Fatti Amare Italia

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Cultura

Fatti Amare Italia

Le giornate di Primavera del FAI Dal Bosco di San Francesco a Palazzo Baldeschi, passando per Villa del Colle del Cardinale Ecco i tesori nascosti dell’Umbria di Davide Giuliani, Maria Giovanna La Porta e Lorenza Sbroma

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romuovere la cultura rispettando la natura, l’arte e la storia d’Italia per preservare il patrimonio in cui affondano le nostre radici e la nostra identità. È questa la missione del FAI (Fondo Ambiente Italiano), associazione senza scopo di lucro che dal 1975 salva, restaura e apre al pubblico decine di siti artistici e naturali presenti sul territorio italiano. Da diversi anni il FAI organizza alcune campagne rispettando la propria missione. Come le Giornate FAI di primavera, manifestazioni che dal 1992 offrono la possibilità di visitare beni italiani di interesse culturale e naturalistico normalmente chiusi al pubblico. Quest’anno, il 19 e 20 marzo, l’associazione ha riproposto questo evento. Chiese, ville, borghi, palazzi, aree archeologiche, castelli, giardini, archivi storici: sono oltre 900 i luoghi aperti con visite a contributo libero in tutta Italia; di questi 46 solo in Umbria. «Il bilancio delle Giornate di primavera di quest’anno è certamente positivo, grazie anche al caldo e ai tanti visitatori» ha affermato l’avvocato Ines Coaccioli, presidente della delegazione Umbria del FAI. «I dati sono ancora parziali, ma per ora l’Umbria ha avuto 23.550 visitatori; un vero successo se confrontato ai 19.000 dell’anno scorso. I luoghi più visti? Villa Colle del Cardinale con 5.500 ingressi registrati; Villa Morandi di Giuseppe a Terni, vicino alla cascata delle Marmore, con 2.000 visitatori; Palazzo Pongelli a Todi con 3.000 visitatori». A sorprendere è stata soprattutto la partecipazione dei giovani agli eventi, grazie anche alla costante collaborazione del FAI con scuole e università. Un ragazzo di un liceo di Orvieto ha composto una melodia al pianoforte dedicata alle giornate di primavera. Una sensibilità per l’ambiente e i beni culturali italiani che la presidente della delegazione umbra vede positivamente: «Il successo di questi eventi è dato dal fatto che le persone possono finalmente entrare in luoghi che durante l’anno sono sempre chiusi. Posti che raccontano la nostra storia, scrigni di bellezze. Il pubblico è stato magnifico: è stata una festa per tutti, perché tutti potevano apprezzare e scoprire dei beni della collettività».


Cultura

Fratello bosco

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essantaquattro ettari, oltre ottocento anni di storia, quattro chilometri di sentieri immersi nel verde; il tutto nel cuore di Assisi. È il Bosco di San Francesco, area che si estende ai piedi della Basilica e che, nelle intenzioni dei responsabili, costituisce «un vero e proprio cammino interiore» con un obiettivo preciso: «Scoprire il messaggio di perfetta armonia tra uomo e creato che il Poverello insegnò al mondo proprio a partire dai colli assisani». Aperto per la prima volta cinque anni fa, il Bosco venne donato da Intesa Sanpaolo al Fondo Ambiente Italiano nel 2008. E proprio il FAI è stato in prima linea negli interventi di restauro, che proseguono anche oggi: «Finora ci siamo occupati dei punti più importanti», spiega Luca Chiarini, Property manager del sito. «Per ultimare i lavori, però, occorreranno altri quindici anni». Tempi legati da un lato alla vastità dell’area e dall’altro alla tipologia dell’intervento. «Il restauro paesaggistico che stiamo eseguendo – prosegue Chiarini – necessita l’integrazione tra la parte più naturalistica e tutti gli insediamenti umani che nei secoli la hanno modificata, come nel nostro caso è successo con i sentieri». Il FAI, però, non è l’unico proprietario del parco; il primo tratto infatti, che si estende fino alle antiche mura medievali della città, appartiene ai frati del Sacro Convento. Una divisione che ricalca quella medievale esistita per anni tra i terreni dei francescani e quelli dei benedettini, che proprio a fondovalle

avevano il proprio monastero di Santa Croce. «Il rapporto tra i due diversi ordini è importante per comprendere la natura del Bosco», spiega Chiarini. I seguaci di Benedetto, fedeli alla regola ora et labora, coltivavano il terreno e lo sfruttavano per ottenerne legna da vendere; i francescani invece, in quanto ordine mendicante, vivevano di elemosina e non avevano questo approccio produttivo nei confronti della natura. «Essa aveva per loro un aspetto esclusivamente meditativo; permetteva di entrare in rapporto con Dio. Così, se i primi trasformavano il paesaggio con un’attività di taglio e di piantumazione, i secondi si lasciavano alle spalle un ambiente forestale molto vicino alla sua forma originaria e ricco di varietà arboree».

Oggi come allora, spiegano i volontari, la coltivazione del bosco ceduo si ha solo nella zona di diretta proprietà del FAI: «Abbiamo ricominciato la ciclicità dei tagli, così da avere un bosco abbastanza giovane, ma soprattutto molto curato. Allo stesso modo abbiamo oltre settecento piante di ulivo, grazie alle quali produciamo l’olio di San Francesco». Il Bosco, però, non si limita solo ai carpini, agli aceri e alle querce roverelle. Arrivati al monastero di Santa Croce, infatti, si scoprono la piccola chiesa originaria del XIII secolo, un mulino e i resti di un ospedale. Da qui, poi, si può intraprendere un secondo percorso a piedi che conduce al “Terzo Paradiso”,

«Il nostro obiettivo? Un cammino interiore verso l’armonia tra uomo e creato cara a Francesco» l’opera di Land Art firmata da Michelangelo Pistoletto: un’area percorribile di 3.000 metri quadrati con 160 ulivi che formano tre cerchi consecutivi. A spiegarne il significato è stato più volte lo stesso artista biellese: «Qui si ritrova l’armonia originaria tra uomo e natura, nata nel paradiso terrestre, il primo, e cancellata nel secondo – finto – paradiso fatto da piaceri artificiali, che caratterizza la società attuale». Una chiusura perfetta, quindi, per il messaggio che gli ideatori del Bosco vogliono trasmettere al pubblico.

Il Bosco di San Francesco, 64 ettari di natura ai piedi della Basilica di Assisi

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La villa delle delizie

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na collina baciata dal sole che domina la campagna perugina ai piedi del monte Tezio. Qui sorge villa Colle del Cardinale, una delle dimore storiche aperta al pubblico durante le Giornate di primavera organizzate dal FAI. Sono passati più di 430 anni da quando Fulvio della Corgna, nipote di papa Giulio III, commissionò all’architetto Galeazzo Alessi la costruzione della villa. Voluta in quel posto perché ventilato e quindi ideale per la villeggiatura estiva, lo scopo del cardinale era quello di creare un luogo di delizie, ossia un convivio per intellettuali e mecenati dove la mente potesse trovare riposo e ispirazione. La direttrice della villa Tiziana Biganti ci racconta che «i lavori terminarono nel 1575. Tuttavia nel 1582 Fulvio morì godendo poco di quella dimora tanto desiderata». La villa così vide susseguirsi altri proprietari: Fulvio, nipote del cardinale che nel 1631 la vendette ai Degli Oddi; nel 1893 fu acquistata da Ferdinando Cesaroni, figlio dello storico giardiniere che, dopo aver fatto fortuna con la costruzione delle ferrovie, tornò a Perugia e volle comprare la villa che gli ricordava l’infanzia. Negli anni Venti fu acquistata dall’avvocato Luigi Parodi il quale trasformò la sua dimora in un luogo di ritrovo per studiosi e uomini di cultura. Al Colle del Cardinale cominciarono a soggiornare intellettuali come Giuseppe Ungaretti e Vincenzo Cardarelli, oltre ad artisti come Amerigo Bartoli. È qui che, dopo la prima guerra

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mondiale, ebbero l’idea di fondare un voluti sei anni – dice la direttrice – per giornale letterario che portò alla realizriportare allo splendore di prima il sofzazione de “La Ronda”. È qui che Barfitto della sala la cui unicità è data da toli ebbe l’ispirazione per uno dei suoi un effetto ottico: i cassettoni sembrano dipinti più famosi “Gli amici del caffè”: scavati, in realtà sono dipinti con maeun’opera che ritrae quel gruppo di colti stria». In quel labirinto di stanze, anche e artisti in un bar di Roma, ma che erala camera da letto del cardinale e altre no soliti trovarsi alla villa del Cardinale. sale da ricevimento. Si scende poi nella Per successione la casa divenne poi dei cantina, dove l’umidità e il passare del Monaco Di Lapio i quali, non potendo tempo hanno rovinato le pareti. Pareti a sostenere più i costi di manutenzione, parte, la cucina è intatta: un tavolone al la misero in vendita. Dal 1996 è di procentro della stanza e al muro ancora le prietà dello Stato e, come dice Tiziana piastrelle con fiorellini azzurri. Biganti, «dal dicembre del 2014 è stata “Il futuro ha un cuore antico” diceva inserita tra i musei nazionali». Carlo Levi e chi meglio delle nuove geDal 1997 i lavonerazioni può avere ri di restauro sono a cuore il patrimonio continui, ma i soldi storico-culturale. pochi. Ecco perché Maria Elena «il contributo del Santagati è laureaFAI è indispensabita in Economia del le – spiega la diretturismo e, tornata in trice – se non fosse Italia dopo un dotper i suoi volontari, torato di ricerca in gestire questo paFrancia, nel 2013 trimonio sarebbe ha fondato FAI Gioimpensabile». vani. «Quando vivi Un parco di 13 all’estero – racconettari e una costruta – quello che hai zione di tre piani lasciato a casa lo di cui si possono apprezzi ancora di visitare solo il piapiù. L’Umbria ha Il soffitto restaurato della sala d’onore no nobile e la candelle ricchezze che tina. Durante la prima giornata del FAI è non tutti i suoi abitanti conoscono». stata riaperta la sala d’onore: sfarzoso L’obiettivo è quello di arrivare ad una salone principale della villa che, sopra maggiore consapevolezza di quello che la porta d’ingresso, ha un ritratto del rischiamo di perdere se non si fa qualcardinale Fulvio della Corgna. «Ci sono cosa per salvarlo.


Cultura

Il Seicento in pieno centro

Un interno di Palazzo Baldeschi

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ituato in un angolo di Piazza Cavallotti e oscurato dall’imponenza del Palazzo Vescovile di Perugia, Palazzo Baldeschi potrebbe apparire come un edificio qualunque. Ma ciò che questo grigio edificio storico nasconde, va ben oltre l’immaginazione di chiunque. Affreschi seicenteschi, lampadari di vetro di Murano, arredi di pregio perfettamente conservati e una quadreria che farebbe invidia a qualsiasi collezionista d’arte. Visitare il primo piano del Palazzo è come tornare indietro nel tempo per poi ripercorrere la storia di alcune delle più ricche famiglie perugine. La camera da letto, con una vista che

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affaccia sul ponte dell’acquedotto, conserva ancora un letto a baldacchino. Le porte nascoste e i passaggi segreti ci portano negli anni delle lotte fratricide e delle insurrezioni popolari, in cui tutte le case nobiliari avevano una via di fuga conosciuta solo da pochi membri della famiglia. La porta a muro più avvincente del palazzo è quella che si trova nella piccola cappella della famiglia: collegava la casa ad una torre che portava a una stradina secondaria della città. Ottima per far perdere in poco tempo le proprie tracce. Ora la porta è stata murata, ma le tracce di quella strana via di fuga sono ancora ben visibili nelle mura del palazzo.

Apprendisti Ciceroni

cuole elementari e medie, licei, istituti tecnici e università: le giornate di Primavera del FAI hanno coinvolto studenti e universitari di tutta Italia. Centinaia di ragazzi hanno accompagnato i visitatori dei beni culturali protetti dal FAI. «È bello sperimentare qualcosa che va oltre l’andare in giro per corso Vannucci perché ci sono dei posti bellissimi che ci rendono fieri di essere nati qui» dicono Sara ed Enrico (nella foto), due studenti del liceo scientifico

Galileo Galilei di Perugia. Insieme a una sessantina di compagni, senza alcuna imposizione da parte dei docenti, si sono trasformati in “Apprendisti Ciceroni”: guide turistiche per un giorno.

Le porte di questo piccolo museo, di norma, sono chiuse al pubblico, ma in occasione delle giornate di primavera del FAI, il Palazzo è stato visitato per la prima volta dagli iscritti del Fondo che tutela i beni artistici ed ambientali italiani. «Avremmo voluto estendere le visite a tutti, ma per accogliere un pubblico più vasto avremmo dovuto togliere le suppellettili e gli oggetti più delicati e sarebbe venuta meno l’essenza e la preziosità di questo appartamento» spiega Daniele Lupattelli, consigliere della fondazione Orintia Carletti Bonucci, che dal 1980 gestisce e si occupa della manutenzione di Palazzo Baldeschi. Il palazzo porta il nome della famiglia di giureconsulti che nel 1563 commissionò la costruzione dell’edificio. Con il passare degli anni però, è stato venduto a diverse casate nobiliari dell’epoca, fin quando, nel 1832, fu acquistato dalla famiglia Bonucci. Gli industriali e proprietari terrieri perugini ne sono stati proprietari fino alla morte di Mario, ultimo erede diretto. Fu egli stesso a destinare tutte le sue proprietà e i terreni ad una fondazione culturale intestata alla madre Orintia Carletti. «In moltissimi casi – spiega Lupattelli – le divisioni ereditarie hanno portato a dividere e sparpagliare il patrimonio di molte famiglie nobiliari. In questo caso invece l’appartamento è rimasto com’era una volta: con gli stessi quadri, gli stessi affreschi e gli stessi mobili che c’erano anche più di duecento anni fa».

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