L'Obiettivo - dicembre 2009

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PERIODICO DEL GINNASIO-LICEO “GIOVANNI PAOLO II” SUPPLEMENTO DE “L’ORA DEL SALENTO” Liceo-Ginnasio “Giovanni Paolo II” Lecce

ANNO VI- NUMERO 1 LECCE, 18 DICEMBRE 2009

All’ Arcivescovo ed a tutta la comunità scol a s t i c a auguriamo che il Natale ravvivi la luce di speranza, apparsa ai pastori di Betlem, e la trasformi in fiducia costante, per far sostenere con cristiana serenità gli impegni dell’anno che sta per venire.

Se chiedessimo ad un bambino: “Cosa vuoi fare da grande?” ci risponderebbe con gli occhi sognanti: “l’astronauta” o, magari, “il poliziotto” o, ancora, “il medico”. Sin da bambini, ci viene comunicato il messaggio che, se lo vogliamo veramente, possiamo diventare quello che desideriamo. Sarà vero ?Quanti giovani si laureano, magari con il massimo dei voti, e poi devono attendere, anche anni, una buon opportunità di lavoro, oppure, si rassegnano ad accettare di svolgere professioni tutt’altro che corrispondenti alle inclinazioni della loro adolescenza. Il futuro, un tempo, non era tanto ingeneroso con i giovani, come sembra sia oggi, ed ancor più domani. Gli anni della giovinezza rendevano sempre alle persone quel che avevano loro promesso quando studiavano sui banchi dei licei e degli altri istituti superiori. Questo accade perché i ritmi socio-

economici della nostra società trasformano i ruoli sociali e le tradizionali professioni con una velocità impensabile un tempo, sicché può accadere, anzi accade sempre più spesso, che le attese che gli adolescenti avranno nutrito al tempo dell’iscrizione all’Università, spesso non saranno pienamente corrisposte dalla realtà che si presenterà ai giovani, al tempo in cui avranno conseguito la laurea. E’ certamente necessario che ad un adolescente, la vita si presenti con un orizzonte di illimitate possibilità, perché le persone che vivono le età della formazione della loro personalità devono vivere con la fiducia nel futuro. Ma è altrettanto necessario che si tenga conto che l’evoluzione dei rapporti sociali ed economici degli anni che verranno impone allo studente universitario di assumere un nuovo stile di apprendimento, che gli consenta di dotarsi d’una forma

mentis aperta alle variazioni dei ruoli professionali verso forme di applicazione che neppure oggi sono prevedibili. Chi vorrà far l’avvocato, dovrà sapere che i suoi colleghi portoghesi o polacchi potranno esercitare nel Foro di Lecce, allo stesso modo in cui gli avvocati di Taranto potranno aver necessità, od opportunità di patrocinare davanti ai Tribunali parigini o londinesi. Similmente, accadrà per l’ingegnere, per il medico e per il notaio. L’università, con i suoi ordinamenti ispirati all’ autonomia nella strutturazione dei corsi di laurea sarà in grado di assicurare che noi, che domani frequenteremo suoi corsi, saremo in grado di esercitare i nostri ruoli sull’immenso territorio della nuova Europa dei 27 ? Rosangela Giurgola - III Liceo


Solo pochi mesi fa la parola “liceo” suonava così strana per me, intangibile ed astratta, lontana dalla mia realtà e dal mio vivere quotidiano. Man mano che i mesi passavano, però, la consapevolezza di quell’imminente cambiamento si faceva strada nella mia mente, assumendo una rilevanza sempre maggiore. Molte erano le domande che mi ponevo, e grande l’impazienza di misurarmi con un diverso contesto, con nuovi compagni e professori. Con l’ inizio della scuola superiore si è aperto un nuovo periodo della mia vita, credo che essa rappresenti il passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza vera e propria, tappa fondamentale nell’esistenza di ogni persona. Ho scelto il liceo classico perché ritengo possa fornire una formazione culturale completa e spero di poter conseguire tale obiettivo in questa scuola. Nel Giovanni Paolo II ho trovato un contesto di apprendimento produttivo, fondato sul lavoro concreto e sullo studio approfondito. Il rapporto fra docente e alunno non è freddo e distaccato, bensì costruttivo e sereno. Esso non è basato sulla capacità dei professori di incutere timore e di mantenere tra allievi e insegnanti un muro insormontabile di distanza, ma è un rapporto più ravvicinato, dove, pur restando sempre chiara ed evidente la differenza di ruoli, il dialogo si presenta aperto e positivo. Ciò è reso possibile anche dalle ridot-

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Prima che si aprissero le aule, noi, studenti del IV ginnasio, sapevamo bene che, fra le tante materie che avremmo dovuto studiare quest’anno, ci sarebbe stata anche la lingua Greca classica. Da nostri coetanei che hanno preferito i più attrezzati laboratori di informatica dei licei scientifici o le eleganti aule dei licei scientifici-tecnologici ho sentito che il Greco antico è una lingua morta, che non potrà portare alcun vantaggio a chi dovrà impegnarsi in una realtà sociale e produttiva molto dinamica, che richiede conoscenze di base soprattutto nelle lingue straniere più usate nelle relazioni internazionali, oltre che nella comunità scientifica internazionale. Questo è vero, ma è altrettanto vero che l’attuale corso del Ginnasio-Liceo non privilegia esclusivamente l’apprendimento del Greco, né quello del Latino. Qui da noi si dà particolare importanza allo studio della matematica, non meno che a quello della fisica e delle scienze biologiche, come si deduce dall’orario curriculare ordinario; il nostro orario settimanale delle elezioni è di 34 ore, bel al di sopra, cioè del limite delle 32 ore che caratterizza altre scuole.

te dimensioni del gruppo classe, che, più facilmente seguito dai docenti, riesce a mantenere un andamento uniforme. Molto istruttiva è, inoltre, la realtà solidale dell’istituto, che costituisce, a mio parere, un pregio di estrema importanza. Devo ammettere che il mio primo giorno di scuola non mi aspettavo un’ accoglienza tanto calorosa e cordiale da parte degli alunni delle altre classi. Spesso, infatti, accade che i nuovi arrivati non siano ben visti dagli altri e pertanto esclusi e, alle volte, derisi. A me è accaduto l’ esatto contrario e a sorprendermi è stato proprio il clima di serenità e le relazioni di solidarietà che si instaurano fra studenti di età diversa. Sono quindi soddisfatta della mia scelta; sono consapevole di essere in un liceo classico molto impegnativo, ma il Giovanni Paolo II mi ha fornito le motivazioni e la voglia di proseguire il mio percorso formativo, studiando in modo attivo e curioso e impegnandomi al massimo. Beatrice Tommasi - IV Ginnasio

Da noi si studia anche il Greco, per il grande valore formativo che tale insegnamento offre agli studenti. Non ci si allontana dal vero se si sostiene che la struttura grammaticale di questa lingua è un vero e proprio edificio composto da parti ognuna delle quali è unita alle altre da legami logici, non meno di quanto non siano legati da tal genere di legami le strutture della matematica e della fisica. Sicché non può mettersi in dubbio, che lo studio di questa lingua classica tende a dare alle mente delle persone che vi si dedicano l’ abilità logica che consente di collegare fra di loro le parole e le proposizioni dei versi dell’Antigone di Sofocle con la medesima consequenzialità logica, con la stessa armonia concettuale con le quali il professore di geometria dimostra che la somma dei quadrati costruiti sull’ipotenusa d’un triangolo rettangolo è equivalente al quadrato costruito sui due cateti del triangolo rettangolo. Simone Pezzuto - IV Ginnasio


Siamo proprio sicuri che, quest’anno, Gesù spegnerà 2009 candeline proprio il giorno del 25 dicembre? Non vogliamo suscitare stupore né sdegno nei nostri apprezzati lettori, ma vorremmo partecipare loro il frutto delle nostre riflessioni sulla data esatta del Natale. I Vangeli ci danno la certezza che Gesù è nato in una stagione decisamente fredda. Possiamo, perciò, condividere la tradizione che colloca nel mese di dicembre la nascita del figlio unigenito di Maria. Ma la mancanza di riferimenti precisi nei testi evangelici sul giorno esatto della nascita ci fa convincere sul valore essenzialmente simbolico della data del 25. La notte da una luce è rischiarata il cielo da tante stelle è cosparso, e l’anima lo mira ed è incantata da così gran creatura: l’universo. E tra te pensi, ancora più estasiato che ciò che guardi con tanto stupore da Qualcuno più grande fu creato che per noi uomo si è fatto: il Signore. Se poi tu guardi ancor più in alto vedi la grotta da una stella illuminata, là dove nacque un Bambino per noi; come Maria in quella notte beata ama anche tu il Salvatore e in Lui credi; genti tutte, adoratelo anche voi! Gianni Schido

Una domanda introduce il calar delle ombre: che relazione ci sarà mai fra la preghiera e la fede? Nel tentar di rispondere, mi si presentano alla memorie le risposte d’un nuovo, re-inventato catechismo: posso pregare per intercedere per un amico, perché possa superare gli esami di maturità, oppure per unire la mia discreta voce a quella delle tante persone di buona volontà, le quali chiedono che il Creatore faccia cadere dai loro fianchi le cinture esplosivo ai poveri kamikaze. Sarà forse una preghiera, la pressione della falangetta dell’indice che fa dello zapping sul telecomando, alla ricerca fiduciosa di qualche trasmissione in cui non si sentano inveire, sovrapponendo le loro voci, coloro che esercitano i poteri pubblici, e si possano vedere antiche immagini di qualche buon romanzo, tratto dai classici della letteratura universale. Mi affascina un modo di pregare che non si riduca a frasi stereotipate, o a modelli canonici, ma che, come una voce corale, abbracci un universo ricco di affetti. Quando voglio pregare – mi confessò un sacerdote anziano – mi avvicino all’altare del Sacramento e mi seggo; porto sempre con me un libro, non necessariamente il breviario, può essere anche un di lettura semplice, che potrà parlare di fatti della vita, di quel che avviene o di quel che si pensa

I nostri studi ci convincono sempre di più che gli eventi che si sono succeduti nel corso dei millenni sono legati da una sorta di filo conduttore, da una progressività evolutiva, che ha aiutato l’uomo a progredire in sapienza ed in costumi sociali con gradualità, senza salti radicali. Questa considerazione ci fa sostenere che anche la festività del Natale potrà essere stata generata da una qualche ricorrenza che preesisteva all’evento di Betlehm. Forse il nostro Natale avrà avuto origine da riti propri degli antichi culti pagani. La festa del Sol Invictus - che le civiltà pre-cristiane celebravano al tempo del solstizio d’inverno, durante il quale le antiche popolazioni inneggiavano al Dies Natalis solis invicti, potrà aver dato origine al nostro Natale. Il fatto che la data della festività sia stata fissata non proprio il giorno del solstizio astronomico, generalmente il 21 dicembre,. ma quattro giorni dopo, non costituisce argomento contrario alla nostra ipotesi, perché le conoscenze astronomiche di duemila anni or sono non avevano la precisione che hanno oggi. Nel collocare il ricordo della nascita di Gesù Cristo al 25 dicembre, le prime comunità cristiane si appropriarono della simbologia della festività pagana, rivestendola del senso della nuova Verità, portata da Cristo, che vollero indicare alle genti come “Vero ed Unico Sole”, che vince l’oscurità del male. Carlo Conversano - II Liceo

sia avvenuto o che avverrà, e leggo. Sto li anche per un’ ora; mi sembra, allora, d’essere accanto ad una persona che mi vuol bene. Facevo così anche quando, a sera, raggiungevo la casetta di mia madre, ormai anziana; mi sedevo accanto a lei, che sferruzzava. Non parlavo con la mamma, ma sul suo viso leggevo la gioia che provava per la mia vicinanza. Forse anche il Signore prova gioia, penso, quando mi avvicino al suo altare, per leggere un buon libro. La mia non è forse una preghiera? Francesco De Matteis - III Liceo Il temporale Arrivò dai monti il temporale e il cielo si coprì di nubi nere che lentamente avanzarono. Crepitarono le prime gocce sulle foglie del giardino, e i fulmini guizzavano giù come gialle stelle filanti. Solo la pioggia sulla terra, sulle tegole, sull’erba, sulle piante, mi era compagna in quel pomeriggio malinconico d’autunno. Alessandra Giordano

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Nel novembre 2009 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha sentenziato che la presenza dei Crocefissi nelle aule costituisce palese “violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e una violazione alla libertà di religione degli alunni”. La sentenza non è passata inosservata ed infatti ha sollevato immediatamente un vespaio di polemiche e critiche provenienti da settori sociali opposti: da una parte la sentenza è stata osannata per aver confermato il carattere laico della Repubblica Italiana, ma dall’altro è stata censurata perché avrebbe violato il diritto d’una comunità nazionale a non rinunciare ai segni della propria specificità nazionale. Ai primi, cioè ai sostenitori della laicità assoluta dello Stato, si può rispondere che la laicità non una caratterizzazione fine a se stessa, ma rappresenta l’obbligo della Repubblica di non assumere atteggiamenti che possano ledere diritti fondamentali

della persona. Parlando di Scuola, i Giudici di Strasburgo hanno detto che la presenza del Crocifisso nelle aule viola i diritti che ogni alunno ha ad apprendere quel che gli insegnanti propongono. La tesi non sembra verosimile. Non vi è chi non veda, infatti, che la presenza d’un simbolo, pur carico di storia, non può limitare il diritto dello studente ad apprendere il teorema di Euclide, come la teoria epistemologica della caverna di Platone, o le cause della rivoluzione del 1789. Agli stessi Giudici, ed ai loro mentori cis e trans-alpini, si potrà anche dire che sembra davvero inverosimile pensare che la tutela del diritto della persona ad apprendere possa far cancellare i simboli che rappresentano la storia d’un Paese. Sarà giusto sperare che gli stessi Giudici di Strasburgo si asterranno dal condannare al risarcimento dei danni lo Stato Italiano, per il fatto che non è stata tolta dall’architrave d’ingresso della Scuola, frequentata da figlio d’un apolide, il nome di San Benedetto o di quello di San Francesco! Giorgio De Maria - III Liceo

“Scosso dalle frenetiche e smodate stranezze della sua personale condotta e dal suo tenore di vita, sorpreso dalla sconfinata ampiezza dei suoi disegni, qualunque fosse l’impresa scelta ad esprimerli, un vasto strato di Ateniesi gli giurava aperto odio, nel sospetto che ambisse alla tirannide”. Così Tucidide, il più imparziale degli storiografi della classicità, fa capire a noi, studenti del XXI secolo, quanto gli Ateniesi amassero la democrazia e quanta paura avessero della dittatura. L’amavano tanto la democrazia gli abitanti della Polis più famosa della storia perché le riflessioni sul loro passato li avevano convinti che un filo rosso, nascosto fra le pieghe della storia dei popoli, induce le persone e le istituzioni sociali a trasformare in competizione e potenza i rapporti di libera convivenza, nei quali la natura li genera. Le persone libere tendono a dominare sugli schiavi, le Polis si combattono per l’egemonia. Se ben poco poteva fare il cittadino per opporsi alle guerre egemoniche fra Imperi e Stati-città, e fra le stesse Polis, molto, invece, avrebbe potuto fare il cittadino per impedire che la libertà nella polis venisse limitata dalle stravaganze del dittatore. Ne era tanto convinto l’Ateniese, che non ha esitato ad introdurre la legge che consentiva di espellere 4 per dieci anni dalle mura della Polis colui che

avesse manifestato tendenze di prevaricazione sulla libertà dei cittadini, senza che fossero state acquisite prove della sua volontà di diventar dittatore. Lo poté sperimentare su di sé il più bello, illustre e ricco dei cittadini dell’Atene del V secolo, Alcibiade, vero idolo della più elegante gioventù ateniese, le cui origini risalivano al grande Aiace Telamonio, il più alto fra i comandanti di Agamennone sotto le mura di Ilio, secondo soltanto al cugino Achille. Né la sua discendenza mitologica, né la parentela diretta con Pericle, il padre della Grecia classica, né l’amicizia che lo legava a Socrate, salvarono il potente Alcibiade dal sospetto politico. Il suo nome venne scritto dalla maggioranza degli Ateniesi che componevano l’Assemblea sui terribili cocci di terracotta (in greco detti ostracos), che segnavano la via dell’esilio decennale. Matteo Totaro - I Liceo


Con senilità (alias: anzianità o vecchiaia) ci si riferisce alle età prossime al termine della vita media degli esseri umani. Età, questa della senilità, che non genera entusiasmi in chi vi si avvicina, o nelle persone che l’hanno raggiunta, perché l’esperienza quotidiana insegna che le persone anziane possono presentare limitate capacità produttive e sono più facilmente vulnerabili a disturbi, malattie e sindromi di malessere rispetto agli altri adulti. Può accadere che si considerino anziani anche persone che non hanno ancora raggiunto la soglia che tradizionalmente segna l’ingresso nella stagione della senilità. Questo può accadere quando sopravvengono cambiamenti di stato personale o di ruolo sociale, come, ad esempio, quando si diventa nonni, o quando, l'avanzar dell'età costringe a ruoli diversi dagli abituali. Tendenzialmente si crede che a 65 anni inizi la stagione della vecchiaia, perché la gran parte delle persone lascia il loro lavoro professionale, per dirsi pensionati. Oggi, il numero degli ultrasessantacinquenni è in forte aumento; particolarmente nelle nazioni più industrializzate. Questo fenomeno è certamente uno dei sintomi positivi, che segnano il miglioramento della qualità della vita dei cittadini d’uno Stato, ma è anche un fattore che pone una serie di problemi che i Governi

devono affrontare, perché l’aumento del numero dei pensionati comporta un maggiore onere contributivo per le persone in attività di lavoro. Da un altro punto di vista si constata la tendenza a perder in efficienza fisica in quest’età: i tessuti ossei diminuiscono in dimensioni ed in densità; la pelle perde di elasticità; i capelli assumono il sereno colore della neve, o lasciano la loro sede; l'udito e la vista possono perdere la loro vivacità delle prime stagioni dell’esistenza. La senilità richiama il profili del nonno, la tenere figura che concilia nei tratti e negli sguardi l’autorevolezza educativa, con l’affabilità degli affetti. Cicerone assicura un posto di riguardo ai padri dei padri ed alle mamme delle mamme, il posto che la natura e la civiltà hanno riservato in un angolino del cuore dei nipotini. L’invisibile legame tra nonni e nipoti appare, quindi, ingentilito da affetto e da comprensione e, quasi sempre, arricchito dalla trasmissione delle esperienze di vita dai più maturi ai più giovani, con tutto l'arricchimento personale e la crescita che ciò comporta. Manuela Margiotta - I Liceo

Mi chiedo perché la nostra Costituzione, all’articolo 34, proclama solennemente che “La scuola è aperta a tutti” e che “ L’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita”. Probabilmente, coloro che hanno scritto il testo della Costituzione hanno pensato che l’istruzione è un bene non soltanto per ogni singolo cittadino, ma costituisce un vantaggio per l’intera Nazione. Lo avevano intuito le istituzioni della Chiesa cattolica, che sin dai secoli bui del Medioevo, hanno cercato di conservare il patrimonio librario dell’umanità nelle istituzioni ecclesiastiche e religiose, ponendolo anche a disposizione degli studiosi. Ne hanno seguito l’opera gli illuministi francesi del XVIII secolo, i quali, sotto la guida di D’Alembert e di Diderot, hanno realizzato l’ambizioso progetto della prima grande summa del sapere universale, l’Encyclopèdie, forse anche per consentire al popolo più modesto di competere socialmente con i più acculturati componenti del Primo e del Secondo Stato Francese. Continuando questa grande opera di elevazione sociale, I Parlamenti degli Stati occidentali, e fra di essi, l’Italia, già dalla metà del XIX secolo hanno aperto la Scuola a tutti i cittadini in età evolutiva, elevando il diritto di ciascuno all’i-

struzione a vero e proprio obbligo. Ma è difficile pensare che uno dei diritti più importanti della persona, qual è quello all’istruzione, possa divenire un obbligo. Credo, infatti, che l’apprendimento delle conoscenze e delle competenze non è una funzione che possa essere imposta a colui che non voglia apprendere, allo stesso modo in cui, al figlio anoressico, la mamma vorrebbe imporre l’alimentazione forzata. Sembra più giusto pensare, che quando proclama che l’istruzione è obbligatoria, l’articolo 34 della Costituzione vorrebbe rivolgersi soprattutto alle istituzioni ed alle persone, alle quali la legge stessa assegna il dovere di provvedere all’istruzione dei minori. Forse quell’articolo parla agli orecchi dei Sindaci, dei Presidenti della Provincia, della Regione e della stessa Autorità di Governo, affinché creino le condizioni perché tutti, proprio tutte le persone in età evolutiva, possano frequentare una scuola che consenta realmente di divenire cittadini europei a pieno titolo. Marco D’Agostino e Francesca Cristallini V Ginnasio

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“Ehi tu, sta zitta!”…E’ così che David Grossman inizia il suo libro “A un cerbiatto somiglia il mio amore”. A pronunciare la frase è un bambino, Avram, a quella che diverrà poi la sua migliore amica, la protagonista dei suoi sogni, il fine ultimo verso cui incentrerà la sua vita: Orah; il luogo in cui la pronuncia è un ospedale, reparto isolamento, durante la guerra dei Sei Giorni ad Israele; il tono è sommesso, un sibilo nel silenzio della stanza. I due ragazzi sono quasi soli, se non fosse per qualche infermiera che passa di rado e un altro ragazzo, Ilan, che spesso, a causa della febbre delira e li stringe in una paura sempre più cupa spingendoli ad aggrapparsi l’uno all’altra. Sono questi i protagonisti del romanzo di Grossman: tre bambini che in poche pagine diventano adulti e vivono le sofferenze della guerra di Israele sulla loro stessa pelle. Tutto però gira intorno a Orah, il sole dei due uomini, la carica che li attrae incessantemente a sé e che li spinge però ad allontanarsi. Ilan e Avram sono infatti innamorati di lei, ma soltanto il primo riesce ad averla, restando per sempre inconsapevole della presenza dell’ altro nel cuore della donna. Tutto ha inizio quando i due uomini devono partire per il servizio di leva obbligatorio: Ilan ne tornerà salvo, sposerà Orah e con lei crescerà due splendidi bambini, Ofer e Adam; Avram invece, verrà catturato dagli egiziani e seviziato e poi rimpa-

triato. La ferita che riporterà non sarà solo fisica, ma i suoi occhi vispi, l’infinita voglia di conoscere, quella passione di vivere e l’ amore assoluto per Orah moriranno con la sua dignità nelle prigioni egiziane. La donna, dopo averlo accudito per mesi in ospedale, perderà le sue tracce, e il profondo dolore della situazione di Avram porterà la sua famiglia a sgretolarsi in mille pezzi. Così Orah si troverà sola ad affrontare l’ abbandono di Adam e Ilan e l’ arruolamento di Ofer nell’esercito. Quest’ultimo è il figlio, il cerbiatto sorridente che ama immensamente forse più di Adam, anche se non dovrebbe, e con il quale intreccerà tanto la sua vita, da soffrire profondamente per la sua partenza. Fortunatamente il periodo di leva dura poco tempo, lei lo sa, e organizza una gita da fare insieme al suo ritorno. Ma una chiamata la distrugge: Ofer parte per una missione in Cisgiordania. La forza della disperazione la porta a cercare Avram, trovare quell’uomo che ha sempre portato nel cuore, con cui condivide un grande segreto e di cui forse è segretamente innamorata e a portarlo con se in viaggio … Anna Serena Bianco - III Liceo

Oggi, un po’ per l’insufficiente formazione assicurata dalla famiglia e dai suoi contesti, ed un po’ per i nuovi ideali di vita, i giovani tendono ad allontanarsi dal mondo della Chiesa. Riflettendo sul questo fenomeno, ricordo che, in una delle omelie pronunciate da Mons. Cosmo Francesco Ruppi nella Messa per la Confermazione, l’Arcivescovo emerito di Lecce si disse triste. Sentiva che i cresimandi non avrebbero continuato a frequentare la Chiesa. E’ vero, che sino a 13-14 anni, gli adolescenti partecipano tutti alle funzioni religiose ed agli incontri di formazione, che i Pastori organizzano per fare approfondire ai giovanetti i fondamenti della fede cristiana. Ma, dopo la Cresima tutto cambia. Forse i giovani pensano di poter affrontare da soli le sfide della vita, senza il sostegno spirituale della Chiesa. Lo dimostrerebbe una delle prime manifestazioni di questa sorta di autonomia spirituale: la rinuncia alla Messa domenicale. Passeggiando per le strade del paese. ho incontrato due ragazzi, pressappoco più grandi di me, ai quali ho chiesto il loro punto di vista al riguardo. Per loro la responsabilità starebbe tutta nella insufficiente modernità dell’attuale pastorale parrocchiale. 6 A me sembra, invece, perfettamente normale che la Chiesa riproponga gli antichi rituali, del resto, cosa penserem-

m o d e ll a Chiesa se cambiasse le proprie posizioni nei campi liturgico, morale e sociale ad ogni piccolo cambiamento negli stili sociali ? I riti della Chiesa, come i suoi insegnamenti, non sono espressioni della libera interpretazione della Parola del Vangelo e del messaggio contenuto nella ricca Tradizione della comunità cristiana. La Chiesa ha un obbligo di fedeltà al deposito della Fede dei Padri, e mi sembra giusto, perciò, che i suoi Pastori cerchino di adempiere a quest’obbligo adeguando gradualmente la pastorale allo stile di vita delle nuove generazioni. L’accoglienza offerta dalle parrocchie ai tanti Gruppi ecclesiali che ne arricchiscono i carismi istituzionali, è una delle possibili forme di attualizzazione della pastorale. Con la semplice domanda ‹‹ tu cosa ne pensi?››, che si sente all’ interno di questi gruppi ecclesiali, il Pastore chiede un attimo di attenzione al giovane, perché dica: ‹‹Si! Io la penso così››. Dando ai giovani la possibilità di confrontarsi l’uno con l’altro, è probabile che essi tornino sotto le navate con fiducia; continueranno a trovarvi la sapienza che porta al bene. Matteo Longo - I Liceo

Il Brenta Molte volte mi sono recato sul Brenta, insieme a mio padre e ai fratellini per lanciare nel fiume i sassolini. Sopra al fiume passa un grande ponte e da lì su si scorge un alto monte. L’acqua del fiume non è mai abbondante ma è sempre limpida e fresca e dà vita a piccoli ruscelli dove si abbeverano graziosi uccelli. Elia Guerra


L’anno 2009 ha proposto due anniversari molto importanti nella storia della scienza; ricordano due ricorrenze riferite alla vita ed all’opera di Charles Robert Darwin. Il primo dei due anniversari ha riportato alla memoria la data di nascita del grande naturalista inglese (più specificamente può essere definito biologo, botanico e zoologo), che vide la luce il 12 febbraio del 1809, a Shrewsburg, in Inghilterra, al confine con il Galles. Il secondo anniversario ha ricordato l’opera più famosa di Darwin, “L’origine delle specie”, edita il 24 novembre di 150 anni fa. Correva il 1859 quando Darwin completò la ricerca sui numerosissimi campioni di specie animali e vegetali, che aveva raccolto nei cinque anni di studi a bordo della Beagle, che lo portò dalle isole del Capo Verde alle Falkland e da queste, alle 14 isole vulcaniche Galapagos, aò largo delle coste cilene, nel Pacifico. Lo avevano incuriosito soprattutto le tartarughe ed i fringuelli della Galapagos, perché presentavano aspetto, abitudini alimentari ed tante altre forme di vita dissimili, ma, per molti altri aspetti, queste due specie di esseri viventi erano molto vicine. La grande finezza d’intuito dello scienziato gli aprì l’orizzonte d’una delle più grandi teorie, che mente umana abbia mai potuto ideare e che Darwin delineò nel titolo completo, con cui presentò la sua grande opera: Sull'origine delle

specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita.

La teoria evoluzionistica darwiniana ipotizza che tutte le specie oggi viventi discendono, per un processo di graduale metamorfosi, da un gruppo di organismi primordiali, vissuti sul pianeta circa 4 miliardi di anni fa. Tutto ciò sarebbe avvenuto grazie a tre semplici meccanismi, che rappresentano i cardini su cui Darwin ha fondato la sua teoria: il caso, la selezione e la variazione. La geniale intuizione darwiniana, consente oggi ai professori di scienze naturali di insegnare che la vita si è sviluppata casualmente dalla materia inorganica, secondo un processo di generazione spontanea. Gli stessi insegnanti

propongono, poi, l’esatto modo di intendere la parola evoluzione, che non pretende di indicare un agente, né una forza, ma la successione di una o più d’una serie di eventi, di fatti che avrà favorito alcuni individui, concedendo loro di lasciare una prole più abbondante, che, a sua volta, avrà agevolato il progredire della specie. La stessa successione di eventi avrà prodotto effetti contrapposti, riducendo la sopravvivenza della prole d’una determinata specie vivente,. che ne avrà potuto causare l’estinzione,. Il processo descritto, definito sinteticamente selezione, non consente alla natura di scegliere l’individuo più adatto all’ambiente vitale, ma si limita a concedere agli individui una diversa fertilità. Le conquiste che la scienza ha fatto dopo l’età di Darwin hanno permesso ai suoi epigoni, autodefinitisi darwinisti, di sostituire il terzo cardine della teoria darwiniana, la variazione, con quello di mutazione. Il neologismo richiama il processo di lenta evoluzione della struttura del D.N.A. che sembra avvenga secondo leggi deterministiche. La tesi darwiniana può essere ben definita teoria, secondo l’epistemologia propria delle scienze sperimentali, perché la sua validità è stata confermata da numerosi esperimenti scientifici e dal ritrovamento di alcuni reperti archeologici. La teoria dell’evoluzionismo non manca, comunque, di ben determinati avversari, o, quanto meno, di voci dense di scetticismo. Talune di queste voci sostengono che la teoria darwiniana non abbia resistito, e non resista ancora molto saldamente alle uniche verifiche, quelle della riproducibilità e della verificabilità della tesi proposta, che possono confermare la validità scientifica d’una congettura, come anche Popper insegna. La grande prevalenza delle conferme che alla tesi darwiniana sono giunte dalla comunità scientifica internazionale nel corso di un secolo e mezzo, fa dire che, almeno sino a quando non sarà elaborata una teoria diversa, che riceva più verifiche sperimentali di quante non ne abbia ottenute e ne stia ottenendo, la grande intuizione del naturalista di Shrewsburg, l’evoluzionismo darwiniano è da ritenersi la spiegazione più accettabile dell’attuale realtà della natura. Elena Sozzo - II Liceo

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“Mens sana in corpore sano”, scriveva Giovenale, per ricordare che l’uomo dovrebbe aspirare soprattutto a conseguire due beni, che giudica più importanti delle ricchezze, della fama e dell’onore: la sanità dell’anima e la salute del corpo. Ma questo è un detto che non è stato sempre rispettato. Ed ora si corre ai ripari. Lo dimostrano le tante persone d’ambo i sessi e d’ogni età, che nelle ore del pomeriggio e della sera, lasciati gli abiti di lavoro, indossate eleganti tute, si proiettano, fiduciose, nelle palestre urbane, o a tra i tigli ed i platani dei viali cittadini, o tra i fichi d’india delle strade vicinali. Noi giovani non ci lasciamo cogliere dall’oblio del detto del maggior poeta satirico latino e veglieremo, perché vogliamo curare le funzionalità del nostro corpo con impegno non minore di quello che ci porta a tener sempre alta la qualità delle nostre funzioni mentali in aula. Da giovani ci si dedica all’e attività fisiche anche al di fuori dell’orario scolastico, perché si è convinti che non ci sia nulla di meglio dello sport per impiegare

bene il proprio tempo libero. Lo sport è parte del naturale “love of the game”, di quella tendenza irresistibile che ci si porta con sé sin dall’infanzia e che accomuna adolescenti e giovani. Che si giochi a calcio, a basket o a pallavolo, il risultato non cambia: lo sport è una successione di ritmi coinvolgente che non ti abbandona mai, e ti permette di socializzare senza sforzo. Nulla di più esaltante che sentire il fruscio che pare emettere la rete, quando viene sfiorata da un perfetto tiro del tennista, andato a segno. E c’è qualcosa di avvincente nello “squittio” delle scarpe sul parquet o nell’ atmosfera che avvolge il palazzetto dello sport. Chi potrà immaginare quel che si prova quando il tuo allenatore ti chiama per farti entrare in campo ! In quel momento non esiste più nient’altro, oltre alla partita. Se poi, non si è proprio tagliati per l’agonismo attivo, ci si potrà sempre avvicinare alla pratica sportiva. Il sudore e l’affanno della corsa, del salto, o del nuoto, diverranno una “valvola di sfogo”, che permetterà di staccare la spina dei ritmi convulsi della propria quotidianità. Matteo Leo e Lorenzo Remiddi V Ginnasio

Anche la musica, come tutte le altre forme che esprimono i costumi di vita, è figlia di un determinato contesto sociale. Al tempo d’oggi prende sempre più piede la musica house, o musica da discoteca. Nata negli anni ‘70 e ’80 nei locali di Chicago, è arrivata sino a noi adolescenti, invadendo le discoteche, insieme con le menti di molti adolescenti e giovani, in cerca di sonorità e di emozioni nuove. La musica house fa tanti ascolti grazie alla sua principale caratteristica: il ritmo. Questo genere di musica, infatti, crea nuovi ed incessanti dinamismi sonori, inseguendo martellanti sequenze nelle percussioni, che generano effetti di irresistibile rapimento, quasi un coinvolgimento ipnotico in chi l’ascolta (è lo stesso effetto che notiamo quando constatiamo che non riusciamo a prendere sonno, quando l’ orologio fa sentire nella notte un ticchettio molto rumoroso; non riusciamo a dormire non tanto per il rumore in sé, quanto per quell’effetto droga che fa tenere il cervello attivo e complica la fase di addormentamento!). Completando la nostra riflessione, potremo constatare che la musica da discoteca. In generale, non si lascia apprezzare molto per le sue strutture compositive; essa è poco impegnativa. Se si

Ginnasio Liceo “Giovanni Paolo II” Via Umbria 73100 Lecce Tel-fax: 0832/230497 Email: segreteria@liceogp2.org Sito: www.liceogp2.org DIRETTORE Dott. Fabio Scrimitore – Dirigente VICE DIRETTORE Rosangela Giurgola - III Liceo REDAZIONE Per il IV Ginnasio: Diego Guglielmi Simone Pezzuto Beatrice Tommasi Per il V Ginnasio: Laura Cammarota Francesca Cristallini Marco D’Agostino Biancamaria De Santis Gloria Giurgola Matteo Leo Pierpaolo Petrelli Lorenzo Remiddi Per il I Liceo: Matteo Longo Manuela Margiotta Per il II Liceo : Carlo Conversano Valeria Morciano Elena Sozzo Per il III Liceo: Anna Serena Bianco Giorgio De Maria GRAFICA E IMPAGINAZIONE Prof. Massimiliano Capozza STAMPA Grafiche Tocci - Surbo

esclude l’impegno richiesto dalla raffinata tecnica richiesta per produrre il ritmo musicale, possiamo dirci convinti che questo genere di musica non richieda grandi doti musicali; fra l’altro, è anche facile da ricordare e da cantare, allo stesso modo in cui son facili da ricordare e da declamare le poesie con versi parisillabi, sonorizzati dalla rima baciata o da quella alternata. Noi, giovani, sappiamo bene quanto tal genere di musica inviti, anzi, trascini, al ballo. Anche per il ballo si può dire quello che si è scritto all’inizio: pure questa forma di espressione di vitalità artistica è figlia di un determinato contesto. Come le diverse forme di musica hanno accompagnato nel tempo l’evoluzione dei gusti espressi con i suoni, così le figure ispirate dalla Musa Tersicore sono state creazioni, nate dagli stili di vita che le persone hanno espresso nelle 8 diverse età della loro storia. Laura Cammarota e Gloria Giurgola - V Ginnasio


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