L'Obiettivo - giugno 2015

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Giugno 2015

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iscrete, come battiti d’ali di farfalle di fine maggio, le voci delle studentesse e degli studenti del Liceo GP2, si librano nell’atmosfera incantata del ritrovato silenzio che avvolge il solitario campanile-minareto dell’ultimo tratto di via Umbria, sotto gli eburnei volti dell’ultimo Papa santo e del Metropolita. Parlano le ultimi voci del Liceo diocesano dei miti e delle storie di questa piccola penisola, fra i cui oliveti risuonarono lunghi barriti di elefanti epiroti fra nitriti atterriti di coorti di Roma. Ricordano il fascino delle onde che, inquiete, aguzzano le già irte scogliere d’oriente e portano agli occhi delle famiglie le tiepide sabbie rivolte a ponente. Son voci di attenti, ansiosi, studenti che curano il corpo non men delle menti; giochicchian coi numeri, traducono versi ellenici e latini e cercano il senso dei moti delle sfere celesti parlando di Tolomeo e dei suoi discendenti. Amano Hegel, non meno di Agostino, Tommaso non più di Severino, Piero della Francesca quanto Picasso ed il Foscolo non più di Montale.

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Il Salento rupestre di Vanessa Pellegrino - III Liceo

isulta sminuente ricordare il nostro Salento solo per le forme artistiche che influenzarono la nostra Lecce nel ‘600. Scendendo più a Sud, in quella terra che fu colonizzata dai Greci, ritroviamo pitture che appartengono ad un tempo lontano, in cui importante non era il messaggio che si voleva trasmettere all’osservatore o l’equilibrio formale dell’opera, bensì la pura e semplice rappresentazione di danze rituali, scene di caccia, simboli astratti ancora tutti da decifrare. Lungo i canali naturali siti nella baia di Leuca si aprono, infatti, numerose cavità artificiali, alcune delle quali presentano caratteristiche chiaramente associabili ad unità abitative. Tra queste, note ai più, sono la Grotta dei Cervi, difficilmente accessibile, e l’affascinante

Giochi e musiche dell’antico passato

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Le Ricette

La fiducia nelle famiglie degli studenti imporpora il cielo crepuscolare del Giovanni Paolo II.

Fabio Scrimitore - Preside

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Grotta Romanelli. Sono circa tremila i pittogrammi in ocra rossa e guano di pipistrello che decorano la Grotta dei Cervi a Porto Badisco, come numerose sono le composizioni lineari e geometriche presenti nella Grotta Romanelli, due tra i principali monumenti del Neolitico l’una e del Paleolitico l’altra in Europa. La Grotta dei Cervi è un complesso di cunicoli sotterranei collegati tra loro; al suo interno vi sono tre corridoi principali, lunghi circa 300 metri, che raggiungono una profondità di 26 metri sotto il livello del mare. Entrare non è semplice, richiede il passaggio attraverso strette aperture, ma una volta superate le asperità lo spettacolo che si apre di fronte agli occhi del visitatore è straordinario, soprattutto per la Continua a pag. 3

La lingua del cuore di Elisabetta Perrone - III Liceo

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n Italia esiste una grande varietà di dialetti che rappresentano delle vere e proprie lingue dotate di una propria grammatica e sintassi e che, nel corso dei secoli, sono state modellate ed elaborate con sostituzioni di vocaboli o cambiamenti fonetici. Questi linguaggi pittoreschi traggono le loro origini dalla lingua latina e, inizialmente, erano chiamati volgari (dal termine vulgus) per indicare le lingue parlate dal popolo. I dialetti variano da regione a regione, ed ogni area geografica ha una sua minoranza linguistica che appartiene esclusivamente ai suoi abitanti e che si diversifica anche a distanza di pochi chilometri; essi divengono l’idioma di interi popoli, pur non avendo usi ufficiali. Pertanto i cittadini di un paese si contraddistinguono non solo per le loro tradizioni, i loro usi e costumi, ma soprattutto per l’uso di un dialetto, che li lega sempre di più alla loro terra e alle loro radici d’origine. Il dialetto è definito lingua del cuore, esso penetra nelle anime conquistando ognuno di noi e restando nostro per sempre.


Il turismo nel Salento

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di Elena Leaci - V Ginnasio

ome ogni anno il Salento è la meta più gettonata dai turisti per le loro vacanze estive, infatti città come Otranto, Porto Cesareo, Torre Dell’ Orso e Gallipoli, sono anche quest’anno fra le scelte dei turisti i quali sembrano apprezzare sempre più le nostre terre. La stagione estiva si apre con il mese di giugno, il quale nonostante sia il primo mese d’estate vede le spiagge popolate da stranieri che incrementano il turismo nelle zone marine e nelle città d’arte. Si può dire però che nella terza parte della stagione, ossia dal 20 agosto al 20 settembre, il turismo arriva alle stelle grazie ai vari eventi tradizionali del Salento, fra i più importanti La Notte Della Taranta, un festival

in cui si esibiscono cantanti che uniscono musica popolare salentina ad altri tradizioni musicali, divertendo i presenti e suscitando in loro voglia di ballare. Gli ultimi giorni di agosto sono considerati Giorni Di Fuoco poiché i turisti e gli stessi salentini affollano la

varie spiagge rese ancora più belle dallo splendore del sole che fa brillare il mare e dalle elevate temperature. Sulle bocche dei turisti però si diffonde una lamentela che riguarda la mancanza di organizzazione nei servizi pubblici, il costo elevato delle bevande e del cibo, e la pulizia. Bisogna però tener altrettanto conto di tutti i commenti positivi che toccano questa terra, certamente di gran lunga più numerosi rispetto alle lamentele. Il Salento dunque resta nei cuori di tutti i suoi visitatori e come dice Alessandro Siani nel film Benvenuti Al Sud: Chi viene al sud piange due volte, quando arriva e quando se ne va.

La Grecìa Salentina di Marco Morciano - I Liceo

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in dalla notte dei tempi viaggiare è senza dubbio una delle esperienze, e delle attività, che l’uomo preferisce di più allo stare a casa. E’ bellissimo vedere nuove città, scoprire nuovi monumenti, osservare paesaggi sconosciuti e mozzafiato: insomma, il viaggio porta con sé tante novità ed emozioni e senza dubbio è un modo eccezionale per staccare dal quotidiano noioso e ripetitivo. A volte però noi salentini non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati, poiché per quanto ci riguarda non c’è bisogno di andare poi così lontano per trovare luoghi incantati, ricchi di storia, leggenda e meraviglia. Questo è il caso della Grecìa Salentina che stando alla definizione enciclopedica la si può definire come un’isola linguistica ellefona (infatti qui si parla il Grìko, o grecànico, un dialetto neo-greco) situata in provincia di Lecce, che comprende ben nove comuni (alcuni che hanno mantenuto l’antico grìko, come Calimera, Zollino, Martignano, altri meno) e che si trova sotto la tutela dell’UE. Ma in realtà è molto di più. La Grecìa Salentina rappresenta il nostro passato: i sapori e gli odori delle spezie arabe importate nel Medioevo, o ancora il rumore dei carri dei romani che portavano olio e vino alla Da: © www.rete.comuni-italiani.it Caput mundi, andando indietro nel tempo fino ad arrivare all’origine di questa terra nella lontana Grecia. Questa zona è veramente ricca di fascino, non solo per le sagre, gli eventi (come la Notte della Taranta) che rallegrano la vita come solo il sangue salentino sa fare, ma per le suggestioni che essa provoca anche attraverso questo antico dialetto che ancora riecheggia e ricorda in ogni caso la lingua di Eschilo ed Erodoto, per queste zone di natura incontaminata che riportano alla civiltà rurale del Medioevo fino ovviamente al calore che le persone emanano, simbolo di un’apertura della mente e del cuore. Insomma è bello viaggiare, scoprire cose nuove e vedere altri paesi, ma se abbiamo l’opportunità di rifarci gli occhi anche dietro l’angolo, perché non approfittarne?

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Continua dalla prima di copertina ricchezza di simboli pittografici e per la magnificenza dello spettacolo paesaggistico offerto dalla cavità che si staglia sul mar Adriatico. Essa prende il nome da incisioni presumibilmente raffiguranti scene di caccia al cervo. La Grotta Romanelli, a sua volta, fu abitata da uomini appartenenti a diverse ere e perciò è possibile classificare le incisione ritrovate all’interno in due principali periodi: uomini delle terre rosse e uomini delle terre brune. Nelle terre rosse di Grotta Romanelli furono rinvenuti strumenti di pietra attribuibili al Musteriano. Con il termine Musteriano si intende la cultura che nel Paleolitico medio si diffuse in tutta Europa. Autore ne è l’uomo di Neanderthal che si estinse all’inizio del Paleolitico superiore, lasciando il posto all’uomo moderno con il quale non ebbe scambi genetici. Nelle terre brune furono rinvenuti strumenti litici, ossei e pietre incise attribuibili al Romanelliano, che è un aspetto del Paleolitico superiore finale italiano. Oltre agli strumenti

vennero alla luce tre scheletri umani insieme ad altre ossa sparse. Con il Paleolitico superiore nacquero le prime manifestazioni artistiche eseguite dall’uomo moderno su oggetti o su pareti di grotte. I motivi rappresentati rimangono soprattutto animali con accanto altri segni. Alla fine del Paleolitico superiore divennero più rare le figure naturalistiche a vantaggio di disegni fatti di linee o di soggetti schematici come animali dal profilo sommario. Affascinante sarebbe poter osservare con gli occhi di chi quelle pitture le ha realizzate, come risultava essere il mondo, conoscere il perché di quelle prime incisioni fatte con minuzia, e inoltre capire cosa ha spinto gli speleologi a scavare negli ammassi di detriti depositati all’apertura delle cavità per tuffarsi nel passato dell’uomo.

IL SALENTO RUPESTRE di Vanessa Pellegrino - III Liceo

La baia di Torre dell’Orso

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di Luca Potì - I Liceo

crivere un articolo che tratti di una terra che, come il Salento, nel corso dei secoli è rimasta ai margini della storia dominante e ufficiale, non è impresa semplice. All’esigenza di rendere l’articolo interessante si accosta la difficoltà di reperire informazioni e quindi di rimanere quanto più possibile aderenti alla realtà storica, filtrando bene tutti i miti e le leggende che i nostri antenati hanno vissuto e hanno provato a lasciarci, vista la frammentarietà delle informazioni, che oggi possiamo sfruttare per cercare di capire le nostre origini. Torre dell’Orso è una località marina del Salento, sita nel comune di Melendugno, in provincia di Lecce. Per quanto riguarda il nome, gli storici hanno formulato principalmente due ipotesi, tenendo conto che sul territorio è presente una torre di avvistamento del XVI secolo. La più verosimile sarebbe da ricondurre al cognome Urso, quello del proprietario dell'agro circostante nell’antichità. Stando ad un'altra interpretazione, avendo le torri costiere nomi di santi come per esempio la vicina San Foca, il suo nome doveva essere Torre di Sant'Orsola, trasformato poi in Torre dell'Orso, dal momento che guardando la spiaggia, con la torre alla propria sinistra, si può notare una formazione rocciosa raffigurante il profilo di un orso con il muso e le orecchie ben definite. Ovviamente l’erosione sta facendo il suo corso. La spiaggia è nota nel mondo per la lunghezza di oltre 800m di finissima sabbia color argento, delimitata da due alte scogliere, alle spalle si trovano basse dune con una pineta creata dall’uomo nel periodo fascista per bonificare la zona. Il mare invece è particolarmente limpido per le correnti del Canale d'Otranto e nella zona sud dell'insenatura sfocia un corso d'acqua chiamato Brunese. Vi è una scogliera caratterizzata dalla presenza di una grotta dedicata a San Cristoforo nella quale sono stati rinvenuti antichi graffiti simili a quelli della grotta dei Cervi e della grotta Romanelli presenti nel nostro territorio. Nell'estremo sud della baia, a poca distanza dalla spiaggia, ci sono due faraglioni, vicini e simili, denominati Le due Sorelle. Secondo un’antica leggenda il nome deriva da due sorelle che un giorno decisero di sottrarsi alle fatiche quotidiane cercando di rilassarsi nel mare, tuffandosi da una rupe si trovarono però nel bel mezzo di una tempesta sottomarina vorticosa che le portò a morire annegate. Gli dei, per ricordare agli uomini che la scogliera era sacra, trasformarono i due corpi in due faraglioni. Grazie a tutte le caratteristiche possedute da questo territorio, d'estate l’attività principale è il turismo che produce una crescita costante soprattutto dal punto di vista economico, considerando che la località è frequentata da molti turisti e che da ormai quattro anni è premiata con la Bandiera Blu d'Europa e le Cinque vele di Legambiente. Per descrivere il territorio e specialmente Torre dell’Orso una poetessa contemporanea deceduta da pochi anni, Rina Durante, illustre cittadina di Melendugno, scriveva in una delle sue tante poesie intitolata Alla Mia Terra: Questo è l’eterno silenzio denso di rumori che nessuno ascolta, la quiete febbrile, animata di parole arcane, bisbigli del vento fra i picchi delle scogliere.

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Salviamo gli ulivi! di Marco Tafuro - I Liceo

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a Xylella la possiamo definire come: il tumore degli ulivi. “[...] è un batterio proveniente dalla California che mai era stato riscontrato in Europa e sembra che sia la prima volta che attacchi gli ulivi. Visto che le piante colpite da tale virus sono infette e potrebbero trasmettere velocemente la loro infezione, si era pensato di sradicare o bruciare tutti gli ulivi sospetti”1. È così che un articolo di giornale trovato su internet descrive la causa del dolore di tantissime persone salentine e non. Quante volte abbiamo passato interi pomeriggi a giocare tra gli ulivi, quante volte abbiamo ascoltato le storie di quando erano piccoli raccontate dai nostri nonni. Ecco, esistono alberi che sono stati protagonisti della nostra discendenza, qui nel Salento esistono alberi da un secolo prima della nascita di Dante Alighieri, esisto-

no alberi che sono stati piantati dai nostri antenati e che di generazione in generazione sono stati curati sino ad arrivare ad oggi... nel 2015! Questo patrimonio vitale, per noi salentini, viene sterminato, ma come dice un famoso cantante salentino, Albano Carrisi: la Puglia senza ulivi è come il Vaticano senza la Cappella Sistina. Ed è proprio così, gli ulivi sono la storia della Puglia, sono la sua memoria! Gli ulivi ci hanno visto crescere e continueranno a farlo e per salvarli c'è un rimedio che purtroppo è stato riscoperto dopo aver abbattuto già centinaia di alberi anche se, questo metodo, già si conosceva. E sono i nonni dei nostri nonni che lo utilizzavano per qualsiasi malessere che la pianta poteva avere, è una miscela di calce e solfato di rame, che cura perfettamente la pianta anche nelle imperfezioni che non sono malattia. Quindi salviamo gli ulivi! [...] Restiamo quindi fiduciosi che il terribile virus venga presto debellato e reso innocuo, almeno per gli ulivi intorno al territorio colpito, così potremo continuare a consumare con tranquillità il prezioso olio d’oliva pugliese1. ----------------------------------------------SITOGRAFIA CONSULTATA: 1www.vivaicantatore.com/un-terribile-virus-minaccia-gliulivi-salentini-bluff-o-epidemia/

La sacralità di Magliano

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ome tutti i paesini che si trovano nel Salento, anche Magliano ha una storia nella quale si intrecciano realtà e fantasia. La superstizione dei nostri antenati, infatti, non ha fatto altro che creare una tradizione che non si può scindere da eventi metafisici o religiosi, attribuendo tuttavia una parvenza di sacralità al paese stesso. Ancora oggi, come tre secoli fa, i Maglianesi con immutato amore e fede preparano la festa della loro Madre e si recano alla Cappella della Madonna dell’8 settembre per invocare aiuto e sollievo. La storia di questa Cappella è del tutto particolare: nella prima metà del Seicento, in campagna (precisamente in una località denominata Bosco), a circa un chilometro di distanza dal piccolo nucleo abitato, fu rinvenuta in maniera del tutto prodigiosa da un contadino un’antica immagine della Madonna col Bambino. Secondo la tradizione popolare, il contadino decise di portare l’immagine della Madonna nella parrocchia di Magliano, ma l’effige di Maria fu ritrovata nuovamente nello stesso posto; per questo motivo fu costruita una cappella nel luogo del rinvenimento, dedicata alla natività di Maria, proprio perché il ritrovamento del quadro avvenne l’8 settembre. In conseguenza di ciò Maria

di Raffaele Putignano - III Liceo SS. Bambina divenne la protettrice del Casale di Magliano. Le prime costruzioni della Cappella erano rivolte verso il piccolo centro urbano, ma la struttura crollò più volte lasciando tuttavia il quadro intatto sotto le macerie; dopo diversi tentativi si decise di rivolgere la cappella verso est per indicare la provenienza del quadro (si pensa infatti che l’antica immagine sia giunta volando da Costantinopoli e che appartenga alla Scuola Basiliana) e da allora la Cappella è rimasta sempre intatta, pronta ad accogliere i fedeli. La festività dell’8 settembre è preceduta, a partire dal 4 settembre, da un solenne triduo religioso nella chiesa parrocchiale: la sera del 7 settembre si porta in processione la statua della Madonna alla bella cappella della Natività, dove vi rimane esposta tutta la notte e il giorno successivo. Dopo l’arrivo è officiata una Messa solenne cantata a coro di popolo e nel corso della notte i fedeli, compresi i villeggianti e i forestieri, vegliano nella cappella, che per la circostanza non si chiude. Dal 1986 nel corso della stessa serata del 7 settembre, su iniziativa del parroco Don Vito Miglietta, dopo la messa si svolge, in una cornice suggestiva, la sagra della friseddhra ‘ncapunata. I numerosi visitatori, che affollano ogni anno la sagra campa-

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gnola, possono così ricevere senza eccezione alcuna un’abbondante porzione di frisa condita con odorosi e freschi prodotti mediterranei (insieme a rughetta, pomodori, capperi ed origano) e un bicchiere di vino rosso delle nostre contrade. Il tutto in modo assolutamente gratuito grazie alla generosità del popolo di Magliano. L’indomani, 8 settembre, tra le ore 16 e le 18 si svolgono nel piazzale antistante la cappelletta le gare sportive (corse coi sacchi, tiro alla fune, staffetta) che si chiudono dalla tradizionale cuccagna. Al tramonto, con una partecipazione devota e raccolta di fedeli, ha luogo la seconda processione col ritorno della statua della Madonna dalla Cappella della Natività al paese.


Le feste patronali: un patrimonio del Salento di Alessio Marenaci - V Ginnasio

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na sola cosa nel ricordo in bianco e nero, del più anziano abitante di un paese, rimane indelebile e marcata, un solo evento che non è la vita ordinaria, quella in bianco e nero di tutti i giorni, ma è quasi come una folgore che divide in due un momento rendendolo colorato: le feste patronali. Le Feste patronali nel Salento sono un capitolo a parte fra gli innumerevoli eventi che costellano il panorama culturale del nostro territorio. Un capitolo a parte perché segna l'unica forma di continuità fra il Salento che si è aperto al turismo nell'ultimo decennio ed il Salento apparentemente immobile e chiuso nelle proprie tradizioni. Queste, infatti, erano l'unico evento pubblico che puntualmente ricorreva in ogni paese o frazione, piccolo o grande, con enorme aspettativa da parte di tutti i cittadini, per dimostrare al Patrono l'immensa devozione e l'affetto, che iniziava un mese prima con la sistemazione di grandi e bianchi centrini lignei ricamati che nei giorni in cui si era solito festeggiarlo (solitamente a cavallo tra il sabato e il lunedì vivendo così tre giorni di festa) si illuminavano quasi come per magia di mille colori e forme, le luminarie, che ancora oggi trasformano ogni paese in un fantastico universo di luci e colori. All'inizio erano tremolanti fiammelle che si accendevano per devozioni alle finestre; oggi son diventate fantasmagoriche architetture. Dai lampioni, alle lampadine, ai led, la tecnologia supporta la fede e la tradizione si veste ogni anno dell'abito più nuovo e strabiliante che i maestri paratori possano allestire. In fatto di luminarie la capitale mondiale è Scorrano quando in luglio celebra la sua Santa Domenica. Un’altra particolarità, che riesce a trasmettere emozioni e fa rivivere la nostalgia dell’infanzia all’anziano che masticando nuceddhe, mustaccioli e la famosa cupeta, è la banda: la musica che cammina, meravigliosa e viva, la musica che si sposta, quella che accompagna il Santo o la Madonna nelle processioni e che la sera, nella cassarmonica tutta illuminata, suona le arie celebri delle opere liriche. Una tradizione quasi ormai scomparsa sono le cosiddette Fiere, che avvenivano in occasione dei suddetti eventi da sempre attesi, perché non essendoci negozi provvisti di tutto si poteva trovare ciò che serviva, dal vestito ai piatti e tanti altri prodotti mai visti prima, occasione per le donne di potersene vantare con le vicine di casa; per gli uomini, invece, era importante e attesa la fiera del bestiame o degli attrezzi per l’artigiano e il contadino. E come la folgore seguita dal tuono, ogni festa che si Foto di: © Salvatore Marcucci rispetti si conclude con tuoni sfrigolanti di fuochi d’artificio che si sparano la notte dell'ultimo giorno di festa, un tripudio di luci, colori e rumori in onore del patrono. Ormai i festeggiamenti legati a un Santo con il passare del tempo hanno perso tali significati, annullando le tradizioni, ma dal momento che la nostra Regione, in particolare il Salento, vanta un patrimonio enorme di tradizioni costituito in gran parte dalle feste patronali, non dobbiamo sottovalutarle ma difenderle perché sono un tesoro di antropologia culturale, troppe volte offeso, da tutelare e promuovere per riscoprire sia gli antichi e preziosi mestieri che le animano, sia la devozione e l’amore verso il Santo Patrono del paese. ----------------------------------------------SITOGRAFIA CONSIGLIATA: www.lacomunescle.blogspot.it

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Salento: terra di Leggende di Roberta Ferrari - II Liceo

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u Salentu: lu sule, lu mare e lu ientu. Questa è la scritta che campeggia su magliette, cappellini e gadgets vari che si vendono sulle nostre bancarelle e nei nostri negozi Salentomania, ed è uno slogan pubblicitario di grande effetto per una Terra veramente meravigliosa. Il Nostro Salento, nel quale è un vero privilegio sia nascere che vivere, è una porzione di Puglia ricca di richiami culturali, paesaggistici e anche di suggestioni magiche ispirate dai colori, dagli odori e soprattutto dalla presenza di un mare che in molti ci invidiano. Ed è proprio questo mare ad essere il protagonista, ma anche lo spettatore, delle innumerevoli leggende salentine che popolano la nostra tradizione. Il mare, infatti, insieme alle meraviglie che con la sua potenza cesella, fanno da potente filo conduttore di questi racconti fantastici. Come la leggenda della Grotta della Zinzulusa dove una fata, impietosita dalla vita fatta di stenti di una giovane orfana per colpa della crudeltà del padre, fa sgorgare acque provenienti direttamen-

te dagli inferi a formare il laghetto Cocito, nel quale fare sprofondare il padre snaturato per poi dare in sposa l’amorevole figlia ad un Principe. Si narra anche la storia della Sirena Leucàsia (dal greco leukòs, bianco) che vive in uno specchio di mare fra Castro e Santa Maria di Leuca e che con il suo canto armonioso strega i marinai. Un giorno si invaghisce di un giovane pastore di nome Melisso il quale però, troppo innamorato della sua donna (Aristula) non cede alle sue lusinghe. La sirena, accecata dalla rabbia, li fa cadere da uno scoglio e li uccide. Ma la dea Minerva, impietosita da questa struggente storia d'amore, pietrifica i corpi dei due amanti rendendoli eterni: Punta Melisso e Punta Risola da allora abbracciano questo specchio di mare. Minerva rende pietra anche la perfida sirena trasformandola nella bianca città di Leuca. Particolarmente poetici, poi, sono i racconti che hanno per protagonista Lu scazzamurieddu, folletto dispettoso emulo del monacello napoletano.

Tristissima, invece, la leggenda del pianto del bambino in cui una ragazza diventata madre senza essere sposata butta il frutto del peccato nel mare e lo uccide, salvo poi sentire (lei e tutta Capo di Leuca9 il pianto del bimbo tanto da farla impazzire fino ad uccidersi. Di miti e leggende (dal latino legenda cioè cose degne di essere lette) è ricca la memoria popolare di questo splendido lembo di terra e ciascuna di esse rende ancora più indimenticabile questo nostro Salento così ricco di ispirazioni per quegli animi gentili che siano in grado di coglierle.

Sogni di bellezza... Salentina di Angela Durante - II Liceo

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i chiedo se alla Bellezza si possa attribuire una valenza di assolutezza. Mi sovviene immediatamente il modo di dire non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, che ha in sé un’accezione di relatività fin troppo apparente. Si, ma mi viene anche da pensare a la Bellezza salverà il mondo che, al contrario, ha in sé un connotato di universale validità di non poco conto. Si fa persino un distinguo netto tra bellezza estetica e bellezza interiore, ambiti spinosi in cui, quando ci si impelaga, è difficile uscirne: dal secondo, soprattutto. Alla bellezza sono stati dati appellativi e attributi che nel tempo hanno determinato canoni e stereotipi dai quali poi non si è potuto prescindere per indicare fenotipi ormai standardizzati: bellezza nordica e bellezza mediterranea, alle quali l’immaginario collettivo fa corrispondere, rispettivamente, longilineità e diafania, morbidezza e colore. Ultimamente, sulla scia di pizzica e tarante, anche il Salento sta cercando di schizzare, sullo sfondo de lu mare irradiato da lu sule e increspato da lu ientu, tratti caratterizzanti una bellezza definibile come Salentina. Uno dei tentativi di stigmatizzazione in tal senso è stato fatto, di recente, dai pescatori di Porto Cesareo che hanno visto nelle belle forme dell’attrice Emanuela Arcuri la materializzazione della bellezza salentina: tentativo mandato letteralmente in pezzi dalle mogli degli stessi, che nelle fattezze dell’Arcuri non hanno ritrovato le proprie, certamente più ubertose, come direbbe qualche storico salentino antico, che scultoree come quelle dell’attrice. Tendenze dotte sono orientate verso il mito di Idrusa. La sua bellezza, fin dall’infanzia, è un miscuglio aromatico delle erbe di cui sono ricchi la macchia e gli orti: dal timo alla salvia, dal rosmarino alla menta, dal basilico all’origano, amalgamato col profumo pungente della salsedine nel vortice di vento, ora di scirocco ora di tramontana, che ne fa un’essenza unica e inimitabile che avvolge Lei, la Prima Alba del Mediterraneo, vestita dei colori sgargianti di corbezzolo e mirtillo. Ha grandi occhi neri, capelli lucidi e andatura fiera da far rimanere inchiodato sul lastrico qualunque uomo, autoctono o straniero, che la guardi. Alla domanda: Sangue greco o arabo? Idrusa risponde: Sangue otrantino come menta e petrosino, sangue forte e fiero. Grazia di forme, autenticità di stile, finezza d’animo… che Bellezza! A tutte le latitudini.

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Una secolare convivenza sul territorio: il culto greco-bizantino di Simone M. Politi - III Liceo

a presenza di antiche comunità greche a Lecce, alle quali si aggiunsero anche quelle albanesi, non desta certamente sorpresa: siamo a due passi dall’aria grecofona e a pochi chilometri da Otranto, una delle città rappresentative della Chiesa d’Oriente nel Salento. Verso la fine del secolo VIII, la Provincia Salentina era rimasta sotto il dominio greco sin da quando Carlo Magno aveva sconfitto i Longobardi. Nella mente degli imperatori orientali era persistente la seducente illusione di poter fondere in un’unica compagine etnica l’Oriente con l’Occidente; infatti ancora oggi viene data testimonianza di ciò da quanto si può leggere nell’editto emanato il 968 dall’imperatore Niceforo Foca, indirizzato a Policulo, Patriarca scismatico di Costantinopoli, con cui si ordinava l’elevazione della Chiesa d’Otranto a Metropoli e la celebrazione della liturgia secondo il rito greco: «Nicephorus Costantinopolitano Patriarchae praecepit ut Hydruntinam Ecclesiam in Archiepiscopatus honorem dilatet, nec permittat in omni Apulia seu Calabria latine amplius sed graece divina misteria celebrari». 1 Ma con la venuta dei principi Normanni, nel tempo trionfò definitivamente la Chiesa Romana mentre gli altri riti e culti furono semplicemente rispettati e tollerati perché i Normanni lasciarono alle diverse stirpi (Arabi, Longobardi e Greci) i loro particolari costumi, le istituzioni, gli usi ed anche gli ordinamenti amministrativi. L’unica trasformazione compiuta, più o meno vittoriosamente, fu di sottrarre tutte le chiese alla giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli. L’offensiva antigreca ebbe sotto Ruggero II (1128-1149), primo Re di Sicilia, un blocco e nei secoli

XIV e XV le conquiste dei Saraceni e dei Turchi accrebbero il numero dei Greci che, profughi dalle loro terre, cercarono in Italia un asilo sotto la protezione dei Pontefici Romani. Tali afflussi aumentarono dopo la caduta dell’impero di Costantinopoli (1453) e, dalla fine del 1400 e per tutto il Cinquecento, grazie alle spontanee e numerose concessioni di privilegi e di immunità da parte dei sovrani Aragonesi di Napoli e dell’imperatore Carlo V, si ebbero molteplici immigrazioni di Albanesi che poterono ricostruire chiese di rito greco e formare centri abitati dapprima nel tarantino, più tardi nel territorio di Brindisi e nella nostra Lecce, come testimonia la presenza di Vico degli Albanesi, attiguo alla piazzetta dell’attuale chiesa greca. Prima della costruzione di questo tempio, i Greci officiavano in una cappella che fu loro tolta dai PP. Gesuiti, giunti in città nel 1547, i quali sotto la guida di San Bernardino Realino ottennero dal Pontefice Gregorio XIII di poter edificare la chiesa ed il convento sul sito dove sorgevano la chiesa di S. Niccolò dei Greci e la chiesetta dell’Annunziata, innalzando così la Chiesa del Gesù, detta pure del Buon Consiglio. I Greci furono costretti a procurarsi un altro edificio e dopo aver vagato per diverse cappelle della città, anch’esse di rito greco, dedicate a S. Basilio, S. Giorgio e a S. Demetrio, finalmente si fermarono nell’attuale chiesa greca, che deve il nome di San Giovanni del Malato al fondatore, un certo Giovanni Battista, guarito miracolosamente da una grave e letale malattia. Tale chiesa, elevata a parrocchiale dal Vescovo di Lecce Mons. Annibale Saraceno, riebbe l’antico titolo di S. Niccolò dei Greci, con giurisdizione su tutti i Greci di Terra d’Otranto e sugli Albanesi che stanziavano nella nostra provincia.

1 «Niceforo

al Patriarca di Costantinopoli ordina di elevare la Chiesa d’Otranto a metropoli e di non consentire più che in tutta l’Apulia o la Calabria siano celebrati i misteri divini secondo il rito latino, ma secondo quello greco». Trad. a c. dell’autore.

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S. Niccolò dei Greci. Foto: © SMP

L’attuale chiesa, il cui prospetto ha sostituito quello antico del Cinquecento nel 1765 (data riportata sulla sommità del frontespizio, ricostruito su disegni di Francesco Palma, da Lazzaro Marsione, Lazzaro Lombardo e Vincenzo Carrozzo), ha una modesta facciata barocca a due ordini, quadripartita da paraste doriche; l’interno è ad una sola navata e ha l’unico altare basilicale poggiato su di una solea (piano leggermente elevato sul pavimento). L’Iconostasi (il diaframma che nelle chiese di rito bizantino divide lo spazio destinato al popolo orante dal presbiterio) è un’alta balaustra sorretta da colonne e nella quale si aprono tre porte: nel centro dello spazio delimitato dall’Iconostasi, detto Bema (o Vima), vi è l’altare per il sacrificio; a sinistra di questo l’altare destinato a luogo di preparazione del Divin Sacrificio (Prothesis); a destra il luogo detto Diakonikon, in cui si depositano i paramenti e le suppellettili per l’altare. L’Iconostasi è adorna di pitture cinquecentesche raffiguranti: S. Giovanni Battista, la Madonna del Soccorso, Gesù vestito da Sommo Sacerdote e S. Nicola di Mira. Sui battenti delle

tre porte si notano: S. Michele Arcangelo, S. Maria Maddalena con Cristo risorto, l’Arcangelo Gabriele, mirabili opere che riecheggiano lo stile raffaellesco. Nella parte alta, coronamento dell’Iconostasi, ci sono dodici quadretti raffiguranti gli Apostoli ed altri episodi della Nascita e Passione di Gesù Cristo. L’Iconostasi è sormontata da un Crocifisso dipinto su legno con ai lati due quadretti della Madonna e di S. Giovanni Battista. Sull’antico altare è dipinta su legno la SS. Trinità e sulla porticina del Tabernacolo la Vergine assisa in trono. Sul muro della Chiesa trova posto il quadro di S. Spiridione, dipinto su legno dal Sacerdote Demetrio Bogdano di Corfù, Parroco della stessa Chiesa, sul quale si leggono la firma e la data in lettere greche (4 dicembre 1775). Tutte queste pitture sono di stile neobizantino. Appare evidente, dunque, quanto interesse storico e quanto valore artistico abbia questa dimenticata Chiesa di S. Nicolò dei Greci, che fu il centro della liturgia greca in Terra d’Otranto. Ancora oggi, in questa chiesa parrocchiale, conosciuta anche sotto il nome di S. Nicola di Mira, si riunisce la comunità di rito grecobizantino, sotto la guida di Papas Nik Pace. Demetrio BOGDANO, S. Spiridione, 1775. Icona su legno. Lecce, Chiesa di S. Niccolò dei Greci. Foto: © SMP

L’ Iconostasi. Foto: © SMP BIBLIOGRAFIA CONSULTATA: - D. Guglielmo PALADINI, Guida storica ed artistica della città di Lecce: curiosità e documenti di toponomastica locale. Editrice salentina, Lecce 1952. - Mario DE MARCO e Pierluigi BOLOGNINI, Chiese di Lecce. Capone Editore, Cavallino 1994. - Fiorella CONGEDO, Guida di Lecce: La città, le chiese, i palazzi, il barocco. Congedo Editore, Galatina 1996.

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Da quante persone è composta la Sua comunità parrocchiale? Occorre precisare che le persone che frequentano questa parrocchia non sono esattamente quelle che appartengono a questa comunità, come succede più o meno in tutte le altre parrocchie, dove la parrocchia delimita un territorio. Per noi non è esattamente così! La nostra è una chiesa senza territorio, si dice chiesa con giurisdizione personale e vengono, quindi, persone anche dalla provincia di Brindisi, da Ugento, da Specchia, da Sternatia, come anche molti leccesi che non sono del rito ma lo amano. Quindi posso dire che le famiglie di effettiva appartenenza, dai registri che ho io, sono circa una sessantina, saranno quindi circa centocinquanta persone. Liturgia ortodossa o bizantina? La liturgia non è mai ortodossa! Ortodossa è la confessione. Per spiegare brevemente occorre distinguere tra i cristiani la confessione: ortodossa, cattolica e protestante. Le liturgie seguono invece le cinque antiche famiglie: la prima è la Gerosolimitana; la seconda l’Alessandrina; la terza l’Antiochena; la quarta la Costantinopolitana (detta Bizantina), la quinta, e ultima nata, la Latina (detta anche Romana). Poi ogni famiglia liturgica ha le sue ben conosciute diramazioni, per quella Latina infatti conosciamo le distinzioni tra i riti ambrosiani, gallicani, e così via... La maggioranza numerica degli ortodossi nel mondo segue ancora il tradizionale calendario giuliano per il computo delle feste. La liturgia bizantina, nel calendario liturgico, quali particolari date ricorda a differenza di quella latina? Essendo noi cattolici, ma soltanto con il rito bizantino, abbiamo in comune con il rito latino le feste centrali. Non cambiano il Natale e così anche la Pasqua, la Pentecoste, l’Ascensione, ma per tutte le altre feste c’è tutta un’altra disposizione, seguono un loro proprio ciclo. Questo non significa però che non possiamo rispettare le altre solenni liturgie, come per esempio il Corpus Domini. La Chiesa ortodossa non ha più inserito nei suoi calendari i santi

Particolare dell’Iconostasi: Gesù vestito da Sommo Sacerdote. Foto: © SMP canonizzati dalla Chiesa cattolica romana dopo il grande scisma del 1054, come mai? La Chiesa ortodossa è ferma al VII Concilio Ecumenico. È stato chiesto al papa, nel Concilio Vaticano II, di poterlo modificare per non rimanere arretrati, ma il Concilio ha dato parere negativo precisando che, qualora fosse stato modificato, bisognava ripristinarlo perché la Chiesa ortodossa è il segno del desiderio della comunione nella Chiesa. Da ciò, infatti, è nata la nostra vocazione come parrocchia di cattolici con rito bizantino. Vuol dire che, non avendo nel calendario S. Rita, S. Pio da Pietralcina o altri, non possiamo celebrarli in quanto non abbiamo materiale liturgico per fare la festa, ma questo non ne impedisce la partecipazione ai pellegrinaggi. Per poter inserire nuovi santi ci dev’essere un nuovo Concilio Ecumenico, dove tutta la Chiesa è rappresentata. Il Concilio Vaticano II, anche se c’era una rappresentanza degli ortodossi come uditori, è la Chiesa Cattolica che l’ha tenuto. Uno dei primi comportamenti che differenziano l'espressione devozionale di ortodossi e cattolici è il modo di farsi il segno della croce, come mai nella liturgia bizantina si compie il segno della croce in modo diverso? Come mai… Alcuni sostengono che l’imbroglio sia nato a causa di alcuni fedeli che, volendo imitare in maniera speculare il sacerdote, si facevano il segno della croce guardandolo. Senz’altro però il vero motivo è da ricercare nel modo di scrivere greco dove l’aggettivo

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precede il sostantivo. Quindi è una questione di lingua. La comunione, nella liturgia bizantina, è costituita da pezzetti di pane spezzato. A cosa è dovuta questa differenza e perché essa viene distribuita usando un cucchiaino? Su questo si è discusso molto! Traducendo tutta la discussione in poche parole possiamo dire che: Gesù sicuramente ha celebrato la Pasqua ebraica, lui celebrava quella lì e quindi utilizzava il pane azzimo! I primi cristiani si sono però posti il problema: Ma noi celebriamo la Pasqua ebraica? – rispondendosi – No, noi celebriamo la Pasqua di Gesù e non del passaggio del Mar Rosso. Quindi per differenziarsi dalla Pasqua degli ebrei, che fanno la Pasqua con il pane azzimo, hanno riflettuto su quello


qualsiasi ma è come se passassimo attraverso la sua morte per partecipare alla sua Resurrezione; il secondo significato è anche questo molto bello perché ci ricorda la tomba di Cristo. Se si va a Gerusalemme, all’edicola che racchiude la tomba del Signore bisogna inchinarsi perché la porta è piccola, e stretta, e quindi il passaggio sotto il Tafos porta alla mente del credente la tomba del Cristo. Quale significato hanno le uova colorate di rosso che vengono distribuite durante il giorno di Pasqua? L’uovo è il simbolo della pasqua ma è anche simbolo di vita perché noi deriviamo da Icona neobizantina un uovo fecondato. A Padi S. Giovanni Battista. squa l’uovo non rappresenta Foto: © SMP più quello della vita, cioè da cui siamo nati, ma rappreche il Signore aveva detto loro: Siasenta, ed è per questo che è rosso, te come il lievito nella pasta, siate il sangue di Cristo che con la sua voi il lievito della pasta. Sembra che morte ci ha fatto dono di una nuotutto questo discorso abbia portato va concezione di vita. Nella chiesa non ci sono statue, si poi a celebrare la Pasqua con il venerano solo icone, perché? pane lievitato. Ascoltando la controparte latina, che affermava: Noi I greci hanno inventato le statue, dobbiamo celebrare la Pasqua co- ne avevano tante nelle case e dapme l’ha celebrata Gesù. Non la Papertutto, però ne facevano degli squa di Gesù, cioè la Sua Resurrezioidoli quindi, nell’immaginario cristiane ma la Pasqua che ha celebrato no, guardare una statua Gesù. Volendo essere più precisi significava guardare un possiamo dire che: Gesù era Pane idolo, non un monumento. di Vita. Il pane degli Ebrei non era il Per un cristiano questa era pane della vita. Poiché Gesù si è una presenza idolatrica, fatto Pane di Vita noi dobbiamo quindi segno di paganesicelebrare la Pasqua di Gesù; il pane mo! Le icone, invece, subideve essere il nuovo pane di vita! scono tutta un’altra sorte La novità è Gesù, è Lui stesso il lievinella mentalità del cristiano to che ha fatto cambiare tutto! Nel che (se pur discende dalla rito bizantino la distribuzione avviementalità ebrea, quindi ne con il cucchiaino per il grande giudaica, che si basa sulla rispetto che si ha per il pane. Si cerlegge di Mosè secondo la ca di toccarlo il meno possibile con quale il Signore ha detto di le mani. non fare un’immagine di Durante il Venerdì Santo la liturgia sé), con la crisi iconoclasta, bizantina prevede un passaggio giustifica l’icona dicendo: Il importante che è quello di passare Signore lo abbiamo visto, sotto il Tafos (un baldacchino di leLui aveva l’effige umana! gno) dove è poggiato il corporale. Infatti le rappresentazioni Cosa simboleggia questo? del volto di Cristo si basano C’è tutta una discussione intorsull’immagine della S. Sinno: alcuni lo identificano come un done che veniva piegata, letto nuziale, altri come sepolcro. Il anticamente, in modo da fatto di passare sotto indica due lasciare soltanto visibile il cose: il primo è per ricordarci che volto. Tutto parte da lì! Evianche noi dovremo passare attradentemente è un volto coverso la morte, come ha fatto Crinosciutissimo. Sul Sinai absto. Quindi, passando sotto il Tafos, biamo icone antichissime, non passiamo sotto una persona c’è proprio un’icona dove il

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volto di Cristo corrisponde a quello della Sindone, con un occhio tumefatto. Da lì i Padri hanno detto: Noi non facciamo nessun errore contro il principio che il suo volto non dev’essere raffigurato, perché il culto che noi diamo all’immagine non è più rivolto ad essa ma a quello che l’immagine ci ricorda. Non sono delle cose sacre le immagini ma dei sacramentali cioè ci aiutano solo a ricordare le immagini di Colui che è rappresentato. Quali sono i libri liturgici utilizzati nel rito bizantino? Ci sono dei libri molto affini alla liturgia latina, i principali più utilizzati sono: lo Ieratikon, dove si trova il culto del Divin Sacrificio (= Messale). Il libro delle letture, l’Epistolario con l’Apòstolos, con i riferimenti per quando si leggono, diviso per settimane e domeniche (= Lezionario) con la sola eccezione che le letture sono raccolte tutte insieme. Vi è una sola lettura durante la liturgia perché la lettura dell’Antico Testamento si legge al vespro. Lo Iasmatarion (= Benedizionario), diviso in quattro volumi, per le varie benedizioni (delle acque, della pioggia, del grano). Infine l’Orologhion dove ci sono la liturgia delle ore e poi l’Evangelario che rimane fisso sull’altare.

Particolare dell’altare dietro all’Iconostasi. Foto: © SMP


Lo sport: dal mondo al Salento di Samuele Mancarella - I Liceo

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arei mille libri per poter correre veloce come te. È questa una famosa frase di Shakespeare che meglio si presta per introdurre uno dei temi più interessanti ricorrente tra noi ragazzi: lo sport. Questa parola non si ferma ad un semplice significato letterale, bensì implica uno stile di vita, un modello educativo, una terapia fisica e psicologica, un hobby, un impegno, un lavoro… Tutte queste qualificazioni sono diverse ma tutte valide, perché lo sport assume significati diversi a seconda di come noi lo facciamo nostro nella nostra vita. Fin dall’antichità si aveva una nobile visone di quest’arte, se così possiamo chiamarla, e aveva diverse sfumature o interpretazioni da luogo a luogo. È questo che a lungo andare ha decretato le diverse specialità sportive nel mondo, facendo così nascere attività molto distinte ma allo stesso tempo incredibilmente affini. Nello sport si cerca di educare ad una formazione fisica, che viene però coordinata al di sopra di tutto dalla mente. Diversi popoli ancora oggi vivono per lo sport, rendendolo uno degli obbiettivi basilari nella loro vita. Da noi questa concezione culturale è nettamente minore ma non per questo del tutto assente. Anzi può essere gratificante ed interessante notare quanti giovani ragazzi oggi si fanno un nome o si fanno strada grazie alla loro specialità sportiva. Anche nello stesso Salento possiamo trovare molti atleti emergenti che rappresentano con onore la nostra terra. Possiamo iniziare col parlare di Giacomo Maritati, atleta di Tricase che ha fatto parlare di lui fino in Canada, dove ha partecipato ad una sbalorditiva gara di discipline miste, il Triathlon, che prevedeva l’esecuzione di quasi due chilometri di nuoto, novanta di bicicletta e ventuno di corsa. Anche nel judo si è parlato di Salento, grazie a quattro atleti di Campi che hanno conquistato le fasi finali del campionato italiano. Ed ancora, anche nell’ambito della pesistica, sei ragazzi di Copertino ci hanno rappresentato conquistando il Da: © www.uslecce.it podio in un confronto di livello nazionale. Si può arrivare a parlare di calcio, dove possiamo degnamente nominare il nostro CT in carica della Nazionale, Antonio Conte, di Lecce, e allo stesso modo anche il famoso calciatore Graziano Pellè, giocatore del Southampton. Altro rappresentante nell’Italia del nostro territorio è Fabrizio Miccoli, di San Donato. Sarebbe inutile ora continuare a nominare altri esponenti della sportività salentina, poiché sarebbero tanti ancora gli esempi da fare, l’importante è capire quanto una regione piccola come la nostra possa essere valorizzata anche nello sport grazie a persone che con infinita forza di volontà compiono un’arte antichissima e sempre nuova.

Un tuffo nel passato... itinerario tra i musei cittadini a cura di Simone M. Politi - III Liceo

 In viale Gallipoli si trova il Museo

provinciale di Lecce che porta il nome del suo fondatore, Sigismondo Castromediano duca di Cavallino nel XIX sec. La sua sezione archeologica da al visitatore la possibilità di farsi un’idea delle evoluzioni storiche del Salento, partendo dal Paleolitico e dai ritrovamenti dell’età del ferro. Ci si può avventurare tra materiale archeologico proveniente da Rudiae, siti messapici salentini e da altre località della Puglia. Vi sono anche sculture (tra cui una testa di Efebo), una raccolta numismatica e numerose epigrafi provenienti da Rudiae, Aletium (Alezio), Porto Cesareo, Lecce, oltre a splendide testimonianze della Magna Grecia tra cui i tipici vasi e le coppe di Egnazia.

 Nel cuore di Lecce antica, in via

Nei

capannoni dell’ex officina Squadra Rialzo è possibile respirare aria di viaggi e immaginare la gioventù dei nonni. È qui, infatti, che sorge il Museo Ferroviario nato un po’ in sordina nel 1997 grazie al lavoro paziente e pionieristico dei membri di un’associazione, che nel corso di 18 anni in una raccolta unica in Italia ha riunito materiale, mobile e fisso delle varie reti ferroviarie presenti sul territorio regionale, dalle Ferrovie dello Stato alle Ferrovie del Sud-Est, dalle Ferrovie Appulo Lucane alle Ferrovie Garganiche, alla Ferrotramviariaria, ed alcuni carri e carrozze storici tra cui due carrozze a terrazzini e diversi carri a cassa in legno di inizio secolo.

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degli Ammirati, è visitabile il museo che custodisce ciò che è venuto alla luce durante il restauro del Teatro Romano, scoperto per caso nel 1929. Esso è gestito dalla Fondazione Memmo ed è stato allestito in un’aula del prestigioso palazzo del Seicento appartenuto alla famiglia Romano, dal cui piano interrato si può accedere direttamente alla scena del teatro. Nelle sale del museo si possono ammirare le sculture in marmo che un tempo ne ornavano il frontescena, da una testa di Asclepio alle statue di Athena, Artemide, Ares ed Eracle a quella dell’imperatore Augusto.


I giochi dell’infanzia di Paola Contaldo - III Liceo

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nticamente, passeggiando per le strade, si potevano ammirare fanciulli che con allegria e spensieratezza si divertivano insieme con svariati giochi: la mosca cieca, il giro giro tondo, lu trenu, piatti crandi, piatti piccicchi e tanti altri ancora. Molto spesso erano i bambini stessi che, con materiali semplici e di scarso valore, davano sfogo alla loro fantasia, costruendo carrettini costituiti di pale di ficodindia, aquiloni di carta, fucili con mollette per biancheria ed elastici di camera d’aria. Tutti questi giocattoli, fabbricati con sapienza artigianale e con straordinarie capacità manuali, traevano origine da una lunga tradizione iniziata con cinque sassolini o con la trottola con la quale giocavano i fanciulli dell’antica Grecia. Trascorrevano insieme interi pomeriggi e lunghe serate a Da: © www.partecipiamo.it divertirsi con tutte VITO MAURO, Orme del tempo – I Giochi. queste cose semplici e, quando giungeva l’ora di tornare a casa per la cena, lasciavano i giochi e gli amici a malincuore. Nel mondo odierno tutto questo non esiste più e i fanciulli non amano giocare per strada, ma preferiscono restarsene rinchiusi in casa sopraffatti dalla tecnologia che oramai ha fatto venir meno ogni forma di valore morale. Tale progresso tecnologico isola dal mondo, portando l'individuo ad estraniarsi ed evitare ogni sorta di Illustrazione a cura di ROBERTO LEMMI da contatto con l'esterno. I fanciulli, purtroppo, sono stati investiti da MASCAGNI OLGA, Fonte gaia: Letture per la quarta classe ele-

questa ondata di modernizzazione e ciò che conta per loro è avere mentare, Franceschini, Firenze, 1949, p. 207. sempre a disposizione uno smartphone o una playstation, piuttosto che uscire in strada a trascorrere un pomeriggio in allegria con i propri amici. Tra i diversi giochi praticati nell’antichità molto interessante era la mosca cieca che prevedeva, per prima cosa, la scelta di un bambino che veniva bendato con un fazzoletto e poi guidato al centro di tutti gli altri giocatori; i partecipanti, tenendosi per mano, facevano un girotondo attorno a lui e cantavano una canzoncina o una filastrocca. Quando il bambino, che si trovava al centro stabiliva che tutti gli altri si fermassero, puntava il dito verso uno dei giocatori il quale doveva entrare nel cerchio lasciando il girotondo. La mosca cieca allora cercava di prendere il prescelto e, dopo esser riuscita nell'intento, doveva riconoscerlo dalle fattezze del volto e dalle risposte date ad alcune domande. Tuttavia il gioco non terminava con dei vincitori e dei vinti, perché l’importante era stare insieme e divertirsi spensieratamente senza alcun conflitto né dispiaceri tra i bambini. Come diceva Sigmund Freud: “Il contrario del gioco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale!”

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L’uomo: animale musicale di Riccardo Distante - II Liceo

li strumenti musicali, e anche artica di intrattenimento. gianali, svolgevano nei piccoli Questa funzione era svolta, invece, da paesi del Salento un ruolo assai altri strumenti ricavati da umili mezzi quali: l’organettu ottenuto da un pettine e della importante fino agli anni Settanta carta velina sovrapposta, la cupa-cupa del Novecento. Uno di questi era la trozzula, uno struottenuta da una brocca con un panno legato e una cannuccia bagnata, la cimmento di legno che, agitato, emetteva barra ricavata da un fusto d’erba, mentre dei suoni. Durante la Settimana Santa, le chitarre erano costruite a partire dai quando le campane non potevano suoresidui del lavoro del ttaccascupe (colui nare, i ragazzini giravano per le strade del paese per segnalare alla comunità l’inizio che fabbricava le scope di saggina). delle funzioni religiose. Le famiglie attendeLa nostra era quindi una musica povera vano con attenzione il passaggio delle per i poveri e che obbediva alle diverse trozzule. La vita era perciò ritmata da tale esigenze della cultura scandendo la vita suono non per tutti piacevole, sia perché dei contadi. significava l’interruzione del lavoro e dei Gli strumenti musicali sono testimonianze possibili guadagni, sia per il suono, in attive e vibranti del nostro passato e, Illustrazione a cura di LUIGI CANNONE da sé poco armonioso. D’altra parte la SALVATORE IMPERIALE e ANTONIO RESTA, non a caso, lo stesso Platone aveva loro funzione era quella di richiamare Sciucamu a tuddi, guida ai giochi tradizionali riconosciuto: Se volete conoscere un popolo, dovete ascoltare la sua musica. l’attenzione e non certo di fare musisalentini. Ed. Grifo, Manduria, 2015, p. 109.

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“C’era una volta” in Salento

di Lugi Lazzari - I Liceo

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eggere una fiaba ai bambini è fin da sempre un modo per insegnare loro la lealtà, la speranza e la bontà, è un modo per far capire che se ci si impegna davvero e se si crede ai sogni si può farli diventare realtà. Certo, se questi racconti sono anche in dialetto salentino si insegna anche un'altra cosa ai bambini: che le nostre radici non vanno dimenticate! E’ quello che capita più spesso: si valorizzano le fiabe dei fratelli Grimm, le favole di J. de La Fontaine e le filastrocche di Edgar Allan Poe, ma non si guarda mai ai grandi scrittori che nella nostra verde terra e con la nostra lingua colorita e vivace hanno voluto insegnare ai fanciulli le buone maniere e la felicità come gli antichi. Sicuramente non avremo castelli incantati vicino Parigi, né paesaggi tropicali o esotici, né principesse con scarpette di cristallo, però entreremo in quella cultura popolare che forse fa sognare di meno ma che sicuramente insegna di più. Quante volte ci è capitato di non saper rendere un concetto se non con un detto della nonna? Quante volte abbiamo commentato un avvenimento in un modo che solo il salentino sa fare? Ecco, queste sono le radici: sono quel marchio di fabbrica, quella cosa in più, quella ciliegina sulla torta che rende tutto più simpatico e più veritiero, che ci fa capire da dove veniamo e dove andiamo e che dovunque saremo comunque avremo in noi sempre quello che ci distingue da qualcun altro. “Lu purpu se co- Da: © www.shutterstock.com ce ‘ntra l’acqua sua stessa”, “Se mangi sulu te ‘nfuechi”, “Ci tene e dàe a ‘n paraisu àe’” … e tanti altri sono esempi di come una cultura popolare, con riferimenti ad animali e comunque al mondo culinario e sicuramente poco letterario, possa insegnare nel suo piccolo grandi cose e farci capire con la sua modestia e ingenuità il vero significato della vita e gli aspetti più salaci di questa. Per concludere una storia è sempre una storia, un detto è sempre un detto, ma se distinguiamo qualcosa di nostro in queste frasi le faremo vivere e capiremo quanto sia bello appartenere alla realtà letteraria locale.

Dove la musica e la danza incontrano la scherma...

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di M. Concetta De Matteis e Stefano Rizzo - III e II Liceo

a bellezza delle tradizioni consiste nel portarci molto indietro nel tempo e permetterci di sentire ancora l’eco di un antico passato che altrimenti non potrebbe più ritornare. Tutti i salentini conoscono la pizzica e almeno una volta si sono lasciati trasportare dal ritmo incalzante di un tamburello. Probabilmente, però, non tutti sanno dell’esistenza di una pizzica che unisce la bellezza della musica e il coinvolgimento della danza alle battute di un combattimento. Si tratta della pizzica-scherma, erroneamente nota come Danza delle Spade. Secondo un’antica leggenda la pizzica-scherma si balla in occasione della festa di San Rocco perché il Santo, valoroso cavaliere vissuto nel XIV secolo, durante il suo periodo di prigionia avrebbe insegnato ai compagni di cella l’arte della spada. Ancora oggi, la vigilia della festa del Santo, la notte tra il 15 e il 16 agosto, nella località di Torrepaduli è possibile assistere fino all’alba a simbolici duelli tra coppie di ballerini. Gli sfidanti duellano al ritmo di tamburelli, nacchere, fisarmoniche e armoniche a bocca suonati dai musicisti che si dispongono in cerchio (ronda). Così finte e affondi, caratteristici della scherma odierna, vengono trasformati in particolari coreografie in cui però le spade, protagoniste degli antichi duelli, vengono sostituite da semplici gesti delle braccia che aiutano a mimare meglio il duello. La danza-scherma si conclude sempre con un inchino tra gli avversari, a differenza della scherma a livello sportivo in cui si rivolge il saluto indirizzando la Da: © www.kalitreviso.com punta della spada verso l’avversario, la giuria e il pubblico. Così un nuovo sfidante prende il posto dello sconfitto e la danza continua fino all’alba.

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Tre Ricette Salentine : sapori e gusti inconfondibili... a cura di Carla M. De Sicot - III Liceo

Li Purceddhruzzi Ingredienti per circa 1,5 kg: - 1 kg di farina 00 - 150 cc di olio d’oliva - 150 cc circa di vino bianco secco - 50 cc di alcol o liquore d’anice - 60 gr di zucchero - 1/2 cucchiaino di cannella in polvere - 1 bustina di lievito per dolci - succo e un po’ di scorza di 1 arancia - 1 limone - 1 mandarino - sale - olio per friggere (200 gr circa) - miele - cioccolato fondente grattugiato - pinoli - anicini Preparazione: Far sfumare l’olio con una fettina di scorza di arancia, limone e mandarino. Far intiepidire. Sulla spianatoia disporre la farina a fontana, aggiungere lo zucchero, la cannella, il lievito, un pizzico di sale, mescolare, aggiungere l’olio e il succo degli agrumi. Impastare aggiungendo man mano vino bianco e/o liquore fino a ottenere un impasto morbido e omogeneo. Impastare molto a lungo e poi, quando si è finito di impastare, impastare di nuovo! È questo il segreto fondamentale per la buona riuscita del piatto. Lasciar riposare una 1/2 ora. Dall’impasto ricavare rotolini grossi come una matita, tagliarli a pezzetti di circa 1 cm. Friggerli in olio a calore moderato finché avranno assunto un colore dorato, scolarli e passarli su carta assorbente. Scaldare il miele e tuffarvi i purceddhruzzi mescolando molto delicatamente. Dopo un po’ toglierli con una schiumarola e sistemarli su un piatto di portata creando una sorta di cupola. Cospargere con pinoli tostati, anicini e cioccolato grattugiato. Si potranno anche comporre a forma di ciambella attorno a un bicchiere che poi andrà tolto.

Lu Purpu alla Pignata La Pignata è un’antica pentola in terracotta, ancora molto diffusa nel Salento. Ingredienti : un polpo fresco pomodori maturi due cucchiai di olio d’oliva uno spicchio di aglio pepe nero in grani due foglie di alloro prezzemolo peperoncino un mezzo bicchiere di acqua Preparazione: Pulire il polpo e tagliarlo a tocchetti, più o meno della stessa dimensione. In una pentola mettere l’acqua con l’olio, l’aglio, il prezzemolo, l’alloro, il pepe in grani e portare a bollore. A questo punto aggiungere i pomodori tagliati a cubetti e il peperoncino. Dopo dieci minuti, aggiungere i pezzetti di polpo e proseguire la cottura. Per rendere il sughetto più colorito si può aggiungere un po’ di concentrato di pomodoro. Non sarà necessario aggiungere ulteriore acqua, in quanto il polpo butterà fuori il suo liquido. Per questo non dovrebbe essere necessario neppure aggiungere il sale, ma è bene verificare secondo il proprio gusto... Cuocere per almeno un’ora, o comunque fino a quando il sughetto non si sarà ristretto e il polpo diventerà tenero. Quasi a fine cottura aggiungere ancora prezzemolo.

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Il terzo liceo, che tra qualche settimana finirà l’avventura in questa scuola, saluta tutta la comunità del GP2, sapendo che porterà sempre in una valigia virtuale tutte le esperienze, tutta la conoscenza, gli incontri e i volti ricordando nel tempo il cammino compiuto insieme.

Il Pasticciotto Leccese Ingredienti per la pasta frolla: 500 g. di farina 200 g. di burro 1 bustina di vanillina 2 cucchiaini di lievito 150 g. di zucchero 3 uova

Ingredienti per la crema: 3 tuorli d’uovo 200 g. di zucchero 100 g. di farina 1 bustina di vanillina 650 ml di latte mezzo limone

Preparazione: Iniziare con la preparazione della pasta frolla: sulla spianatoia disporre la farina a fontana, aggiungere lo zucchero, la vanillina, il lievito e al centro il burro. Impastare aggiungendo le uova. Una volta ottenuto l’impasto lasciare riposare 10 minuti ricoperto da un canovaccio. Preparare la crema scaldando il latte, mentre in una scodella fare un composto con i tre tuorli d’uovo, con lo zucchero, la farina e la bustina di vanillina. Versare il composto nel latte e con una frusta girare finché questo non sarà cremoso. Mescolare la crema con il mezzo limone, per un aroma particolare. Adagiare mezza pasta frolla in una teglia e versare la crema, ricoprendola poi con l’altra metà dell’impasto. Infine spalmare la superficie con l’albume d’uovo. Infornare per 30 minuti a 20 gradi.

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Mi risveglio di Vanessa Pellegrino - III Liceo Mi risveglio da un lungo torpore che non mi ha lasciato godere paesaggi incantati e inebrianti profumi. Mi risveglio dal sonno, colui che ristora l’animo e fa assaporare le flebili cantilene.

LICEO GINNASIO “GIOVANNI PAOLO II” Via Umbria, snc - 73100 Lecce Tel-Fax 0832-1810102 Email: liceoclassicogp2@libero.it Sito: www.liceoclassicogp2.it ************** DIRETTORE

Mi risveglio felice, sicura che il bel vento farà lentamente ondeggiare le mie membra. Mi risveglio dal cupo inverno per poterti ammirare Salento con i tuoi borghi baroccheggianti e i tuoi ulivi sempreverdi.

Dott. Fabio Scrimitore - Preside VICE DIRETTORE Vanessa Pellegrino - III Liceo IMPAGINAZIONE E STAMPA Simone M. Politi - III Liceo REDAZIONE Per il V Ginnasio: Alessio Marenaci Elena Leaci Per il I Liceo:

Luca Potì Luigi Lazzari Marco Morciano Marco Tafuro Samuele Mancarella

Per il II Liceo:

Angela Durante Riccardo Distante Roberta Ferrari Stefano Rizzo

Per il III Liceo:

Carla Marta De Sicot Elisabetta Perrone M. Concetta De Matteis Paola Contaldo Raffaele Putignano Simone M. Politi Vanessa Pellegrino

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