La corsa di David

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Sport e tempo libero

La corsa di David Il diabete e una malformazione al cuore non l’hanno fermato: il ciclismo è diventato la sua medicina

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tto ore di lavoro in fabbrica, poi tuta, casco e via, in sella ad alle­ narsi. È così che David Panichi trascorre gran parte delle sue giornate. Un’esistenza dedicata interamente al lavoro come magazziniere alla Perugi­ na e allo sport; una vita che sembrereb­ be simile a quella di tanti altri sportivi, se non fosse che David è diabetico ed ha una malformazione car­ diaca dalla nascita. Fare sport nelle sue condizioni potrebbe sembrare pericolo­ so, per lui, invece, è diventata un’arma per combattere la patologia. «Mi hanno riscontrato il diabete nel marzo del 1997 dopo una settimana in vacanza sulla neve. Già in quei giorni avevo capito che qualcosa non andava. Ero sceso molto di peso, dovevo anda­ re spesso in bagno, avevo forti mal di testa e crisi di fame. Non immaginavo però che potesse trattarsi di diabete». Gli esami del sangue purtroppo non mentono; dopo analisi specifiche, David scopre di avere una forma congenita di diabete. Da quel momento la sua vita cambia notevolmente. Le visite dall’endocrino­ logo, dal nutrizionista diventano una costante fissa, come anche il continuo controllo dell’alimentazione, i test per mi­ surare la glicemia e le punture di insulina. «Ho iniziato subito a fare le iniezioni per stabilizzare i valori della glicemia – dice David – Ricordo ancora che per far­ mi la prima puntura ci ho messo mezz’o­ ra, poi col tempo mi sono abituato». Tre anni dopo il ciclista scopre di ave­ re una cardiopatia congenita. È il gen­ naio del 2000 quando subisce un’ope­ razione per riportare il cuore alla forma normale. «Avevo dei piccoli difetti che però non mi hanno impedito né di cre­ scere né di fare attività fisica. Non ho mai potuto praticare ciclismo a livello agonistico, ma comunque mi impegno molto in questo sport». Ed è stato proprio il ciclismo ad aiutar­ lo a conoscersi meglio e convivere con la sua patologia.

«Prima di scoprire che avevo il dia­ bete praticavo vari sport, ma quello che riusciva a mantenere valori glicemici abbastanza buoni era il ciclismo. Que­ sto sport mi ha aiutato a sfogarmi, a conoscere meglio il mio corpo e la mia patologia. Nell’ultimo tour che ho fatto sono arrivato a misurare la glicemia mentre andavo in bi­ cicletta, senza dover scendere». Sono molte le esperienze collezio­ nate da David negli ultimi anni. Nel 2005 ha partecipato alla «Tirreno – Adriatico» per ciclisti con diabete, una traversata di oltre 300 km in un solo giorno. Ma è nel 2006 che arriva per lui l’e­ sperienza più bella: un tour europeo, organizzato da Diabete Italia e Novo Nordisk, in cui 7 atleti con diabete han­ no attraversato in bici 7 nazioni europee in 7 giorni Da Perugia ad Haarlem, in Olanda, per portare «Il Manifesto dei diritti della

«Nell’ultimo tour misuravo la glicemia mentre andavo in bicicletta, senza scendere»

14 | 15 ottobre 2015

David Panichi durante un tour in bici sulle Dolomiti

persona con diabete» ad un convegno internazionale di specialisti della pato­ logia. Questo tour è stato il primo passo im­ portante per determinare una sorta di monitoraggio scientifico della prestazione fisica di atleti colpiti da diabete. «È stato il tour più bello al quale abbia mai partecipato ed ha portato a risultati notevoli. Alcuni di noi hanno abbassato l’insulina fino all’80%. Siamo stati seguiti da un team di psicologi e medici. Sen­ za il loro aiuto non avremmo mai potuto realizzare questa manifestazione. Non sempre si trovano specialisti disposti a seguirti costantemente per una settima­ na facendo più di 200 km al giorno». Per condividere con gli altri la sua esperienza, Panichi ha creato, nel 2012, un’associazione dal nome BiciCuoreDia­ bete per aiutare con lo sport le persone con diabete o con problemi cardiaci. «Abbiamo aperto progetti con scuole, strutture sanitarie ed enti interessati alle nostre idee. Organizziamo soprattutto campus per bambini. Li facciamo di­ vertire organizzando giochi e attività di gruppo che li educano allo sport. Il no­ stro obiettivo principale, però, è quello di insegnare ai più piccoli che anche le persone con patologie o disabilità de­ vono essere considerate normali e non devono essere mai isolate».

loReNZa sBRoMa


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