Medi@terraneo News 15-28 febbraio 2019

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Anno 11 - N. 67 15-28 febbraio 2019 Distribuzione gratuita

Premio Giornalisti del Mediterraneo 2016

MEDI@TERRANEO news - Periodico del Master di Giornalismo di Bari Ordine Giornalisti di Puglia - Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari Editore: Apfg - Bari Direttore Responsabile: Lino Patruno Registrazione Tribunale di Bari numero 20/07 del 12/04/2007

Redazione: Palazzo Chiaia-Napolitano via Crisanzio, 42 - Bari email: master@apfg.it

Nord autonomo contro il Sud

Colonialismo eppur continua

Un cervellone made in Puglia

Una telefonata e passa la fame

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a pagg. 16 e 17

a pagg. 14 e 15

a pagg. 10 e 11

Carnevale al bacio 1

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A Putignano 625 anni non sono uno scherzo

La piccola cittadina nel Sud est Barese, vanta il più antico carnevale d’Europa La tradizione iniziata nel 1394 si rinnova ogni anno

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CLOWN Un particolare dei carri di Massafra. Dopo cinque anni, si è tornati a far sfilare i carri allegorici in inverno

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Un bacio tra due uomini. Una rivisitazione del famoso Bacio di Gustave Klimt. È il carro del maestro Deni Bianco “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” ad essere il protagonista indiscusso della 625^ edizione del Carnevale di Putignano. Perché il Carnevale più lungo e antico d’Europa non vuol dire solo divertimento, ma soprattutto riflessione sui temi più diversi. Quello deciso per quest’anno è stato “Libertà e Satira” che i sette maestri in gara hanno potuto declinare in ogni aspetto. Dall’amore omosessuale, all’ingabbiamento nei nostri stessi schemi mentali declinato dall’associazione Chiaro e Tondo. Putignano è anche la patria della cartapesta. Il Carnevale come si conosce oggi ovvero dominato dai giganti di cartapesta, nasce in pieno regime fascista quando viene permesso di mantenere la tradizione popolare, a patto che si faccia nascere un Carnevale alternativo. Questo secondo Carnevale ha il preciso scopo da un lato di inneggiare al partito fascista, dall’altro di allontanare il popolo dalle tradizioni. Ancora oggi viene mostrato il bozzetto del carro in anteprima alla Fondazione del Carnevale ma con obiettivi diversi: non è più necessario verificare l’adesione ai principi fascisti, quanto verificare l’adesione al tema scelto. Infatti, da qualche anno, la Fondazione del Carnevale sceglie un tema al quale i maestri cartapestai devono, in qualche

modo, adeguarsi per evitare che sia trattato solo il tema politico. Il tema di ogni edizione viene reso noto alla fine dell’estate, quando viene pubblicato il bando per partecipare. Per partecipare, i mastri carpatestai non solo devono partecipare con un bozzetto in linea con la tematica ma devono anche necessariamente risiedere a Putignano; ogni anno, si innesca una competizione non solo per l’assegnazione dei capannoni dove potranno costruire le loro opere ma soprattutto per vincere l’ambito premio di miglior carro di Putignano. Ad essere premiato, durante l’ultima sfilata che si tiene il Martedì grasso, è il carro ritenuto più di impatto: non soltanto per imponenza ma anche per “la capacità di suscitare un’emozione”, spiega Giuseppe Mongelli, del Museo diffuso del Carnevale, durante uno dei numerosi tour organizzati per i turisti, e non solo, durante tutto il Carnevale. Legato a doppio giro con la tradizione religiosa, il Carnevale di Putignano inizia nel lontano 1394, quando la costa pugliese è attaccata dalle scorrerie saracene. La preoccupazione di abitanti e governatori è una sola: proteggere la popolazione e le ricchezze del territorio. Tra queste, quella più importante è custodita nell’abazia di Monopoli: sono le reliquie di Santo Stefano Martire. L’abazia, direttamente affacciata sul mare, non rappresenta più un luogo sicuro per cui i Cavalieri di Malta decidono di trovare una nuova


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collocazione alle reliquie: Putignano, nell’entroterra e nata su tre colli, sembra il luogo ideale, capace di offrire un riparo anche in caso di attacco. E così, il 26 dicembre dello stesso anno, le reliquie vengono traslate mischiando la storia con la tradizione popolare: si tramanda che i contadini, guardando il corteo che trasportava il Santo, avessero abbandonato il proprio lavoro per unirsi al corteo cantando in vernacolo putignanese. Un’altra tradizione, invece, ricollega alla data della traslazione anche il cibo tipico di Putignano, ovvero la farinella, una “farina” di ceci e orzo che si accompagna con la verdura o con il sugo. Minacciati dai saraceni che avevano già conquistato Monopoli, i putignanesi si sarebbero cosparsi il volto con una mistura di farinella e acqua; gli invasori, spaventati dall’aspetto grottesco e dalle urla dei contadini, pensando che fossero affetti dalla lebbra, avrebbero deciso di ritirarsi lasciando libera la cittadina. A seconda di quale versione si decida di prestar fede, è comunque dal 26 dicembre di ogni anno che Putignano inizia a festeggiare il Carnevale: si inizia con il rito delle Propaggini durante il quale, in vernacolo putignanese, vengono messi sotto accusa i politici e i personaggi più in vista del paese. A partire dal 17 gennaio, invece, iniziano i cosiddetti “giovedì del Carnevale”: sino al Martedì grasso si prende di mira un gruppo sociale

ben preciso: in un ordine non mutabile si parte con i Monsignori, per poi continuare con i Preti, le Monache, i Vedovi, i Pazzi (ovvero, i giovani non ancora sposati), le Donne sposate, per poi concludersi con il Giovedì dei Cornuti (gli uomini sposati). Quest’anno, ad essere incoronato Gran Cornuto dell’anno è stato il sindaco di Bari, Antonio Decaro. Un’intera cittadina che si anima e che diventa partecipe di una delle tradizioni più sentite e dalla quale nessuno è escluso. Simona Latorrata

IL BACIO Il carro del maestro cartapestaio Deni Bianco “Chi è senza peccato scagli la prima mela”

Carnevali di Puglia

Una burla che dura da 66 anni

Le grandi idee nascono sempre nei momenti più impensabili! È ciò che è accaduto nel 1951 quando quattro attori massafresi decisero di organizzare uno scherzo per movimentare un po’ la vita della città: affissero dei manifesti che annunciavano una corrida per l'ultima domenica di carnevale, nell'allora piazza principale della città. Il giorno dell'evento, tutti i cittadini si erano riversati nelle strade e in piazza preoccupati per i disagi che una corrida potesse creare; mentre attendevano si presentò un bizzarro corteo, con un toro di cartapesta sorretto da due ragazzi, quadrillas, un matador, un veterinario in camice bianco e picadores a cavallo di manici di scopa. Lo scherzo piacque così tanto che da allora si continua a celebrare il Carnevale la domenica e il martedì che precedono il Mercoledì delle Ceneri. Per molti anni in auge, oggi il Carnevale di Massafra è tornato a sfilare dopo anni di assenza dalle scene carnascialesche. 15-28 febbraio 2019

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Reddito povertà tanto tuonò che poi non piovve

Non c’è stato a Bari il temuto assalto agli uffici. Eppure prima c’era stata la corsa al cambio di residenza. Ecco qualche testimonianza

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UFFICIO ANAGRAFE Code a Bari in vista del reddito di cittadinanza

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L’interesse è alto ma l’affluenza meno. Il 6 marzo, primo giorno per presentare le domande per il reddito di cittadinanza, non c’è stata ai Caf e negli uffici postali l’affluenza tanto attesa. Circa 37mila domande sono state presentate alle Poste e 8.500 direttamente sul sito gestito dal ministero del Lavoro. Sarà il timore delle ripercussioni per chi dichiara il falso o l’imbarazzo di presentare di persona la domanda per accedere al reddito? Eppure solo un mese fa, giovedì 7 gennaio, giorno di apertura pomeridiana per quasi tutti gli uffici baresi, l’ufficio anagrafe è andato in tilt. Troppa gente in coda per chiedere il cambio di residenza. Effetto reddito di cittadinanza? È quello che aveva ipotizzato Borderline24, prima testata online ad aver dato questa notizia. “Code lunghissime, decine e decine di persone in fila, se ne contano almeno un centinaio solo all’esterno ma l’ufficio è stracolmo anche all’interno. Secondo le informazioni raccolte, tutti o quasi sarebbero in fila per chiedere il cambio di residenza”, è quanto riportato sul sito di Borderline 24. Una situazione che non si era mai verificata prima. A quel punto siamo andati all’ufficio anagrafe per testare la situazione e intervistare qualche cittadino barese in coda ad attendere il suo turno. Abbiamo constatato che l’affluenza rispetto alle immagini trovate in rete era di gran

lunga ridimensionata. E anche la questione legata ai cambi di residenza, chiesti proprio in vista della possibilità di ricevere il sussidio, sembrava essere smentita. Infatti le persone che abbiamo ascoltato ci hanno detto di essere lì per “sbrigare altre faccende e non per effettuare cambi di residenza”. Il fenomeno “furbetti del reddito” è stato da tutte le persone che abbiamo intervistato negato come “una notizia creata dalla stampa per fare scoop”. Dichiarazioni false per accedere ai benefici previsti dallo Stato si sono registrate in molteplici zone di Italia. Non accade da oggi, certo, ma le mosse dei furbetti si sono intensificate in occasione del sussidio. In alcune zone di Italia i furbetti dei cambi di residenza sono stati affiancati dai furbetti del “divorzio breve”. Nelle scorse settimane sono stati messi in moto vari escamotage pur di accedere al reddito. Abbiamo chiesto alla dottoressa Cirillo, responsabile dell’ufficio anagrafe di Bari, quanti cambi di residenza siano avvenuti nelle ultime settimane: “Non le so dare dei dati precisi, ma il fenomeno è lievemente in incremento. Questo però non è un dato significativo e non può essere direttamente collegato all’attuazione della manovra”. Sempre la dottoressa Cirillo, riguardo al boom di presenze registrato all’ufficio anagrafe giovedì 7 gennaio ci ha detto: “Sì, c’è


stata una grande affluenza quel pomeriggio, ma la gente era qui anche per svolgere altre faccende, non solo per i cambi di residenza”. Il vero motivo per cui c'è stato un crollo delle richieste del cambio di residenza è presumibilmente attribuibile all'accordo tra il Movimento 5 stelle e la Lega il quale sancisce che non vanno presi in considerazione, al fine dell'attribuzione del beneficio, i cambi di residenza che si sono verificati dopo l’1 settembre 2018. Tale accordo prescrive pure che i coniugi che si sono separati dopo la suddetta data devono provare, tramite verbale della polizia locale, di vivere in residenze diverse. Intanto la domanda sorge spontanea: chi potrà accedere al reddito di cittadinanza? Per avere diritto al sussidio bisogna essere in possesso di determinati requisiti Isee e di patrimonio inoltre bisogna dichiarare la propria residenza. Infatti i beneficiari del reddito di cittadinanza hanno diritto anche a dei contributi per l’“alloggio”. Questi contributi sono pari a zero se la persona che richiede il sussidio di cittadinanza vivesse in una casa di proprietà. Se il beneficiario pagasse un mutuo, avrebbe invece diritto a circa 150 euro mensili. Invece se vivesse in un appartamento in affitto, avrebbe diritto sino a 280 euro.

Mariamichela Sarcinelli

ll reddito di cittadinanza è diventato realtà e dal 6 marzo 2019 è possibile per i cittadini in possesso dei requisiti, presentare online il modulo della domanda Inps. Entro il 6 marzo dunque, i centri per l’impiego dovranno essere pronti ad accogliere i beneficiari del sussidio e a far firmare loro “il patto di lavoro”, “il patto di inclusione sociale” o il “patto di formazione”. Anche il centro per l'impiego di Bari si sta preparando ad accogliere i beneficiari del reddito di cittadinanza, il contributo economico messo a disposizione dal governo per aiutare le famiglie in difficoltà economica. L’ attuazione del decreto, potrebbe oltre tutto sbloccare anche nei centri per l'impiego della città di Bari una serie di assunzioni. Servirebbero infatti i “navigator”, ossia tutor incaricati di affiancare i beneficiari del reddito per far sì che siano inseriti nel mondo del lavoro nel più breve tempo possibile. La manovra mette a disposizione delle regioni, che controllano i centri per l'impiego, alcune risorse economiche per migliorare il servizio e rendere le strutture più efficienti. Ad oggi però i centri per l’impiego, compreso quello di Bari, non sanno ancora bene come organizzarsi per guidare i beneficiari del reddito di cittadinanza. Quel che invece si sa è che per diventare navigator è necessario mandare il proprio curriculum vitae all’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro). Proprio l’Anapal pubblicherà a breve un bando di concorso per il reclutamento di 6.000 navigator. La selezione che si svolgerà in base ad esami e alla valutazione dei titoli del candidato, è rivolta a chi è in possesso di una laurea magistrale in: giurisprudenza, economia, sociologia, scienze politiche, psicologia e scienze della formazione. Il voto di laurea di ogni candidato influirà nella valutazione dei titoli. Per partecipare al concorso non ci sono limiti di età.Si prevede una prova preselettiva iniziale, successivamente gli idonei passeranno ad un colloquio orale. Proprio in queste ultime settimane si dovrebbe dunque meglio definire il tipo di contratto e le mansioni che verranno ricoperte da queste nuove figure.

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Navigator a Bari ancora alto mare

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Centri d’impiego

UFFICIO IMPIEGO Anche Bari si prepara ad accogliere i beneficiari del reddito di cittadinanza

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Autonomia rafforzata secessione dei ricchi

Veneto, Lombardia e Emilia vorrebbero più risorse per sé Sanità e istruzione i settori che rischiano maggiormente mentre l’Italia si spacca a metà

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IL PROMOTORE Luca Zaia, presidente Regione Veneto

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L’autonomia rafforzata è una vera svolta politica, ma la questione è tutta economica. “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o no?”. È la domanda referendaria che Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, provò a sottoporre nel 2014 ai suoi concittadini. La Corte costituzionale dichiarò il referendum inammissibile, motivando così la sentenza: “Suggerisce sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica”. Nel 2017 c’è stato un nuovo tentativo con una formula meno sovversiva. Stavolta è stato ammesso...quasi. La Corte ha accettato che si chiedessero ulteriori e particolari forme di autonomia, come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, ma non che la Regione trattenga almeno l’80% dei tributi, come invece chiedevano. Anche la Lombardia e l’Emilia-Romagna nel 2017 hanno sondato la volontà dei cittadini circa la possibilità di avere maggiore autonomia. Dato l’esito positivo, l’anno successivo le tre Regioni hanno siglato un’intesa con il Governo Gentiloni per realizzare l’”autonomia rafforzata”. Alle Regioni sarà concessa maggiore, se non esclusiva, competenza su questioni come l’amministrazione della giustizia di pace e dei beni culturali. Non solo. Potrebbero diventare di interesse regionale anche la tutela

ambientale e l’istruzione, materie attualmente di sola competenza statale. Questo passaggio mette in discussione l’assetto dell’intero Paese. Insomma il sogno decennale della Lega nord di Bossi, realizzato dal Governo Gentiloni. Più importanti dei risvolti politici, saranno però quelli economici. Tutto parte dei residui fiscali, ossia l’eccedenza tra l’ammontare di spesa pubblica destinata alle Regioni e il gettito fiscale prodotto da ognuna. La richiesta principale è infatti che le Regioni possano trattenerne per sé una quota maggiore. Insomma: chi più produce, più riceve. In parte funziona già così nelle province autonome e nelle Regioni a statuto speciale. Stando ai dati forniti dall’Ufficio parlamentare di bilancio nel 2017, la spesa pubblica primaria, relativa cioè a istruzione, salute e benessere, per ogni cittadino italiano è in media di 13mila euro. In Valle d’Aosta invece ammonta a 18mila e in Friuli-Vezia Giulia a 13mila. Al Sud la media è di 9mila euro. Le intese StatoRegione firmate nell’ultima fase del Governo Gentiloni hanno, a conti fatti, sancito un nuovo principio di ripartizione delle risorse nazionali: il punto di riferimento diventano il gettito fiscale e i fabbisogni standard, i cui parametri per definirli non sono stati però chiariti. Le trattative per ripartire in questo modo le risorse saranno poi svolte da una commissione paritetica: Stato e Regione ugualmente


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rappresentati e con lo stesso peso. In tutto ciò il Parlamento resta ‘non pervenuto’. Gli accordi sull’autonomia avranno validità decennale e una volta siglati non potranno essere ridiscussi, tantomeno sottoposti a referendum. Dunque la questione riguarda tutto il Paese, ma non tutti hanno possibilità di dire la propria. Veneto, Lombardia ed Emilia hanno presentato la richiesta di maggiore autonomia come attuazione di un volere popolare. Se è vero che un certo senso comunque vorrebbe poter tenere tutto per sè, è anche vero che i dati sull’affluenza ai referendum dicono il contrario. Solo in Veneto si è espressa almeno il 50 percento della popolazione, in Lombardia ed Emilia la quota degli elettori non ha superato il 30 percento. Sembrerebbe comunque che ci si stia preparando a un cambiamento epocale. Gianfranco Viesti, economista e docente dell’Università degli studi di Bari nel saggio “Verso la secessione dei ricchi?” ha sottolineato che: “Rapportare il finanziamento dei servizi al gettito fiscale significa stabilire che i diritti di cittadinanza, a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito procapite è più alto”. Cioè al Nord. Non la pensa allo stesso modo Luca Zaia: “Autonomia significa assunzione di responsabilità: e che piuttosto che recriminare sull'autonomia richiesta dalla mia regione, sarebbe bene che tutte le regioni - anche quella del Sud - avessero la "loro" autonomia”. Così si è espresso il presidente della Regione Veneto in una lettera indirizzata ai cittadini del Sud. Preoccupazioni sono state tuttavia sollevate anche dalla FNOM (federazione nazionale ordini medici), secondo cui questo tipo di ripartizione della richezza non potrà che generare forti disuguaglianze soprattutto in ambito sanitario. Stando ai dati diffusi dal Sole 24ore, ogni anno in Italia sarebbero oltre 750mila le persone che decidono, o sono costrette, a ricoverarsi fuori dalla propria Regione di residenza. La maggior parte proviene proprio dal Sud, su cui cade l’onore di coprire le spese. Già ora il sistema sanitario italiano ha una struttura federale, ogni Regione cioè finanzia le spese sanitarie attraverso l’Irap e l’irpef, le imposte pagate da lavoratori e aziende. Le Regioni che producono meno hanno dunque già meno risorse per finanziare la sanità e i cittadini hanno imposte maggiori. L’irpef pagata da un calabrese è mediamente superiore dell’1,7 percento rispetto a quella di lombardo. Costretti a curarsi fuori casa e a pagare di più. La mobilità passiva rappresenta per le strutture sanitarie del sud la spesa più cospicua. Negli ultimi anni molti ospedali sono stati chiusi o hanno visto il proprio personale drasticamente ridotto. In ogni caso i livelli essenziali di assistenza sono calati, come ha sottolineato il rapporto Cergas Bocconi del

2017. La Campania ad esempio ha ridotto le prestazioni ospedaliere di 30 punti e il Policlinico di Bari ha un falla da 54milioni di euro in bilancio e corre il rischio di perdere circa cento infermieri tra il 2019 e il 2020 a causa dei possibili pensionamenti anticipati. Condizioni del genere difficilmente possono essere imputante solamente a una cattiva amministrazione. Altro settore a rischio è l’istruzione. Le intese siglate dal Veneto e dalla Lombardia con il Governo mostrano come le Regioni vogliano che la legislazione e l’organizzazione del sistema educativo diventino loro materie esclusive, laddove attualmente sono esclusive della Stato. Le Regioni vorrebbero che il personale scolastico non sia più statale. Tuttavia, anche in questo caso, i criteri non sono stati chiariti. Inevitabilmente una Regione che trattiene più soldi ha maggiore capacità di spesa. Potrebbe dunque pagare di più gli insegnanti della scuola ‘pubblica’ o comunque investire di più in tecnologia e innovazione, da sempre i punti critici del sistema. Ci si prepara a un cambiamento sostanziale. Ma tutto ciò avrà davvero vantaggi? Le intese non lo chiariscono. L’articolo 116 della Costituzione prevede infatti che una maggiore autonomia possa essere concessa qualora vengano individuati concreti benefici per la comunità. Nessuno dei testi ne fa riferimento. Saverio Carlucci

L’ESPERTO Gianfranco Viesti da noi intervistato al convegno del 22 febbraio all’Università degli studi di Bari

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Mai nessuna autonomia sia a danno del Sud

MICHELE EMILIANO Il governatore pugliese durante l’incontro del 22 febbraio sulle autonomie organizzato dalla fondazione “Di Vagno”

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“La Lega è vicina al suo risultato storico: potenziare il Nord che vuole portare con sé una parte consistente della finanza pubblica italiana”

“La Lega oggi incarna quel sentimento di ragionevolezza e di buon senso che noi pugliesi da tanti anni non vediamo realizzato. Gli esempi della Lombardia, del Veneto o di altri paesi del Nord dovrebbero essere da stimolo anche per noi meridionali”. Stop. Riavvolgiamo il nastro. Queste sono le parole di un cittadino (della provincia di Brindisi) che nelle scorse settimane ha partecipato alla manifestazione di Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell’Interno, a Bari per sostenere il candidato leghista alle primarie del centrodestra, Fabio Romito. Endorsement che non è servito a vincere la competizione ma che ha comunque fatto guadagnare alla Lega (barese? forse è il caso di iniziare a chiamarla così) un bel 30 per cento. “Io mi sento rappresentato dalle battaglie di Salvini quando dice che i confini vanno difesi, quando vengono prima gli italiani”, continua l’uomo sulla quarantina. Sarebbe interessante provare a fare questo esperimento anche con persone che conosciamo da tempo: chi di loro non ha pronunciato, almeno una volta queste frasi con l’aggiunta: “Però in fondo Salvini ha ragione”. Ora la sfida è provare a comprendere cosa sta accadendo. Dopo la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto, da questa estate anche in Puglia si parla di autonomia regionale differenziata. Con un atteggiamento “ondivago” del presi-

dente Michele Emiliano. Che a luglio aveva avviato l’iter per avere più poteri dallo Stato centrale. Scelta orientata politicamente e che avrebbe potuto avere una ricaduta ad esempio sulla gestione del caso Tap, Ilva e xylella. E fin qui nulla di male. Perché chiedere più autonomia è previsto dalla Costituzione italiana (art. 116, comma 3) a patto che questa non leda l’unitarietà della Repubblica e il principio solidaristico che la contraddistingue. Tuttavia uno dei punti più delicati del dibattito riguarda le risorse finanziarie che devono accompagnare il processo di autonomia regionale. Negli ultimi tempi il governatore ha frenato, un po’ per l’imbarazzo perché la riforma del Titolo V è stata voluta dal centrosinistra nel 2001, un po’ per evitare nuovi attacchi politici. Ma si sa, a volte in politica si devono “limitare i danni”. “L’autonomia poteva essere una grande occasione se tutte le Regioni italiane avessero proposto la stessa cosa - ha dichiarato in una recente intervista – Ma siamo chiari: già oggi il Nord, con diversi meccanismi e qualche sotterfugio, dispone di molte più risorse rispetto al Sud per quel che riguarda la spesa ordinaria”. Il punto per Emiliano, ospite di un incontro organizzato dalla fondazione “Giuseppe Di Vagno” nelle facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bari, è che il Nord vede attribuirsi molte più risorse rispetto al Sud.


m le ob pr Il a L’ITALIA CAPOVOLTA Spesso siamo vittime di visioni convenionali. Qui il Nord e il Sud sono ribaltati

Alla tavola rotonda hanno partecipato anche Roberto Speranza, parlamentare del gruppo LeU, l’on. Francesco Paolo Sisto, parlamentare di Forza Italia e Gianfranco Viesti, economista e docente alla facoltà di scienze politiche. L’incontro è stato moderato dal giornalista Lino Patruno. “La mia proposta – ha detto Emiliano - è che le 15 regioni a statuto ordinario si incontrino e definiscano un unico disegno di legge per l’autonomia rafforzata di tutte le Regioni, senza una procedura differenziata che mandi avanti le Regioni più ricche e lasci indietro quelle più povere”. “Se sono in buona fede i sindaci di Lombardia e Veneto e i presidenti di Regione - non avranno motivo di non accettate questa mia proposta, che consentirebbe di creare maggiore autonomia senza danneggiare il Mezzogiorno, anzi mettendolo in condizioni di recuperare il differenziale”. La stoccata finale ha riguardato uno dei tasti dolenti della Regione: la sanità. Anche in questo caso quando si prova a rinegoziare il fondo nazionale sanitario si trova sempre una regola che finisce sempre per tenere la gran parte delle risorse al Nord. Molti infatti sono costretti a migrare per farsi curare. “Se recuperassimo la mobilità passiva, le Regioni del Nord dovrebbero addirittura restituirci letti e dipendenti”, ha chiosato Emiliano. Anna Piscopo

Intervista a Gianfranco Viesti

Ecco tutti i rischi per l’Italia

Gianfranco Viesti, economista, docente e autore, tra gli altri, del libro “Verso la secessione dei ricchi?”, si mostra allarmato. È più giusto parlare di federalismo o di una nuova idea di autonomia? “È giusto parlare delle carte che vanno in Consiglio dei Ministri. Non bisogna farsi incantare da una cartina fumogena messa in giro per non parlare delle cose serie. Il Consiglio dei Ministri e il Parlamento stanno per decidere una rivoluzione che sposta tutto il potere ad alcune Regioni spostando anche tante risorse finanziarie. La Lega è vicina al suo risultato storico cioè potenziare il Nord ai danni del resto del Paese”. Quali sono i rischi per il Sud? “I rischi sono per l’Italia: non ci sarebbero più la scuola italiana, i servizi sanitari nazionali, le norme sull’ambiente, sui beni culturali. Per fare le infrastrutture bisognerà chiedere il permesso alle Regioni. Per esempio, l’autostrada del Sole potrebbe diventare di proprietà della Lombardia. Insomma, non so quanto ci si renda conto dell’enormità di queste questioni. Il rischio è che l’Italia non ci sia più. E la parte più debole del Paese ne risentirebbe doppiamente. Avere un Paese forte serve in primo luogo a tutte le Regioni, in particolare a quelle che sono più indietro. In secondo luogo perché questo pezzo del Paese vuole portarsi con sé una parte consistente della finanza pubblica Quale potrebbe essere la via d’uscita? “Bloccare questo processo e colpire i partiti nordisti che vengono anche qui a cercare voti. Poi ci vuole un disegno di rilancio per l’intero Paese che è esattamente quello che manca perché si va avanti con provvedimenti molto elettoralistici che gettano tanto fumo lasciando il Paese in difficoltà”. 15-28 febbraio 2019

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Un po’ di Puglia alla Nasa: Pietro studia i ghiacciai

Orgoglio per i nostri cervelli in fuga: l’esempio di Pietro Milillo. Da Casamassima agli Usa. Il suo ultimo studio e la sua sorprendente storia

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PIETRO MILILLO Classe 1990. Ogni giorno contribuisce alle ricerche dell’agenzia aerospaziale più grande e famosa del mondo

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Il motto di Pietro è: “Be like a pineapple: stand tall, wear a crown and be sweet (and terrone) on the inside!” (Sii come l’ananas: cammina a testa alta, indossa una corona e sii dolce (e terrone) dentro!” Pietro Milillo, 29 anni, originario di Casamassima, si è laureato in Fisica all’Università di Bari, ha conseguito un dottorato in Ingegneria ambientale all’Università della Basilicata e infine è riuscito ad accedere alla Nasa, l’ente spaziale Usa. In questi giorni è finito su tutte le testate nazionali e internazionali grazie alla sua ultima scoperta: ha guidato un team di ricerca (in collaborazione con l’Università della California, il Centro aerospaziale tedesco di Monaco di Baviera e l’Università francese Grenoble Alpes) che ha studiato i meccanismi di arretramento e scioglimento di uno dei più importanti ghiacciai dell’Antartide dell’Ovest denominato Thwaites. Se questo gigante di ghiaccio dovesse sciogliersi completamente, innalzerebbe il livello del mare di 65 centimetri. Una rivelazione non da poco per il nostro pianeta. In cosa consiste precisamente la scoperta che avete fatto? “I fenomeni fisici che abbiamo osservato non sono attualmente inclusi nei modelli che predicono l’evoluzione dei ghiacciai. Per la prima volta siamo riusciti a caratterizzarli nel dettaglio tramite l’utilizzo di tecnologie radar e da aereo. Queste tecnologie ci

hanno permesso di scoprire che negli ultimi 3 anni, le correnti calde oceaniche che si muovono sul fondo dell’oceano hanno sciolto 14 miliardi di tonnellate di ghiaccio occupanti una superficie pari a 2/3 dell’isola di Manhattan (40 km2). Le velocità di scioglimento registrate sono le più alte nella storia delle misurazioni”. Da quanto tempo eri su questo progetto? Con quali mezzi si è svolta l'indagine? “Ci lavoro da almeno 3 anni. La scoperta, sembrerà strano, è avvenuta nel mio ufficio dietro la mia scrivania al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. Abbiamo utilizzato dati telerilevati, acquisiti da satellite. Stiamo parlando di una zona remota del nostro pianeta localizzata al polo sud. La più vicina base di esplorazione costruita dall’uomo si trova a circa 1600 km di distanza. A causa delle condizioni climatiche e della distanza, è possible visitare il ghiacciaio soltanto nei mesi di dicembre e gennaio (è estate in Antartide), è impensabile quindi poter operare con strumenti che richiedono l’assistenza dell’uomo per un periodo di tempo prolungato. I satelliti sono il mezzo principale tramite cui studiare questi ghiacciai”. La Nasa ha già ricevuto qualche risposta all'allarme che avete lanciato? “Ci tengo a sottolineare che non abbiamo lanciato un vero allarme. Servono alcuni anni per ricevere conferme dei propri studi da altri gruppi scientifici utilizzando altri


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strumenti o altre tecniche. Basti pensare che ancora oggi si svolgono esperimenti per la conferma della teoria della relativita generale avvenuta nel 1916 da parte di Albert Einstein”. Altri progetti o scoperte fatte in passato? “Uno dei miei ultimi lavori riguarda uno studio sulla destabilizzazione della diga di Mosul. La diga e’ stata costruita su uno strato di gesso che si dissolve a contatto con l’acqua. Esiste un sistema di manutenzione in grado di iniettare cemento per sostituire il gesso disciolto a contatto con l’acqua. A seguito della conquista della diga da parte dell’ISIS nel 2014, il sistema di iniezione del cemento ha smesso di funzionare. Il mio lavoro si e’ focalizzato sulla caratterizzazione del fenomeno in atto. Utilizzando tecniche innovative abbiamo stimato a che profondità avveniva il processo di dissoluzione e quanto cemento serve per ripristinare i trend di subsidenza osservati a seguito dell’interruzione del Sistema di iniezione (grouting). Un crollo incontrollato della diga avrebbe potuto causare la morte di circa 1.5 milioni di persone che vivono vicino al fiume Tigri”. Hai scritto un post su Facebook in cui parli dei sacrifici che hai fatto e che continui a fare come “cervello in fuga”. Cosa ti ha procurato più preoccupazione o tristezza in questi anni? “Inizialmente, quando si emigra così lon-

tano, dall’altra parte del mondo, non si pensa a come la nostra vita cambierà. L’unica sensazione è un’eccitazione generale e la voglia di conoscere e immergersi in una nuova vita. Passato il periodo iniziale, che potrebbe durare anche diversi anni, si inizia a sentire la mancanza del proprio paese, della famiglia, degli affetti e delle proprie radici. Questo è valido soprattutto se si emigra in una città grande come Los Angeles dove tutto è così distante e dove si perde il concetto di vita “di provincia”. Michela Lopez

SCIOGLIMENTO DEI GHIACCIAI Negli ultimi 3 anni le correnti calde hanno sciolto 14 miliardi di tonnellate di ghiaccio, pari a una superficie di 40 km quadrati

Il punto ambientale

Le ultime sul cambio climatico

Dal 3 al 14 dicembre 2018 si è svolta a Katowice, in Polonia, la Cop24. E’ la “conferenza delle parti”, un incontro annuale firmato Onu in cui si discute della situazione climatica. I quasi 200 Paesi che avevano firmato l’accordo di Parigi nel 2015, dovevano raggiungere un patto su come mettere in pratica quanto stabilito in Francia tre anni. A fine negoziati, è stato firmato un 'Rulebook', ossia il regolamento per ottenere un obiettivo ben preciso: contenere entro fine secolo l'aumento medio della temperatura globale nei 2 gradi, precisamente 1,5 gradi. Secondo Greenpeace però, la riunione «si è conclusa senza nessun chiaro impegno a migliorare le azioni per il clima. Nessun atto pratico”. Si è deciso che la prossima Cop, la Cop25, si terrà in Cile nel 2019. Per molti c’è urgenza di frenare il riscaldamento globale, perché - avvertono - “ci rimane una dozzina di anni prima che si verifichino eventi naturali estremi.” 15-28 febbraio 2019

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Master di Giornalismo 2018/2020

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Bari a domicilio il cibo arriva subito a casa

Piatti a portata di click Le piattaforme digitali attraverso cui è possibile ricevere un pasto a scelta, muovendo solo un dito

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RISTORANTE SOLIDALE JustEat, in collaborazione con Caritas e Pony Zero dona cibo senza scopi di lucro

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Siete comodamente seduti sul vostro divano e in tv stanno trasmettendo una partita imperdibile. Lo stomaco inizia a brontolare, ma non potete permettervi di andare in cucina e perdere tempo a preparare qualcosa. L’unica risorsa a portata di mano è il cellulare. No, che avete capito... lo smartphone vi sarà utile per ordinare uno dei tanti piatti a disposizione sulle piattaforme digitali come JustEat, Glovo, You Eat e Deliveroo, che operano nei quartieri di Bari. I passaggi sono semplici: scaricate l’app gratuita, create l’account, inserite l’indirizzo di residenza (o del posto in cui vi trovate) e scegliete il ristorante che consegna in quella zona. Voglia di sushi o cucina italiana? Forse un piatto tipico greco o perché no, una pizza? Il mondo culinario, con una variegata lista di cucine provenienti da quasi tutti i continenti, può essere consegnato a domicilio anche a Bari. Basta sfogliare il “catalogo digitale” e scegliere ciò che si desidera. È anche possibile applicare un filtro per limitare la scelta alle modalità di consegna gratuite o semplicemente per visualizzare i ristoranti che offrono promozioni e sconti. Una volta inviato l’ordine, il ristorante riceverà una notifica, che a sua volta inoltrerà al rider di turno. Non resterà altro che attendere il fattorino a casa. L’orario di consegna viene solitamente indicato all’interno della mail di riepilogo del-

l’ordine. Per quanto riguarda il metodo di pagamento, invece, è possibile scegliere se pagare con carta di credito, PayPal oppure in contanti alla consegna. I vantaggi per i quali i ristoratori decidono di aderire a questi servizi, consistono nella loro facoltà di poter pubblicare prodotti e offerte, oltre che a pubblicizzare l’attività. Inoltre, ampliano la clientela, risparmiando sui camerieri. Ma se la qualità del cibo dipende dal ristorante, qual è il vantaggio che ne trae il cliente? Chiaramente, in primis, il tempo: ordinare sulle piattaforme è semplice, ma soprattutto veloce. Se siete indecisi sul piatto da scegliere o addirittura su quale cucina orientarvi, arrivano in soccorso le immagini. Inoltre, avrete la possibilità di esprimere il vostro giudizio sull’app per recensire il servizio e il ristorante. Tra le varie app di consegna a domicilio, Just Eat dal 2017 ha introdotto un’iniziativa sociale: il “Ristorante Solidale” nelle città di Milano, Torino e Roma. Il progetto, in collaborazione con Caritas e Pony Zero, nasce nell’ambito della legge anti-spreco 166/2016, prevede la consegna di cibo a domicilio a chi vive situazioni di disagio economico, contribuendo anche a ridurre lo spreco alimentare. Arriverà anche a Bari? Marìcla Pastore


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E gli stipendi?

Io, un precario 2,90€ a consegna

La testimonianza di Gaetano, un rider (o fattorino) della piattaforma di consegna a domicilio JustEat, reclutato dall’azienda appena una settimana fa: “Ho un contratto a tempo determinato che scade a fine anno. Sono entrato in azienda grazie a mio fratello, perché ci lavora già da tempo. Non c’è una retribuzione fissa: varia in base alle consegne fatte, di solito 2.90€ a consegna.” Lavori per un ristorante in particolare? “Non abbiamo ristoranti fissi, sono gli operatori ad assegnarci le consegne, quindi ci possono capitare esercizi di ristorazione diversi: dall’italiano al giapponese, dal greco al cinese, purché abbiano aderito al servizio JustEat”. Quante zone copri? Bari si divide in 2 zone, dove i ragazzi vengono distribuiti a seconda dei turni: piazza don Tonino Bello (per le zone Poggiofranco, Japigia, Carrassi, San Pasquale) e piazza Cesare Battisti (per le zone Centro, Madonnella, Bari Vecchia e Libertà). I turni si svolgono a pranzo (di solito dalle 12 alle 14:45) e a cena dove si dividono in turni da due ore (19:45-21:45), da due

ore e mezza (20:00-22:30) e da tre ore (19:45-22:45)”. Se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, è altrettanto vero che non si lavora per nulla. Ma più ci avviciniamo ai nuovi metodi di assunzione, più ci allontaniamo dai diritti e dalle tutele lavorative. Scendiamo a compromessi senza accorgercene. Di fatto però, i fattorini delle piattaforme digitali, definiscono il loro lavoro come “autonomo”, sebbene siano vincolati da un app che gli fornisce indicazioni su cosa fare e come. “Ricevo gli ordini tramite una app sul telefonino. Vado a prendere i cibi nei ristoranti e li porto a casa dei clienti. Guadagno poco, ma lavoro”. Sono le parole di un un fattorino di 43 anni che lavora per You Eat (un’altra piattaforma di consegna). Possiamo puntare il dito contro la tecnologia? Insomma il “piatto è servito” e rigorosamente pilotato da un dispositivo elettronico. Magari fra qualche anno non ci sarà più nemmeno la figura del rider.

JUST EAT Il leader degli ordini online a domicilio. Ad oggi, con più di 14,2 milioni di clienti nel mondo

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Il problema è come superare il colonialismo

Un modello assolutizzante, che guarda l’altro con costante sospetto: amnesia della moderna visione occidentale

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COVEGNO AISCLI La locandina dell’ottava conferenza dell’associazione italiana di studi e letterature di lingua inglese

Tra gli obiettivi prefissati dall’ottava conferenza dell’AISCLI (Associazione italiana di studi sulle culture e letterature di lingua inglese), che si è svolta all’Università di Bari il 21 e 22 febbraio nel Salone degli affreschi dell’Ateneo, c’è il tentativo di recuperare una memoria persa: il passato colonialista dell’Occidente. I relatori intervenuti al convegno, tra loro, studiosi di fama internazionale come Iain Chambers e Madina Tlostanova, hanno evidenziato l’amnesia della moderna visione occidentale del mondo: un modello

Nuove prospettive

Muri Ue, un’amnesia coloniale

Madina Tlostanova è una studiosa del pensiero decoloniale e professoressa del “femminismo postcoloniale” all’Università di Linkoping in Svezia. <<Il pensiero postcoloniale - racconta - ha origine in Gran Bretagna ed è legato alla storia del coloniasmo britannico, che in seguito è stata “universalizzata” per descrivere la modernità. Il pensiero decoloniale, invece, ha origine in America Latina ed è più critico: utilizza l’analisi politica per descrivere la situazione globale>>. Il drammatico scenario dei paesi a sud del Mediterraneo, i flussi migratori e le barriere poste dai paesi europei per arginarli rendono l’analisi della Tlostanova di particolare attualità: <<Rifuggo dal concetto di scontro tra civiltà, perché è un concetto davvero molto occidentale. Cosa vuol dire civilizzazione? Il punto nodale è sempre la questione relativa alla colonialità. Costruire muri in Europa , significa soffrire di un’amnesia coloniale: negare un problema che riguarda il nostro futuro>>. 15-28 febbraio 2019

assolutizzante, rivolto e rinchiuso in sé stesso, che guarda all’altro con costante sospetto. Siamo davvero usciti dal periodo coloniale? Non è forse vero che oggi, come mai in passato, i popoli sono divisi da muri, barriere, confini, regolamentazioni giuridiche e limiti di ogni genere? Non è forse vero che il razzismo, e ogni forma di discriminazione, emergono oggi con un’incisività e insieme una brutalità sconcertante? Se è definitivamente chiusa l’epoca del colonialismo occidentale, non può dirsi altrettanto per tutto quello che secoli di presunta superiorità politica, economica, culturale e razziale ci ha tramandato. Banalmente, continuiamo ad essere profondamente condizionati dall’idea che un qualsiasi cittadino tedesco lavori e si impegni più di un qualsiasi italiano, che un italiano settentrionale sia più affidabile di un meridionale, e che un meridionale abbia diritto ad un’esistenza migliore di un qualsiasi africano. Abbattere il muro della colonialità del potere è l’obiettivo degli studiosi del postcolonialismo e del decolonialismo, aggiungendo un prefisso ad una parola che l’occidente moderno rifiuta di ricordare. Un prefisso posto in evidenza dalla conferenza AISCLI, per sottolineare una discontinuità di pensiero tra la “grammatica del progresso lineare infinito”, una categoria spesso utilizzata in questo ambito di studi, per identificare spazio e tempo in cui si affermano modernità e colonialità del potere,


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e una visione volta ad emancipare l’umanità dallo sguardo oggettivizzante dell’occidente. Postcolonialismo e decolonialismo ribaltano questa visione, restituendo a popoli, luoghi e culture una soggettività che ha bisogno di essere riaffermata a fronte della crescente minaccia di una sua scomparsa. Il dramma delle vittime, a migliaia negli ultimi anni, nel Mar Mediterraneo, la profonda instabilità politica del Nord Africa insieme alle guerre e alla povertà diffuse di tutto il Continente, l’aumento dei fenomeni migratori di massa rappresentano solo una parte delle contraddizioni del mondo moderno. Tensioni che l’Occidente respinge, attraverso la chiusura di porti, frontiere e una rigida regolamentazione sui soggetti “meritevoli” di ottenere lo status di rifugiato. L’amnesia coloniale dell’Occidente è rappresentata da questa negazione e dall’assenza di una visione nuova: <<Sfortunamente, non credo che nel prossimo futuro il mondo sarà decolonizzato - afferma la Tlostanova -. Noi, però, possiamo continuare a lottare, mostrando che esistono altri modi di pensare>>. Mediterraneismo, ospitalità, femminismo, etica, umanità, multiculturalismo diventano parole che ci permettono di superare i ristretti limiti imposti da frontiere e divisioni culturali in un’accezione positiva, per ri-costruire un’identità globale in cui nessuno possa essere considerato straniero. Michele Mitarotondo

Uno dei muri più famosi, dopo quello di Berlino, è quello israeliano: alto 8 metri e dotato di checkpoint, si estende per 760km (di cui 570km già edificati). Dalla città palestinese di Tulker, scende verso Gerusalemme, la attraversa e la taglia in due, include Betlemme e continua la sua discesa. Definito da Israele come “barriera di sicurezza” ma conosciuto come il “muro della vergogna”, dovrebbe seguire il tracciato della Linea Verde, il confine stabilito nel 1967 alla fine della Guerra dei Sei Giorni. Dovrebbe. Perché nei fatti si discosta da questo circa 28km peggiorando le già precarie condizioni dei Territori Palestinesi. Un cittadino europeo che decida di andare da Betlemme a Gerusalemme impiega circa un’ora per coprire gli appena 5km che separano le due città. I controlli al checkpoint a piedi sono rapidi, un po’ più lunghi se si decide di attraversare con l’auto: bisogna mostrare il passaporto e scendere per aprire il bagagliaio. Un palestinese, invece, potrebbe impiegarci un intero giorno fermo al checkpoint e non attraversarlo mai, nonostante il visto del governo israeliano. La motivazione? Nessuna. Il solo fatto di abitare al di qua della barriera e la decisione di un qualsiasi soldato israeliano. Ma non è il solo “disagio” che un palestinese è costretto ad affrontare. Una casa palestinese si può distinguere facilmente da una israeliana: le prime hanno tutte cisterne idriche sui tetti. La motivazione è data dal fatto che, dopo la costruzione del muro, circa l'80% delle risorse idriche è controllato da Israele, che dal 1995 ha progressivamente privilegiato gli insediamenti israeliani presenti nei Territori Occupati. La fornitura d’acqua può avvenire anche a distanza di mesi tra una e l’altra, ragion per cui la forma di approvvigionamento resta quella della raccolta di acqua piovana, conservata in taniche arrugginite. L’inclusione forzata ha portato anche, negli anni, a un incremento di malattie genetiche causate dall’alto numero di matrimoni tra consanguinei, reso possibile dalla difficoltà d’uscita dai confini. “Un muro funziona” ha detto Donald Trump… e i risultati si vedono. Simona Latorrata

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La vita all’ombra della barriera

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Un mondo di muri

LA COLOMBA Un disegno di Bansky accoglie i pellegrini a Betlemme, appena superato il check point della polizia israeliana

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Volt: è il partito dei millennials per dare la scossa

Sono la novità delle prossime elezioni europee: i giovani che provano a prendersi l’Europa con l’inclusione e l’ambiente contro Brexit e populismo

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L’EUROPARLAMENTO Volt punta ad avere 25 eurodeputati da 7 Paesi per formare il primo gruppo riferito a un partito transnazionale

È il partito nato per rappresentare gli ideali europeisti della “generazione Erasmus”. E sono proprio due giovani i candidati pugliesi per Volt alle prossime europee, scelti al Congresso Nazionale di Firenze dello scorso 2 Febbraio: Antonio Argento, 26 anni, e Luca Lo Muzio, 31. Nessuna esperienza politica ma tanta passione. Come hai scoperto Volt, quando e perché hai deciso di entrarci? Argento: Ho conosciuto Volt tramite la scuola di politica di Enrico Letta a Roma. Poi

La sfida

Una vittoria il solo presentarsi

Non sarà facile per Volt Italia arrivare al Parlamento Europeo. E non solo per la quota di sbarramento del 4% prevista per i rappresentanti italiani. Al contrario di Paesi come Olanda e Germania, in Italia non è semplice anche solo poter partecipare. Per avere il diritto di presentare una lista alle elezioni europee, previste il prossimo 26 maggio, Volt dovrà raccogliere 150mila firme, di cui almeno 3mila per ogni regione, in presenza di un autenticatore ufficiale (notai, giudici di pace e altri pubblici ufficiali). Un compito difficile, che però non ha scoraggiato i giovani attivisti. Migliaia di volontari sono al lavoro nei 60 comitati locali sparsi in tutta la penisola, in maggioranza nel nord. Un’occasione per mettere alla prova la struttura organizzativa del movimento e costruire un legame col territorio. L’obiettivo più realistico è, infatti, riuscire a candidarsi alle prossime elezioni locali, sulla base di quanto costruito per le europee. 15-28 febbraio 2019

sono entrato a farne parte perché un collega sul posto di lavoro mi ha convinto che gli ideali per cui lottiamo, io e Volt, sono gli stessi. Lo Muzio: Ho conosciuto Volt la scorsa estate tramite gli articoli del Sole24Ore e Vanity Fair rilanciati sui social. Terrorizzato dal risultato delle elezioni e interessato dalle loro proposte sono andato ad uno dei meet up organizzati da Volt Roma ed è stato "amore a prima vista". Ho conosciuto un gruppo di persone animate dai miei stessi valori: giustizia, solidarietà, sostenibilità, libertà, equità, ecc. ma, sopratutto, delle persone che sognano un futuro migliore per il nostro continente nel segno dell'unità! Ho visto in Volt il sistema aperto e meritocratico che vorrei per la nostra società. Come vi state muovendo per la raccolta firme in Puglia? Che iniziative avete preso e come sta andando? Argento: Stiamo creando banchetti, eventi e depositando le liste nei vari Comuni. Per ora le cose vanno bene. Lo Muzio: In Puglia abbiamo già i gruppi di Volt Bari, Taranto, Lecce, Noci ed Altamura. I singoli gruppi hanno già presentato le richieste alle amministrazioni locali per avere banchetti nelle principali aree pedonali, ma purtroppo la procedura è molto lenta. In compenso è già possibile sottoscrivere le nostre liste presso gli uffici di alcuni Comuni (es. Bari, Lecce e Taranto). Sono riuscito ad


L’origine e gli ideali

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organizzare una raccolta firme durante l'ultimo meetup e la partecipazione è stata ottima! Come si applicano gli ideali di Volt in puglia? Al Parlamento Europeo cosa fareste per il vostro territorio? Argento: Dobbiamo permettere ai Comuni ed alle regioni italiane di recepire con più facilità le risorse che l'Europa mette a disposizione. Alcune strade per farlo sono l'informazione e gli investimenti per migliorare l'efficienza dei Comuni. Poi bisogna affrontare in modo innovativo i grandi temi: turismo, Tap, Ilva, ferrovie e treni ad alta velocità, porti, aeroporti ed infine Xylella. Lo Muzio: Le politiche europee investono in maniera evidente il nostro territorio e lo vediamo non solo con le politiche più generiche in materia di ambiente, agricoltura, pesca e turismo, ma anche sul fronte dei fondi strutturali che ancora non riusciamo a spendere integralmente. Per questa ragione è cruciale rappresentare gli interessi pugliesi in seno al Parlamento Europeo, più che mai essendo noi un ponte verso i Balcani (prossima area di allargamento dell'Unione) e verso il bacino mediterraneo. L'Europa può fare tantissimo per noi e la Puglia potrebbe diventare l'esempio di un meridione capace di innovare ed imporsi a livello internazionale per best practice ed innovazione. L'ecologia, la centralità della persona e non dei capitali, lo Stato intelligente, la partecipazione dei cittadini, la crescita economica, sono questioni che vanno affrontate a livello europeo, ma anche nazionale e locale. In cosa la politica regionale degli ultimi anni ha rispettato gli ideali di Volt e cosa invece cambiereste? Ci sarà Volt alle prossime elezioni regionali del 2020? Argento: La politica regionale non è stata particolarmente rappresentativa degli ideali di Volt, in particolare a Taranto. Volt sarà alle elezioni regionali del 2020. Lo Muzio: Negli ultimi 10 anni la Puglia ha fatto passi in avanti, soprattutto con gli investimenti in infrastrutture, rigenerazione ur-

bana e utilizzo dei fondi comunitari. Ma c'è ancora tanta strada da fare. Volt immagina la nostra regione come un laboratorio di innovazione da cui dimostrare come le regioni in passato più povere del continente possano diventare il nuovo motore trainante dell'economia europea. Vogliamo innescare quella rinascita economica di cui parliamo investendo su tutti quei settori strategici ad alto livello di innovazione. La Puglia ha da sempre le capacità e la volontà di farlo, dobbiamo solo dargliene l'occasione. Luigi Bussu

GIOVANI IN CAMPO Ragazzi a un meet-up di Volt. Sventolano la bandiera viola del movimento e quella dell’Unione Europea

Democrazia dal basso per cambiare l’Europa

Volt è il nuovo arrivato nello scenario politico europeo: è il movimento paneuropeo progressista che vuole dare rappresentanza ai giovani in Europa. Prende il nome dall’unità di misura internazionale del potenziale elettrico e proprio come l’energia si propone di essere veloce e efficiente, fulminando gli schemi della vecchia politica. Fondato nel giugno del 2016 da tre giovani di nazionalità diverse, tra cui l’italiano Andrea Vanzon, nasce in risposta al referendum su Brexit e all’affermazione dei partiti populisti in tutta Europa. Nato come semplice pagina facebook, è cresciuto fino a diventare un movimento con migliaia di iscritti in tutti i 28 Paesi dell’Unione Europea, in Svizzera, Albania e Norvegia. Finanziato solo da donazioni. Punto chiave è il programma comune condiviso tra tutte le sezioni nazionali. I valori cardine sono l’europeismo critico, ovvero il combattere l’euroscetticismo tenendo quello che funziona, ma allo stesso tempo cambiando la struttura della governance dell'UE. Più inclusione, partecipazione attiva dei cittadini, diritti sociali, pari opportunità, tutela della privacy e sostenibilità ambientale sono gli altri valori di riferimento. I “volter” dicono di non essere né di destra né di sinistra ma di voler superare queste categorie partendo dalla democrazia dal basso. Un po’ sullo stile del Movimento Cinque Stelle delle origini, come ammesso dal fondatore Andrea Vanzon in un’intervista al Foglio del 30 gennaio scorso. Tuttavia i “viola” di Volt hanno un’idea di Europa molto diversa rispetto ai grillini. Aspirano, infatti, a un’unione federale degli Stati europei. 15-28 febbraio 2019

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La vita è più bella dopo aver camminato fino a Santiago Migliaia di pellegrini ogni anno a piedi o in bicicletta verso la cattedrale di San Giacomo. Alcuni poi arrivano a Finisterre dove la terra incontra l’oceano

20 LA RIOJA Uno dei paesaggi che si incontrano durante la tappa da Ventosa a Santo Domingo de la Calzada

Tutto ciò che di materiale ci occorre per vivere occupa lo spazio di uno zaino: lo hanno capito i migliaia di pellegrini che ogni giorno percorrono le vie verso Santiago de Compostela. L’unico spazio illimitato che ci si porta dietro è quello in cui immagazzinare le emozioni che si provano lungo il cammino. Sono tanti i sentieri che si possono percorrere per arrivare alla famosa cattedrale di San Giacomo, nel pieno centro di Santiago: quello primitivo, l’inglese, quello del nord, il portoghese. Poi il più famoso, il cammino

francese: quasi 800 km di paesaggi mozzafiato da Saint Jean Pied de Port (sul versante francese dei Pirenei) fino a Santiago, per poi proseguire verso Finisterre (luogo in cui gli antichi credevano finisse il mondo occidentale e posizionavano le famose colonne d’Ercole) e ritrovarsi di fronte all’oceano Atlantico. Tra i pellegrini che lo hanno percorso c’è Vito, 30enne di Conversano che è partito da solo per riuscire a ritrovare se stesso perché, dice, «il cammino non è che ti cambia, ti fa prendere consapevolezza

Cammini in Italia

Anche la nostra penisola “invasa” dai pellegrini

Anche l’Italia è attraversata da migliaia di pellegrini che da Nord a Sud si spostano sulle vie sacre che un tempo venivano percorse dai cristiani per raggiungere i luoghi sacri. Tra queste la più famosa è sicuramente la via Francigena: 1700 km da Canterbury (Inghilterra) a Roma, per poi proseguire fino in Puglia. Oggi, i pellegrini possono percorrere a piedi soltanto la Francigena del centro Italia e in molti assicurano che sia quello il tratto più suggestivo. Molto popolare è anche il cammino di San Francesco, un sentiero che si snoda tra boschi silenziosi e paesaggi mozzafiato. I pellegrini visitano lungo il percorso tutti i luoghi in cui è stato San Francesco, attraversando l’Appennino umbro fino a giungere al convento di San Giacomo. Più vicina a noi è la destinazione della via della Transumanza: 10 tappe per un totale di 244 km che si concludono a Foggia. Un tempo era tra le vie sacre più percorse dai pellegrini e ha preso questo nome perchè fino a 50 anni fa veniva usata dai pastori per la transumanza delle greggi durante il cambio di stagione. Infine, non bisogna dimenticare il Cammino di San Benedetto, suddiviso in 16 tappe e lungo all’incirca 310 chilometri. Il viaggio inizia in Umbria e termina in Campania, al confine con il Lazio e lungo il cammino è possibile visitare tutti i monasteri in cui si è fermato San Benedetto. Anche se i più lo ignorano, la pratica del pellegrinaggio è così diffusa in Italia che lungo la maggior parte dei cammini ci si sta attrezzando per la costruzione di “albergue” proprio come quelli lungo le vie che portano a Santiago.

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I simboli

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Conchiglie e frecce poi...la credenziale

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Ogni pellegrino che si rispetti parte con la credenziale in tasca. Si tratta di una specie di passaporto su cui ogni albergue in cui ci si ferma a dormire mette un timbro: saranno questi timbri che attesteranno i km percorsi una volta arrivati a Santiago e solo chi ne avrà percorsi più di 100 riceverà la famosa “compostela” un certificato dell’arcidiocesi di San Giacomo. Oltre alla credenziale, tutti portano con sé la conchiglia, o concha, di Santiago, oggi acquistabile ma un tempo ricavata dalle valve delle capesante. Divenuta simbolo di protezione, in antichità veniva usata dai pellegrini con funzione di bicchiere per abbeverarsi. Lungo tutti i sentieri è impossibile perdersi, sia per il gran numero di pellegrini presenti che per le immancabili frecce gialle che indicano la strada da seguire. Sono presenti, rivolte verso Santiago, su tutti i sentieri del mondo: basta fare attenzione!

della persona che sei». E soprattutto, del cammino non se ne ha mai abbastanza: Vito è già pronto per rifarlo, ma questa volta sul sentiero primitivo, il più antico, che parte da Oviedo, città da cui il re Alfonso II El Casto partì alla volta di Santiago. Quelli di Vito sono stati 35 giorni, tra l’aprile e il giugno scorsi, intensi e dolorosi allo stesso tempo a causa dei problemi fisici che lo hanno rallentato. Nessun pentimento però, ne è assolutamente valsa la pena perché arrivare fino in fondo nonostante il dolore e la fatica aiuta a capire che i propri limiti possono e devono essere superati. «L’emozione costante in quei giorni è stata una sensazione di benessere quotidiano, penso di non essere mai stato così felice in vita mia come durante il cammino» : Vito è entusiasta ed emozionato quando parla della sua avventura, dice che lo deve al cammino se ha imparato la condivisione, a saper tollerare gli altri e le loro opinioni, il non aver paura del prossimo. Ma l’insegnamento più bello è quello di accontentarsi di ciò che si possiede materialmente e cercare di fare delle emozioni e dell’amore la propria ricchezza. Della stessa idea Angelica, pellegrina ormai “professionista”, che ha già fatto due cammini verso Santiago: il “francese” e poi “il portoghese” partendo da Lisbona. «Ho viaggiato tanto e sempre sola, ma per me ad ora questa è l'esperienza più gratificante e

che più mi riempie il cuore tra tutte quelle che ho fatto», è così che Angelica conclude la sua testimonianza. Una volta arrivati a Santiago, i pellegrini invadono la cattedrale dove ogni pomeriggio viene celebrata la “messa del pellegrino”: un momento di forte intensità in cui lacrime e sorrisi compaiono sui volti di chi ha compiuto il cammino e sa che quello non è il momento in cui tutto finisce, al contrario è quello in cui davvero tutto inizia. La vera sfida è portarsi il cammino dietro e proseguirlo, nel proprio cuore, anche nella vita quotidiana e non dimenticare la frase che come un mantra si incontra sempre lungo i sentieri spagnoli: “il cammino è la meta”, a ricordare che non è importante vivere la vita nell’attesa di quello che accadrà, ma godersi a pieno ogni singolo attimo di felicità. Tutti possono fare il cammino. Vito racconta di due persone conosciute lungo il pellegrinaggio che lo hanno particolarmente colpito: Nino, 80enne partito da solo per il “semplice” motivo di voler ringraziare il Signore per essere ancora in salute e un venezuelano che diceva di essere in compagnia della moglie, ma di lei portava soltanto le ceneri nello zaino e l’amore nel cuore. Vito e Angelica non hanno dubbi: il Cammino di Santiago deve essere vissuto per capirne l’intensità. Da loro solo un unico augurio: buen camino a tutti! Maria Cristina Mastrangelo

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Nella cattedrale di San Giacomo i pellegrini ricevono la compostela che certifica di aver percorso almeno 100 km

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Calcio ed economia sono ormai fuori dalla linea di fondo

Lamberti: “Il Matera non doveva essere iscritto. Avevo garanzie che tutto fosse a posto con l’ok di Covisoc e Deloitte, società che verifica i bilanci” 22

CUNEO-PRO PIACENZA I lombardi hanno provato a evitare la quarta rinuncia, che avrebbe portato all’esclusione, schierando solo 7 atleti

Matera Calcio e Pro Piacenza sono solo le ultime due società in ordine di tempo ad essere state escluse dai campionati di calcio professionistici per problemi economici. Non è certo una novità, negli ultimi 15 anni sono state oltre 150, in media 10 all’anno, le compagini alle quali è stata negata l’iscrizione. La differenza sta nelle circostanze nin cui queste esclusioni sono maturate: sia perché avvenute a campionato in corso, sia perché per le due squadre quest’anno avrebbe dovuto portare ben altro.

I precedenti

In 15 anni 155 esclusioni

In media oltre dieci società all’anno scompaiono dal calcio professionistico. Il numero più alto nella stagione 2010/2011 con ben 26 società (Gallipoli, Manfredonia e Monopoli le pugliesi). Il fenomeno coinvolge club di tutta la penisola. Campania e Toscana in testa alla classifica negativa per società fallite, 21 negli ultimi 32 campionati secondo il Report calcio 2018 della Price Waterhouse Coopers (una delle quattro maggiori società di consulenza e revisione contabile). La Puglia non è messa molto meglio, piazzandosi al secondo posto insieme alla Lombardia con 16 società fallite. Alcune sono recidive. È accaduto per le pugliesi Brindisi, Martina Franca e Andria, fallita per ben tre volte. In Basilicata il Potenza viene raggiunto a quota tre esclusioni dal Matera che l’ex presidente Saverio Columella, con un giro di fusioni societarie, aveva iscritto nel 2012 al Campionato di serie D. L’estate scorsa, dopo l’iscrizione in C, aveva ceduto la società. 15-28 febbraio 2019

Il Matera Calcio scompare mentre la città lucana è sotto i riflettori internazionali neanche un mese dopo l’inizio delle manifestazioni legate alla sua veste di capitale europea della cultura; il Pro Piacenza nell’anno del centenario della sua fondazione. A entrambe era comunque stata concessa nella scorsa estate la possibilità dell’iscrizione nonostante situazioni economico finanziarie piuttosto complicate. Contemporaneamente ad altre “nobili decadute” - Bari, Avellino e Cesena - non era stato concesso il ripescaggio tra i professionisti. Le tre società sono ripartite dal campionato nazionale dilettanti di serie D. Nel caso del Pro Piacenza ha fatto scalpore l’assurda sconfitta per 20 a 0 del 17 febbraio scaturita dal fatto che la squadra si è presentata in campo con soli 7 giovani giocatori (il minimo consentito per disputare la gara). Era il tentativo, inutile, di evitare la quarta rinuncia a una gara, circostanza che avrebbe comportato l’esclusione dal campionato. In realtà è solo servito a rendere più dolorosa questa esclusione perché la Federazione italiana giuoco calcio, ravvisando una condotta contraria alla lealtà sportiva con “consapevoli, plurime e fraudolente violazioni delle norme federali”, ha revocato l’affiliazione della società, cancellandola dopo 100 anni dal calcio nazionale. Il Matera Calcio esce di scena nell’anno in


L’approfondimento

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Co.Vi.So.C. e i revisori

La Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche è un organismo tecnico della Federazione italiana giuoco calcio con la funzione di controllo sull’equilibrio economicofinanziario. Di fatto è l’organismo federale che “certifica” la salute economica delle società per l’iscrizione ai campionati. Per svolgere le sue funzioni può anche affidare incarichi a società esterne. Tra queste Deloitte Italia S.p.A. che fa parte del network di Deloitte & Touche, una delle quattro maggiori aziende di consulenza al mondo. La Deloitte si è occupata lo scorso anno sia del Bari di Giancaspro sia del Matera dell’allora presidente Columella. Qualche giorno fa la Deloitte & Touche ha patteggiato negli Stati Uniti un pagamento di 149,5 milioni di dollari per evitare le responsabilità come revisore esterno indipendente per il fallimento di una società di mutui. cui è previsto in città l’arrivo di non meno di 700mila turisti da tutto il mondo. Certo il calcio non è una delle attrazioni di spicco della città, ma la coincidenza non è delle più felici. Il neo presidente Rosario Lamberti, giornalista e proprietario di Just Tv, in una recente intervista alla Gazzetta dello sport ha dichiarato di “essere stato truffato” e di avere, per questo, denunciato Figc, Lega, Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche (Covisoc) e Deloitte (una delle quattro maggiori aziende di revisione al mondo) a ben cinque procure.

Il caso Matera

Lamberti aveva acquistato il Matera a campionato già in corso: contava quindi sul fatto che i vari organi di controllo, avendo consentito l’iscrizione, considerassero regolare la posizione della società. E in qualche modo il presidente della Lega, Francesco Ghirelli, sembra dargli ragione quando afferma che “è una sconfitta per il sistema calcio perché il Commissario ConiFigc, non avendo fatto rispettare le regole all’inizio del campionato, è stato causa di una caduta di credibilità seria”. Claudio Carbone

PRESIDENTE A TEMPO Nico Andrisani (a sinistra) ha acquistato il Matera Calcio rivendendolo a Rosario Lamberti (a destra) 2 mesi dopo

Da Columella a Lamberti, passando per Andrisani

La storia recente del Matera Calcio inizia con la mancata iscrizione, per motivi economici, del Football Club Matera al campionato di C2 2011/12. Nella stagione seguente Saverio Columella rileva l’Irsinese calcio, all’epoca in serie D. In primavera cambia la denominazione in Associazione Sportiva Dilettantistica Matera Calcio. Dopo due anni di serie D la squadra ottiene la promozione tra i professionisti (serie C). Cambia quindi l’assetto societario e il nome diventa Società Sportiva Matera Calcio. Columella è il presidente della società di gestione rifiuti Tra.De.Co. di Altamura, fallita a ottobre scorso. A luglio, nel corso di un’intervista a MateraSocial.live, aveva dichiarato di lasciare la squadra tra i professionisti, obiettivo primario che si era posto all’inizio della sua presidenza. “Lascio dopo aver completato l’iscrizione alla Serie C”, aveva anche sottolineato. Sembrava fatta per la cessione delle sue quote a una cordata campana con a capo Rosario Lamberti, ma sfuma tutto e il 2 agosto Columella cede l’intero pacchetto della società a due imprenditori materani, l’avvocato Vitantonio Ripoli e Nico Andrisani che diventa il nuovo presidente. Andrisani commenta l’acquisto dichiarando che dietro di loro non c’è nessuna cordata, solo due matti che amano Matera e il Matera. A metà ottobre, neanche tre mesi dopo, “i due matti” cedono la società a Rosario Lamberti, che ne diventa proprietario tramite la sua società Just TV. Il campionato era già iniziato, la FIGC, presieduta dal commissario Roberto Fabbricini nominato da Malagò, e la Lega in estate avevano avallato la regolarità dell’iscrizione. 15-28 febbraio 2019

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