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La forza della cronaca contro l’odio della mafia
L’emozione di Giulio Francese, figlio di Mario Francese, ucciso dalla mafia siciliana nel 1979. “La cattura di Messina Denaro tappa fondamentale”
L’INTERVISTATO
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A lato Giulio Francese, ex presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, è consigliere nazionale dell’Odg
“Quando ho saputo la notizia ero in viaggio verso Catania. È stata una giornata emozionante per me e la mia famiglia”: così Giulio Francese commenta l’arresto di Matteo Messina Denaro, catturato dopo 30 anni di latitanza in una clinica di Palermo. Lui, l’ultimo responsabile delle stragi del ’92-’93, nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo e uno dei boss più importanti di Cosa Nostra. “Anche questa è una tappa fondamentale, al pari dell’arresto di Provenzano e Totò Riina”.
Non solo Francese
Degli undici giornalisti vittime della violenza mafiosa e terroristica in Italia, otto sono siciliani. Cosimo Cristina fu legato ai binari per simulare un suicidio, nel 1960. La verità sul suo assassinio è emersa solo nel 1999. Nello stesso modo fu ucciso Peppino Impastato, nel 1978. Era la notte nera dello Stato italiano: nelle stesso ore, Aldo Moro veniva ucciso dalle Brigate Rosse. Dopo toccò a Mario Francese nel 1979 e poi a Pippo Fava, ucciso a Catania nel 1984. Mauro De Mauro nacque in Puglia ma si trasferì a Palermo, dove fu rapito nel 1970 da Cosa Nostra e mai più ritrovato. Due anni dopo, Giovanni Spampinato fu ucciso a Ragusa.
Nel 1988 toccò a Mauro Rostagno, ucciso vicino Trapani. Beppe Alfano fu assassinato nel 1993: per il suo omicidio fu condannato all’ergastolo un boss locale, ma i suoi esecutori materiali sono ancora ignoti.
Giulio Francese è il figlio di Mario Francese, giornalista ucciso dalla mafia nel 1979. Il suo fiuto da cronista lo portò, negli anni Settanta, a ricostruire i complicati intrecci tra gli affari malavitosi e la scia di morti ed attentati in Sicilia. Per primo pubblicò i nomi dei boss corleonesi che cominciavano a scalare le gerarchie di Cosa Nostra, per primo chiamò "commissione" il vertice della cupola. Mario Francese fu ucciso a colpi di pistola sotto casa, la sera del 26 gennaio 1979. Per la sua morte furono condannati Totò Riina, Leoluca Bagarella (l'esecutore materiale del delitto), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano.
Oggi il figlio Giulio, che ha seguito le orme del padre, è consigliere dell’Ordine nazionale dei giornalisti. “È vero, ci sono voluti 30 anni per giungere all’arresto, ma io voglio credere in un’azione unica e trasparente dello Stato. Certo, ci sono state zone d’ombra, qualche episodio contraddittorio… ma l’impegno per la ricerca non è mancato e lo dimostrano tutti gli arresti effettuati nel corso di questi anni”.
In un quadro sociale così segnato dalla criminalità, la stampa può giocare un ruolo cruciale, come la lezione di Mario Francese insegna. Ma il giornalismo di oggi non è lo stesso di 43 anni fa, e gli stravolgimenti economici, sociali e digitali hanno colpito soprattutto le realtà più piccole: “La stampa locale fa quel che può e gli esempi virtuosi non sono mai mancati. In Sicilia, sono morti otto giornalisti per mano della mafia. Oggi i giovani cronisti non hanno coperture. Non devono essere mandati allo sbaraglio, lavorano in condizioni avvilenti e senza contratti adeguati. E si deve tenere conto anche delle normative a cui i giornalisti sono vincolati, ad esempio il decreto 188 del 2021 sulla presunzione di innocenza, il diritto all’oblio.”
Giulio Francese non risparmia però critiche alla sua stessa categoria: “Anche noi ci abbiamo messo del nostro. La parola mafia, a un certo punto, è scomparsa dalle pagine di cronaca. Su una testata ho persino letto ‘Cosa Nostra si è estinta, l’anti mafia non ha più senso’. È assurdo.”
Quale lezione di giornalismo ci ha lasciato Mario Francese? Secondo suo figlio, la capacità di ascoltare senza pregiudizi. Come quella che ebbe nel 1971 con Ninetta Bagarella, all’epoca fidanzata di Totò Riina. Francese fu l’unico ad intervistare “la maestrina di Corleone”: a lui raccontò il suo amore per il boss, le sue paure, gli intricati rapporti familiari nati in seguito a quella unione.

L’intervista avvenne in Tribunale, nel giorno in cui fu deciso per lei la sorveglianza speciale per due anni e mezzo. Era il 27 luglio.
Assalita dai fotografi, Francese avvicinò una donna “tremendamente nervosa”, ma ferma nelle sue convinzioni.“Non sono una donna? Non ho il diritto di amare un uomo e di se-