La Voce Repubblicana del 31 dicembre 2013

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QUOTIDIANO DEL PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO - ANNO XCII - N° 248 - MARTEDI 31 DICEMBRE 2013 Euro 1,00 NUOVA SERIE POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB (RM)

AUGURI AI REPUBBLICANI

L’autoinganno ad opera di false lotte politiche di Francesco Nucara

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el febbraio 2002, quando per la prima volta fui eletto Segretario del Partito Repubblicano Italiano da una assise congressuale, chiusi il mio discorso dicendo che il Partito non aveva bisogno di santi, di leader carismatici, di “dittatori” (nel senso garibaldino della parola), ma solo di uomini disposti a mettersi al lavoro per una causa comune, un ideale che aveva accomunato per tanto tempo un gruppo di persone e che per motivi contingenti si era sempre più depauperato. Non siamo qui a sottolineare le colpe di quanti avevano contribuito allo scempio organizzativo e politico di quel gruppo dirigente, che con onore aveva tenuto in piedi la dignità del Partito e dei repubblicani. Quando nell’ottobre del 2001 presi in mano la conduzione del Partito, dopo essermi “esercitato” per più di due anni nella segreteria organizzativa, ben conoscevo la disastrata situazione, ma non immaginavo fosse così ampia e profonda. Da poco si era celebrato il Congresso di Bari, il cosiddetto Congresso della svolta, che aveva vieppiù reso poco praticabile la strada per un rilancio del PRI. Di lì a poco infatti vi fu la scissione di gruppi consistenti, politicamente ed elettoralmente, che abbandonarono il PRI, organizzandosi in nuove formazioni politiche. Tra quanti erano rimasti vi fu la nascita di una corrente denominata “Riscossa Repubblicana”, che rappresentava circa il 40% di tutto il corpo repubblicano ed era ben decisa a dare battaglia alla linea politica maggioritaria emersa al Congresso di Bari. Furono periodi animati da grande attivismo politico tra maggioranza e minoranza repubblicana. Le discussioni talora accese, cariche di qualche violenza verbale, si mantenevano però sempre nell’alveo della dialettica politica. Sono passati 12 lunghi anni. Molti di quelli che avevano lasciato il PRI, prima e dopo Bari, sono rientrati e svolgono funzioni di primo piano nel gruppo dirigente repubblicano. È stato fatto un lavoro certosino perché ciò avvenisse. Non vorremmo ritrovarci oggi con un gruppo dirigente che, pensando di non avere sbocchi personali alle proprie ambizioni, pur legittime, crei problemi artificiosi per giustificare una sua eventuale nuova uscita dal PRI. Il sottoscritto non è mai stato un problema e men che meno lo è oggi che sta per dire addio alla funzione che ha esercitato per tanto tempo, probabilmente con tanti errori ma con un unico e solo amore, quello per il Partito Repubblicano Italiano. Le soddisfazioni ci sono state, non molte per la verità, ma quelle più importanti per le quali mi sono adoperato, ho preferito consegnarle in mani altrui, perché così pensavo fosse giusto per il bene del Partito. Posso assicurare che non ne sono pentito. Dispiaciuto sì, per gli scarsi risultati ottenuti che non sono mai stati quelli che avevo sperato, finalizzati cioè ad un opportuno accrescimento, sia d’immagine che di sostanza, del mantenimento in vita, politica e

non, del PRI. Ciò che negli ultimi tempi è stato per me soggettivamente insopportabile, e per il Partito oggettivamente indecoroso, sia per chi ne è stato artefice sia per chi ha dovuto semplicemente esserne testimone, è stato l’uso di un linguaggio politicamente scurrile e vergognoso nei confronti del segretario del PRI. Tra le accuse che mi sono state rivolte in questi anni da persone che hanno preferito, con le loro scelte, allontanarsi dal Partito, una è stata questa: un segretario deve decidere, non può aspettare le decisioni della Direzione Nazionale; “in politica oggi è già ieri”. Un principio che non mi ha mai toccato, giusto o sbagliato che sia. Ho sempre preferito le decisioni partecipate all’onanismo politico. Qualcuno si dovrebbe domandare perché il sottoscritto non si è candidato al Parlamento nel 2001 e non lo ha fatto nemmeno recentemente. In quest’ultimo caso ricordo che è stato fondamentale l’impegno preso solennemente con i repubblicani al Congresso di Roma del 2011. Denigrare il segretario è facile, specie se prima si è volgarmente denigrato chi oggi si vorrebbe ergere a punto di riferimento di una minoranza congressuale, che esiste anche grazie alle iniziative di modifiche statutarie intraprese da chi scrive. Non accettiamo lezioni da chi ha utilizzato il PRI attraverso una porta girevole. Nel 2009 uno dei contestatori, aduso per sua natura a un linguaggio offensivo più che politico, così scriveva: “Ho apprezzato l’appello e l’augurio sincero che il segretario Nucara ha esteso a tutti i repubblicani al fine di superare le divisioni del passato e ho sempre considerato il partito storico come la casa naturale dove ritrovare interamente il mondo repubblicano. Per tutte queste ragioni decido di rientrare nel PRI …”. Ma che belle parole! Un peccato che non siano state veritiere e che soprattutto ingannino se stesse. In un libro, disponibile da qualche giorno, del prof. Robert Trivers, “La follia degli stolti”, c’è scritto: “Il punto fondamentale per definire l’autoinganno, quindi, è che le informazioni vere di preferenza vengono escluse dalla coscienza e, se non vengono eliminate del tutto, sono conservate a un livello variabile di coscienza. Se la mente agisce abbastanza rapidamente , non occorre conservare alcuna versione della verità”. Un antico detto cinese sostiene: “Se prepari la vendetta, scava due fosse non una”. Noi non abbiamo bisogno di scavare fosse, perché non cerchiamo vendette, ma se qualcuno intende farlo sappia che ne deve scavare molte prima di seppellire il Partito Repubblicano Italiano. Sarò un uomo felice quando vedrò che il dissenso all’interno del Partito Repubblicano sarà svolto in termini di dialettica, anche dura, ma civile. Quando si parla troppo delle singole persone e poco dei problemi vuol significare che non si ha nulla da dire. Auguri di tutto cuore e intelletto a tutto il mondo repubblicano. Come mi ha scritto un amico, se il 2014 dev’essere come il 2013, meglio andare direttamente al 2015!

La razionalizzazione Una manovra che colpirà tutti senza discrezioni di reddito

Letta ha bisogno di 500 milioni I

l premier Letta si è affidato a Twitter per far sapere che “le tasse sulle famiglie nel 2013 sono scese e la tendenza continuerà anche nel 2014”. Il calo delle imposte dovuto al taglio dell’Imu sulla prima casa e all’aumento delle detrazioni per i figli a carico, deciso con la legge di Stabilità dell’anno scorso, è considerato dal premier “importante perché si consolidi il trend di fiducia”. Resta da pagare la nuova Imu, ribattezzata, ma salata almeno quanto quella pagata nel 2012 e tornerà l’Irpef sulle case sfitte e saliranno le imposte di bollo sui conti correnti e i titoli tenuti in banca. C’è comunque il rischio di veder aumentare le tasse anche per chi non ha né casa né ricchezze finanziarie e magari ha redditi bassi o bassissimi, vanificando la modesta riduzione delle tasse sul lavoro dovuta al taglio del cuneo fiscale. La legge di Stabilità appena approvata prevede che entro il 31 gennaio il governo debba “razionalizzare” le detrazioni fiscali del 19%, cioè tagliarne alcune, per ottenere un risparmio di 500 milioni di euro già sul 2014. Dal 19% le detrazioni Irpef scenderebbero al 18%, e retroattivamente, perché si applicherebbero alle spese fatte nel 2013, e forse anche al 17% per le spese fatte nel 2014 che si porteranno a scomputo delle tasse che si pagheranno nel 2014. Una manovra che colpirebbe tutti, senza discrezione di reddito.

VOLGOGRAD, SECONDO ATTENTATO Un secondo attentato ha colpito l’ex Stalingrado. Un kamikaze si è fatto esplo-

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dere all’interno di un filobus: 14 i morti e 30 i feriti. La violenta esplosione ha completamente sventrato il mezzo e ha provocato la rottura dei vetri delle finestre del-

l’edificio adiacente. Vladimir Putin ha ordinato di rafforzare le misure di sicurezza in tutta la Russia, “soprattutto nei principali aeroporti e nelle stazioni ferroviarie”. L’escalation degli attentati avviene a poche settimane dall’avvio dei Giochi Olimpici Invernali di Sochi 2014, che inizieranno il 7 febbraio. Il portavoce dell’organismo di investigazioni russo ha detto che è stata aperta un’inchiesta per terrorismo. AI

LETTORI

A tutti, i nostri migliori auguri di Buon Anno ELENCO E INFORMAZIONI PER IL PAGAMENTO DELLE TESSERE PRI 2013 a pag. 4

Cosa ci aspettiamo dalla Farnesina

on può che far piacere il successo del ministro degli Esteri Emma Bonino, che è riuscita a far tornare in Italia Alma Shalabayeva, ponendo rimedio alle mancanze del ministero degli Interni. Quello consentì che la moglie del “dissidente” Ablyazov venisse rimpatriata con una procedura ben poco ortodossa, la Farnesina è riuscita a far rispettare i diritti umani violati. Sarebbe stato meglio ovviamente che il governo avesse una sola faccia, come quella che ha mostrato la Francia. A Parigi hanno catturato Ablyazov, perché su di lui pende un mandato di cattura del-

l’interpool - il dissidente kazako è accusato di essere un bancarottiere ma non lo hanno consegnato, lo tengono loro, in attesa di chiarire la situazione. Se il governo italiano fosse stato oculato, avrebbe potuto fermare la Shalabaleva e trattenerla con la figlia invece di rispedirla a casa per poi riprendersela. Ma tant’è: il governo ha fatto la sua ennesima figuraccia, almeno il ministro Bonino ne esce bene. Se non che ci viene spontaneo chiedere come sia possibile ottenere risultati in Kazakistan per una cittadina di quel paese, quando non siamo ancora stati capaci di tirar fuori dai

guai i nostri connazionali in India? Perché dei due marò italiani non si sa più nulla, quando pure si riusciva a farli rientrare per le feste. Le ultime notizie erano che nuovamente su di loro pendeva il rischio di una condanna a morte. Mai vorremmo che si festeggiasse il ritorno in Italia della Shalabayeva per distrarci dal fatto che per i nostri due marò non ci siano più speranze. Conoscendo la sensibilità, oltre che le capacità di Emma Bonino, al contrario, siamo certi che sia attivissima su questo fronte, più delicato e ben più esaustivo per giudicare l’operato della Farnesina.

Fine d’anno e conti pubblici Resta il dilemma: i nostri sono a posto oppure no?

Ma la Ue e i mercati non stanno a guardare

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onti pubblici in regola? Il quesito rimane da sciogliere e in termini, non da talk show mediatico e salottiero, bensì di rendiconto complessivo dell’attività finanziaria, economica e patrimoniale dell’esercizio 2013, attesi i fenomeni di disfunzione, sperpero, corruzione ormai in ogni settore non solo pubblico, onde porre in grado la collettività e gli Organi vigilanti di valutare l’andamento gestionale del Paese e la “tenuta dei conti“. Tanto, in particolare dopo le assicurazioni, annose, dell’allora Ministro Tremonti (rivelatasi poi infondate), dei premier Monti e Letta e dell’attuale responsabile del tesoro Saccomanni (da ultimo in occasione della fiducia alla legge di stabilità). Rendiconto, per altro, che dovrà essere l’Ue a certificare. I dati incontestabili, a onor del vero, - a parte quelli “sfornati” dal citato Ministro del Governo Berlusconi -, sono convergenti su uno spread sempre in diminuzione, e provenienti già dal Governo Monti a valere per l’accordo all’Ecofin sul necessario fondo comune europeo per salvare le banche, nell’ottica salutare del presidente della Bce Draghi di una Unione bancaria idonea a rendere irripetibili “nuove Lehman“, a comune garanzia dei risparmiatori europei. Fattori questi, stimati di crescita e sviluppo, ma anche di giustizia per non caricare sui contribuenti le patologie degli istituti di credito, come acclarate in questi anni di crisi profonda, con i danni che tutti oggi pagano. Ma questi sono indubbiamente tasselli finanziari di positività, sia nazionali che europei, da tenere in debito conto, non evitando però di andare con la memoria alle sanzioni di 1 miliardo e settecento milioni di euro erogati a ben sei istituto di credito di rilevanza mondiale, in azioni di “bonifica” all’interno delle stesse, per la “manipolazione dei tassi di riferimento“ del mercato interbancario Libor e Euribor! Un ottimo risultato di garanzia per il cittadino. Effetti della crisi La manovra per il triennio 2013/2016 lascia spazi a prospettive di crescita solo grazie alle operazioni di tagli derivanti dalla revisione della spesa, comunque aleatoria e diluita fino al 2017. In misura ridotta, diversamente, grazie a provvedimenti

piccoli e senza alcuna strategia, quindi solo ad uno “stop and go” (su sussidi, prebende, mance come Forza Italia le cataloga); alle “pensioni d’Oro” –già aggredite dal precedente provvedimento in materia, dichiarato incostituzionale, ma che si reitera illogicamente e quindi di sicura inefficacia!; alle detrazioni per la casa e altre pur sempre utili, ma non adeguati alla “manovra–macigno”, ecc. Provvedimenti comunque tali da non potersi annoverare in strategie strutturali necessarie per fronteggiare una crisi con un Pil esiguo (reale a -9,1%, rispetto all’ultimo anno positivo del 2007, da fonte Confindustria) e che va incontro a: -consumi familiari in forte decrescita (-5, 037 euro l’anno); -a redditi di persone in stato di povertà (4,8 milioni, invece di 2,4 milioni); -a debito della Pa al 132, 6%, e sempre con la riserva sui “buchi“ di Comuni, Partecipate e Regioni per debiti fuori ed extra bilanci; -a un export con valori sempre negativi da un quinquennio; e non ultimo con un indiscutibile inasprimento del carico fiscale letto in una pressione record che ci colloca ben quarti nell’area Euro. Di converso “le vie della ripresa”, che avrebbero dovuto e potuto guidare lo “spurgo” dei fattori negativi, non sono state imboccate se non per parzialissime limature e comunque senza le decise potature. Quelle sulla “politica di tutela” della Casta - i cui costi ammontano a 757 euro a resta, per un milione di persone (studio Uil) -, della manovra in effetti dedicata “contro i cittadini“ (Anci), ma anche di altre tantissime “zavorre” che hanno desertificato il comparto artigianale e industriale. Emblematiche conseguenze di tale e tanto affollarsi di provvedimenti sono, da un lato, l’incompleta ed effimera “riduzione del cuneo fiscale e previdenziale” – non così proposta da anni dal Pri, che ha inciso, sì, sulla diminuzione dei contributi dei datori di lavoro (per apprendisti artigiani, lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, nonché di servizi di riassetto e pulizia locali), ma senza comunque operare quei tagli all’avanzo finanziario, origine dell’anacronistico “tesoretto Inail”, con il “contributo” dell’Ente stesso pari a 1 milione di euro e, dall’altro, il mantenimento di una tassazione sempre sperequata sugli artigiani stessi, per “aiutare“ gli esodati Segue a pag. 4

Primedonne

Il tappo di spumante a Capodanno

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orremmo esser di conforto al presidente del Consiglio che, di fronte all’intervista rilasciata dal segretario del Pd Matteo Renzi a “la Stampa” di domenica scorsa, ha replicato che non gli interessano “le dispute tra primedonne”. Dichiarazione suggestiva che purtroppo non coglie il nocciolo della questione. Qui di “primedonne”, in senso proprio, ce n’è una sola, Matteo Renzi. Letta, Enrico, è solo un parlamentare arrivato al governo grazie a D’Alema, nel senso che Letta è poco meglio di un altro parlamentare, Alfano, arrivato al governo grazie a Berlusconi. Renzi invece non solo non ha niente a che fare con Berlusconi, ci mancherebbe, ma altrettanto non ha niente a che fare con D’Alema, o, meglio ancora, deve la sua ascesa politica all’ostilità, palese e manifesta, verso l’ex premier. Al buon Letta sfugge l’essenza della questione che pure è semplice: qui non c’è stato un cambio generazionale, c’è stata una rivoluzione dove Renzi è stato votato da milioni di persone per cambiare tutto, governo incluso. Figuratevi poi se il governo viene sorpreso, come è accaduto, a far “marchette”- testuale di Renzi – tanto che il Capo dello Stato è costretto a richiamarlo all’ordine. Per cui Renzi, l’unico uomo nuovo della fine di questo disgraziato 2013, l’unica primadonna, per dirla con Letta, tiene a ricordare a tutti che lui si è fatto da sé, senza il supporto di alcuno, anzi, contro tutta la nomenclatura del Pd, di cui l’ottimo Letta è parte sin dagli esordi e con una carriera già avviata dal secolo precedente. Quanto ad Alfano poi, hai voglia a promettere una disponibilità alla riforma elettorale, lui è visto solo come un sottoposto di Berlusconi, persino infedele, cosa che non lo avvantaggia, anzi, lo degrada ulteriormente. Badate che Renzi non è interessato al “rimpasto” di governo, termine che gli provoca un sentimento di repulsione e che mai nessuno gli ha sentito chiedere. Renzi vuole “un cambio di rotta” e scusate la nostra sommessa domanda, ma c’è qualcuno che creda che Letta ed Alfano possano garantirlo? Più facile pensare, in questo stato delle cose, che il segretario del Pd voglia un nuovo governo, di cui lui stesso segretario del partito di maggioranza alla Camera sia la guida. Letta forse non ricorda, ma abbiamo un precedente in cui un leader di una coalizione che aveva vinto le elezioni fu surclassato per il segretario del partito di maggioranza relativa di quella coalizione. Letta che nemmeno ha vinto le elezioni e che è stato indicato sulla base di una trattativa di governo presidente del Consiglio, può forse ritenersi più saldo? Solo nel caso in cui il nuovo centrodestra ottenga alle europee consensi sufficienti per esprimere una maggioranza parlamentare, altrimenti salterà come un tappo di bottiglia di spumante a Capodanno. Inutile dire chi dovrebbe succedergli naturalmente.


2 LA VOCE REPUBBLICANA

Martedì 31 dicembre 2013

economia

Giornalaio di Carter Renzi? Lo si può comprendere se si mettono a fuoco i suoi diversi cinque aspetti. Anche se non è tutto così semplice

Un unico uomo con molti volti

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enzi in cinque mosse. In fondo è un leader facile da capire. Ce lo spiega E. Gualmini su “La Stampa”. Primo. Io non sono come Letta e Alfano. Sono due mondi e due visioni della politica sideralmente opposte che hanno ben poco in comune. Non basta l’età a tenerle agganciate. Letta e Alfano sono arrivati a ricoprire vari incarichi politici, e certamente il più elevato della loro carriera, quello attuale, per nomina dall’alto, da parte di politici parecchio più anziani di loro. Renzi ci è arrivato con voti conquistati dal basso, ponendosi in aperto contrasto con chi ha mandato avanti i primi due. Secondo. Il governo va facendo marchette. Terzo. Non negozio con Letta sui sottosegretari. “Il sindaco-segretario ci dice chiaro e tondo che non gli interessa il rimpasto, una pratica consolidatissima della prima repubblica, dopo aver accettato la quale, crollerebbe tutto il castello della sua diversità. Un altro modo per dire: le piccole intese non sono cosa mia e non mi faccio includere in giochi di palazzo destinati a durare poco”. Quarto. Legge elettorale maggioritaria. Oggi, in effetti, una priorità assoluta: per la democrazia italiana e per il Renzi medesimo. Senza una legge elettorale che consente a chi vince di governare, continueremo a tenerci, nella migliore delle ipotesi, governi di decantazione, incaponiti nel voler durare, mentre il Paese si arrabatta declinando. “Senza una legge maggiori-

taria i partiti non avrebbero più bisogno di un leader che faccia loro vincere le elezioni. La forza di Renzi, il suo approccio alla leadership e il suo primo messaggio, perderebbero peso. Per questo dice chiaramente (e giustamente) che ne parlerà con chiunque, a cominciare da Berlusconi”. Quinto. A chi scalpita per andare alle elezioni, Renzi dice: ‘State calmi, ragazzi’. Per interpretare le prime quattro affermazioni non servono supposizioni e dietrologie. “Sono una la conseguenza dell’altra”. L’unica cosa su cui si possono nutrire dubbi è se sia realmente disposto, dopo aver ottenuto la legge elettorale, semmai gli riuscisse, ad aspettare ancora un anno e mezzo. Dovendo nel fratIn fondo alla via tempo affrontare il test insidiosissimo poi l'aspetta Grillo. delle Europee. Questo supponendo che I due son differenti, il mondo intorno a Renzi non replichi. si sa. Ma quanto Le analisi politiche in provetta, a fredl'opinione pubblica do, non vengono mai bene. Ad esemavverta la differenza, pio: se Alfano si metterà di traverso, non è cifra nota per prendere tempo e sostenere una legge non abbastanza maggioritaria, sarà già molto chiaro che la road map delle riforme è arrivata al capolinea. E abbiamo già detto come per Renzi il maggioritario sia un punto fermo. Passato Alfano, resta un carico non piccolo. Quello del suo stesso partito, dal peso non indifferente. In fondo alla via poi l’aspetta Grillo. I due son differenti, si sa. Ma quanto, in fondo, l’opinione pubblica avverta la differenza, non è cifra stabile. Ora un Renzi nuovo deve pur essere diverso. Ma attento, bello mio, a non esserlo troppo, diverso. Che fatica!

Intervista di Lanfranco Palazzolo Maria Antonietta Farina Coscioni, ex parlamentare Pr, oggi vuole una nuova commissione per la vicenda di “Stamina”

La speranza non ci basta più

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ul caso Stamina ci vuole una Commissione d’inchiesta parlamentare. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana” Maria Antonietta Farina Coscioni, ex parlamentare radicale e membro della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati. On. Coscioni, lei ha pubblicato su “l’Unità” un articolo sulla cura Stamina e sul comportamento del “Ho proposto mondo politico. Cosa chiede? di istituire “Ho proposto di istituire una una Commissione Commissione d’inchiesta parlamend'inchiesta sul caso. tare sul caso Stamina. L’ho fatto perL'ho fatto perché ché molti italiani vogliono sapere la molti italiani verità su questo metodo e capire il vogliono la verità” ruolo delle istituzioni sanitarie e del mondo politico. Si tratterebbe di una Commissione d’inchiesta che avrebbe gli stessi compiti e i limiti della stessa magistratura. Noi sappiamo come queste Commissioni d’inchiesta, a partire da quella sui rifiuti e sul servizio sanitario nazionale, hanno svolto un ruolo importante per conoscere dei temi che riguardano l’interesse pubblico. Perché non approfondire questa

vicenda che, oltre ad avere un risvolto scientifico, ha un grande risvolto politico. Una Commissione d’inchiesta può sollevare gli aspetti oscuri della vicenda Stamina. In passato, chi voleva sapere era a conoscenza degli aspetti più delicati di questa materia”. Allude al ministro Balduzzi e al suo decreto sulla sperimentazione di Stamina? “Sì, alludo anche a lui. Il decreto Balduzzi, nato nella scorsa legislatura è stato convertito in legge da questo parlamento e dal successivo governo. Prima del decreto Balduzzi ci sono state le indagini dei Nas, il lavoro del procuratore Guariniello. Il lavoro di conoscenza su Stamina è stato fatto nel 2012. Le istituzioni avevano in mano la documentazione che avrebbe permesso di impedire l’approvazione del decreto Balduzzi che autorizzava la sperimentazione su Stamina. E la politica avrebbe dovuto comportarsi in un altro modo. Il 28 settembre 2011 fu stipulato l’accordo tra gli ospedali civili di Brescia e la Stamina Foundation; i particolari sul lavoro scientifico svolto prima di questo accordo non dovevano essere divulgati prima di cinque anni. Il prof. Vannoni, responsabile della Stamina foundation, non ha alcuna esperienza scientifica e su di lui ricadono le responsabilità e le esclusività di questa cura. Per questo motivo è utile rileggere questi passaggi che hanno condizionato quel decreto Balduzzi”. Come si potrebbe fare una Commissione d’inchiesta parlamentare se lo stesso Parlamento ha convertito il decreto Balduzzi? “Il Parlamento italiano ha svolto un’indagine conoscitiva su Stamina. Anche il prof. Vannoni è stato ascoltato. Nonostante tutti i dubbi del mondo politico il decreto Balduzzi è stato approvato. La politica avrebbe dovuto porsi certi interrogativi. Non possiamo permetterci di far prevalere il silenzio su questa vicenda”.

SALARI, NEL 2012 SOLO 4 EURO IN PIÙ

fatti e fattacci

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Hollande dichiara guerra alle imprese. La Francia sta diventando sempre di più il paese delle tasse. L’imposta al 75% sugli stipendi oltre il milione di euro in Francia la pagheranno le aziende. Il Consiglio costituzionale francese ha dato il via libera alla nuova versione del provvedimento, in cui la maxi aliquota non pesa più sul beneficiario del salario a sette cifre, ma sull’impresa che glielo versa. La decisione fa tirare un sospiro di sollievo al presidente François Hollande, che esattamente un anno fa, il 29 dicembre 2012, si era visto bocciare per “mancato rispetto del principio di equità” una prima versione della misura, secondo cui la supertassa l’avrebbero dovuta pagare i singoli. Un sofferto passo avanti in una spinosa vicenda che si trascina fin dall’arrivo di Hollande all’Eliseo, nel maggio 2012. La guerra a retribuzioni e bonus stellari era una delle principali promesse elettorali del candidato socialista, e il governo si era da subito affrettato a inserire una misura ad hoc nella finanziaria. Secondo quel primo provvedimento, per i due anni successivi chiunque percepisse un salario superiore al milione di euro avrebbe dovuto pagare un’imposta sul reddito al 75%. La misura aveva carattere “transitorio”, legato alla fase di uscita dalla crisi, e secondo i suoi sostenitori rappresentava uno

“sforzo di solidarietà” richiesto ai più ricchi per aiutare i più deboli. Sulla questione era subito scoppiata una violenta polemica: il governo vuole stigmatizzare i ricchi, dichiarava l’opposizione, e far gravare sulle loro spalle la sua incapacità di risanare i conti pubblici. Diversi vip avevano inoltre annunciato la loro intenzione di lasciare la Francia, per sfuggire a quella che ritenevano un’ingiustizia. Il primo della lista era stato l’attore Gerard Depardieu, trasferitosi prima in Belgio e poi in Russia, dove il presidente Vladimir Putin lo aveva accolto con tutti gli onori. Ma anche il patron del colosso del lusso Lvmh, Bernard Arnault, aveva più discretamente tentato di ottenere la cittadinanza belga, ottenendo però un rifiuto dalla commissione per le naturalizzazioni. A scrivere la parola fine su quella diatriba aveva però pensato il Consiglio costituzionale, bocciando il provvedimento. L’applicazione della tassa al singolo, senza tener conto della sua situazione familiare e dei guadagni dei suoi congiunti, avrebbe potuto generare sperequazioni. La reazione di Hollande è stata immediata: “Nella prossima finanziaria - aveva promesso – sarà inserito un nuovo dispositivo, che conformerà l’aliquota del 75% ai principi posti dalla decisione del Consiglio costituzionale”. Si è arrivati cosi’ alla nuova versione del testo, e poi?

Retribuzioni praticamente ferme al palo nell’ultimo biennio. Nel 2012 la retribuzione mensile netta è di 1.304 euro per i lavoratori italiani e di 968 per gli stranieri. Rispetto al 2011, il salario “è rimasto quasi stabile per gli italiani (4 euro in più) mentre risulta in calo di 18 euro per gli stranieri”. Lo rileva il Rapporto sulla coesione sociale di Istat, Inps e ministero del Lavoro.

ISTAT: FIDUCIA IMPRESE AL TOP DA LUGLIO ‘12 La fiducia delle imprese italiane a dicembre mette a segno un nuovo, anche se leggero, rialzo, con l’indice che passa a 83,6 da 83,4. Lo rileva l’Istat. Si tratta del secondo aumento consecutivo, dopo il balzo di novembre, che porta il livello ai massimi da luglio 2012. Una risalita trainata dal settore delle costruzioni, con lievi miglioramenti per le aziende manifatturiere e dei servizi di mercato. Nel mese delle feste natalizie resta invece ferma la fiducia nel commercio al dettaglio.

primo piano

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el 2012, si trova in condizione di povertà relativa il 12,7% delle famiglie residenti in Italia (+1,6 punti percentuali sul 2011) e il 15,8% degli individui (+2,2 punti). La povertà assoluta ha colpito il 6,8% delle famiglie e l’8% degli individui. Rispetto al 2005 i poveri sono raddoppiati e triplicati nelle regioni del Nord dove dal 2,5% sono giunti al 6,4%. Le famiglie con tre o più minori risultano relativamente povere nel 17,1% dei casi, con un balzo in avanti di circa 6 punti percentuali solo tra il 2011 e il 2012. Nel 2012, in Italia, le persone a rischio di esclusione sociale sono quasi il 30%, soglia superata, tra i paesi dell’Europa a 15, solo dalla Grecia. Ma mica dovete preoccuparvi: come dice il ministro Saccomanni, la crisi è finita.

&

a n a l i s i

Montepaschi oggi è diviso a metà

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er Mps si mette male. Strappo ufficiale registrato sabato scorso all’Assemblea degli azionisti tra i vertici di Banca Monte dei Paschi e la presidente della Fondazione Antonella Mansi sulla ricapitalizzazione della banca. La Presidente della fondazione vuole posticipare la ricapitalizzazione di 3 miliardi al prossimo maggio, mentre la gestione manageriale la vorrebbe oggi. Per la giornata di ieri il titolo dell’istituto senese è andato malissimo alla prova dei mercati. Una prova alla quale il titolo è stato LA VOCE REPUBBLICANA Fondata nel 1921 Francesco Nucara Direttore Giancarlo Camerucci Vicedirettore responsabile Iscritta al numero 1202 del registro stampa del Tribunale di Roma - Registrata quale giornale murale al Tribunale di Roma con decreto 4107 del 10 novembre 1954/1981. Nuove Politiche Editoriali, Società cooperativa giornalistica - Sede Legale - Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326. Amministratore Unico: Dott. Giancarlo Camerucci Direzione e Redazione: Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326 Tel. 06/6865824-6893448 - fax. 06/68210234 - Amministrazione: 06/6833852 Progetto grafico e impaginazione: Sacco A. & Bernardini.

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sottoposto già venerdì quando, dopo il rinvio dell’Assemblea in prima convocazione per il mancato raggiungimento del quorum, è stato chiaro cosa sarebbe successo sabato in assemblea. La chiusura a 0,17 euro, con un -2,15%, non è stata pero’ quella debacle che qualcuno ipotizzava. A Siena si sono scontrate due visioni completamente diverse sul futuro della banca, ma quello che è abbastanza chiaro, nonostante il tifo sfrenato della città del Palio per la giovane presidente dell’Ente, è che tutto, questa volta, passa e viene deciso sopra una città che non ha più il potere di pochi anni fa, che non è più in grado di gestire da sola la terza banca italiana. Ecco perché anche Antonella Mansi, eletta a paladino dai senesi, forse rappresenta più altre realtà come quella del sistema delle Fondazioni bancarie, mai amate da Profumo, a cui ancora oggi fa comodo avere vivo un Ente come quello di Palazzo Sansedoni, con un suo patrimonio (seppur molto ridimensionato) e una sua storia. Una Fondazione che non sembra tanto preoccupata della reazione dei mercati visto che, come deciso nei mesi scorsi per smaltire le ferie dei dipendenti, Palazzo Sansedoni resterà chiuso fino al 7 gennaio. Decisione che non è stata rivista nonostante quanto successo negli ultimi giorni. Ferie che non interesseranno la presidente il cui lavoro per trovare un accordo con il sistema delle fondazioni, magari con il sostegno di alcuni fondi esteri, inglesi e non solo, proseguirà fuori da Siena, tra Roma e altre capitali europee. I risultati di queste frizioni si sono visti immediatamente ieri mattina. Mps è scivolato immediatamente in avvio di seduta a Piazza Affari. Il titolo ha ceduto subito il 5,8%. Su Mps pesa l’incertezza sul futuro della banca, condizionato dalla linea della fondazione. Queste vicende non mancheranno di provocare ampie polemiche anche nel Partito democratico dove ci sono due visioni su come atteggiarsi di fronte a questa situazione drammatica. Il primo banco di prova del neoeletto segretario del Pd sarà proprio questo. Uno dei tanti banchi, a dire il vero.

c o m m e n t i

Novak, tutta una vita per la democrazia

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a giornalista che fece infuriare Honecker. La storia della dissidenza intellettuale della Germania dell’Est è molto interessante e dovrebbe essere studiata a fondo dagli italiani per capire fino in fondo cosa fu il comunismo in quel paese. Ne parliamo a proposito della scomparsa della scrittrice tedesca Helga Novak. La particolarità della Novak e che nei suoi romanzi la scrittrice ha avuto il merito di alzare il velo sulla manipolazione delle coscienze durante la dittatura comunista nella ex Ddr. Helga Novak se ne è andata via in punta di piedi. La scrittrice è morta a Berlino alla vigilia di Natale all’età di 78 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dai familiari a funerali avvenuti. Le vuote, martellanti parole della quotidiana coercizione al conformismo politico e sociale del socialismo reale della Repubblica Democratica Tedesca caratterizza con disincanto i romanzi “I santi di ghiaccio” (1979) e “Volava un uccello senza piume” (1982). Questo secondo libro, a chiare tinte autobiografiche (tradotto in italiano dall’editore Giunti nel 1990), è criticamente incentrato sul periodo di formazione che la scrittrice ha vissuto dal 1951 al ‘54 in un luogo deputato alla piena maturazione dell’“uomo nuovo” socialista, un liceo nel Brandeburgo in cui Novak partecipò, da ‘giovane pioniera’ a un’esperienza politica di avanguardia: la formazione dei futuri quadri del partito comunista. Dopo l’entusiasmo iniziale con l’impegno nel lavoro nei campi e nelle fabbriche e nelle esercitazioni paramilitari, l’autrice narra le dimostrazioni di intolleranza, le menzogne e i soprusi di cui fu testimone entro le mura del collegio, che contribuirono a maturare nella protagonista la dolorosa presa di coscienza delle contraddizioni tra le

parole d’ordine libertarie e la prassi totalitaria del partito. Il dramma personale e politico della disillusione portò Novak a sposare un pescatore islandese con cui visse dal 1961 al ‘64 in Islanda, prima di ritornare nella Ddr. Ma la sua permanenza in patria durò poco, perché nel 1966, a causa dei suoi scritti critici contro la Germania socialista, Novak fu privata della cittadinanza della Ddr e costretta all’esilio. Si stabilì prima in Germania occidentale (Berlino Ovest e Francoforte) e poi in Polonia, dove ha abitato dal 1987, prima di fare ritorno un paio di anni fa a Berlino. Novak è stata anche poetessa e autrice di drammi, tra i quali spiccano “Dialogo cittadino n. 1” (1972) e “Lettera a Medea” (1977): in entrambe le opere Medea è straniera ed intellettuale, moralmente perseguitata ma capace di trovare autonomia di parola e libertà di espressione. Sarà difficile che qualcuno si prenda la briga di ricordare la Novak in Italia. In fondo, la sua esistenza è la prova che i valori della libertà individuale sono incompatibili con qualsiasi dittatura. E ben si sa come nella Ddr il controllo delle coscienze fosse spinto oltre ogni limite, oltretutto in modo subdolo.

Cambogia, la storia è sempre la stessa

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a dittatura che non finisce mai. La Cambogia continua ad essere un paese difficile sotto tutti i punti di vista. La bravura della classe politica che domina questo paese è quella di tenere salde le redini del potere e non lasciarsi sfuggire nulla. E’ accaduto così anche alle ultime elezioni politiche, caratterizzate dai brogli e dagli abusi. Ma stavolta il giochetto di tenere ancora tutti e due i piedi dentro i palazzi della politica non è riuscito alla banda guidata da Hun Sen. Decine di migliaia di cam-

bogiani sono scesi in piazza a Phnom Penh per protestare contro il governo, chiedendo nuove elezioni e le dimissioni del primo ministro Hun Sen. La protesta, l’ennesima dal contestato risultato elettorale dello scorso luglio che ha confermato il premier al potere nonostante le accuse di brogli, ha avuto una massiccia partecipazione anche per la presenza di migliaia di lavoratori tessili, che da giorni protestano chiedendo un aumento del salario minimo di oltre il 60 per cento. “Hun Sen e il suo governo illegale non possono ignorarci, il popolo oggi mostra la sua volontà di cambiamento”, ha detto alla folla Sam Rainsy, leader del “Partito di salvezza nazionale della Cambogia” (Cnrp), che nel voto di luglio ha conquistato 55 seggi contro i 68 del “Partito popolare cambogiano” (Cpp) del premier. Forte del sostegno tra i più giovani, in un Paese in cui il 52% della popolazione ha meno di 25 anni, il Cnrp accusa il governo di essere rimasto al potere solo grazie a diffusi brogli. Le richieste di inchieste indipendenti sul voto e di una nuova consultazione elettorale sono state pero’ respinte da Hun Sen, “uomo forte” che in un modo o nell’altro governa dal 1985. Nessuno è riuscito a schiodare quest’uomo dalla poltrona più importante di questo paese. Attualmente Hun Sen è il capo del governo con la maggiore anzianità di mandato nel Sud-est asiatico. I suoi oppositori lo accusano di essere un dittatore che domina con l’uso della forza, o di essere al servizio del Vietnam; un’accusa respinta dai sostenitori di Hun, che sostengono che egli serve solo il popolo cambogiano. Il rapporto “Global Witness” lo accusò di corruzione e in particolare di negoziare la cessione a privati delle materie prime cambogiane unicamente a vantaggio personale. Accuse che, con il tempo, si sono rivelate fondate. Fino a quando Hun Sen resterà alla guida di questo paese, la Cambogia è destinata a restare per sempre un paese satellite del Vietnam.


Martedì 31 dicembre 2013

LA VOCE REPUBBLICANA

terza pagina

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Un bilancio sulle mostre viste quest’anno. Ad esempio ritornare ai paesaggi di Carrà. E spingersi anche molto oltre... Si avanza l’Ottocento tra poesia rurale e realtà urbana. Un mondo in trasformazione alla Züst di Rancate ( in Ticino): una rassegna che legava l’umanità lombarda e ticinese

Svizzera, Firenze, Copenaghen, recuperando il tratto personale della memoria di Riccardo Brondolo

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on mi piace far controlli e bilanci di fine anno; ma vien spontaneo al flâneur di mostre - specie se, come me, non è stato condizionato nella scelta da impegni e obblighi professionali -, riandare in questo scorcio dell’anno con qualche abbandono a quanto s’è visto ed è ora racchiuso nel contenitore della memoria, cedendo all’invito dell’ultimo foglio desolatamente staccato dal calendario; al ricordo, si sa, non è consigliabile richiedere nulla, tanto meno consolazione: operazione che, sciaguratamente, comporta confronti e ahimè valutazioni comparative; è piuttosto conveniente invece consentire col poeta nel rapprendere la validità della memoria a quanto di giovevole ci può recare: “dopo, è letargo di talpe, abiezione/ che funghisce su sé”. Lascio affiorare così un antico amore che ha avuto conferma, l’incontro inaspettato con un sentimento, la conferma o il fausto rigetto di un assioma estetico, accompagnato da un giovevole -appunto- rimescolio; più di fino, un cromatismo, il senso di un colore che, all’incontro su una tela, si specchia, strepitoso e insospettabile accidente, in un tempo (ora, stagione, anno, temperie di disagio serenità impeto gioia) della nostra vita che credevamo inesplicabile, e irripetibile altrove. Le sorprese del privato Così, andando alle passate stagioni, ritornavano all’inizio e alla fine del 2013, i paesaggi (eternità d’istante), i corpi pieni di materia e colore, e le intente atmosfere di Carrà offerteci alla mostra antologica di Alba e a quella di Mendrisio (Cantone Ticino): il suo frequente e tipico ripiegare, specie in quest’ultima, su uno scampolo d’ora, che avvertii con esemplare richiamo in “Meriggio d’ottobre” del ’27, in cui è l’aria ad assorbire le casualità della natura e le qualità sensoriali di chi càpita innanzi alla tela. Carrà, del resto, è pittore che frequentemente ci viene proposto, e le sorprese ci vengon dunque, come in questo caso, da opere provenienti da collezioni private. E ai paesaggi di Carrà si associa subito, per contiguità territoriale e di climi, il “Paesaggio” di Pellizza, esposto a maggio alla galleria d’arte Ambrosiana di Milano dopo quarant’anni di divieti e (sacrosante, per carità!) gelosie private, opera che più agreste (ma non bucolica), naturalistica (ma senza messaggi gröne) non potrebbe essere; fresca di un accuratissimo e puntiglioso restauro, che ne ha recuperato e rivelato alchimie e strumenti pittorici stupefacenti, la tela di Pellizza di-spiega tutto il suo fascino da uno stralcio di pianura tra rogge, tratturi e prati, da un fluire di occasioni quotidiane senza che nessuna traccia umana si sovrapponga alla Erlebnis della Natura. Ed è curioso come, negli stessi giorni, Il Museo di stato di Copenhagen ci abbia offerta una delle più affascinanti rassegne di vita floreale, il Gottorfer Codex in quattro volumi (1649-’59) e il Green Florilegium, opere dell’amburghese Hans-Simon Holtzbecker, incaricato dal duca Federico III dell’Holstein di raffigurare tutte le specie raccolte nel giardino barocco del suo castello: le 400 tavole, che tengono dell’erbario medioevale e della smagliante preziosità delle opere miniate, se accostate alle tele dei due moderni, ci fanno cogliere il progredire del rapporto simbolico, imitativo, romantico narrato dalla pittura tra uomo e vita vege-

tativa. E non possiamo non rammentare, in questo ambito, l’intenso e condizionante, amoroso e conflittuale rapporto tra l’uomo (con i suoi manufatti) e la natura campestre, quale ci è stato offerto da L’Ottocento tra poesia rurale e realtà urbana. Un mondo in trasformazione, alla Züst di Rancate (ancora in Ticino); una rassegna che lega l’umanità lombarda e ticinese, la Brianza alle prospettive segantiniane delle Alpi svizzere. Il fisico e l’intellettuale Di tutt’altro segno - impresa di alta cultura spartita tra gusto e cultura italo/francese -, le grandi mostre richiamanti ad un più profondo, intellettuale rapporto dell’uomo con la natura, dello

Barocci a Londra

spirito con la materia: l’arduo e incerto confine (o compenetrazione) del fisico con l’intellettuale. Tentato ad inizio d’anno dagli Amici degli Uffizi con l’affascinante “L’Alchimia e le Arti. La Fonderia degli Uffizi da laboratorio a stanza delle meraviglie”, s’è potuto seguire come al significato più genericamente inteso del termine, quello cioè dell’arte di mutare metalli vili o basse leghe in oro, vada sostituendosi, specie nella Firenze del XVI, quello di un procedere per diversi gradi verso una sostanza perfetta e -si noti bene- riassuntiva del tutto, per cui da ultimo si passava ad un innalzamento di maggior contenuto spirituale. Le arti dunque occupavano uno stadio -o, se si vuole, una funzione- non trascurabile in questo processo di affinamento dell’essere. Nell’estate, a Pitti, e in autunno al Luxembourg di Parigi, Il Sogno nel Rinascimento riprendeva con suggestione profonda le stesse tematiche, sullo stesso sentiero filosofico e focalizzandolo elettivamente nelle opere pittoriche. Basterebbe qui ricordare, per la sua icastica valenza di emblema, quella materializzazione del Sogno della fanciulla del Lotto, in cui la dimensione onirica e quella del sonno vengono assorbite nello spiovere sottile di fiori -un filo appenadalle mani degli amorini agli occhi socchiusi della giovane. Fino a tardo autunno, infine, “Le avventure della verità” di B.H.Lévy alla Maeght di Saint Paul ci hanno intrattenuti e guidati sul personalissimo percorso del nouveau philosophe: “una mostra di pittura per pensare, più o addirittura prima che per goderla e sentirla”. La mostra, che, giusto l’assunto, era stata preceduta da un libro/catalogo, realizzava il progetto di un récit, di un racconto che affrontasse “il corpo a corpo millenario tra filosofia e pittura”, una serie di accostamenti di opere senza preoccupazioni cronologiche, anarchicamente pescate nei millenni di lotte tra queste estrinsecazioni dell’uomo, del pittore e

a r c h i v i o

Moneta unica verso il disastro?

L

a crisi economica e il rischio di disgregazione dell’euro cui si è andati vicini nel 2012 hanno fatto saltare la cappa di conformismo che ha accompagnato, fin dai suoi esordi, le vicende dell’Unione monetaria europea. La fragilità del progetto della moneta unica e i rischi del suo fallimento erano ben chiari fin da quando venne firmato il Trattato di Maastricht, nel 1992, ma fino a ieri, la parola d’ordine delle classi dirigenti europee è stata negare i problemi e rifiutare di discutere seriamente le regole dell’euro. Ora il re è nudo e cominciano a uscire dei libri che affrontano i problemi e pongono il tema del da farsi. E’ appena stato

re dei debiti esteri e sulla possibilità di ripagarli. Chi potrebbe uscire? Il candidato ideale sarebbe la Germania, la cui uscita dall’euro sarebbe facilmente gestibile. Essa dovrebbe fronteggiare una minore competitività, ma lo farebbe partendo da una bilancia commerciale fortemente attiva. Quanto alle conseguenze finanziarie, il ritorno al marco non creerebbe particolari problemi. Per un paese debole, gli effetti sarebbero opposti: un miglioramento della bilancia commerciale ed una forte ripresa economica, accompagnati però da un problema di sostenibilità dei debiti, e da un rischio di insolvenza. Ma questo rischio non sarebbe eguale per tutti. Un’uscita dall’euro creerebbe maggiori problemi per la Grecia o la Spagna, i cui debiti sono largamente in mani estere, rispetto a paesi come Italia e Francia, il cui debito pubblico è largamente detenuto all’interno. L’implicazione dell’analisi di Nordvig è che l’unione monetaria è sostanzialmente fallita: o si va rapidamente verso l’unione politica (improbabile), oppure i paesi membri debbono riflettere se restare nell’unione condannati al ristagno o riguadagnare l’indipendenza valutaria e la possibilità di condurre una propria politica economica. Il problema, per come lo vedo io, è che la Germania non ha bisogno e desiderio di risolvere il dilemma. Non ha voglia di andare verso l’unione politica che la costringerebbe a una solidarietà verso i paesi deboli, non ha interesse a uscire dall’euro. Sono i paesi deboli che hanno davanti a sé delle scelte difficili che, ovviamente, cercano di posporre, pagando però un prezzo salatissimo in termini di disoccupazione e di stagnazione economica.

Euroscetticismo? Non fra gli albanesi

L’

Carrà, Meriggio d'ottobre

nutrì della sua ricchezza vivace, della sua absinthe e dei suoi bistrot, delle sue eresie e dei suoi rappels â l’ordre, due grandi e difficili pittori italiani, opportunamente richiamati sulla scena, a completare un discorso e a rifinirne un altro: palazzo Zabardella ha celebrato a Padova De Nittis; la Gianadda di Martigny ha collocato Modigliani nella vicenda di una scuola che scuola non fu, sibbene carrefour di genti e retaggi, labora-

d e l l a

Giorgio La Malfa, “l’Espresso”, 22 novembre 2013 pubblicato, in inglese, un libro di un economista danese Jens Nordvig, The Fall of the Euro, (Mc-Graw-Hill euro 27,37) che è il prodotto migliore di questa stagione critica. Nordvig va al cuore del problema: “Un’unione monetaria senza unione politica è vulnerabile.” La soluzione: creare un’unione politica e quindi centralizzare le decisioni, ma poiché “manca il sostegno pubblico a creare un’unione politica”, è evidente che essa non si farà. Di conseguenza, la crisi dell’euro, è inevitabile. Sono tre forme che può assumere la rottura: la deflagrazione generale e il ritorno allo status quo ante; l’uscita dall’Unione monetaria di un paese forte; l’uscita di uno o più dei paesi deboli. Bisogna fare di tutto per evitare la deflagrazione. e l’euro nell’attuale configurazione non è sostenibile. Bisogna pensare alla possibilità che qualche paese esca dall’Unione per renderla più omogenea. L’uscita di un paese avrebbe due effetti, uno reale sulla competitività delle importazioni e delle esportazioni di quel paese, l’altro finanziario sul valo-

del filosofo, talora rivali, altra alleati. Come spesso succede per i prodotti del wit francese, della mostra si potevano contestare alcune scelte e proposte, ma non certo metterne in discussione spessore e crânerie. Logico poi che Lévy, indotto a sbilanciarsi a proposito di arte proprio lì, nella sua Saint Paul, il paese-tempio di Chagall, di Mirò, di Giacometti, finisse coll’esporre la propria visione filosofica, la propria verità, attraverso opere pittoriche. Rivalutazioni Il tempio della pittura rinascimentale e moderna, la National Gallery londinese, ci ha offerto quest’anno -ci si perdoni il logoro traslato- due veri gioielli. La maggiore rivisitazione fin qui tentata dell’opera del Barocci (Barocci: Brilliance and Grace) ha consentito, a chi non partisse prevenuto, la rivalutazione ‘alla grande’ di un grande maestro; basta per noi quel profil perdu della Maddalena, esasperato tre quarti alla spalla sinistra, per cui scorre, avvolgente e sparto, quel profluvio di capelli biondi, scompigliati e vivi di luminescenze, icona marchio segno di contraddizione di un’avvenenza riscattata dal vizio: sono queste, emozioni e sollecitazioni della memoria, che fanno il fascino di una mostra: specie quando il discorso si svela pieno di contraddizioni, di messe in crisi, e di inaspettati orizzonti. Così, Vermeer and music. The art of love and leisure ci offriva non soltanto la scelta produzione del secolo d’oro della pittura olandese, incentrata sulle opere del Maestro, ma soprattutto una impagabile empatia con il fascino borghese della cultura musicale del XVII e XVIII secolo. Ecco un giovane e una donna seduta al virginale: il volto di lei che ci rammenta, coi suoi attributi nordici, la gentilezza un po’ volgare di un personaggio gozzaniano; e il fascino di uno strumento che di quei secoli -complice musica e letteratura inglese- ha certa dolcezza sottile e gentilmente malinconica. Tra fine Ottocento e inizi del nuovo secolo Parigi accolse e

Albania a un anno dal centenario. L’indipendenza dello Stato albanese fu proclamata a Vlora il 28 novembre 1912. A un anno dal suo celebratissimo centenario, l’Albania non ha certo risolto i suoi problemi, ma non è lo stesso Paese. Se in generale l’occhio dello straniero è più sensibile al cambiamento, è ancor più vero che i numerosi italiani in Albania tendono a sentirsi a bordo di un treno in corsa – sarà l’età media dell’Italia (la più alta del già vecchio continente) o il fatto che in patria il susseguirsi delle stagioni invernali è scandito dai libri di Bruno Vespa. Al

torio (come, un po’ squallidamente si suol dire oggi) di quanto il Novecento sviluppò: l’École de Paris. E se le venticinque figure del genio livornese imponevano una più seria, completa revisione della sua arte, uno spurgo dei luoghi comuni, e con-

Francesco Casorati

cedevano momenti di profondo lirismo e di accorata pietas (Fillette au tablier noir, Jeanne Hébuterne, assise), il corteggio dei Picasso, Chagall, Soutine, Van Dongen, S.Valloton, Dufy, e le sculture dell’amico Brancusi ti rapivano in una Parigi esausta, inquieta e felice: quella che si chiamò la Parigi di Modigliani. Così per De Nittis, a Padova, abbiamo potuto misurare la vastità e la misura di un Maestro mai abbastanza considerato in patria, neppure dopo la morte; e che a Parigi, qualche decennio prima di Modì, fu ammirato dal meglio della cultura post-impressionista, collocandosi al centro del mondo cosmopolita della ville lumière. Arti e Costituzioni Nella tepida Lugano autunnale ha trovato sede propria ed empatica al soggetto “Miti e Misteri. Il Simbolismo e gli artisti svizzeri”. Con estrema dovizie di capolavori, e secondo una ripartizione tematica, s’è potuto constatare che esiste un simbolismo svizzero con sue peculiarità; che queste diversità dipendono sia dalla costituzione “federata” di questo Paese, con le sue autonomie e piccole patrie, sia dalle influenze/confluenze che nei vari cantoni di confine si esplicano al contatto con il simbolismo francese, germanico, italiano; e che ancora quella svizzera, diventa esperienza vieppiù allargata e cosmopolita, per attinenze al simbolismo belga ed inglese. Un accenno merita ancora, per restare in Svizzera, la bella retrospettiva di Sam Szafran a Martigny. Ricordiamo poi con gratitudine le belle sillogi di due pittori diciamo così, senz’offesa- “regionali”, quelle del ligure-piemontese Eso Peluzzi e di Emilio Greco: tanto forte è l’impronta del Sud nelle sue varie figurazioni. E non dimenticheremo facilmente i bacini e le maioliche invetriate, toscane e arabe o se volete mediterranee, esposte a san Miniato; e i restauri trecenteschi degli Uffizi raccolti in via della Ninna. Né posso terminare queste note senza un cenno, un’appendice di gratitudine e di mestizia, appesa ad un barbaglio di occhi spentisi in febbraio: quelli di Francesco Casorati.

s e t t i m a n a

contrario, similmente a quanto sostenuto da tutti i residenti del mondo, per la maggior parte degli albanesi il loro Paese “è sempre uguale e non cambierà mai”. Rimanendo equidistanti da queste due prospettive diversamente parziali, è evidente come le novità susseguitesi nel corso dell’ultimo anno abbiano lasciato un segno sul giovane volto dell’Albania – un viso dai tratti incerti, felicemente rischiarati dal sole dell’avvenire. Il cambiamento è stato innanzitutto politico. Come avviene in tutte le democrazie europee, esso è partito dal basso (gli elettori) ed è proseguito dall’alto (gli eletti) senza che queste due spinte entrassero in conflitto tra loro. La prima novità è dunque la normalità del gioco dell’alternanza: un dato affatto scontato alla vigilia delle elezioni dello scorso giugno , dominate dal ricordo delle amministrative del 2011, quando il sindaco della capitale venne deciso al termine di un riconteggio che richiese l’intervento delle forze diplomatiche americane. In questi primi mesi di governo, Edi Rama è stato molto abile nell’accentuare la percezione della svolta, sia sul piano formale che su quello sostanziale. In quanto totalmente sconosciuti nel contesto albanese – una realtà in cui il lessico della politica è quotidianamente esacerbato ed il lavoro dei governi è circondato dalla diffidenza e dalla disillusione – piccole accortezze di forma come il saluto all’avversario sconfitto in perfetto stile anglosassone o la rimozione dei cancelli aguzzi che circondavano il palazzo del governo sono apparsi come gesti rivoluzionari. D’altro canto, anche sul piano sostanziale le prime scelte governative hanno registrato un salto qualitativo: l’immediata abolizione della legge sull’importazione dei rifiuti e il no agli Stati Uniti sullo smaltimento delle armi chimiche siriane su suolo albanese – decisioni complesse sulle cui implicazioni si può discutere a lungo – sembrano essere figlie, e certamente in questo modo sono state scaltramente presentate, di una logica politica che per la prima volta travalica le categorie della forza e della convenienza immediata, criteri che hanno sempre guidato lo spietato pragmatismo dei governi Berisha. In questo senso, poco importa che queste decisioni siano state prese anche per lucrare consenso interno – secondo gli albanesi più maliziosi, dietro alle intuizioni di Rama vi sarebbe l’esperienza di Tony Blair, l’ex leader europeo che il primo ministro ha espressamente voluto come consigliere – né è rilevante sapere in che misura il nuovo governo sia animato da genuine priorità ambientaliste: il cambiamento politico, è innegabile, vi è stato. Al dato politico è poi legato un ben più importante fattore di novità, relativo alla diversa percezione che i futuri cittadini albanesi avranno del loro ruolo nella vita pubblica del Paese: gli albanesi nati a inizio millennio cresce-

ranno in un’Albania dove il voto democraticamente espresso sarà l’unico mezzo per ottenere il ricambio della classe politica; per quei ragazzi sarà normale pensare al proprio Paese come a uno Stato sovrano, persino davanti ad alleati della statura degli Stati Uniti. Al di là delle legittime posizioni sulla vicenda armi chimiche – gli americani avevano ben argomentato la loro richiesta, condendola di offerte allettanti sul piano economico ed ambientale – è evidente come i giovani cittadini albanesi stiano prendendo coscienza del loro peso politico nella creazione dell’Albania di domani: un dato reso evidente dalla natura civica e apartitica delle manifestazioni spontanee cui ragazzi giovanissimi hanno dato vita nelle prime due settimane del novembre scorso. Accusati, da un lato, di essere giovani disinformati ed esposti, dall’altro, alla facile strumentalizzazione mediatica da parte di un’opposizione in cerca di un elettorato perduto, questi inesperti apprendisti della mobilitazione politica si sono invece distinti per tenacia e capacità. Sarebbe certamente scorretto attribuire la retromarcia del governo unicamente alla loro azione, ma a mio giudizio è altrettanto ingiusto l’atteggiamento di tanti albanesi adulti e disincantati i quali, essendo vissuti in un altro mondo, non riescono a capire il valore delle giovani forze di cui oggi dispone il loro Paese. Ai confini del fermento balcanico, come sempre, l’Europa osserva. Similmente a quanto avvenuto durante il centenario, anche quest’anno le celebrazioni per l’anniversario dell’indipendenza sono state caricate di attese europeiste: lo scorso ottobre la Commissione ha ribadito al Consiglio la propria raccomandazione circa la concessione all’Albania dello status di Paese candidato, una posizione fatta propria anche da una Risoluzione votata dal Parlamento europeo. Spetta ora ai governi degli Stati membri riuniti nel Consiglio europeo del prossimo 20 Dicembre decidere – all’unanimità – sull’opportunità di un simile avanzamento. Sebbene per ben due volte il Consiglio abbia gelato gli entusiasmi generati dalla Commissione, e sebbene il raggiungimento di un consenso unanime sia complicato dalle reticenze di diversi Paesi nord-europei, per la terza volta i media albanesi si sono abbandonati volentieri all’ottimismo, dando vita ad una sorta di festoso count-down. Vedremo se l’onda lunga del cambiamento albanese avrà la forza di superare quest’ulteriore scoglio. Per il momento, l’unica conclusione che possiamo trarre è che la fame d’Europa dei Paesi che ancora non ne fanno parte – Paesi per i quali Europa è ancora sinonimo di cambiamento – ha tanto da insegnare ai giovani euroscettici nati e cresciuti nei Paesi fondatori. Nicola Pedrazzi, “il Mulino”, 17 dicembre 2013


4 LA VOCE REPUBBLICANA

Martedì 31 dicembre 2013

dalla prima

Ma la Ue e i mercati non stanno a guardare continua - (sic!). Operazione illogica, contraddittoria e inutile e non conducente al taglio del costo del lavoro! Solo una presa in giro, reiterando manovre di bassa politica, sempre dello stop and go, sbagliando comunque strada e carreggiata! Cosa è cambiato rispetto alle finanziarie del passato si chiedeva un Ministro? E a tale quesito ha replicato lo stesso ministro Franceschini! Incisivamente, invece, l’ha definita il Presidente Squinzi di Confindustria, di una “Italia che si presenta alle porte del 2014 con pesanti danni, commisurabili solo con quelli di una guerra“. “La stabilità”, così tanto decantata da mesi, alla luce pertanto di una communis opinio da giudizi (con

punteggi e pagelle) assegnati da commentatori “di ogni parte, ordine e grado”, anche fuori degli spettacoli continuativi dell’emittenza pubblica e privata, dovrebbe poggiare su un soltanto dichiarato “rispetto dei vincoli Ue, ma senza potere assicurare crescita, sviluppo e riforme strutturali” (al solito i niet dei poteri forti, dei salotti buoni?…) -. Queste ultime, le riforme, appaiono invece indifferibili e “conditio sine qua non”, per conseguire realmente quegli obiettivi fissati appunto proprio dalla Ue. E lo stato e l’economia sociale di mercato dove sono finiti, in uno ad un minimo di sistema di valori e ad un minimo di programmazione economica - perché no, di uno

ELENCO PAGAMENTO TESSERE PRI 2013 Sez. Pri Massa Marittima; Sez. Pri “Terrana”, Roma;Sez. Pri Marina di Carrara; Sez Pri “Spadolini” Torino; Sez. Pri “Mameli” Genova; Consociazione Forlivese; Sez. Pri “Cattaneo” Milano; Sez. Pri “Arcamone” Foligno (PG); Unione Comunale Cervia (RA); Sez. Pri, Prato-Firenze-Pistoia; Sez. Pri “Mazzini”, Modigliana (FC); Sez. Pri “Mazzini”, Vecchiano (PI); Sez. Pri Albano Laziale, Roma; Sez. Pri “Mazzini” Ariccia, Roma; Sez. Pri Lanuvio, Roma; Sez. Pri Padova; Sez. Pri “Cattaneo”, Rovigo; Sez. Pri Cesenatico (FC); Sez. Pri Paola (CS); Sez. Pri “R. Pacciardi” Grosseto; Sez. Pri “Chiaravalle” Soverato (CZ); Sez. Pri Jesi e Chiaravalle (AN); Sez. Pri Catanzaro; Consociazione Pri Cesena; Federazione Provinciale Pri Ravenna; Sez. Pri “SilvagniMazzini-Valconca”, Rimini; Sez. Pri “Mazzini”, Rimini; Sez. Pri, Novi Ligure (AL); Sez. Pri, Lamezia Terme; Sez. Pri Vomero Arenella (NA); Sez. Pri “Ugo La Malfa”, Codigoro (FE); Sez. Pri “Pisacane”, Foggia; Sez. Pri “Sant’Andrea Borgo Mazzini” Rimini; Sez. “Ugo La Malfa”, Napoli; Sez. Pri “Celli” Cagli (PU); Sez. Pri “Centro”, Caserta; Sez. Pri “Garbarino”, Chiavari (GE); Sze. Pri Fano (AP); Sez. Pri “Mazzini”, Comacchio (FE); Sez. Pri “Giovine Europa”, Andora (SV); Sez. Pri Mantova; Sez. Pri Dro (TN); Gruppo Pri Lucchese, Lecco; Sez. Pri “G. Spadolini”, Viareggio; Sez. Pri “R. Sardiello”, Reggio Calabria; Sez. Pri Melicucco (RC); Sez. Pri Locri (RC); Sez. Pri Samo (RC); Sez. Pri Africo (RC); Sez. Pri Bovalino (RC); Sez. Pri Gioia Tauro (RC); Sez. Pri Pavona, Roma; Sez. Pri Cecchina, Roma; Sez. Pri Palombara Sabina, Roma; Sez. Pri Tuscolana, Roma; Sez. Pri "Pisacane", Foggia; Sez. Pri "G. Mazzini", Ferrara; Sez. Pri "L. Santini", Viterbo; Sez. Pri Trieste; Sez. Pri “Camangi” Roma; Sez. Pri “Bonfiglioli” Bologna; Sez. Pri Grottaglie (BA); Sez. Pri Spilimbergo (PN); Sez. Pri “Aurelio Saffi” Ravenna; Sez. Pri Varese; Sez. Pri Bottiroli” Voghera (PV); Sez. Pri “Mameli” Cologno Monzese (MI); Sez. Pri Cremona; Sez. Pri “Flaminio Prati (Roma); Sez. Pri “F.lli Bandiera” San Pietro in Campiano (RA). Sono pervenute all'Ufficio Amministrazione del PRI versamenti di pagamenti tessere di singoli iscritti. E' chiaro che ai fini congressuali l'iscrizione singola non consente la partecipazione ai lavori dell'Assise repubblicana. Chi non è nelle condizioni di avere una sezione dovrà iscriversi a quella territoriale più vicina. Per ogni ulteriore informazione o chiarimento si prega di rivolgersi all'Ufficio Organizzazione (Maurizio Sacco) ai seguenti numeri: 338/6234576 - 334/2832294 - oppure orgpri@yahoo.it

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strumento operativo come quello della politica dei redditi -, che sembrerebbe proprio indispensabile rispetto al caos tecnico-amministrativo-patrimoniale-politico fatto di improvvisati tasselli immessi nel puzzle a seconda delle varie spinte? Le liberalizzazioni, con quale efficienza, economicità di gestione e crescita dell’occupazione, nonché miglioramento dei servizi di qualità a prezzi “accessibili” per i cittadini-consumatori, quali si rinvengono nei diversi testi, in ottiche di un accettabile Welfare solidale? Una specie di “Nota aggiuntiva”? Per completare “l’opera triste“, non meno che risibile, mentre la Camera dei deputati approvava la legge in esame, il Governo annunciava già numerosi decreti correttivi-integrativi-aggiuntivi-sostitutivi di notevole entità (1,3 mld di euro destinati ai comuni) più altro ancora, a ragione di ”errori in difetto” nelle previsioni di stanziamento proposte nel testo. Nuovi decreti a favore sia dei Comuni stessi, sia delle slot machine!, sia per il dl “salva Roma” (ora ritirato per intervento urgente del Presidente Napolitano), sia per i palazzi d’oro locati da decenni (una lobby sempre tenace, stratificata e consolidata) e, infine, un bel “mille proroghe“ per confermare al paese un quadro di efficacia legislativa “finemente articolata“! Non è mancato “lo schiaffo di Roma“ delle opposizioni quale regalo di Capodanno ai “quarantenni“ magnificati dal premier. Nulla a che vedere ovviamente con la “Nota aggiuntiva” (1962), né con la “Nota preliminare al bilancio di previsione dello Stato per il 1974” che cercavano, impegnando tutte le forze politiche e sindacali, di superare il “permanere di situazioni settoriali, regionali e sociali di arretratezza e di ritardo economico”, di trarre adeguati stimoli dalla generale espansione del sistema, destinata ad esaurirsi se non fossero stati introdotti correttivi strutturali e così di rilanciare l’economia e aumentare i consumi sociali! Ora, pur non sussistendo la “precipitazione strutturale della nostra economia”, si creano invece “note aggiuntive” (un decreto collegato alla emananda legge!) di livello certamen-

Recensione di Antonio Angeli del libro di Giancarlo Tartaglia "Francesco Perri, dall'antifascismo alla Repubblica" di prossima uscita. La recensione è apparsa su “Il Tempo" del 13 ottobre 2013

C

ome è possibile nascere repubblicani in una monarchia, quale era l’Italia alla fine dell’Ottocento? Significa anteporre il ragionamento e l’amor di patria a qualunque convenienza. Accadde a Francesco Perri, acutissimo osservatore e al tempo stesso protagonista della vita democratica del nostro paese. Perri nacque nel 1885 in un paesino in provincia di Reggio Calabria, dal quale si distaccò subito per vivere tra il nord d’Italia e il cuore dell’Europa, mantenendo sempre, però, l’occhio e la mente rivolti a quella che per decenni si è chiamata “Questione Meridionale”. Perri fu, nella sua vita di intellettuale, lunga e difficile, “schiavo” del pensiero. Il ragionamento lo fece essere repubblicano nell’Italia dei Savoia, antifascista quando marciavano le camicie nere e poi meridionalista, legato alle realtà locali al tempo dell’Impero... La storia di questo intellettuale, giornalista e politico, uno di quelli che hanno costruito dal basso, con lacrime e sangue (veri), l’Italia felix del boom economico, è scritta in un completissimo saggio biografico: “Francesco Perri. Dall’antifascismo alla Repubblica”, di Giancarlo Tartaglia, Gangemi Editore, 320 pagine, 25 euro. Tartaglia, storico, giornalista e docente universitario descrive, con una minuziosa opera documentale, da Giolitti alla Ricostruzione, l’evoluzione e la vita di quest’uomo che aveva come obiettivo l’affermazione di un principio modernissimo: la selezione dell’élite di governo deve essere realizzata per via meritocratica e non per mero diritto di successione. Individuò nella monarchia, con i suoi rituali e le sue clientele, un ostacolo insuperabile per la realizzazione di un paese moderno. Nel Ventennio visse un antifascismo appartato, di poco clamore, ma di costanti sofferenze. Si dedicò alla politica nel difficile periodo dell’occupazione nazista finché, dopo la liberazione, nel ’45, il partito lo volle alla guida del “Tribuno del Popolo”, foglio repubblicano genovese, e poi della stessa “Voce Repubblicana”. Fu protagonista delle battaglie per la Costituente e per la Repubblica fino ai giorni della vittoria referendaria. Roberto Balzani, nella sua introduzione, definisce il libro “un bel contributo alla storiografia sul repubblicanesimo, che sarebbe piaciuto a Giovanni Spadolini”. E a tutti quelli che costruiscono e vivono la democrazia “dal basso”. Antonio Angeli,“Il Tempo”, 13 ottobre 2013

te inferiore alle azioni di amministrazione attiva che il Governo avrebbe dovuto e potuto adottare alla luce delle endemiche patologie degli enti locali - con una voragine da buchi neri generati nei bilanci generati, e non dall’occasionale Imu! -. Tanto la Commissione registra e sottolinea, volendo ricordare l’attuale “valore/lavoro” posto in luce dal management dei richiamati “quarantenni”, per un provvedimento che al contrario, inasprisce il carico fiscale, per un inteso necessario, ma assolutamente insufficiente, taglio del costo del lavoro, soprattutto previdenziale, per le esigue risorse destinate (sorta di piano Cottarelli che forse vedremo in azione nel 2027), opera una stangata sulla casa (inquantificabile per l’oscura combinazione di ’Imu, Tari e Tasi in una verosimile patrimoniale!), in una condizione di danno notevole in primis al settore mattone, con incertezze e paure in investimenti anche esteri e paralisi gestionale a breve, medio e lungo periodo e a tutti i livelli. Il caos! E l’UE e i mercati non stanno solo a guardare “la crescita e le riforme“ come ostentate. Specie ora dopo il fermo del Presidente della Repubblica e l’impaludamento governativo. La Commissione Lavoro, Previdenza e Sicurezza del Pri: Arpaia (anche Lidu), Baldacconi, Baratto, Esposito (anche Unitre Sorrentina), Giannoni, Lanti, Mileto e Serrelli


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