Premio
Giornalisti del Mediterraneo 2016 - Premio Mare Nostrum Awards 2022






Premio
Giornalisti del Mediterraneo 2016 - Premio Mare Nostrum Awards 2022
FASCINO
La facciata della sede Ue e la grande aula del Parlamento nella foto in alto. Entrarvi è sempre d’effetto
Bruxelles è sempre un’emozione. Soprattutto quando la si scorge sul volto di chi la vede per la prima volta. Mi piace partire da questa sensazione umana che ho visto sui volti dei colleghi praticanti del Master di Giornalismo durante la lezione sul campo e nel campo che abbiamo concretizzato nelle istituzioni europee nell'imperdibile capitale d'Europa. Guidarli è stato un onore ed un piacere umano.
Un appuntamento didattico internazionale quello della trasferta brussellese che è di-
ventato, con grande lungimiranza di chi ha la responsabilità del Master, un appuntamento fisso anche molto apprezzato a livello nazionale. Imperdibile. Quanto realizzato a fine marzo, in realtà, è stato anche il frutto di tanta pazienza e di capacità di “problem solving” nel superare i tanti ostacoli di carattere organizzativo. Di ogni genere. Se con il professor Luigi Cazzato dovessimo iscriverci ad un corso di laurea in “Organizzazione di viaggi”, potremmo vantare innumerevoli crediti formativi.
la stessa che si “legge” negli occhi dei giovani colleghi del Master. Guidarli è stato un onore
In linea con le precedenti missioni di studio, anche questa volta, non abbiamo perso tempo. Anzi. Nel tempo che avevamo a disposizione abbiamo fatto tutto quello che ci eravamo prefissati. Nel Parlamento europeo – lo abbiamo varcato dall'ingresso dedicato al mitico Altiero Spinelli padre fondatore con sangue pugliese nelle vene - abbiamo incontrato alti funzionari dell'Istituzione presieduta da Roberta Metsola ora e prima ancora da David Sassoli, esperti della materia giornalistica europea, della politica internazionale, della programmazione dei fondi e ascoltato la deputata europea Chiara Gemma particolarmente attenta alle tematiche legate al mondo delle disabilità.
A tutti gli intervenuti il mio ringraziamento per aver accolto l'invito ad intervenire. Grazie di cuore alla professoressa Gemma e al suo staff anche per l'ospitalità.
Abbiamo ragionato sul futuro dell'Unione europea attraverso la lente dei comunicatori. Una lente che necessita di studio e conoscenza della macchina europea. Del resto se in Italia si continua a non spendere tutti i fondi che l'Ue mette a disposizione – tremano i polsi a pensare cosa accadrà per i fondi del Pnrr - è importante far rientrare nelle criticità esistenti anche una non sempre puntuale e corretta informazione da parte di noi giornalisti rispetto a quanto avviene a Bruxelles. Allora studiare, nel campo e sul campo, e informare come è giusto che
sia diventa una stella polare per illuminare la conoscenza della galassia europea che porta anche i decisori politici e i cittadini a fare in modo che non si sprechino i fondi. Le elezioni europee sono alle porte, si elegge il nuovo Parlamento nel 2024, e non ho dubbi che potranno essere raccolti frutti in termini di chiarezza comunicativa alla luce di quanto appreso a Bruxelles.
In ultimo ma non per ultimo è doveroso ricordare, come monito ad approfondire la materia europea al fine di comunicarla al meglio, che la sala stampa del Parlamento europeo di Bruxelles è dedicata alla giornalista russa Anna Politkovskaja, quella di Strasburgo a Daphne Caruana Galizia e, sempre in Francia, lo studio radiofonico dedicato ai giovani colleghi Antonio Megalizzi e Bartek Orent-Niedzielski. Tutti colleghi morti ammazzati da assassini che disconoscevano totalmente l'Articolo 11 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” ecco cosa recita in merito alla “Libertà di espressione e d'informazione”: 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera; 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati. Buona Unione europea a tutti.
Giuseppe Dimiccoli CAMPOLa classica, inevitabile foto di gruppo che “certifica” il viaggio di istruzione nel cuore dell’Europa
Due cose sono infinite: l’universo e la complessità dell’Unione Europea. Regole, norme, bandi, fondi, organi, commissioni: tutte cose che, se comprese, possono essere strumenti utilissimi nelle mani dei giornalisti. È questa la cosa più lampante emersa dalla missione a Bruxelles del Master in Giornalismo di Bari: di Europa si parla poco e male, e questo perché l’informazione non la trova abbastanza appetibile. Sarà colpa, appunto, della mole di lavoro che cronisti e direttori non si prendono più il rischio di addossarsi, vuoi il costo delle trasferte, vuoi che i giornali si leggono poco. Ma se il dito indica la luna lo stolto guarda al dito, e così passa inosservato il fatto che una corretta e quotidiana informazione sul tema non si fa più. Lo confermano gli stessi addetti stampa e responsabili della comunicazione al Parlamento europeo di Bruxelles (guarda caso, italiani).
altro. Anche se, a detta loro, di corrispondenti dall’Italia in fondo ce ne sono pochi. Sicuramente è notevole il fatto che la squadra di comunicazione a Bruxelles sia composta da molti italiani e, soprattutto, da meridionali. Sembra un merito non da poco, ma poi un loro commento sbatte in faccia una realtà più dolorosa: “Se siamo arrivati qui è perché siamo abituati ad andare via. Un giornalista di Milano non sente il bisogno di scappare dalla propria città”. Non è una coincidenza, quindi.
IL PARLAMENTO
Mentre l’UE ha sede ufficiale a Strasburgo, a Bruxelles, nell'edificio Paul-Henri Spaak, si riuniscono le commissioni
Eppure, oggi, conoscere la complessità di norme che regolano l’apparato europeo dovrebbe essere più importante che mai. La pandemia da Covid ha mostrato tutti i limiti dell’informazione in materia, il PNRR è diventata la parola del giorno ma senza che se ne abbia vera dimestichezza, le notizie si trovano nei bandi che non si leggono. E così i responsabili della comunicazione al Parlamento fanno degli sforzi titanici per assicurare una copertura degna dei fatti, per veicolare al meglio notizie, iniziative e tanto
In ogni caso, a Bruxelles si respira un’aria internazionale, e non solo al Parlamento europeo. Anzi, passeggiando per le strade del centro storico non è raro ascoltare voci italiane, con gli accenti più disparati. Sono soprattutto giovani, lavoratori e studenti che in Belgio stanno seguendo sogni ambiziosi, tra studi e stage, o più semplicemente sono persone che lavorano, nella speranza di un futuro migliore.
I numeri parlano di 300.000 italiani nel Paese nordico, 30.000 dei quali vivono a Bruxelles. Sono la terza comunità straniera dopo marocchini e francesi. Insomma, ne è passato di tempo da quando i negozi in Belgio esponevano il cartello «Ni chiens ni Italiens» (no ai cani e agli italiani).
Nonostante ciò, le autorità belghe mostrano di non conoscere benissimo queste persone che contribuiscono al benessere della loro nazione. Lo dimostrano le recenti parole del
Il nostro viaggio nella capitale belga per comprendere il Parlamento Europeo (e quanto la stampa dovrebbe parlarne con più attenzione)
ministro del Lavoro della Regione di Bruxelles, Bernard Clerfayt, nel corso di un’intervista alla tv Ln24. Se il tasso d'occupazione femminile a Bruxelles rispetto al resto del Belgio è troppo basso è per il "modello di famiglia mediterranea”, che siano di origine italiane o marocchine. “È un modello di famiglia in cui l'uomo lavora e la donna resta a casa per occuparsi dei figli", ha specificato il ministro. Forse Clerfayt non ha conosciuto Giorgia, stagista salentina al Parlamento Europeo, o Costanza, dottoranda di ricerca in materia di ambiente che a Bruxelles guadagna molto più di quanto faccia un ricercatore in Italia.
Forse non ha conosciuto le donne giornaliste che popolano i corridoi della sede parlamentare europea, che con tenacia cercano di raccontare un mondo all’apparenza noioso e troppo complicato, ma fondamentale per comprendere le dinamiche socio-politiche in cui l’Italia si inserisce. Alla fine, l’impressione da questo viaggio, seppur breve, è proprio quella che ci si poteva aspettare: una capitale afflitta dalle stesse contraddizioni che colpiscono tutte le grandi città, dove si incrociano mille culture e mille realtà e perciò è più difficile da raccontare, che neanche chi governa a volte è capace di interpretare. Sia che si parla di Unione Europea, sia che si parla della comunità che abita le città.
sCATTI DAL VIAGGIO
Sotto, scorcio della sala stampa del Parlamento Europeo. In basso, adesivo di Bari su una parete di Bruxelles
L’ingresso del Parlamento europeo di Bruxelles, Belgio, durante la seduta plenaria
Foto:Rosanna Luise
Gli italiani non sanno niente dell’Unione europea e il problema è della comunicazione. È quanto riportato da uno studio condotto da Perceive, un progetto di ricerca europeo del 2020, che ha indagato quanto i cittadini si sentano europei e quanto siano a conoscenza delle agevolazioni e fondi dell’Ue. In Italia solo uno su dieci sa di essere stato aiutato dall’Unione europea e lo stesso si può dire per altri Paesi come Austria, Germania, Francia e Paesi Bassi. L’Europa c’è, ma siamo noi a nonsaperlo.
Sostiene scuole, rende più accessibile il servizio sanitario, restaura biblioteche che cadono a pezzi, recupera musei abbandonati e chiese diroccate. Non solo, riempie le buche nelle strade e investe in ecosostenibilità e trasporti. Allora perché nessuno sa nulla? Il problema è dell’inadeguata competenza comunicativa dell’Istituzione: i cittadini e l’Europa non parlano la stessa lingua e tra di loro non sanno comunicare, troppo “tecnica” la prima e non abbastanza competente la seconda.
Lorenzo
RobustelliIl direttore e fondatore di Eunews, iniziativa editoriale d’informazione sull’Europa, fondata nel 2012, in occasione del laboratorio “ Il corrispondente italiano a Bruxelles” tenutosi il 12 aprile in Aula Vincenzo Starace del Palazzo del Prete di Bari ha affrontato i temi del giornalismo e del corrispondente italiano a Bruxelles. In merito alla comunicazione istituzionale e al ruolo del giornalista si è espresso così: “Quello che può fare il giornalista è arrivare ad un punto d’equilibrio tra ciò che vogliono i lettori e quello che richiede l’editore. il primo passo è quello di conoscere per capire, per cercare di fornire un’informazione il più possibile veritiera e per evitare che vengano pubblicate notizie inesatte, incomplete e poco approfondite”. L’obiettivo di Eunews è proprio quello di supportare la costruzione in Italia di un’opinione pubblica consapevole sull’Europa e di fornire una competenza adeguata ai giornalisti e comunicatori.
Sempre secondo Percieve, un cittadino europeo su due non sa o non ha mai sentito parlare della politica di coesione (45%), e il dato diventa allarmante se parliamo di politica regionale Ue, con una percentuale che sale al 53%.
Dati confermati anche dall’Eurobarometro che già dagli anni ‘70 aveva evidenziato un crescente livello di distacco dall’Unione a cui si aggiunge la mancata formazione di un identità europea riconosciuta e condivisa. Eppure i 27 Paesi, dopo la firma dei Trattati di Roma nel 1957 che sancivano la nascita della CEE, hanno provato ad aumentare le politiche di informazione e comunicazione. In una prima fase, dal 1992 al 2000, in concomitanza con il Trattato di Maastricht (1992) l’Ue ha spostato la comunicazione dall’interno dei palazzi della capitale belga alle sedi di rappresentanza dei nuovi Paesi.aderenti all’Ue.
Pochi giornali si occupano d’informazione dell’Ue. Un deficit comunicativo che può trovare una risposta concreta nel personale qualificato
A partire dagli anni ‘90 con la rivoluzione tecnologica e lo sviluppo di Internet, l’Ue ha puntato sulla trasparenza dell’accesso ai documenti da parte dei cittadini con una prima forma di “accountability”. Questo ha consentito, per la prima volta, ai cittadini di consultare i portali istituzionali ed essere aggiornati sulle politiche e sui testi approvati a Bruxelles.
In aggiunta, nel 1995 il Parlamento europeo ha introdotto il programma Prince (Programma d’informazione per il cittadino europeo) rivolto al grande pubblico e suddiviso in tre campagne diverse: “Cittadini d’Europa”, “Costruiamo insieme l’Europa” e “L’euro – Una moneta unica per l’Europa”, fino ad arrivare ai progetti, dedicati ai giovani, in corso tutt’ora e consultabili su un portale specifico: L’European Youth Portal. I passi di un’ apertura al pubblico sono stati fatti, ma ancora oggi le informazioni fondamentali per gli interessi dei singoli Paesi e dei cittadini non trovano spazio sulle prime pagine dei giornali nazionali.
Il problema, ma anche soluzione, sta in un’adeguata formazione dei giornalisti che si traduce in competenze linguistiche, una maggiore presenza dei media nelle sedi istituzionali e la corretta informazione affinché i cittadini siano più vicini al mondo europero e più consapevoli delle opportunità date dall’Unione Europea.
Rosanna LuiseChiara Maria Gemma è europarlamentare del Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, ex docente universitaria di pedagogia, formazione e disabilità dell’Università Aldo Moro di Bari. Eletta nella circoscrizione sud d’Italia, ora membro della Commissione per l’Occupazione e gli Affari sociali del Parlamento europeo e sostituta nella Commissione Cultura e Istruzione e nella Commissione Speciale sulla Lotta contro il Cancro, ha risposto alle nostre domande durante un incontro tenutosi il 30 marzo nel Parlamento europeo di Bruxelles. La comunicazione istituzionale, per molti, è difficile. Quali sono le competenze necessarie per superare questo gap?
“Indubbiamente la formazione come sempre è il primo passo per poter accedere alla conoscenza e questo è un problema alquanto assodato e anche ovvio. Se vogliamo quindi ci sono tantissimi strumenti per poter capire cosa fa l'Europa passo dopo passo”. Come viene vista l’Ue all’estero?
“Nella rappresentazione dell'Europa all'estero, siamo dei bravi ragazzi, ma timidi e questo significa che l'Europa non ha quelle intraprendenza che occorrerebbe per essere veramente conosciuta”.
Sei stata eletta nella circoscrizione sud dell’Italia. Com’è la situazione del Mezzogiorno sulla conoscenza europea? C’è o è lacunosa?
“Quando io giro nel mio territorio che è la circoscrizione sud e mi confronto con i cittadini, in particolare con i giovani, è veramente disarmante la non conoscenza dell'Europa.La prima domanda che rivolgo a partire dai bambini è: ma voi siete Italiani o siete europei? Noi viviamo in Europa o in Unione Europea? Cioè proprio l’abc. Di fronte a queste due domande estremamente banali, però, si schiude un mondo di ignoranza che non ti consente di di capire fino in fondo le ragioni. A questo si aggiunge poi il nostro ruolo che è del tutto sconosciuto”. Come comunicare l’Ue ai giovani?
“L'Europa offre tante opportunità per i ragazzi. Il problema è che noi non siamo capaci di spendere i soldi dell’Ue che quindi ritornano all’ente e per questo l’Ue viene vista come cattiva”. (R.L.)
L’europarlamentare componente della Commissione per l’Occupazione e gli Affari sociali. Fonte:chiaragemma.it
Come viene vista l’Unione Europea ad oriente? Questa domanda sorge spontanea tenendo conto dei rapporti storici e pluriennali tra i Paesi membri dell’Unione, alleati della Nato e non, e gli Stati Uniti.
Il 30 marzo la nostra redazione è stata ospite al Parlamento Europeo a Bruxelles, dove abbiamo avuto modo di incontrare varie personalità, del mondo del giornalismo e non, che ci hanno fornito la loro visione e esperienza sulla situazione attuale dell’Unione.
cani e i cinesi, in modo molto marginale i russi, ma devo dire molto molto marginali, anche gli indiani.”
Sebbene la visione dell’Ue che si ha ad oriente sia in generale positiva, non mancano però criticità su come l’Unione si approcci dal punto di vista politico e commerciale, soprattutto per quanto storicamente gli europei sono da secoli presenti nel continente asiatico.
LA PLENARIA
In basso, l’aula dove si riuniscono i 705 deputati e deputate del Parlamento Europeo per gli iter decisionali
Tra di loro era presente Niccolò Rinaldi, funzionario europeo dal 2009 Capo Unità per l’Asia, Nuova Zelanda e Australia, con cui abbiamo discusso di questo tema. Politico, scrittore e alpinista, ha iniziato la sua carriera come responsabile dell'informazione dell'Onu in Afghanistan, vivendo tra Peshawar, Kabul e il resto del paese. Nel 1991 ha lasciato le Nazioni Unite per cominciare a lavorare al Parlamento europeo, come consigliere politico, soprattutto sull'Africa e l'Asia centrale.
“Noi siamo percepiti come, parlo delle istituzioni europee, dei bravi ragazzi, dei buoni amici, generosi, perché siamo comunque sempre il primo donatore in termini di cooperazione allo sviluppo e in termini di aiuto umanitario - ha detto Rinaldi - ma un po' timidi, sempre un passo indietro rispetto a quelli che invece mettono nei loro rapporti il cosiddetto hard-power, che sono gli ameri-
“Quello che ci rimproverano è di non riuscire a tradurre il nostro approccio in maggiore politica e compiutezza delle relazioni, soprattutto per quello che riguarda la politica industriale, quella di difesa, le politiche di cultura e via dicendo - ha sottolineato Rinaldi –. Il nostro è innanzitutto un approccio basato su una grande continuità, perché in Asia ci siamo da secoli e abbiamo continuato a esserci. Inoltre l'Unione Europea non disturba, non interferisce, ha un dettato sempre molto attento sulla questione della promozione di diritti dell'uomo, ma non organizza colpi di Stato, non alimenta fazioni contro altre all'interno di questi paesi, non fa gioco sporco. Qualche volta può succedere dal punto di vista delle politiche industriali e delle politiche commerciali ma molto raramente”.
Nonostante questi limiti, l’Unione Europea resta un modello di riferimento per molti paesi asiatici, nello specifico soprattutto per quelli Stati segnati da grandi differenze cul-
Niccolò Rinaldi, funzionario europeo da anni impegnato nelle relazioni con l’Oriente, spiega quali differenze ci sono con Cina, Russia e Stati Uniti
turali, sociali e storiche, che non vedono possibilità di crescita e cooperazione nonostante la vicinanza dei confini geografici. Un esempio lampante su tutti è la difficolta dal punto di vista economico di non avere un mercato unico e un’unione doganale, come invece esiste nell’Unione europea. “Siamo generalmente abbastanza invidiati perché in Asia non esiste niente come l'Unione Europea, noi vediamo l'Asia come l'Asia, ma in realtà sono tutti paesi, molti dei quali si guardano costantemente in cagnesco, per così dire, se non peggio - ha sottolineato Rinaldi -. Hanno delle relazioni che sono estremamente ostili gli uni contro gli altri: gli afghani con i pakistani perché stanno con gli indiani, gli indiani con lo Sri Lanka, i vietnamiti con la Cina; Filippine, Malesia, Indonesia e Singapore sono più uniti, rispetto invece a Cambogia, Laos e Myanmar; il Giappone è ancora percepito come mentalità imperialista che non ha fatto i conti con la sua storia; per non parlare di Taiwan con la Cina”.
Infine, ha concluso Rinaldi: “Ci sono fortissime contrapposizioni. Un processo di integrazione, di armonizzazione, un mettere insieme tradizioni politiche, come accaduto in Unione Europea, come si cerca di fare, non è mai capitato in Asia. Per cui siamo abbastanza invidiati”.
LE SEDI UE
In alto, scultura di Olivier Trebelle posta nell’atrio; in basso, due vedute esterne del Parlamento Ue
INDIRIZZI
La Commissione europea è l’organo esecutivo e promotrice del processo legislativo: ha sede a Bruxelles
Facile parlare di Pnrr, facile illudersi e credere che l’Italia riceva questi soldi con lo schiocchiare delle dita perché la realtà, chiaramente, è ben che lontana da questa idea.
L’opportunità, data dall’Europa, è di quelle quasi mai viste, che potrebbe aiutare molto l’Italia a superare i problemi legati alla crisi dovuta alla pandemia.
Da superare però c’è la difficoltà legata alla mancanza di persone qualificate per gestire i progetti e i bandi per la ricezione dei finanziamenti.
Ma di cosa parliamo?
Riavvolgiamo il nastro: a seguito della pandemia e delle difficoltà, è nato il Next Generation Eu, un importante strumento di ripresa e rilancio economico introdotto dall’Unione europea per risanare le perdite causate dalla pandemia dei 27 Paesi aderenti. Ogni nazione ha redatto un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il nostro è stato scritto dall’allora governo di Mario Draghi e approvato dalla Commissione europea nel giugno 2021.
Il next Generation Eu darà un’opportunità a tutta l’Italia. Tanti i miliardi di euro ma manca il lavoro qualificato per redigere bandi e progetti
Molto alta è la percentuale dei Comuni del Sud che ha giudicato difficile e complessa la partecipazione ai bandi del Pnrr.
La realizzazione di un’infrastruttura sociale al Sud richiede nove mesi in più rispetto alla media dei Comuni italiani e del nord.
Questo si evince dallo studio Svimez “I Comuni alla prova del Pnrr” curato da Serenella Caravella, Carmelo Petraglia e Gaetano Vecchione pubblicato sull’ultimo numero di Informazioni Svimez. Tra i fattori che hanno generato criticità i Comuni del Sud indicano soprattutto l’eccessiva complessità delle procedure tanto da avere la necessità di ricorrere a consulenze esterne per la partecipazione ai bandi. Conferma dunque la mancanza di persone qualificate e di persone tecniche soprattutto all’interno dei Comuni del Sud Italia. Un gap
Quello italiano ha una struttura articolata. Prevede sei missioni, organizzate in componenti, ognuna delle quali comprende una serie di misure, che possono essere riforme normative o investimenti economici. Progetti di riforme con uno scadenzario rigido per ricevere i fondi di sei anni.
Dalla transizione ecologica a quella digitale, dalla sanità alla scuola, dai trasporti alla giustizia: le materie in agenda sono diverse e numerose. Si tratta complessivamente di 358 misure, di cui 66 riforme e 292 investimenti. Ciascuna di queste ha diverse scadenze da rispettare, a cadenza trimestrale, lungo uno o più anni dal 2021 al 2026. Nel dettaglio gli ambiti sono quello della transizione ecologica con la produzione di energia pulita, quella digitale con nuove piattaforme sempre più avanzate e velocità nella burocrazia, in campo economico e finanziario con maggiore occupazione. Per quanto riguarda la sanità, è previsto l’investimento per incentivare la ricerca e l’innovazione. L’Italia è lo Stato che riceverà più soldi. È al primo posto tra i 27, seguita dalla Spagna, Francia, Polonia e Grecia. L’ammontare è di 191,5 i miliardi di euro previsti per l’Italia dal Pnrr, spendibili entro il 2026. L’intera somma per metà è a debito, o meglio, sono emissioni di titoli di prestito europei da restituire.
È la prima volta per la Repubblica italiana e un’opportunità grandissima per le genera-
zioni future. Con il Pnrr si potrà avere la possibilità di creare un futuro dei nostri figli e nipoti. Alla somma prevista dal Piano, tra l’altro, vanno sommati i fondi per le inclusioni sociali, quelli strutturali, dei co-finanziamenti e i fondi della vecchia amministrazione. Nelle casse del nostro Paese arriveranno 300 miliardi di euro. Il problema però rimane sempre quello di avere a disposizione persone qualificate per redigere e gestire bandi e progetti al fine di poter richiedere correttamente i finanziamenti. Partendo dai Comuni e quindi dalle amministrazioni locali sino al governo. Per quanto riguarda il sud Italia, il Pnrr è “una grande occasione” per il rilancio. Alle regioni del Mezzogiorno andranno circa 82 miliardi di euro dei fondi “territorializzabili”, ovvero quelli per progetti con ricadute su territori specifici. L’agenzia per la coesione territoriale dovrà monitorare sul rispetto di quest’obiettivo presentando gli eventuali scostamenti alla Cabina di regia, il cuore della Governance del Piano, composta dalla presidenza del Consiglio e a cui partecipano, di volta in volta, i ministeri competenti. L’Italia intera va incontro ad una grande opportunità di crescita economica finanziaria. L’ideale sarebbe coglierla a pieno.
FUTURO
Due mani che tengono il sud Italia. Il Pnrr può dare un rilancio molto importante economico finanziario per il sud
La trama descrive una tipica giornata al mare di alcuni giovani amici Tra gioco, relax e amore c’è la nuova biancheria
Monopoli sempre più…di “moda”. E da qualche giorno non solo come meta turistica. La “città unica” a Sud-Est di Bari, infatti, è stata scelta per fare da sfondo al lancio dei nuovi articoli di biancheria intima della maison Dolce&Gabbana. La nuova campagna Underwear riguarda la collezione primavera-estate 2023 proposta dalla nota casa di moda milanese. Affascinati dagli scenari unici incastonati nel cuore della Puglia, gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno voluto incorniciare le loro creazioni tra le coste rocciose o dalle spiagge dorate,
il centro storico e i luoghi più suggestivi della cittadina turistica barese. È qui che hanno posato e recitato i modelli della D&G. Immersi nei panorami mozzafiato e coperti da un tramonto, che sa di romanticismo. Il video della campagna pubblicitaria mostra, in apertura, una giovanissima coppia che dal centro storico si sposta, in moto, per raggiunge il resto della comitiva su una scogliera, durante una tipica giornata estiva nel meridione. Arrivati a destinazione, i ragazzi parlano, ridono, giocano a palla e si tuffano in mare. Il tutto con indosso boxer, reggi-
seni, canottiere, cinte e pantaloni rigorosamente D&G. Il focus è rappresentato dai due innamorati, che, dopo essersi guardati intensamente, decidono di seguire i loro amici, tuffandosi nel mare cristallino di Monopoli. Il promo è stato firmato dal giornalista Attilio Cusani, mentre tutti i dettagli su fotografia e immagine promozionale sono stati affidati alla fashion stylist Vanessa Bolognini. La musica scelta come sottofondo è la neomelodica “Tienatè”, dei Nu Genea; col suo sapore meridionale, intende celebrare il Sud nelle sue molteplici sfaccettature.
Gli scatti fotografici sono invece accompagnati dalla didascalia: “Il desiderio di giorni più caldi, l'amicizia e il gioco catturati al tramonto, nel Sud Italia”.
Tutto questo materiale realizzato sul set pugliese è stato pubblicato sui canali social della casa di moda. Video e foto fanno bella mostra sulla pagina Facebook, che conta dodici milioni e mezzo di utenti, ma anche sul profilo Instagram, seguito da oltre trenta milioni di follower.
Insomma, una bella vetrina per Monopoli e, in generale, per l’intero territorio. Soprattutto se si considerano le decine di commenti di apprezzamento da parte degli utenti. «Dove è questo posto bellissimo?», domanda Ros vedendo il post di Facebook. «Monopoli», risponde prontamente Patrizia. «Che dire…bellissimo», dice ancora Ros. E, tra le emoticon di faccine sorridenti e cuori,
spuntano anche ironiche iperboli: «#Monopoli Caput Mundi», “sentenzia” Domenico. L’avventura, però, non è che all’inizio. La prossima estate, infatti, la Valle d’Itria ospiterà diversi fashion show per la presentazione della prossima collezione di Alta Moda targata D&G. Tra le altre località italiane, dal 7 all’11 luglio prossimi, le sfilate della maison faranno tappa a Bari e nelle province di Brindisi e Taranto.
Cesare Zampa
Sul magazine “Dove”
DOLCE E GABBANA
Gli stilisti che, nel 1985, fondarono a Milano la nota casa di Alta Moda Fra i più celebri clienti c’è la cantante Madonna
Monopoli come Santorini. La cittadina barese dalle case bianche che incontrano l’azzurro del mare, secondo il magazine del Corriere della Sera, rievoca il paesaggio dell’isola greca delle Cicladi, circondata dal Mar Egeo. Il paragone, tanto fantasioso quanto originale, è frutto della penna di Dario Raffaele, che ha raccontato i luoghi caratteristici della città su “Dove”, il magazine di viaggi del quotidiano. Dal centro storico alle contrade, finendo con le innumerevoli cale che impreziosiscono la costa. Una guida dettagliata su cosa fare per una vacanza unica, tra tappe culturali, relax, divertimento, movida e gastronomia tipica. «Due giorni possono bastare per visitare Monopoli in maniera approfondita e ammirare tutte le sue bellezze - consiglia il giornalista - Ma fermarsi a Monopoli anche per una settimana può essere l’occasione per una vacanza non solo culturale, incentrata su relax e divertimento». (C.Z.)
IL PROBLEMA
Il Pnrr per la scuola cerca di ricucire il gap tra Nord e Sud. L’infografica di OpenPolis riprende i dati Istat
Un ragazzo su sei in Italia ha lasciato la scuola, e il Sud non se la passa meglio. A dirlo sono i dati Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno relativi al 2022. Dopo anni di disuguaglianze formarsi al Sud è ancora diverso che farlo al Centro-Nord. Il fenomeno della dispersione scolastica, seppur in leggerissima diminuzione, è tendenzialmente alto rispetto agli altri Stati europei, fermandosi ad un tasso di abbandoni del 10,4% al Centro-Nord e il 16,6% al Meridione. Un valore, quest’ultimo, che è quasi il doppio della media europea, ferma al 9% e che a Napoli ha raggiunto la cifra del 23%.
Un campanello d’allarme che, a lungo andare, se non arginato potrebbe complicare ancora di più il tessuto sociale, già precario, delle Regioni del Sud, aggravato dalla pandemia, e di cui l’autonomia differenziata di cui si è parlato tanto non sarebbe altro che la pietra tombale. Tra le soluzioni, c’è chi parla di comunità educanti, alleanze tra territori per contrastare i vari fenomeni extrascolastici che portano le nuove generazioni ad allontanarsi dalla scuola dell’obbligo.
Resta ferma, infatti, la connessione tra i servizi offerti dalla scuola e l’abbandono, a partire dalle mense e quindi il tempo pieno, fino alle palestre.
In Puglia la situazione non è delle più rosee, stando ai dati dell’Ufficio Scolastico Regionale. Nell’ultimo anno scolastico preso in
esame, quello 2020/2021, ci sono state 2379 interruzioni di frequenza, un tasso di dispersione pari al 17,9% di tutti gli alunni dei tre cicli, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado. Tra i pilastri fondam inseriti nel programma di governo della Regione 2020-2025 c’è proprio l’accesso alla conoscenza, con il contrasto alla povertà educativa e l’aumento delle risorse per la formazione e la ricerca.
Il Pnrr, a livello nazionale, ha individuato il problema in due missioni: “Istruzione e ricerca” e “Inclusione e coesione”, con le quali si cercherà di colmare il gap scolastico tra Nord e Sud. Anzitutto tramite il contrasto all’abbandono scolastico e alla povertà educativa. Poi con i fondi per facilitare l’inserimento a scuola di ragazzi provenienti da territori e aree socioeconomiche più svantaggiate. Infine, il riconoscimento dello sport e della cultura come capisaldi per l’inclusione e l’integrazione sociale. Sul sito istituzionale www.pnrr.istruzione.it è possibile leggere la ripartizione, a livello nazionale e regionale, di tutti i fondi totali da dedicare alla scuola. Per la prima tranche sono in ballo mezzo miliardo di euro, di cui 43,1 milioni solo per la Puglia, da distribuire a 212 istituti (essenzialmente soltanto il 34% degli istituti pugliesi.) Soldi benedetti, si direbbe, ma c’è chi critica le modalità di distribuzione del denaro, come la Cgil scuola. Il sindacato ha puntato il dito contro le
La Puglia è al quarto posto tra le Regioni per abbandono dei banchi, un fenomeno complesso che coinvolge tutto il contesto formativo di crescita
prove Invalsi, test nazionali utili a misurare alcune competenze fondamentali in italiano, matematica e inglese, usate dal ministero dell’Istruzione come fonte primaria per scegliere gli istituti a cui destinare più risorse. Dalle prove Invalsi (molto spesso criticate al Sud per i loro risultati non sempre veritieri o parziali) è stata definita una particolare tipologia di dispersione scolastica: non quella legata all’abbandono e ai servizi che mancano, ma quella implicita o nascosta, legata essenzialmente agli studenti che anche al conseguimento del titolo di studio non hanno raggiunto l’obiettivo minimo delle competenze fondamentali previste.
Fatto sta che, per il momento, sono state escluse dai fondi europei il 66% delle scuole pugliesi. Tra le secondarie di secondo grado, scelte al momento, ne sono state individuate 68 nella Città metropolitana di Bari, 49 nella provincia di Foggia, 36 in quella di Lecce, 35 a Taranto e 24 a Brindisi. Per fare qualche esempio, all’istituto “Majorana” di Bari sono stati destinati quasi 334mila euro, 342mila alla secondaria di secondo grado di Castellaneta “Mauro Perrone” mentre al tristemente noto professionale “Morvillo-Falcone” di Brindisi la cifra record di 345mila euro.
In ogni caso sono numeri che fotografano realtà scolastiche in cui si percepiscono con mano i disagi sociali e familiari. Adesso la patata bollente passerà ai dirigenti scolastici e i tempi per l’approvazione e la successiva realizzazione dei progetti ormai stringono. Se i progetti andranno in porto entro il 2026, secondo le stime, il tasso di abbandono scolastico nazionale dovrebbe scendere al 10,2%, avvicinandosi alla media dei 27 Stati europei. “Il Pnrr che dedica importanti risorse all’istruzione non raggiunge l’obiettivo di colmare i divari - ha però sottolineato il direttore di Svimez, Luca Bianchi - la priorità è rafforzare il sistema soprattutto nelle aree più marginali”. Insomma, servirebbero interventi strutturali urgenti in materia di welfare, servizi e infrastrutture, carenti da sempre al Mezzogiorno e in Puglia.
La probabilità per un ragazzo di vivere in una famiglia che non dispone di una connessione Internet a casa è del 30,45% in Puglia, rispetto al 24% nazionale. Un dato, estrapolato dal documento “Strategia regionale povertà educativa 2021”, che sottolinea ancora una volta come la cosiddetta didattica a distanza, ai tempi della pandemia, non è stata uno strumento democratico e soprattutto inclusivo. I dati peggiorano quando si prendono in considerazione la mensa e il tempo pieno. Sempre secondo i dati del documento, il 74,1% degli alunni pugliesi non ha una mensa, il 94% delle classi di scuola media non fa il tempo pieno a scuola e nella Regione ogni 100 alunni ci sono solo 5,5 pc e tablet.
A ciò si aggiungono anche i bisogni educativi
speciali di alunni con disabilità, per i quali la carenza cronica di risorse e la malagestione degli istituti non ha consentito, soprattutto al Sud, di strutturare una rete di servizi integrata al sistema scolastico, che all’istruzione unisse il welfare. Nonostante le politiche di inclusione degli alunni disabili abbiano favorito un aumento sempre costante negli anni alla partecipazione scolastica, esistono ancora numerose barriere fisiche nelle scuole italiane, come ha fotografato il documento di studio e proposta dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza “La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale”. Soltanto una scuola su tre in Italia è accessibile per gli alunni con disabilità motoria e sono ancora poche le tecnologie educative per il sostegno. Altra questione è la carenza di insegnanti specializzati al sostegno, per cui si sta tentando maldestramente di arricchire le graduatorie di prima fascia per il ruolo anche di chi consegue il titolo di specializzazione in Paesi in cui esistono ancora le classi differenziate, come la Romania ad esempio.
Poi c’è la situazione degli alunni stranieri, che abbandonano la scuola tre volte di più rispetto ai loro coetanei italiani. Questo a dimostrazione del fatto che la scuola non è soltanto formazione, ma futuro per una una generazione di studenti a cui spetta, per Costituzione, il diritto allo studio, a prescindere dalla Regione in cui si è nati. (Silvio Detoma)
Non tutti gli alunni partono dallo stesso punto, soprattutto chi cresce al Sud (Fonte:Corriere del Mezzogiorno)
PUGLIA WOMEN CODE
Il rettore dell’università “Aldo Moro”, Stefano Bronzini, e la presidente di Puglia Women Lead, Gaia Costantino
La rivoluzione del nuovo millennio, quella tecnologica, è sempre più donna e prova ad annullare il gap di genere. Puglia Women Code: si chiama così il primo cooding bootcamp nella nostra regione per donne che vogliono intraprendere una carriera professionale nei settori dell’informatica, del digitale e dello sviluppo web. È un percorso di formazione, organizzato dall’associazione “Puglia Women Lead”, che si terrà dal 21 al 23 aprile nello Spazio Murat, in piazza del Ferrarese. Un progetto nato dalla proficua collaborazione con l’università di Bari “Aldo Moro”, in partnership con Impact hub, Apuliasoft e Aulab, patrocinato da Confindustria e Innovup, l’associazione che rappresenta e unisce la filiera dell’innovazione italiana.Riflettori accesi, dunque, anche da parte delle aziende sull’evento. Il gran numero di aziende, operanti nel settore dell’informatica e delle tecnologie, che sono proliferate, soprattutto nell’ultimo periodo, nel capoluogo pugliese, non possono che guardare con interesse a un’iniziativa che offre delle importanti opportunità alle donne. Le aziende, infatti, seguono da vicino l’evento, pronte a scovare talenti al femminile da inserire nei rispettivi organici. Una tre giorni intensa, che si pone l’obiettivo di fissare un’altra pietra miliare sulla strada tracciata per colmare il divario occupazionale di genere. Ma cosa faranno le donne che parteciperanno al Puglia Woman Code? Impareranno le basi dei linguaggi di programmazione web, HTML&CSS e JavaScript, al fine di avvicinarsi al mondo del coding e trovare lavoro con più facilità. Un’iniziativa che ha immediatamente ri-
scosso grande successo: 65, infatti, le donne che non hanno voluto perdere neanche un minuto e hanno deciso di iscriversi subito al corso. Variegato anche il target: all’iniziativa parteciperanno, infatti, studentesse e professioniste di vari settori, ma anche donne curiose di scoprire un mondo per loro nuovo, avvicinarsi al digitale e apprendere nuove competenze in ambito informatico. Chi parteciperà al Puglia Women Code sarà catapultato in una tre giorni di formazione intensiva. Le iscritte saranno divise in gruppi di quattro o cinque persone ciascuno e ognuno di essi sarà seguito da un mentor, programmatore professionista, che condurrà le donne a fare un’esperienza pratica, hands-on, nello sviluppo di una applicazione web. La formazione, inoltre, prevede anche momenti di confronto ispirazionali e permetterà di entrare in contatto con aziende che operano nel settore informatico. Alla fine del percorso, poi, ogni gruppo presenterà il lavoro svolto e verranno premiati i tre progetti migliori. Saranno inoltre messe in palio borse di studio per proseguire gli studi in ambito informatico.
Tanta soddisfazione è stata espressa da Gaia Costantino, presidente dell’associazione Puglia Women Lead: «Offrire qui in Puglia la possibilità alle donne di partecipare a eventi di formazione che hanno eguali solo nelle grandi capitali europee e incontrare aziende multinazionali operanti nell’ambito della tecnologia e dell’innovazione è per noi di Puglia Women Lead un sogno che diventa realtà. Crediamo fortemente che solo grazie allo scambio di idee, alla contaminazione di background differenti e alla formazione continua, possiamo trasformare il nostro territorio in un hub di eccellenza che offra a tutte e tutti pari opportunità di carriera». Non poteva mancare la collaborazione con l’università “Aldo Moro”, fortemente impegnata, specialmente negli ultimi anni, nel tentativo di ridurre il gender gap. «Promuovere le pari opportunità è per noi una priorità, farlo puntando sul digitale è un elemento aggiuntivo che ci fa guardare con grande attenzione a iniziative come questa. Incrementare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, favorire l’imprendi-
Una tre giorni, dal 21 al 23 aprile nello Spazio Murat, sotto gli occhi attenti delle aziende, per imparare i linguaggi di programmazione web
torialità al femminile in tutti gli ambiti lavorativi, fornire gli strumenti adeguati sono obiettivi che richiedono politiche di sviluppo adeguate e un impegno da parte di tutte le istituzioni perché non ci può essere crescita del benessere sociale senza un mercato del lavoro maggiormente inclusivo delle donne», ha sottolineato il rettore, Stefano Bronzini.
Main sponsor dell’evento è NTT Data, multinazionale che offre servizi e consulenza in ambito di Information Technology, che lo scorso anno ha aperto a Bari la sua sede pugliese. «Siamo orgogliosi di collaborare con una realtà innovativa e impegnata come l’associazione Puglia Women Lead - ha commentato Pierfrancesco Fusaro, vice-presidente di NTT Data Italia - In NTT DATA crediamo fermamente nel valore di questi progetti, capaci di far conoscere a tutte le giovani donne il mondo delle materie Stem.
NTT DATA si impegna da anni in percorsi mirati a incentivare le ragazze a intraprendere percorsi di questo tipo, e siamo orgogliosi di sostenere progetti simili proprio qui in Puglia, dove abbiamo avviato l’anno scorso un ampio piano di investimenti, che prevede l’apertura di nuovi uffici e 500 assunzioni».
L’evento è finanziato anche da Lutech Advanced Solutions, azienda che opera nel set-
tore della trasformazione tecnologica e digitale, Fincons Group, società di IT business consulting e system integration che da 40 anni accompagna le aziende nel cogliere le opportunità del cambiamento digitale, e Its Academy Apulia Digital Maker che propone corsi professionalizzanti post diploma nell’Area ICT (Information and Communications Technology). Orgoglio per la partecipazione a Puglia Women Code è stato espresso anche da Edoardo Turchini, talent acquisition manager di Lutech Advanced Solutions, Michele Moretti, Ceo di Fincons Group, e Valentina Scuccimarra, responsabile comunicazione Fondazione ITS Academy Apulia Digital Maker.
PUGLIA WOMEN CODE
In alto, due diversi momenti della conferenza stampa di presentazione della tre giorni dedicata alle donne
1-21 aprile 2023
ANTONIO GAGLIARDI
Il segretario regionale della Flai Cgil Puglia ha lanciato l’allarme sulla carenza di braccianti (Flai Cgil Brindisi)
Braccia tolte all’agricoltura. Il grido d’allarme della Flai Cgil risuona forte e chiaro in Puglia. Negli ultimi sei anni, nel tacco dello “stivale” ha perso quasi 30mila braccianti: la regione più colpita in tutta la penisola che conta un decremento complessivo di quasi 100mila unità.
“Nella nostra regione registriamo un costante calo di iscritti agli elenchi Inps – ha spiegato il segretario regionale della Flai Cgil Puglia, Antonio Gagliardi – se c’è un problema di reperibilità di manodopera nel settore, perché non si discute ai tavoli istituzionali preposti, a partire dalle sezioni territoriali della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità (ReLAQ), previste dalla legge 199/2016 e istituite in Puglia in tutte e sei le province”.
Negli ultimi 6 anni la nostra regione ha perso 28.750 braccianti, passando da 185.573 operai agricoli a 156.825, con un calo generalizzato e con punte di -2.000 unità in alcune province: a Foggia sono iscritti agli elenchi 39.855 operai (-2.055), a Bari 34.464 (-1.976), seguono Brindisi 21.018 (-1.178), Lecce 18.137 (-982), Bat 17.878 (-801) e Taranto 25.473 (-733). Il costante e corposo calo degli addetti degli ultimi anni ha diverse ragioni: un diffuso sottosalario, l’attività ispettiva mirata a scovare i lavoratori fittizi e un forte impiego nel 2022 di manodopera agricola prestata all’edilizia dovuto al bonus 110. Sono solo al-
cune concause facilmente individuabili. Un calo, anche se contenuto, si registra rispetto al numero di giornate dichiarate complessivamente, pari a 15 milioni 320 mila circa (323 mila), delle quali 3 milioni 222 mila (circa il 21% del totale) sono quelle lavorate da manodopera straniera (+128.900). Gagliardi ha individuato due problemi scatenanti la carenza di manodopera: “La scarsa attrattività per un lavoro fortemente sottopagato e il trasporto. La stragrande maggioranza delle aziende agricole non hanno mai pensato di attrezzarsi autonomamente sul tema del trasporto. Spesso si sono affidate, nella migliore delle ipotesi, ad agenzie di ‘colletti bianchi’ che muovono per centinaia di chilometri la manodopera, anche fuori regione. Migliaia di braccianti che alle tre del mattino salgono sui pullman gran turismo, specie nel caso di lavoro femminile. Il costo? Dieci o quindici euro a seconda della distanza, ovviamente, decurtato dalla paga giornaliera. Sotto questo aspetto, si è sempre omesso un impegno che portasse alla definizione di una strategia di sistema tra trasporto, luogo di lavoro, retribuzione”. Proprio intorno alla manodopera straniera si è scatenata la discussione, a causa della mancata regolarizzazione degli extracomunitari presenti sul territorio da anni e costretti a nascondersi nei tanti ghetti dispersi nelle campagne pugliesi. Operai stranieri, ma non solo. I dati Inps del 2022, infatti, certificano
hanno perso oltre 28mila lavoratori, quasi un terzo dei 100mila di tutta Italia. La Flai Cgil lancia l’allarme
che la manodopera agricola, ancora una volta, risulta in riduzione rispetto all’anno precedente: meno 7.725 unità. Questo è un dato estremamente significativo che merita una prima analisi più approfondita: si passa da 164.550 a 156.825 addetti. I lavoratori stranieri risultano addirittura in leggero aumento, passando da 34.264 a 34.500. Le etnie principali continuano ad essere, in valore assoluto, quella rumena (7.983), albanese (6.172), marocchina (3.413), bulgara (2.247), senegalese (2.023), nigeriana (1.718), e poi maliana, gambiana, indiana. “Questo dato, tuttavia, non deve trarre in inganno – evidenzia la Flai – l’attività repressiva che ha ripreso impulso con la legge 199/2016, la legge anticaporalato, per intenderci, funziona e non passano settimane senza che vi siano arresti. Infatti, un minimo di emersione dal grigio e dal nero di forza lavoro preesistente sembra essere garantita, sebbene si debba fare di più. Manca tutta la parte degli invisibili, manca il censimento di quelle braccia che sfuggono alla casistica legale. Manca insomma tutta quell’attività di prevenzione e proposizione di buone pratiche da sostanziare attraverso le sezioni della ReLAQ di cui parlavamo prima”. Un capitolo a parte meriterebbe il lavoro di genere nel settore: la manodopera femminile rappresenta il 38,6% del totale degli addetti (60.669 unità); il maggiore addensamento di questa tipologia di lavoro
lo riscontriamo tra le 101 e 150 giornate annue con circa 22.700 lavoratrici, segue la fascia tra 51 e 100 giornate con 15.700 lavoratrici.
Il problema non è di facile soluzione. Il costante decremento dei braccianti può essere affrontato distribuendo meglio le risorse e aumentando i controlli e la regolarizzazione dei contratti. I lavoratori in nero sono, infatti, tanti e la loro presenza contribuisce a gonfiare i numeri dell’Inps, per il quale sono “lavoratori fantasma”.
Emanuele Palumbo
In Puglia, e in generale in tutta Italia, sono molti i lavoratori extracomunitari irregolari, anche se sul territorio da anni
I processi di modernizzazione sono in costante aumento anche nel Meridione: le grandi raccolte stagionali risentono di una crescente meccanizzazione che fa diminuire la necessità di manodopera impiegata. “La digitalizzazione dei processi produttivi di alcune aziende prossime all’agricoltura 4.0 – ha spiegato Gagliardi – mette in evidenza quanto terreno debbano recuperare quelle più arretrate, che sono la maggior parte, ma anche la necessità di poter contare su manodopera sempre più qualificata. Da questo punto di vista come sindacato dobbiamo lavorare affinché ogni processo evolutivo consideri fondamentale la formazione per difendere l’occupazione e preparare l’intera manodopera alla transizione dall’analogico al digitale. Il rischio che corriamo è l’espulsione degli anziani prima ancora che possano giungere al riposo lavorativo. Un processo lento ma già presente”.
(E.
P.)“Agricoltura 4.0: le aziende si adattino”
I DANNI DELLE BOMBE
In alto il teatro Ferdinando, danneggiato dalle scheggie. Costruito interamente in legno
Trentacinque morti e almeno il doppio dei feriti. Queste sono le cifre delle vittime che i documenti ci hanno restituito in merito alla Pasquetta di Sangue, a ottant’anni dall’accaduto (27 aprile 1943). Un episodio che ha segnato la vita di due generazioni di tranesi. In quel giorno alcuni bombardieri alleati sganciarono sulla cittadina adriatica quattro bombe, due delle quali caddero in mare. Le altre due toccarono il suolo, provocando danni ingenti sia agli edifici, che ad intere famiglie, distrutte nel giro di pochi secondi di terrore.
Trasmesse di nonno in padre e di padre in figlio, le memorie di quegli attimi sono stati custoditi da due generazioni di tranesi. Tra queste, quella di una delle poche testimoni rimaste: Domenica Sonatore Cosentino che in quell’occasione ha perso mamma, papà e sorella. Nonostante la giovane età, ha in seguito raccolto le testimonianze di zii e cugini sopravvissuti. Oltre alle vittime civili e militari, non vennero risparmiati gli edifici storici. Tra quelli distrutti il teatro Ferdinando, eretto in epoca borbonica nell’omonima piazza e mai più ripristinato dopo il bombardamento, e parte della caserma, ora sede di un distaccamento dell’8° brigata meccanizzata Pinerolo.
Nel marzo del 1943, iniziava a diffondersi tra gli italiani un palese malcontento verso il regime fascista. Rivolte e defezioni di lavoratori iniziavano a verificarsi in tutta la
penisola. Mussolini, non avendo più l’appoggio totale del suo gabinetto, iniziò a pianificare la propria fuga verso l’alleato tedesco, mentre americani e inglesi iniziarono a bombardare il sud Italia con i B-17 (noti come le “Fortezze Volanti”) che partivano dal nord Africa. Nonostante il tumulto del conflitto mondiale, le città provarono a cercare la ‘normalità’ nelle più semplici azioni quotidiane come il lavoro nei campi, l’attività in bottega e in fabbrica, le passeggiate in riva al mare e la partecipazione alle funzioni religiose.
Come ci ha raccontato la signora Cosentino, “il 25 aprile, la mia famiglia aveva festeggiato la Pasqua, insieme al mio terzo compleanno. Ero molto piccola quindi ricordo poco. Questa storia per me è come una fiaba: me l’hanno raccontata tante volte”. Le giornate iniziavano ad essere calde, tanto che in molti avevano già sperimentato il primo bagno dell’anno. Tradizione che aveva vinto sulla paura per gli attacchi aerei. Le famiglie tranesi erano solite organizzare picnic in spiaggia in occasione della Pasquetta (26 aprile). Anche la famiglia Cosentino, approfittando dell’apparente calma, aveva deciso di far respirare un po’ d’aria di mare a Domenica e Riccarda, questa di soli 10 mesi. Trascorsa gran parte della giornata all’aperto, la famiglia si divise. “Io, a quanto pare, ero molto stanca. Così rimasi con nonna Carolina e quella notte dormii a casa
Due dei quattro ordigni colpirono la città e provocarono 35 morti e il doppio dei feriti.
A posteriori la scoperta dell’errore fatto dagli avieri
sua – prosegue nel racconto la signora Domenica - mia madre Filomena e mio padre continuarono a godersi la giornata. Con loro rimase anche mia sorella Riccarda, troppo piccola per allontanarsi dalla mamma”. Quella fu l’ultima volta in cui vide sua sorella e i suoi genitori. Tra le due e le tre di mattina del 27 aprile due delle quattro bombe caddero in città. La prima, in via Statuti Marittimi, centrò in pieno la palazzina dove viveva la famiglia Cosentino, non lasciando scampo agli occupanti; le schegge vennero proiettate nella vicina piazza Teatro, dove danneggiarono oltremodo il teatro cittadino. La seconda, colpì in pieno le “Casermette” di via Corato. “Le sirene d’allarme non suonarono, nessuno fu avvisato” ha specificato Mina. Gli inglesi erano soliti sorvolare la costa durante il giorno e sganciare bigliettini d’avviso prima di un bombardamento. Fortunatamente l’abitazione della nonna delle bambine, che si trovava nella stessa via, ad appena cento metri di distanza, venne risparmiata. La maggior parte delle testimonianze, raccolte nelle testate dell’epoca, conferma che il boato fu tale da polverizzare i vetri delle abitazioni del centro e svegliare l’intera città. Le fiamme oscurarono le timide luci delle torce che i sopravvissuti usavano per muoversi nelle strade meno illuminate. “Mia nonna corse in strada, facendosi largo nel buio e nel fumo. Raggiunse le macerie gridando il nome dei figli (Filomena e Nunzio) e del genero (Nicola). Li trovò. Mia madre e mia sorella erano già morte. Mio padre e mio zio, invece, fecero in tempo a rivolgere le ultime parole a nonna Carolina. Quelle del mio papà erano tutte per me: “Mi raccomando a Menichina”, così mi chiamava”. Nel 1963 il Tranesiere, la rivista quindicinale della città, ricordò così quella notte: “Quattro furono le bombe lasciate cadere. Fortunatamente due di esse caddero in acqua, mentre le altre due, piombate sulla banchina, esplodendo dilaniarono completamente con le schegge e lo spostamento d’aria il fabbricato posto fra le due strade ed in parte anche gli altri circostanti. Fu allora che il nostro glorioso ed antico teatro comunale ebbe il danno più grave. L’opera di soccorso ebbe inizio quando gli apparecchi nemici non avevano ancora abbandonato la città ma si erano diretti presso le casermette di via Corato, di recente costruite ed entrate in funzione. Anche qui furono sganciate delle bombe che provocarono la morte di 14 militari rimasti affogati nel rifugio per lo scoppio delle condutture d’acqua”. Per anni i sopravvissuti si sono chiesti come mai le sirene non avvisarono dell’imminente attacco e come mai gli Alleati non lo anticiparono con il solito lancio di volantini. Francesco Lotoro, pianista di religione ebraica, storico e musicologo, venne a conoscenza della storia di Trani durante una raccolta di informazioni sui canti fatti nei campi di con-
centramento. Raccontò che i piloti angloamericani ebbero il compito di bombardare Barletta.
Non conoscendo bene la geografia della Puglia, agli avieri provenienti dal nord adriatico, venne detto di colpire il porto successivo a quello ricolmo di depositi di sale (Margherita di Savoia). Purtroppo, i furti di sale, che poi venne conservato in quello di Barletta, confusero gli equipaggi che sganciarono gli ordigni sulla città sbagliata.
Fabio Antonio Pengo
La premiazione
LE VITTIME DEL 1943
Nella biblioteca
“G. Bovio”, l’elenco delle vittime di guerra. In giallo la famiglia della signora Cosentino
Per questo episodio e altri, accaduti durante il periodo bellico, nel 1998 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro insignì la città adriatica della ‘Medaglia d’argento al valore Civile’. Nel documento ufficiale si legge: “Durante l’ultimo conflitto mondiale, aseguito di un bombardamento aereo che aveva provocato numerose vittime e danni, la popolazione interveniva prontamente in soccorso dei superstiti e si adoperava poi, con impavido spirito di sacrificio e pochi mezzi a disposizione, nell’instancabile opera di sgombero delle macerie e di ricostruzione. Uno splendido esempio di umana solidarietà ed alto spirito di abnegazione”. Sei anni dopo Domenica Consentino, dopo anni di lotte contro l’immobilismo dell’amministrazione comunale, riusci a far appore, sulla facciata di uno dei palazzi danneggiati dal bombardamento, una targa commemorativa coi nomi delle vittime del 27 aprile 1943.
UN MESTIERE NUOVO
L’ex segretario del Pd
Walter Veltroni seduto con la sua troupe durante le riprese del film
Ancora una volta due noti esponenti del pensiero di sinistra, l’ex politico Walter Veltroni e il regista Nanni Moretti, si incontrano attraverso il cinema.
In questi giorni nelle sale sono in programmazione due loro opere: “Quando” di Veltroni e “Il sol dell’avvenire” di Moretti che sarà in concorso alla prossima edizione del Festival di Cannes che dal 16 al 27 maggio. Questi due autori così diversi per carattere, mestiere e temperamento sono in realtà cresciuti nella stessa Roma sotto l’ombra
L’ex segretario del Partito democratico, Walter Veltroni, dopo essersi ritirato dalle scene politiche si è reinventato un mestiere: il cinema. In questo film “Quando” racconta la storia di un uomo, interpretato dall’attore comico Neri Marcorè, che si risveglia dopo 31 anni di coma in un mondo totalmente cambiato. Passa dall’avere 18 anni, fermo al giorno dell’incidente in piazza San Giovanni a Roma durante i funerali di Enrico Berlinguer nel 1984, ad averne 50 con al fianco una suora, Valeria Solarino, che lo accompagnerà al risveglio. Non c’è più il partito, né la sua ragazza di un tempo, ora moglie di un altro uomo. Il padre è morto, la madre soffre di demenza e tiene sempre tra le braccia lo zaino rosso del figlio 18enne, quello perduto a San Giovanni che contiene ancora il diario di allora. Per Veltroni questa pellicola non è un’operazione nostalgica, né sentimentale, né politica ma è solo speranza nel futuro .
della stessa bandiera. Le loro sono opere decisamente non paragonabili. La prima, quella di Veltroni, mossa da un evidente bisogno di memoria personale che utilizza un nome di richiamo, Enrico Berlinguer, segretario storico del Pc, ricordato appunto per il ‘Compromesso storico’ insieme ad un altro grande della storia della Repubblica italiana, Aldo Moro.
Tutto il film è quasi un album di fotografia con un filtro emotivo che non coinvolge lo spettatore, ma solo l’autore. Addirittura irrita perché utilizza un linguaggio da fiction di bassa qualità. Si perdona solo perché si sa che l’autore viene da un altro percorso lavorativo, ma si sperava nel suo colto occhio critico ed estetico che purtroppo qui resta bendato. Non c’è in questo film un solo momento che sia evocativo, allusivo, ellittico. Manca, infatti, una struttura solida che non può essere la sola scelta di un’idea affiancata ad un nome, quello di Enrico Berlinguer, che per la sua sobria sacralità ancora attira.
Diverso è sicuramente il film di Moretti. Originale e ironico racconta con quel tocco ‘sovversivo’ ancora una volta la contemporaneità. La sua e la nostra. Irriverente e divertente. Con la leggerezza di un adolescente ‘consapevole’ sorvola le strade della città in un monopattino che ha sostituito l’iconica Vespa del suo film cult “Caro Diario”.Forse con una fisicità meno elastica
Il regista Nanni Moretti in una nuova avventura in cui ripercorre tutto il suo cinema senza nostalgia a differenza di un Veltroni che non convince
ma con una vitalità negli occhi più leggera. Reduci come Paese da rocambolesche elezioni in cerca di ‘sinistra’, forse ritrovata nella nuova leader Elly Schlein, non si può non osservare che in questi autori resiste quella forza che ha portato la loro generazione a credere nella politica perché era ai loro occhi ‘partecipazione’. Quanto poi lo fosse veramente lo capiremo sempre di più dagli storici. Di certo si è trattato di qualcosa di molto forte nella loro esperienza di vita di formazione. Si pensi che sono passati 50 anni e ancora per loro è ieri. Non ancorati
nelle ideologie ma in un ripiegamento intimistico che purtroppo non salva neanche i sentimenti. Sfaldati in rapporti mai pienamente vissuti perché più preoccupati a trasgredirli che a risolverli. Forse questa è la loro vera contraddizione.
Una generazione così auto-analizzata da perdersi spesso nel proprio ego e non più in quelle grandi speranze collettive che tanti li ha fatti sognare e sperare in nuovo ‘Sol’.
Antonietta Pasanisi
NANNI
MORETTIIl regista Nanni Moretti in una scena del suo nuovo film “Il sol dell’avvenire” in cui brinda con Mathieu Amalric
Il regista Nanni Moretti sarà quest’anno in concorso con il film “Il Sol dell’Avvenire” alla 76° edizione del Festival di Cannes dal 16 al 27 maggio. Un’edizione che vedrà anche la partecipazione di grandi cineasti, quali Win Wenders, Martin Scorsese e Ken Loach.
Per Moretti è la sua nona presenza a Cannes, dove ha trionfato in passato con “Caro Diario” e con “La stanza del figlio”. Con questo ultimo lavoro, il regista romano racconta in una commedia irriverente la realizzazione di un film ambientato in un circo negli anni Cinquanta.
Tra gli italiani in concorso anche il maestro Marco Bellocchio che salirà la Croisette con il cast del film “Rapito”, racconto del rapimento del piccolo Edgardo Mortara, un bambino ebreo che nel 1858 fu prelevato dallo Stato Pontificio e tolto alla sua famiglia per essere cresciuto come cattolico. Trasferito a Roma, il bambino venne allevato secondo i precetti cristiani sotto la custodia di Pio IX, nonostante le richieste della famiglia per riaverlo indietro. La terza presenza italiana in concorso sarà Alice Rohrwacher, giovane regista di grande talento, che presenterà il film “Chimera”. La pellicola è ambientata negli anni Ottanta, nel mondo clandestino dei “tombaroli”. Il protagonista della storia è un giovane archeologo inglese coinvolto nel traffico clandestino di reperti archeologici.
“It’s me, Mario!”.
Quante volte abbiamo ascoltato questa frase pronunciata dall’idraulico paffutello e con i baffi più famoso al mondo? Ne è passato di tempo da quando, nel lontano 1981, la Nintendo (guidata dall’inventiva geniale di Shigeru Miyamoto) lanciava per la prima volta l’improbabile eroe in salopette nella sua prima avventura Arcade al fianco di Donkey Kong. Da allora sono passati più di 40 anni, costellati di successi. Dal Game boy color alla Nintendo Wii: cambiano le console, cambiano le dinamiche di gioco, ma lui, Mario, rimane un punto fermo assoluto del mondo videoludico.
PISTA ARCOBALENO
Tra i tanti riferimenti al mondo dei video gioghi c’è ovviamente la pista colorata: pietra miliare dei “Mario Kart”
E come poteva l’azienda giapponese più famosa per la produzione di videogiochi, non celebrare il suo prodotto più celebre (e soprattutto remunerativo), se non lanciandolo sul grande schermo con un film interamente dedicato a lui? Ed è così che dal 5 aprile 2023 è uscito nelle sale cinematografiche italiane il film che almeno quattro generazioni di videogiocatori stavano aspettando con trepidazione: Super Mario Bros – Il film. Uno spettacolo di luci, colori ed azione che avrebbe fatto certamente impallidire il vecchio (ed originale) Super Mario, che muoveva i primi passi in un mondo di cubi, funghi e gusci pixellati a fatica. Niente a che vedere con il primo disastroso tentativo di adattamento cinematografico di Super Mario del 1993. Questo film ha sicuramente
centrato il suo obiettivo: Essere un perfetto prodotto per i più piccoli fan dell’idraulico italiano, con una trama semplicissima (quasi ridotta all’osso) e con continui riferimenti alle più recenti versioni videoludiche di Super Mario. Ed allora eccoci catapultati a Brooklyn, dove Mario e suo fratello Luigi si sono trasferiti dall’Italia per cercare fortuna insieme a tutta la famiglia, cercando di avere successo come idraulici. Dopo pochi minuti, però, grazie alla scoperta di un magico tubo verde (un grande classico dei videogiochi di super Mario), Mario e Luigi saranno teletrasportati nel coloratissimo Regno dei Funghi messo in pericolo dall’imponente Bowser e dal suo esercito di Koopa (immancabili tartarughe verdi e rosse) pronti a portare distruzione se la Principessa Peach non dovesse accettare il matrimonio con il perfido Bowser.
Tutti i personaggi rappresentato lo stereotipo ideale dello schema della fiaba di Propp. C’è un antagonista, un’aiutante, una principessa o qualcuno da salvare e infine (ovviamente) l’eroe. Ed è nell’inversione dei ruoli di alcuni personaggi che il film sorprende tutti.
La bellissima Principessa Peach non è più un semplice premio. Non è più imprigionata in castello, passiva, in attesa che un eroe corra a salvarla. Tutt’altro. Lei è la vera e propria spalla di Mario. Eroina coraggiosa pronta a prendersi sulle spalle le sorti del suo Regno,
Il 5 aprile è arrivato nelle sale cinematografiche italiane il film sull’iconico personaggio della Nintendo: tanti i rimandi videoludici tra gusci e kart
addestrando prima l’eroe ad utilizzare i nuovi poteri derivanti da funghi e fiori magici, rifiutando le avance di Bowser e combattendo al fianco di Mario per liberare il suo Regno dalla minaccia.
Peach dunque ruba il ruolo di aiutante a Luigi, relegato invece ad un ruolo comprimario, incatenato dai cattivi in attesa di essere salvato. Una svolta dettata dai tempi e dalla voglia di sovvertire i soliti schemi, anche perché vedere la principessa indossare una tutina scintillante e sfrecciare su una moto sulla famosissima “pista arcobaleno” è certamente una delle parti più esaltanti dell’intero film. I riferimenti al mondo videoludico, ovviamente, sono molti. Gusci di tartarughe usati come armi, potenziamenti pronti a fuoriuscire da casse dorate e soprattutto tanto spazio ai famosi kart, con la scelta di riproporre fedelmente la ‘customizzazione’ delle vetture, così come avviene nei videogiochi. Una scelta che certamente strizza l’occhio ai fan, delusi però da alcune mancanze. Come gli yoshi, magici draghetti apparsi solo come veloce comparsa, o tante meccaniche presenti in vecchi e iconici giochi come Super Mario Sunshine per Gamecube. Nonostante queste mancanze, però, il film ha già fatto incassare la cifra di 677 milioni di dollari dopo soli due weekend dalla sua uscita. “Mamma mia!” direbbe Super Mario.
PEACHES, PEACHES...
La principessa, sovrana del ‘Regno dei Funghi’ è la vera sopresa del film: non più premio passivo ma vera protagonista
Harry Potter tornerà nella scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Ma è davvero un progetto necessario? L'ufficialità è arrivata qualche giorno fa durante l'evento di presentazione del nuovo servizio di streaming che nascerà dalla fusione di Hbo Max e Discovery+ dove è stato annunciato il raggiungimento di un accordo con l'autrice J.K. Rowling. La quale, oltretutto, sarà anche produttrice esecutiva e responsabile della supervisione creativa della serie tv in cantiere.
era tutta sull’ultimo film del franchise cinematografico di Animali Fantastici, spin-off di Harry Potter. Nel frattempo sono subentrate nuove dinamiche e le carte in tavola sono state rimescolate: il terzo film della saga, I segreti di Silente, ha deluso le aspettative al box office e intanto la Warner Bros. è stata venduta a Discovery.
Joanne Rowling è una scrittrice, sceneggiatrice e produttrice britannica, celebre per aver dato vita alla saga
Le polemiche
Al momento le informazioni sul nuovo progetto sono poche, se non che è pensata per essere un adattamento dei bestseller della Rowling e avrà sette stagioni, una per ogni libro della saga, che saranno trasmesse sulla piattaforma Hbo Max. Un vero e proprio reboot dei celeberrimi film con protagonisti Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint, che hanno accompagnato nelle sale migliaia di ragazzi di tutto il mondo dal 2001 al 2011. La possibile data di lancio della prima stagione potrebbe essere tra il 2025 e il 2026.
Le voci sull’intenzione della Warner di produrre una serie tv sul giovane mago più famoso di sempre giravano già da diverso tempo, da quando nel 2021 lo studio cercava contenuti da inserire sulla nuova piattaforma Hbo Max. Allora, però, l’attenzione
Con i libri tradotti in più di 80 lingue, oltre mezzo miliardo di copie vendute in tutto il mondo e un guadagno di 7.7 miliardi di dollari al box office, quella della Rowling è la terza saga con il maggior incasso di tutti i tempi e il franchise di Harry Potter è uno dei più remunerativi della Warner Bros. A lui sono dedicati parchi a tema, spettacoli teatrali, merchandising e il nuovo videogioco Hogwarts Legacy, che in pochissimo tempo ha riscosso grande successo. Eppure sul web non sono mancate le polemiche in merito all’eventuale realizzazione della serie tv: alcuni dei fan più affezionati temono, infatti, di poter incorrere in una delusione e che possa essere sacrificato lo spirito originale dei film. Alcuni dubbi riguardano soprattutto la scelta del cast, dal momento che non sarà semplice trovare nuovi attori che re-interpretino Harry Potter, Ron Weasley, Hermione Granger e tutti gli altri iconici personaggi della storia senza tradire gli originali. Secondo l'insider Jeff Sneider, il team
La valanga di polemiche che ha travolto la madrina di Harry Potter risale più o meno al 2018, quando J. K. Rowling ha iniziato a esporsi sulle questioni di genere e dei diritti trans. Nel 2019, poi, la scrittrice aveva espresso sostegno a Maya Forstater, ricercatrice britannica a cui non era stato rinnovato un contratto di lavoro dopo aver assunto posizioni ritenute discriminatorie nei confronti delle persone trans. A giugno 2020, invece, aveva twittato un commento relativo al titolo di un articolo («Creare un mondo post-Covid-19 più equo per le persone che hanno le mestruazioni») che aveva attirato una pioggia di critiche da parte degli utenti. Le polemiche, però, non arrivavano solo da attivisti transgender e lgbt+, ma anche da fan e rappresentanti del mondo dello spettacolo. Compresi gli attori dei film tratti dai suoi romanzi. «Le donne transgender sono donne», aveva detto Daniel Radcliffe. Critiche a cui si è aggiunta anche Emma Watson.
Controcorrente Ralph Fiennes, volto di Lord Voldemort: «Trovo questa epoca di accuse e il continuo bisogno di condannare semplicemente irrazionali». E tra disaccordi e tentativi di boicottaggio vari, tra i fan più fedeli c’è chi non ce l’ha fatta a rinunciare al proprio legame con il mago e ha voluto sottolineare che «Harry Potter non è J.K Rowling».
Arrivata la conferma ufficiale
di sviluppo vorrebbe cercare di mettere insieme un cast inclusivo (che novità!) con diverse persone di colore, anche tra gli sceneggiatori. Sempre Sneider avrebbe fatto intendere che il personaggio di Hermione Granger potrebbe essere interpretato da un'attrice di colore, così come accaduto nella rappresentazione teatrale Harry Potter e la maledizione dell'erede. Al momento, però, non c’è alcun nome che possa indicare chi avrà l’arduo compito di prendere il posto dei tre protagonisti. Recentemente, inoltre, la Rowling ha espresso posizioni controverse sul tema del gender e dei diritti, tanto che gli attori Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint si sono schierati contro di lei, al contrario di Helena Bonham Carter e Ralph Fiennes che l’hanno difesa.
Sempre in merito alla saga di Harry Potter, negli ultimi mesi si era parlato anche della realizzazione di un nono film, tratto da Harry Potter e la maledizione dell'erede, ovvero lo spettacolo teatrale scritto da J.K. Rowling, con Jack Thorne e John Tiffany, una sorta di ottava storia incentrata sulla vita da adulti di Harry, Ron ed Hermione. Su questo progetto, però, non è mai arrivata alcuna conferma. Incerto sembra essere anche il futuro della saga spin-off di Animali fantastici, che inizialmente prevedeva cinque film ma, dopo il flop del terzo capitolo, le indiscrezioni non fanno ben sperare.
I PROTAGONISTI
In basso, tre giovanissimi Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint sul set del primo film (2001)