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Macché entusiasmo «L’arresto del boss non è una vittoria»
Salvatore Borsellino drastico
ATTIVISTA ANTIMAFIA
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Fratello minore di Paolo Borsellino, Salvatore si è sempre dedicato alla sensibilizzazione sui temi di mafia e trattativa
Nessuna euforia dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, ultimo boss di Cosa nostra. Salvatore Borsellino, fratello del giudice antimafia Paolo Borsellino, non partecipa alla soddisfazione collettiva del Paese per la notizia dell’arresto del padrino di Castelvetrano. Per lui non è una vittoria, bensì una sconfitta dello Stato. Perché una latitanza trentennale, favorita da alcuni abitanti della zona, non può essere considerata altrimenti. Cosa Nostra è stata sconfitta?
Assolutamente no. Ci sono troppe ombre. Già a novembre, in una trasmissione televisiva, Baiardo (che aveva protetto la latitanza dei Graviano) aveva ipotizzato la consegna di Messina Denaro a fronte di una trattativa su alcuni argomenti cari alla mafia: l’abolizione del 41-bis e dell’ergastolo ostativo, la legge sui collaboratori di giustizia, ecc… Pensa che ci sia stata una “trattativa” per giungere a questo arresto?
Si. Da un lato mi felicito perché un criminale di questo spessore sia finalmente in galera, dall’altro resta l’amarezza che possa essere dovuto non solo a un’operazione di polizia. “Trattativa” con una contropartita specifica, oltre alle leggi in materia di mafia? Dato che Baiardo si è dimostrato attendibile, non vorrei che questa contropartita sia stata anche la consegna di una copia dell’agenda rossa sottratta dalla macchina di Paolo, dopo l’esplosione in via D’Amelio.
Nei “covi” di Messina Denaro potrebbe es- serci materiale utile?
Di covi ne verranno trovati a decine e non si troverà nulla di interessate, se non preservativi e pillole di Viagra, come è successo. Ora si riuscirà a fare un minimo di chiarezza sulle stragi del ’92 e del ’93?
No. Messina Denaro non collaborerà con la giustizia, come prima di lui non collaborarono Liggio, Riina e Provenzano. E se decidesse di farlo, sono convinto che farebbe la fine di Provenzano, che fu letteralmente massacrato nella sua cella quando si iniziò a ipotizzare la sua collaborazione. Anche Gioè fu suicidato in carcere; Ilardo fu ucciso prima che potesse parlare. Purtroppo, grazie al famoso “protocollo farfalla”, i servizi segreti possono entrare nelle carceri e parlare con i criminali all’insaputa dei magistrati.
Come giudica le modalità dell’arresto?
Alcuni dettagli mi lasciano perplesso. La scena in cui Messina Denaro viene fatto salire sulla macchina è anomala. Viene quasi accompagnato, come se fosse fatto accomodare su un taxi. Mentre il suo autista, com’è giusto che sia, viene ammanettato.
Cosa chiederebbe al boss di Castelvetrano? Nulla, perché non parlerebbe. Più che a lui, vorrei chiedere qualcosa ai veri assassini di mio fratello. Paolo diceva: “Sarà stata la Mafia a uccidermi, ma saranno stati altri ad aver voluto la mia morte”. Mentre alcuni dei mafiosi che hanno ucciso mio fratello sono stati arrestati, nessuno dei mandanti, che con la Mafia hanno trattato, è mai stato individuato. Anzi, da una sentenza di Palermo sappiamo che trattare con la Mafia ed essere costretti a eliminare un servitore dello Stato come Paolo Borsellino non è reato. Oggi suo fratello cosa direbbe? Quello che direbbe mi hanno impedito di sentirlo, facendolo a pezzi. Per la sua forte fiducia nello Stato, a differenza mia, vedrebbe la parte positiva di questa cattura. La cosa più terribile, per lui, dev’essere stata la consapevolezza che dei pezzi deviati di quello stesso Stato, cui aveva prestato giuramento, stavano tramando per la sua morte. Secondo lei c’è già un dopo-Riina/Provenzano/Messina Denaro?
La Mafia ha sempre saputo sopravvivere alla cattura e alla morte dei suoi capi. In ogni caso Messina Denaro non avrebbe potuto essere il capo, perché la direzione della cupola, da sempre, per la Mafia è tenuta da qualcuno della provincia di Palermo. Quindi ora chi gestirebbe Cosa nostra?
Il posto di Riina e Provenzano potrebbe essere preso da uno dei fratelli Graviano, cioè Giuseppe (definito “Madre Natura”), anche dall’interno del carcere. Dalle stragi del ’92, il sopravvento nella gestione dell’attività mafiosa è stato preso dalla ‘Ndrangheta, che è una struttura più impenetrabile, perché basata su legami familiari.
Qual è il ruolo dei giovani nella memoria del periodo stragista della Mafia?
Un ruolo fondamentale, perché sarà soltanto con un ricambio generazionale che si vincerà la Mafia. Lo abbiamo visto in questi giorni con le interviste a Castelvetrano: gli adulti restavano in silenzio o si mostravano dispiaciuti per l’arresto di Messina Denaro, mentre i giovani festeggiavano nelle piazze. Le idee di Falcone e Borsellino continuano a camminare sulle nostre gambe?
Sono convinto di sì. Mio fratello, nella sua ultima lettera che lasciò sul tavolo incompiuta il giorno in cui fu ucciso, riferendosi alle nuove generazioni si dichiarava addirittura “ottimista”, pur sapendo del carico di esplosivo arrivato a Palermo per ucciderlo.
Scrisse: “Sono ottimista, perché vedo che verso la criminalità mafiosa i giovani, siciliani e no, hanno oggi un’attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni fino ai quarant’anni”. Si accusava di indifferenza solo perché fino a quell’età si era occupato di giustizia civile. E aggiunse: “Quando questi giovani saranno adulti, avranno più forza di combattere di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”. E come se, sapendo di dover morire, avesse deciso di passare il testimone alle nuove generazioni con quella lettera… Era convinto che i giovani avrebbero proseguito questa lotta, vincendola e facendo sentire al Paese quel “fresco profumo di libertà”, per cui lui ha sacrificato la sua vita e che non è riuscito a sentire.
Sullo sfondo la “trattativa” Stato-Mafia di ieri. In primo piano la soddisfazione per la cattura di oggi. Quanta fiducia nutre nelle istituzioni?
Aspetto i fatti, non mi bastano le parole. Se le dichiarazioni di questi giorni corrisponderanno al vero, sono sicuramente positive: cioè il mantenimento dell’ergastolo ostativo e il rafforzamento della legislazione antimafia. Però, pensando al passato, ho qualche dubbio a riguardo.
Cesare Zampa
L’INFERNO A PALERMO Fiamme il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, sotto casa della madre del giudice Borsellino, che morì insieme alla scorta

Cosa nostra uccise Paolo Borsellino domenica 19 luglio 1992. Mentre il magistrato stava andando a trovare sua madre Maria Pia Lepanto e sua sorella Rita, una Fiat 126 fu fatta esplodere davanti al civico 21 di via Mariano D’Amelio, a Palermo. Insieme a Borsellino morirono gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna poliziotto a perdere la vita in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che stava parcheggiando un’auto di servizio. (C.Z.)
