L'Obiettivo - dicembre 2010

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PERIODICO DEL GINNASIO-LICEO “GIOVANNI PAOLO II” SUPPLEMENTO DE “L’ORA DEL SALENTO” Liceo-Ginnasio “Giovanni Paolo II” Lecce

ANNO VII- NUMERO 1 LECCE, 16 DICEMBRE 2010 Le eleganti insegnanti ed i cordiali professori, uniti idealmente, vicino al Presepe, ai gentili Direttori dell’Ufficio di segreteria, all’ Economo, al Preside, alle care studentesse ed ai loro sorridenti compagni di classe, rivolgono un caloroso e grato augurio di serenità all’Arcivescovo, mons. Domenico D’Ambrosio, ed un affettuoso augurio di giorni felici alle famiglie che hanno affidato i loro figli al Liceo Giovanni Paolo II, ed a tutti i cortesi lettori.

Fabio Scrimitore

Prossimo il 150° anniversario, che vedrà “risorgere” la nostra Italia, più unita e coesa che mai, esprimo, a nome degli studenti del Liceo, un auspicio, che vuol essere anche una doverosa, ma soprattutto sentita, riflessione sul fatidico evento, datato 17 marzo 1861. Nonostante che, sin dalle sue prime manifestazioni di unità, cioè, a partire dal 1849, l’Italia avesse mostrato una comprensibile propensione per il “divisionismo”, frammista ad un temperamento sociale piuttosto ribelle, nonostante ciò, la via dell’unità che avrebbe congiunto i sette Stati che, dalle Alpi a Pantelleria, governavano il popolo italiano, non tardò molto a divenire percorribile. Gli Stati pre-unitari avevano davanti a sé una scelta quanto mai difficile, anzi, drammatica; i loro governanti continuavano a chiedersi se sarebbe stata più foriera di successo per le fortune delle popolazioni italiche l’alleanza con l’ambizioso Regno Sabaudo, con il conseguente pericolo di vedersi as-

sorbire, presto o tardi, in un Piemonte ingrandito, oppure se sarebbe stata preferibile un’alleanza con la megalomane ed iper-conservatrice Austria, accettando il pericolo d’una separazione dalle forze politicamente e culturalmente più vive del paese, rappresentate dagli spiriti liberi, espressi dalla cultura di quegli anni. La scelta del 1848 di quei Governi pre -unitari cadde su questa seconda soluzione, e grazie a questa difficile opzione, essi riuscirono a procrastinare d’un paio di lustri il loro epilogo, divenuto inevitabile in quel contesto, dominato dai tentativi egemoni delle grandi Nazioni europee, quali la Francia e l’Inghilterra, che guardavano alla Penisola con la stessa ansia di influenza che, nell’età moderna, aveva spinto in Italia gli eserciti del cattolicissimo Re di Spagna e del cristianissimo re di Francia. Tra il 1859 e il 1860 non ci fu un vero scontro tra borghesia liberale e vecchie classi dirigenti; queste ultime, sembravano rassegnate ad una temporanea accettazione della nuova realtà.

Nella sapienza politica del Conte di Cavour, e nella genialità strategica e tattica dell’Eroe dei due mondi, oltre che negli ideali repubblicani di Mazzini, si espresse lo spirito unitario delle popolazioni italiane, tra il 1859 ed il 1860; quei grandi patrioti coinvolsero nello slancio verso l’unità gran parte del Popolo ed all’unità portarono le imprese militari delle forze francopiemontesi, e di quelle di Garibaldi, culminate, queste ultime, nella battaglia del Volturno. Proprio questa battaglia, ricordata giorni or sono dal Presidente Giorgio Napolitano, concluse l’epopea dei Mille, vedendo accorrere, all’alba del primo ottobre 1860, sulle rive del fiume campano oltre 20 mila giovani: tra i quali, studenti, intellettuali, medici ed operai. L’incontro di Teano, del 26 ottobre 1860, dette agli storici la possibilità di fissare in quel giorno la conclusione della prima grande impresa unificatrice. Elena Sozzo - III Liceo

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Che strano ritrovarsi tutti insieme, come se ci conoscessimo da anni, ad imbastire le pagine del nostro giornale, con stralci sulla nostra vita, quando mesi fa, alla domanda postaci sulla scelta della scuola superiore, eravamo incerti, titubanti, annebbiati per questa scelta difficile, per discriminazioni e amicizie care che non ci avrebbero accompagnato in questo viaggio!

Infatti eravamo spaventati per dover frequentare una scuola troppo grande per le nostre aspettative . Però, come d’incanto, tutto questo si è cancellato come l’onda cancella le parole scritte sulla sabbia. Eccoci al Liceo Classico Giovanni Paolo II, cullati da quella sensazione di sicurezza, dovuta al fatto che tutti, in questa scuola, miriamo al raggiungimento di valori cristiani, alla nostra completa formazione ed educazione, con spirito costruttivo e gioviale, che ci aiuta ad iniziare la giornata con il piede giusto, senza ansie o preoccupazioni. Inoltre un lato interessante di questa scuola è il rapporto alunno-docente, basato su un reciproco rispetto e su un dialogo che ci fa sentire a nostro agio, come in una famiglia unita ed accogliente; non è stato certo così però il primo giorno di scuola. Il 15 settembre, il nostro animo era a soqquadro, mentre la cartella preparata con cura il giorno prima, colma di incertezze e timore di non aver dimenticato nulla, era in perfetto ordine. Ci sembravano fredde le sedie comode e spaziose e le scrivanie grandi ed eleganti, ci sembravano strani i volti di tutti quei compagni che sedevano affianco a noi. Eravamo tutti condizionati dal giudizio che i compagni avrebbero provato dentro di loro, quando ci avessero scrutato minuziosamente, anch’essi come noi, con uno sguardo perso e spaesato. Naturalmente ci sono voluti pochi giorni per far cambiare la situazione in meglio e far accendere in noi sguardi di serenità e di allegria, in tutte le occasioni in cui ci incontravamo, dimostrandoci pronti ad aiutare chiunque fosse in difficoltà.

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C’è voluto del tempo per far sorgere in ognuno di noi la voglia di star sempre insieme e mettere subito lo zaino in spalla, nell’atto di prendere la navetta, o il treno, o il pullman, o l’automobile, e arrivare a scuola, la cui grande e moderna struttura ci fa sentire proiettati come in un college americano. E quanti aspetti unici e diversi caratterizzano il liceo: ogni materia è trattata con la massima cura e viene resa comprensibile a tutti gli alunni. Il viaggio di istruzione, programmato per l’Ungheria, poi, prevede il coinvolgimento degli studenti di tutta la scuola, anche perché il numero degli alunni per classe non è elevato. Questo è un altro aspetto importantissimo che permette di mettere in pratica “l’obiettivo persona” che l’Istituto dà indicato per ognuno di noi. Abbiamo scoperto poi che a scuola si impara anche ad essere responsabili delle nostre scelte. Questo lo si ottiene autofinanziandoci con la “merenda comune”, la bella iniziativa che sta diventando un appuntamento settimanale al quale nessuno rinuncia e nel corso del quale, a turno, gruppi di studenti offrono leccornie da loro preparate che vengono acquistate da noi stessi e il cui ricavato servirà per le spese meno essenziali del viaggio d’istruzione. Per quanto concerne l’aspetto sportivo, il Liceo Classico Giovanni Paolo II ci consente di partecipare alla corsa campestre provinciale dove ognuno di noi mette a dura prova le sue capacità fisiche.

Noi “matricole” stiamo guardando ancora tutto questo con meraviglia, ma stiamo crescendo, assimilando giorno dopo giorno lo stile dei liceali e comprendendo che “non può farci paura il labirinto del Minotauro“, in cui non smarriremo la strada, e grazie al “filo” del nostro impegno e della nostra volontà, ci assicureremo i successi futuri. Un giorno, voltandoci indietro, guarderemo soddisfatti a ciò che di bello e di importante avremo costruito. Ilaria Consani, Francesco Fazzi, Gabriele Madaro, Fabiana Pierri, Mariachiara Potì


L’Opera Lirica, specie di argomento drammatico, fu il genere musicale che ebbe maggior seguito nel Risorgimento ed alcuni compositori di questo periodo sono oggi considerati tra i più grandi di tutti i tempi. La musica del Risorgimento italiano - e l’Opera lirica in particolare - raggiungevano non solo l’aristocrazia, ma anche gran parte della borghesia, in alcuni casi, del popolo. Essa esprimeva i sentimenti più nobili con un linguaggio immediato e coinvolgente, soprattutto attraverso i CORI, alcuni dei quali divennero ben presto assai famosi. Il potere della musica di commuovere ed incitare al raggiungimento di alti ideali era tanto grande da essere temuto dai governi conservatori, che vedevano in alcune opere un chiaro incitamento alla LIBERTA’. Le opere liriche di G. Rossini, V. Bellini e G. Verdi, infatti davano voce a sentimenti patriottici con cori che divennero ben presto sorta di inni del risveglio politico della Nazione. Ne sono esempio: l’opera Norma di Bellini, il cui coro Guerra, guerra! fu censurato dal comando austriaco, perché ritenuto sovversivo; W Italia, il coro iniziale de “La battaglia di Le-

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Il Re Galantuomo, Vittorio Emanuele proclamò formalmente la sua nuova dignità di titolare della Corona del nuovo Regno il 17 marzo del 1861. La legge n.4671, con cui il Parlamento del Regno di Sardegna, divenuto Nazionale, il 21 aprile dello stesso anno, sancì la nascita del nuovo Regno d’Italia, sotto la corona del re Vittorio Emanuele II, cambiò il proprio numero e divenne la prima legge del Regno d’Italia, con il numero 1. Il breve excursus storico ci introduce all’Italia del XXI secolo che, con la solennità delle parole del Presidente della Repubblica, il 17 marzo prossimo celebrerà, festeggiandolo, il 150° genetliaco della Nazione Italiana unita in un unico Stato. Alle iniziative del Comitato interministeriale,incaricato dell’organizzazione delle celebrazioni, ci si potrà affidare perché ogni cittadino possa avvertire il valore che per noi, Italiani, ha potuto avere la conquistata unità. Ci solleciteranno le mostre d’arte, come le opere dei pittori soldati, quali le tele che illustrano le imprese garibaldine. Capolavori dei maestri dell’epoca, da Fattori ad Induno, da Hayez a Lega, che potremo ammirare nella mostra che si terrà a Roma, presso le Scuderie del Quirinale. Monumentali dipinti delle grandi battaglie risorgimentali, fra i quali quelle dei “pittori-soldati” che presero parte, in prima persona, alle battaglie risorgimentali e ne resero testimonianza attraverso rappresentazioni fedeli agli eventi. Primo fra tutti, forse, quelli del maestro dell’epoca: Giovanni Fattori, ideologicamente partecipe alle lotte per l’unità e, spesso, personalmente sui luoghi degli scontri, per poter dare alle sue opere il senso della veridicità. Trasmissioni di rievocazioni storiche e dibattiti televisivi ri-

gnano”, nel quale il richiamo alla storica risalita di Federico

Barbarossa oltre le Alpi, simboleggiava la cacciata, da parte degli italiani, degli eserciti austriaci stranieri dal Paese, o ancora i cori de “I Lombardi alla prima Crociata” di Verdi, che, come cantava Giuseppe Giusti in “Sant’Ambrogio”, invitava le armate straniere a lasciare la Penisola. Memorabile, infine, l’inno alla libertà del coro del Nabucco di Verdi, il famoso Va pensiero sull’ali dorate, che divenne per gli italiani metafora di desiderio di libertà dal giogo austriaco. Quando Verdi, dopo la morte della moglie e dei figli decise di non comporre più musica, incontrò per strada un impresario che lo pregò di leggere il libretto del Nabucco. Secondo la leggenda, Verdi tornò a casa di malumore e gettò il poema sul tavolo; il libro si aprì per caso sulle parole "Va pensiero su l'ali dorate...", che toccarono immediatamente il cuore del musicista, quei dolcissimi versi sarebbero entrati nell’anima dei patrioti italiani, che la sera della prima del Nabucco, alla Scala di Milano, il 9 Marzo 1842, lasciarono volare dai palchi del teatro gli slogan “W Verdi”, motto di ammirazione per il compositore e, soprattutto, segreta espressione di un progetto politico che trasformava quel motto nell’acronimo di “W Vittorio Emanuele Re D’Italia!” Fu così che la musica del risorgimento italiano contribuì a far nascere e ad alimentare i sentimenti patriottici, l’amore verso la patria ed il desiderio di libertà, divenendo così strumento e veicolo di ideali comuni. Gloria Giurgola - I Liceo proporranno la domanda che, da 150 anni, viene proposta da storici, giornalisti, scienziati, letterati, uomini di Stato e da persone appartenenti alle confessioni religiose, presenti in Italia, prima fra tutte, la Chiesa cattolica: corrisponde alla realtà vera, vissuta dalle popolazioni dei sette Stati preunitari, dal 1948 alla battaglia di Vittorio Veneto, la rappresentazione dell’epopea del Risorgimento, che i libri di storia e di letteratura, sui quali hanno studiato nelle scuole i ragazzi ed i giovani dal 1918 in poi, hanno dato alle generazioni successive? Troppi sono gli elementi che gli storici dovranno ancora valutare per dare a quella domanda una risposta che possa essere accettata concordemente da tutti. Chi studia sa, bene che la storia del passato presenta troppe facce, perché gli avvenimenti del tempo trascorso possano essere individuati in breve periodo, con serena certezza. Forse i documenti sui quali gli studiosi ricostruiscono il passato continueranno ancora a generare discussioni e pareri diversi. Ma noi, giovani del terzo millennio appena iniziato, avvertiamo ancor troppo vicine le immagini o, almeno, le voci, i ricordi, di tante persone, vissute nelle nostre case, che hanno partecipato alle drammatiche vicende della grande Guerra del 1915/18, nella quale hanno sofferto per ricomporre quell’unità alla quale l’intero popolo italiano guardava come ad un grande ideale. Gli ideali che i nostri progenitori hanno vissuto con sacrificio mantengono profili di laica sacralità, che vanno custoditi con la stessa riverenza e fiducia con la quale nelle case romane di custodivano i Lari ed i Penati. 3 Elena Sozzo - III Liceo


Grazie all’apporto filosofico di Thomas More si ha per la prima volta il termine "utopia", con cui egli battezzò un'immaginaria isola-regno dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, Utopia, pubblicata nel 1516. Moro – nome italianizzato del filosofo - derivò il termine dal greco antico con un gioco di parole fra ou-topos (cioè non-luogo) ed eutopos (luogo felice); utopia è quindi, letteralmente un "luogo felice inesistente". Nel corso del '600 e del '700, come testimoniano i dizionari e varie fonti dell'epoca, "utopia" diviene s i n o n i m o d i " c h i m er a " , d i "impossibile" e di "sogno irrealizzabile’’. In seguito, attraverso la rielaborazione dei secoli, l’utopia non è intesa solo come sogno, evasione o ipotesi mentale, bensì comincia ad assumere le caratteristiche di un progetto rivolto all’attuabilità e alla concreta "felicità dei popoli". I vari usi della parola hanno comunque in comune il riferimento all’immaginario ed all’ideale. “Utopie” sono i testi letterari che concernono società ideali e ideali modi di vivere, il cui scopo è la perfezione intesa come “armonia”. Utopie sono anche gli stessi luoghi e le stesse condizioni perfette. Questi ‘’luoghi felici’’ si rivelano spesso come dei progetti dell’immaginazione umana. Quando gli scrittori di utopie parlano di un altro mondo, il loro non è solo un sogno o una nostalgia, bensì la proposta di qualcosa da realizzarsi o da imitarsi. Spesso al fondo dell’utopia è un radicato senso di frustrazione e insoddisfazione nei confronti della realtà presente: lo stesso Moro scriveva perché tormentato dalle difficili condizioni degli Inglesi nel primo Cinquecento. In ogni caso, quindi, il sogno implica una critica della realtà presente. Nelle sue intenzioni quello dell’utopia è un pensiero sicuramente costruttivo, perché porre il raggiungimento della perfetta società umana nel futuro significa poter iniziare nel presente una marcia di avvicinamento verso un domani, non più impossibile, caratterizzato dalla perfezione ideale. E questo vuol dire che la perfezione è possibile, che il progresso è possibile, e che quindi la storia è in continuo sviluppo. Ma stando al significato intrinseco di utopia, esiste la minima possibilità che questa si realizzi? Oppure è utopia e rimane come un sogno nel cassetto che continui a cercare nella realtà, ma che non trovi? La grande utopia di oggi sarebbe una società in cui gli uomini siano liberi da costrizioni sia fisiche che morali, in cui 4

essi lavorino non per necessità ma perché trovano il lavoro un'attività piacevole, una società in cui l'amore non conosce leggi ed in cui ogni uomo è un artista. Tuttavia, se arrivassimo a un tipo di società dove non ci fossero più contraddizioni, non ci fossero più conflitti, in cui tutti gli esseri fossero soddisfatti, verrebbe a mancare l'attenzione verso soluzioni migliori, l'attenzione verso il perfezionamento continuo della società. Di sicuro l'utopia e i sogni dei giovani sono utili per guardare al futuro. E per chi si affanna nel sostenere che "utopia" è "non luogo", qualcosa di irrealizzabile, una società estremamente ed inverosimilmente perfetta, qualcosa che può esistere solo nei desideri, nell'immaginazione, proviamo a far rispolverare libri come Alice nel paese delle meraviglie, o, L’isola che non c’è. Non permettiamo a nessuno di impedirci di coltivare i nostri sogni con la consapevolezza che potrebbero diventare realtà. Se non potessimo cullare qualche pensiero improbabile ma bello, la nostra vita sarebbe noiosa, sciatta e disastrosamente prevedibile. Perché per definizione : nulla è impossibile.

«L'utopia sta all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l'orizzonte si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? A questo: serve a camminare.» Manuela Margiotta - II Liceo

6 novembre 2010: crollano le mura della casa dei Gladiatori. Basterebbe questa frase per descrivere lo sdegno di pagine scritte di una storia che non ha più testimoni. Quelle vie imprigionate, quasi come fotografate dalla lava, sono il ponte con un passato lontano che, comunque, ci appartiene: se così non fosse che senso avrebbero libri, studi, e le nostre ore passate fra i banchi di scuola? Cultura e identità, è sapere che il mondo non inizia con noi ma c’è un prima e un dopo: è come se fosse un infinito gioco a livelli e i giocatori fossero gli uomini di tutti i tempi, cosicché solo livello dopo livello, conquista dopo conquista, si può andare avanti e per questo necessita del contributo di tutti. Il segno tangibile di queste conquiste non sono gli uomini perché, come cantava Foscolo nei Sepolcri, questi passano e le loro azioni sono destinate ad essere dimenticate se


In seguito alle varie attività e progetti eseguiti con successo lo scorso anno, per l’A.S. 2010/2011 si è pensato bene di proporre un gemellaggio, dapprima virtuale, con un istituto superiore europeo. Durante il seminario “eTwinning” che si è tenuto presso l’istituto “E. Fermi” di Lecce, al quale hanno partecipato i nostri rappresentanti nella Consulta Provinciale degli studenti, i relatori, la maggior parte dei quali composta da insegnanti, hanno presentato questo nuovo progetto, considerato da molti il mezzo più efficace per i gemellaggi multimediali tra i paesi europei. Etwinning è un’iniziativa della Commissione Europea che si propone, come scopo principale, la collaborazione tra le scuole in Europa mediante alcuni particolari tipi di tecnologie dell’informazione. Iscrivendosi al sito www.etwinning.net, ogni scuola ha la possibilità di intrattenere rapporti con un istituto estero creando un programma di apprendimento. Già, ma cosa si apprende? E perché conoscere scuole di altri paesi? Secondo lo stile di vita del proprio ambiente, ogni scuola assume e condivide abitudini, usi e costumi suoi propri, che sarebbe interessante venissero confrontate con gli usi e le abitudini degli studenti d’altri Paesi. Il confronto permetterebbe certamente di trarne motivi di miglioramento nelle relazioni sociali. Un altro aspetto positivo è l’apprendimento delle lingue d’altre Nazioni. Grazie al gemellaggio, infatti, il singolo allievo

non fosse per la penna, per il genio creativo dell’artista, del poeta o musicista, perché solo questo ha la capacità di imprigionare per l’eternità in un dipinto, scritto o pentagramma la realtà e come questa agisce su di lui; in poche parole oggettivare la libertà con cui pensa e si esprime è ciò che si eterna nel tempo. Questi sono i due caratteri per cui tutti gli uomini sono uguali: chi ama la cultura, quindi, ama tutte le culture perché tutte sono frutto dell’operare dell’uomo. Adesso permettere che la noncuranza dell’uomo distrugga anche solo una pietra del passato è inaccettabile, è indebitarsi con un passato che ci ha donato tanto, che ha contribuito alla costruzione delle fondamenta della società di oggi, ma se questa costruzione non viene custodita le mura crollano e rimangono macerie non di un passato inutile ma di un presente distrutto.

approfondisce non soltanto la lingua inglese, che è ormai divenuta il mezzo espressivo che accomuna tutti i Paesi, ma può apprendere, e migliorare la lingua del Paese della scuola gemellata. L’esempio lampante di gemellaggio lo si è potuto vedere durante l’A.S. 2006/2007 tra il liceo scientifico “C. De Giorgi” di Lecce e la scuola norvegese “Iglemyr Skole”. In questo caso gli allievi, dopo varie conversazioni virtuali su etwinning, hanno deciso di incontrarsi realmente; così, nel maggio 2007, Lecce è stata visitata da circa 50 studenti norvegesi, desiderosi di conoscere gli aspetti della cultura mediterranea che la nostra cittadina può offrire. Naturalmente lo stesso procedimento è stato seguito, con profitto, da nostri compagni leccesi i quali, alcuni mesi dopo, hanno potuto trascorrere venti giorni fra gli estesissimi boschi norvegesi e la variegata fauna di quelle latitudini polari. Sarebbe, infine, interessante poter organizzare anche qui da noi un incontro virtuale, e, possibilmente, reale, con qualche istituto di Paese europeo. L’esperienza farebbe nascere nuove amicizie, che ci consentirebbero di riscoprire l’interesse e la naturale curiosità che i giovani hanno di conoscere persone, paesaggi e organizzazioni politiche totalmente differenti da quelli presenti nel nostro paese. Così potremmo abbandonare quel senso di incipiente pigrizia che ci deriva dalla quotidiana abitudine che abbiamo, di ripetere sistematicamente le stesse azioni del giorno e che ci sembra compiamo quasi con una sorta di automatismo. Longo Matteo - II Liceo

La cultura arricchisce e va custodita, ma nel 2010 quello che preoccupa l’Italia è sfornare riforme una dopo l’altra che prevedono niente di più che tagli alla cultura. In realtà è la cultura, e gli uomini colti, l’unica speranza: è per questo che in tempo di crisi bisogna lottare per non tagliare l’unica vera ricchezza di un paese. E’ povero colui che non sa controllare e cambiare la realtà, consegnando al futuro meno di ciò che ha trovato. Valeria Morciano - III Liceo

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Natale! Parola diversa dalle altre, con un suo significato profondo, ma che oggi sembra alla ricerca del suo originario significato. Scriveva San Leone Magno: “Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne”. Belle parole! potrebbe pensare chi leggesse queste righe d’un antico sapiente! Ma ci si potrà chiedere se ne saprebbe trarre qualche conseguenza in termini di stile di vita? Forse vi sono persone le quali pensano che il Natale si riduce in un semplice pensiero, rivolto al giorno in cui è nato Gesù, che, con la dolcezza delle sensazioni che la storia ha collegato all’evento, viene riproposto alla memoria, ed invita a sentirci felici. Nel giorno del compleanno si fa festa. Si può immaginare quale festa l’umanità avverte di dover fare, quando nelle case, nelle strade, sui posti di lavoro e nei luoghi in cui si decidono i destini del mondo, si ricorda il giorno in cui, in un affollato paesino della Palestina, impegnato nelle operazioni d’un importante censimento romano, nel quale, almeno negli ultimi secoli della prima storia, non era mai avvenuto nulla di particolarmente significativo, in quel giorno tanto lontano è nato Colui che avrebbe portato agli occhi dei credenti la più grande speranza che l’uomo abbia mai potuto concepire: la vittoria sul peccato e sulla morte. Il minimo che si possa fare è addobbare a festa le proprie case, comprare bei vestiti, fare bei regali, perché Gesù rappresenta la bontà fatta persona. Sembra che un chiassoso tam-tam, da molti decenni, tenti di velare il vero ed intimo significato di questo grande giorno. Nel libro della sapienza vi è un passo che fa riferimento alla notte

della pasqua antica, ma che, da duemila anni, i Padri della Chiesa applicano al giorno della nascita di Cristo: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente dal cielo dal tuo trono regale, guerriero implacabile si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio”. A me piace molto pensare che i Padri della Chiesa abbiano voluto usare quelle parole per proporre un raffronto fra il significato del Natale ed il valore della Pasqua. Se ne è dedotto che, con l’avvento di Gesù Cristo, Dio ha voluto farsi conoscere a tutto il mondo, oltre che al popolo al quale aveva fatto giungere i suoi primi messaggi di padre e di guida. Nascendo a Bethlem in suo Figlio, Dio non si è limitato a ricordare agli Ebrei l’antica alleanza annunciata dai patriarchi e confermata dai profeti, ma ha voluto estenderle il suo patto d’amicizia e d’amore a tutto il mondo. La grandezza del messaggio di Natale suggerisce almeno un momento di riflessione. Si può percepire la presenza della voce di Dio in terra soltanto se ci si volge in un silenzio interiore, così come soltanto l’oscurità può far percepire la luce. Se ci si fermerà un attimo, tentando di scavare un poco nella nostra mente e, soprattutto, nel nostro cuore, potremo verificare se avremo riscoperto il significato nascosto di quella Parola che è venuta da noi due millenni or sono. Simone Pezzuto - V Ginnasio

Anche quest’anno senza che me ne accorgessi è arrivato dicembre. È giunto oramai l’inverno, tra poco sarà Natale. Le strade sono già illuminate e ornate a festa, nei negozietti del centro sono appese le ghirlande divenute ormai familiari, e anche le vetrine si colorano di rosso. Camminando per le strade affollate il suono delle zampogne fa da sottofondo al vociare cittadino. L’atmosfera natalizia invade ogni cosa, come una nebbia di melanconica allegria si posa sui tetti delle case e sugli occhi delle persone, talvolta restituendo la vista a chi crede di esser divenuto cieco. È come se ad ogni nostra azione quotidiana il Natale aggiungesse un po’ di rosso, per ogni cosa e persona una sfumatura differente. Diviene dolce perdersi nella propria città, quasi fosse nuova e sconosciuta; e anche rimaner appollaiati sulla solita poltrona di camoscio blu accanto al caminetto appare quasi consolatorio. “Qui non si sente altro che il caldo buono/ sto con le quattro capriole di fumo del focolare” scrive Ungaretti nella poesia Natale, quando la sua stanchezza morale è tale che egli non vuole più nemmeno “tuffarsi in un gomitolo di strade” e a rassicurarlo vi è solo il volteggiare del fumo nel camino. 6 Ogni persona vive tale ricorrenza in maniera diversa, ma difficilmente si riesce a trovare qualcuno ad essa

del tutto indifferente; perché la parola Natale rammenta spesso qualcosa, ricordi di infanzia, alcune volte recenti ed altre di epoche lontane. Ho provato a chiedere a mio nonno, ormai in età avanzata, cosa gli rievocasse le parola Natale, cosa gli fosse rimasto dei Natali trascorsi da piccolo. “Sicuramente la bellezza del puro calore familiare” mi ha risposto, “Era un epoca diversa e tutta la famiglia, durante i giorni in cui noi bambini non andavamo a scuola e i grandi non lavoravano, si riuniva in casa, non c’era la frenesia di oggi o i tanti divertimenti, si stava semplicemente intorno al focolare ad arrostire caldarroste e a scherzare insieme. Era uno stile di vita più semplice dell’attuale, e la cosa fondamentale era proprio lo stare insieme. Temo che oggi questo spirito si stia un po’ perdendo, perché le persone sono troppo prese dai loro impegni e per la famiglia rimane poco tempo, durante il periodo natalizio come durante tutto l’anno”. Penso dunque che noi dovremmo cercare di salvare la vera essenza del Natale, provare a riaccendere come una fiamma che arde costantemente nel cuore, il caldo affetto della famiglia di cui parlava mio nonno. Dovremmo ricercare sempre nel nostro cammino ciò che troviamo in quella magica notte, quel riverbero di serenità e gioia che si crea solo quando è l’amore a regnare. Beatrice Tommasi - V Ginnasio


Materia e antimateria: Che cosa sono? Quali sono le ultime scoperte circa questa branca di confine tra chimica e fisica? Perché fino a poco tempo fa non si era a conoscenza dell’esistenza dell’antimateria? Come sono collegate con l’origine dell’universo? Sono tutte domande alle quali ci ha aiutato a dare risposta, con un’intervista telefonica, il professor Andrea Ventura, Ricercatore Universitario presso l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Lecce, nonché collaboratore del prof. Edoardo Gorini, coordinatore locale dell’esperimento internazionale ATLAS. E’ bene ricordare innanzitutto cosa sono gli atomi e gli antiatomi. Il termine atomo, lo sappiamo tutti, deriva dal greco (άτομή indivisibile) e indica l’elemento più piccolo in natura, che non può essere ulteriormente diviso; eppure oggi si è a conoscenza dell’esistenza di particelle più piccole dell’atomo, che lo compongono. L’atomo è, infatti, costituito da un nucleo centrale, intorno al quale ruotano gli elettroni, particelle di carica negativa; all’interno del nucleo vi sono i nucleoni (protoni e neutroni, rispettivamente di carica positiva e neutra). I neutroni hanno la funzione di annullare la forza respingente dei protoni, consentendo loro di essere contenuti tutti nel nucleo. L’antiatomo è eguale all’atomo per massa e vita media, ma opposto per carica e direzione nello spazio. Infatti, nell’antiatomo si hanno, al posto degli elettroni, i positroni (scoperti da Anderson nel 1931), in luogo dei protoni, gli antiprotoni ed al posto dei neutroni, gli antineutroni. Andando ad esaminare ancora più a fondo le particelle subatomiche, si può constatare che sono formate anch’esse da altre particelle più piccole: i quark, propri dell’atomo, gli antiquark degli antiatomi. Ergo, una grande quantità di quark forma il protone, altrettanta quantità di antiquark compone l’antiprotone, e così via per le altre particelle subatomiche: si può, quindi, dedurre che, mentre la nostra galassia è composta di materia, potrebbero esistere molte altre galassie, magari formate da antimateria, uno o più antimondi, simmetricamente opposti al nostro. Se questa ipotesi fosse vera bisognerebbe solo sperare che queste galassie di cariche e spin (movimento angolare delle particelle) opposti non si scontrino mai, poichè se ciò dovesse accadere si annichilirebbero, cioè si annullerebbero a vicenda. Ci si può così collegare con l’origine dell’universo. Ricollegandosi ad Einstein e alla sua equazione fisica E = mc2, che mette in relazione l’energia (E), espressa in joule, uguagliandola al prodotto tra la massa (m in kg), e il quadrato della velocità della luce (c2), calcolata in metri al secondo (m/s), il prof. Ventura afferma: “Si ritiene che,

durante il Big Bang, l’energia si sia trasformata in materia e antimateria; ad esempio un fotone, una particella elementare

indicata con γ, genera una coppia formata da una particella e un’antiparticella, così come l’energia produce materia e antimateria in uguali proporzioni. Le quantità di materia ed energia nell’universo dovrebbero essere ben maggiori di quanto possiamo vedere (4%), in quanto il 96% di materia ed energia presente in tutto l’universo non la si può rilevare, ed è detta oscura, ed esistono diverse teorie che cercano di spiegare l’esistenza della materia oscura. Inoltre, l’esperimento ATLAS al Cern di Ginevra sta eseguendo una verifica dei modelli descrittivi delle particelle elementari e ha già costruito il più grande acceleratore di particelle mai esistito.” Tra l’altro, da poco, sono riusciti, al Cern, ad intrappolare non uno, ma ben trentotto atomi di anti-idrogeno, con la possibilità, quindi, di studiare le particelle di antimateria in modo approfondito e arrivare ad essere ancor più vicini alla conoscenza del modo in cui materia e antimateria si sono trovate in diverse proporzioni, e come da lì sia nato l’universo. Perché, in effetti, è questa la domanda alla quale non si riesce a dare una risposta certa: perché ha vinto la materia sull’antimateria, e come è stato possibile che si trovassero in sproporzione? Ciò non sarebbe dovuto accadere in quanto una qualunque quantità di energia avrebbe dovuto generare in eguali misure materia e antimateria. “La scienza non può trovare risposta ai perché della vita, non può chiedersi perché la materia fosse in maggiori quantità dell’antimateria, perché gli uomini sono fatti di materia e non di antimateria, trovandosi in uno stato privilegiato o, ancora, perché solo in questa galassia, sulla Terra, c’è la vita. Piuttosto si domanda i percome, ricerca, infatti, una spiegazione ad ogni fenomeno. L’esperimento al Cern lavora proprio per capire cosa sia accaduto negli attimi immediatamente successivi al Big Bang, ma non si spinge a sapere cosa è avvenuto durante l’esplosione o addirittura prima” afferma il prof. Ventura. “Personalmente non mi pongo perché; sono Cattolico e, dunque, credo ai dogmi della mia religione. Il fine ultimo della Scienza è quello di comprendere e decifrare i fatti passati, i più remoti, per vedere avanti.” Laura Cammarota, Marco D’Agostino - I Liceo

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“A Natale si diventa tutti più buoni”. La frase la si sente ripetuta nel periodo natalizio, quando le persone avvertono l’impulso d essere più disponibili del solito verso le esigenze del prossimo. Ma è realmente così? Beh, si può provare. Charles Dickens ci offre proprio un esempio attraverso “A Christmas Carol”, “Canto di Natale”, rappresentato nelle sale cinematografiche da Robert Zemeckis, lo scorso anno, e riproposto in dvd in queste settimane, in una edizione che consente di catapultarci in questo intrigante, ed anche un po’ lugubre viaggio relativo al tempo. Il film d’animazione racconta il fantastico e avvincente imprevisto che vive uno scorbutico, antipatico e spilorcio anziano, interpretato attraverso la straordinaria mimica facciale, da Jim Carrey: Scrooge.

La ricchezza è la sua felicità e lo scopo della sua vita. Tutto ciò che non produce denaro è “scempiaggine”, e tale sarebbe pure il Natale. Anche le relazioni sociali, per Scrooge, non sono necessarie se non producono alcun vantaggio economico. Dalla morte di Marley, socio, amico e sostenitore dei suoi stessi principi, Scrooge vive in una solitudine voluta, senza provare alcun rammarico, fino a quando lo stesso spettro di Marley, nel giorno del settimo anniversario della morte, durante la notte della vigilia di Natale, gli fa visita rimproverandolo austeramente. Marley lo ammonisce, gli intima di modificare le sue convinzioni di vita, poiché è molto vicino all’“oblio”, tuttavia, ha ancora una possibilità di salvezza, può ancora cambiare. Così, lo spettro gli preannuncia l’avvento di tre Spiriti: lo Spirito del Natale Passato, quello del Presente e quello del Futuro.

Scrooge, guidato dai tre spiriti, ripercorre la sua vita passata, all’insegna di una verità dura da affrontare; gli si sveleranno come “frutti amari” i traguardi a cui fino a quel momento era giunto. Si rende conto di essere isolato e di non aver costruito rapporti d’amore intorno a sé. L’ultimo Spirito, infine, gli farà vedere il “deserto affettivo” che lascerà in terra dopo la sua morte. Gli Spiriti non lo abbandoneranno al suo triste destino, ma gli indicheranno il cammino per riscattare la sua vita avida e meschina. Le successive avventure del protagonista le lascio scoprire a voi, carissimi lettori, quando vedrete questo coinvolgente e simpatico film. “A Christmas Carol” è pieno di effetti speciali, di sottile ironia e d’una forte valenza morale. Secondo alcuni critici, è adatto più agli adulti che ai piccoli, pur essendo un cartone, sia perché, salvo limitati momenti rilassanti e distensivi, l’ambiente descritto è quasi sempre cupo e la stessa visione degli spettri è spesso lugubre, sia perché le tematiche sono difficili. Il film Invita ognuno di noi ad impegnare bene il tempo della propria vita, poiché la brevità dell’ esistenza potrà farci rimpiangere di non aver saputo impegnarla per far del bene. Magari vi chiederete cosa significhi “fare il bene”? Il “bene” sono le “scempiaggini” di Scrooge, cioè, le piccole cose e le semplici azioni quotidiane che possono recar vantaggio al nostro prossimo. Dunque, non sono le grandi imprese che rappresentano ciò per cui è interessante vivere. Forse il Natale è il momento giusto per orientarci verso il bene. Un tal modo di vivere il Natale potrà farci scoprire che vi è gioia quando si gioisce con gli altri. “A Christmas Carol” è, insomma, un film da vedere, su cui riflettere, e dal quale si può ripartire, come riesce a fare il suo protagonista. Carlo Conversano - III Liceo

Ginnasio Liceo “Giovanni Paolo II” Via Umbria 73100 Lecce Tel: 0832/1810102 Email: segreteria@liceogp2.org Sito: www.liceogp2.org DIRETTORE Dott. Fabio Scrimitore – Dirigente VICE DIRETTORE Elena Sozzo - III Liceo REDAZIONE Per il IV Ginnasio: Ilaria Consani Francesco Fazzi Gabriele Madaro Fabiana Pierri Mariachiara Potì Per il V Ginnasio: Simone Pezzuto Beatrice Tommasi Per il I Liceo: Laura Cammarota Francesca Cristallini Marco D’Agostino Biancamaria De Santis Gloria Giurgola Pierpaolo Petrelli Per il II Liceo : Matteo Longo Manuela Margiotta Per il III Liceo: Carlo Conversano Valeria Morciano GRAFICA E IMPAGINAZIONE Prof. Massimiliano Capozza STAMPA Seminario Arcivescovile Lecce


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