a cura di Davide Antognazza

Competenze per mantenere l’equilibrio in un mondo che si trasforma
edizioni la meridiana partenze
Competenze per mantenere l’equilibrio in un mondo che si trasforma
edizioni la meridiana partenze
Introduzione .............................................................9
Competenza digitale e uso responsabile dei sistemi di IA ......................................................13 di Luisa Broli
Competenze per rapportarsi con l’altro ................23 di Maura Di Mauro
Le competenze di pace e previsione nel secolo veloce .....................................................31 di Davide Antognazza e Luther Blissett
Scienza del sé
Allenare la mente per abitare il cambiamento ......39 di Loredana Addimando
Lasciarsi ribaltare ...................................................49 di Lucia Suriano
Utilità e inutilità della matematica nel XXI secolo ........................................................57 di Silvia Sbaragli e Michele Canducci
Sulle tracce del bello ...............................................67 di Mario Bottinelli Montandon
Infinito: apertura verso il “Totalmente Altro”?.....77 di Angelo Viganò
Apprendere le competenze nel mondo che si trasforma: danza e conduzione ....................83 di Davide Antognazza
Come nasce l’idea di un libro?
Probabilmente, da un bisogno. O almeno questo è il caso del testo che avete tra le mani. Un bisogno di stare al passo, di non sentire il fiatone sollecitare a più non posso i polmoni di fronte all’ennesima novità che ci si para davanti, all’ennesimo capovolgimento inaspettato, all’ennesima sensazione di “dover fare una cosa – fondamentale – che non sai fare”, anche perché fino a pochi istanti prima questa cosa da fare neanche c’era…
Di fronte a questi “ennesimi”, una domenica mattina mi è sorta l’idea di proporre all’editore di produrre un libro che fosse rivolto a chi questo fiatone lo percepisce, ma percepisce anche il vortice attraverso cui navighiamo nella quotidianità, dove le certezze svaniscono e le cose mutano con velocità sorprendente, in cui le novità invecchiano in fretta, dove sappiamo più o meno da dove veniamo, ma facciamo sempre maggiore fatica a comprendere in che direzione stiamo andando e quali spazi attraverseremo. Soprattutto, l’idea è stata quella di scrivere un libro che avrebbe voluto e potuto essere di aiuto nel fornire suggerimenti a chi vuole comunque cercare di stare a tempo nel tempo che scorre, in apparenza sempre più veloce, nel secolo che ormai da venticinque anni stiamo vivendo. Abbandonata (già da un po’) l’utopia di poter sapere tutto, il tema si è subito spostato dalla conoscenza alla competenza, considerata come un
“saper fare informato”, in continuo aggiornamento ma fondato su basi il più possibile solide, trasversali, mai totalmente possedute ma sempre disponibili come chiavi di lettura del reale, aggiornabili tramite una disposizione alla ricerca e una disponibilità a darsi il tempo per assimilare e modificare, se stessi e i contesti in cui viviamo. Presa la decisione e ottenuto l’apprezzamento di chi questo libro lo avrebbe pubblicato, si è trattato di scegliere su quali competenze riflettere e far riflettere, e quali consigli dare a chi volesse esporsi nella maniera più aperta e flessibile possibile alle opportunità che la velocità attuale offre, senza lasciarsi travolgere ma adeguandosi al ritmo, per impostare il proprio ritmo di vita. Da qui è scaturito un flusso di incontri e discussioni, con amici e colleghi, accompagnato da entusiasmi e disillusioni, attese e richieste di approfondimenti, confronti e cambi di direzione, il tutto finalizzato a proporre – e trovare – una direzione di lavoro rivolta a tutti che fosse concreta, realizzabile e contestualizzata al periodo che stiamo vivendo. Il tutto orientato a rivelare almeno un po’ di essenza per poterci dire: questa è una buona strada da percorrere, ci dà una mano a edificarci come soggetti saldi, ma nello stesso tempo flessibili. Ne è uscito un libro pedagogico, come da professione del suo curatore? Non solo. Ne è uscito un libro contemporaneo, che intende risuonare con il presente e proporre un ritmo al futuro, dove la velocità si interfaccia con persone agili e competenti, con storie professionali e stili differenti, che hanno fornito contributi derivati dalla loro esperienza e dalla loro riflessione sull’esperienza stessa, esattamente il messaggio di apertura, flessibilità e saldezza che si vuole trasmettere. Cosa trovate dunque in questo testo? Una serie di competenze da sviluppare e suggerimenti da perseguire, utili per scegliere quali esperienze fare e comprendere a che cosa dedicare una parte del proprio tempo, in quella che abbiamo chiamato appena qui sopra edificazione, termine a
cui aggiungiamo le parole “di se stessi”. Nel primo capitolo, Luisa Broli ci parla di “Competenza digitale e uso responsabile dei sistemi di IA”. È chiaramente questo il punto di partenza ideale di un testo contemporaneo, perché rappresenta l’infrastruttura base del nostro tempo. Nel 2025, l’IA e il digitale sono ormai elementi imprescindibili della quotidianità, con cui dobbiamo confrontarci in misura sempre maggiore. Luisa ci illustra come, a fronte di possibilità potenzialmente infinite, l’uso responsabile – quindi etico e rispettoso di sé e degli altri – delle sempre più nuove tecnologie sia fondamento di quanto occorre sapere e saper fare nel quotidiano.
Il secondo capitolo, di Maura Di Mauro, “Competenze per rapportarsi con l’altro”, viene qui proposto in quanto, dopo aver stabilito le basi tecniche, è fondamentale affrontare l’aspetto relazionale nel percorso di formazione personale. In un mondo sempre più digitalizzato, le competenze interpersonali diventano ancora più cruciali, trovandoci tutti confrontati con altri che provengono da tradizioni e culture differenti, con usi diversi e convinzioni diverse, rendendo dunque basilare il prepararci a questi incontri.
Il terzo capitolo, di Davide Antognazza e Luther Blissett, “Le competenze di pace e previsione nel secolo veloce” è un altro capitolo scritto a più mani dove la riflessione si sposta dall’incontro alla cooperazione con l’altro, tema che richiede impegno e conoscenza di sé, per mettere tra parentesi i pregiudizi ed esplorare nuove strade di fronte alle sempre possibili incomprensioni. Si costruisce sulle competenze relazionali per espanderle a livello sociale più ampio: la capacità di previsione e di costruire pace sono essenziali in un mondo caratterizzato da rapidi cambiamenti e potenziali conflitti.
Loredana Addimando è l’autrice del quarto capitolo, “Scienza del sé. Allenare la mente per abitare il cambiamento”. A questo punto, dopo
aver esplorato le relazioni con gli altri, è naturale volgere lo sguardo verso l’interno. Il benessere personale è fondamentale per gestire la complessità del mondo contemporaneo, la costante ricerca, supportata dal metodo scientifico, di nuovi ambiti, nuovi spazi e nuove abitudini sono un potente antidoto all’assuefarsi e rinchiudersi su se stessi, cosa non più possibile pena l’uscire dal flusso del cambiamento, sempre in atto.
Lucia Suriano, nel quinto capitolo “Lasciarsi ribaltare”, approfondisce questa disponibilità al cambiamento, sottolineando l’importanza di lasciarsi sorprendere e introducendo l’idea del ribaltamento, da vivere come esplorazione di nuovi punti di vista attraverso cui dare nuovi significati agli eventi.
Nel sesto capitolo, Silvia Sbaragli e Michele Canducci riflettono su “Utilità e inutilità della matematica nel XXI secolo”. Materia da sempre considerata ostica, la matematica è alla base del pensiero complesso, e va vista come: “una delle esperienze culturali più antiche e pervasive dell’umanità, che porta con sé un bagaglio di storie, idee, concetti, che, se appresi e approfonditi, contribuiscono certamente alla formazione dell’individuo”.
Il settimo capitolo, di Mario Bottinelli Montandon, “Sulle tracce del bello”, apre la strada al capitolo di Viganò sull’infinito, poiché l’esperienza estetica ci apre a dimensioni che trascendono l’ordinario e ci porta a intravvedere, al di là della materialità delle cose, dimensioni che non sono mai mancate e mai mancheranno nella definizione di esperienza umana completa e significativa. Chiude il testo il capitolo di Angelo Viganò, con una riflessione dal titolo “Infinito: apertura verso il ‘Totalmente Altro’?”. Grazie alla sua peculiare esperienza di vita, Viganò ci porta oltre i confini del finito, in un itinerario dove l’andare è sinonimo di osservare, meravigliarsi, riflettere e ricercare, e dove i significati terminano di essere totalmente esplorabili e si aprono al mistero.
Nella conclusione, viene infine proposta una metafora sull’umano al ritmo con il tempo presente, che risuona con il reale ma nello stesso tempo lo conduce verso un futuro più consapevole. È questo un libro, completo, definitivo? Sicuramente no, ma si propone al lettore come testo attuale e futuribile, da pensare e far vivere, oltre che da leggere, in quanto: “Viandante non esiste il sentiero, il sentiero si fa camminando…” (Antonio Machado).
di Maura Di Mauro*
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma
Antoine-Laurent de Lavoisie
Trasformazioni veloci e relazioni con l’altro
Chi avrebbe immaginato, anche solo cinquant’anni fa, che i cambiamenti e le trasformazioni che impattano sul nostro modo di vivere, di lavorare e di relazionarci con gli altri, potessero avvenire in tempi così rapidi come quelli che stiamo vivendo “oggi”?
Sul finire del XX secolo, in Europa, si sono succeduti alcuni eventi che hanno segnato gli stili di vita, il modo di pensare e di interagire con l’altro, diverso da sé, nel XXI secolo; tra questi: gli accordi di Schengen (1985), la nascita del Programma Erasmus (1987), la caduta del Muro di
* Formatrice Interculturale, Consulente DEI & Sostenibilità. Docente di Intercultural Management presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, altre Università e Business School.
Berlino (1989), il Trattato di Maastricht e la nascita dell’Unione Europea (1992). Contemporaneamente alla penetrazione nel mercato dei viaggi e dei trasporti delle compagnie aeree low cost, questi eventi hanno aumentato e reso più facili le opportunità di viaggiare e di muoversi oltre confine. Al contempo hanno consentito di formare e di creare una generazione di persone per cui conoscere altre lingue, esplorare e rapportarsi con l’altro, diverso da sé, diventava parte del proprio stile di vita e del modo di percepire e di intendere la propria identità (o la propria worldview): più “estesa” rispetto a un senso identitario locale, europea, internazionale, legata ad una “Cittadinanza Globale”1.
Le esperienze di mobilità internazionale e il conseguente sviluppo di atteggiamenti di apertura e di curiosità verso l’altro e la diversità culturale, seppur più diffuse rispetto al passato, rimangono anche oggi circoscritti a un gruppo limitato e privilegiato della popolazione. Basti considerare che, nella formazione di terzo livello, gli studenti internazionali rappresentano solo il 2% dei 5,6 milioni di studenti universitari a livello globale e il 12% a livello europeo2; e che, la maggior parte degli studenti coinvolti in programmi di mobilità internazionale proviene da Paesi ad alto o a medio reddito e ha una stabilità o un supporto finanziario familiare3.
Sempre sul finire del XX secolo, l’Italia da Paese di emigrazione si trasformava in Paese di immigrazione. Nel 1995 la popolazione italiana era composta da circa 60 milioni di persone e gli stranieri residenti erano meno di 800 mila4. Nel 2001 il numero delle persone straniere residenti
1. Baranova, Kobicheva, Tokareva, 2020; Baiutti, 2017; Jacobone, Moro, 2014.
2. Si vedano i dati T.I.M.E. Association. International Student Mobility Report. April 2021, tinyurl.com/5554m69x e Howard Davies (2023). EUA European Universities Association. Brief “Going beyond the 20% student mobility benchmark”, September 2023, tinyurl.com/5ycmmzz7
3. UNESCO Institute of Statistics, 2023.
4. ISTAT, 1998, (a cura di) Gabrielli D., Bisogno E., La presenza straniera in Italia negli anni ’90, tinyurl.com/2uecu4rz
è salito a 1 milione e 400 mila5; nel 2024 a più di 5 milioni e 300 mila6. L’aumento del numero degli stranieri residenti e con essi il numero degli stranieri “italianizzati” (ovvero quelli che avendo acquisito la cittadinanza italiana sono diventati italiani a tutti gli effetti e “spariscono” dalle statistiche degli “stranieri residenti”), accanto alla riduzione delle nascite e all’aumento della longevità della popolazione hanno comportato un’evidente trasformazione sociodemografica, multietnica e multiculturale del Bel Paese.
Insieme all’aumento delle opportunità di mobilità internazionale, le trasformazioni sociodemografiche in corso hanno un impatto sulle occasioni e sulla frequenza delle interazioni con l’ altro , diverso da sé; ma anche sul concetto di identità, sempre più bi- o multiculturale7 e sulle capacità e gli atteggiamenti richiesti per convivere e interagire in modo appropriato ed efficace in contesti relazionali multiculturali.
Le cronache dei media così come diversi report e indagini svolte sia in Italia che in Europa da agenzie internazionali, istituti e organizzazioni no-profit, ci ricordano tuttavia che, a lato di queste trasformazioni non mancano episodi di razzismo e discriminazione. Sottolineano la necessità di contrastare comportamenti di violenza di tipo fisico o verbale verso l’altro che si basano su atteggiamenti di chiusura o disprezzo verso la diversità; invitano a rimuovere gli “ostacoli” alle relazioni con persone di diversa lingua, cultura o colore della pelle8.
Nel 1991 il lancio del “World Wide Web” ha contribuito a innescare una serie di altre meta-
5. Caritas Migrantes, 2005.
6. ISTAT, 2024.
7. Di Mauro e Gehrke, 2023.
8. Si vedano il comunicato stampa dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA) tinyurl.com/yfnhwruv a seguito della pubblicazione del rapporto, da parte della stessa Agenzia, “Being Black in the EU – Experience of people of Africa descendent” tinyurl.com/mr3ca832; i risultati del sondaggio lanciato da UNICEF “OPS! La tua Opinione oltre i Pregiudizio contro gli Stereotipi!” tinyurl.com/2hffnxtm; e i risultati dell’indagine curata da Ipsos per Amref-Italia “Africa e salute: l’opinione degli italiani” tinyurl.com/57b649nc.
morfosi, sempre più veloci, che hanno avuto e hanno un continuo impatto sulle modalità e le tipologie di interazione umane e sulle identità9. Nel suo primo anno Internet aveva 4,1 milioni di utilizzatori; 4,31 bilioni di utilizzatori nel 2018; 5,35 bilioni nel 2024, il 66,2% della popolazione mondiale10. A contribuire in modo massivo all’esplosione del suo utilizzo, oltre all’accesso e alla potenza infrastrutturale della rete, hanno contribuito l’avvento e la rapida diffusione dei social media, in particolare di Facebook nel 2004. Il “WWW” consente di accedere a un numero incredibile di dati e di informazioni; “accorcia” le distanze geografiche; ha creato e continua a creare nuovi contesti relazionali, nuove abitudini e stili di vita. Basti pensare all’utilizzo della e-mail, delle chat, dei social media; alla rapida espansione dell’e-commerce, all’utilizzo delle video call e degli strumenti di collaborazione a distanza, l’Intelligenza Artificiale… la diffusione del telelavoro, dello smartworking, dei nomadi digitali... Se da un lato Internet ha aperto e potenziato moltissime opportunità, dall’altro non sono pochi i rischi a cui la pervasività dell’iperconnessione e le relazioni sempre più mediate dai social ci espongono. Tali rischi spaziano da questioni di tipo etico che hanno a che fare con la veridicità delle informazioni e delle fonti di informazione, all’uso dei social come fonti primarie senza l’utilizzo di un pensiero critico 11, alla correlazione di questi fenomeni con la diffusione dei populismi e delle popolarizzazioni politiche o ideologiche12. Altri rischi sono connessi alla sicurezza e alla privacy in rete, il cyberbullismo, gli hate speech, il digital divide13. L’iperconnessione virtua-
9. La nascita di Internet, o del “WWW”, così come la conosciamo oggi, viene fatta risalire al 1991 ad opera di Tim Berners-Lee del CERN di Ginevra; in realtà l’antecedente di Internet fu ARPANET, che veniva usato nell’ambito della sicurezza militare.
10. Si vedano i dati del Digital Global Overview Report del 2018 e del 2024.
11. Reuters, 2023.
12. Dal Lago, 2017.
13. Castells, 2001.
le ha inoltre creato nuove dipendenze digitali: riduce i rapporti “reali” e l’utilizzo del linguaggio per comunicare con gli altri; aumenta l’isolamento sociale e la diffusione di alcuni disturbi di personalità, tra cui il narcisismo digitale 14 e l’alessitimia digitale15. L’iperconnessione online riduce la capacità di riflessione, la consapevolezza di sé e la capacità di gestione emotiva e relazionale verso di sé e con gli altri (spesso manifestata attraverso modalità relazionali “on-off”, “ti cancello dai miei contatti”).
Sembrerebbe inoltre che, a causa delle innovazioni tecnologiche e dell’automatizzazione dei processi di lavoro, della transizione green e delle pressioni geoeconomiche in atto che accelerano le continue riconfigurazioni dei mercati del lavoro, nell’arco dei prossimi cinque anni per ben il 44% dei lavoratori le competenze chiave del proprio ruolo subiranno delle evoluzioni. Sempre più persone che si affacciano nel mondo del lavoro avranno percorsi di carriera diverse da quelle per le quali erano state originariamente formate16. Come gestire queste complessità?
14. Agostini, 2017.
15. McKenna & Bargh, 2000; Billieux et al., 2015.
16. WEF (2024), tinyurl.com/mr3h8jmz
di Davide Antognazza e Luther Blissett*
Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite.
Mark Twain
la pace), il conoscere e l’essere capaci di leggere i segni del tempo metereologico per navigare verso acque più sicure (previsione). A nostro avviso, questa metafora riflette in maniera adeguata la realtà del nostro “secolo veloce”, un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti, incertezze e sfide complesse. In questo contesto, le competenze di “fare e mantenere la pace” e di previsione emergono come bussole indispensabili per orientarci e navigare nel mare della quotidianità. In questo capitolo intendiamo esplorare queste due competenze vitali che abbiamo scelto di tenere insieme offrendo non solo una prospettiva teorica sulla loro importanza, ma anche strumenti pratici per il loro sviluppo. Desideriamo intraprendere un viaggio rischiarante attraverso queste competenze essenziali, scoprendo come possono trasformare non solo la nostra vita, ma anche il modo in cui le nostre comunità affrontano le sfide del futuro.
Introduzione
Immaginate di trovarvi su una barca in mezzo a un oceano in tempesta. Le onde si alzano minacciose, il vento sibila tra le vele e l’orizzonte è nascosto da nubi scure. In questo scenario, due abilità diventerebbero cruciali per la vostra sopravvivenza: la capacità di mantenere la calma e collaborare con l’equipaggio (fare e mantenere
Quando pensiamo al “fare la pace”, spesso la nostra mente corre a grandi scenari di conflitti internazionali o a negoziati di alto livello. Ma la verità è che questa competenza è profondamente radicata nella nostra vita quotidiana, nelle nostre interazioni più semplici e nelle sfide che affrontiamo ogni giorno. Fare la pace non significa semplicemente evitare i conflitti o cercare compromessi superficiali. È un’arte più sottile e profonda, che coinvolge la nostra capacità di creare e nutrire relazioni armoniose, di affrontare le divergenze in modo costruttivo e di coltivare un ambiente di comprensione reciproca e cooperazione autentica.
Immaginate un giardino rigoglioso. Fare la pace è come l’atto di coltivare questo giardino: ri*Luther Blissett è uno pseudonimo collettivo – a volte definito “nome improprio” – utilizzato in questo capitolo per dare credito a pensieri dell’autore che non possono essere riferiti a fonti definite, ma che rappresentano la sintesi di anni di esperienze formative in Italia e all’estero, nel reale e nel virtuale.
chiede attenzione costante, pazienza e la capacità di riconoscere e nutrire ciò che è benefico, mentre si gestiscono con calma e ponderazione gli elementi che potrebbero minacciare l’armonia dell’insieme. In un mondo sempre più interconnesso, la capacità di fare pace diventa una competenza fondamentale. Non si tratta solo di migliorare le nostre relazioni personali, ma di contribuire attivamente alla creazione di comunità più coese e società più stabili. Come sarebbero il nostro ambiente di lavoro, la nostra famiglia o la nostra comunità se tutti possedessero questa competenza a un livello elevato? Le discussioni potrebbero diventare opportunità di crescita, i problemi verrebbero affrontati con creatività e collaborazione, e le differenze sarebbero celebrate come fonti di ricchezza piuttosto che di divisione. Approfondiamo allora gli elementi chiave che compongono questa competenza essenziale, esplorando come ciascuno di essi contribuisce alla nostra capacità di creare e mantenere la pace nei nostri contesti di vita.
L’empatia è come un ponte che ci permette di attraversare il fiume delle differenze e raggiungere l’altra sponda, quella del nostro interlocutore. Non si tratta semplicemente di essere gentili odi annuire con comprensione. L’empatia vera richiede uno sforzo attivo di immaginazione delle ragioni dell’altro, di apertura emotiva. Come dicono gli indiani d’America, per comprendere appieno l’altro occorrerebbe camminare per tre lune (circa tre mesi) nei suoi mocassini così da comprendere meglio come si sente camminando per la sua strada, quali sassolini lo infastidiscono, le salite che lo affaticano, i panorami che lo entusiasmano… Questo esercizio mentale ed emotivo è il cuore dell’empatia, da considerare non come una dote personale – dal momento
che è alla portata di tutti – ma come un potenziale, da agire per comprendere e da gestire per poterla utilizzare coscientemente nei momenti in cui necessita la sua attivazione. L’ascolto attivo, d’altra parte, è lo strumento che ci permette di raccogliere le informazioni necessarie per questo viaggio empatico. Non si tratta solo di sentire le parole pronunciate, ma di ascoltare con tutto il nostro essere: con le orecchie, certo, ma anche con gli occhi che colgono il linguaggio del corpo, con il cuore che percepisce le emozioni sottostanti e con la mente che resta aperta e curiosa.
Provate a pensare all’ultima volta che vi siete sentiti veramente ascoltati. Come vi ha fatto sentire? Probabilmente avete sperimentato un senso di validazione, di accettazione e di confidenza, di rispetto, forse persino di sollievo. Ecco, questo è il potere dell’ascolto attivo nella costruzione della pace.
La comunicazione nonviolenta è come una danza delicata in cui ogni movimento è studiato per creare armonia invece che conflitto. Si basa sul principio che dietro ogni azione, per quanto problematica possa sembrare, c’è un bisogno umano universale che vuole essere soddisfatto, è lo sforzo di provare a trasformare le accuse che riceviamo in richieste, i giudizi in osservazioni, la rabbia nostra e altrui in espressioni di bisogni non accolti. La comunicazione nonviolenta è questa sorta di bacchetta magica, accessibile a tutti noi con un po’ di pratica e consapevolezza. Si tratta di imparare a esprimere i propri bisogni e sentimenti in modo chiaro e rispettoso, evitando il linguaggio che potrebbe innescare meccanismi di difesa nell’altro. Invece di dire “sei sempre in ritardo, sei un irresponsabile!”, si potrebbe dire “quando arrivi in ritardo, mi sento frustrato perché per me
è importante essere puntuali. Potresti aiutarmi a capire cosa succede?”.
Questo approccio apre la porta al dialogo invece di chiuderla con un’accusa, creando uno spazio in cui entrambe le parti possono esplorare soluzioni che soddisfino i bisogni di tutti.
Le emozioni sono come il tempo atmosferico del nostro mondo interiore: a volte c’è sole, a volte piove e occasionalmente si scatenano tempeste. La capacità di gestire queste “condizioni meteorologiche” è fondamentale per mantenere la pace, sia dentro di noi che nelle nostre relazioni. Gestire le emozioni non significa reprimerle o ignorarle, anche perché è impossibile farlo. Al contrario, si tratta di riconoscerle, accettarle e imparare a navigarle con saggezza. È come essere capitani esperti della propria nave emotiva, capaci di mantenere la rotta anche quando il mare è agitato.
Se avessimo un “termometro emotivo” interno, praticare la gestione delle emozioni sarebbe come leggere questo termometro regolarmente, riconoscere quando la temperatura sta salendo troppo e mettere in atto strategie per raffreddarla prima che raggiunga livelli di ebollizione. D’altra parte, riconoscere quando le condizioni che mi stanno intorno e il mio modo di viverle tengono la mia temperatura a 36.5 gradi mi permetterebbe di mantenere più a lungo questo stato di benessere, adeguandomi di continuo e in maniera consapevole ai cambiamenti che si susseguono intorno a me. Queste strategie possono includere tecniche di respirazione profonda, pratiche di mindfulness o semplicemente la capacità di fare un passo indietro e prendersi un momento per riflettere prima di reagire. Con il tempo e la pratica, diventiamo sempre più abili nel navigare le nostre emozioni,
creando un ambiente interno di calma e chiarezza che si riflette positivamente nelle nostre interazioni con gli altri e con noi stessi.
Pensiero critico e problem-solving
Il pensiero critico nella costruzione della pace è come avere una lente d’ingrandimento che ci permette di esaminare le situazioni da molteplici angolazioni. Non si tratta di essere critici nel senso negativo del termine, ma di essere curiosi, analitici e aperti a considerare prospettive diverse dalla nostra. Immaginate di avere davanti a voi un puzzle complesso. Il pensiero critico ci aiuta a esaminare ogni pezzo, a capire come si incastra con gli altri e a vedere l’immagine più grande che emerge dall’insieme. In una situazione di conflitto, questo significa essere in grado di analizzare le varie componenti della situazione, comprendere le motivazioni e i bisogni di tutte le parti coinvolte, e cercare soluzioni che possano soddisfare il maggior numero possibile di questi bisogni.
Il problem-solving, d’altra parte, è l’abilità di trasformare questa comprensione in azione concreta. È come essere degli inventori creativi, capaci di progettare soluzioni innovative che vadano oltre le apparenti contrapposizioni. Pensate a un momento in cui avete affrontato un conflitto apparentemente irrisolvibile. Il pensiero critico e il problem-solving ci invitano a chiederci: “Quali sono le assunzioni che stiamo facendo? Ci sono prospettive che non abbiamo considerato? Quali soluzioni creative potrebbero emergere se pensassimo fuori dagli schemi abituali?”.
La mediazione e la negoziazione sono come l’arte di costruire ponti laddove sembravano esser-
ci non solo fiumi, ma addirittura abissi invalicabili. Queste strategie ci permettono di facilitare il dialogo tra parti in disaccordo e di trovare terreno comune anche nelle situazioni più difficili. La mediazione richiede la capacità di rimanere neutrali pur essendo profondamente coinvolti, di creare uno spazio sicuro in cui tutte le parti si sentano ascoltate e rispettate, e di guidare il processo verso una comprensione reciproca e, idealmente, verso soluzioni condivise. La negoziazione, d’altra parte, è l’arte di bilanciare fermezza e flessibilità, ha le stesse caratteristiche di una canna di bambù: ci vuole forza per mantenersi eretti, ma anche flessibilità per muoversi in sintonia con l’ambiente e le sue perturbazioni. L’obiettivo non è vincere, ma trovare soluzioni che creino valore per tutte le parti coinvolte. Ricordate qualche situazione in cui avete dovuto mediare tra amici in conflitto o negoziare un accordo al lavoro? Quali strategie vi hanno aiutato a solcare queste acque turbolente? Come potreste applicare queste competenze in modo più consapevole ed efficace nelle vostre interazioni future?
di Loredana Addimando*
We are what we repeatedly do. Excellence, then, is not an act, but a habit.
Will Durant1 (attribuita ad Aristotele)
La scienza come guida per la crescita personale
Fin dall’alba dei tempi, l’essere umano si è interrogato su come migliorarsi e affrontare il mondo in maniera più efficace. Dalle civiltà antiche fino ai giorni nostri, filosofi, psicologi e pensatori moderni hanno cercato di tracciare la via della crescita personale, spesso affidandosi all’intuizione o alla saggezza popolare. Ma nel corso del XX secolo, una nuova svolta ha ridefinito il no-
*Professoressa Associata di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università Telematica Pegaso. Si occupa di processi di cambiamento, benessere organizzativo e innovazione didattica. 1. Durant, 1926.
stro modo di affrontare questa ricerca: l’applicazione della scienza, e in particolare della ricerca empirica, allo studio del comportamento umano. La scienza, con il suo metodo rigoroso, ci offre una lente attraverso cui guardare noi stessi in modo più distaccato, rivelando i meccanismi profondi che regolano le nostre decisioni, le nostre abitudini e le nostre competenze.
Autori come Daniel Kahneman, Charles Duhigg, James Clear e Anders Ericsson nei primi anni Duemila hanno rivoluzionato il modo in cui comprendiamo la crescita personale, mettendo in luce che non si tratta solo di forza di volontà o motivazione. Ciò che conta davvero è l’osservazione, l’analisi e l’applicazione metodica di strategie sperimentate. La scienza ci mostra che possiamo migliorare in modo continuo e misurabile, trasformando abitudini, processi decisionali e abilità attraverso l’esperimento, il feedback e la pratica deliberata, cioè quell’esercizio finalizzato tipico del compito di apprendimento.
Il metodo scientifico applicato alla crescita personale
Esempio pratico : Supponiamo di voler migliorare la nostra capacità di concentrazione. Il primo passo consiste nell’osservare il nostro comportamento attuale: quando ci distraiamo, cosa causa la distrazione e quanto tempo perdiamo in attività non correlate al lavoro/compito? Possiamo quindi formulare un’ipotesi su come migliorare, come ridurre il tempo trascorso sui social media o spegnere le notifiche durante i periodi di lavoro intenso. Dopo un periodo di sperimentazione, possiamo valutare l’efficacia delle tecniche implementate attraverso un’analisi quantitativa (ad esempio, quante ore di lavoro produttivo riusciamo a ottenere rispetto a prima).
Il metodo scientifico è il pilastro della ricerca empirica e può essere applicato anche alla crescita personale. Questo processo include l’osservazione, l’ipotesi, la sperimentazione e l’analisi dei risultati, ed è particolarmente utile per monitorare e migliorare comportamenti specifici. È la bussola che ci permette di orientarci nel mare della crescita personale. Osservare, formulare ipotesi, sperimentare e analizzare i risultati non sono solo fasi di un processo astratto, ma passi concreti che possiamo applicare alla nostra vita quotidiana per migliorarci. Il percorso inizia sempre dall’osservazione: cosa ci limita? Quali sono i comportamenti che dobbiamo cambiare? Peter Hollins, nel suo La scienza della crescita personale 2, suggerisce di trattare la nostra vita come un esperimento continuo. Per esempio, se vogliamo migliorare la nostra capacità di concentrazione, possiamo iniziare monitorando le nostre distrazioni quotidiane: quali sono i fattori che ci portano lontano dal nostro obiettivo? Come spiega Fogg3, una volta identificati gli obiettivi, possiamo formulare delle ipotesi su come ridurre queste distrazioni, come spegnere le notifiche o bloccare l’accesso ai social media durante il lavoro. Il passaggio successivo è sperimentare queste soluzioni e misurarne i risultati. Questo ci consente di correggere il tiro e di migliorare costantemente. Un approccio “sperimentale” non solo riduce la soggettività, ma ci permette di misurare concretamente i progressi e di correggere gli errori.
L’essere osservati e imparare ad auto-osservarsi è una leva potente della crescita personale. Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, un gruppo di studiosi si avventurò in un esperimento che avrebbe lasciato un segno indelebile nel campo della psicologia del lavoro: gli esperimenti nelle fabbriche Hawthorne. L’obiettivo era piuttosto semplice: capire come i cambia -
2. Hollins, 2019.
3. Fogg, 2020.
menti nelle condizioni lavorative – come la variazione dell’illuminazione – potessero influenzare la produttività di un gruppo di operaie. I risultati furono sorprendenti e andarono ben oltre le aspettative iniziali. Indipendentemente dalle modifiche apportate, che fosse un aumento della luce o un suo abbassamento, la produttività delle operaie tendeva a migliorare. La vera scoperta, però, non fu legata alla luce in sé, ma a qualcosa di più sottile: la consapevolezza di essere osservati. Le lavoratrici sapevano di essere sotto lo sguardo attento dei ricercatori e questo semplice fatto sembrava spingerle a impegnarsi di più. Nacque così quello che oggi chiamiamo “effetto Hawthorne”, un fenomeno che sottolinea un principio fondamentale della crescita personale: il monitoraggio del comportamento è, di per sé, un catalizzatore del cambiamento.
In altre parole, la sola osservazione consapevole del proprio agire – o la percezione di essere osservati – può innescare un processo di miglioramento. Non è l’osservazione passiva a fare la differenza, ma l’atto stesso di portare consapevolezza a ciò che si sta facendo. Questo principio, se applicato con metodo, diventa una potente leva per il cambiamento.
Esempio pratico: Un esempio concreto può essere il processo di investimento. Quando decidiamo di investire denaro, potremmo essere tentati di prendere decisioni rapide basate su intuizioni o informazioni recenti. Tuttavia, applicando un sistema razionale e analizzando i dati più approfonditamente, possiamo prendere decisioni più ponderate e ridurre il rischio di errori.
Le decisioni sono il fulcro della nostra esistenza, eppure sono spesso influenzate da meccanismi cognitivi nascosti. Kahneman ci ha insegnato che esistono due sistemi di pensiero: il Sistema 1, rapido e intuitivo, e il Sistema 2, più lento e razionale. Mentre il primo è utile per le decisioni rapide, è anche soggetto a numerosi errori cognitivi, o bias. Le ricerche empiriche condotte da Kahneman e Tversky hanno rivelato un fatto sorprendente: i bias cognitivi sono universali e possono influenzare anche le decisioni più importanti. In un celebre studio, i due dimostrarono che gli individui tendono a sovrastimare la probabilità di eventi drammatici o memorabili –come un incidente aereo – a causa di un meccanismo chiamato “euristica della disponibilità”, significa che quanto più un evento è vividamente presente nella nostra memoria, tanto più siamo inclini a credere che quell’evento sia frequente o probabile... In sostanza, siamo portati a basare le nostre decisioni sulle informazioni più facilmente accessibili alla memoria, anche se queste non rappresentano la realtà in modo accurato. Per contrastare questi bias e migliorare il nostro processo decisionale, Kahneman suggerisce di allenare il Sistema 2, il pensiero lento e analitico che richiede uno sforzo deliberato. Una tecnica utile a questo scopo è il mantenimento di un diario decisionale , uno strumento che consente di annotare le decisioni, i ragionamenti alla base e i risultati ottenuti. Un altro approccio efficace viene da Ray Dalio4, che propone un metodo basato sull’analisi rigorosa dei dati, il feedback continuo e la sperimentazione, simile a quello di uno scienziato.
La comprensione dei meccanismi decisionali e dei bias cognitivi è essenziale per migliorare le nostre scelte quotidiane. Utilizzando strumenti empirici come i diari decisionali e i modelli di pensiero analitico, possiamo ottimizzare il no -
stro processo decisionale e ottenere risultati più soddisfacenti, sia nella vita personale che professionale.
4. Dalio, 2017.
Viviamo un tempo che esige ritmi sempre nuovi, passi fino ad oggi sconosciuti, che sembra proporci a ogni respiro sfide differenti e pretendere da noi una flessibilità che a volte pare spiazzarci. In equilibrio precario, sentiamo le certezze farsi più flebili e quel che fino a pochi giorni fa si mostrava certo, muta così velocemente da apparirci obsoleto, forse inservibile. Tutto ci sembra invecchiare in modo drammaticamente veloce. Anche le nostre conoscenze e le nostre competenze. Sentiamo forte il bisogno di ancorarci, recuperare l’equilibrio. E se è certo che non possiamo conoscere tutto, intuiamo che la risposta indispensabile non sia più “cosa so?”, ma “come so farlo?”. E, ancora di più, “cosa ho bisogno di sapere, per continuare a fare?”. Tutto questo è vero soprattutto per chi si occupa di formazione ed educazione. La sfida del volume è proprio questa: risuonare col presente ed essere capaci di proporre un ritmo al futuro. Fornire stimoli adatti a sviluppare nuove competenze e al tempo stesso imparare a saper scegliere le giuste esperienze per sviluppare un percorso di edificazione di se stessi ormai indispensabile. Più voci in un solo volume, per proporre risposte a formatori, insegnanti, educatori che avvertano l’urgenza di recuperare un equilibrio che si è fatto più labile e il bisogno di acquisire le nuove competenze attraverso riflessione, introspezione, dialogo e nuove consapevolezze. Perché la vera competenza non è la semplice conoscenza, ma la capacità di essere presenti nel cambiamento.
Davide Antognazza, pedagogista, si occupa principalmente di educazione socio-emotiva e intelligenza emotiva. Si è formato negli Stati Uniti, studiando psicologia cognitiva alla Yale University e successivamente conseguendo un Master presso la Harvard University Graduate School of Education. È docente e ricercatore senior presso il Dipartimento formazione e apprendimento, Alta Scuola Pedagogica della SUPSI di Locarno (Svizzera), dove attualmente esplora l’applicazione dell’intelligenza artificiale nei contesti educativi.
Con le edizioni la meridiana ha pubblicato Crescere emotivamente competenti (2017), Dentro l’aula (con M. Romualdi, 2020), Evermind (con M. Pongelli, 2021) e In media stat virtus (con A. Bosia e S. Rossetti, 2022).
ISBN 979-12-5626-055-3
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
Euro 14,50 (I.i.)