La Voce Repubblicana del 24 dicembre 2013

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QUOTIDIANO DEL PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO - ANNO XCII - N° 246 - MARTEDI 24 DICEMBRE 2013 Euro 1,00 NUOVA SERIE POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB (RM)

COSTITUENTI INASCOLTATI

Come venne dissipata la spesa dello Stato

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e i padri costituenti avessero ascoltato Giovanni Conti che proponeva di stabilire 400 eletti per la Camera invece dei 660 che furono poi indicati e 300 per il Senato, una sessantina in meno, nell’arco di quasi settant’anni la spesa dello Stato si sarebbe contenuta in maniera tale che oggi non ci si dovrebbe stare a preoccupare di dove trovare i soldi per abolire l’Imu o non alzare l’Iva. Pensare però che basti ridurre il numero dei deputati, o dei senatori, per risparmiare sulle spese, oramai è una beata illusione o, peggio, una autentica presa in giro. Se si vuole davvero incidere sui costi dello Stato bisogna calare la scure sulla pubblica amministrazione, non solo le Province, che comunque per produrre benefici sensibili andavano eliminate quando lo si propose alla fine degli anni ’70, ma anche le Regioni che sono oramai degli organismi incontrollabili. Quale che fosse l’idea federalista, questa non poteva essere tradotta in una concorrenza legislativa con lo Stato, e la riforma introdotta è priva di senso e tale da aver prodotto un vulnus nel sistema costituzionale che ricade sui cittadini. Da quando il governo Amato ha modificato a colpi di maggioranza il Titolo V della Carta, le Regioni si sono considerati centri di potere indipendente, hanno aperto sedi di rappresentanza come fossero degli Stati sovrani ed i loro eletti sono divenuti pari dell’aristocrazia francese, quella di cui si diceva che poteva tutto, senza saper far niente. Non c’è quasi una Regione in Italia che non abbia avuto uno scandalo da far accapponare la pelle e le inchieste della

magistratura stanno li a dimostrarlo. Solo che non si tratta più di semplice corruzione, ma di autentico delirio di onnipotenza. Ed è incredibile che nessuna forza politica si interroghi su cosa sia successo al Paese per trovarsi in una condizione simile, dando quasi per scontato che i consiglieri regionali si facciano pagare dai contribuenti le feste, le cene e, visto che c’erano, anche la biancheria intima. Il buon Matteo Renzi vorrebbe abolire il Senato che Giovanni Conti vedeva come indispensabile organismo di controllo del governo, proprio partendo dalla diversa rappresentanza che gli si voleva affidare rispetto alla Camera. Bisognerebbe oramai invece abolire le Regioni, e quindi ripensare tutta l’architettura dello Stato che sta andando a pezzi senza che nemmeno preoccuparsene. Siamo evidentemente convinti che “la più bella Costituzione” del mondo si possa tagliare e ricucire come un vestito di Arlecchino, e la cultura istituzionale è talmente scemata in questi anni, che i principali partiti nemmeno sanno più dove mettere le mani. Ovviamente i sentimenti di Renzi, cioè di voler fare in fretta, sono giusti: il Paese non ne può più di questa situazione. Disgraziatamente i problemi sono divenuti così complessi che la fretta fa male, soprattutto quando le cose vanno a rilento per inerzia. Prima di capire se sarà Renzi a far cadere Letta, o se sarà Alfano a logorare Renzi, qualcuno si preoccupi della trama costituzionale della Repubblica; dopo di che, una volta scucita del tutto, badate, si scuce anche la tela della nostra democrazia.

Conferenza stampa di fine anno

Votati i soliti investimenti a pioggia

La svolta generazionale persa “L’

Italia ce la farà” ne è sicuro il premier nella conferenza stampa di fine anno, ritenendo di aver messo alle spalle la parte più complessa della crisi economica. Letta ha riconfermato che le risorse derivanti dalla lotta all’evasione e dalla spending review porteranno risorse che serviranno per ridurre le tasse sul lavoro. Il premier ha sottolineato che sul tema c’è stato un “equivoco” e che “il dividendo della stabilità vale 5 miliardi di euro”. La stabilità politica è il presupposto, la base per trovare la soluzione ai problemi, ha spiegato il presidente del Consiglio e le norme che verranno approvate già da gennaio renderanno per il prossimo anno il fisco più amico dei cittadini. Intanto si è vista la legge di stabilità alla Camera: venti milioni per il trasporto pubblico calabrese. Ventitré per i treni valdostani. Mezzo milione per il Comune di Pietrelcina, paese di Padre Pio. Uno per le scuole di Marsciano, in Umbria. Un altro per il restauro del Palazzo municipale di Sciacca. Ancora mezzo per la Torre anticorsara di Porto Palo. Un milione a Frosinone, tre a Pescara, 25 a Brindisi. Quindi norme per il Teatro San Carlo di Napoli e la Fenice di Venezia, una minisanatoria per i chioschi sulle spiagge, disposizioni sulle slot machine, sulle isole minori. Soldi a pioggia come nelle migliori tradizioni democristiane.

MOSCA, AMNISTIATE LE DUE “PUSSY RIOT” Dopo Maria Alyokhina è stata liberata anche Nadia Tolokonnikova in seguito all’amnistia del

presidente Vladimir Putin per i 20 anni della Costituzione russa. Uscita di prigione, la Tolokonnikova ha gridato: ‘Russia senza Putin!’. Le due Pussy Riot scontavano in carce-

re a Nizhni Novgorod due anni dal 2012 per una protesta tenuta nella cattedrale di Mosca.

ALEPPO, ELICOTTERI DI ASSAD CONTINUANO BOMBARDAMENTO

Gli elicotteri del regime continuano a sganciare i loro micidiali barili-bomba sui quartieri orientali della città di Aleppo. Gli insorti rispondono a colpi di artiglieria contro l’aeroporto militare di Nayrab da dove partono i raid contro la roccaforte dei ribelli. AI

LETTORI

A tutti i nostri migliori auguri ELENCO E INFORMAZIONI PER IL PRI 2013

PAGAMENTO DELLE TESSERE

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“I Repubblicani all’Assemblea Costituente” Relazione del presidente della sottocommissione Giovanni Conti, seduta del 4 settembre 1946 Il Senato l Senato avrebbe, invece, il carattere di una Camera rappresentativa della Nazione come si presenta differenziata nelle varie forme di organizzazione e di istituzioni in cui si esplica la vita sociale. Nel modo di formazione del Senato dovrebbe aversi, anzitutto, uno dei riflessi costituzionali del riconoscimento delle Regioni come enti di diritto pubblico. Il Senato dovrebbe essere una Camera destinata, in prima linea, a rappresentare l’organo nel quale l’indirizzo dell’attività politica legislativa dello Stato si determina tenendo conto delle diverse esigenze regionali. Non è però necessario che il criterio regionale sia adottato come criterio unico ed esclusivo per la formazione del Senato. Sarebbe conveniente attribuire l’elezione di una parte dei senatori ed altri enti, nei quali si concreta sotto altri aspetti la differenziazione della società nazionale.

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Secondo tali criteri, la Costituzione determinerebbe il numero dei senatori da eleggersi dalle Regioni e quello da eleggersi da altri enti, quali le organizzazioni sindacali nazionali, le università. Il numero complessivo dei membri del Senato potrebbe essere fissato a 300. Il numero dei senatori eletti dalle Regioni dovrebbe non essere inferiore ai due terzi. Si può considerare se convenga, come in Svizzera e negli Stati Uniti, attribuire a ciascuna regione l’elezione di un numero eguale di senatori o se, invece, non sia più opportuno che la distribuzione dei seggi senatoriali fra le Regioni sia da farsi tenendo conto delle diversità di estensione geografica e di popolazione delle varie regioni. L’elezione dei senatori di questa categoria sarebbe attribuita all’Assemblea della Regione alla quale prenderebbero parte anche delegati dei consigli comunali della regione. Il criterio indicato come direttivo della formazione del Senato non esclude, poi, in

linea di principio, che si consideri anche la convenienza di attribuire allo stesso Senato od al Capo dello Stato la nomina di un ristrettissimo numero di senatori a vita, in modo da permettere di assicurare al Senato il concorso di personalità eminenti, che per ragioni diverse non sarebbero utilizzate col sistema elettivo. I senatori sarebbero eletti per 6 anni e si rinnoverebbero per metà ogni 3 anni. Formazione delle leggi La Camera dei Deputati ed il Senato concorrerebbero, come organi distinti, alla formazione delle leggi, le quali sarebbero sanzionate e promulgate dal Capo dello Stato. La Costituzione dovrebbe stabilire che il Capo dello Stato, quando ritenga di rifiutare la sanzione, deve rinviare il disegno di legge alle Camere con messaggio motivato: se ciascuna di queste approva di nuovo il disegno di legge a maggioranza dei due terzi, il Capo dello Stato sarebbe obbligato a promulgare la legge.

Da Robespierre a Mazzini La forza dell’illusione nella storia contemporanea

Il Risorgimento rivoluzione compiuta di Riccardo Bruno

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n anziano professore prussiano che aveva istituito un Tribunale della Ragione con cui tagliare la testa alla filosofia dogmatica, dodici anni prima che il Tribunale Rivoluzionario tagliasse la testa al re di Francia, era indifferente alla forma dello Stato, repubblicana o monarchica che fosse. Per Emanuel Kant monarchia e Repubblica, sono, per diritto divino o legittimità popolare, poteri sovrastanti i loro cittadini. Sia Luigi XVI, che il Comitato di salute pubblica, si ritenevano espressioni della volontà generale ed entrambi furono tacciati di dispotismo. A dar manforte alle convinzioni conservatrici del vecchio Kant fu, piuttosto casualmente, un brillante e giovane storico liberale francese, convinto, creando un precedente nella tradizione storiografica corrente, che la Rivoluzione non avesse prodotto nessun cambiamento essendosi svolta in continuità con le esigenze politiche e sociali della Francia de “l’Ancien Règime”. Eliminare l’aristocrazia per centralizzare il potere del governo e proseguire un espansionismo aggressivo oltre confine, era obiettivo della Francia dei tempi di Luigi XIV e di quella del cardinale Richelieu. La giovane Repubblica continuata da Bonaparte non aveva scritto nessuna pagina diversa da quelle che l’avevano preceduta. Alexis de Tocqueville, con il suo “Antien Règime e la Revolution” non era semplicemente un originale malato di conservatorismo, e lo si sarebbe compreso dopo un altro evento clamoroso prodottosi all’inizio del secolo successivo: la rivoluzione d’ottobre. Le conquiste della Russia bolscevica e l’assolutismo ottenuto da Stalin avrebbero commosso Pietro il Grande. Il più grande Zar di tutti i tempi sarebbe stato incapace di immaginare anche lontanamente simili successi. Ciononostante gli storici tradizionali erano convinti che l’ottobre fosse il compimento della rivoluzione francese e la cosa più fantastica era che gli stessi bolscevichi considerassero i giacobini dei loro precursori. Una rivoluzione che si era consumata in uno dei paesi più sviluppati e fiorenti d’Europa, due secoli prima, si sarebbe completata in uno dei paesi più arretrati a ridosso dell’Asia a centinaia di migliaia di chilometri di distanza. Il giovane ufficiale cekista, che sparava alla tempia dell’aristocratico russo, si

compiaceva di considerarsi emule di Saint Just, così come agli storici della Rivoluzione francese piaceva ancor più credere che l’epopea sovietica dimostrasse loro di non occuparsi di un passato morto e sepolto, ma di una profezia avveratasi nel presente. Da qui il mito intellettuale che elaborò la domanda se la rivoluzione francese si fosse conclusa o meno, vista l’evoluzione di quella russa. Un fenomeno che non parve degno di tante speculazioni fu il misero Risorgimento italiano, derubricato, stando al giudizio di uno dei nostri intellettuali più prestigiosi, il Gramsci, a “rivoluzione incompiuta”. Solo che per Gramsci, il mancato compimento dipese dal fatto che il popolo italico rimase sostanzialmente escluso dal processo unitario, sottovalutando completamente l’aspetto nazionale del fenomeno risorgimentale. L’unità d’Italia fu invece un fenomeno rivoluzionario pienamente compiuto, perché non solo non trovava davanti a sé precedenti, ma inferse un colpo mortale agli equilibri degli imperi centrali. Tale che le armate giacobine non seppero dare e tanto meno quelle sovietiche, che gli imperi centrali avrebbero addirittura dovuto rafforzare, abbattendo lo zarismo. Se c’è un rivoluzionario di successo nella storia, quello non è Robespierre, e non è Lenin, che instaurarono regni del terrore, quello fu invece Mazzini che mise in ginocchio la casa austriaca con l’Unità d’Italia. Il fatto che l’Unità si compia sotto la monarchia e che Mazzini rimanesse un esule, conta relativamente. Mentre Robespierre e Lenin continuarono i disegni della monarchia e dello zarismo sotto altre forme, Mazzini aveva contribuito a creare una realtà completamente diversa, incontrollabile per la stessa casa Savoia. Disgrazia volle che gli unici a riconoscere veramente la portata rivoluzionaria della nascita di una nazione furono i fascisti, che nelle loro file fecero incetta di repubblicani insoddisfatti dei destini monarchici dell’Italia per poi farsi alleati della stessa monarchia e pure del clero, povero Mazzini. Il fascismo aveva preso la parvenza di una dottrina rivoluzionaria, convinto com’era che all’umanità servisse un credo, anche senza afferrarne il significato. “L’illusione – aveva detto Mussolini nel 1912 commentando Sorel – è forse l’unica realtà della vita”. Così il fascismo concluse la rivoluzione e utilizzò Mazzini come un feticcio da celebrare persino sotto le bombe britanniche, dimenticando che Mazzini era amico dell’Inghilterra.

Lo schiacciarenzi

Il punto più basso della parabola del governo Letta

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l punto più basso della parabola del governo Letta è stato toccato domenica scorsa quando un giovane parlamentare del Movimento 5 stelle, l’onorevole Di Maio, ha spiegato ai giornalisti che se si vuole davvero eliminare le provincie occorre cancellare detta parola con un semplice tratto di penna dalla Costituzione. Il governo invece aveva avuto la pensata di istituire un ente intermedio in attesa di una prossima abolizione. Come capisce anche il più sprovveduto dei parlamentari, non solo si deve aspettare chissà quale evento per vedere abolite le Provincie ma lo Stato si accolla anche i costi dell’ente intermedio fino a quando queste non vengono abolite. Se poi comunque non fossero abolite, in fondo, come notava l’onorevole Di Maio, sono pur sempre previste dalla Costituzione, bisognerebbe anche abolire l’ente intermedio. Già il governo aveva fatto un passo falso sul gioco d’azzardo, ma almeno quello si giustificava con la necessità di recepire maggiori entrate. Con l’istituzione dell’ente interprovinciale invece c’è solo la certezza di dissipare altro denaro pubblico. D’altra parte se il ministro Saccomanni è convinto che la crisi sia finita, che la ripresa sia ad un passo, perché mai non aprire i cordoni della borsa, non inaugurare nuove strutture statali per smaltire un po’ di disoccupati? L’America sta facendo lo stesso, stampa moneta, assume, spende e spande infischiandosene del rischio default di pochi mesi fa, e l’economia corre, la borsa ed i consumi altrettanto. Se il governo ha deciso di mandare a quel paese il patto di stabilità sarebbe una scelta, anche se farebbe meglio ad abbassare le tasse piuttosto che ad ampliare i confini dello Stato. Non sarà invece che ci si promette di tagliare i costi da una parte, per aumentarli da un’altra? Perché persino un sostenitore integerrimo dell’azione del governo, come l’onorevole Casini, pronto a sfidare Monti per puntare su Letta, ha perso la pazienza. E se non era una notizia il dissenso di Di Maio, quello di Brunetta, quello della Lega e persino quello di Pippo Civati, il dissenso di Casini fa notizia eccome e Letta farebbe bene a preoccuparsene. Qui va a finire che l’unico costretto a sostenere il governo sia il buon Renzi, mentre tutti gli altri si defilano. In questo caso sarebbe però pure giusto che fosse Renzi a fare il presidente del Consiglio, se non altro per avere un’occasione, visto che, se passasse due anni a sostenere un simile governo, il sindaco di Firenze può scordarsi di vincere mai le prossime elezioni. Renzi era una grande promessa della sinistra italiana che per la sua stessa provenienza cattolica non portava pesi sulle spalle tali da schiacciarlo. Per sua disgrazia si è trovato il governo Letta davanti e più questo governo resterà in carica più la portata innovativa di Renzi è destinata a ridursi, fino a scomparire.


2 LA VOCE REPUBBLICANA

Martedì 24 dicembre 2013

economia

Giustizia e dintorni di Guido Camera La grazia concessa da Putin a Khodorkovsky è l’(ennesima) violenta sfida nei confronti dello Stato di diritto. Ma l'Europa?

Se il calcolo è soltanto politico

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a grazia concessa da Putin a Khodorkovsky è l’(ennesima) violenta sfida nei confronti dello Stato di diritto che proviene dalla Russia: un paese che, sempre di più, pesa negli equilibri politico – economici mondiali in modo proporzionale al proprio disinteresse per i diritti: collettivi e individuali. E’ caduto infatti il muro di Berlino, ma la propensione per l’assolutismo, purtroppo, non abbandona la terra di Dostoevskij e Solzenicyn. Narrano le cronache che, quando fu eletto, Putin convocò gli oligarchi che, dopo il crollo del muro di Berlino, avevano “divorato” i “pezzi” più pregiati dello Stato sovietico per proporre loro un patto: voi vi fate gli affari vostri (nel senso che non vi occupate di politica) e io vi faccio arricchire oscenamente. Chi non accettò la proposta di Putin iniziò ad essere perseguitato, e costretto all’esilio o al carcere: Khodorkovsky - che di certo non era un santo, vista la spregiudicatezza con cui si era arricchito, di soldi e potere - osò sfidare l’uomo forte del Cremlino e fu seppellito da processi, condanne e detenzione siberiana. Oggi Khodorkovsky è stato graziato da Putin. Ma non si tratta di un primo passo di un importante cammino verso il rispetto dei diritti umani: si tratta, infatti, di una grazia che è figlia di spietati calcoli

– e probabilmente accordi – politici. Tanto è che gli avvocati di Khodorkovsky hanno dichiarato di non essere stati informati dal loro assistito del fatto che lo stesso aveva chiesto la grazia, e la stessa è peraltro “condizionata”, dato che l’ex magnate dalla Yukos sembrerebbe essere stato avvisato dal Cremlino di poter conservare la propria libertà al patto di non occuparsi di politica; altrimenti, un altro processo dalle conseguenze potenzialmente devastanti (l’imputazione è quella di omicidio) gli lascerebbe poche speranze di morire libero. In un siffatto contesto, è evidente che la legge conta poco o nulla; E’ caduto infatti anzi, la legge è uno strumento nelle il muro di Berlino, mani del potere, che la usa - e ne ma la propensione abusa - in base alle proprie conveper l’assolutismo, nienze. purtroppo, non Ma fino a che punto le esigenze – abbandona la terra certamente rilevanti – della realpolidi Dostoevskij tik possono consentire alle democrazie occidentali di tollerare il palese disprezzo che dimostrano verso i diritti potenze come la Russia e la Cina? La risposta – purtroppo - è tutt’altro che semplice. La Russia di Putin, infatti, ha gas e soldi da non finire da mettere sul tavolo: una merce preziosa che Putin tratta con spietatezza degna degli zar e dei pezzi da novanta sovietici. Non dimentichiamo però l’insegnamento di Cicerone: la libertà non consiste nell’avere un buon padrone, ma nel non averne affatto.

Intervista di Lanfranco Palazzolo Ho lasciato la Giunta di Firenze per divergenze politiche con Renzi sulle pratiche di Bilancio, ci ha detto Claudio Fantoni

O Sindaco! Dove sei mai finito?

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irenze ha bisogno di un sindaco full-time. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana” l’ex assessore al Comune di Firenze Claudio Fantoni, unico avversario di Matteo Renzi alle primarie del Pd a Firenze. Ecco cosa ci ha detto. Claudio Fantoni, cosa sta accadendo a Firenze sulle elezioni primarie e perché in passato ha abbandonato la giunta Renzi? “La rottura con Matteo Renzi è un “Come si fa fatto ormai noto. Ho lasciato la a gestire due Giunta di Firenze a causa delle diverincarichi di questa genze politiche con Renzi sulle polinatura proprio tiche di Bilancio e sulla tenuta dei nell'attuale momento? conti del comune e sull’indirizzo Il buon senso dice oggettivo che aveva preso la politica che non è possibile” della giunta. Nelle politiche della spesa del Comune vi erano degli elementi positivi, ma la politica del Comune era troppo condizionata da fattori esterni e dalla campagna elettorale permanente di Renzi. Questa situazione ha condizionato la politica di Matteo Renzi. Una parte della base che mi ha proposto di candidarmi alle primarie per il Comune di Firenze vuole che si ragioni sul futuro della città.

Nessuno vuole che si pensi che Firenze si trovi in una condizione di normalità”. Qual è il problema? “Oggi abbiamo un sindaco uscente al primo mandato che è diventato anche il segretario del Partito democratico. Il problema che solleviamo nel Partito democratico non è formale, ma è sostanziale. Come si fa a gestire due incarichi di questa natura proprio nell’attuale momento? Il buon senso dice che non è possibile. Se il sindaco non recupera questo buon senso allora facciamo una verifica sullo strumento democratico del Pd: le primarie. Questo è il punto che vogliamo sollevare”. Lei ha più volte attaccato Renzi dicendo che l’azione politica del segretario del Pd è incoerente. A cosa allude di preciso? “Il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha dichiarato che vuole proporre la politica delle larghe intese a Firenze, quelle larghe intese che ha contestato a livello nazionale. E’ da tempo che il segretario del Pd Renzi dice che una parte del Pd fiorentino dovrebbe staccarsi dal partito, alludendo alla sinistra del Pd. Il riferimento non è solo alla sinistra del Pd, ma a tutta quella parte del partito che solleva i temi di cui ho parlato prima: il futuro della città. La città ha bisogno di un sindaco a tempo pieno. Il sindaco Renzi ha detto che non ci sono problemi e che è disposto ad affrontare una scissione se non si farà come chiede lui. Anzi, si sta preparando ad una coalizione di centrodestra con l’appoggio di liste civiche”. In queste settimane si stanno cercando di cambiare le regole delle primarie? “Il Pd toscnao ha determinato un nuovo regolamento per le primarie. Su questo potrebbe esserci un ricorso. Lo scopo di questa iniziativa è quello di evitare le primarie. Questa è una contraddizione per Renzi, che queste primarie le ha sempre invocate”.

ISTAT, TORNA

fatti e fattacci

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a protesta antiTares esplode a Trapani. Le tasse uccidono il paese. E se la pressione fiscale continuerà a distruggere le speranze delle zone in crisi, per molti italiani non resterà che la piazza. Nessuno è autorizzato a scandalizzarsi se la gente, ormai esasperata, non troverà altre alternative alla protesta. E al Sud questa situazione è ancora più grave. Quello di ieri è stato un altro lunedì di proteste antiTares a Trapani, dopo la rivolta di piazza di una settimana fa. Una sessantina di auto e due trattori, partiti dalle frazioni, hanno marciato verso la città dove si sono radunati a Piazzale Ilio. Da qui è partito un corteo a piedi che giungerà a Palazzo Cavarretta dove è in corso una seduta del Consiglio comunale, chiamato ad approvare il bilancio di previsione 2013. In contemporanea, una cinquantina di esponenti del movimento dei Forconi hanno sfilato lungo la via Fardella. All’apertura dei lavori consiliari, il sindaco Vito Damiano ha confermato l’impegno della giunta a sopprimere la terza rata della Tares per quanti hanno un reddito non superiore ai 35 mila euro annui, ma contrariamente alle aspettative del Consiglio non è stata ancora varata la delibera di giunta. “L’amministrazione comunale – ha detto Damiano - ha ritenuto sostanzialmente fattibile l’atto di indirizzo del Consiglio, anche se per sostenere quest’atto sarà

IN CALO FIDUCIA CONSUMATORI

necessario assumere provvedimenti di tipo economico-finanziario nel bilancio 2014”. Il presidente del Consiglio comunale Peppe Bianco ha rivolto un monito alla quarantina di cittadini presenti per assistere ai lavori, dopo le proteste e interruzioni che hanno caratterizzato la seduta di giovedì scorso. “Nessuna tolleranza per il pubblico – ha detto - vi ricordo che non potete intervenire”. Il sindaco, al quale è stata assegnata dalla prefettura una tutela dopo i disordini e le dure contestazioni, ha perso la maggioranza in Consiglio comunale. In questi ultimi giorni il sindaco ha fatto di tutto per evitare l’inasprimento delle proteste. Il sindaco di Trapani,Vito Damiano, ha annunciato che la giunta delibererà l’esenzione di un terzo della Tares per le famiglie che hanno un reddito complessivo inferiore a 35 mila euro l’anno. Una scelta che, comunque non soddisfa il comitato “No Tares”, che nei giorni scorsi ha portato in piazza alcune migliaia di persone. L’annuncio del provvedimento è stato fatto a conclusione di un’animata seduta del Consiglio comunale. I cittadini di Trapani hanno abbandonato da tempo il loro sindaco, soprattutto da quando si è appreso che il suo reddito annuale imponibile è 168.370 euro. E’ quanto risulta dalle dichiarazioni dei redditi 2012 di tutti gli organi elettivi che sono state pubblicate, in base alla legge sulla “trasparenza”, sul sito web del Comune di Trapani.

La fiducia dei consumatori a dicembre torna a scendere, dopo il rialzo del mese scorso l’indice diminuisce passando a 96,2 da 98,2. Lo rileva l’Istat, registrando il valore più basso da giugno. L’Istituto spiega come sul calo pesi il peggioramento dei giudizi e delle attese sulla situazione economica della famiglia. Invece risultano in controtendenza, ovvero in miglioramento, le aspettative sull’economia dell’Italia e sulla disoccupazione.

MPS: NESSUNA VENDITA DI QUOTE

La fondazione Monte dei Paschi di Siena “smentisce categoricamente qualsiasi ipotesi di cessione” di quote della banca pari al 20% ad altre fondazioni e soggetti apparse sulla stampa. Lo si legge in una nota secondo cui si smentisce anche che sia programmata “una riunione della Deputazione Amministratrice per valutare qualsivoglia proposta”.

primo piano

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l ministro Saccomanni si è dichiarato personalmente offeso dal gestaccio che Diego Maradona ha rivolto in una trasmissione televisiva nei confronti di Equitalia. Il Ministero dell’Economia di cui Saccomanni è responsabile, sovrintende l’Agenzia delle entrate ed inevitabilmente l’ombrello del braccio dell’ex giocatore del Napoli arrivava diritto allo stesso ministro. Il problema purtroppo non era a chi toccasse l’ombrello, ma quanti italiani si riconoscessero nel voler emulare Maradona non sui campi di calcio ma nel gesto poco sportivo.Viste le quantità non proprio indifferenti numericamente, invece di lamentarsi della maleducazione di Maradona, Saccomanni farebbe meglio a preoccuparsi se non vi sia un qualche difetto nella struttura di Equitalia.

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Un governatore poco ecologico

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ignor Pubblico ministero, è arrivato il Governatore. Il caso dell’Ilva di Taranto è destinato a provocare tante polemiche politiche per il ruolo assunto dai vertici della Regione Puglia. L’ente Regione ha fatto tutto il possibile per evitare il disastro ambientale di Taranto? Il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, leader di Sinistra Ecologia e libertà (SEL), si è sempre comportato istituzionalmente bene di fronte allo scempio ambientale di Taranto? Il compito dei magistrati del capoluogo pugliese sarà proprio questo mentre entrano nel vivo gli interrogatori, da parte dei pubblici LA VOCE REPUBBLICANA Fondata nel 1921 Francesco Nucara Direttore Giancarlo Camerucci Vicedirettore responsabile Iscritta al numero 1202 del registro stampa del Tribunale di Roma - Registrata quale giornale murale al Tribunale di Roma con decreto 4107 del 10 novembre 1954/1981. Nuove Politiche Editoriali, Società cooperativa giornalistica - Sede Legale - Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326. Amministratore Unico: Dott. Giancarlo Camerucci Direzione e Redazione: Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326 Tel. 06/6865824-6893448 - fax. 06/68210234 - Amministrazione: 06/6833852 Progetto grafico e impaginazione: Sacco A. & Bernardini.

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ministeri di Taranto, degli indagati per il disastro ambientale dell’Ilva. Intanto, in attesa della verità giudiziaria, il partito di Vendola dovrebbe togliere dal suo nome il termine “Ecologia”. Da ieri sono iniziati gli interrogatori del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e il direttore generale dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale, Giorgio Assennato. Vendola, insieme ad altre 49 persone, il 30 ottobre ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini. Vendola è accusato di concussione. Per i pm, avrebbe fatto pressione su Assennato chiedendogli che l’Arpa, in materia di controlli ambientali, fosse meno “intransigente” sull’Ilva a seguito delle insistenti richieste che dall’azienda arrivavano attraverso l’ex responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà. Circostanza, quella delle pressioni, che non solo Vendola ma anche Assennato ha smentito, pur se il dg dell’Arpa si ritrova anch’egli indagato con l’accusa di favoreggiamento nei confronti del governatore della Regione Puglia. Vendola e Assennato sono due degli indagati che hanno deciso di sottoporsi alle domande dei pm per chiarire la loro posizione. Imvece, molti altri indagati – in tutto gli avvisi di conclusione delle indagini sono 53, di cui 50 riguardano persone fisiche e 3 giuridiche -, hanno deciso di non utilizzare questa facoltà prevista dalla procedura in vista della discussione davanti al giudice delle udienze preliminari (gup). Per esempio, l’ex direttore dell’Ilva di Taranto, Luigi Capogrosso - sul quale grava l’accusa, insieme ai componenti della famiglia Riva e all’ex consulente aziendale Archinà, di associazione a delinquere finalizzata ai reati ambientali - ha rinunciato a farsi interrogare. Altri indagati, inoltre, hanno scelto la facoltà di presentare memorie difensive scritte ai pm. Vendola ha sempre smentito ogni tentativo di pressione sull’Arpa e sul suo drettore Assennato affermando di averlo voluto lui alla guida dell’Agenzia regionale per l’Ambiente e ricordando che il suo governo regionale e’ quello che ha affrontato con incisività il nodo ambientale dell’Ilva di Taranto varando anche tre leggi specifiche: sulla diossina, sul benzoapirene e sulla Valutazione del danno sanitario per le popolazioni residenti nelle aree dove sono ubicati grandi poli industriali ad elevato impatto ambientale.

c o m m e n t i

Una tragedia che si chiama Opera

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gnazio Marino e il dramma dell’Opera di Roma. Il primo cittadino della capitale si è trovato a fronteggiare una serie di difficoltà incredibili. Una di queste difficoltà riguardano il teatro dell’Opera, uno dei vanti della capitale, si fa per dire, essendo da anni più un problema che altro. Questo teatro versa in condizioni molto difficili, ma il sindaco – dopo aver evitato la protesta della prima stagionale – ha continuato a far finta di nulla. Anche perché non è facile capire cosa si debba fare. E, ora, sui dipendenti del teatro grava l’ombra dei licenziamenti. Sarebbe un grave dramma per tante famiglie e per tanti lavoratori che non meritano questa situazione, come tanti altri, del resto. E’ andato regolarmente in scena “Il Lago dei cigni” domenica scorsa al teatro dell’Opera di Roma: per la prima si era fatto ricorso a una vergognosa registrazione audio a causa dello sciopero dei lavoratori indetto da Cgil, Fials e Libersind. Le organizzazioni sindacali tuttavia confermano “lo stato di agitazione, poiché sussistono ora più che mai tutti i motivi” di preoccupazione e si riservano “le più estreme forme di lotta”. In particolare, Cgil, Fials e Libersind definiscono in una nota un “atto illegittimo” la realizzazione dello spettacolo “con nastro magnetico” e criticano il neo sovrintendente Carlo Fuortes perché “a sciopero proclamato non ha convocato i sindacati e ancor prima di farsi vedere ha sostituito i lavoratori in sciopero con un nastro registrato, facendo infuriare il pubblico”. I sindacati si riservano di “ricorrere a termini di legge” nel caso in cui il cda dovesse decidere decida di fare ricorso alle procedure della legge Bray, “che prevede inequivocabilmente il taglio del personale e degli stipendi” e invitano “il sindaco Marino ad assumersi le sue responsabilità rispettando l’accordo sottoscritto con noi, in cui si impegnava a sostenere finanziariamente il teatro e a far affluire capitali privati e solo dopo iniziare un eventuale diminuzione del finanziamento comunale. Rovesciando il processo descritto, e convocando i sindacati a cose fatte il 10 gennaio

prossimo - concludono - si declassa irreversibilmente il teatro anziché rilanciarlo”. E pensare che, ai tempi della sua campagna elettorale, Marino aveva fatto questa promessa sul teatro dell’Opera: “Il Teatro dell’Opera di Roma è un patrimonio non solo della città, ma dell’intero paese. Un tratto di storia e identità che deve essere messo in scena dalla qualità e dal numero delle rappresentazioni con una progettualità che riguarda il futuro e la valorizzazione della produzione artistica. Per questo, voglio ringraziare il lavoro svolto, spesso in condizioni difficili, dai lavoratori del teatro. E, in particolar modo, la qualità e l’impegno del Maestro Muti, che ha aggiunto ulteriore prestigio internazionale. Il marchio Opera di Roma va valorizzato, come brand fondamentale dell’attività culturale capitolina. E il sindaco deve garantirne la sua autonomia culturale e artistica. Ritengo che l’Opera debba rimanere un teatro di produzione, capace di allestire spettacoli di grande valore: dalla fase progettuale alla costruzione, fino alla messa in scena, in un contesto dove la stabilità di chi vi lavora rappresenta un valore aggiunto e irrinunciabile. Come sindaco voglio battermi pubblicamente per l’autonomia del Teatro dell’Opera per scongiurare accorpamenti con altre realtà che ne snaturino l’identità. Inoltre, mi impegnerò affinché il teatro apra le porte alla città, con particolare riferimento alle nuove generazioni, rafforzando fortemente il suo legame con i romani”. Marino non sapeva, ma doveva intuirlo, che l’opera di Roma è uniradiddio e niente più.

Thailandia, è l’ora dei cortei

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nche a Bangkok si scende in piazza. Sono ormai mesi che il paese è impegnato in un durissimo braccio di ferro politico. Una lotta di potere destinata ad esplodere in scontri violenti se non si riuscirà a trovare una mediazione. L’ennesimo tentativo di spallata al governo di Yingluck Shinawatra ha portato domenica scorsa 150 mila persone in piazza a Bangkok, nell’ultima tornata di una protesta che va avanti da

quasi due mesi e che tiene alta l’incertezza in vista del voto anticipato indetto per il 2 febbraio, specie alla luce del boicottaggio annunciato dall’opposizione del Partito democratico. Con manifestazioni in diversi punti del centro della capitale, tra cui alcune tra le maggiori aree commerciali, i dimostranti guidati dall’ex vicepremier Suthep Thaugsuban hanno protestato pacificamente con l’ormai familiare grido “Yingluck vattene”. Come in altre occasioni, il tentativo è di provocare un “colpo di stato del popolo” contro quello che definiscono il “regime di Thaksin Shinawatra”, in riferimento all’ex premier in autoesilio e fratello dell’attuale prima ministra, la cui residenza è stata brevemente circondata in mattinata. Dopo un’intera giornata nelle strade in un’atmosfera di festa popolare, in serata un drappello di manifestanti si è diretto verso la sede dell’organo statale che da ieri (lunedì) valuterà le candidature alle elezioni, con l’obiettivo di mettere pressione al partito di governo Puea Thai. “Chi vorrà iscriversi dovrà passarci sopra”, ha detto Suthep durante un comizio, ribadendo che “il popolo vuole delle riforme prima di andare a elezioni”. Il quadro politico per le prossime settimane rimane ad alto rischio di instabilità. Scegliendo di non presentarsi al voto, i Democratici si sono in sostanza allineati con una protesta a cui finora facevano credere di assistere da lontano. Il partito, che nonostante la popolarità nella capitale e i legami con l’elite tradizionale non vince un’elezione dal 1992, è evidentemente frustrato dall’incapacità di far breccia nell’elettorato fedele a Thaksin, in particolare tra le classi medio-basse del popoloso nord-est. Le “riforme” chieste dai manifestanti e dai Democratici, ma articolate in modo vago, si pongono in sostanza l’obiettivo di limitare il potere elettorale di una maggioranza che secondo l’opposizione è stata “comprata” da Thaksin grazie a politiche populistiche che hanno comportato un eccessivo trasferimento di ricchezza dalla capitale alle campagne. Suthep propone l’istituzione di un “Consiglio del popolo” nominato dagli ambienti monarchici e militari. Finora l’esercito, che nel 2006 ha deposto Thaksin con un colpo di stato dopo mesi di proteste simili e un boicottaggio elettorale dei Democratici, sembra essersi ritagliato un ruolo di mediatore. Un buon auspicio? Forse no.


Martedì 24 dicembre 2013

Il museo fatto dagli alunni

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entre Pompei cade a pezzi e la cultura sembra l’ultimo degli interessi (e dei pensieri) della nostra politica, ecco che a Lecce si compie un piccolo grande miracolo: un gruppo di studenti alle soglie dell’adolescenza ha restituito la luce a un museo vecchio d’un secolo le cui porte sono rimaste chiuso a partire dagli anni sessanta. E così, a lume di candela, i ragazzi della seconda B dell’istituto Galilei-Costa hanno accolto i primi visitatori in quello che oggi è il ‘loro’ museo. Inutile sottolineare che in questa storia la buona notizia sono proprio loro: i giovani. Chi ha detto che i ragazzi pensano solo a chat, tv e videgiochi? Niente di più falso. La bellezza della giovinezza e la voglia di conoscenza si manifestano indiscutibilmente negli occhi vispi e nelle menti fameliche di questo gruppo di quindicenni. “Stay hungry, stay foolish”. Forse loro non conoscono l’ormai celebre esortazione di Steve Jobs, forse neppure sanno cosa significa. Ma all’atto pratico si sono dimostrati davvero folli e affamati. Lo testimoniano i fatti. Il museo in questione è quello di scienze naturali intitolato a Cosimo De Giorgi,

scienziato e insegnante dell’istituto leccese vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. E’ stato lui a concepire l’opera che poi ha preso forma e sostanza proprio all’interno della scuola. Peccato che quelle sale siano rimaste chiuse per oltre quarant’anni. Ed è solo grazie all’orgoglio, al desiderio di conoscenza e al piglio ‘imprenditoriale’ di questi giovani ragazzi che il museo è stato riparto. L’inaugurazione – l’invito è stato lanciata su facebook col titolo “Una notte (da brivido) al museo” - è avvenuta pochi giorni fa. Ovviamente a lume di candela. L’idea? Anche quella è farina del loro sacco. Sono gli studenti ad aver tenuto le luci spente. Perché con l’ausilio di candele e torce elettriche sarebbe stato possibile aumentare la suggestione di questa prima visita. Solo così era possibile focalizzare gli sguardi sui tanti, tantissimi reperti. Una scelta non casuale che per loro ha rappresentato anche un gesto simbolico destinato a incentivare il risparmio energetico e l’uso di energie sostenibili. Ma non è tutto. La classe, che frequentare una scuola a indirizzo economico, ha costruito nel dettaglio anche il suo business plan. L’ingresso non era gratuito, ma a pagamento. Del resto, si sa, la cultura ha un costo. E investire nel settore crea sempre un ritorno. Metà dell’incasso è già stato destinato alla copertura delle spese vive, l’altra metà – cioè l’utile – sarà invece investito in comunicazione. Perché questi ragazzi guardano lontano e hanno già in mente la strategia migliore per promuovere le prossime aperture. Questi giovani di talento hanno anche un desiderio da esprimere: vorrebbero accompagnare il ministro alla cultura Massimo Bray nel ‘loro’ museo. Beh, riteniamo che questa classe – fatti alla mano – sia ampiamente legittimata nella richiesta. E meritata quindi di essere accontentata. Bray, ora tocca a lei. Gianluca Testa, “Corriere della Sera” 23 dicembre 2013

Nutrire il Pianeta e anche Italia

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ontinuano ad aggiungersi le richieste dei Paesi che vogliono partecipare all’esposizione del 2015, dedicata al tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita’. E, allo stesso tempo, fioccano le domande di lavoro: sul sito, alla sezione “Lavora con noi”, sono già arrivate 100 mila candidature da diverse regioni italiane. Il commissario Giuseppe Sala è soddisfatto: “Siamo andati oltre ogni aspettativa. Ai 139 Paesi che avevano già firmato, si sono aggiunti nelle ultime ore Polonia e Bosnia e poi abbiamo sempre la promessa degli Stati Uniti e dell’Irlanda”. E ci saranno 60 padiglioni, un record di tutti gli Expo, visto che perfino Shanghai, edizione 2010, si era fermata a 42: “Noi puntavamo ad egua-

terza pagina-archivio della settimana gliare questa cifra, ma evidentemente c’è grande interesse sia verso l’Expo in sé, sia verso il tema che abbiamo scelto di approfondire”. L’evento sta anche disegnando una nuova geografia socio-politica del mondo. Fa notare Sala, ad esempio, che “avremo più padiglioni di Stati asiatici a Milano che non a Shanghai, segno evidente del fatto che molti di loro sono cresciuti in questi cinque anni”. E ci sono anche alcune presenze africane inattese: “L’Angola, ad esempio, ci ha chiesto uno spazio proprio ed è chiaramente una nazione che sta molto correndo”. Tra quelli che hanno prenotato le metrature più ampie ci sono i Paesi del Golfo, che non baderanno a spese e che vogliono mostrarsi al mondo al meglio: non a caso, gli Emirati Arabi si sono affidati per il loro progetto all’archistar Norman Foster. La consegna dei lotti è cominciata nei tempi previsti, lo scorso 16 dicembre e a febbraio arriveranno le prime squadre dei Paesi partecipanti per costruire le loro strutture: ma il boom di richieste ha messo in difficoltà i tecnici del sito, che stanno cercando di rivedere le posizioni e la disposizione degli spazi per garantire a tutti i metri quadrati richiesti. Ovviamente, come prevede il regolamento di Expo, le assegnazioni vanno in base ai tempi di prenotazione: chi prima arriva, meglio si sistema insomma. Nei giorni scorsi, però, è stato annunciato che il padiglione Art and Food, una delle cinque aree tematiche previste all’interno del sito, andrà alla Triennale: “Sia per dare l’idea dell’esposizione diffusa - spiega ancora Sala - sia perché davvero sta diventando difficile dare spazio a tutti”. Il paradosso, a questo punto, è che mentre all’estero sembrano aver colto che quella del 2015 è un’occasione per presentarsi e allacciare rapporti commerciali (gli svizzeri hanno annunciato che mettono sul piatto oltre ai 20 milioni di investimento previsti per realizzare il progetto, altri 20 di sponsor) e diplomatici, il lavoro va fatto sull’Italia. Il commissario del Padiglione italiano, Diana Bracco, ha da poco concluso una sorta di tour nelle quattro aree del Paese per presentare le possibilità offerte dal Palazzo Italia e dal cardo, uno dei due assi principali lungo i quali si snoda l’Expo (l’altro è il decumano) interamente dedicato alle nostre Regioni e ai nostri Comuni. La società Expo ha avviato un piano di comunicazione e proprio ieri è passato sulla Rai il primo spot televisivo: “Vogliamo coinvolgere e trasmettere calore”, è l’auspicio di Sala. E durante la trasmissione “Quelli che il Calcio”, il sindaco Giuliano Pisapia e il

governatore Roberto Maroni hanno seguito e commentato con Bruno Pizzul la partita di calcio che si è svolta all’interno del carcere di Bollate: in campo “Identità golose”, chef più o meno stellati, e Rai Expo , capitanata dallo stesso Sala. Il calcio d’inizio è stato dato da Pisapia: “Cominciamo Expo”. L’impegno deve ovviamente partire da Milano, la città che ospita l’evento: “Credo - sostiene Sala - che si debba lavorare soprattutto in due direzioni. Una è quella dell’offerta culturale, di eventi e di divertimento. In questo senso, Milano non può prescindere da moda e design che, sarà anche scontato, ma rappresentano un valore assoluto nell’offerta della nostra città a livello internazionale”. E l’altra? “Il tema della mobilità. Molto positivo il rafforzamento della mobilità leggera e sostenibile che si sta facendo, soprattutto con il bike sharing, le auto elettriche e le piste ciclabili che realizzeremo entro il 2015. Ma anche il trasporto pubblico tradizionale sarà chiamato ad una grande prova e siamo certi che gli amministratori si dimostreranno all’altezza del compito”. “La nostra prima regola - conclude il commissario - è fare di tutto per mantenere i tempi”. Quindi, si corre: “Mancano meno di 500 giorni, che sono pochissimi ma anche lunghissimi. Tra l’altro noi evochiamo sempre il primo maggio 2015, data dell’inaugurazione dell’evento, ma poi arrivano i 184 giorni cruciali dell’evento”. Il tempo stringe, dunque: “Abbiamo recuperato i ritardi, ma non ci sono margini. E tra pochi mesi avremo non uno ma 70-80 cantieri attivi contemporaneamente. Questo significa che dovremo ancora aumentare i controlli sull’organizzazione e la tempistica dei lavori, sulla sicurezza, sul rischio di infiltrazioni”. Il mondo sta arrivando. Elisabetta Soglio, “Corriere della Sera”, 23 dicembre 2013

Consumare ma dividendo

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enerazione Co. E questa volta a finirci dentro non sono solo i giovani ma proprio tutti, o almeno chiunque è costretto a fare i conti con budget sempre più ridotti. Perché, ora, in piena crisi economica, un modo per sopravvivere è coalizzarsi, stare insieme, collaborare, condividere. E per farlo si formulano nuovi stili di vita. Si punta sul co-working, per spartirsi le spese d’ufficio, sul co-housing, perché nei condomini solidali ci si aiuta e si tagliano e di molto i costi. Ma anche l’automobile gestita da più famiglie, il car-sharing, affascina sempre più persone. Partecipare a gruppi di acquisto solidale con parenti o colleghi, non è solo vantaggioso ma alla fine anche stimolante. E nel cerchio che stringe sempre più i consumi riducendoli ogni giorno un po’ ci finiscono anche parole come riciclo o scambio. E c’è chi punta agli orti metropolitani oppure a prepararsi in casa cibi come yogurt, pane e conserve: un popolo sempre più numeroso secondo il Censis che nell’anno che si è appena chiuso ha contato 11 milioni di nuovi adepti. Mentre i modelli produttivi tradizionali sono in difficoltà (nel manifatturiero si registra il 4,7% di imprese in meno tra il 2009 e oggi), crescono le cooperative tanto che le imprese, in questo settore, sono aumentate del 14% tra il 2001 e il 2011. Una nuova era? “Non proprio ma sicuramente più solidale di quanto si pensi - per lo psicoanalista Lucio Della Seta, autore di Debellare l’ansia e il panico, Mondadori, pp. 114, euro 16 - . L’essere tutti più poveri unisce. Sta succedendo, seppur con delle inevitabili variazioni, quello che accadeva durante la guerra o subito dopo: le persone, oggi, si associano in mille modi differenti. Cercano insieme una via d’uscita. Si è meno soli paradossalmente di quando l’economia viaggia ad alti livelli. E automaticamente l’ansia diminuisce perché l’attenzione si sposta su altro: sul problema del mangiare, dormire, andare avanti. Non è un caso che ci sono, oggi, persone che hanno ripreso a coabitare. Stare insieme, fare gruppo è un sentimento arcaico che toglie la paura. Quella stessa paura che alla fine genera gli attacchi di panico”. Consumi, sempre più giù Quando l’economia va male, la condivisione può essere una soluzione. I gruppi di acquisto sono in crescita. Ma le persone tagliano anche gli sprechi. Oggi i consumi sono crollati e sono ritornati ai livelli del 1997. L’83% dei nuclei familiari ha riorganizzato la spesa alimentare cercando offerte speciali e cibi meno costosi (dati Censis). Dal 2007 al 2011 la crisi ha alleggerito di 7 miliardi di euro la borsa della spesa alimentare delle famiglie italiane (dati Fipe-Istat). Ad altri due miliardi ammontano i tagli nei consumi alimentari fuori dalle mura domestiche. Secondo il Censis il 73% degli italiani va a caccia di offerte e alimenti poco costosi. E ci sono 7 milioni di persone che partecipano ai Gas, i Gruppi di acquisto solidale. In calo l’abbigliamento Con la crisi gli italiani rinunciano anche agli articoli di abbigliamento o alle calzature (secondo il Censis il 40% a rinunciato a questa spesa). Si compra meno anche perché per una famiglia rinnovare il guardaroba è diventata un’impresa. Un esempio? In un grande magazzino vestire un bambino di 6-8 anni può alleggerire e non poco le tasche. Per una tuta con maglietta si spendono circa 30 euro. Aggiungendo un giubbotto da 40 euro e un paio di scarpe economiche di altri 40 si superano i 100 euro. Ma in uno dei tanti mercatini dello scambio i vestiti dei propri figli ormai cresciuti, si possono barattare gratuitamente o per pochi euro. La seconda vita di abiti e scarpe Le persone studiano soluzioni alternative. Un cappotto rimasto sepolto in un armadio per anni, scarpe abbandonate, borse inutilizzate: sono tutti oggetti che ora possono tornare utili. Aumenta la condivisione fra persone. Il passa parola fra amiche può essere utile per comprare a prezzi stracciati capi o per partecipare agli swap parties, dove si scambiano giacche o pantaloni. “Gli swap parties vengono organizzati per scambiarsi degli abiti o oggetti che noi non usiamo più. È anche un pretesto per incontrarsi. Un modo per stare insieme e scambiarsi quei capi che non servono e sono spesso di valore - spiega Edoardo Amerini, presidente di Conau, consorzio abiti e accessori usati - . E poi ci sono le bancarelle e i negozi dell’usato. In passato erano meno diffusi, mentre oggi sono in crescita”.

Caro benzina Fra i costi fissi c’è anche quello dell’automobile. Se una volta molte famiglia consideravano normale averne più d’una, oggi le cose sono cambiate. Secondo l’ultimo rapporto Censis, il 62,8% degli italiani limita gli spostamenti in macchina o moto per risparmiare sulla benzina. A dicembre le immatricolazioni sono diminuite del 22,5% rispetto al dicembre 2011. Nell’intero 2012 il saldo è negativo del 19,87%. Sono cvalate addirittura anche le patenti mentre in due

anni sono state vendute, 3,5 milioni di biciclette. Il più delle volte si rinuncia anche anche ai viaggi (42%), un lusso in piena recessione. Anche per i trasporti si punta a dividere le spese con altre persone. Mai più macchine vuote, con una sola persona al volante, per andare in ufficio. Prende piede il carpooling che permette di usare una sola macchina e condividere le spese. Roberto Dell’Omo è un ingegnere milanese che si sposta da Milano a Roma tutte le settimane con questa soluzione: “Oltre a risparmiare si crea una comunità di viaggiatori su quattro ruote che in alcuni casi si frequenta anche oltre il singolo viaggio. Dalla drag queen al gruppo di tango argentino, posso dire che in questi due anni ho viaggiato e conosciuto persone di tutti i tipi”. Casa Si risparmia su tutto, ma sulla casa non è facile. Diminuisce il numero di persone che riescono a comprarla: secondo l’Istat, rispetto al secondo trimestre 2011, le compravendite di immobili a uso residenziale diminuiscono del 23,6. C’è chi però decide di scommettere sull’acquisto condiviso di un edificio, per tagliare anche i costi di gestione. “La solidarietà non si misura solo con l’aiuto materiale ma anche con un ‘avvicinamento” di tipo relazionale delle persone che vivono in strutture di questo tipo - dice Lorenzo Allevi dell’impresa sociale Sharing, che a Torino ha dato vita all’albergo condiviso - . Nel nostro albergo sociale questa solidarietà è sentita. Ci sono persone che mettono a disposizione il proprio tempo per organizzare delle serate a tema con i bambini. Oppure associazioni che tengono gratuitamente corsi di italiano per stranieri. In molti organizzano delle feste e invitano tutti. Ci aiutiamo tra di noi e facilitiamo le occasioni d’incontro”. Lavoro Sempre più precario e con meno tutele,

anche il lavoro cambia quando circola meno danaro. Così è aumentano le esperienze di co-working, il lavorare insieme. Si può spendere per una scrivania, internet, fax, sala riunioni ed altro dai 25 euro al giorno, ai 250/350 euro al mese. In alcuni co-work sono attive anche forme di baratto. Una persona mette a disposizione la sua professionalità e in cambio ottiene un’altra cosa. È un modo per essere autonomi sul lavoro, condividendo servizi, e per evitare che il lavoratore si senta isolato. Perché in tempi di crisi e meglio non rimanere soli. “la Repubblica - l’Espresso”,“Le inchieste”

Compagne che criticano il Pd

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a vicenda dell’astensione dei sei eurodeputati del PD che ha portato all’affossamento della risoluzione presentata da Edite Estrela che chiedeva il

LA VOCE REPUBBLICANA

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riconoscimento dell’aborto come diritto umano, in Italia è stata completamente e volutamente oscurata a livello mediatico. Se ne è parlato poco e se ne parla poco. Qualche notte fa, a Bologna, il collettivo femminile XXX ha “sanzionato” alcune delle sedi del PD affiggendo manifesti di protesta rispetto a questo “non voto” che ha inflitto un altro duro colpo ai diritti delle donne e al riconoscimento della loro libertà decisionale. Sono segretaria di uno dei circoli “sanzionati” e sono anche membro dell’esecutivo della conferenza delle donne del PD e quei manifesti mi hanno ferita nel profondo. Ho dovuto subire per l’ennesima volta, a causa dell’indecisione paralizzante del partito a cui appartengo, l’onta di essere associata a idee conservatrici che non mi rappresentano. Ma la rabbia è stata ancora più grande perché, come conferenza delle donne di Bologna, avevamo con tempismo invidiabile preparato un ordine del giorno da presentare alla prima direzione provinciale del partito bolognese. Un ordine del giorno assolutamente civile e piuttosto moderato in cui si chiedevano due cose di base: la richiesta che questo tema fosse posto all’attenzione della direzione nazionale e che il partito, prima o poi dopo adeguata discussione, prendesse una posizione chiara a proposito di queste tematiche. Non ci sono state le condizioni politiche ed anche tecniche perché il nostro ordine del giorno fosse presentato e votato durante la direzione provinciale. Una parte del nostro stesso partito bolognese ha letteralmente “aggredito” la nostra iniziativa politica e di fatto creato una condizione perché non andasse avanti, almeno non nei termini e nei tempi che avevamo deciso. Ci riproveremo ma intanto ci saranno le vacanze natalizie di mezzo, al ritorno saremo tutti più buoni, l’argomento non avrà più l’interesse di attualità di ora e sarà una delle tante azioni lodevoli ma che rimarrà quasi sicuramente senza risposta. “Le priorità sono altre” ci sentiamo continuamente ripetere da chi nel partito cerca in questo modo furbescamente di non esprimere mai un’idea a tal proposito troppo preoccupato di alienarsi i voti di una parte di elettorato sia in un senso sia nell’altro. Invece, come dimostra il passaggio in Spagna di una legge molto restrittiva sul diritto all’aborto, le urgenze sono anche queste e soprattutto per le donne le urgenze sono queste. In Italia per ora l’attacco al nostro diritto di scelta è meno esplicito e più strisciante ma pur sempre molto forte. Il numero di medici obiettori in Italia è in costante aumento (85% a livello nazionale), i consultori vengono dismessi piano piano nel silenzio (semplicemente i medici vanno in pensione e non vengono reintegrati), l’accesso ai consultori è sempre più difficile e in alcune zone in Italia affatto garantito. Tutto questo non è avviene per caso. Non è una coincidenza che gli attacchi ai diritti delle donne arrivino durante questo tipo di congiuntura storica ed economica. Non è una coincidenza che certi diritti vengano negati nei momenti nei quali noi donne ci presentiamo come soggetti socialmente e lavorativamente più deboli. In tutto questo c’è un disegno economico e sociale preciso, realizzabile più facilmente in quei paesi dove l’humus culturale ed ideologico di tipo conservatore lo permette più agevolmente. “La liberazione della donna diventa possibile solo quando ad essa sia permesso di partecipare, su larga scala, alla produzione” diceva Engels. In questo momento in Italia noi donne lavoriamo meno degli uomini, guadagniamo meno degli uomini, siamo meno tutelate nei nostri diritti peculiari e accediamo con più fatica a ruoli di responsabilità; tutto questo anche se siamo mediamente più istruite e preparate dei nostri colleghi maschi. La nostra “liberazione” negli ultimi decenni si è allontanata e la situazione attuale ci mette sempre di più in balia “del potere” economico e sociale degli uomini che ci circondano. Il passo ad essere in balia anche del loro “potere” riproduttivo è veramente breve. Per questo il silenzio del PD, anzi la palese ostilità di un’ampia parte del partito ad affrontare questa tematica, è decisamente grave, anche più grave di quello che sembra, perché un partito in cui sia sopravvissuto una qualche minima idea di progressismo dovrebbe schierarsi compatto vicino alle donne che cercano di combattere questa battaglia di liberazione soprattutto in questo momento storico in cui davvero assume caratteri al limite del drammatico. Perché in questa congiuntura storica ed economica la tutela e la difesa dei diritti delle donne non si configura più tanto come una battaglia di tipo etico ma piuttosto come una delle tante battaglie sociali da cui un partito di sinistra non potrebbe e non dovrebbe esimersi a meno che di “sinistra” ormai non sia più. Cecilia Alessandrini, “Huffington Post”, 23 dicembre 2013


4 LA VOCE REPUBBLICANA

Martedì 24 dicembre 2013

Divario retributivo di genere secondo la Commissione Ue

Un dato rimasto fermo al 16,2 per cento. E si nota una tendenza al ribasso

Ma quei diritti oggi non sono garantiti

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dati resi noti il 9 dicembre dalla Commissione europea attestano che il divario retributivo di genere, cioè la differenza media tra la retribuzione oraria di uomini e donne nell’UE, è rimasto

fermo al 16,2%. Infatti, i dati globali rivelano una lieve tendenza al ribasso negli ultimi anni, ma nell’arco di un anno il cambiamento non è stato sufficiente e la disparità retributiva di genere persiste ancora in

ELENCO PAGAMENTO TESSERE PRI 2013 Sez. Pri Massa Marittima; Sez. Pri “Terrana”, Roma;Sez. Pri Marina di Carrara; Sez Pri “Spadolini” Torino; Sez. Pri “Mameli” Genova; Consociazione Forlivese; Sez. Pri “Cattaneo” Milano; Sez. Pri “Arcamone” Foligno (PG); Unione Comunale Cervia (RA); Sez. Pri, Prato-Firenze-Pistoia; Sez. Pri “Mazzini”, Modigliana (FC); Sez. Pri “Mazzini”, Vecchiano (PI); Sez. Pri Albano Laziale, Roma; Sez. Pri “Mazzini” Ariccia, Roma; Sez. Pri Lanuvio, Roma; Sez. Pri Padova; Sez. Pri “Cattaneo”, Rovigo; Sez. Pri Cesenatico (FC); Sez. Pri Paola (CS); Sez. Pri “R. Pacciardi” Grosseto; Sez. Pri “Chiaravalle” Soverato (CZ); Sez. Pri Jesi e Chiaravalle (AN); Sez. Pri Catanzaro; Consociazione Pri Cesena; Federazione Provinciale Pri Ravenna; Sez. Pri “Silvagni-Mazzini-Valconca”, Rimini; Sez. Pri “Mazzini”, Rimini; Sez. Pri, Novi Ligure (AL); Sez. Pri, Lamezia Terme; Sez. Pri Vomero Arenella (NA); Sez. Pri “Ugo La Malfa”, Codigoro (FE); Sez. Pri “Pisacane”, Foggia; Sez. Pri “Sant’Andrea Borgo Mazzini” Rimini; Sez. “Ugo La Malfa”, Napoli; Sez. Pri “Celli” Cagli (PU); Sez. Pri “Centro”, Caserta; Sez. Pri “Garbarino”, Chiavari (GE); Sze. Pri Fano (AP); Sez. Pri “Mazzini”, Comacchio (FE); Sez. Pri “Giovine Europa”, Andora (SV); Sez. Pri Mantova; Sez. Pri Dro (TN); Gruppo Pri Lucchese, Lecco; Sez. Pri “G. Spadolini”, Viareggio; Sez. Pri “R. Sardiello”, Reggio Calabria; Sez. Pri Melicucco (RC); Sez. Pri Locri (RC); Sez. Pri Samo (RC); Sez. Pri Africo (RC); Sez. Pri Bovalino (RC); Sez. Pri Gioia Tauro (RC); Sez. Pri Pavona, Roma; Sez. Pri Cecchina, Roma; Sez. Pri Palombara Sabina, Roma; Sez. Pri Tuscolana, Roma; Sez. Pri "Pisacane", Foggia; Sez. Pri "G. Mazzini", Ferrara; Sez. Pri "L. Santini",Viterbo; Sez. Pri Trieste; Sez. Pri “Camangi” Roma; Sez. Pri “Bonfiglioli” Bologna; Sez. Pri Grottaglie (BA); Sez. Pri Spilimbergo (PN); Sez. Pri “Aurelio Saffi” Ravenna; Sez. Pri Varese; Sez. Pri Bottiroli” Voghera (PV); Sez. Pri “Mameli” Cologno Monzese (MI); Sez. Pri Cremona; Sez. Pri “Flaminio Prati (Roma); Sez. Pri “F.lli Bandiera” San Pietro in Campiano (RA). Sono pervenute all'Ufficio Amministrazione del PRI versamenti di pagamenti tessere di singoli iscritti. E' chiaro che ai fini congressuali l'iscrizione singola non consente la partecipazione ai lavori dell'Assise repubblicana. Chi non è nelle condizioni di avere una sezione dovrà iscriversi a quella territoriale più vicina. Per ogni ulteriore informazione o chiarimento si prega di rivolgersi all'Ufficio Organizzazione (Maurizio Sacco) ai seguenti numeri: 338/6234576 - 334/2832294 - oppure orgpri@yahoo.it

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tutti i Paesi dell’Unione e varia dal 27,3% dell’Estonia al 2,3% della Slovenia. Le regole dell’Unione hanno fissato una serie di importanti principi: parità retributiva per lo stesso lavoro, parità sul luogo di lavoro e diritti minimi garantiti per il congedo di maternità. Ma Viviane Reding, Vicepresidente e Commissaria europea per la Giustizia, ha ribadito che il fossato retributivo è ancora troppo profondo. La constatazione più amara è che se ci sono delle recenti tendenze di riduzione della distanza retributiva, queste sono in larga parte imputabili a una diminuzione delle retribuzioni maschili più che a un aumento dei salari femminili. Secondo la relazione pubblicata congiuntamente ai dati, i principali ostacoli alla parità retributiva consisterebbero in sistemi retributivi poco trasparenti, assenza di parametri chiari sulla parità retributiva e disinformazione dei lavoratori, che insieme concorrono anche a incrementare il problema dello scarso ricorso alla giustizia da parte delle donne. La sfida futura per gli Stati membri consiste nella corretta attuazione della direttiva 2006/54/CE sulle pari opportunità, in modo che una maggiore trasparenza dei sistemi salariali possa rendere il raffronto tra le retribuzioni dei due sessi più immediato, facilitando così la possibilità per le vittime di rivendicare in giudizio i propri diritti. La direttiva sulle pari opportunità è stata sufficientemente e chiaramente recepita solo in Francia e Paesi Bassi. Per gli altri 26 Stati membri la Commissione è in attesa di informazioni complementari. Per la Commissione la parità retributiva è una questione importante e prioritaria, come testimonia la sua strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015, che prevede una serie di azioni: l’iniziativa Equality Pays Off; le raccomandazioni specifiche per Paese; le giornate europee per la parità retributiva; lo scambio di buone pratiche; i finanziamenti di iniziative negli Stati membri tramite i Fondi strutturali.

Recensione di Antonio Angeli del libro di Giancarlo Tartaglia "Francesco Perri, dall'antifascismo alla Repubblica" di prossima uscita. La recensione è apparsa su “Il Tempo" del 13 ottobre 2013

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ome è possibile nascere repubblicani in una monarchia, quale era l’Italia alla fine dell’Ottocento? Significa anteporre il ragionamento e l’amor di patria a qualunque convenienza. Accadde a Francesco Perri, acutissimo osservatore e al tempo stesso protagonista della vita democratica del nostro paese. Perri nacque nel 1885 in un paesino in provincia di Reggio Calabria, dal quale si distaccò subito per vivere tra il nord d’Italia e il cuore dell’Europa, mantenendo sempre, però, l’occhio e la mente rivolti a quella che per decenni si è chiamata “Questione Meridionale”. Perri fu, nella sua vita di intellettuale, lunga e difficile, “schiavo” del pensiero. Il ragionamento lo fece essere repubblicano nell’Italia dei Savoia, antifascista quando marciavano le camicie nere e poi meridionalista, legato alle realtà locali al tempo dell’Impero... La storia di questo intellettuale, giornalista e politico, uno di quelli che hanno costruito dal basso, con lacrime e sangue (veri), l’Italia felix del boom economico, è scritta in un completissimo saggio biografico: “Francesco Perri. Dall’antifascismo alla Repubblica”, di Giancarlo Tartaglia, Gangemi Editore, 320 pagine, 25 euro. Tartaglia, storico, giornalista e docente universitario descrive, con una minuziosa opera documentale, da Giolitti alla Ricostruzione, l’evoluzione e la vita di quest’uomo che aveva come obiettivo l’affermazione di un principio modernissimo: la selezione dell’élite di governo deve essere realizzata per via meritocratica e non per mero diritto di successione. Individuò nella monarchia, con i suoi rituali e le sue clientele, un ostacolo insuperabile per la realizzazione di un paese moderno. Nel Ventennio visse un antifascismo appartato, di poco clamore, ma di costanti sofferenze. Si dedicò alla politica nel difficile periodo dell’occupazione nazista finché, dopo la liberazione, nel ’45, il partito lo volle alla guida del “Tribuno del Popolo”, foglio repubblicano genovese, e poi della stessa “Voce Repubblicana”. Fu protagonista delle battaglie per la Costituente e per la Repubblica fino ai giorni della vittoria referendaria. Roberto Balzani, nella sua introduzione, definisce il libro “un bel contributo alla storiografia sul repubblicanesimo, che sarebbe piaciuto a Giovanni Spadolini”. E a tutti quelli che costruiscono e vivono la democrazia “dal basso”. Antonio Angeli,“Il Tempo”, 13 ottobre 2013

Loggia Fenice: l’omaggio a Francesco De Luca

Un evento di sicuro rilievo per tutta la cittadinanza di Cardinale

Il Grande Oriente nel sec. XIX

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el 2014 ricorre il 150esimo anniversario della nomina di Francesco De Luca alla guida del Grande Oriente d’Italia. Un evento importante per i cittadini di Cardinale, città natale di De Luca, che celebreranno la ricorrenza con una manifestazione culturale, organizzata dalla Fenice onlus, emanazione dell’omonima loggia di Catanzaro. Francesco De Luca è uno dei personaggi chiave del periodo risorgimentale e postunitario del nostro Paese, ma soprattutto del Meridione. Uomo di idee innovative sulla situazione del Mezzogiorno, fuori e dentro il Parlamento, e come amministratore locale, s’impegnò per l’abolizione della pena di morte e per il diritto di associazione. Fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia nel biennio 1865-1867 ma dal 1864 Reggente, dopo le dimissioni di Giuseppe Garibaldi. La Fenice, presieduta da Michele Giglio, intende realizzare tra gennaio e febbraio 2014 una mostraconvegno che documenti questo impegno. L’iniziativa ha già ricevuto il patrocinio del Comune di Catanzaro e si presenta validissima per fare luce su vicende storiche ancora attuali nel sud d’Italia e per testimoniare

gli ideali liberomuratori che hanno animato lo spirito progressista del nostro Paese. Il 20 novembre la Fenice onlus, in collaborazione con l’associazione “Civitas Bruniana”, aveva realizzato un’altra iniziativa sempre nel programma di celebrazioni in onore di Francesco De Luca, patrocinate anche dalla Regione Calabria e del Commissario Straordinario della Provincia di Catanzaro. Si tratta del restauro del monumento dedicato a De Luca e della sua stele funeraria a Cardinale che è stata riconsegnata alla cittadinanza in una cerimonia pubblica alla presenza del sindaco Giuseppe Marra e di altri esponenti del Comune. In quell’occasione, il sindaco ha assicurato al presidente della Fenice, Giglio e al suo predecessore Emanuele Cannistrà, la totale disponibilità dell’amministrazione a collaborare per l’organizzazione della mostra-convegno in programma nel 2014.


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