L'Obiettivo - dicembre 2015

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ANNO XIII ~ NUMERO I LECCE, 25•12•2015

Periodico del Liceo Classico "Giovanni Paolo II”

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ome d’autunno si levan le foglie, l’una appresso dell’altra, fin che ‘l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie, allo stesso modo, all’apparir dell’orizzonte delle idi di settembre 2016, le umane, verdi e leggere di spirito foglie del GP2, andranno per il mondo; alcune di loro, dalle agili ali delle loro menti ben nutrite d’affetto e di scienza, saranno invogliate a varcare le impegnative porte delle università, dove potranno giudicare la bontà degli insegnamenti ricevuti nel quinquennio trascorso al secondo piano d’un ex seminario; altre tenteranno impegni immediatamente professionalizzanti; altre ancora, andranno in aule d’altri licei a completar gli studi. Tutte porteranno nel loro animo il tenue ricordo della semplicità d’un piccolo mondo antico, nel quale alla ricerca della qualità degli apprendimenti si è congiunta la cura appassionata per la buona formazione sociale della persona, grazie al discreto ed, a volte, quasi velato, stile con il quale gli insegnanti han-

no cercato di favorire nelle studentesse e negli studenti il sorgere spontaneo del rispetto verso gli altri. Ora, mentre le mani del più giovane fra gli alunni farà nascere l’ultimo Bambin Gesù del GP2, il preside pubblica l’ultimo Giornalino natalizio della scuola, sperando che le famiglie delle studentesse e degli studenti vorranno apprezzare l’impegno dei loro figli e quello dei loro insegnanti.

Fabio Scrimitore • Preside

La Misericordia come insegnamento di vita

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a misericordia (dal latino misericors – genitivo misericordis - e miseror – ho pietàe cor-cordis – cuore-) è una virtù morale che induce chi la prova a compiere opere di pietà. Il sentimento che smuove l’animo di chi sente misericordia è la compassione per l’infelicità altrui. Questa propensione all’empatia verso chi soffre innalza, chi la prova, ad un livello superiore di comprensione della natura umana nella sua interezL’Obiettivo •

za. Compenetrarsi del dolore altrui, farlo proprio e cercare di porvi rimedio, è, al tempo stesso, un’azione che rende migliori noi stessi. In un mondo lacerato da egoismi, protagonismi e paura dell’altro da sé, le parole di Papa Francesco giungono come un balsamo benefico a sanare le nostre ferite: La risposta è la misericordia, la frase è Continua a pag. 3

Roberta Ferrari • III Liceo


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Misericordia Letteraria: Fede, Speranza e Provvidenza

io perdona tante cose per un’opera di misericordia. Con questo celebre inciso, pronunciato da Lucia Mondella nel XXI capitolo de I Promessi Sposi per rabbonire l’animo del crudele Innominato, Manzoni mette in scena uno dei sentimenti più naturali e religiosi di tutti i tempi: il perdono. Lucia prega il suo antagonista con una frase semplice, diretta, spontanea, ma allo stesso tempo forte, una frase che porterà quello stesso tizzone d’Inferno alla redenzione e al cambiamento, una frase che porta con sè il vero senso della Chiesa cattolica e della morale in generale, ossia che tutti possiamo prendere la strada del bene e la strada del Signore, se solo siamo pronti a dare una mano agli altri. Manzoni non condanna gli uomini solo per un errore, per quanto esso sia grave, ma neanche per centomila; il valore e la fede di un uomo si possono dimostrare anche tardi, anche in fin di vita, basta che prima o poi si manifestino. Dopotutto ce l’hanno sempre insegnato: non è mai troppo tardi per cambiare, per invertire la rotta, per cercare di essere persone migliori e cercare sempre e comunque di fare del bene. Dopo quella fatidica frase, che appare quasi come un mantra della provvidenza e del significato stesso della religione per Manzoni, l’Innominato cambierà, anzi diventerà lui stesso, ai fini della narrazione, il personaggio chiave che porterà allo scioglimento finale della vicenda. Allora, se un personaggio tanto crudele, tanto efferato, tanto cattivo quale il conte del Sagrato è riuscito a cambiare e a diventare simbolo stesso della provvidenza, perché noi no? Perché non possiamo fare un passo indietro e cercare di tornare sulla retta via? Magari aiutando gli altri, magari facendo del nostro meglio per il prossimo anche nel nostro piccolo, magari dando un po’ della nostra forza a chi ne ha bisogno o a chi sta peggio di noi; un po’ come diceva Madre Teresa di Calcutta: nessun uomo è così dritto come quando si china per aiutare un altro. Il perdono di Dio è grande, la sua misericordia infinita e basta davvero poco per riuscire a rientrare nelle sue immense braccia dopo aver perso la strada. Nel Medioevo, tuttavia, forse per una vicinanza troppo stretta tra il potere temporale e quello spirituale, si credeva che quando un uomo sbagliava fosse per sempre e che la sua via per quanto questi si pentisse fosse inequivocabilmente lastricata verso l’Infer-

no. Di questa opinione tuttavia non si faceva portavoce Dante Alighieri che parlando nel III canto del Purgatorio di Manfredi, scomunicato più volte da papa Clemente IV, dice: «ma la bontà infinita ha sì grandi braccia / che prende ciò che si rivolge a lei» (Purgatorio, Canto III, vv.122-123). Con queste parole forti e intense il sommo poeta sintetizza il suo pensiero: nessun membro della Chiesa cattolica romana può decidere la dannazione o la benedizione di un uomo perché solo Dio ha il compito di accogliere a se o respingere le anime. Dopotutto lo stesso Manfredi lo dice: «Orribil furon li peccati miei» (Purgatorio, Canto III, v.121), ma la misericordia divina accoglie tutti coloro che si pentono e che dimostrano di essere cambiati davvero. Per concludere, non bisogna mai pensare troppo a se stessi e pensare unicamente alla propria vita, ma a volte bisogna anche dedicarsi agli altri, aiutare le persone più sfortunate di noi, o quelle che non conoscono l’amore o l’amicizia, o quelle che purtroppo non possono avere ciò che a noi è concesso e soprattutto bisogna sempre ricordare che non per forza si devono fare cose grandiose per cambiare la vita degli altri, ma anche un sorriso o una mano tesa per aiutare, se fatti con il cuore, possono davvero migliorare le prospettive delle persone in difficoltà. Come diceva lo stesso Manzoni: «si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio» (I Promessi sposi, capitolo XXXVIII, rr.462-63).

Luigi Lazzari • II Liceo

Incoronazione di Manfredi (1258), Da Cronica Nuova di Giovanni Villani. Codice Chigi L.VIII.296, fol. 85r (XIII sec.). Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana. in alto:Frontespizio de I Promessi Sposi con l’illustrazione di Francesco Gonin. Milano, 1840-42.

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Continua dalla prima di copertina

stata proferita in un omelia che affrontava il problema della gestione dei flussi migratori dai paesi extraeuropei, ma può essere applicata e suggerita in ogni contesto quotidiano. Misericordia occorre per riuscire a comprendere le motivazioni che hanno portato agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015; la misericordia è fondamentale per accogliere tutti gli immigrati che giungono da noi per sfuggire ad un destino di fame, paura e dittatura. È sempre lei che ci aiuta immedesimarci nella vita dell’altro, che viva vicino a noi o dall’altra parte del mondo. Essa ci ricorda che non dobbiamo giudicare e che non siamo migliori di altri. La misericordia ci eleva e mortifica nello stesso tempo. Ci rende migliori e più vicini a Dio e contemporaneamente ci ricorda che siamo polvere e che polvere ritorneremo. Provare misericordia verso l’altro, ogni giorno della nostra vita, gli uni verso gli altri, sarebbe la soluzione a tutti i drammi e le tragedie che quotidianamente affliggono il mondo. Se ognuno di noi imparasse a provare pietà verso l’altro non avrebbe il coraggio e la forza di fare male a nessuno. Sono consapevole, nella mia pur giovane vita, che si dovrebbe essere tutti più misericordiosi, perché questa sarebbe la via verso la Pace. Questa è la via, l’unica, che l’umanità ha per poter sopravvivere, per non andare incontro, inesorabilmente, alla disfatta finale: La risposta è la misericordia. LA MISERICORDIA COME INSEGNAMENTO DI VITA

di Roberta Ferrari • III Liceo

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Paraolimpiadi e solidarietà sportiva

uando si tratta di misericordia nei confronti di persone che per una motivazione o per un’altra hanno problemi fisici o psichici che gli impediscono di svolgere le normali attività a cui nessuno di noi dovrebbe essere escluso, come correre, giocare, studiare o anche semplicemente fare una passeggiata al parco, tutti noi ci sentiamo molto coinvolti sia emotivamente sia socialmente. Alcuni fanno parte di associazioni benefiche che contribuiscono ad aiutare i meno fortunati, altri donano ingenti quantità di denaro per incoraggiare la ricerca contro gravi malattie e altri ancora aiutano fisicamente queste persone facendo volontariato. L’obiettivo fondamentale quando si intraprendono questo tipo di attività non è quello di compatire le persone diversamente abili e farle sentire appunto diverse, lontane da noi, ma farle sentire parte del nostro mondo, come persone speciali che nonostante tutti i problemi possono svolgere come e meglio di noi le diverse attività della vita di ogni giorno ma anche quelle agonistiche. Ecco perché nel 1960 in Italia sono nate le prime paraolimpiadi, ossia dei giochi olimpici a cui possono partecipare anche persone affette da handicap che non si fermano per questo ma vogliono combattere per quella gloria che spetta alla loro bravura e perizia. Lo sport unisce, migliora, permette di mettersi in gioco e di vincere le proprie paure, e allora quale miglior medicina per quelle persone che spesso perdono le speranze perché si considerano e si vedono come diverse da tutti gli altri? Lo sport offre loro una seconda possibilità, offre un modo per superare i propri ostacoli e per vivere di nuovo senza schemi, senza limiti ma solo con la voglia di mettersi

alla prova. La misericordia in fondo è anche questa: è capire quello che una persona vuole, quello che desidera, quello che brama di più ma che per diverse cause non può avere e quindi aiutare e tendere una mano e far comprendere che nella vita nulla è impossibile se si è in due, o in tre o in tremila, ma con l’unione si ottiene la forza. Non importa quante volte cadi, ma come ti rialzi, diceva Seneca. Questa è la lezione che gli atleti paraolimpici offrono a noi, una lezione e un esempio di coraggio, di forza, di temperanza e di fortezza. Lo sport permette a loro tutto questo perché con la sua semplicità e allo stesso tempo complessità tende quella mano verso un mondo migliore. Concludo con la frase del pedagogo francese Pierre de Coubertin: «Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerne». Marco Morciano • II Liceo

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La Pietas

a pietà per ogni essere vivente è la prima valida garanzia del buon comportamento dell’uomo, così il filosofo Arthur Schopenhauer parla della pietà, sentimento che connette l’interiorità dell’uomo alla realtà esterna, il suo Io alle vicende altrui, spesso dolorose. La pietas può persino spingersi fino all’empatia, l’immedesimarsi della propria coscienza in quella degli altri ad un punto tale che non sono più distinguibili, e la compassione che consiste nel provare lo stesso dolore delle persone che sono vicine. Nell’era contemporanea è questa ciò che è la pietà: un affetto che avvicina gli esseri umani e li fa sentire parte di una stessa comunità. Il cristianesimo, religione predominante attualmente, è una delle basi essenziali della cultura occidentale; ha diffuso e dato ulteriore fondamento a tale concezione facendo arrivare sino ai nostri giorni l’idea di una pietà che quasi abbatte i muri e i confini che separano uomini e donne e ciò, attualmente, non potrebbe portare che alla pace e al riconoscimento della pari dignità umana, il ché, oggi, sono più che mai necessari. Anche nel mondo antico la pietà era tenuta in grande considerazione tanto che veniva personificata come una vera divinità: la Pietas, incisa sulle monete come una figura femminile offerente incenso o recante un bambino. Come Dea era

preposta al compimento da parte dei cittadini romani del proprio dovere nei confronti della Patria, dei propri familiari e, non ultimi, gli dei. Infatti, la pietà era concepita in modo assai diverso dai Romani. Faceva parte essenziale del mos maiorum, ossia di quel sistema di valori il cui rispetto accomunava tutti i cittadini di Roma. Essa, inizialmente, riguardava esclusivamente l’ambito familiare ma, in seguito, rivestì sempre in ambito morale anche la devozione nei riguardi della divinità. L’esempio più eclatante di pietas offerto dalla tradizione antica è dato dall’eroe Enea, definito, non a caso, pius; non perché fosse particolarmente buono o generoso ma per via del suo rispetto nei confronti degli Dei per cui abbandona la regina africana Didone di cui si è innamorato e salpa alla volta dell’Italia in cui, secondo il volere degli Dei, fonderà una nuova patria per il suo popolo. Di fronte ad una Didone disperata dalla sua partenza, Enea, poi, sottolinea: L’Italia la cerco non spontaneamente ma per pietas, appunto, ossequio verso l’ineluttabile scelta degli dei.

Riccardo Distante • III Liceo  Peter Paul Rubens, Ettore trafigge Achille, 1630-35. Rotterdam, Museum Boymans-van Beuningen.

In Copertina

L’immagine di copertina riporta la Natività di Carlo Maratti, anche noto come Maratta, nato a Camerano, nelle Marche, nel 1625 e morto a Roma nel 1713. Giunto nelle Marche con la sua famiglia, dalla Dalmazia, per sfuggire alle invasioni turche. Il giovane Maratta, mostrando da subito talento per le arti figurative. Si trasferì a Roma al seguito del fratello Bernabeo dove venne incoraggiato da un prete alla realizzazione delle prime opere e a ad entrare nella bottega di Andrea Sacchi come allievo restandovi fino al 1636, qui studiò soprattutto le opere di Raffaello e dei Carracci. Dopo i primi successi a Roma lavorò a Monterotondo, alla pala della cattedrale, a Nocera Umbra, e poi tornò a Roma, dove nel 1650 dipinse la Natività per la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. In essa il pittore mostra per la prima volta la sua maturità artistica, svincolandosi sia dagli eccessi del Barocco, sia dalle forme accademiche del Raffaello. Il Guercino e il Tiziano sicuramente lo influenzarono in questo processo. Da questo momento il Maratta diventa un pittore importante, ricercato dai collezionisti internazionali. Si tratta di una scena intima, dove la Madonna e il Bambino, sono avvolti da una luce che li unisce e, nel contempo, li separa dal resto del mondo. Solo gli angioletti, anch’essi baciati dalla luce, sono ammessi alla magia e al mistero. Dipinse molte immagini della Vergine e per questo era noto come “Il Carluccio delle Madonne”. Il colore è ricco, la luce intensa e calda.

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L’amore misericordioso del Padre

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eati i misericordiosi, perché troveranno misericordia: queste sono le parole usate da Gesù nel Discorso della Montagna alla folla di persone che lo ascoltava. Quest’episodio è uno dei tanti riportati nei Vangeli in cui Egli parlò di misericordia; per capire bene cos’è, bisogna analizzare la Sua vita, caratterizzata da gratuiti atti d’amore verso il prossimo. Ebbene sì, quando il Cristiano parla di misericordia si riferisce all’amore di Dio, dato a tutti gli uomini indistintamente, senza alcun merito, basti pensare a quando l’evangelista Matteo scrive: Il signore fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi (5,45). Però c'è una condizione molto importante che bisogna vivere, per ricevere questo dono, riconoscersi umili, fragili e bisognosi. Oggi come si può vivere bene la misericordia? La risposta è molto semplice: si attua e si concretizza mediante il perdono, che non vuol dire fare la pace, come succede tra bambini, ma significa donarsi e accogliere il prossimo, con l’amore; Sant’Agostino affermava che la misericordia è l’amore stesso di Dio che colma tutte le miserie e le fragilità umane. Dunque per operare la misericordia è necessario vivere sempre e dovunque nell’amore; i luoghi privilegiati possono essere la famiglia, la scuola, ovunque si stia a contatto con gli altri, ma ciò non toglie che bisogna viverlo anche nelle condizioni più estreme e impensabili che la vita mette davanti. Ci sono quattro aspetti della Misericordia, che vengono messi in risalto, in tre parabole all’interno del Vangelo di Luca: quella della pecorella smarrita, della moneta perduta e del padre misericordioso. La Misericordia è amore dinamico perché non aspetta richieste d’aiuto, ma spinge sempre la persona a fare il primo passo; è amore che si fa gioia, perché porta al raggiungimento di un obbiettivo cioè alla felicità vera e duratura; è amore che si fa condivisione, non si è mai da soli ma si gareggia nell’amarsi e nello stimarsi a vicenda (Rm 12,10); è amore che si fa accoglienza, l’esempio lampante sono i fidanzati, che vicendevolmente esaltano i loro pregi e allo stesso modo amano i loro difetti (cit. G. M.). Per concludere, la Misericordia è amore che si dona gratuitamente e totalmente, che non aspetta contraccambi, ma che rende la persona felice già nel donare, perché per dare bisogna avere e per avere bisogna aver ricevuto. Luca Potì • II Liceo

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Aver cura della casa comune L

’altro giorno ho letto che in Groenlandia i ghiacciai hanno perso miliardi di tonnellate. Nel Pacifico c’è un Paese che sta comprando da un altro Paese terre per traslocare il Paese, perché entro 20 anni quel Paese non ci sarà più… Le acque del Pacifico lo copriranno di qualche metro. Frasi preoccupanti, queste, pronunciate dal Papa il 30 novembre scorso, nella conferenza stampa che il Pontefice ha tenuto sull’aereo che lo riportava a Roma dalla Repubblica Centrafricana. In quel poco fortunato Paese, Francesco aveva dato avvio all’anno della Misericordia, aprendo la porta santa della cattedrale di Banguì ed aveva concluso con quelle parole la risposta alla domanda sui temi ecologici, che gli avevano rivolto i giornalisti; ai suoi cronisti aveva confidato la speranza sul buon esito della XXI Conferenza sul clima, che si stava svolgendo a Parigi. Il Papa sperava che i rappresentanti dei 195 Stati si sarebbero accordati su almeno qualcuna delle iniziative ritenute indispensabili per porre un freno alle violenze che la società porta da qualche secolo all’ambiente con paurosa incoscienza. L’umanissima modestia di Papa Francesco, che lo porta a salire la scaletta dell’aereo solo e curvo, come un qualsiasi anziano padre di famiglia, e

che lo fa rivolgere ad assemblee di migliaia di persone con il bonario sorriso di chi conversa con un amico, qualche volta sembra che lo spinge ad esprimere concetti troppo semplici, tanto semplici quanto possono esserlo le parole appena trascritte, con le quali il Pontefice ha voluto richiamare implicitamente i pensieri che egli aveva espresso nella sua bella enciclica Laudato si’. Con semplicità evangelica Francesco ha scritto l’enciclica per invitare tutte le persone, non soltanto il clero ed i fedeli, ma proprio tutti gli uomini del mondo, anche le persone che non vogliono sentirsi comprese fra gli uomini di buona volontà, ad aver cura della casa comune. C’è qualcosa di più naturale e, quindi, di più semplice, che dedicarsi alla cura della propria casa? Forse, soltanto una persona venuta dalla fine del mondo, un cardinale-arcivescovo che raggiungeva le estreme parrocchie di Buenos Aires in metropolitana senza i segni della sua dignità ecclesiastica, un papa che si sente più a suo agio in una piccola suite d’albergo vaticano, piuttosto che fra le solennità degli affreschi rinascimentali del Palazzo degli Apostoli, e che viaggia in un’utilitaria Ford, soltanto una persona tanto semplice poteva ricordare che la prima cura delle persone è quella di conservar belli e confortevoli la propria casa, il proprio paese, la propria nazione, in modo da lasciarli alle generazioni successive non men belli e non men confortevoli di quanto non li abbia ricevuti dai genitori. E soltanto un personaggio che parla il linguaggio tanto poco attuale delle persone semplici poteva suggerire una via che nessun uomo di Stato avrebbe mai proposto, per interrompere quell’apparentemente inarrestabile processo di disumanizzazione del creato, della bellezza dei suoi variegati paesaggi e del valore sue risorse energetiche: quella di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile ed integrale. Di fronte allo spavento che già coglie gli abitanti delle lontane isolette-atollo della Polinesia e della Micronesia, tanto da indurre quelle comunità a comprar terre in altre isole, più alte delle loro sul livello dell’oceano, per poter continuare a farvi vivere i propri figli, è probabile che il

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Papa abbia voluto invitare chi lo voglia ascoltare a prendere atto che i modelli sociali oggi più affermati nel mondo, debbono essere radicalmente rivisti, se si vuol salvare il mondo dagli imminenti pericoli che hanno spinto i rappresentanti dei 195 Stati a riunirsi a Parigi, per concordare misure ed iniziative che, nei prossimi anni, possano contenere entro 2 gradi centigradi l’innalzamento della temperatura dell’atmosfera, per non far sciogliere i ghiacciai della Groenlandia, insieme con quelli che rendono bella la contemplazione delle Alpi e delle tante catene montuose, che la titanica deriva delle zolle tettoniche ha generato nel tempo. Si potrebbe intuire il pensiero di Francesco, pensando che non sono i popoli che vivono con poche migliaia di dollari l’anno i veri responsabili dei disastri climatici dei quali si è parlato nella XXI Conferenza di Parigi; gli autori dei disastri al pianeta Terra vivono nelle nazioni che hanno il PIL più alto, quelle nazioni che consumano la gran parte dell’energia prodotta o estratta dal sottosuolo. Ma non sono, forse, queste le nazioni che vivono gli stili suggeriti da culture ostentatamente secolarizzata ed i cui cittadini, almeno in forte maggioranza, vivono come se Dio non esistesse, come se l’unico giudice dei loro stili di vita fosse la loro coscienza. Non sono forse queste le nazioni che hanno posto al vertice degli interessi indivi-

duali e sociali il profitto, quelle che oppongono le maggiori resistenze a ridurre i consumi energetici, perché non intendono cambiar i modelli di vita che generano agi immediati? Se queste sono domande alle quali non si potrà rispondere che affermativamente, apparirà del tutto logico che il Papa abbia suggerito a questi Paesi, che per primi sono riusciti a raggiungere i vertici dell’opulenza, grazie a stili di vita vissuta lontano da Dio, di riflettere se non sia giunto il tempo in cui è necessario riconoscere che, se si continuerà a vivere come se Dio non esistesse, si andrà incontro all’autodistruzione. I ghiacciai continueranno a sciogliersi, il livello del mare continuerà a salire e le città costiere a sparire: lo richiede la

necessità di sempre maggiore energia fossile e nucleare. Servirà più energia per le industrie automobilistiche, che non potranno veder diminuire il numero delle auto prodotte, per non essere obbligate a licenziare gli operai; occorrerà più cherosene per gli aerei che, in numero sempre maggiore, solcheranno i cieli inondandoli di CO2; e sempre crescente energia sarà necessaria per le abitazioni di tutto il mondo, che dovranno essere raffreddate d’estate e riscaldate d’inverno. Di fronte a tanta preoccupazione sembra sentir Francesco che, con voce lenta e grave, suggerisce ai governanti ed ai governati di ricordare che nella storia degli uomini si è già sentita una voce, che egli definisce ispirata, la quale raccomanda ancora agli uomini di non limitarsi a coltivare la terra; quella voce invita le genti a custodire la generosa terra, per poter permettere che vi potessero umanamente anche le generazioni future.

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La dimensione mistica di quella voce ha trasformato quelle parole in poesia: il mondo non è una conquista dell’uomo, ma un dono ricevuto gratuitamente e, come tutti i doni, va rispettato, soprattutto per riconoscenza verso colui che ha operato il dono. E la poesia del creato ha superato secoli di storia e si è manifestata nelle parole di colui al quale il Papa si è ispirato nell’accettare l’elezione al soglio pontificio: Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo noi i proprietari e dominatori, tanto da saccheggiarla.

Fabio Scrimitore Preside


Migrare... nella misericordia

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n primo significato in cui l’accezione laica e quella religiosa di misericordia s’incontrano è quello della grande questione degli Immigrati: una forma di Esodo di dimensioni bibliche, che sta sempre più incalzando i Paesi dell’Occidente. Di quell’Occidente in cui la caduta del Muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989, ha determinato un cambiamento epocale nelle relazioni tra Stati e tra Popoli e che ha preso il nome di globalizzazione. Prima di questo evento il mondo era una realtà socio-politico-culturale dualista: il Polo Sovietico ed il Polo Statunitense intorno ai quali abitavano gli Stati alleati. L’unificazione delle due Germanie ha rappresentato l’unificazione del mondo intero con la conseguente caduta delle frontiere e l’Era della globalizzazione è stata culturalmente accolta come baluardo di unione, multietnicità, libertà, affermazione dei diritti umani. L’effettività di questi valori della comunità internazionale, però, si sta dimostrando debole rispetto all’accoglienza di persone costrette dalle guerre ad abbandonare la propria terra e a rimettere radici in nuove realtà di vita sociale. Ci sono, pertanto, prese di posizione diverse tra i Paesi interessati dall’Immigrazione. Ci sono posizioni poco rispettose dei diritti umani teoricamente enunciati ed astrattamente accolti dato che, nella realtà, si alzano barriere di rivendicazioni identitarie mal celatamente nazionalistiche. Ci sono, di contro, posizioni di disponibilità all’apertura, che si concretizza in interventi estemporanei di primo soccorso dettati da un senso di

solidarietà spicciola ribattezzata col termine di buonismo, che è insufficiente per determinare uguaglianza in termini di pari dignità umana. Perché ci sia una reale pari dignità è indispensabile che ogni uomo si riconosca nell’altro abbattendo con l’intelligenza elementi contingenti assunti, dal più forte, come orgoglio di appartenenza: ad una etnia, ad un ceto, ad un censo, ad un credo. Dato che l’intelligenza umana è comprensiva di ragione e di cuore la misericordia si concretizza nel farsi miseri di cuore, ossia di abbandonare tutto ciò che impedisce la libertà di riconoscersi nell’altro. Solo così avviene che si creino le condizioni per cui le cosiddette migrazioni di massa si trasformino in incontri di uomini abitanti lo stesso mondo. Angela Durante • III Liceo

La misericordia ne "I miserabili"

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miserabili, libro scritto dal francese Victor Hugo, costituiscono un mezzo per raccontare lo scenario della Francia dell'Ottocento. Il romanzo, costantemente condito con episodi di cui la misericordia è il soggetto, racconta la crisi della democrazia francese fino ai primi anni della Monarchia di luglio. Sono anni solcati da tensioni sociali che esplodono in rivolte popolari e lotte intestine. La Francia diventa teatro di continue lotte civili e disperazione: lavoratori sfruttati e una società che condanna all'infelicità e all'ignoranza. Il romanzo, quindi, non si limita ad essere una denuncia sociale, ma contrappone la misericordia umana in tempi di disperazione ed infelicità a lotte e rivoluzioni del tutto prive di clemenza, portatrici di male e dolori. Colui che più viene elogiato per la sua carità è Monsignor Myriel, vescovo di Digne, divenuto poi Monsignor Bienvenu.

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La sua umiltà e clemenza emergono, in particolare, quando ospita Jean Valjean, ex galeotto nel carcere di Tolone. Il malvivente approfitta dell'ospitalità per rubare dei preziosi argenti dalla casa dell'ecclesiastico e poi scappare. L'atto misericordioso di Monsignor Bienvenu consisterà nel lasciar passare l'azione sbagliata, regalando gli argenti a Jean Valjean nonostante questi volesse restituirli. Monsignor Myriel, quindi, diventa lo strumento concreto della redenzione dalla miseria dell'ex galeotto. Un altro avvenimento da ricordare è quello riguardante Javert, un fanatico poliziotto che sembra aver trovato un significato per la sua vita nell'allucinante caccia all'evaso Valjean. Un fatto imprevedibile, però, sconvolge il naturale evolversi degli eventi: Valjean salva la vita a Javert. Fino all'ultimo, dopo essere stato salvato dal fuggiasco, il poliziotto non saprà arrestarlo e si autopunirà per questa mancanza, suicidandosi. Il fascino dell'imperturbabilità di Javert consiste proprio nell'essere permeabile alla miseria solo alla fine del romanzo, e di farsi toccare da quella bontà che supererà l'imperativo del dovere e salverà dalla cattura il nemico di sempre, Jean Valjean. Eugène Delacroix, La Liberté guidant le peuple, 1830, Alla fine delle vicende, Jean Valjean ritrova Olio su tela, 260x325 cm. Parigi, Musée du Louvre. la sua dignità grazie all'altrui misericordia che ha trasformato la sua tragedia esistenziale in un percorso di redenzione e gli ha dato il coraggio di vivere senza odio e disperazione. A questa clemenza e misericordia si contrappongono le ingiustizie, le lotte e gli squilibri radicati nella società francese di quel tempo. Francesca Cupri • III Liceo

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La musica fonte di libertà a musica è, forse, la forma espressiva che consente di esprimere i propri stati d’animo anche a coloro che parlano lingue del tutto diverse dalla propria.

La cetra ha consentito agli aedi, come Omero, di far conoscere le imprese di Achille e di Ettore a tutti coloro che hanno vissuto tremila anni or sono sotto i tenui cieli dell’Attica e del Peloponneso; il flauto ha permesso ai pastori dell’Arcadia di far intuire agli abitanti delle città il sereno fascino della vita dei campi; il liuto ha dato ai poeti del dolce stil novo il potere di cantare l’elegante comportamento dei cavalieri che sedevano con Re Artù in Camelot intorno alla Tavola Rotonda; l’organo ha generato la virtù di far immaginare a chi ha vissuto i drammi della guerra dei trent’anni quale atmosfera celestiale possano vivere gli abitanti del paradiso; il pianoforte ha dato a Mozart la possibilità di deliziare con minuetto, la sonata, la sinfonia ed il melodramma i cortigiani imperiali della Mitteleuropa dell’ultimo Settecento e quelli del primo Ottocento ed la stessa estesissima tastiera bianco-nera ha permesso a Chopin di far percepire alle eleganti dame della corte di Versailles la melanconia di una Polonia ferita dagli usurpatori dell’Est europeo. La musica, infine, ha fatto trascendere al genio umano la pura celebrazione delle forme della natura e gli ha dischiuso le infinite possibilità della creatività pura, consentendo al compositore di servirsi delle dodici note non soltanto per imitare le voci fluttuanti delle fontane o quelle dei respighiani Pini di Roma, o i rombi dei tuoni delle tempeste beethoveniane o, ancora, le paure di Pierino inseguito dall’ululato del lupo di Prokofiev, ma permettendo al musicista di parlare al mondo con linguaggi liberi dalle convenzioni linguistiche o figurative che hanno strutturato i tanti modi con i quali le tante nazioni che popolano il pianeta esprimono quel che percepiscono con i cinque sensi. La musica, così, è divenuta il linguaggio più aperto alla rappresentazione del mondo e delle emozioni degli uomini: divenendo, la voce più pura dello spirito libero. E la libertà, forse, non nasconde sotto le sue diverse forme realizzate nella storia una sorta di concessione misericordiosa di Dio all’uomo?

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L’Anno Santo della Misericordia

l Giubileo straordinario della misericordia è stato indetto da papa Francesco per mezzo della bolla pontificia Misericordiae Vultus. Lo stesso pontefice il 13 marzo 2015, nel corso di una funzione religiosa, aveva anticipato l’evento con queste parole: «Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della Misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell'Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'universo e volto vivo della misericordia del Padre. Affido l'organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare a ogni persona il vangelo della Misericordia». Lo scorso 11 aprile, nell'atrio della Basilica di San Pietro dinanzi a una grande folla, Papa Francesco ha indetto l'Anno Santo Straordinario della Misericordia ed ha simbolicamente consegnato la Bolla, con il suo sigillo in piombo, ai quattro cardinali delle basiliche papali. In maniera simbolica, inoltre, ha voluto farla recapitare a tutti i Vescovi e alle Chiese sparse nel mondo perché ha espresso il desiderio che questo Giubileo sia celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa. Il papa ha inoltre disposto che quanti per diversi motivi saranno impossibilitati a recarsi alla Porta Santa: ammalati, persone anziane e sole possano vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore che nel mistero della sua passione, morte e risurrezione indica la via maestra per dare senso al dolore e alla solitudine. Ha pensato anche ai carcerati che potranno ottenere l’indulgenza ogni volta che passeranno dalla porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre. Quindi, a differenza degli altri anni santi, diverse sono le modalità ma la forma rimane intatta, l'invito ai credenti è sempre identico: farsi pellegrini per ricevere l'indulgenza.

L’annuncio di Papa Francesco di indire un Giubileo della Misericordia ha colto tutti di sorpresa ma la misericordia è un punto di riferimento permanente per Papa Francesco, è la felice conseguenza di questa attenzione e della testimonianza che quotidianamente egli offre alla Chiesa e al mondo. Il Giubileo è un’occasione straordinaria per dare forza e vigore a ciò che costituisce la vita ordinaria della Chiesa e di ogni cristiano, esso intende ricordare ad ognuno la bellezza della fede che pone al suo centro l’amore misericordioso del Padre reso visibile nel volto di Cristo e sostenuto dallo Spirito che guida i passi dei credenti nelle vicende della storia. Il 15 ottobre u.s. si sono riuniti, presso la sede del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, i membri del gruppo di lavoro del Giubileo dei Catechisti per definire il programma, che si svolgerà a Roma dal 23 al 25 settembre 2016, e pianificarne ogni attività ispirandosi al motto del pontificato di Papa Francesco Miserando atque eligendo (Lo guardò con amore e lo scelse). Il Giubileo dei Catechisti si concluderà la Domenica alle ore 10:00, quando il Santo Padre Francesco presiederà, in piazza San Pietro, la S. Messa. Lo Scopo di questo evento, oltre che dare la possibilità a chi ne prende parte di ricevere l’Indulgenza Giubilare, è quello di ricordare che la catechesi e l'educazione religiosa (operata dai catechisti, dagli insegnanti di religione e dagli educatori) è la prima delle opere di misericordia spirituale perché avvicina coloro che non conoscono Dio e aiuta chi già lo conosce ad amarlo e conoscerlo di più, come ci ricorda nella Misericordiae Vultus il Papa. Monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, alla domanda di Alberto Bobbio, durante l’intervista del 22 ottobre per Famiglia Cristiana, su cosa significa “misericordia” per il pellegrino, ha così risposto: «Accogliere gli altri, ascoltare le persone in ogni ambiente. Nel mio intervento al Sinodo ho spiegato che la misericordia si sperimenta in primo luogo in famiglia. La misericordia è uno stile, anzi prima ancora una visione profonda dell’uomo e del mondo. Non per nulla si parla di Vangelo della misericordia. Il Papa con la decisione di dedicare un anno alla centralità dell’accoglienza a partire dai segni, dai gesti, dall’impostazione delle celebrazioni e dagli orientamenti pastorali, intende richiamare tutta la Chiesa a una conversione pastorale. La misericordia non è un etichetta da appiccicare qui e là su alcune opere, su alcune azioni di volontariato. Sono importanti le opere e le azioni, nessuno lo nega. Ma la misericordia è una persona, è il volto di Cristo con il quale ci incontriamo tutti i giorni faccia a faccia nelle parole del Vangelo». Renato Formisano • III Liceo

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LAUDA DEL NATALE Anonimo del XIV secolo Cantiam di quello amor divino, di Iesù Cristo piccolino. Or quellera amor rosato veder Cristo, amor beato, picciolino fantin nato, aulente fior di gersonzino Sì fu alto amore e caro, che i tre magi l'aroraro; con reverenzia i presentaro encenso e mirra e auro fino. Grande umiltade pensare che volse l'angel andare alli pastori annunziare che è nato Cristo mammulino. La mangiatoia fu il suo letto, l'asin e i bue ebbe ‘n sul petto, ben ebbe ‘l mondo in dispetto fin ched e' fu picciolino.

IL PRESEPE di Salvatore Quasimodo Natale. Guardo il presepe scolpito dove sono i pastori appena giunti alla povera stalla di Betlemme. Anche i Re Magi nelle lunghe vesti salutano il potente Re del mondo. Pace nella finzione e nel silenzio delle figure in legno ed ecco i vecchi del villaggio e la stalla che risplende e l'asinello di colore azzurro.

UNA STELLA SULLA STRADA DI BETLEMME di Boris Pasternak Era inverno e soffiava il vento della steppa. Freddo aveva il neonato nella grotta sul pendio del colle. L'alito del bue lo riscaldava. Animali domestici stavano nella grotta. Sulla culla vagava un tiepido vapore. Dalle rupi guardavano assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte. E li accanto, sconosciuta prima d'allora, più modesta di un lucignolo alla finestrella di un capanno, tremava una stella sulla strada di Betlemme.

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LUCE, PACE, AMORE di L. Housman La pace guardò in basso e vide la guerra, "Là voglio andare" disse la pace. L'amore guardò in basso e vide l'odio, "Là voglio andare" disse l'amore. La luce guardò in basso e vide il buio, "Là voglio andare" disse la luce. Così apparve la luce e risplendette. Così apparve la pace e offrì riposo. Così apparve l'amore e portò vita.


Bambino Gesù asciuga ogni lacrima Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli! Accarezza il malato e l’anziano! Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace!

LICEO GINNASIO “GIOVANNI PAOLO II” Via Umbria, snc - 73100 Lecce Tel-Fax 0832-1810102 Email: liceoclassicogp2@libero.it Sito: www.liceoclassicogp2.it ************** DIRETTORE Dott. Fabio Scrimitore • Preside

Invita i popoli, misericordioso Gesù,

VICE DIRETTORE

ad abbattere i muri

Roberta Ferrari • III Liceo

creati dalla miseria

RICERCA IMMAGINI Luca Potì • II Liceo

e dalla disoccupazione, dall’ignoranza

GRAFICA ED IMPAGINAZIONE Simone M. Politi • già alunno del liceo

e dall’indifferenza, dalla discriminazione e dall’intolleranza. Sei tu, Divino Bambino di Betlemme, che ci salvi,

STAMPA Seminario Arcivescovile di Lecce don Massimiliano Mazzotta REDAZIONE

liberandoci dal peccato.

Per il II Liceo:

Sei tu il vero e unico Salvatore,

Luca Potì Luigi Lazzari

che l’umanità spesso cerca a tentoni.

Marco Morciano

Dio della pace, dono di pace

Per il III Liceo:

per l’intera umanità, vieni a vivere

Angela Durante Francesca Cupri

nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.

Renato Formisano

Sii tu la nostra pace

Riccardo Distante

e la nostra gioia!

Roberta Ferrari

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