nate da docenti dell’Università Bicocca di Milano.
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Iacopo Casadei Valentina Chioda Luigi Maniglia
IMPROVVISO EDUCARE AL SUCCESSO EDUCATIVO Aiutare iPer figliuna nella scelta della scuola superiore didattica “reidratante”
EDUCARE AL SUCCESSO IMPROVVISO EDUCATIVO
Ha al successo? Puòsenso uno educare spaventapasseri orientare più che spaventare? La storia di Bu, uno Se non pensiamospaventato alle veline, che ai calciatori ai politici, dovremmoe rispondere di spaventapasseri irrompeenelle aule scolastiche ribalta il consì, senza incertezze. sueto modo di intendere e fare la scuola, ci dice di sì. Dalle nozioni alle relaCi sonoDai persone il cui numerici successo èall’unicità frutto di un lavoro serio eÈ giocoso, non zioni. parametri della persona. questo ile che ruolo di sono diventati col tempo didisorientamento se stessi. Tutti sonoche in grado di individuarli Bu, che nel libro guida lail maschera lettore nel attraversa la scuola e apprezzarli. italiana tra afunzionalismo e burocrazia esasperata. Il successo cui punta questo libro prescinde dalla notorietà, è all’altezza di L’invito degli autori a una pedagogia dell’improvvisazione – che nulla che tutti, è il frutto di quello che si è fatto o sarà fatto senza scorciatoie, anchea con fare con la preparazione improvvisata – si radica nella pedagogia degli ultimi il passo lento e costante di una lumaca. due secoli, nelle forme di teatro-laboratorio, nelle correnti filosofiche personaIn effetti, etimologicamente il successo è semplicemente il risultato di ciò che si in nulla cui aldi centro la relazione tra insegnante e alunno, senza la quale ogni èliste fatto, più eènulla di meno. Anche l’esame male è un successo, proprio perché è passato e ora non didattica risultaandato inefficace. c’è più e bisogna andare oltre, muoversi, succedere nuovo non L’educazione all’empatia, all’ascolto del far corpo e delle qualcosa emozioni,dialla comuniripetendo gli stessi all’espressività errori. cazione narrativa, artistica per educare cittadini consapevoli e Illiberi, successo la conseguenza della nostra responsabilità, è ciòè che il lettore/insegnante troverà in questedell’abilità pagine. e dell’impegno con cui punta abbiamo risposto creativamente aglii docenti stimoli offerti dalla vita. Il libro a sostenere e accompagnare che credono in una Scuola Non avete tra le mani il solito manuale che vuole far credere che vostro figlio capace di far emergere l’unicità di ogni alunno. abbia le potenzialità di diventare presidente degli Stati Uniti. Al contrario, questo libro, per genitori ed educatori, è uno strumento che offre stimoli, riflessioni, domande da cui prendere spunto per costruire la propria risposta personalizzata ai diversi dilemmi educativi. Propone alle famiglie di diventare una palestra educativa, uno spazio libero di allenamento per genitori e ragazzi, per imparare che l’obiettivo della vita non Valentina Chioda,non insegnante alla scuolasul d’infanzia, la Clinicacreativo della formasono le vacanze, la permanenza divano,sperimenta ma il movimento che zione con Luciano Cerioli. Diplomata in Didattica della musica presso il Cemb di Milano mette a frutto i nostri talenti. e in Didattica differenziata Montessori con ONM, alla primaria sperimenta pratiche di inAnche libro avrà successo, proprio perché è fondato arte su come una solida clusionequesto sociale, scuola all’aperto, integrazione emozioni-mente-corpo, motore esperienza, ricco sociale, di indicazioni utili attive, e pratiche e coldipassaparola sarà trasformato di trasformazione metodologie recupero paesaggi interiori e di paesaggi deigenitori luoghi vissuti, scuola integrata nel territorio attraversodico-progettazioni supervisioda ed educatori in imprevedibili esperienze vita.
Iacopo Casadei V. Chioda - L. Maniglia
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Luigi Maniglia, attore, autore, musicista, esperto di TdO; mediatore familiare e formatore in ambito di mediazione dei conflitti interpersonali. Sviluppa percorsi basati sulla Iacopo psicologonel dellaboratorio lavoro, daldi1997 si occupa formazione nell’area dello capacitàCasadei, di improvvisare ricerca teatraledi“Fanfulon – un principio di sviluppo delle (www.fanfulon.com) risorse personali, in particolare negli ambiti “Epeira_Incontrare della scuola e della sanità. Opera movimento” e nell’associazione il conflitto” come consulente anche nel settore dell’orientamento scolastico e professionale, sia con (www.epeira.eu). adolescenti che con adulti. È coautore di Felicemente stressati. Vincere lo stress imparando a riderne (2013, edizioni la meridiana).
In copertina copertina disegno disegno di diFabio FabioMagnasciutti Magnasciutti
ISBN ISBN 978-88-6153-518-3 978-88-6153-718-7
Euro Euro 16,00 15,00 (I.i.) (I.i.) 9 77 88 88 88 66 11 553357118837
edizioni la meridiana p a r t e n z e
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Silvia Rizzello Valentina Chioda Luigi Maniglia
A SCUOLA IL IMPROVVISO MONDO CONTA EDUCATIVO Percorsi e attività Per una didattica di mediazione “reidratante” e comunicazione interculturale Prefazione di Ivano Gamelli
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Indice
Prefazione di Ivano Gamelli ........................... 9 Introduzione ................................................... 11 Parte Prima Quale educatore Devi farli emozionare di Luigi Maniglia ........ 15 Come condurre il percorso: leggere, interpretare o improvvisare? di Luigi Maniglia ............. 18 Elementi di approccio animativo di Luigi Maniglia ........................................ 21 La cassettiera tascabile ................................... 31 Avvertenze ...................................................... 35 Parte Seconda Quale esperienza La storia di Bu di Valentina Chioda, Luigi Maniglia ............................................. 39 Parte Terza Quale scuola Insegnanti: una specie in via di estinzione? di Valentina Chioda .................................... 67 Parte Quarta Quale psicologia Simbologie di Bu di Luciano Cerioli............... 89 Bibliografia ..................................................... 107
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Prefazione
Oggi la scuola è rimasta uno dei pochi luoghi dove è ancora possibile un incontro vivo, corporeo, non virtuale, fra esseri umani di diverse generazioni, culture e ceti sociali, un intreccio di differenze che avviene attorno a temi “gratuiti” quali il pensare, il riflettere, l’interrogare, il “brancolamento sperimentale”, giusto per citare alcuni di quelli che in essa si perseguono. A scuola si va con il corpo, si va a “prendere” tempo in tempi sempre più accelerati e competitivi, potendosi dedicare a occupazioni e relazioni umane più sincere, altrove ormai non facilmente praticabili. Allo stesso modo è innegabile che tutto ciò su cui poggiano il senso e la missione della scuola – il suo essere un luogo “altro” – sia oggi minacciato da sempre più precoci e ossessive cognitivizzazione e burocratizzazione delle sue visioni e dei suoi approcci. Penso soprattutto alla scuola dei più piccoli, quella dell’infanzia e primaria, dove in nome di un’idea di modernità posticcia si inseguono modelli e valori che riducono e distolgono bambini e bambine dal diritto di vivere le meravigliose prerogative di quell’età – il piacere del gioco, dell’azione, dell’immaginazione, del movimento libero – inchiodandoli davanti a schermi sempre più invasivi e ad attività sedentarie e passive, incitandoli a bruciare le tappe dell’esperienza dell’apprendere. Una scuola troppo “schiacciata” sulla realtà (quantomeno su ciò che il
conformismo sociale identifica come tale) è una scuola che rischia di perdere la propria anima. Di una didattica reidratante – come recita il sottotitolo di questo libro – noi tutti che ci occupiamo di educazione abbiamo perciò oggi un grande bisogno. Ne ha bisogno l’istituzione scolastica come ne hanno bisogno coloro che nella scuola operano a vario titolo, impegnandosi direttamente o indirettamente nel cercare di mantenere viva quella ricchezza straordinaria che la scuola, nonostante tutto, ancora rappresenta. Questo libro offre, in tal senso, un contributo esemplare e assolutamente originale. Al suo centro sta il racconto di un laboratorio realizzato nella scuola primaria, non un laboratorio specialistico, ma un’esperienza che prova a rimettere insieme ciò che la scuola, per ragioni funzionali, tende a separare. Nel laboratorio in questione, al contrario, linguaggi, saperi e contesti differenti si intrecciano, si richiamano, si rilanciano a vicenda poiché l’obiettivo non sono i contenuti propri delle discipline di riferimento, bensì una maggiore consapevolezza di tutte quelle dimensioni, con le relative emozioni, dalle quali dipendono spesso successo e insuccesso educativo: la paura, la perdita, l’ambiguità, l’ambivalenza, la bugia, la distruttività, il prendersi cura, la razionalità, la competizione, il maschile e il femminile, la scelta. A ciascuno di questi grandi temi, a sua volta declinato nei diversi aspetti e sfumature che lo caratterizzano, è dedicato un “episodio” di cui si compone il laboratorio, episodio che si presenta attraverso un dispositivo narrativo finzionale, una sorta di sfondo integratore, al cui centro sta un personaggio immaginario, Bu, un improbabile spaventapasseri con il suo corollario di personaggi che, di incontro in incontro, trascina i bambini in un percorso fatto di azioni e riflessioni (travestimenti, training, giochi corporei, conversazioni, messe in scena, punti di vista dei bambini e dell’insegnante) dal forte gusto iniziatico. In questo spazio alIMPROVVISO EDUCATIVO
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tro, fantastico, la cultura propria dell’infanzia trova un dispositivo narrativo che, grazie a un effetto straniante e liberatorio, coinvolge gli allievi nell’affrontare questioni educative cruciali, ad “accorgersi” di ciò che vive intorno e dentro se stessi. A esprimere finalmente quanto si agita sotto la brace di certi asfittici processi di insegnamento, perché tutto ciò che non è espresso rischia di rimanere impresso. Il laboratorio di Bu riassume, nelle teorie e nelle pratiche di cui si avvale, alcune delle visioni più innovative della ricerca pedagogica degli ultimi decenni, fra le quali l’autobiografia educativa, la clinica della formazione, la pedagogia del corpo. E soprattutto il teatro, in un’accezione che sarebbe certamente cara a Riccardo Massa, quel teatro come “metafora dell’educazione” che per il grande pedagogista era il modello più consono a ogni vera innovazione educativa. Pensare la scuola come teatro significa, infatti, prendere atto che ogni apprendimento non può essere insegnato, perseguito attraverso esercizi predefiniti e finalizzati da parte dell’adulto, ma dev’essere provocato, giocato, ricercato, “recitato” all’interno della relazione educativa, poiché ogni autentico apprendimento è sì costituito di parole e di concetti, ma anche di gesti, di silenzi, di voci non disciplinate, di ascolto, di emozioni difficili a dirsi. Il titolo del libro richiama una dimensione importante del setting che alimenta la proposta: la dimensione improvvisativa. Una dimensione – come già ho avuto modo di scrivere altrove – profondamente disattesa e sottovalutata, per non dire svalutata fra le competenze richieste a un insegnante o ad un educatore. In tempi nei quali si ritiene che tutto debba essere predefinito, programmato, controllato, si finisce per dimenticare che la relazione educativa, come ogni relazione, si presenta sempre come un evento incerto e imprevedibile, che dunque richiede sensibilità e capacità nel saper cogliere ciò che si gioca nel momento presente, nel saper trovare nel qui 10
e ora, come vuole l’improvvisazione teatrale, il necessario per progredire e fare sviluppare una situazione educativa e didattica. Non mi resta che lasciarvi alla scoperta appassionante del mondo di Bu, come anche alle importanti riflessioni che lo integrano. Mi auguro che questo libro raggiunga molti colleghi e colleghe, poiché disegna un modo possibile di abitare la scuola liberandola dalle nevrosi che una società malata tenta di riversare al suo interno, recuperando il suo spirito più autentico di luogo dove incontrare e sperimentare possibilità di un mondo migliore, chiedendosi quale pedagogia, quale psicologia, quale educatore, quale modello di vita comunitaria possa permettere ai bambini di oggi di provare a rendere questo mondo un po’ più vivibile di quello che sembra attenderli. Ivano Gamelli 1
1. Professore associato di pedagogia del corpo, Università degli Studi di Milano-Bicocca; www.pedagogiadelcorpo.it
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Parte Quale educatore Prima
Il dialogo è il sommo bene Socrate
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Devi farli emozionare di Luigi Maniglia
Perché lavorare all’improvviso? “Devi farli emozionare” mi dice il maestro Ruggero nella riunione di programmazione del progetto annuale della scuola primaria dove lavora, chiedendomi di realizzare un laboratorio teatrale da proporre alle classi. Passo in rassegna il repertorio di giochi ed esercizi già sperimentati e proposti nei classici laboratori teatrali per le scuole senza trovarne uno che potrei dire “emozionante”; a un tratto mi vola per la testa una concezione “teatrale” più ampia e sfumata, imparata dal metodo del Teatro dell’Oppresso, la afferro al volo e vedo che è l’idea di “teatralità umana”. Ecco che mi appare la strada. Affrontare un laboratorio educativo sul tema delle emozioni e della relazione interpersonale richiede di affidarsi ad alcune domande: chi è l’esperto che può insegnare agli altri? L’adulto che ha in mente di controllare il proprio mondo interiore, di gestire l’emozione, che ha dimenticato come esprimere, che si sente di dover “raffreddare” o il bambino, che ancora lascia fluire liberamente, che vive con pienezza, senza troppe domande, senza troppi problemi di gestione, ancora in contatto con un livello di esperienza umana che a fatica, i grandi, cercano di ritrovare?
Visto da questa prospettiva il percorso non avrebbe potuto che avere le caratteristiche del dialogo e della provocazione reciproca. È il passaggio che Socrate ha sperimentato con il metodo maieutico: aiutare l’altro a cercare le proprie risposte, guidarlo, grazie al dialogo, attraverso i temi esistenziali della vita, per permettergli di costruirsi un pensiero al di là di soluzioni preconfezionate e standardizzate. “Mi vesto da spaventapasseri, arrivo in classe, chiedo un rifugio e protezione dal contadino che sta arrivando per riportarmi al campo e poi vediamo cosa succede” è stato l’incipit del programma. A posteriori, in fase di documentazione del percorso, abbiamo scoperto che il personaggio dello spaventapasseri è un rappresentante privilegiato dell’ironia socratica: ammette di non sapere nulla della vita degli uomini e ne approfitta per chiedere spiegazioni su tutto, domandando, chiedendo esempi, conducendo i piccoli partecipanti alla riscoperta di ciò che vivono e che hanno vissuto, per aiutarli a esprimere e a rielaborare la propria esperienza in un gioco di gruppo. In un contesto basato su pochi stimoli iniziali e sull’improvvisazione tutti possono essere autori e attori in un lavoro di cooperazione che permette di sperimentare e acquisire competenze relazionali importanti. Lavorare all’improvviso mette ciascuno dei presenti in un’allerta di partecipazione, rende difficile la distrazione nel senso di mancanza di attenzione, di interesse per altro: il gioco è basato proprio su una continua distrazione, nel senso di divertimento, erranza, perdersi e ritrovarsi compresi. Permettersi di improvvisare consente ai bambini di essere autentici e interi, permette loro di stare a scuola con una parte solitamente inascoltata. Agli adulti, invece, consente di cercare una relazione non più verticale, ma orizzontale, in una scuola in cui il rispetto per ciò che il bambino porta è il focus da cui partire per nuovi apprendimenti. IMPROVVISO EDUCATIVO
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Educare all’improvviso non è improvvisare l’educazione Il verbo improvvisare porta con sé un senso negativo. Richiama altri termini che in ambito educativo risuonano come pericoli: raffazzonare, rimediare, impasticciare e così via per altri sinonimi che l’enciclopedia Treccani indica, accanto a un popolare e simpatico “impapocchiare”. Improvvisare, nel suo senso comune, indica quindi fare qualcosa senza la necessaria preparazione. Questo il risvolto negativo. Esistono tuttavia contesti nei quali la capacità di improvvisare (ben diversa dall’improvvisarsi) diventa elemento fondamentale e imprescindibile. Nella musica jazz, per esempio, saper improvvisare è una componente essenziale ed è l’ambito in cui si giocano professionalità elevatissime, raffinate, dove nulla è raffazzonato, dove la preparazione è altro dallo “studiare alla perfezione una partitura da suonare insieme in un ensamble”. La preparazione del musicista jazz è la risultante di un continuo esercizio di ricerca tra esperienza, competenze, tecnica, originalità, ascolto, accoglienza, trasformazione, relazione e identità. Nel mondo del pallone, per usare un esempio più popolare, emerge spesso la figura del fantasista: si tratta di un atleta, in genere un calciatore attaccante, il cui gioco risulta particolarmente fantasioso e imprevedibile. La sua azione ha caratteristiche teatrali nel senso proprio di offrire agli occhi degli spettatori uno spettacolo, capace di stupire, meravigliare, per le scelte di azione improvvisate, fuori dagli schemi. Un venditore che non sappia “sintonizzarsi” con il cliente ha poche possibilità di successo nel proprio lavoro. Sviluppare capacità di improvvisazione è importante in ogni quotidiano. Le competenze che entrano in gioco coincidono con una serie di attitudini fondamentali per imparare ad affrontare la vita di relazione, interpersonale e di gruppo. Esse coincidono fortuna16
tamente con obiettivi educativi ampi: imparare ad ascoltare gli altri, imparare a considerare e ad accogliere le proposte altrui, imparare a collaborare per un’impresa comune, mettersi nei panni dell’altro per considerare un punto di vista diverso dal proprio e un differente modo di percepire, sono le pratiche che permettono di educare e di educarsi a “sentire” l’altro, a dargli spazio nella propria vita, a riconoscere la sua esistenza attraverso il dialogo, non solo uno scambio di pensieri e opinioni, ma una vicinanza umana, una possibilità di incontro.
Un metodo “teatrale” Improvviso educativo è un metodo teatrale, non solo perché prevede l’utilizzo di tecniche legate al mondo del teatro, ma, nel senso più ampio del termine, cerca di indurre “un’esperienza di meraviglia per qualcosa di nuovo e insolito”. Non si tratta di fare esercizi per imparare a usare la voce o il corpo nello spazio in relazione a un pubblico. Non si tratta di costruire scenografie, indossare costumi, scrivere e studiare copioni, predisporre piani luci e colonne sonore, provare e riprovare e ri-riprovare scene. È un ritorno all’essenza dell’espressività umana (teatralità), alle possibilità date al corpo, alla voce, di creare comunicazione e relazione, di permettere percorsi di conoscenza e di scambio. Il “nuovo” e l’“insolito” sono costantemente garantiti dall’assenza delle tradizionali prove per lo spettacolo finale. Più che memorizzare e ripetere parole e azioni verso una perfezione naturalistica impossibile, dove se qualcuno dimentica la parte rischia di bloccare tutto, viene dato risalto all’invenzione continua delle possibilità di vita e di relazione, che i personaggi rappresentati permettono di evocare e di “maneggiare”.
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Allora non si tratta più di un fare teatro ma di poter essere teatro. Non si tratta di ricostruire la naturalezza di un personaggio e di una storia, ma di incarnare la spontaneità per rilanciare costantemente il gusto della scoperta sul filo della meraviglia prodotta dall’inedito.
La necessità di un attore Attore è chi mette in azione, è chi accompagna. È questa l’idea che meglio esprime il tipo di impegno richiesto a chi si appresta ad affrontare il percorso proposto. Non è necessario aver fatto laboratori teatrali, accademie d’arte o aver calcato il palcoscenico interpretando opere di Pirandello. Si tratta di un’attività che assomiglia più al prendere qualcuno per mano per avventurarsi insieme verso un orizzonte di possibili scoperte. Attore è chi sperimenta, si sperimenta, si prende il tempo per provare. Attore è chi mette in azione, chi mette in movimento, è figura vicina all’animatore, colui che ha capacità di animare, di dare vita, chi infonde il moto iniziale. In questo lavoro, con la parola attore, si indica per lo più la persona addetta a condurre il laboratorio, sia di professione attore sia di professione insegnante che decida di dare corpo e voce ai personaggi, anche, eventualmente, attraverso l’uso di burattini.
Essere pronti
di avere tutto sotto controllo prima di attendere a un’azione, ma è condizione umanamente irraggiungibile, soprattutto se pensiamo all’ambito educativo, dove l’altro è variabile fondamentale e imprevedibile. Ecco che allora, essere pronto, assume il senso di una prontezza di riflessi, di una predisposizione all’interazione, partendo dalla propria esperienza e ricordando che ogni relazione viene creata al momento, esiste solo nell’istante in cui una persona compie un atto nei confronti di un’altra persona: parlare, ascoltare, guardare, accudire.
Educare: preparare alla vita Maieutica era l’arte della levatrice, che “tirava fuori”, accompagnava l’emersione del feto dal liquido amniotico, attraverso il primo estatico respiro, preparazione all’immediata immersione nel mondo esterno e nella vita sociale. Educare è il processo costante di “tirar fuori”, evoca sempre un “venire al mondo”. Essere pronto indica l’aver “tirato fuori” tutto il necessario per iniziare. Lo sviluppo della capacità di improvvisare coincide con l’obiettivo sotteso a tutta l’esperienza proposta: imparare ad ascoltare e ad accogliere. È una preparazione alle vicende della vita, una preparazione che tenga conto dell’imprevedibile, che lasci spazio all’altro, in qualità di variabile fondamentale dell’incontro, una preparazione che non è “conoscere e sapere tutto prima”, ma è spirito d’avventura e di scoperta, nella solitudine e nella relazione, sponde imprescindibili della formazione d’identità personali in cerca di equilibrio.
Essere pronto ha un primo significato di “aver considerato con cura pensieri, obiettivi, finalità, procedure, passaggi, imprevisti”. È la parvenza IMPROVVISO EDUCATIVO
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Come condurre il percorso: leggere, interpretare o improvvisare? di Luigi Maniglia
Il presente percorso può essere realizzato e adattato in base allo stile che ogni insegnante si sente di esprimere. È possibile sperimentare diversi approcci, a seconda della propria attitudine all’utilizzo di un contesto narrativo, alla gestione di dinamiche teatrali e alla capacità di lavorare all’improvviso. Per la piena realizzazione degli obiettivi del metodo consigliamo di affidare a un attore il compito di travestirsi e interpretare i personaggi descritti. Presentiamo tre approcci principali – descritti di seguito separatamente per dovere di chiarezza espositiva – facilmente integrabili e sovrapponibili nella pratica. Il lavoro risulterà tanto più efficace quanto più l’insegnante/conduttore porterà se stesso e il suo modo di proporsi e di sperimentarsi e, soprattutto, se deciderà di mettere in gioco il proprio percorso, le proprie “scoperte” e le proprie domande maturate fino a quel momento della sua ricerca umana e professionale. 18
L’insegnante potrà provare a giocare insieme ai bambini, con i bambini, con se stesso. Sarà artefice dell’andamento del laboratorio, secondo un approccio più metodologico o più “dell’improvviso”, mettendo in campo quello che è in grado di essere, di percepire, di ascoltare, di sentire e di risuonare. Nel momento in cui si sente disponibile o predisposto alla ricerca potrà sperimentare esplorazioni inusuali e sentirsi libero di andare e tornare dalla storia. Dovrà prevedere di poter stare “un po’ bene e un po’ male”, di trovarsi a disagio in situazioni di incertezza, considerando la sicurezza come zona a rischio di sperimentazione nulla; buttarsi a capofitto e improvvisare, improvvisandosi improvvisatore, potrebbe farlo perdere. Obiettivo ultimo del presente lavoro è di consentire acquisizioni graduali che permettano di trovare sicurezza nell’insicurezza e di sperimentare la creatività della tecnica1.
Approccio narrativo È un approccio con minimo rischio. Una sorta di “viaggio organizzato”. La storia viene recitata, ovvero, letta ad alta voce e in un dato momento vengono proposte ai partecipanti le attivazioni/gli artifici collegati a ogni singolo episodio, così come descritti nelle rispettive sezioni. È una modalità lineare, che permette di porre i temi di lavoro attraverso la presentazione della vicenda, dal racconto diretto che ne fanno i personaggi e di giocare seguendo le tracce indicate. È un modo che può rassicurare chi inizia a sperimentare dispositivi che attivano emozioni. 1. Minolli, 2015.
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Richiede di iniziare a riflettere e assumere consapevolezza nell’ascolto di se stessi e di cercare nuovi sguardi sui bambini e sulla relazione insegnamento-apprendimento, considerando i contenuti emotivi che affiorano fra sé e i bambini. Questo approccio può essere preferibile qualora non sia prevista la collaborazione di un attore o quando l’insegnante non sia abituato a lavorare con metodologia “teatrale”; qualora preferisca modalità classiche anche per gli argomenti disciplinari, cioè non abbia sperimentato di lasciar condurre il gioco esplorativo ai bambini, seguendoli. Si tratta di leggere una storia ad alta voce aggiungendo dei giochi e delle immagini. Semplice.
Approccio teatrale È aprire e smontare la storia. Un viaggio preparato sulla mappa, raccolte le informazioni necessarie, studiati i percorsi, segnati i contatti di ristoratori e albergatori, senza prenotare, lasciandosi la libertà di scegliere e farsi consigliare il percorso. La vicenda scritta è punto di partenza, ma il dialogo che si instaura fra i bambini e l’attore conduce da altre parti. Che ne è della storia? È un canovaccio; è un primo pretesto introduttivo che può essere abbandonato temporaneamente o più a lungo. Poi, forse, si ritrova. Seguire le questioni che si aprono nel dialogo con i bambini, deviare dalla narrazione predefinita, approfondire alcuni temi, soffermarsi, diventa più importante che completare l’episodio e svolgere tutte le attività proposte. Anche in questo caso l’insegnante può essere supportato dalla presenza di un attore. Chi conduce dovrà possedere o cercare di sviluppare fiducia nella possibilità che il percorso sia co-condotto dai partecipanti, basandosi principalmente
sull’attenzione a essere costantemente in dialogo e in una sorta di disponibilità allo scambio reciproco. Si tratta di interpretare la storia, i personaggi, impersonarli, presentarli, animarli, evocarli alla presenza dei partecipanti e metterli in dialogo a partire dal loro punto di vista.
Approccio teatrale “all’improvviso” Significa abbandonare la storia. Partire all’avventura. Bagaglio minimo, una bussola e una mappa e un territorio semi-sconosciuto da esplorare, puntando tutto sull’incontro. Cos’è allora la storia? A cosa serve? È un esempio, un modello da reinventare a seconda della propria sensibilità e delle tematiche che si intendono trattare. Il punto di partenza sono i personaggi, con le loro caratteristiche. Partendo dalla coerenza con il “tipo” del personaggio, tutto il resto può essere improvvisato. La vera relazione insegnamento-apprendimento è stare nell’improvviso. La storia non è il fulcro, il narratore-attore non ne ha bisogno in senso tradizionale. La storia è aperta, nasce e si snoda durante lo svolgersi del laboratorio. Il dialogo dinamico e reciproco, e la presenza in situazione, portano all’atto creativo e al gioco teatrale esplorativo. L’autore della storia è il gruppo. Un mondo da inventare e da esplorare insieme. Una sfida complessa, con qualche rischio: il rischio dell’incontro tra persone. È quello che abbiamo sperimentato. È quello che ci sentiamo di consigliare. È quello di cui parla questo libro. L’attore non è il detentore della verità, non porta una storia scritta a priori. La storia nasce nel IMPROVVISO EDUCATIVO
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dialogo, cosÏ come la vita nasce dall’incontro. I partecipanti viaggiano insieme, quasi alla pari, ognuno con le proprie esperienze da condividere, ognuno con un nuovo mondo da scoprire. Grandi e piccoli sono entrambi esperti che si incontrano nel gioco del teatro, per compiere uno scambio.
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Elementi di approccio animativo di Luigi Maniglia
Il percorso si basa su tre elementi certi, la padronanza di ognuno dei quali permette di avventurarsi in gradi di incertezza via via crescente: 1. la traccia narrativa; 2. le caratteristiche dei personaggi; 3. la capacità di improvvisare.
La traccia narrativa Gli episodi riportati in questo testo derivano dalla miscela tra suggestioni narrative predisposte prima di entrare in classe e ricostruzione dello sviluppo avvenuto a posteriori, in interazione con i bambini. Non si tratta di un contesto narrativo fisso. C’è una struttura di base che può essere smontata e ricostruita a piacere. È un mondo da esplorare e ampliare, sospeso tra fantasia e realtà. È una drammaturgia simultanea di gruppo. Bu, personaggio di fantasia, si presenta in una vera classe di scuola, inizia a raccontare la propria storia collocandola in reali luoghi circostanti: la storia si apre a inediti riferimenti locali. Bu chiede di essere nascosto e i bambini indicano la cantina della scuola come luogo più sicuro, ma potrebbero indicare lo sgabuzzino, la soffitta (e
chissà che nella soffitta della scuola, nel secolo precedente, non sia morta di malattia una bambina di sette anni, di cui lo spaventapasseri ode la voce, aprendo la storia a inaspettate evocazioni). Realtà e finzione si intrecciano, diventano elementi del gioco: i bambini accettano che la realtà sia un po’ diversa dal solito e iniziano a creare una storia vicina. Loro sono sempre nella stessa classe, la solita scuola, ma adesso parlano con uno spaventapasseri per cercare di capire i suoi problemi e per aiutarlo ad affrontarli con mezzi accessibili. L’attore non è un vero spaventapasseri, la sua storia non è reale, ma è un essere che sente di subire un’ingiustizia, le emozioni che suscita negli interlocutori sono vere e possono servire per procedere nella ricerca di senso. All’incontro successivo, invece che presentarsi Bu, come previsto, ecco che arriva un signore con cappello di paglia, lunghi baffi arricciati e scarponi da montagna. Un altro pezzo della storia che, in carne e ossa, si intromette, portando il suo vissuto. Ecco che l’esperienza di realtà si amplia nuovamente, offrendo nuovi punti di vista. I bambini che si erano immedesimati nel primo personaggio incontrato devono ora fare i conti con una versione dei fatti un po’ diversa: lo spaventapasseri è uno scansafatiche, dovrebbe svolgere il suo compito di difesa dei semi del campo e invece, da quando la vecchia tartaruga magica gli ha fatto spuntare i piedi, sparisce la mattina presto e va a giocare a pallone con gli animali del bosco. Il contadino non sa più come fare. Aiutare i partecipanti a percepire la storia come verosimile, vicina, influisce sul loro coinvolgimento e sulla loro disponibilità a entrare nel gioco. L’attore può fare riferimento a luoghi e persone realmente esistenti, conosciuti dai partecipanti, può intrecciare la vicenda dello spaventapasseri con la toponomastica circostante, può posizionare eventi e pezzi della storia in relazione a persone e attività che si svolgono realmente nei confini conosciuti. Questo espediente permette ai presenti di cogliere elementi familiari dai quali può nascere un’interazione. Fare riferimento a luoghi IMPROVVISO EDUCATIVO
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conosciuti dai partecipanti permette loro di visualizzare i racconti, di integrare la fantasia con il ricordo e con l’esperienza acquisita, facilitando prese di posizione, lancio di spunti e collaborazione nella costruzione del contesto. Può essere sperimentata anche l’uscita dallo spazio prescelto per l’attività. Può essere realizzato un incontro in un parco pubblico, sul piazzale di una chiesa, in un campo, al limitare di un bosco, e così via. In questo modo, nuovi motivi possono nascere ed essere colti dalle possibilità di incontro e interazione tra i personaggi con passanti e persone esterne al laboratorio, “partecipanti occasionali”, precoci esercizi di “educazione civica”. Possono essere sfruttati anche riferimenti alle tematiche attualmente trattate nelle varie materie di studio, favorendo la possibilità di intervento degli studenti che possono avere più o meno acquisito concetti pertinenti. Allo stesso modo possono entrare nel tessuto narrativo eventi di cronaca o di storia locale. È importante fare attenzione e dare rilievo a tutte le proposte fatte dai partecipanti, senza escluderne a priori nessuna, tutte da esplorare e tutte dagli esiti potenzialmente rilevanti. L’attore, in collaborazione con l’insegnante, dovrà favorire l’integrazione delle proposte, garantirne la coerenza con la storia e giocarci fino alle ultime conseguenze, favorendo acquisizioni collettive e la nascita di consapevolezze condivise. Imparare ad attraversare tutti i livelli di questa esperienza richiede allenamento della capacità di improvvisare, che vedremo in dettaglio tra breve.
Le caratteristiche dei personaggi Punti di certezza più sfumata da cui partire, a cui ritornare e dai quali riprendere l’avventura nel percorso proposto sono le caratteristiche dei personaggi. 22
È importante che l’attore/conduttore, prima di ogni incontro, abbia studiato la panoramica degli elementi suggeriti, in modo da poter iniziare gli interventi scegliendo quello o quelli che sente di poter evocare più facilmente. Una volta esaminate le caratteristiche e le azioni di seguito elencate, l’interprete potrà darsi un punto di partenza per dare vita al personaggio. Per ciascuno dei protagonisti della storia si riportano alcune indicazioni di aspetto fisico e una tabella riassuntiva di caratteristiche che producono uno o più possibili comportamenti, da ampliare e rielaborare. I costumi e l’apparenza dei personaggi non sono strettamente vincolanti, assumono però importanza alcuni tratti utili alle dinamiche della storia: ad esempio che Bu sia brutto, un po’ spaventoso, pensato per incutere paura fino a scoprirne, oltre il pregiudizio, la profonda simpatia e che Gunz ne sia un po’ il negativo (in senso fotografico), preciso, pulito ma fin troppo sterile. Qualora non sia coinvolto un attore, si possono utilizzare efficacemente anche burattini animati dall’insegnante/narratore. I burattini possono essere costruiti con tecniche diverse, a partire dal semplice cartone, sagomato e rigido, disegnati in pennarello punta scalpello su sfondo bianco e con sostegno e animazione a stecco, fino a manufatti più elaborati (stoffa, legno, ecc.). Ciascun personaggio è mediatore tra i temi della storia e il mondo emotivo di ciascun componente del gruppo di laboratorio, sia quello dei bambini che dell’insegnante. È il vero pretesto narrativo-teatrale. Mediatore è il personaggio “attraente”, nel quale ci si immedesima, che attiva, nella finzione, autentici vissuti ed emozioni, come gli attori sulla scena teatrale e sul quale si proiettano le immagini e i sentire. È il mezzo attraverso il quale ognuno può trovare, ritrovare ed esprimere una parte di se stesso. È il personaggio a cui far dire qualsiasi cosa proteggendo i veri protagonisti, cioè i bambini con le loro storie.
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Bu: lo spaventapasseri emotivo Il nostro Bu è una figura scura, trasandata, vestiti stracciati, le mani sono fatte da guanti, con bastoncini di legno applicati al posto
CARATTERISTICHE
delle dita, il volto truccato, occhi contornati di nero, labbra nere, una calza di nylon calata sugli occhi, fino al naso. Indossa un cappellaccio bucato da cui spuntano fili di plastica, in disordine.
ESEMPI DI AZIONE
Emotivo, espressivo
• Arriva in classe in lacrime e non riesce a spiegare quello che gli è successo; • arriva in classe infuriato e se la prende con tutti; • passa da uno stato d’animo all’altro, repentinamente; • esprime subito quello che sente, anche fisicamente, è immediato; • si commuove facilmente; • si emoziona anche per piccole cose; • esprime stupore per ogni scoperta; • reagisce con entusiasmo alle proposte degli altri; • reagisce subito, senza pensare troppo.
Frenetico, attivo
• Non sta mai fermo; • parla, balla, canta, propone un gioco, fa domande.
Poetico, metaforico
• Descrive i ritmi e i momenti della sua vita nella natura con immagini poetiche; • racconta con il corpo, danza per mostrare quello che conosce e che non riesce a dire a parole, chiedendo ai bambini di “tradurre” quello che vorrebbe dire; • parla per metafore, per analogie; • racconta le relazioni che ha avuto con gli elementi naturali (“personificati”) del proprio contesto: ad esempio la ninna nanna che gli hanno insegnato le stelle, i fili d’erba che gli hanno spiegato “come stare su”, ecc.
Impaziente
• Incalza per avere risposte; • insiste per fare subito qualcosa; • preme per andare da qualche parte; • quando gli viene un’idea o gli viene proposto qualcosa vuole farlo subito.
Ignorante
• Fa domande su tutto; • vuole sapere le cose nel dettaglio; • se non sa una risposta dice comunque la prima cosa che gli viene in mente e che pensa possa centrare; • fa finta di sapere e inventa le risposte di fantasia.
Empatico
• Ascolta attentamente tutti e tutto; • rispecchia lo stato d’animo di chi parla; • riformula ciò che l’altro dice per avere conferma di averne colto il senso.
Irrazionale
• Non segue il principio di causa-effetto; • elabora cause-effetti impossibili e di fantasia; • esprime teorie inventate; • non capisce e non segue i ragionamenti troppo complessi.
Diretto, disinibito
• Risponde a tutte le domande; • chiede di qualsiasi cosa, senza tabù; • accetta qualsiasi tema di discussione. (continua)
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Multilingue
• Quando può usa parole di altre lingue; • a volte canta in altre lingue; • chiede a bambini di origine straniera come si traduce una parola nella loro lingua; • se non sa una parola la inventa.
Essenziale
• Parla delle questioni importanti della vita; • cerca il cuore delle cose.
Musicale
• A volte canta invece che parlare; • insegna canzoncine inventate; • riprende spunti ritmici dati dai bambini e li utilizza per esprimere e ripetere un concetto; • gioca con gli oggetti, facendo percussioni, richiamando il ritmo degli elementi che conosce e che i partecipanti gli fanno conoscere.
Affabile/affettuoso
• Fa complimenti; • coglie lati positivi e li comunica alle persone; • si lascia abbracciare; • fa carezze (dita di legno permettendo); • ringrazia sempre; • è gentile.
Gunz: lo spaventapasseri razionale È una figura bianca, pulita, “in ordine”, sembra un medico o uno scienziato, può indossare un grembiule, un camice, ai suoi guanti sono ap CARATTERISTICHE
plicate cannucce di plastica colorate, il volto è bianco e le labbra azzurre. Indossa occhiali da sole e i suoi capelli sono una parrucca di nastri di plastica. Si muove in modo altezzoso, lentamente, controllato.
ESEMPI DI AZIONE
Razionale
• Riporta sempre una spiegazione “scientifica” alle questioni; • risponde sempre e dice di sapere tutto; • ostenta onniscienza.
Argomentatore
• Porta continuamente esempi a supporto di ciò che dice; • cerca di dimostrare di aver ragione a tutti i costi.
Rigido
• Fatica ad accettare il pensiero altrui; • cammina a scatti, un po’ robotico; • non gioca se non ha proposto lui un’attività; • non accetta altri punti di vista.
Autoritario
• Dà ordini; • vuole che le cose siano fatte e dette come dice lui; • fa ripetere gli esercizi finché non vengono svolti perfettamente; • dà punizioni; • esclude dal gruppo; • zittisce le persone.
Serio, inespressivo
• Non ride mai; • il suo volto è neutro e non tradisce emozioni; • non capisce l’ironia e l’umorismo; • prende tutto alla lettera. (continua)
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Giudicante
• Etichetta le persone, le incasella in stereotipi; • si basa su pregiudizi; • esprime giudizi sulle persone e ne trae conseguenze; • sa già come vanno le cose.
Offensivo
• Si sente superiore agli altri e lo fa continuamente notare; • lui è intelligente, tutti gli altri “ignoranti”; • usa epiteti per denigrare e per rimarcare l’inferiorità degli altri; • sminuisce, ridicolizza; • discute del valore delle persone e non del valore delle azioni delle persone.
Freddo, anaffettivo
• Tiene le persone a distanza; • non cerca il contatto fisico; • non esprime i propri stati d’animo.
Riflessivo/immobile
• Si ferma a pensare, a ragionare tra sé, a valutare varie ipotesi e possibilità, non si muove se non ha vagliato tutte le prospettive; • osserva e analizza ogni cosa.
Dino: il contadino Dino veste una camicia a quadri, pantaloni fuori misura di tessuto grezzo, scarponi, foulard al CARATTERISTICHE
collo, cappello di paglia in testa e una spiga fra le labbra di una bocca sormontata da due baffoni neri come le grosse sopracciglia. La voce è forte e spesso a volume troppo alto.
ESEMPI DI AZIONE
Genuino, schietto
• Dice le cose senza girarci intorno; • guarda tutti negli occhi; • fa domande dirette; • non mente.
Burbero
• Risponde in modo duro; • non esprime delicatezza e tenerezza anche se parla di pulcini o di agnellini; • cerca di nascondere il lato emotivo, ma non ci riesce.
Un po’ ignorante
• Sbaglia le parole; • usa i modi di dire a sproposito; • dice o inventa i proverbi.
Ottimista
• È convinto che ci sia una soluzione per ogni problema.
Socievole
• Parla con tutti e dà retta a tutti; • per ciascuno ha una parola.
Divertente
• Fa battute e racconta barzellette.
Generoso
• Chiede sempre se qualcuno ha bisogno di aiuto; • se può fa dei regali; • si dedica totalmente all’attività del momento.
Ironico
• Affibbia soprannomi alle persone in base alle loro caratteristiche fisiche e di comportamento; • fa notare cose intendendo il contrario; • fa notare le incoerenze. IMPROVVISO EDUCATIVO
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Le voci riportate nelle tabelle sono esemplificative e indicano una possibile traccia di partenza. Possono essere riscritte completamente, prima, durante o dopo gli incontri. Prima degli interventi in classe, i conduttori (insegnante ed eventuale attore), possono delineare caratteristiche da portare in scena a partire dalla propria esperienza o a partire dal versante umano che si propongono di esplorare. Tali elementi, durante il gioco si affineranno e saranno reindirizzati in relazione con i bambini e con le loro risposte/domande. In seguito si potrà aggiornare la tabella e tenere presente le acquisizioni per proseguire nel percorso.
La capacità di improvvisare La capacità di improvvisare è la più importante tra gli elementi di cui prendere consapevolezza e da sviluppare per poter sperimentare questo metodo. La lingua italiana riduce l’azione teatrale al recitare, che consiste nel ripetere ad alta voce un testo. La lingua inglese, non unica nel panorama internazionale, definisce il lavoro dell’attore con il verbo to act e il recitare diventa to play. La traduzione italiana dei due termini, in ambito teatrale, è sempre recitare ma le parole originali vanno ben oltre: to act è il fare qualcosa, è un principio di azione più ampio, mentre to play apre l’immaginario legato al gioco e al giocare. Viola Spolin inizia il suo trattato, considerato “testo sacro” dell’improvvisazione teatrale, affermando che: Everyone can act. Everyone can improvise.
Tradurre la prima frase con chiunque è capace di recitare, distorce il senso di una capacità di 26
agire che apre alla possibilità data dalla seconda affermazione: chiunque può improvvisare. La capacità di improvvisare è il sapersi muovere nell’esperienza in totale coinvolgimento con l’ambiente circostante, a livello intellettivo, fisico e intuitivo. Purtroppo l’intuito è spesso elemento dimenticato e confuso con un dono divino o una forza mistica. In realtà è una capacità che permette di imparare nel momento della spontaneità, fuori da strutture predeterminate, è un impulso che ci permette di agire in risposta al mondo che cambia2. La capacità di improvvisare è definita come la capacità di realizzare un rapido adattamento a una situazione mutevole. È una dinamica che ognuno vive quotidianamente, più o meno consapevolmente e che permette di attuare scelte sia ponderate, sia istantanee, per affrontare le richieste provenienti dal mondo esterno e interiore. Considerare questa dinamica umana come uno specifico metodo educativo, correlato al potenziamento e all’utilizzo delle capacità espressive/ teatrali, significa porre al centro del lavoro il dialogo e la relazione, il coraggio e la vulnerabilità, l’espressività, l’errore, l’ascolto, l’accoglienza e la ricerca di libertà.
Allentare il controllo/giudizio Il lavoro educativo, come l’esperienza dell’improvvisazione, ha a che fare con la complessità, per via delle variabili in gioco, e richiede di affrontare, inizialmente, un paradosso: controllare la perdita di controllo. Come nella scultura, si procede per “via di levare”, così, per lavorare su questa competenza è necessario un allentamento: il neuroscienziato californiano Charls Limb, monitorando il cervello di musicisti jazz impegnati nell’improvvisare, 2. Spolin, 1963.
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ha notato che diminuisce l’attività neuronale dedicata all’autocontrollo3. L’occasione per iniziare a liberarsi è data dalla disponibilità di “alter ego”, i personaggi proposti, il cui utilizzo, secondo le linee indicate, permette di sperimentare altri livelli di vincoli e svincoli personali. Tutto sta nel permettersi di fare qualcosa che solitamente non si fa, alleggerendo il giudizio sul comportamento, attribuendolo ad altro da sé, allontanandone, temporaneamente, la responsabilità, con la consapevolezza di realizzare un intervento educativo, che possa testimoniare la capacità di assumere diversi punti di vista e che possa inspirare soluzioni creative. Un esempio: un insegnante potrebbe avere problemi con il rispetto della regola di “non salire in piedi sul banco”. Il personaggio dello spaventapasseri può decidere di fare un balletto sul banco, davanti agli alunni; di salire per giocare con una mosca, provocato da un alunno, provocato dall’insegnante. Questa possibilità permette di entrare nel tema del divieto di salire sul banco e di approfondirlo, criticarlo, motivarlo, ampliarlo, comprenderlo, accettarlo o riformularlo (“O Capitano, mio Capitano!” citando l’ormai celebre professor Keating del film “L’attimo fuggente”). Per rilassare il controllo è necessario dare credito al valore dell’altro, considerarlo capace, sentirsi alla pari, in un reciproco rispetto dei limiti e delle possibilità personali: solo in questo modo ci si può affidare al dialogo e alla collaborazione per la riuscita di un’impresa che sia realmente condivisa e nella quale non si senta il bisogno di “diritti d’autore”. Si tratta di cercare un equilibrio tra tutte le istanze espressive in gioco, con l’idea di realizzare un mandala teatrale collettivo, non serve incollare, fissare, irrigidire storia, personaggi, emozioni, è l’armonia del momento che può fare da tramite
per la conoscenza, ben sapendo che nell’istante successivo il vento avrà scombinato tutto, magari in una forma ancora più bella perché inaspettata. (Ecco, fare mandala può essere un ottimo esercizio per allenarsi ad allentare il controllo.)
3. Limbs, 2010.
4. Johnstone, 1999.
Proposte semplici Per saper improvvisare non serve essere originali, bisogna evitare di essere inutilmente creativi. Una delle regole importanti dell’improvvisazione teatrale è: “Sii ovvio, banale4”; non c’è da inventare nulla di sensazionale, di sorprendente, di geniale, il compito più importante è essere presente e stare con l’altro e con quello che porta nel momento, per far progredire la storia, anziché mettere in mostra se stessi. Il rischio, altrimenti, è di creare dei dislivelli difficili da superare. Se il risultato di gruppo è originale, meglio ancora, ma importante è che abbia permesso la miglior quantità e qualità possibile di connessioni tra i partecipanti. Compito del conduttore è allora quello di gestire/dosare la propria originalità e quella altrui, nello sforzo di mantenere contenuti e dinamiche accessibili a tutti i livelli di comprensione e di ascolto, nell’ottica della più ampia possibilità di partecipazione al gioco e di passaggio all’azione. È già un principio di inclusione, di educazione all’incontro.
Il coraggio di esprimere Forse la capacità che più è richiesta in questo percorso è il coraggio di provare a fare quello che si sente. Seguire il flusso delle evocazioni, delle connessioni che nascono nel gruppo può dare le vertigini: e se l’attore o l’insegnante o un bambino, per qualsiasi motivo, scoppiassero a piangere? Si chiede alle lacrime di uscire dalla stanza per permettere
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che il gioco prosegua o si accetta che l’emozione possa essere in gioco e si inventa un modo per accoglierla, magari facendo esperienza del silenzio e dello stare semplicemente, anche senza parola, magari in un abbraccio, con il dolore altrui. Gli incontri hanno l’andamento della spirale: il punto di partenza può essere nel centro o in un imprecisato punto esterno che porta poi verso il centro; la linea è aperta, diversa dal cerchio, non esiste dentro e fuori, ovvero dentro e fuori sono la stessa cosa, quindi, per chi ha paura di cadere, non sarà altro che un cadere su.
Sfruttare l’errore Gianni Rodari ne dà raffinato esempio nei suoi giochi letterari creativi5, così la capacità di improvvisare è input per nuove svolte impreviste e finalmente, più o meno involontariamente, fuori controllo. Il flusso della storia non si interrompe per correggere, la maestra non sfodera la matita mezza-rossa-mezza-blu per sottolineare e far notare lo sbaglio, per evidenziare un’incapacità, l’errore diventa maldestra-degna-proposta per continuare a esplorare. Si allenta il giudizio, l’attenzione non va su chi non è stato capace e sulla valutazione del suo livello di preparazione rispetto a chi è capace. Ogni elemento che entra nel gioco è nuova possibilità di continuare a giocare, antidoto contro la noia, fonte di divertimento, evitando la tentazione di schernire o deridere chi non ha fatto giusto, meglio pensando, come principio didattico generale, che non ha ancora imparato.
Concentrazione
Saper improvvisare passa anche dall’attenzione alle immagini metaforiche che emergono nel gioco (non solo da parte dei bambini). È un atteg-
C’è uno psicologo ungherese dal nome impronunciabile, Mihaly Csíkszentmihályi6, che ha posto l’attenzione sul concetto di flow applicato all’attività umana. Si tratta dell’idea di flusso, di qualcosa che continua, costante, immersivo, totalmente coinvolgente. È lo stato in cui ogni persona si trova nell’atto di svolgere un compito che richiede la massima concentrazione, apparentemente senza sforzo, senza fatica, senza la percezione di fare fatica. Il tempo passa senza accorgersene, perché l’attività è sorretta dalla passione e soprattutto perché corpo, emozioni e pensieri sono ben miscelati e indirizzati verso un obiettivo chiaro, che le persone si sentono, gradatamente, sempre più capaci di raggiungere. Nell’improvviso educativo, scelto un tema da attraversare, l’attenzione del conduttore va posta soprattutto nel tenere i partecipanti il più possibile focalizzati sulla proposta, nell’interpellare tutti, affinché a ognuno sia data la possibilità di “scorrere” nella storia, insieme agli altri.
5. Rodari, 2011.
6. Csíkszentmihályi, 2008.
Immaginare insieme
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giamento e un allenamento che richiede di rallentare e di cercare di accedere ai dettagli e alle qualità delle visioni espresse. Si tratta di un’ottima occasione per creare ponti di comunicazione tra sensibilità diverse, per permettere a tutti di cogliere la diversa percezione di ognuno rispetto a fenomeni comuni e, in ultima istanza, a migliorare l’esperienza empatica. Compito del conduttore sarà domandare chiarimenti, riformulare, invitare i presenti alla rappresentazione e all’immersione nelle immagini richiamate, prendendo spunto per creare attività – anche fisiche – di interpretazione teatrale (impersonare un filo d’erba, il monologo del sasso e così via) e per facilitare la comprensione del vissuto altrui che non ha trovato altro modo diretto di presentarsi.
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Avere pazienza È qualità fondamentale nell’improvvisazione e nella relazione educativa perché non si può prescindere da tempi e ritmi personali in relazione. È il rispetto delle possibilità di ciascuno e si manifesta nell’aspettare, nel rallentare, nel garantire uguale spazio e ascolto, nell’accettare la non prontezza, l’imperfezione, nel dare possibilità di “finire la frase”. Richiede di non sostituirsi agli altri per arrivare più velocemente, di dare tempo per elaborare fino in fondo un pensiero – magari senza ancora riuscirci – di non costringere a partecipare e che tutti debbano fare, nell’accettare il silenzio anche quando si vorrebbe una risposta. È qualità legata al saper fare “un bel respiro” quando altre istanze interne premono per sopraffare l’altro.
Fare un corso di improvvisazione teatrale Quando si parla di teatro comunemente si pensa a spettacoli realizzati a partire da un copione in cui le parti sono dettagliate nei dialoghi, nelle didascalie, nelle indicazioni scenografiche, scritte più o meno recentemente da drammaturghi. Un regista decide a chi affidare le parti e chiede che il testo venga imparato a memoria. In seguito ci saranno le prove, dove il lavoro di regia consisterà nel coordinare gli attori, studiare soluzioni sceniche, scenografiche e tecniche per arrivare alla rappresentazione finale. Il teatro di ricerca funziona in modo diverso. Il regista può riscrivere e stravolgere completamente il testo. Durante le prove le scene possono essere create a partire dall’improvvisazione degli attori. Non è detto che ci sia un testo scritto da un drammaturgo; il drammaturgo può essere presente sulla scena e scrivere il testo durante le
prove. Si danno temi da esplorare. Si scambiano i personaggi. Si amplificano le possibilità. Nell’improvvisazione teatrale vengono saltati tutti i passaggi classici del teatro tradizionale: scrittura, regia, prove, rappresentazione, e l’attore diviene al tempo stesso attore/autore/regista di se stesso e del gruppo con il quale lavora. Non un concetto d’improvvisazione legato all’estro di un singolo attore, ma una ricerca che renda possibile la creazione “immediata” di una struttura teatrale con più persone e con diversi stili. Un lavoro che ha come lontano e illustre parente la commedia dell’arte, con la difficoltà in più di non avere né personaggi predeterminati, né canovacci, né costumi, né scenografie, ma soltanto la propria fantasia e la propria tecnica attoriale. Le tecniche di improvvisazione teatrale permettono di lavorare sullo stimolo dei meccanismi creativi: l’attore è contemporaneamente autore della vicenda rappresentata ed è costantemente invitato a definire lo svolgersi della storia. Il lavoro tra due o più attori permette di sviluppare capacità di ascolto e disponibilità verso l’altro, per confluire nella realizzazione di una creazione collettiva. Il consolidamento dei processi di collaborazione conduce, infine, alla capacità di evocare e sostenere una struttura complessa globale, composta dalle possibilità creative individuali che si incontrano in sviluppi drammaturgici e registici di gruppo. Ecco il legame con il lavoro dell’insegnante e del conduttore di un laboratorio secondo il metodo proposto in questo testo. Il mondo dell’improvvisazione teatrale può essere sintetizzato in tre regole fondamentali, che possono essere imparate e applicate facilmente: 1. accettare le proposte degli altri, qualsiasi esse siano; 2. non analizzare, giudicare, criticare; 3. aggiungere sempre nuovi elementi e nuove informazioni. IMPROVVISO EDUCATIVO
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Un insegnante esperto di queste tre dinamiche può lavorare in dialogo costante con gli allievi, qualsiasi questione venga proposta; permetterà a tutti di intervenire senza il timore di essere fuori luogo o di sbagliare; consentirà un percorso fatto di ricerca spontanea e di acquisizioni non imposte, ma condivise. Dovrà però sempre ricordarsi di non essere l’unico attore presente in scena, che sa perfettamente la parte e che deve compiere una grande performance (che responsabilità!) di fronte a un pubblico da ammaestrare (la parola contiene il termine “maestra” e val la pena fuggire dal suo senso circense di addestrare animali da spettacolo!). L’insegnamento e l’educazione sono il modo in cui grandi e piccoli possono rendersi reciprocamente esperti. Reciprocamente.
Certo nella vita di tutti i giorni non iniziamo ogni frase con “Sì, e…” ma dopo un po’ di esercizio si inizia a capire che si tratta di una generale predisposizione a compiere imprese comuni. Chissà che non sia ottimo allenamento contro il pessimismo, la rassegnazione, la sensazione di impotenza e di solitudine e che non aiuti i bambini a sentirsi sempre, e i grandi a sentirsi ancora, capaci di cambiare il mondo.
Leggere e studiare i concetti di questo testo può dare l’idea di cosa fare e come provarci. Qualcuno, per esperienza di vita personale può essere già ottimo improvvisatore e sapersi muovere tra ascolto e accoglienza dell’altro. Più spesso siamo intrisi di una cultura della valutazione, del giudizio, le cui componenti sono contrarie agli elementi evidenziati nei paragrafi precedenti. Non a caso gli errori (questa volta davvero da imparare ed evitare) elencati nei corsi di improvvisazione teatrale riguardano proprio l’attitudine e l’abitudine individualista che ci impedisce di costruire un pezzo di esperienza condivisa. Un gioco/esercizio tra tutti, basilare, si intitola “Sì, e…” e serve per imparare a collaborare: partire dalla proposta dell’altro per migliorarla e così via. Si tratta di un dialogo tra due attori le cui frasi devono iniziare obbligatoriamente con “Sì, e…” dando valore e considerando qualsiasi cosa l’altro dica e proseguendo, nella storia, portando una nuova proposta (questo esercizio, proposto in percorsi di formazione alla mediazione dei conflitti, dà risultati sorprendenti quando i personaggi di partenza sono due genitori in fase di separazione). 30
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nate da docenti dell’Università Bicocca di Milano.
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IMPROVVISO EDUCARE AL SUCCESSO EDUCATIVO Aiutare iPer figliuna nella scelta della scuola superiore didattica “reidratante”
EDUCARE AL SUCCESSO IMPROVVISO EDUCATIVO
Ha al successo? Puòsenso uno educare spaventapasseri orientare più che spaventare? La storia di Bu, uno Se non pensiamospaventato alle veline, che ai calciatori ai politici, dovremmoe rispondere di spaventapasseri irrompeenelle aule scolastiche ribalta il consì, senza incertezze. sueto modo di intendere e fare la scuola, ci dice di sì. Dalle nozioni alle relaCi sonoDai persone il cui numerici successo èall’unicità frutto di un lavoro serio eÈ giocoso, non zioni. parametri della persona. questo ile che ruolo di sono diventati col tempo didisorientamento se stessi. Tutti sonoche in grado di individuarli Bu, che nel libro guida lail maschera lettore nel attraversa la scuola e apprezzarli. italiana tra afunzionalismo e burocrazia esasperata. Il successo cui punta questo libro prescinde dalla notorietà, è all’altezza di L’invito degli autori a una pedagogia dell’improvvisazione – che nulla che tutti, è il frutto di quello che si è fatto o sarà fatto senza scorciatoie, anchea con fare con la preparazione improvvisata – si radica nella pedagogia degli ultimi il passo lento e costante di una lumaca. due secoli, nelle forme di teatro-laboratorio, nelle correnti filosofiche personaIn effetti, etimologicamente il successo è semplicemente il risultato di ciò che si in nulla cui aldi centro la relazione tra insegnante e alunno, senza la quale ogni èliste fatto, più eènulla di meno. Anche l’esame male è un successo, proprio perché è passato e ora non didattica risultaandato inefficace. c’è più e bisogna andare oltre, muoversi, succedere nuovo non L’educazione all’empatia, all’ascolto del far corpo e delle qualcosa emozioni,dialla comuniripetendo gli stessi all’espressività errori. cazione narrativa, artistica per educare cittadini consapevoli e Illiberi, successo la conseguenza della nostra responsabilità, è ciòè che il lettore/insegnante troverà in questedell’abilità pagine. e dell’impegno con cui punta abbiamo risposto creativamente aglii docenti stimoli offerti dalla vita. Il libro a sostenere e accompagnare che credono in una Scuola Non avete tra le mani il solito manuale che vuole far credere che vostro figlio capace di far emergere l’unicità di ogni alunno. abbia le potenzialità di diventare presidente degli Stati Uniti. Al contrario, questo libro, per genitori ed educatori, è uno strumento che offre stimoli, riflessioni, domande da cui prendere spunto per costruire la propria risposta personalizzata ai diversi dilemmi educativi. Propone alle famiglie di diventare una palestra educativa, uno spazio libero di allenamento per genitori e ragazzi, per imparare che l’obiettivo della vita non Valentina Chioda,non insegnante alla scuolasul d’infanzia, la Clinicacreativo della formasono le vacanze, la permanenza divano,sperimenta ma il movimento che zione con Luciano Cerioli. Diplomata in Didattica della musica presso il Cemb di Milano mette a frutto i nostri talenti. e in Didattica differenziata Montessori con ONM, alla primaria sperimenta pratiche di inAnche libro avrà successo, proprio perché è fondato arte su come una solida clusionequesto sociale, scuola all’aperto, integrazione emozioni-mente-corpo, motore esperienza, ricco sociale, di indicazioni utili attive, e pratiche e coldipassaparola sarà trasformato di trasformazione metodologie recupero paesaggi interiori e di paesaggi deigenitori luoghi vissuti, scuola integrata nel territorio attraversodico-progettazioni supervisioda ed educatori in imprevedibili esperienze vita.
Iacopo Casadei V. Chioda - L. Maniglia
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Luigi Maniglia, attore, autore, musicista, esperto di TdO; mediatore familiare e formatore in ambito di mediazione dei conflitti interpersonali. Sviluppa percorsi basati sulla Iacopo psicologonel dellaboratorio lavoro, daldi1997 si occupa formazione nell’area dello capacitàCasadei, di improvvisare ricerca teatraledi“Fanfulon – un principio di sviluppo delle (www.fanfulon.com) risorse personali, in particolare negli ambiti “Epeira_Incontrare della scuola e della sanità. Opera movimento” e nell’associazione il conflitto” come consulente anche nel settore dell’orientamento scolastico e professionale, sia con (www.epeira.eu). adolescenti che con adulti. È coautore di Felicemente stressati. Vincere lo stress imparando a riderne (2013, edizioni la meridiana).
In copertina copertina disegno disegno di diFabio FabioMagnasciutti Magnasciutti
ISBN ISBN 978-88-6153-518-3 978-88-6153-718-7
Euro Euro 16,00 15,00 (I.i.) (I.i.) 9 77 88 88 88 66 11 553357118837
edizioni la meridiana p a r t e n z e
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