Emilio Faroldi, Maria Pilar Vettori_L’architettura del mistero

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Indice

7. 17. 33. 35. 53. 89. 117. 153. 154. 158. 161. 163.

Appunti di viaggio tra protagonisti, storie e poetiche.

Italia e Brasile: un dialogo di architettura costruita

Storia di una chiesa italiana in Brasile.

Un’architettura tra luogo, spazio, semantica

La Chiesa di Sant’Anna a Jundiaí

Ideazione

Progettazione

Costruzione

Elementi

Apparati

Attori ed esecutori dell’opera

Bibliografia essenziale

Ringraziamenti

Note biografiche degli autori

Appunti di viaggio tra protagonisti, storie e poetiche

Italia e Brasile: un dialogo di architettura costruita

«Viaggiare è un moto relativo tra gli spostamenti che si compiono nello spazio e quelli che avvengono dentro di noi. Portare le proprie opinioni nel mondo è la logica conseguenza dell’avere opinioni, ma capire è una operazione dialettica tra il proprio pensiero e quello altrui». Queste riflessioni di Ernesto Nathan Rogers accompagnano i suoi appunti di viaggio in Brasile dai quali emergono in egual misura dubbi e certezze, espressioni tipiche dei contesti esuberanti, dalle molteplici, condivise contraddizioni1. Un tema, quello del “viaggio”, che quarant’anni dopo vuole ancora costituire il filo rosso che lega frammenti ed episodi del contributo architettonico italiano al Brasile.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento la presenza italiana in Brasile, soprattutto a São Paulo, costituì un fattore determinante nell’evoluzione, sia urbanistica sia architettonica, della città e della sua immagine. Figure quali Tommaso Gaudenzio Bezzi, Luigi Pucci, Giulio Micheli, Giuseppe Chiappori, Giovanni Battista Bianchi, tra gli altri, hanno rappresentato le prime

generazioni di italiani operanti in questo Paese2. Dopo un momento di flessione del flusso di immigrazione tra il 1920 e il 1930, nell’estate 1935 gli spacci d’agenzia diffusero che il Governo del Brasile «ha chiesto al Governo italiano di autorizzare l’architetto Marcello Piacentini Accademico d’Italia, autore della Città Universitaria di Roma, a recarsi a Rio de Janeiro, per redigere il progetto della nuova Città Universitaria. Il Governo italiano ha accolto la richiesta [...]». Piacentini compì un viaggio dalle modalità simili a una visita di Stato nel quale svolse sopralluoghi, con le autorità e i tecnici locali, compì i primi studi, tenne una conferenza su “La moderna architettura italiana”, e prima di rientrare consegnò una relazione al Presidente della Repubblica con la promessa di ritornare nel novembre e dare avvio ai lavori3. Di certo Piacentini tornò a São Paulo tra il 1938 e il 1939 – negli stessi anni in cui iniziò il progetto per l’E42 a Roma – e realizzò per il Conte Francisco Matarazzo l’Edificio per le “Industrie Riunite”, oggi Sede Banespa, e una ristrutturazione della sua abitazione sull’Avenida Paulista, entrambi a

Daniele Calabi Casa Calabi São Paulo, Brasile 1945-1946

La fusione tra il razionalismo europeo e la spiccata sensibilità climatica locale trova nel sottile paulismo di Daniele Calabi una concreta espressione: testimonianza di un’instancabile ricerca tipologica che permea ogni fase dell’atto progettuale, con un equilibrio armonioso tra rigore formale e adattamento ambientale.

1. Il capitolo “Appunti di viaggio tra protagonisti, storie e poetiche” riporta in forma integrale i contenuti del saggio: Emilio Faroldi, Maria Pilar Vettori, Italia Brasile. Dialoghi di Architettura. Appunti di viaggio tra protagonisti, storie e poetiche, in «Abitare» 374, Editrice Abitare Segesta Spa, giugno 1998, Milano.

2. Giulio Micheli (Firenze, 1867), Giuseppe Chiappori (Torino, 1874), giunti a São Paulo ai primi del ’900, realizzarono la struttura metallica in stile floreale del viadotto Santa Ifigenia, tuttora uno degli elementi più caratterizzanti del centro città.

3. Mario Lupano, Marcello Piacentini, Laterza, Bari 1991.

della Mostra d’Arte Italiana “Dal Caravaggio al Tiepolo” che si svolse all’interno di tale manifestazione in un padiglione a forma di grande cupola, il “Planetario” progettato da Niemeyer9. La presenza di Albini a São Paulo ricorda un episodio alquanto singolare: l’aereo sul quale viaggiava, diretto a São Paulo, fu costretto ad ammarare per un guasto tecnico. Così racconta un giornalista all’epoca: «Era il 12 settembre del 1953, mentre a Milano la sua collaboratrice Franca Helg seguiva il montaggio delle poltrone e dei pannelli, Franco Albini con una ventina di occasionali compagni ammarava a bordo di un aereo della linea Rio de Janeiro-São Paulo, al largo di Santos Dumont, nell’Oceano Atlantico. Era notte, i passeggeri uscirono dalla cabina del pilota e si disposero in fila sulla fusoliera, poi quando l’apparecchio cominciò ad affondare si gettarono in acqua. Non fu un’avventura piacevole». Il viaggio di Albini, con questo aspetto aneddotico, conforma l’esistenza di una comune volontà di condividere non solo esperienze episodiche, bensì tematiche che pur nei differenti sapori evidenziano la medesima radice. «Si potrà», diceva Rogers, «tacciare

di formalismo una critica la quale, nell’apprezzare a posteriori il significato di una costruzione brasiliana, non tenga nel dovuto conto il fatto che essa sorge proprio in Brasile; reciprocamente si dovrà accusare di formalismo quell’architetto che non assorba a priori nella sua opera i particolari e caratteristici contenuti suggeritigli dall’ambiente»10.

Da qui l’interesse per i temi delle preesistenze ambientali tradottosi nell’apprezzamento dell’Albini dell’albergo per ragazzi Pirovano a Cervinia, del 1948-51, presente nella Sezione Generale di Architettura della II Biennale di São Paulo del 1953. Tornano perciò alla memoria altri frammenti e altri protagonisti legati alla relazione Brasile-Italia, antesignani di idee, di collaborazioni, di occasioni di dialogo all’interno della comune cultura latina.

Tecnica e poetica viaggiano insieme nel formare l’architettura, con soluzioni e figure dai caratteri sovralocali: importanti indicatori che sottolineano la capacità di questo Paese ad accettare il “moderno” nella sua accezione positiva. «Per quanti sapevano che il Brasile è

9. L’allestimento fu presentato sulle pagine di «Casabella-Continuità», 270, settembre-ottobre 1955, da Giulio Carlo Argan, Problemi cli museografia: la Mostra d’arte italiana all’esposizione del centenario di San Paolo degli architetti F. Albini e F. Helg.

10. Ernesto Nathan Rogers, Esperienza dell’architettura, Einaudi, Milano, 1958.

11. Giulio Carlo Argan, Architettura moderna in Brasile, in «Comunità», 24, 1954.

uno dei non molti paesi che possiedono un’architettura moderna, la mostra allestita nella Galleria d’ Arte Moderna a Valle Giulia a Roma non è stata una sorpresa: in Brasile l’architettura moderna ha praticamente vinto la sua battaglia e ha ricevuto perfino il crisma dell’ufficialità». Con queste parole Giulio Carlo Argan introduceva la Mostra dell’architettura brasiliana, inaugurata a Roma il 4 marzo 1954, sulle pagine di Comunità11 .

Se in Italia il binomio NiemeyerMondadori è l’esito paradigmatico di una politica aziendale mirata alla riconoscibilità del ruolo della grande impresa anche attraverso espressioni

dell’architettura dal carattere sovralocale, in Brasile tale ruolo è svolto da Marco Zanuso, attraverso l’episodio della fabbrica da lui progettata e realizzata per la Olivetti nel 1957 a São Paulo. La sede brasiliana dell’Olivetti è stata costruita da una eccezionale figura di imprenditore-architetto italiano, Maurizio Mazzocchi, compagno di esilio di Ernesto N. Rogers in Svizzera, trasferitosi nel 1946 in Sud America.

Dopo avere realizzato per la Pirelli e il gruppo Techint opere di grandi dimensioni quale, ad esempio, il centro metallurgico della Dalmine in Argentina, nel 1953 si trasferì a São Paulo costituendo la Edilbras (Edilizia

Rino Levi, Roberto Cerqueira César, Franz Pestalozzi

Teatro Cultura Artística São Paulo, Brasile 1942-1950

Un elegante equilibrio tra razionalismo e formalismo è in scena al Teatro Cultura Artística di Rino Levi: un progetto sistemico, dove il grande mosaico “Alegoria das Artes” di Emiliano Di Cavalcanti decora la facciata e sancisce, armoniosamente, un fecondo dialogo tra arte visiva e architettura.

Storia di una chiesa

italiana in Brasile

Un’architettura tra luogo, spazio, semantica

Progettare una chiesa costituisce un atto di architettura: costruire un’architettura rappresenta, analogamente, un atto di fede. Progettare una chiesa, vieppiù, implica l’adesione profonda ai suoi significati simbolici, semantici, morfologici, per interpretare in modo più esaustivo i riti liturgici, per mezzo dei codici architettonici.

La chiesa di Sant’Anna a Jundiaí, nello stato di San Paolo del Brasile, identifica una testimonianza di come l’architettura sacra contemporanea possa ancora confrontarsi con i temi profondi della tradizione ecclesiale, della liturgia e della spiritualità, pur utilizzando i linguaggi costruttivi e formali della modernità. L’opera si connota per la sua capacità di tradurre in forma architettonica la complessità del luogo sacro, inteso quale spazio dove l’uomo incontra il divino, e come luogo di aggregazione e partecipazione comunitaria, punto di riferimento di un’intera comunità. Una realtà di frontiera, caratterizzata dalla presenza di un orfanotrofio deputato a togliere i bambini dalla strada per fornire loro un’opportunità di vita e di felicità: una realtà che ancora oggi si rivede nella Comunidade Sant’Anna,

Paróquia São João Bosco, Diocese de Jundiaí.

In un contesto culturale e geografico lontano dalle radici europee, la cappella intende mantenere viva la tensione tra memoria e innovazione, tra retorica e progressismo, evitando la facile eloquenza della tradizione, nonché l’astrazione forzatamente laicizzata ed ermetica di certa architettura moderna. Il rapporto tra spazio sacro e spazio profano, tra interno ed esterno, tra figura e paesaggio è affidato a una espressione linguistica composta da volumi netti, materici, massivi, ove il mattone a vista diviene elemento semantico e costruttivo, in grado di conferire all’edificio un senso di permanenza, radicamento e afferenza al luogo.

Un tema denso di valori sociali e aggregativi, sviluppato per mezzo di linee forti ed essenziali affidate all’espressività dell’argilla, tentando di non scivolare in facili preziosismi, e affidando all’accostamento e al contrasto della veridicità materica la soluzione della simbologia liturgica.

L’opera è generata dalla reinterpretazione rigorosa, sia planimetrica sia di alzato, della croce latina, non come puro

I. Ideazione

«Il futuro è nelle idee. È nei pensieri e nelle mani degli architetti capaci di generare queste idee e di materializzarle, elevarle, costruirle.

Le idee sono indistruttibili»

Alberto Campo Baeza, 1996

Ideare e riflettere sul tema dello spazio sacro e del luogo di culto –elementi fondativi nella nascita e nell’evoluzione dei tessuti urbani, oltre che terreno privilegiato per alcune tra le più significative sperimentazioni architettoniche lungo il trascorrere dei secoli – rappresenta un’occasione straordinaria per entrare nel cuore del fare architettura e nel ragionare sul ruolo del progetto quale strumento di conoscenza.

Nei processi di morfogenesi urbana e di riqualificazione degli insediamenti contemporanei, l’esigenza di generare senso del luogo e identità locale suggerisce al progetto di architettura di reinventare ruolo e significato di funzioni storicamente connotate, restituendo loro pertinenza e vitalità nel presente. Lo spazio liturgico, inteso quale luogo di esperienza spirituale e fisica, di dialogo e socializzazione, di incontro e condivisione, appare oggi alla ricerca di una rinnovata identità, in linea con le dinamiche della globalizzazione culturale e dei cambiamenti caratterizzanti le pratiche del vivere collettivo. Riconoscendone l’eredità storica –quale archetipo urbano, centro fisico e

simbolico della città, nodo generativo e struttura portante della crescita insediativa – l’architettura del sacro è chiamata a misurarsi con la sfida della contemporaneità, dei suoi ritmi, dei suoi nuovi codici.

Ideare uno spazio per la comunità e per il culto implica un impegno profondo, atto ad attraversare i livelli semantici, antropologici, tipologici e simbolici. Significa confrontarsi con una complessità che coinvolge valori materiali e immateriali, relazioni spaziali e temporali, visioni collettive e istanze personali.

In tale scenario, il progetto ricerca l’equilibrio tra memoria e innovazione, tra permanenze della tradizione e istanze del presente, tra certezze e dubbi, dando forma ad una architettura in grado di divenire punto di riferimento, luogo d’incontro e integrazione, spazio aperto al dialogo con la città e la società, oltre che rappresentare un ambiente preposto all’attività liturgica e spirituale. Il sacro, nella sua dimensione architettonica, si realizza per mezzo della materia, dello spazio, della luce: elementi fondanti e universali dell’architettura che, quando coinvolti per configurare

Fronte est
Fronte ovest

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