane, come parlare al telefono in inglese, partecipare ad un meeting con persone straniere, presentare un

prodotto in lingua. Per superare questi ostacoli IH TVC propone i suoi “Business Skills workshops”, in cui tutti questi argomenti vengono trattati in modo efficace ed interattivo nello spazio di una o mezza giornata. Affidabilità Che cosa rende un centro linguistico più affidabile degli altri? Le risposte sono diverse. Per prima cosa, l’accessibilità delle del personale addetto alla cura del cliente. Oltre alle figure specifiche per la gestione del corso aziendale, nelle sedi di Ancona e Jesi di IH TVC gli uffici sono aperti dal lunedì al venerdì dalle 09.00 alle 19.30, più il sabato mattina. In qualsiasi momento si chiami, un operatore gestirà gli eventuali dubbi e richieste con cortesia ed efficienza. E’ anche di fondamentale importanza che i contenuti dei corsi siano creati da un personale altamente qualificato e che la loro somministrazione sia costantemente monitorata. Per far questo, IH TVC ha al suo interno una Director of Studies (DoS) che lavora

gomito a gomito con un suo assistente (AdoS) e l’insegnante del corso per definire i contenuti del percorso linguistico e le risorse da utilizzare. Ultimo ma non ultimo, è bene affidarsi a chi ha molta esperienza alle spalle. IH TVC festeggia quest’anno il ventennale della sua fondazione – avvenuta nel 1997 – ed ha ottenuto nella sua carriera numerosi riconoscimenti. Oltre al già citato Label Europeo delle Lingue, infatti, IH TVC è l’unica scuola delle Marche ad essere entrata a far parte di Aisli (Associazione Italiana Scuole di Lingue) e di IHWO (International House World Organisation, l’organizzazione mondiale di scuole di lingue di qualità). Il riconoscimento maggiore però, come dice il suo fondatore e direttore Giuseppe Romagnoli, è quello delle numerose aziende del territorio che continuano a vedere in IHTVC il punto di riferimento per la crescita linguistica del suo personale.

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CLUBMOTORI

2016 & MOTORI: L’ANNO DEI SUCCESSI

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essuno, all’inizio del 2016, si aspettava una crescita a doppia cifra di questo genere”, ha commentato a margine di un evento del Centro Studi Promotor organizzato a Roma presidente Unrae Massimo Nordio. Secondo dati analizzati, dunque, il mercato chiuderà a fine anno toccando quota 1.850.000 immatricolazioni. Questa crescita è avvenuta in prima battuta per fattori esterni al merca-

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to, dettati dal sostegno delle Case costruttrici: sconti, prezzi stracciati e facilitazioni. Dall’altro, abbiamo il super-ammortamento introdotto dal Governo italiano. Quest’ultimo ha indubbiamente consentito a molte aziende di rinnovare il proprio parco circolante nel 2016 e quindi ha fatto crescere tanto la quota di mercato del canale delle auto aziendali. Le previsioni per il 2017 restano quindi rosee, anche se non nettamente paragonabili all’anno precedente.

Vediamo nel dettaglio i numeri relativi a tale crescita e decrescita. PANORAMICA AUTOMOTIVE 2016/2017 Il 2016 è stato un anno di grande ripresa per quanto il mercato delle automotive, superando le iniziative di inizio anno. Questa netta ripresa, secondo il presidente del Centro Studi Promotor, Gian Primo Quagliano, durerà per tutto il 2017. L’anno prossimo, sem-


CLUBMOTORI

pre secondo il presidente Quagliano, verranno immatricolate 2.031.000 autovetture in Italia, con una crescita dell’11% rispetto alle 1.830.000 immatricolazioni previste per il 2016, e un +5,9% per il 2018. Nel mondo delle flotte, però, c’è stata un’impennata, guidata anche dagli incentivi del superammortamento”. Anche Massimo Roserba, direttore generale di PSA in Italia, si è espresso sulle previsioni del mercato auto 2017. Durante l’anno verosimilmente, il trend sarà lo stesso. È chiaro che dobbiamo guardare a un futuro a medio termine, che non sia solo numerico. In aggiunta, Roserba parla di una maggiore sostenibilità ambientale, con un occhio di riguardo alla sempre più crescente vendita delle auto elettriche. Uno strumento efficace nella vendita si conferma essere il ‘super-ammortamento’, introdotto con la Legge di Stabilità 2016, strumento vitale per il rinnovo delle flotte aziendali. Ad ottobre le vendite di auto intesta-

te alle società crescono complessivamente del 39,5%. Le auto intestate alle società di leasing e le flotte aziendali registrano incrementi rispettivamente del 21% e del 38%. Non c’è il tipico effetto stagionalità per il noleggio, in rialzo del 46% ad ottobre e una quota che cresce di 4,4 punti, da 13,3% di ottobre 2015 a 17,7% di Ottobre 2016. L’AUMENTO DI SUV E CROSSOVER NEL MERCATO Più di un quarto del mercato è rappresentato da modelli cross-over e SUV, le quali dimensioni registrano un incremento del 13,6% nel mese e del 27% nel cumulato. In netta ripresa pure le immatricolazioni dei segmenti C e D 28,5% e del 23,2% ed FCA in impennata. Le vere protagoniste riguardo le immatricolazione per alimentazione sono le auto a benzina, che ad Ottobre aumentano del 7,5% con il 32% sul mercato, le auto diesel registrano un incremento del 16% e una quota del 58% mentre le ibride registrano un aumento del 36%. Per ultimo troviamo le auto gpl e metano che, nono-

stante le previsioni, perdono rispettivamente il 6% e il 41% del mercato. OTTOBRE E I DATI DI MERCATO: LE EVOLUZIONI DI PRIVATI E NOLEGGIO Apriamo una piccola parentesi per quanto riguarda questo macrogruppo, ovvero privati e noleggio. La vendita dei primi passano dal 65,9 di quota di Agosto al 58,1% di Ottobre. La quota delle auto intestate ai privati raggiunge il 60,2% del mercato nei primi 10 mesi, le società invece hanno il 39,8% del mercato. Altra questione riguarda la stagionalità: le vendite sono più significative nei mesi primaverili e calano a partire dal mese di Giugno. La Ford Eusebi è protagonista di questo mercato in quanto può offrire ai suoi clienti 3 SUV di dimensioni e caratteristiche diverse: il SUV di taglia grande Ford Edge, la nuovissima Ford Kuga finalmente anche 1.5 TDCi e la più agile EcoSport. Per l’utilizzo di questi mezzi disponiamo di tutti i sistemi di acquisto: finanziamento, Idea Ford, leasing e noleggi a lungo termine.

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CONFCOMMERCIO

Coinvolte le attività di abbigliamento, calzature, accessori, tessile per la casa, pelletterie ed articoli sportivi

S.O.S. ETICHETTATURA: UN WORKSHOP PER EVITARE SANZIONI Organizzato da Confcommercio Marche Centrali con l’obiettivo di aggiornare le Imprese sul tema dell’etichettatura

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NCONA – E’ stata una grande occasione, molto partecipata, di formazione e aggiornamento delle Piccole e Medie Imprese del settore della Moda sul tema dell’etichettatura dei prodotti. Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali ha voluto fare chiarezza sulle norme che regolano l’etichettatura, dando anche seguito alle varie segnalazioni di pesanti sanzioni avvenute nella provincia di Ancona, con un workshop operativo dedicato ai negozi di abbigliamento, calzature, accessori, tessile per la casa, pelletterie ed articoli sportivi, dal titolo ‘S.O.S. Etichettatura’. Il workshop si è tenuto il 10 novembre scorso ad Ancona e a Civitanova Marche, con il rispettivo patrocinio della Camera di Commercio di Ancona e della Camera di Commercio di Macerata, alla presenza del direttore generale Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali Massimiliano Polacco e del segretario generale Federazione Moda Italia Confcommercio Imprese per l’Italia Massimo Torti che è stato a disposizione degli imprenditori per chiarire ogni dubbio legato non solo alla normativa ma anche alla categoria entrando nel dettaglio delle problematiche di settore e fornendo alle imprese presenti tutte le informazioni

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necessarie per tutelarsi sull’etichettatura. L’etichettatura infatti pone alcuni problemi ai dettaglianti anche se i prodotti sono stati già etichettati dalle

aziende fornitrici. Nel corso del workshop operativo sono stati consegnati dei kit ‘Sos Etichettatura’ con il duplice obiettivo di accrescere la consapevolezza degli imprenditori del settore moda sui rischi da evitare e di promuovere buone pratiche capaci di aumentare le probabilità di evitare fastidiose multe. Inoltre è stata anche predisposta una white list di imprese manifatturiere produttrici e/o distributrici che etichettano i prodotti tessili e di moda nel rispetto della normativa vigente. Il workshop è stato un momento di confronto molto importante ed ha suscitato l’interesse dei tanti imprenditori presenti all’iniziativa. Ovviamente l’azione di Confcommercio Marche Centrali in tema di etichettatura non si esaurisce con il workshop e continuerà l’opera di aggiornamento e sensibilizzazione presso le imprese associate. Anche per questo tutti gli uffici territoriali Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali restano a disposizione delle Imprese per dare tutte le informazioni inerenti l’etichettatura dei prodotti.


CONFCOMMERCIO

Il 58% delle Imprese marchigiane danneggiato dall’acquisto illegale: abbigliamento, alimentari i più colpiti

‘LEGALITÀ, MI PIACE’: CONFCOMMERCIO DICE NO A CONTRAFFAZIONE E ABUSIVISMO L’illegalità ha sottratto più di 6 mila posti di lavoro al Commercio, Turismo e Servizi

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NCONA – Un coro unanime contro abusivismo e contraffazione da parte di istituzioni locali e forze dell’ordine chiamate da Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali a dire no all’illegalità. E’ l’importante risultato ottenuto da Confcommercio Marche Centrali che, nell’ambito di una più ampia azione contro l’abusivismo a tutela delle Piccole e Medie Imprese come testimoniato dalle tante iniziative anche qui riportate, ha organizzato anche quest’anno ‘Legalità, mi piace’ la giornata contro abusivismo e contraffazione tenutasi nei giorni scorsi ad Ancona presso la sede dell’Autorità Portuale di Ancona di fronte ad un’ampia platea di imprenditori che hanno ascoltato con grande interesse interventi e proposte degli illustri invitati. Tra questi il Prefetto di Ancona Antonio D’Acunto, il Questore della Provincia di Ancona Oreste Capocasa, il Segretario Generale della Regione Marche Fabrizio Costa, il presidente Ap e Confcommercio Marche Centrali Rodolfo Giampieri oltre ai rappresentanti, tra gli altri, di Guardia di Finanza, Carabinieri e Agenzia delle Dogane. Nel corso dell’iniziativa sono anche intervenuti i rappresentanti di alcuni dei settori economici più duramente toccati dai fenomeni di abusivismo e contraffazione e cioè il turismo, le attività ricettive, la ristorazione, i pubblici esercizi, la moda e il commercio ambulante. I dati del fenomeno hanno completato

un quadro a tinte fosche: “Circa il 58% delle Imprese marchigiane – le parole del direttore generale di Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali Massimiliano Polacco che ha coordinato i lavori –, è danneggiato dall’acquisto illegale e i settori più colpiti sono l’abbigliamento, le calzature e i prodotti alimentari. Nel 2016 il 19% circa dei consumatori marchigiani ha acquistato almeno una volta prodotti illegali o ha utilizzato servizi offerti da soggetti non autorizzati. Abbigliamento (+ 2%) e audiovisivi, videogiochi, musica (oltre il +2%) svettano su tutti, ma tra i settori più colpiti ci sono anche i gioielli e i generi alimentari”. Pesante anche il danno economico diretto alle imprese della nostra regione. Circa 1,02 miliardi di euro è il giro di affari sottratto dalla criminalità alle imprese del Commercio e della Ristorazione mentre sono circa 6.600 i posti di lavoro sottratti al Commercio, Turismo e Servizi. “Cresce anche – afferma il presidente Giampieri – l’acquisto illegale sul web, dai farmaci all’elettronica. Il 67%

circa dei consumatori marchigiani pensa che acquistare prodotti illegali sia ‘normale’ o ‘utile’ per chi è in difficoltà. Lo sostengono in prevalenza uomini e giovani fra i 18 ed i 24 anni. Nel 2016 la percentuale delle imprese marchigiane del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti che ritengono di essere state danneggiate ‘in generale’ dall’azione della illegalità è cresciuta al 63%”. I dati parlano di fenomeni che nuociono pesantemente alle attività economiche perchè incidono anche sul corretto funzionamento del mercato in quanto falsano il gioco della concorrenza comportando la perdita di fiducia degli operatori e la diminuzione degli investimenti. Questi fenomeni impattano pesantemente sul sistema economico-sociale in quanto determinano la chiusura di imprese oneste e la perdita di posti di lavoro colpendo anche la sanità e la sicurezza

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CONFCOMMERCIO pubblica e causando un danno d’immagine all’intero paese. Molto importante è inoltre il danno per il consumatore finale, poiché le merci contraffatte o l’esercizio abusivo di una professione possono mettere in serio e reale pericolo la salute del consumatore o minacciare la sua sicurezza, specie in alcuni settori come quello cosmetico e farmaceutico, automobilistico,

dei giocattoli e l’alimentare. La contraffazione e l’abusivismo, infatti, determinano il venir meno di una della garanzie sulla qualità dei prodotti o dei servizi a vantaggio dei consumatori. I prodotti contraffatti sono infatti solitamente fabbricati nel più completo disprezzo delle norme sulla sicurezza. Non va dimenticato infine il danno causato da abusivismo e contraffa-

zione alla casse dello Stato per l’evasione contributiva e fiscale, dall’Iva alle imposte sui redditi, oltre al danno alla legalità per il reinvestimento o il riciclaggio dei profitti ricavati da attività illecite in altrettanto proficue attività delittuose (droga, armi, ecc.) da parte di organizzazioni malavitose.

Confcommercio Marche Centrali-Prefettura:

SOTTOSCRITTO PROTOCOLLO D’INTESA

Unità di intenti per contrastare tutti i fenomeni che possono creare danni alle Imprese

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NCONA – Un protocollo d’intesa per rendere ancora più stretta ed efficace la collaborazione tra Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali e la Prefettura di Ancona nella lotta a tutti quei fenomeni di illegalità che possono creare danni alle Imprese. L’intesa riguarda le misure da intraprendere nei confronti dei fenomeni di abusivismo commerciale e contraffazione per i quali la Confcommercio Imprese per l’Italia Marche Centrali è da tempo in prima linea. Il protocollo entra anche nel merito, con un apposito riferimento, delle possibilità di una corretta e proficua gestione delle azioni di scoraggiamento, all’ingresso negli esercizi commerciali, rivolte ai venditori abusivi dal momento che spesso tali comportamenti hanno creato situazioni di controversie e riven-

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dicazioni notturne nei confronti degli operatori che hanno tentato la dissuasione diretta alla frequentazione delle proprie attività. Si tratta dunque di un protocollo completo che vuole affrontare, in linea con le inizitive intraprese dall’Organizzazione, le que-

stioni dell’illegalità e dell’abusivismo in sinergia con tutte le parti coinvolte nella lotta al fenomeno in primis la Prefettura di Ancona da sempre sensibile a tali problematiche.



ECCELLENZE E TERRITORIO

VELENOSI: ECCELLENZA MARCHIGIANA ENTRA NELL’“ÉLITE” DI BORSA ITALIANA Management Academy Sida Group - Area Corporate Finance

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l 3 Novembre scorso sono state presentate a Piazza Affari le 44 Società, di cui 31 italiane e 13 britanniche, che sono entrate a far parte del programma “Elite” promosso da Borsa Italiana. Queste società sono state selezionate per l’eccellenza ed il tasso di crescita mostrato negli anni e per il potenziale di sviluppo internazionale che dimostrano per il prossimo triennio. Tra le società protagoniste di questo percorso c’è la Velenosi Vini srl, anima del territorio grazie alla decennale esperienza tra le vigne ascolane. La

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qualità del lavoro di Velenosi è accertata dalle principali guide enologiche italiane e non solo, dove i suoi vini sono spesso equiparati alle etichette storiche di ben più note denominazioni italiane. Il successo di Velenosi è accertato non solo dagli esperti ma anche dai consumatori, e i vini sono oggi commercializzati in Italia e in altri 30 paesi del mondo in cui questa azienda è ambasciatrice del proprio territorio. Il riconoscimento di Borsa Italiana posiziona la Velenosi al primo posto nelle Marche nel comparto vinicolo, aggiungendosi ad altre tre eccel-

lenze del settore attive in altre regioni di Italia. E’ importante notare come l’azienda rappresenti un territorio, il Piceno, di grande qualità ma spesso fuori dall’immaginario comune del vino d’eccellenza. Attraverso questo riconoscimento, Velenosi dimostra come costruire l’eccellenza sia possibile anche in territori più giovani in termini di reputazione,ma dal grande potenziale. Attraverso questo riconoscimento, Velenosi non solo rappresenta il proprio caso imprenditoriale, ma fa da portabandiera per tutto un territorio che si sta rivalutando.


ECCELLENZE E TERRITORIO Il Progetto “Elite” si propone di accelerare la crescita delle società attraverso un percorso di sviluppo che aiuta le aziende a rafforzare la propria posizione nel mercato. Il programma offre alle aziende selezionate una piattaforma di strumenti e servizi per cogliere opportunità date da capitali internazionali, visibilità e networking, facilitando così la crescita delle aziende che partecipano. L’ evento che ha accolto le società neo-ammesse si è tenuto a Palazzo Mezzanotte a Milano, dove le aziende sono state presentate ad un pubblico di un migliaio tra investitori, giornalisti economi, advisor finanziari, imprenditori, e molti volti illustri tra cui il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e l’amministratore delegato di Borsa Italiana Raffaele Jerusalmi. Le aziende hanno potuto presentare il proprio progetto, raccontando il percorso che li ha portati a questo risultato e i progetti per il futuro. A presentare la società Velenosi Vini è stato Paolo Garbini, amministratore aziendale, accompagnato dall’ Equity Manager della società SidaGroup, il Dott. Michele Sasso: “Il nostro team di Finanza Strategica ha affiancato l’Azienda durante tutto il processo di Pre-ammissione al percorso di Borsa Italiana, di cui siamo Partner Equity Markets, e l’ingresso di Velenosi in Elite rappresenta motivo di enorme soddisfazione professionale per la nostra Società”. Garbini ha presentato l’azienda in rappresentanza dei due soci Angela ed Ercole Velenosi, affermando che “é motivo di orgoglio poter entrare a far parte di un percorso così prestigioso. Questa è la dimostrazione che quando impegno,

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competenze e passione si incontrano, si possono raggiungere traguardi così ambiziosi”. Garbini ha concluso affermando che “la congiuntura positiva del mercato vinicolo italiano soprattutto sui mercati esteri, ci impone di potenziare e migliorare la nostra posizione in termini fi crescita dimensionale e sviluppo internazionale”.

Quello di giovedì è stato solo il primo di una lunga serie di appuntamenti che si svilupperanno nel corso dei prossimi due anni, e che porteranno Velenosi Vini ad affermarsi tra le eccellenze nazionali e internazionali, non solo nel settore enologico ma nell’imprenditoria italiana. L’obiettivo di questo percorso è di incrementare l’attuale 65% di fatturato rivolto all’export internazionale. Lo sviluppo internazionale è un percorso già intrapreso dall’azienda, che collabora da anni con importatori di tutto il mondo e che ha investito particolarmente in mercati come quello asiatico e statunitense.

aziende che possono sostenere questo sviluppo. L’obiettivo è poter far crescere la reputazione di un saper fare che non ha eguali al mondo, aumentando la possibilità di comunicare le tipicità e le unicità del territorio. Il Piceno ha una lunga storia enologica, ma è salito alla ribalta solo recentemente grazie ad un delicato lavoro di aggiornamento delle proprie strutture, e ad un investimento oculato su alcune varietà autoctone, in particolare Passerina, Pecorino e Montepulciano. Attraverso Elite, Velenosi Vini potrà essere portavoce in maniera ancora più efficace del proprio territorio, portando la qualità Picena sulle tavole di tutto il mondo e facendosi ambasciatrice di storie e vitigni altrimenti dimenticati. Velenosi è un esempio di successo sia perché parla di vino in un territorio emergente, sia perché rappresenta la tradizione dell’imprenditorialità italiana, ovvero un’azienda familiare che ha saputo evolversi nel tempo, incrementando innovazione e investimenti senza perdere mai il contatto con le proprie radici. Questa iniziativa promossa da Borsa Italiana porterà Velenosi a svilupparsi con lo stesso vigore delle sue vigne, aumentando la capacità di estendere i propri rami verso nuovi orizzonti commerciali lasciando le proprie origini ben piantate nel suolo Piceno.

Attraverso l’iniziativa Elite è possibile non solo continuare questo percorso, ma anche entrare in rete con altre

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POLITICA&TERRITORIO

PROGETTO DI VALORIZZAZIONE URBANISTICA DELLA CITTÀ DI ANCONA UN ESEMPIO DI COME DANDOSI DEGLI OBIETTIVI E PIANIFICANDO SI POSSONO RAGGIUNGERE MIGLIORAMENTI. UN ESEMPIO DI COME SI UTILIZZANO I FONDI DELL’UNIONE EUROPEA di Mario Becchetti Management Academy Sida Group - Area Marketing e Comunicazione

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ncona sta cambiando e i progetti in cantieri sono molteplici.Porto e waterfront 3.0, riqualificazione degli Archi, lungomare Nord e molti altri: questi sono tra i principali su cui il Sindaco Valeria Mancinelli sta investendo per “puntare avanti” e cambiare il volto del Capoluogo dorico. La strategia del Comune illustrata dal Sindaco è di lavorare sulla “rigenerazione urbana”, intesa come trasformazione fisica di intere aree e pezzi di città, per valorizzarne le potenzialità di sviluppo e la qualità urbana. Questo filone progettuale si integra con quello efficientamento della macchina pubblica Nel primo ambito, tra le più importanti opere e iniziative già realizzate ci sono il recupero del Porto antico, il restyling di piazza Cavour, la pinacoteca Podesti, la Mole Vanvitelliana, per cui presto ci sarà un appalto da 8 milioni di Euro per l’ultima tranche del restauro. A dicembre è previsto

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anche il taglio del nastro dell’ex-Metropolitan, dopo 23 anni di attesa, mentre i lavori dell’ex-Umberto I sono iniziati e termineranno alla fine dell’anno prossimo. Ma il cuore pulsante della strategia di rigenerazione urbana del Comune di Ancona riguarda soprattutto i lavori e le opere previste nei prossimi due anni, che potrebbero cambiare veramente il volto di Ancona, rafforzando la sua funzione di Capoluogo delle Marche con una forte apertura internazionale. WATERFRONT 3.0. Il progetto mira soprattutto a valorizzare il fronte mare davanti al Porto antico, con il restyling di Palazzo degli Anziani, una scalinata e un’illuminazione scenografica. Le opere sono molteplici: la scalinata dell’architetto De Carlo che scende da Palazzo degli Anziani a piazza Dante Alighieri; la casa del capitano del Porto restaurata e senza più le due palestre del Nautico al fianco;

lo Urban center ai piani inferiori di Palazzo Anziani. Questi interventi rafforzerebbero ulteriormente la strategia di integrazione Porto-Città già in corso, per valorizzarne tutte le sue enormi potenzialità così come fatto da molte città internazionali, a cominciare da San Francisco. Il costo complessivo del progetto è di circa 8 milioni di Euro, finanziato in gran parte con fondi europei. RIQUALIFICAZIONE ARCHI-STAZIONE PALOMBELLA. Il progetto consente il rilancio di quest’area fondamentale per la qualità urbana di Ancona, che interessa oltre 3.000 residenti e, in modo indiretto, oltre 1/3 degli abitanti di Ancona. L’obiettivo dell’intervento, infatti, come si legge nell’introduzione al programma di riqualificazione è “il recupero della dignità e dell’identità espressiva dei luoghi per rafforzare la coesione sociale, l’attrattività turistica


POLITICA&TERRITORIO ed il rilancio economico-sociale delle zone degradate”. La riqualificazione di quest’area strategica si articola in 6 progetti: il cronoprogramma della loro realizzazione prevede da un minimo di 28 mesi ad un massimo di 36 mesi. I sei macro-progetti previsti riguardano molteplici opere e interventi per la qualità e la sicurezza urbana: recupero dell’ex birra Dreher; realizzazione di un museo sulla grande frana e nuovo collegamento con il parco urbano sovrastante; realizzazione del parcheggio scambiatore per autobus al Verrocchio; parcheggio di 260 posti auto, anche a servizio della Stazione; restyling del quartiere ex Iacp di Via Marchetti e Via Pergolesi; rifacimento di Piazza del Crocifisso agli Archi; riqualificazione di Via Marconi, con il restauro degli archi e la realizzazione di una rotatoria di ingresso al Man-

A CURA DI

dracchio; riqualificazione dell’area di Borgo Pio agli Archi, dove saranno realizzati locali per le associazioni e alloggi di edilizia sociale con il perno nel Social Lab “Archicittà”. Le iniziative hanno un costo complessivo di circa 70/80 milioni di Euro, di cui 24 finanziati da fondi europei e nazionali. LUNGOMARE NORD. Nel 2017 verranno progettati i lavori del Lungomare Nord insieme con Ferrovie dello Stato, che ha già stanziato 16 milioni di Euro per l’interramento da Marino Dorica a Torrette per realizzare una nuova linea ferroviaria, l’ampliamento della Flaminia e la passeggiata a mare a Nord. L’obiettivo è ridisegnare i 1500 metri della costa tra Torrette e la Stazione centrale, per realizzare molteplici finalità: linea ferroviaria senza più

curve; Flaminia allargata a quattro corsie, con due di emergenza; interramento per mitigare il rischio frana; realizzare la passeggiata sul mare con vista Porto turistico e città, anche con un nuovo accesso a Marina Dorica. E’ questo un progetto dal costo complessivo di circa 50/60 milioni di Euro. In definitiva, Ancona ha in cantiere progetti che potrebbero cambiare il suo volto rafforzando l’integrazione Porto-Città e risolvendo molte criticità di alcune delle sue aree più degradate. E’ anche questo un modo per rafforzare la sua funzione attrattiva e direzionale di Capoluogo delle Marche a forte apertura internazionale. Il tutto con rilevanti ricadute sull’aspetto dello sviluppo economico, quindi su investimenti, occupazione e consumi.

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POLITICA&TERRITORIO

“AUGURI ANCONA”: IL NATALE DA NON PERDERE Dal Christmas Village ai mercatini tradizionali. E poi concerti, eventi, spettacoli per famiglie. Torna la pista di pattinaggio sul ghiaccio. Ancona si cala nell’atmosfera nordica del Natale. di Chiara Bartolomei

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splode il Natale ad Ancona. Dal 3 dicembre al 6 gennaio il centro città diventa scenario di appuntamenti e spettacoli per grandi e piccini. Arriva “Auguri Ancona”, un cartellone di appuntamenti natalizi che fa il suo ingresso per la prima volta nel centro storico. Il concept prevede un arco illuminato all’ingresso di Piazza Cavour: una porta che sancisce l’inizio di un piccolo mondo magico, tra villaggio di Babbo Natale, mercatini tipici e una pista di pattinaggio sul ghiaccio. Lungo corso Garibaldi un “red carpet” accompagna la passeggiata fino all’imbocco del porto. Al centro della “promenade” il nuovo albero di Natale, e a fare da cornice un’illuminazione brillante che decora alberi e palazzi. GLI ALLESTIMENTI Il cuore del Natale si snoda tra piazza Cavour, Piazza Roma e Corso Garbaldi. Altre location: Piazza del Papa e Corso Amendola. Per entrare nell’atmosfera del Natale, si attraversa un arco di luce che porta alle iniziative di Piazza Cavour: la pista di pattinaggio su ghiaccio (attiva tutto il giorno dal mattino alla sera), il Christmas village dedicato ai bambini e le casette di Natale con il mercatino tradizionale. Il tappeto rosso, che aveva contrad-

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distinto la festa per l’inaugurazione di Piazza Cavour, diventa la guida di riferimento per il Natale in centro. Il profumo del Natale: lungo piazza Cavour e tutto il Corso si sentirà il profumo del Natale, 80 erogatori dislocati in punti chiave lasceranno tutto il giorno scie di profumo all’arancio e cannella. Durante il periodo musica in filodiffusione e proiezioni natalizie sulle pareti dei palazzi. Piazza Roma è ovviamente il centro degli eventi. Accanto all’albero di Natale la casetta di Babbo Natale. Mentre un’altra casetta sarà posizionata in Piazza del Papa. E poi gli elfi, indaffarati a confezionare regali che Babbo Natale si affretterà a consegnare ai bambini dopo che avranno lasciato la letterina nella sua casetta. E ancora: tutti i week end dal giovedì alla domenica sarà presente animazione, attività, giochi, laboratori e spettacoli per bambini. Sotto l’albero di Natale accadranno molte cose durante tutto l’arco natalizio: dalle corali cittadine alle iniziative delle scuole. Ogni venerdì un concerto jazz. IL CLOU DEGLI EVENTI Venerdì 23 dicembre la tradizionale Gospel Night: al Teatro delle Muse “Pastor Ron Gospel Show”. Predicatore carismatico il Dottor Ronald Ixaac Hubbard (Pastor Ron), viene da

Cleveland, Ohio. La sua personalità è straripante, il suo umorismo è esplosivo e contagioso. Trascina tutto e tutti col suo modo dirompente abbattendo inesorabilmente ogni barriera e arrivando direttamente al cuore delle persone. Imperdibile anche il Capodanno in Piazza del Papa. Serata di musica con il live di Cosmo e dj set, videoproiezioni e giochi di luce. All’Anfiteatro Romano, invece, il Presepe Vivente che per la prima volta verrà rappresentato in questa location così evocativa e suggestiva. Insomma, il Natale 2016 ad Ancona è davvero un evento da non perdere. Info: www.auguriancona.it


WATERFRONT

The project is co-funded by the European Union, Instrument for Pre-Accession Assistance

CARICA: RAFFORZARE CONNESSIONI E COMPETITIVITÀ DEL TERRITORIO MARCHIGIANO

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l Porto di Ancona è stato riconosciuto come terminale meridionale del corridoio Scandinavo-Mediterraneo, uno dei 9 corridoi che formeranno le principali arterie dei trasporti nel mercato unico europeo (reti TEN-T). È essenziale quindi che gli investimenti nelle nuove infrastrutture portuali siano coerenti con le priorità espresse a livello comunitario e nazionale per lo sviluppo della competitività dei porti, oltre che con l’evoluzione dei traffici. In questo contesto il progetto CA-

RICA è un ulteriore tassello della strategia dell’Autorità portuale di Ancona per cogliere le opportunità che derivano dal riconoscimento internazionale del ruolo del porto come snodo essenziale per la connessione tra l’Europa ed il Mediterraneo centro-orientale. Il progetto CARICA ha cofinanziato gli investimenti relativi ai lavori di dragaggio per consentire l’accesso in porto a navi di maggiore dimensione e per l’estensione dei binari ferroviari interni allo scalo, che aumenteranno le opportunità di av-

vio dell’intermodalità, rafforzando la competitività del porto di Ancona nel complesso scenario internazionale. Interventi in linea con le richieste del mercato, e che costituiscono anche degli esempi di concretizzazione delle priorità espresse dalla strategia di sviluppo della macro-regione Adriatico-Ionica per una migliore connessione del territorio marchigiano con le reti di trasporto terrestre e marittimo europee e mondiali. Il tutto destinato ad una auspicabile crescita economica ed occupazionale.

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TURISMO&TERRITORIO

LA DESTINAZIONE MARCHE PIACE ANCHE IN EUROPA. LIKE TOURISM 2016 APPRODA A PORTONOVO CON I BUYER ESTERI di Letizia Ciaccafava

Ricostruire una destinazione Marche dopo il dramma del terremoto. E portare gli operatori europei a conoscere il territorio, in una logica macroregionale da commercializzare. Ecco Like Tourism 2016: il 5 e 6 dicembre, grazie all’evento formativo dedicato al turismo, gli operatori di settore si sono ritrovati all’Hotel Excelsior La Fonte di Portonovo per confrontarsi e di-

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scutere sulle dinamiche del turismo, soprattutto dopo gli eventi legati al sisma che ha colpito il cuore e le imprese delle Marche. Mentre la grande novità del 2016 è stato il workshop con i 40 tour operator, tra i maggiori d’Europa, che si è svolto il pomeriggio del 6 dicembre. Una sessione in cui i tantissimi partecipanti hanno avuto la possibilità di relazionarsi

direttamente con realtà internazionali di assoluto livello. Un modo per accrescere ulteriormente la propria conoscenza del settore, e soprattutto un’opportunità per entrare in contatto con realtà internazionali interessate ai nostri territori. <<Quest’anno la parola d’ordine è stata Resilienza – ha spiegato l’imprenditore e organizzatore di Like


TURISMO&TERRITORIO Tourism Guido Guidi - dopo le vicende legate al sisma che ha colpito la nostra regione dobbiamo stringerci per ripartire, ridefinendo una destinazione Marche. Like Tourism, attraverso le sue pillole formative di cultura turistica, vuole disseminare concetti che possano servire come stimolo per un successivo personale approfondimento da parte dell’imprenditore e dell’operatore di questo settore>>. <<La Regione Marche, in stretto rapporto con un sistema di ricettività legato al privato, si impegna affinchè per il prossimo triennio venga rafforzata la promozione turistica del territorio – ha proseguito l’assessore regionale al turismo Moreno Pieroni - e soprattutto sia rilanciata l’immagine delle Marche attraverso anche una campagna aggressiva verso Paesi a noi congeniali. Puntiamo a migliorare l’accoglienza, e per questo siamo impegnati a rivalutare e migliorare tutto il sistema collegato agli Iat, sia regionali che territoriali>>. Una partnership storica, invece quella tra Confcommercio e Like Tourism: <<un binomio che ci ha visti impegnati sin dalla prima edizione – ha commentato il Direttore Confcommercio Marche Centrali, Massimiliano Polacco - quando si parla di formazione, di crescita professionale, di aggiornamento delle conoscenze e delle capacità di business, di miglioramento della competitività per le imprese del turismo e dell’accoglienza, la nostra organizzazione non può che aderire con forza e convinzione>>. E tra i main partner dell’evento quest’anno c’è stata anche la banca Monte dei Paschi di Siena. <<La nostra partecipazione a questo importante momento di analisi e riflessione del comparto turistico marchigiano è la prova che Banca Mps è al fianco degli imprenditori, delle famiglie e dei lavoratori di

questa straordinaria e laboriosa terra – ha sottolineato Maurizio Margiotta, Responsabile Direzione Territoriale Mercato di Ancona Mps - il turismo è una delle industrie trainanti delle Marche. E’ un settore articolato che vanta un’offerta diversificata e adatta a qualsiasi gusto, anche ai più esigenti, spaziando tra arte, natura, cultura, letteratura, enogastronomia, dal mare alla dorsale appenninica>>. LE MARCHE RIPARTONO: Un tavolo tecnico per ricostruire una destinazione La giornata inaugurale si è aperta con la sessione plenaria dedicata al post terremoto a cui hanno preso parte Francesco Palumbo (Direttore Generale Turismo del Mibact), Simona Teoldi (Dirigente P.F. Turismo della Regione Marche), Flavio Corradini (Rettore Unicam) e Bruno Bertero (Direttore Marketing Turismo Friuli Venezia Giulia). Moderatore: Piergiorgio Togni. L’interazione tra pubblico e privato è uno dei temi che sviscerati durante la sessione plenaria, così come lo studio di una strategia di marketing che possa servire a far voltare pagina. Basta fare un giro nel web, e digitare “Marche” in un qualsiasi motore di ricerca. I primi risultati sono siti web che riportano notizie inerenti al sisma. Questo non giova affatto a chi fa del turismo il proprio business. Dunque l’avvio dei lavori di Like Tourism ha cercato di fare il punto della situazione, offrendo soluzioni per il breve-medio periodo, orientate a riposizionare le Marche nel ruolo che le è sempre spettato: ovvero, di regione dalle tante peculiarità e con un’economia del turismo dalle enormi potenzialità. Al termine della plenaria i partecipanti si sono ripartiti tra i vari corsi suddivisi nelle tre macroaree tematiche: “Controllo e gestione”, “Sales and Web Marketing” e “Pianeta Accoglienza”.

MACROREGIONE: Una nuova destinazione? Individuare nella Macroregione Adriatico-Ionica una destinazione turistica su cui puntare a livello di prodotto da commercializzare. E soprattutto in virtù del fatto che le Marche, Ancona in primis grazie all’Autorità Portuale del Medio Adriatico, ne sono uno snodo centrale di forte rappresentanza. Questo il tema della plenaria di martedì 6 dicembre a cui hanno preso parte: Riccardo Strano (Strategia macroregione Adriatico-Ionica e Cooperazione Territoriale Europea), Alessandra Priante (International Relations Manager), Massimiliano Polacco (Direttore Confcommercio Marche Centrali). Il moderatore: Carlo Pesaresi. INCONTRI B2B Ma la grande novità di Like Tourism 2016 è il workshop con i buyer europei dell’area macroregionale. Tanti i partecipanti che hanno preso parte all’incontro B2B, in modalità speed contact, con alcuni tra i maggiori tour operator d’Europa: circa 30 buyer provenienti da Francia, Belgio, Svezia, Germania, Bulgaria, Polonia, Italia, Regno Unito, Austria, Paesi Bassi. Una sessione davvero seguitissima, che ha reso la terza edizione di Like Tourism unica nel suo genere. Per gli operatori locali è stato un modo per accrescere ulteriormente la propria conoscenza del settore, e soprattutto un’opportunità per entrare in contatto con realtà internazionali interessate ai nostri territori, con l’obiettivo di ampliare la visione sul mondo del turismo.

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CARRIERE & POLTRONE SIMONE INCICCO

GIORGIO CATALDI

Nuovo Delegato Marche Federazione Italiana Settimanali Cattolici

Nuovo Presidente Unioncamere Marche

Già Capo Redattore della testata diocesana l’Ancora online, il giornalista Simone Incicco è stato votato dalla maggioranza dei direttori o loro delegati per condurre la delegazione per i prossimi tre anni.

Già presidente della Camera di Commercio di Ancona, guiderà l’Unioncamere Marche nei prossimi mesi. Lo ha eletto all’unanimità alla guida dell’organismo regionale delle Camere di Commercio marchigiane, l’assemblea dell’Unione.

CESARE SPURI MICHELE MONTECCHIANI

Direttore dell’Ufficio speciale per la ricostruzione post sisma 2016

Coordinatore Fidicom Comitato Territoriale RomagnaMarche-Umbria Già direttore di Confapi Ancona e di Confapi Marche, Michele Montecchiani è stato insignito del ruolo di coordinatore del neo-nato Comitato Territoriale Romagna-Marche-Umbria di Fidicom Garanzia al Credito 1979 s.c.

ROBERTO BORNACCIONI Nuovo Presidente Regionale Confartigianato Odontotecnici A seguito del rinnovo del Gruppo regionale Confartigianato Odontotecnici, il cagliese Roberto Bornaccioni è stato nominato presidente di Confartigianato Odontotecnici delle Marche approvando il programma di attività che la categoria svilupperà nella regione

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La Giunta regionale ha conferito l’incarico di direzione dell’Ufficio speciale per la ricostruzione post sisma 2016 a Cesare Spuri. Il dirigente, che manterrà ad interim l’incarico della Posizione di funzione Dipartimento per le politiche integrate di sicurezza e per la protezione civile, si occuperà di tutti gli adempimenti relativi alla ricostruzione.



PORTRAIT

È MARCHIGIANA LA PERSONAL CHEF DI JOVANOTTI Maria Vittoria Griffoni, jesina di 28 anni, titolare del PepeNero Bistrot, è la personal chef dei tour di Lorenzo. Per lui cucina prodotti a km0 e molto raffinati.

di Alessandro Bracciatelli

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na chef donna molto rock’n’roll prende Jovanotti per la gola. Da imprenditrice di successo a personal chef della popstar di “Serenata rap”. La jesina Maria Vittoria Griffoni è alla guida del PepeNero Bistrot, un concept-store restaurant nel centro di Jesi. La 28enne chef propone i migliori piatti con prodotti a km zero. E ha riscosso talmente tanto successo,

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che ha replicato anche a Senigallia. E siamo a due PepeNero nella provincia di Ancona. Maria Vittoria la potete trovare sempre in cucina. Un po’ a Jesi e un po’ a Senigallia. Ma quando parte il tour di Jova, lei deve andare. E sta fuori per lunghi periodi. Ma niente paura, la brigata dei due ristoranti è ben istruita e all’altezza. Quindi si va avanti anche senza il boss, che quand’è in tour con Lorenzo “il salutista”

deve cimentarsi in piatti ultra-sani. Ma sempre a km0 e molto raffinati. Quella di Maria Vittoria per la cucina è una passione che sboccia quando ancora le sue coetanee, appena adolescenti, sognavano il principe azzurro tra i banchi di scuola. Lei, invece, si vedeva già in giro per il mondo a preparare esperienze culinarie per palati sopraffini. Quindi ha cominciato subito a sporcarsi le mani sperimentando le


PORTRAIT sue prime creazioni. Poi ha capito che ci voleva una forte base formativa per diventare un grande chef. E allora dopo due anni di liceo linguistico ha fatto retromarcia verso l’alberghiero. Da lì è iniziato il suo percorso professionale. Chiuso il ciclo di studi è cominciata una lunghissima gavetta nel catering. Poi la doverosa esperienza all’estero. Maria Vittoria ha scelto l’Australia, Sidney, dove è rimasta due anni facendosi le ossa nei ristoranti della città. Al ritorno in Italia ha deciso di mettersi in proprio, ed è nata la società Ratatouille Cucina a Domicilio. Infatti, prima di aprire il suo primo ristorante, Maria Vittoria ha intrapreso la via dello chef a domicilio. Idea per nulla sbagliata, tanto che l’ha portata alla corte di Jovanotti. Ma ancor prima di essere accolta nello staff del “ragazzo fortunato”, la chef ha dato vita al PepeNero Bistrot di Jesi: un ristorantino ricavato all’interno del concept-store di famiglia, ovvero un negozio di abbigliamento e oggettistica. E successivamente ha bissato nel centro di Senigallia. <<Chef è una parola così corta, ma così piena di responsabilitá – spiega Maria Vittoria - una figura che si occupa della creazione del menù, della ricerca degli ingredienti giusti, della loro lavorazione fino alla composizione del piatto. Ma allo stesso tempo è responsabile della cucina, del personale che compone lo staff, e del loro lavoro>>. Dunque un ruolo anche molto complicato. Eppure suscita un grande interesse da parte dei media, ma soprattutto di chi vuole cimentarsi tra fuochi e padelle. Come mai? <<Ad oggi c’è un interesse smisurato verso questo mondo perchè il 90% dei

programmi in tv si occupa di cucina, e il cuoco è considerato la nuova figura rock’n roll. Ma poi la vita del cuoco non è solo quella vista in tv. Anzi, direi che non è soprattutto quella vista in tv>>. Molto spesso chi fa il vostro lavoro è anche titolare di un ristorante, quindi svolge attività imprenditoriale proprio come lei. Come si coniuga l’estro e la fantasia di un grande chef con le linee più rigide del lato finanziario dell’imprenditore? <<Spesso nelle realtà più piccole lo chef è anche il titolare del ristorante. Sicuramente la parte più divertente, più creativa, più piacevole è quella in cui ci si sporca le mani. Non quella in cui si fanno i conti tra entrate e uscite, ricavi, le banche, eccetera. Ma tutto fa parte della figura imprenditoriale. Basta solo organizzare i tempi. Però, per me, prima il piacere poi il dovere>>. Tutti questi talent non rischiano di immettere nel settore una pletora di nuovi chef autodidatti e con poca formazione e alle spalle? <<Io credo che ci sia posto per tutti, se si fa bene il proprio lavoro. Credo anche che, come in tutti i lavori, chi non ha conoscenza, professionalità, o semplicemente passione, non va troppo lontano>>. Arriviamo alla sua attività di personal chef: lei è stata conosciuta dal grande pubblico anche per essere diventata la personal chef di Jovanotti. Ci può raccontare come è avvenuto il sodalizio? Che cosa prepara solitamente per una popstar salutista come lui? <<Il tutto è nato con iFoodies, la prima App che raccoglie le più importanti aziende e produttori che operano nel settore dell’agricoltura

biologica, e non solo, dislocate nella penisola. Ho visto che in quella piattaforma era partita la ricerca di un personal chef per tutta la durata degli ultimi tour di Jovanotti. Mi sono fatta avanti, e sono stata selezionata. Il mio compito è prima di tutto soddisfare le richieste alimentari dell’artista, utilizzando prodotti bio e a km0. È molto divertente e molto interessante anche dal punto di vista lavorativo. Ho conosciuto aziende, produttori, altri chef. L’alimentazione di Lorenzo? E’ attenta e salutista, alternata ad una regolare attivitá fisica. Mangia verdure, tante. E poi pesce non allevato, quinoa. Solitamente chiede cotture al vapore e senza condimenti>>. Quanto ha influito, sulla sua carriera, l’essere nata e cresciuta in un territorio dove l’enogastronomia ha sempre avuto una storia importante e riconosciuta? E che cosa entra, nei suoi piatti, del territorio marchigiano? <<Ad oggi lavorando a Jesi e Senigallia, ed utilizzando prodotti a km0, mi accorgo dell’importanza che ha il territorio. C’è una netta differenza tra i prodotti che prendiamo dal contadino e quelli che importiamo da chissà dove. Il nostro territorio ha tanto da offrirci, ma noi dobbiamo saperlo sfruttare e valorizzare al massimo. I miei piatti sono fatti di prodotti locali e di amore. Sempre>>. Sogni nel cassetto e obiettivi per il suo futuro? <<Quando fai un lavoro che ami e che ti dà la possibilità di divertirti ed esprimerti, cos’altro potrei chiedere al mio cassetto riguardo ai sogni futuri se non continuare a fare ciò che faccio?>>.

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