L'Obiettivo - dicembre 2013

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ANNO X ~ NUMERO I LECCE, 25•12•2013

Periodico del Ginnasio-Liceo “Giovanni Paolo II” Natale 2013 Nelle diverse forme narrative maturate con l’aiuto discreto degli insegnanti, le studentesse e gli studenti del Liceo continuano la lunga tradizione della pubblicazione del loro Giornalino periodico, sperando che i suoi articoli possano convincere le famiglie dei prossimi diplomandi della scuola media che la cura con la quale si insegna e si apprende nelle scuole paritarie può contribuire anche ad elevare la qualità generale della scuola nazionale. A questa speranza si aggiunge l’augurio per un santo Natale ed un sereno 2014, che gli studenti, gli insegnanti ed il Preside rivolgono ai loro venticinque, affezionati lettori. Il Preside - Fabio Scrimitore

Taglia Trentotto Oggi, imperativo categorico di un sempre crescente numero di adolescenti è “dimagrire”. Ad ogni costo il raggiungimento della magrezza diviene obiettivo prioritario, nella falsa convinzione che magro significhi bello e la bellezza, si sa, è il lasciapassare per un’apparenza di felicità, per L’Obiettivo -

un’immediata e tanto desiderata approvazione degli altri. Ma, nei soggetti più sensibili, il desiderio di dimagrire può diventare patologico e trasformarsi in una vera è propria malattia. Continua a pag. 9 Beatrice Tommasi - III Liceo


Tumore: la prevenzione è nel piatto Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l’animo lieto, la quiete e la moderata dieta. (Aforisma medico XI secolo) Da questo aforisma si comprende come da sempre si è data molta importanza ad una dieta sana ed equilibrata. Ma, ai nostri tempi, l’esigenza di scegliere come e cosa mangiare è prioritaria, perché il tumore trova in una giusta alimentazione un valido nemico. Gli scienziati hanno studiato a lungo le interazioni tra ingestione di certi alimenti e il nostro corpo arrivando a determinare che alcuni di questi, se non provocano il cancro, aiutano però la creazione di un habitat idoneo perché questo si sviluppi. Una cattiva dieta, associata a scorrette abitudini ed allo stress, innesca il processo di mutazione delle cellule che porta allo sviluppo di neoplasie. Un consumo smodato di carni rosse e insaccati, per esempio, associato a scarso esercizio fisico ed abuso di alcol, ha come conseguenza una maggiore possibilità di sviluppare un tumore al colon retto. Mentre un’alimentazione ricca di frutta e verdura, pesce azzurro e the verde può ga-

rantire a chi la segue un’aspettativa di vita migliore e con una percentuale di possibilità di sviluppare il medesimo tipo di tumore decisamente inferiore. A questo proposito si sono studiate le sinergie dirette e indirette tra gli alimenti creando così una lista di “alicamenti” (alimenti-medicanti) la cui azione antinfiammatoria e di interruzione del processo di cancerogenesi è stata dimostrata. Ortaggi e verdure appartenenti alla famiglia delle crucifere (cavolo, broccoli, rucola) svolgono un’efficace azione inibitoria dello sviluppo delle cellule tumorali. I legumi, le frutta, le noci e le mandorle svolgono un’azione protettiva; la soia, l’aglio, la cipolla, lo scalogno e i pomodori, come gli alimenti che contengono zinco, beta-carotene, vitamina C e calcio aiutano nella prevenzione dei tumori. Da questa lista si evince che la dieta giusta, quella che assicura una vita lunga e sana è quella Mediterranea, intesa nel senso tradizionale del termine, quella della piramide alimentare, quella che consiglia un uso giornaliero di cibi integrali, omega-3, omega-6, frutta e verdura ed un uso più modesto di carni, prodotti caseari e alcol. In ultima analisi si può affermare che se si vuole vivere sani si deve adottare una dieta sana e attenta, uno stile di vita equilibrato e, soprattutto, non eccedere mai in nulla: mangiamo sano e ogni tanto facciamo uno strappo alla regola, per non vivere in maniera stressante la nostra ricerca di un’esistenza senza malattie. Ma poi, torniamo alla morigeratezza: ci guadagneremo sicuramente in salute sia fisica che mentale.

Roberta Ferrari - I liceo

Educarsi al volontariato È superfluo soffermarsi sul significato linguistico del termine perché tutti sappiamo che con questo ci si riferisce al compimento di attività fatte senza avere in cambio un compenso in denaro. Le associazioni, infatti, che operano in tal modo vengono definite onlus, ossia organizzazioni senza scopo di lucro. Quello che è molto importante considerare è il significato contenutistico che, al contrario, spesso risulta meno chiaro se non addirittura contraddittorio. Andiamo con ordine: il volontariato comporta una predisposizione ad uscire dal proprio ristretto ego per dedicarsi a chi ha bisogno di aiuto. Si può trattare di bisogni materiali che in tutti i periodi storici hanno caratterizzato la condizione umana di povertà fino all'indigenza. In questo caso ci sono persone che si dedicano alla raccolta di beni materiali, altre che si occupano della distribuzione dei beni stessi come accade ad esempio nei centri della Caritas di cui abbiamo un esempio florido nella nostra città. Le necessità, però, sono anche di tipo socio-sanitario e umanitario per le quali operano associazioni storiche come, prima fra tutte, la Croce Rossa internazionale. Un punto molto importante da chiarire è che il volontariato comporta, insieme con l'indispensabile spirito altruistico, il giusto entusiasmo unito al senso di ottimismo, oltre che una adeguata preparazione professionale nei casi specifici di tipo, ad esempio, socio-sanitario, e un'adeguata preparazione alla relazione con gli altri. Il volontariato non può essere vissuto in maniera paternalistica o persino pietistica: lo spirito filantropico e umanitario dei laici e lo spirito caritatevole per i credenti non può mai manifestarsi con atteggiamenti che arrivino ad umiliare chi è nelle condizioni di dover essere aiutato; né che possa trasparire da parte di chi aiuta la pretesa di gratitudine. Continua a pag. 3 Angela Durante - I Liceo L’Obiettivo - 2


Continua da pag. 2 Chi è che allora può dedicarsi al volontariato? Può sembrare una domanda fuori luogo: è invece importante sottolineare che il volontariato non è riservato a persone che se lo possono permettere in termini di benessere o di tempo. Tutti, giovani e anziani, ragazzi e adulti, possono farlo poiché il tempo per fare il bene non è mai tempo perso, ma è tempo dedicato: non importa la quantità ma la qualità, che sia un'ora o tutta la giornata, vale lo spirito da cui siamo animati. La parola chiave è abnegazione. Nessuno può dire perciò ‘non ho tempo’, si potrebbe rispondere con la frase poetica ‘perché dici non ho tempo? Hai esattamente lo stesso numero di ore, di minuti, di secondi ogni giorno che hanno avuto Michelangelo, Raffaello, Galileo, Madre Teresa.’

Educarsi al volontariato Angela Durante - I Liceo

L’Anno della Fede un viaggio che continua nella quotidianità Domenica 24 novembre u.s. con la Solennità di Cristo Re dell’Universo, coronamento dell’Anno liturgico, si è chiuso l’Anno della Fede indetto il 11 ottobre 2012 da papa Benedetto XVI come dono alla Chiesa, perché con tale iniziativa egli ci ha dato la possibilità di riscoprire la bellezza di un cammino di Fede che ha avuto inizio nel giorno del battesimo e che ci ha resi figli di Dio e fratelli nella Chiesa. Un cammino che ha come meta finale l’incontro pieno con Dio e durante il quale lo Spirito Santo ci purifica, ci eleva, ci santifica, per farci entrare nella felicità a cui anela il nostro cuore. La questione della Fede è la grande questione dell’uomo moderno. Nell’indire l’Anno della Fede papa Benedetto diceva : “Sentiamo l’invito di Paolo a Timoteo a cercare la Fede con la costanza con cui la cercava Timoteo quand’era ragazzo”; tale invito è rivolto a ciascuno di noi perché nessuno diventi pigro nella fede, in quanto essa è la compagna di vita che permette sempre, con uno sguardo nuovo, di percepire le meraviglie che Dio compie per noi. Questa è stata la grande intuizione di papa Benedetto, che si è accorto quanto la Fede dei cristiani si sia affievolita e debba essere rinvigorita e rinnovata, affinché se ne possa far dono agli altri. Papa Benedetto si è presentato alla Chiesa come testimone fedele, come il credente che risveglia la Fede nei credenti: egli ha inaugurato l’Anno della Fede, ma vi è appena entrato e poi, come i grandi profeti dell’Antico Testamento, si è ritirato e ha lasciato il ‘passo’ al nuovo papa Francesco, che ha portato a termine il programma con eventi, incontri e momenti di preghiera comunitaria. Abbiamo così scoperto che la Chiesa di Cristo abbraccia il mondo intero e non conosce nessuna differenza di razza, lingua, popoli e culture. Adesso è il momento in cui la Fede che abbiamo ravvivato in quest’anno deve essere messa a frutto: infatti, come scriveva Maurice Zundel, teologo e mistico svizze-

ro: “Voi siete il Cristo degli altri. Essi non hanno altro Cristo che voi, perché è solo attraverso voi che vedono il Cristo”. La Fede va quindi testimoniata ed è un dono che Dio ha fatto a tutta l’umanità attraverso la voce dello Spirito Santo, voce che è possibile ascoltare solo nella misura in cui ciascuno di noi si sente investito della missione a cui Dio stesso ci ha chiamato e alla quale noi dobbiamo adempiere amandoci vicendevolmente. Tutto diventa un viaggio compiuto insieme nella gioia e nella serenità. La fede, infatti, è il cardine dell’esperienza cristiana perché motiva le scelte e gli atti della nostra vita quotidiana, essa dev’essere alla base del nostro agire in famiglia, in parrocchia, con gli amici, nei vari ambienti sociali e ci aiuta, ogni giorno, attraverso le piccole grandi scelte che siamo chiamati a fare. Non dobbiamo scoraggiarci, perché la Fede ci permette di andare avanti oltre i momenti di fatica, di difficoltà, di dubbio: possiamo quindi dire che essa ci accompagna nel viaggio della vita verso la meta finale. Il campo in cui si esplica meglio la grandezza di un'intuizione geniale, come l'Anno della Fede, resta però quello della coscienza personale. Infatti, ciascun cattolico ha avuto modo, per un momento, di spostare l'asse del proprio interesse su se stesso ed illuminare i propri interrogativi alla luce di una più matura conoscenza della Fede. Nel nostro istituto scolastico, ad esempio, dove si segue un progetto educativo cattolico, ci si impegna da sempre ad aiutare gli studenti ad affrontare la vita scolastica potendo esternare i propri dubbi e le incertezze, tipici dell’adolescenza, cercando di superare i problemi attraverso l’ascolto, l’accoglienza, la vicinanza ed il confronto costruttivo.

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Simone Politi - II Liceo


La piazza è sempre la piazza! Perfino il grande Lucio Dalla, uno dei più noti artisti musicali contemporanei del quale fra pochi mesi ricorrerà il primo anno della sua scomparsa, le ha dedicato un brano. A lei, che per tanti secoli è stata fulcro della vita sociale, politica, economica e religiosa di interi popoli sin dalla antica Grecia, vogliamo dedicare queste poche righe, in un periodo dove con l'affermarsi sempre più di centri commerciali di ultima generazione si mette in secondo piano quel primato indiscusso che per circa duemila e cinquecento anni l'ha vista protagonista dell'evoluzione e del progresso dei cittadini. In più come non ricordare che son proprio le piazze a rendere non solo le città, ma anche ogni singolo paese della nostra penisola, veri e propri luoghi incantanti nei quali la storia sembra parlare attraverso le pietre vive e narranti. Come non ricordare Piazza della Signoria che di Firenze sembra ribadire ancora oggi le varie vicende politiche che con l'attivismo di uomini del calibro di Dante Alighieri o Lorenzo il Magnifico ne hanno fatto uno dei centri maggiori dell' Umanesimo Italiano; come dimenticare la Veneziana Piazza San Marco, immergendoci nella quale possiamo ancora immaginare l'antica vita politica repubblicana con il suo Doge; o Piazza del Pebliscito a Napoli, centro per diversi secoli della politica dell'intero Meridione d'Italia. Non ultimo, un ricordo anche di Piazza San Pietro, forse la più famosa al mondo, in confronto alla quale ci si sente piccoli e insignificanti pensando a ciò che essa rappresenta in tutta la sua universalità. Ecco perché la piazza è importante: perché senza i comizi che in essa si sono svolti ora non esisterebbe politica, senza i mercati che la animavano ora non esisterebbe eco-

nomia, senza cerimonie religiose che la caratterizzavano ora non esisterebbe religiosità popolare e, soprattutto, senza le semplici uscite che all'imbrunire della giornata molti sono soliti fare non ci sarebbe incontro e confronto. Tutto questo però sembra ormai scomparire: come già accennato ora la gente preferisce recarsi in diversi enormi contenitori tecnologici dove tranquillamente si può acquistare merce desiderata di qualsiasi genere, magari fermandosi a mangiare anche in uno dei tanti posti di ristoro in esso contenuti e, perché no, concludere la giornata in uno dei cinema che fino a tarda notte tengono sveglia questa piccola e allo stesso tempo gigante cittadina. Non sappiamo cosa ci spinge, forse una semplice comodità? La voglia di cambiamento con il passato? O magari semplice e puro conformismo legato a quella parte negativa del grande fenomeno inarrestabile della globalizzazione? Sì, perché oramai gli italiani sembrano conformarsi pienamente a questo stile di vita tipicamente occidentale. Ma non tutto è perduto! Noi siamo ancora legati alle nostre piazze, difficilmente rinunciamo ad essere protagonisti di questa magia, ci facciamo distrarre da queste futili conformità del mordi e fuggi, ma siamo italiani e, nonostante tutto, difficilmente rinunciamo ad una tradizione della nostra storia che, pieni di orgoglio, magari porteremo con noi in qualsiasi luogo migreremo per studio, per lavoro, per necessità o anche solo per svago. Simone Pezzuto - III Liceo

In copertina

L’immagine di copertina è il particolare della Natività di Palermo del Caravaggio. La tela, trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo nell’ottobre 1969 non è stata più ritrovata, ma la storia del suo furto è affascinante perché incrocia gli ultimi processi di mafia a Palermo. Sì perché fu sottratta all’Oratorio da mano mafiosa, per ribadire il potere della mafia su uomini e cose, presente e passato. Il pentito Francesco Marino Mannoia racconterà infatti nel 1996, durante il processo Andreotti, come avessero fatto tutto grazie ad una semplice lametta da barba, rovinandola forse irreparabilmente. Nel 1980 il giornalista inglese Peter Watson affermò che da Salerno era stato contattato da un ricettatore proprio per l’acquisto della Natività; fissato un appuntamento per la notte del 23 novembre 1980, l’incontro non ebbe mai luogo per via del devastante terremoto di quella notte. Quando si dice la sorte! Nel 1992 l’altro pentito Giovanni Brusca dichiarò che, dopo le leggi speciali antimafia seguite alle stragi di Capaci e Palermo, trattò con lo Stato la restituzione della tela in cambio della modifica del 41bis, articolo che impone ai mafiosi il carcere duro. Lo Stato rifiutò l’offerta e da allora le notizie sulla tela sono quasi leggenda. L’ultimo pentito a parlarne è Salvatore Cangemi che continua a sostenere che la tela è ancora in possesso della cupola mafiosa, tanto da arrivare a dichiarare che ora, come in passato, essa viene regolarmente esposta durante i summit mafiosi (alla spalle del capo o come tappeto per pulirsi i piedi!). L’opera è tuttora ricercata da tutte le Forze di polizia di ogni Paese, e inserita tra le dieci opere disperse più importanti del mondo nei documenti dell’FBI.

A cura della Redazione

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Nel cuore della Caput Mundi Le vie, i quartieri e le porte di Roma si sono spalancati per due giorni, a novembre, alle menti assetate di sapere, novità e cultura di noi ragazzi del terzo liceo che, grazie alla professoressa Maria Rita Tarantino e Don Massimiliano Mazzotta, abbiamo avuto l’opportunità di vivere in due giorni la bellezza di questa città che profuma di storia e di arte. Un viaggio oltremodo interessante ed educativo, che ha mescolato la cultura di una Roma suggestiva nella sua storia millenaria, con il divertimento di noi giovani studenti. Unendo l’utile al dilettevole, ci siamo cimentati nel condividere le nozioni apprese tra i banchi nel corso degli anni scolastici. Le immagini studiate, descritte e analizzate sui libri per ore interminabili davanti ad una scrivania, hanno pre-

so d’un tratto forma, vita e dimensione: non più semplici pagine da sfogliare, ma monumenti e capolavori di artisti di gloria immortale che si ergevano davanti ai nostri occhi. Un brivido di emozione era inevitabile davanti al tempio dedicato agli dei dell’Olimpo, il Pantheon, innalzato e ricostruito di età in età, ma dopo secoli ancora lì, incrollabile ed indistruttibile. Maestosa la scalinata di Piazza di Spagna, con la sua imponente fontana barocca da mozzare il fiato che, famosa, è dunque gremita di turisti curiosi, viaggiatori e intellettuali. E poi le opere di Caravaggio, e ancora Piazza Navona, San Pietro in Vincoli, i Musei Vaticani e l’affascinante Cappella Sistina. Avendo visto la bellezza di questa città anche al buio, con le sue luci, impossibile nascondere l’entusiasmo generato da questa piccola avventura, che ci ha permesso di comprendere l’efficienza di una lezione non svolta tra i banchi nell’affascinante Caput Mundi! Elisabetta Pantano e M. Sole Longo - III Liceo

Sentieri di condivisione Un vicolo, una chiesa, una salita, un’altra chiesa: questa è Assisi. Un luogo nella piccola Umbria che tanto dà onore alla sua terra per la compresenza di due importantissime situazioni della storia: la nascita dei Comuni nel 1200 e la diffusione di uno dei primi Ordini Mendicanti attraverso la figura di San Francesco d’Assisi. È per questo che nei giorni di sabato 26 e domenica 27 ottobre di quest’anno che giunge al termine, io e la mia classe, la I liceale, ci siamo spostati ad Assisi con le nostre amate professoresse Antonella Rizzo e Noemi Centonze insieme al caro don Massimiliano Mazzotta. Tale meta è stata scelta perché più di tutte riassume una parte importante del programma scolastico, insieme al fatto che incarna perfettamente gli ideali religiosi che il nostro Istituto ci propone. È stato davvero emozionante visitare la Basilica di S. Francesco (non lontana dal luogo dove alloggiavamo), la Basilica di Santa Chiara - figura che accompagnò e sostenne molto il Santo -, Santa Maria Maggiore, il Duomo di San Rufino, Santa Maria degli Angeli; e mentre gli occhi puntavano su per ammirare le splendide volte riccamente affrescate da Giotto e

Cimabue e le orecchie ascoltavano la tanto gradevole voce di Suor Barbara, la nostra guida in Assisi, la mente si portava a 800 anni fa, ripercorrendo la storia del Santo che ha costruito la così umile Porziuncola, dando un nuovo volto alla Chiesa, un volto povero di ricchezze terrene, ma traboccante di Grazia. Impossibile non notare l’efficacia dei nostri accompagnatori, che svestendosi dagli abiti di docenti, ci hanno guidato in questo itinerario vivo e ricco di riflessione come figure fraterne. Non meno importanti siamo stati noi compagni: queste due giornate ci hanno permesso di stringere i legami che già ci univano, condividendo tutti gli spazi, tutti i momenti, tutte le decisioni, dal risveglio mattutino al pranzo e alla “buonanotte” facendoci carico l’un l’altro delle difficoltà che si incontravano. Certo è che stare davanti al Crocifisso di San Damiano che parlò al Santo dei Poveri, alla sua tomba e a quella di Chiara e camminare sulle strade che un tempo essi percorsero, ha toccato il cuore di ognuno di noi. E questo non rimarrà una semplice reminiscenza, ma sarà un vivo ricordo che ci accompagnerà per tutta la vita. Stefano Rizzo - I Liceo

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La scrittura non si insegna “La scrittura non si insegna”: se a dirlo è Maurizio Monte, uno scrittore, ci sarà da fidarsi. L’autore, che ha trascorso con noi ragazzi del corso di comunicazione un pomeriggio, con agili-

tà e naturalezza oltrepassa quelle barriere culturali che vorrebbero inquadrare il suo lavoro in schemi prestabiliti e in nome di un almanacco di regole di dubbia utilità (una fra tutte: “non entrare dentro la storia”). La scrittura nascerebbe invece dal bisogno di esprimere e raccontare il mondo interiore e quello esteriore. Forse esistono solo due valide regole. La prima include quelle grammaticali. Per quanto esse risultino detestabili, restano fondamentali ed imprescindibili perché avvenga un’efficace comunicazione: senza regole la lingua rischia di non avere alcun significato. A meno che lo stravolgere quelle

regole non sia un innovativo mezzo espressivo (vedi Joyce e Woolf), l’ir-regolarità il più delle volte complica la comunicazione. Per non parlare poi della punteggiatura… intramontabile l’esempio: “vado a mangiare, nonna / vado a mangiare nonna”. Attenzione quindi, le virgole salvano la vita! La seconda regola, seconda non per importanza, è: vivere. Lo scrittore ha sempre qualcosa da raccontare, qualcosa che abbia vissuto in prima persona o osservato dall’esterno o sognato di vivere. E poiché il vivere comprende emozioni di ogni tipo, anche le più odiose, si affili dunque la penna e se è necessario si graffi il foglio con parole terribilmente sincere; scrivere è anche un atto catartico. Insomma, la lezione più importante, ci è stata data da chi lezioni si rifiuta di darne. Alessandra Gallo - III Liceo Per il Laboratorio di Comunicazione Educativa

Uno sguardo... Uno sguardo, un gesto, un'azione: tutto è comunicazione. Comunicazione con il nostro stesso corpo, comunicazione con gli altri. Tutto ciò lo hanno insegnato a noi, ragazzi frequentanti i corsi di teatro e comunicazione, i giovani e pazienti attori del teatro Koreja. Un pomeriggio intero ospiti speciali dei Cantieri Teatrali Koreja per un workshop dedicato all’acquisizione di linguaggi speciali fatti di scambi di sguardi, sorrisi e gesti, nessuna parola. Solo un cerchio e noi. Noi che siamo stati sollecitati pian piano ad imparare a conoscere il nostro corpo per poter trasmettere poi qualcosa agli altri; che abbiamo guardato in modo differente i nostri amici leggendo il loro sguardo; che ci siamo sforzati di comprendere il significato di un loro sorriso al di là delle parole, dei libri, dei temi e dei verbi coniugati bene o (a volte capita) male. Senza dubbio gli educatori (perché sono anche questo) ci hanno mostrato e fatto apprendere il lavoro e l'esercizio che c'è alla base del loro mestiere, ma hanno insegnato anche a

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Un pomeriggio speciale Il giorno 11 dicembre presso teatro Koreja i ragazzi che fanno parte dei laboratori di comunicazione e teatro si sono riuniti per imparare come l'attore comunica con il pubblico. Accompagnati dalle docenti, che si sono dedicate agli alunni, sono trascorse tre ore magnifiche all'insegna del divertimento. A passare questo pomeriggio con noi, ad accompagnarci in quest'esperienza, nella quale siamo stati guidati, quattro personaggi stravaganti: Carlo, Fabio, Emanuela e Annachiara. Ci hanno aiutato ad aprirci interiormente facendoci capire come anche un semplice battito di ciglia che può sembrare banale riesce a trasmettere delle emozioni profonde. Partendo da esercizi di plastica abbiamo sciolto il nostro corpo per rigenerarlo. Ma il momento che ha coinvolto l'attenzione di tutti è stato un gioco particolare che ha richiesto partecipazione attiva, perché ognuno di noi doveva cercare lo sguardo di un proprio compagno e mantenerlo per

poi incontrarsi e scambiarsi di posto. Attraverso questi giochi Carlo, Fabio, Emanuela e Annachiara ci hanno trasmesso emozioni forti tanto che alla fine, grazie ad un sottofondo musicale, ognuno di noi si è sentito libero di esprimere le proprie emozioni attraverso gesti e parole, mettendo da parte l'insicurezza e la vergogna. Grazie a quest'esperienza si può dire che molti di noi sono riusciti a togliere quella maschera che fino a quel momento aveva nascosto la propria persona. Con l'aiuto di piccoli, semplici ma grandi giochi di interazione. Camilla Linciano, Angela Durante e Francesca Bellinfante - I Liceo Per il Laboratorio di Teatro

...a teatro! noi ad essere degli attori. Sì, attori, o meglio: protagonisti. Di cosa? Ma ovviamente della nostra vita, protagonisti delle nostre emozioni che adesso riusciremo ad esprimere, certamente, in maniera migliore, protagonisti di un'esperienza intima che ha lasciato il segno in ognuno di noi ragazzi presenti in quella sala. Inutile negarlo, andando via da lì ognuno di noi si è sentito cresciuto, cambiato, anche se di poco. Senza dubbio più a suo agio con il proprio corpo. Un'esperienza unica e profonda che ha danzato con la nostra anima, ma il tempo di un dolce ballo è bastato per ridare valore ad un gesto, ad un sorriso. Certamente adesso uno sguardo vale molto di più. Eleonora Miglietta III Liceo

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“Io sono Malala, e questa è la mia rivoluzione semplice” La storia di Malala Yousa-

all’istruzione o al lavoro. Malala

minata. La sua storia l’ha porta-

fzai è una storia semplice. E’ la

continua a scrivere per tre anni

ta alle Nazioni Unite e a questo

storia di una bambina che vuo-

la propria biografia nelle pagine

libro: Io sono Malala, la rivoluzio-

le andare a scuola. Siamo in

della quale racconta e denun-

ne di una bambina il cui sogno

cia la guerra vista

era l’istruzione a prescindere dal

con

dei

sesso di ogni bambino, impo-

bambini: la natura

nendosi con rabbia per ottene-

stravolta dalle bom-

re i diritti delle donne. Ma tutta

be, il divieto di uscire

questa storia non verrà mai co-

da casa, la nostalgia

nosciuta dai bambini e dai gio-

per le feste di paese

vani pakistani perché i talebani

e per le lunghe pas-

hanno vietato la lettura di que-

seggiate dopo ce-

sto libro sequestrandone le co-

na. Leggendo la bio-

pie, per paura che possa essere

grafia, la cosa che

condiviso il messaggio che Ma-

lascia più stupiti è

lala trasmette ribellandosi al re-

l’infinita

di

gime. Ecco come una bambi-

una ragazzina di 15

na, con la sua semplicità nell’e-

anni di fare rientro a

sprimere le proprie idee, può

scuola contro il vole-

arrivare a trasmettere ad un

re dei talebani. Ma

popolo l’ideale secondo il qua-

questi ultimi aspetta-

le non si possono soffocare mai i

vano lei e i suoi com-

sogni, obiettivi per cui lottare

pagni di classe sulle

per avere un futuro migliore per

Pakistan, nella valle di Swat, do-

strade che conducevano alle

tutti. Malala è un segno per tutti,

ve i talebani cercano di mostra-

loro case. Arrivato il camioncino

una bambina che con la forza

re come il mondo dovrebbe

fecero scendere tutti, bambini e

di un sogno, con la rivoluzione

girare secondo la volontà di un

maestri e chiesero loro chi fosse

armata solo da una penna e un

Dio oscuro e violento che non è

Malala Yousafzai; nessuno rispo-

foglio è riuscita a fare ciò che in

altro che un mezzo per arrivare

se ma gli sguardi corsero e an-

tanti anni gli adulti non sono

alla guerra e al potere. I taleba-

darono ad indicare un preciso

riusciti a compiere per paura.

ni fanno paura a tutti anche

bersaglio. Due spari la colpirono

agli americani in Afghanistan.

alla testa ma fortunata-

Malala ha 12 anni e decide di

mente non furono mortali:

scrivere un libro; sono le parole

era il 9 ottobre 2012. Co-

di una bambina che ha solo la

minciò così

penna e pochi libri per protesta-

una nuova vita, che l’ha

re contro una legge che dice a

spinta dentro e fuori dalle

tutte le donne di coprirsi e stare

sale operatorie di diversi

ferme sotto il controllo degli uo-

ospedali facendo rinasce-

mini. Qui le donne non hanno

re la sua sete di protesta,

volontà e nessun diritto: al voto,

ancora più forte e deter-

gli

per

occhi

felicità

Malala

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Elena Leaci - IV Ginnasio


Continua dalla prima di copertina

Alcuni studi recenti hanno provato che disturbi alimentari di una certa entità derivano spesso da disturbi della personalità. All’origine vi sono, dunque, cause più profonde e personali, in cui l’elemento esterno può incidere con rilevanza, ma non esserne la causa scatenante. I modelli che ci circondano, che il mondo dello spettacolo e della moda propongono, certamente non aiutano, instillando nelle menti il concetto di bellezza come sinonimo di perfezione, dimenticandosi, forse, che la perfezione non esiste e che

c’è,

invece,

bellezza

nell’unicità

dell’imperfezione, nella verità di un quotidiano senza ritocchi e non nella finzione plastica dell’apparenza. Ma anoressia e bulimia, talvolta risvegliate da prepotenti esterni,

stessi, su ciò che si ingerisce e che si è. Tale capacità è estremizzata dalla paura di non riuscire nel proprio intento, dal timore che qualcosa sfugga imprevedibilmente al controllo della ragione. Tutto ciò si manifesta in una estrema rigidità, nell’imposizione di limiti ben precisi, nei quali l’istinto è debolezza e non può essere tollerato.

impulsi

Chi soffre di ano-

nascono

ressia ha una visio-

da problematiche

ne distorta del pro-

interiori che si ma-

prio corpo, l’imma-

nifestano nel rap-

gine

porto con il cibo. Le

persone

riflessa

allo

specchio appare ai

che

soffrono di bulimia sono persone insoddisfatte, estremamente critiche nei confronti di se stesse. Spesso si presentano come forti e realizzate, eppure sono segretamente infelici, angosciate dal terrore di mediocrità e dal desiderio di eccellere in tutto. Le bulimiche sono voraci, impulsive, senza controllo, si abbuffano nella spasmodica ricerca di riempire con il cibo il vuoto della mancanza, scavano voragini senza fondo nella richiesta disperata di un amore che non sanno acco-

suoi occhi dilatata, il disagio cresce ad ogni confronto con l’altro, ad ogni sentenza della bilancia. Il senso di inadeguatezza è, purtroppo, qualcosa di così radicato da risultare molto difficile da divellere, ma non impossibile; sicuramente per attenuarlo è necessario trovarne l’origine, curarlo con la vicinanza dell’affetto, imparando, talvolta, a guardarsi attraverso gli occhi di chi ci ama, ricordando sempre che l’amore conosce bellezza.

gliere. L’anoressia, invece, è una ricerca calcolata della perfezione, si presenta come una capacità di controllo su se

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Taglia trentotto Beatrice Tommasi


La storia a tavola Viaggio intorno ai sapori della nostra cucina natalizia. Quelli della tradizione, quelli che non vanno persi, quelli che profumano di vecchie spezie come garofano e cannella e che rendono la cucina del Natale una delle più elaborate. E’ la cucina che potrebbe far inorridire sicuramente i fanatici della dieta a tutti i costi, quelli del conteggio delle calorie o del piatto leggero. Ma, Natale è solo una volta l’anno e molte pietanze si gustano con occhi e palato solo in questo periodo dell’anno, non in altri!

PURCEDDHRUZZI e CARTEDDHRATE Tipici dolci della cucina leccese, preparati con lo stesso impasto, i purceddhruzzi e la carteddhrate hanno la stessa origine (con varianti negli ingredienti ma molti punti in comune) degli struffoli napoletani e i truffoli siciliani. I primi sono i piccoli pezzi di pasta fritti che una volta conditi con miele e confettini fanno la gioia del palato; le seconde: strisce realizzate con lo stesso impasto, tagliate col tagliapasta, arrotolate su se stesse e pizzicate ai bordi per farne come delle girelle. Una variante di questo piatto viene citata da Cristofaro di Messisbugo, cuoco italiano del ‘500, nel suo Libro Novo stampato a Venezia nel 1557, ma è certo che questo piatto ha un’unica e comune origine nel Medioriente, nell’uso delle spezie e del miele come condimento. Anche se, dovessimo andare più indietro nel tempo, un piatto simile compare su una pittura rupestre del barese del IV sec a.C. come offerta di primizie agli dei. Ingr.: -500 gr. di farina tipo 00 -500 gr. di farina di semola -1 lievito di birra -100 gr. di olio d’oliva -100 ml di liquore all’anice mescolato con due cucchiai di alcool ‘buongusto’ -1 pizzico di sale succo di mandarino q.b. per impastare (ing. facoltativi: un pizzico di polvere di cannella, un pizzico di polvere di chiodi di garofano, vanillina, buccia di arancia e limone) -olio per friggere -miele, confettini di anice, mandorle e pinoli per guarnire Impastare amalgamando tutti gli ingredienti,

Il paese di cuccagna, Pieter Bruegel il Vecchio, 1657, olio su tavola, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera

la pasta deve risultare morbida ma non collosa. Lasciare riposare anche più di un’ora in luogo tiepido per lievitare. Mettere la pasta sulla spianatoia, formare i purceddhruzzi con forme a piacere e friggere in abbondante olio caldo (meglio se di arachidi). Condire con miele caldo e con gli ingredienti di cui sopra.

PESCE DI PASTA DI MANDORLA Ricorda il vecchio simbolo paleocristiano dell’ichthys: Iesous Christos Theou Yios Soter (trad.: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore), gr. ἰχϑύς, il termine usato nel Nuovo testamento per la parola pesce. Quando minacciati dai Romani, nei primi secoli dopo Cristo, i Cristiani marcavano posti di riunioni e tombe con il classico segno del pesce e anche per distinguere amici da nemici. Secondo una storia antica, quando un cristiano incontrava uno straniero per strada tracciava un arco per terra e se lo straniero completava il disegno con un arco opposto, si identificava anche lui come Cristiano. Greci, Romani e altri pagani usavano il simbolo del pesce prima dei Cristiani. Perciò il simbolo del pesce, piuttosto che quello della croce, attraeva poco sospetto, facendo del segno del pesce un perfetto simbolo segreto per i credenti perseguitati. Perciò, i primi Cristiani fecero uso pratico di questo segno per convenienza, anche perché ricordava svariati avvenimenti legati alla vita di Cristo: la chiamata degli apostoli intenti a pescare, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, la pesca miracolosa... Ingr. per la pasta di mandorle: -500 gr. di mandorle pelate -500 gr. di zucchero

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-2-3 mandorle amare -fac. buccia di limone o arancia Per la farcia: -cotognata o marmellata di pere -biscotti savoiardi o pan di Spagna -cioccolato fondente in scaglie -liquore Strega Macinare le mandorle e aggiungere lo zucchero (facoltativa la buccia del limone o dell’arancia). Formare un panetto d’impasto compatto non molle, procurarsi una forma di pasce di gesso, foderarla con della pellicola all’interno e stendere una parte dell’impasto. Al centro riempire con i Savoiardi o il pan di Spagna bagnato di liquore Strega e arricchito delle scaglie di cioccolato fondente su un letto di cotognata o marmellata. Coprire con l’altra parte dell’impasto rimanente pressando sulla forma per chiudere i bordi. Lasciare riposare qualche minuto, poi girare la forma su un vassoio, togliere la pellicola dal pesce e decorare con confettini o scaglie di cioccolato.

LA CUPETA Nell’epoca romana si indicava con il termine Cupedia, una pasta di nocciole e miele, antenata del torrone, ancora oggi nota in Campania, come a’ cupeta, il tradizionale torrone venduto nelle caratteristiche bancarelle alle feste patronali. Per Marziale è uno dei cinque prodotti che rappresentano Beneventum, la città delle cinque C: “Carduus et cepae, cerebrata, cupedia, chordae” ovvero cardone e cipolle, cervellate, copeta, corde. Per Varrone cupedia deriva da Forum cupidinis (mercato delle voglie) e da Cupido ovvero desiderio, ghiottonerie o delizie per il palato. La cupeta è il dolce delle feste patronali salentine, in particolare a Lecce per Santa Lucia e per Sant'Oronzo. E’ la variante mediterranea del torrone e ha origini arabe (voce araba: qubbat-cubaita), conosciuta già al principio del secolo X e giunta in Italia al tempo delle Crociate. Giovanni Battista Del Tufo (poeta napoletano) nel 1588 scriveva: ...diverse cose portate in Napoli… copeta e marzapan di passi rari de la provincia di terra di Bari... Gli ingredienti della cupeta sono: mandorle leggermente tostate (1Kg), zucchero (800/900 gr) e aroma alla vaniglia. Viene realizzata in almeno tre versioni: cupeta nera, (con mandorle integre); cupeta bianca, con mandorle pelate; cupeta macinata, con mandorle pelate e tritate. Si mette lo zucchero in una pentola antiaderente, si bagna con l’acqua in modo che ne derivi uno sciroppo molto denso, si pone sulla fiamma che deve essere abbastanza viva e, quando lo zucchero diviene di un bel colore ambrato, si unisce un analogo quantitativo di mandorle, si mescola bene, si aromatizza con la vaniglia e si sorveglia,

mescolando di tanto in tanto. Quando lo zucchero bollendo non genera più schiuma e appare limpido, viene tolto prontamente dalla fiamma per evitare che superi la cottura (condizione che lo renderebbe amaro). Si versa il tutto su una superficie antiaderente unta di olio, dove si procede a spatolarlo un bel po’, rivoltandolo ripetutamente con uno specifico utensile che altro non è che una sorta di coltello dalla lama rettangolare molto allungata, alta e con affilatura appena accennata, che si utilizza a mo’ di spatola. Appena accenna ad indurirsi si stende velocemente e utilizzando sempre il coltello si rifila ai bordi, in modo da ottenere una forma rettangolare il più regolare possibile. Infine, si taglia la cupeta così ottenuta, a stecche larghe o a tocchetti. *************** Ma non mancano i piatti salati tipici delle tradizioni invernali: le rape affogate nel vino, le pittole, il baccalà, per chi non ama i dolci ma non disdegna la tradizione campagnola e vegetariana. Le rape, piatto campagnolo tipico dell’inverno, soffritte e lasciate consumare nel vino bianco; il baccalà per cucinare il quale le ricette si sprecano tra infinite varianti di paese in paese. E poi le pittole, che ormai si possono mangiare in qualsiasi periodo dell’anno, ma che nella tradizione della campagna salentina erano tipiche dell’inverno, a cominciare dal giorno di S. Martino e per tutte le festività invernali dal giorno dell’Immacolata. Pittula o pittola è quasi certamente il diminutivo di pitta, focaccia. Era il pane fritto dei poveri, lasciato bianco o con l’aggiunta della pizzaiola, del baccalà o delle verdure come il cavolfiore, reso speciale dall’attesa e dall’unicità del periodo in cui si preparava. E c’era pure l’alternativa dolce per i piccoli, le pittole girate nel miele dei purceddhruzzi con l’aggiunta di una spolverata di cannella, variante che ricorda molto anche questa la tipica frittella, schiacciata e più grande, dei sūq mediorientali: la pita, profumata di spezie e miele di datteri.

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A cura della Redazione


Ai miei professori O miei cari professori, io non so far la poetessa, anche se ne avrei un piacere che nessuno può immaginare. Penso sempre col sorriso che se è vero che il buon Dio, forse perché si è un po’ pentito di non avermi regalato quello che a tante amiche ha dato, mi ha concesso, per fortuna di avere buoni insegnanti i migliori professori. Tutti i miei son come fiori che in un giardino ingentilito da ben tredici colori fan sentirmi restituito quel che non mi è stato dato. Solo a titolo d’esempio parlo del dolce sorriso della mia professoressa Rita, della buona prof Giusi, dell’indimenticabile Lombardi, della mite Tarantino, e degli altri miei insegnanti. Tutti sono a me vicini, grazie a tutti, a tutti quanti. Poi per debito d’affetto dico grazie ai miei compagni, tutti quanti mi son cari oggi e certo fra cent’anni. Silvia Solida - II LIceo

Liceo Ginnasio “Giovanni Paolo II” Via Umbria 73100 Lecce Tel-Fax 0832-1810102 Email: liceoclassicogp2@libero.it Sito: www.liceogp2.org ************** DIRETTORE Dott.r Fabio Scrimitore - Preside VICE DIRETTORE Beatrice Tommasi - III Liceo

REDAZIONE Per il IV Ginnasio:

Per il V Ginnasio: Per il I Liceo:

Per il II Liceo: Per il III Liceo:

Davide De Vitis Elena Leaci Alessio Marenaci Giuseppe Miglietta Marco Tafuro Angela Durante Roberta Ferrari Luigi Leo Simone Politi Silvia Solida Alessandra Gallo Eleonora Miglietta Simone Pezzuto Beatrice Tommasi

GRAFICA E IMPAGINAZIONE Laboratorio di Comunicazione STAMPA Seminario Arcivescovile Lecce

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