La Voce Repubblicana del 13 dicembre 2013

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QUOTIDIANO DEL PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO - ANNO XCII - N° 239 - VENERDI 13 DICEMBRE 2013 Euro 1,00 NUOVA SERIE POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB (RM)

PANACEE MANCATE

Siete pronti a precipitare nella deflazione?

A

l presidente del Consiglio italiano Enrico Letta che, nel suo intervento alla Camera di mercoledì scorso, aveva lanciato la proposta dell’unione bancaria, ha risposto a stretto giro il presidente della Bce, Mario Draghi, per il quale l’unione bancaria “non è una panacea”. L’unione bancaria è infatti indispensabile per eliminare la frammentazione finanziaria. Ma se l’Italia vuole ristabilire condizioni di prestito egualitarie, ha una strada obbligata: proseguire con le riforme e il consolidamento dei conti. Sia chiaro che non troviamo alcun riferimento polemico da parte del presidente Draghi al discorso del presidente Letta, ci mancherebbe. Certo che l’accento posto da Draghi su cosa sia davvero importante nelle intenzioni programmatiche del governo italiano, appare piuttosto diverso rispetto a quello che avevamo colto nelle parole del presidente del Consiglio. Solo la settimana scorsa, l’Unione europea, attraverso il suo commissario agli affari economici, Olli Rehn, aveva espresso tutto il suo scetticismo sulla sua situazione italiana. Il presidente Letta si era molto risentito per queste considerazioni non pertinenti, ed ecco che la Bce si attiene strettamente ai dati di cui dispone, gli stessi che muovevano lo scetticismo di Rehn sulle autentiche capacità dell’Italia. C’è poco di che risentirsi: il rapporto deficit/Pil dell’Italia era atteso al 3% nel 2013 ed è ritenuto da Eurotower sopra le stime per il “peggioramento delle condizioni economiche”. Gli ultimi dati Istat, che per una volta avevano fatto sorridere il ministro

Saccomanni, in quanto indicavano un arresto della discesa, non sono stati presi nemmeno in considerazione. Saccomanni aveva subito intonato “il suo siamo usciti dalla recessione”, anche se questa volta il ministro mostrava una qualche maggior prudenza rispetto all’agosto scorso. Fatto sta che nessuno in Europa gli ha fatto eco. Anzi, “il peggioramento delle condizioni economiche”, denunciato dalla Bce è un contraltare che manda nuovamente a fondo l’ottimismo di Saccomanni. Se poi non si voleva aspettare di sapere cosa pensassero ad Euro Tower, bastava ascoltare il nuovo presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri. Anche la sua opinione diverge da quella del governo. A fronte di un prelievo fiscale che ammonta a circa il 45% del prodotto, “non si potrà avere un consistente miglioramento nell’allocazione delle risorse, e una sensibile accelerazione della crescita economica se non sapremo spendere, meglio di quanto ora facciamo”. E questo “ora”, dispiace, include il governo Letta. I giudici della magistratura contabile sono poi preoccupati dallo stato del debito pubblico, un “peso che ha pochi confronti nel mondo” e quindi capace di rallentare ulteriormente il nostro passo. L’Italia si trova “in una sorta di circolo vizioso dal quale diventa sempre più difficile uscire”. Il debito si potrebbe contenere se l’economia fosse in una fase di decisa crescita. Ma noi abbiamo solo interrotto la caduta, non ripreso a crescere. Andando avanti così, finita la recessione, ci attende la deflazione. Quando Saccomanni e Letta lo capiranno, sarà sempre troppo tardi.

Ritorna anche la contestazione studentesca Saccomanni scortato alla Sapienza

I ministri bloccati in Aula Magna U

n gruppo di circa 300 studenti di tutte le facoltà ha manifestato, davanti al Rettorato all’Università la Sapienza di Roma lanciando di uova e fumogeni. Un gruppo di studenti ha superato le transenne e ha lanciato petardi e bombe carta all’ingresso del Rettorato. Molto fumo, poco arrosto. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, quello dell’Ambiente, Andrea Orlando, e quello della Salute, Beatrice Lorenzin, presenti per un convegno sull’economia verde sono rimasti bloccati in Aula Magna. Il rettore della Sapienza, Luigi Frati infatti, ha chiesto ai ministri e alle altre personalità presenti - tra gli altri il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, Guglielmo Epifani e un commissario europeo per l’Ambiente - di rimanere all’interno dell’Aula Magna per ragioni di sicurezza. Il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni è poi uscito dall’università con la scorta. Il convegno ha ripreso regolarmente. “Ho sentito bellissime parole, ma c’è una grandissima frattura con quel che accade fuori e le vostre parole non troveranno applicazione – lo ha detto una studentessa interrompendo il convegno - Parlate di green economy , ma poi il Governo parla di Tav, di Muos, di Grandi navi”. Le ha replicato il ministro Orlando: “Io sono per il dialogo ma non credo che il dialogo si sviluppi con le bombe carta”.

CONVOCATA DN PRI La Direzione Nazionale del PRI è convocata per sabato 14 dicembre 2013, alle ore 10.00, presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana in Corso Vittorio Emanuele II

M

n.349 a Roma, con il seguente ordine del giorno: 1) Comunicazioni del Segretario; 2) Situazione "La Voce Repubblicana"; 3) Revoca dell'incarico all'Amministratore; 4) Nomina Amministratore; 5) Dimissioni del Segretario

politico; 6) Nomina di un comitato per la fissazione del Congresso Nazionale e la gestione politico-amministrativa del PRI; 7) Varie ed eventuali. La Direzione Nazionale è riservata esclusivamente ai suoi componenti. Integrazione ordine del giorno Direzione Nazionale PRI del 14 dicembre 2013/Tutti gli adempimenti, quando necessario, saranno ratificati dal Consiglio Nazionale PRI che può essere convocato dalla Direzione Nazionale stessa o dal Presidente del Congresso.

DOCUMENTO COMMISSIONE LAVORO PREVIDENZA E SICUREZZA PRI a pag. 4

ELENCO E INFORMAZIONI PER IL PRI 2013

PAGAMENTO DELLE TESSERE

a pag. 4

Non sottovalutate Angelino Alfano

agari non sarà proprio come ha detto il presidente del Consiglio Letta secondo cui il nuovo centro destra è la novità politica principale del secolo, ma non sottovalutate Angelino Alfano. Il vice presidente del Consiglio non ha una fronte inutilmente spaziosa, al contrario contiene un cervello che pensa e ragiona. Quanti di voi sarebbero stati capaci di diventare il numero due di un governo, da semplice assistenti che eravate di Silvio Berlusconi? Sarebbe stato più facile pensare a corteggiar le ragazze, inserirsi nell’agenda dei “bunga bunga”, o al limite, invitare a cena le

olgettine. Alfano no, olio di gomito, schiena bassa ed eccolo lì accanto a Letta, proprio mentre il futuro politico di Berlusconi è divenuto alquanto incerto. Solo che proprio perché il cervello di Alfano lavora a pieno ritmo, tutta la sua figura seduta ai banchi del governo mentre il premier chiedeva la fiducia, esprimeva un senso di fastidioso sconcerto, di inquietudine, di abiti che scivolavano di dosso. Quasi che Alfano volesse inseguire i suoi vestiti sulla porta dell’emiciclo ed andarsene con loro a zonzo. Invece insofferente e corrucciato stava fermo al suo posto e si chiedeva, cosa diavolo ci sto a fare ancora qua?

Perché si, Letta è presidente del Consiglio, le Camere gli hanno espresso un voto rassicurante e soprattutto gode delle simpatie del Quirinale. Ma dopo l’elezione di Renzi alla segreteria del Pd a furor di popolo, Alfano si sente come inseguito da un nuvolone oscuro e minaccioso. Letta parla, ed Alfano, occhi pesti, testa china, smorfie agli angoli della bocca, mani incrociate quando gli altri applaudono, sembrava preoccuparsi d’altro. Perché, insomma, questo Renzi, il demonio sa da dove è spuntato, ma avrà pur bisogno domani di un amico leale e fidato. Eccolo lì, dall’altra parte della barricata.

Seppellita l’ascia di guerra Apertura unitaria all’interno del Partito democratico

C’erano una volta gli oppositori di Matteo Renzi

“D

obbiamo contribuire con le nostre idee a ricostruire il Pd, non dar vita a un correntone di opposizione a Matteo Renzi”. C’erano una volta gli oppositori di Renzi, prosperavano ai tempi della vittoria di Bersani, ora si sono dati una bella ridimensionata. Matteo Orfini, ad esempio, fiutata l’aria, pensa sia il caso di seppellire l’ascia di guerra, rispondere all’‘apertura unitaria’ del nuovo segretario e spedire Gianni Cuperlo alla presidenza del partito. Renzi sarebbe pur contento di non ritrovarsi più la Bindi. Raccolto il 18 per cento nei gazebo, non è che poi si possano fare molti piani di battaglia, la sconfitta è stata molto dura, il dato decisamente al di sotto delle aspettative. A questo punto meglio evitare di continuare a considerare Renzi un barbaro. Il sindaco di Firenze è un compagno di partito. Ci è voluto il sessanta per cento dei suffragi per accettarlo. Ma insomma è andata, basta con i mal di pancia. Ex Pci, ex Fgci, ex dalemiani, ex bersaniani, sono piuttosto frastornati, ma sono pur sempre passati sopra le macerie del muro di Berlino con tranquilla indifferenza, si sono inventati kennediani da maoisti che erano, hanno sostenuto, magari non con la necessaria lealtà, un residuato dc come era Romano Prodi. Possibile che non riescano a digerire Renzi? Matteo Orfini si è messo al lavoro bocciando subito l’idea di creare “una componente” come suggeriva l’ex direttore dell’Unità e piuttosto prepararsi a mollare Enrico Letta. La domanda non è “come potrebbe essere ancora spendibile come candidato premier l’uomo delle larghe intese”, ma piuttosto “come può ancora restare premier l’uomo delle larghe intese” dopo il successo di Renzi. Tanto che c’è già chi sostiene che con Renzi a Palazzo Chigi, “il partito potrebbe tornare nelle mani di chi non si rassegna e vorrebbe riprenderselo”. I gruppi parlamentari, 43 senatori e 125 deputati “bersaniani”, sono avvisati: è ora di rimettersi in marcia. Letta finirà presto nel mirino. I bersaniani in fondo gli rimproverano di aver surclassato il loro leader con un eccesso di disinvoltura, i dalemiani l’indifferenza con cui si è sbilanciato su Renzi, al punto di non

pronunciarsi sul voto da dare alle primarie. Troppa diplomazia, troppo comodo. Le truppe di D’Alema e Bersani sono li per sciogliersi, ma prima devono dare un segnale di sottomissione al nuovo capo. Si guarda con invidia a La Torre che per primo ha fatto il grande salto. Vai a disprezzare le poltrone di questi tempi; ora che Epifani potrebbe finire ai giardinetti, ce ne sono un sacco pronte a liberarsi. E se un altro La Torre ti passa davanti mentre tu ti fai troppi scrupoli? Gurdate Franceschini, quello si che è un cavallo di razza: vice di Veltroni, fedele di Bersani, ministro di Letta, renziano della seconda ondata, quella vincente. Che naso, che salta fossi, che invidia. Nessuno ha voglia di seguire il viale del tramonto imboccato a grandi passi da D’Alema. Gli manca il pastrano ed il tricorno per sembrare Bonaparte in viaggio per Sant’Elena. Una candidatura in Europa? Dovrà farsi una lista sua, quella degli ex Pci, che controllavano voti e partito e ora non contano più niente. Non do indicazioni a Cuperlo, ha detto: probabile. Anche perché mai Cuperlo dovrebbe più ascoltarle? Bravo ragazzo, ricevuto il sostegno di D’Alema durante le primarie, si era schernito che in questo modo rischiava di perdere. Non immaginava ancora di venir stracciato. La politica lascia la bocca amara. E si che ci si sentiva dei sopravvissuti ad essere usciti indenni dal tonfo del socialismo reale. Anzi, grazie a quel tonfo, un’intera generazione di comunisti si è ritrovata al governo. Un po’ di maquillage ben distribuito e voilà si era di nuovo in pista e pure lanciati. Bei tempi, anche Berlusconi, in fondo, era uno spasso. Ti opponevi a Berlusconi e ti si perdonava tutto, persino la scalate di Unipol. Poi è arrivato Renzi, diciamolo, a sentirlo sembrava un pinocchietto, più fastidioso che altro, due sberle e lo mettevi a posto, D’Alema in federazione lo si chiamava “Spezzaferro”. Una sciocchezza paragonare Renzi a Mussolini, come pure fecero Scalfari e poi Laurito. Renzi aveva più del Giamburrasca. Ora rischia che il partito intero si trovi sotto il suo comando, temendo perfino a distinguersi in correnti. Siamo entrati nell’era nuova ed assomiglia all’apogeo di Fanfani.

Venti miliardi

E’ stato fissato il prezzo per riscattare Kiev

I

l premier ucraino Michail Azarov, intervenendo al consiglio dei ministri a Kiev, ha replicato con estremo distacco, a chi lo accusava di aver scatenato i reparti anti sommosa contro la popolazione, che il governo non aveva usato la forza, piuttosto stava “sgomberando le strade”. A rigore difficile dargli torto. Per riconquistare la piazza, i poliziotti si sono fatti largo più a colpi di scudo che di manganello. E’ vero che ci sono stati dei feriti, almeno 25 persone. Ma a giudicare dalla strategia seguita, l’obiettivo delle teste di cuoio era quello di demolire le barricate erette a difesa della piazza: avanzavano e si fermavano, mentre alle loro spalle le ruspe demolivano gli sbarramenti. In via Institutskaia le barricate non c’erano più. E quando la polizia si è trovata di fronte ad un muro umano di circa 4.000 persone che circondava piazza Indipendenza, nessuno è stato attaccato. Anche i dimostranti armati di bastoni e spranghe sono rimasti calmi e la situazione non è degenerata. La forza, in senso proprio, l’impiegò il colonnello Balbutin, nel gennaio del 1918. Al comando delle avanguardie cosacche di Petljura, Balbutin travolse a colpi di lancia qualunque ostacolo sul suo percorso, lasciando decine di cadaveri sulle strade di Kiev, per lo più giovani cadetti che nemmeno sapevano dell’avvenuta fuga in massa del loro quartier generale. Un massacro iniziato all’alba e durato fino a notte fonda con i cadaveri lasciati nelle strade. Tempo un anno e l’Armata Rossa non ebbe bisogno di impiegare la forza. Bastò sparare un paio di cannonate che l’esercito di Petljura scappò a gambe levate, abbandonando la città. I russi allora furono benvenuti, perché almeno un ucraino su due si sente un russo. I manifestanti dell’opposizione oggi sembrano però di un’altra tempra: non hanno nulla da perdere e sono convinti di una nazionalità distinta, tanto che hanno già annunciato di tornare in piazza Indipendenza a “milioni”. Allora sarà il momento di preoccuparsi davvero. Quando l’anima russa e quella puramente ucraina si ritroveranno di fronte per la centesima volta in tre secoli di storia, potrebbe essere quella decisiva. Tanto che i filorussi non hanno nessuna voglia di incendiare gli animi. Sono accondiscendenti. Volete legare l’Ucraina all’Europa? Benissimo, Bruxelles dia a Kiev un aiuto finanziario di 20 miliardi di euro, nell’ambito della preparazione della firma dell’Accordo di associazione. Il governo è favorevole, si limita a voler fissare le condizioni per minimizzare le eventuali perdite dell’economia ucraina. Per questo il premier Azarov ha invitato l’Ue a considerare le condizioni alle quali l’economia ucraina può funzionare, e chiesto l’aiuto finanziario. Meglio vedere tornare le barricate, i cosacchi di Balbutin, i cannoni di Trotsky, qualunque cosa, pur di non sganciare un solo euro.


2 LA VOCE REPUBBLICANA

Venerdì 13 dicembre 2013

economia

Giornalaio di Carter Quando lo Stato abdica ai suoi compiti: proteste vaghe e invasive. Le vere vittime sono i cittadini piuttosto smarriti

Chi ha il monopolio della forza?

L

a Spina, su “La Stampa”, si chiede: e se lo stato rinuncia al suo ruolo? “Da tre giorni le principali città italiane, ma soprattutto Torino, sono ostaggio di una confusa rivolta. Confusa, perché raccoglie un effettivo forte disagio sociale, ma pure un trasversale ribellismo dai molti e anche ambigui colori. Confusa, perché gli obbiettivi o sono così vaghi o sono così irrealistici da apparire puri pretesti. Pretesti per sfogare una protesta destinata a non avere risultati concreti. Confusa, perché invece di colpire i presunti ‘nemici del popolo’, la classe politica, nazionale e locale, colpisce il popolo. Quello dei pendolari, costretti a raddoppiare la fatica di una già durissima giornata; quello dei commercianti, obbligati dalle minacce dei rivoltosi a rinunciare ai pur magri incassi prenatalizi; quello della gente comune, costretta a complicati e, in alcuni casi, perigliosi pellegrinaggi tra serrande sbarrate. Una rivolta, invece, chiarissima nel dimostrare una realtà ormai emersa in molti casi, ma mai in maniera cosi evidente: l’assenza dello Stato. Uno Stato capace di garantire sì la libertà di manifestazione, ma non di impedire plateali e gravi lesioni della legge, come quando si consentono l’occupazione di ferrovie, le interruzioni di pubblici servizi nel trasporto locale, le ripetute e pesanti intimidazioni contro la tutela di diritti irrinunciabili, quali la libertà di opinione e la libertà del lavoro. In questi tre giorni, la condot-

ta del Viminale e quella delle questure e prefetture è stata sconcertante. Gli italiani hanno assistito, allibiti, alla contraddizione palese tra le roboanti dichiarazioni di fermezza pronunciate in tv dal ministro Alfano e la realtà di un comportamento delle forze dell’ordine che ha lasciato le città italiane alla mercé di raid squadristici, peraltro operati da sparuti gruppi di ultrà, non da imponenti masse di manifestanti. Una strategia incomprensibile, perché invece di scoraggiare le violenze e di isolare coloro che non si limitavano a contenere la protesta nei limiti della legge, ha avuto l’effetto di allargare il contagio, vista la sostanziale impunità che faceva seguito a quei comportamenti. Da tre giorni Ecco perché la polemica sui caschi sfile principali lati dalle teste degli agenti si è incencittà italiane, trata su un falso dilemma, quello se ma soprattutto fosse un gesto di solidarietà con i maniTorino, sono festanti o un intelligente atto per allenostaggio tare la tensione. Ha avuto, invece, solo di una rivolta... un effetto simbolico, quello di un abbandono del campo da parte dello Stato. Un’impressione certamente non contraddetta dai tardivi arresti di ieri sera. Tale assenza dello Stato, in questi tristi giorni, sta suscitando i prevedibili e pericolosi effetti di reazione sociale: ieri, gruppi di cittadini esasperati hanno incominciato ad organizzare e a propagandare, anche via Internet, contro-manifestazioni per protestare contro i cosiddetti ‘forconi’, in difesa del diritto al lavoro. Il rischio è quello di uno scontro civile dagli esiti incontrollabili”....

Intervista di Lanfranco Palazzolo Non è facile definire chi partecipi realmente alla protesta di questi giorni, dice Paolo Uggé, ex sottosegretario Trasporti

Ma è un disagio poco chiaro

N

on ho parlato con Berlusconi per chiedergli di non incontrare alcuni autotrasportatori. Lo ha detto alla “Voce” il Consigliere del CNEL ed ex sottosegretario ai Trasporti Paolo Uggè. Paolo Uggè, cosa pensa del movimento dei Forconi? Qual è il suo peso nell’autotrasporto? “Questo Movimento trova fondamento in una situazione di grande difficol“Il disagio non è tà in cui è il mondo giovanile, le picaffatto chiaro: non cole imprese e tanti lavoratori. Si tratso definire quali ta di un disagio di quelle persone fuori siano realmente della classe media. Le ragioni del le categorie che malcontento mi sembrano evidenti. oggi sono scese Mi sembra che per l’autotrasporto a protestare” questa situazione di malcontento non ci sia. Non ho alcun pregiudizio nei confronti di queste forme autonome di sindacato. Tuttavia non vedo gravi disagi. Le autostrade sono percorse regolarmente dai Tir. Se ci fosse lo sciopero dei mezzi pesanti gli italiani non avrebbero più i carburanti e i supermercati avrebbero gli scaffali vuoti. Questo è la conferma che l’autotrasporto non fa parte di questa protesta. Ci sono alcune piccole

frange che partecipano a queste proteste. Un’associazione nazionale minore, si tratta di ‘Trasporto Unito’, si è aggiunta alla protesta. Ma non si tratta di richieste alle quali il governo non può rispondere immediatamente. L’autotrasporto non c’entra nulla con questa proposta. Gli autotrasportatori hanno un accordo nazionale che è stato raggiunto con il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi e altre trattative sono in corso”. Pensa che questo movimento sia forte, al di la dell’adesione di alcune frange degli autotrasportatori? Si ricorda di una protesta così eterogenea? “Ricordo molto bene le proteste del ‘68. Vedo alcune similitudini con quelle proteste. Il mondo politico farebbe molto bene a preoccuparsi dei movimenti che scendono in piazza. Oggi vedo il rischio di proteste ripetute come è accaduto in Grecia. Per mia natura sono molto ottimista e penso che non ci sarà una ‘rivoluzione’. So che alcuni dei capi di questo movimento circolano con la Jaguar o la Porsche Cayenne. Questo vuol dire che c’è qualcosa dietro. La gente non è stupida e forse capisce che è stata strumentalizzata. E’ difficile recepire tutte queste richieste. I Cobas del latte avanzano delle richieste, gli agricoltori ne avanzano delle altre, gli studenti ne avanzano altre. Trovare una sintesi è difficile”. E’ vero che lei ha parlato con Berlusconi, che ha rinunciato ad incontrare i Forconi? “Berlusconi aveva convocato le associazioni dei trasportatori. Se lo avesse fatto concretamente avrebbe scontentato il 95 per cento degli autotrasportatori. Non ero d’accordo con quella convocazione. Io non ho parlato con Berlusconi. In passato Berlusconi mi aveva nominato sottosegretario ai Trasporti. Ma questo non significa che io abbia chiesto a Berlusconi di rinunciare all’incontro”.

fatti e fattacci

L

a cerimonia delle beffe. I funerali di Nelson Mandela hanno messo in mostra una superficialità impressionate da parte di capi di stato e degli uomini di potere giunti per onorare la figura del grande Nelson Mandela. Di questi funerali si parlerà per ricordare le foto di Barack Obama con l’ex premier tedesco Schroeder e la premier danese, per i sorrisi della cerimonia, quasi come se si fosse trattato di un matrimonio. Ma l’episodio più sconvolgente di questa vicenda è stato il falso traduttore del linguaggio dei segni. L’uomo accusato di aver usato un linguaggio dei segni fasullo mentre faceva da interprete alla commemorazione di Nelson Mandela ha raccontato alla stampa di aver sofferto di un attacco di schizofrenia durante la cerimonia. “Ho fatto da interprete a molte conferenze. Mai hanno detto che ho sbagliato”, ha dichiarato il 34enne Thamsanqa Jantjie al quotidiano “The Star”. L’uomo ha affermato di essere qualificato professionalmente come interprete, ma che è attualmente in cura “per schizofrenia”. Ha spiegato di aver sofferto di un attacco di schizofrenia durante la cerimonia: “non c’era nulla che potessi fare, ero da solo in una situazione pericolosa. Ho cercato di controllarmi e non far vedere al mondo cosa stava succedendo”. La vicenda ha creato forte indignazione nella comunità dei sordi

sudafricani, secondo la quale la traduzione era una incomprensibile parodia del linguaggio dei segni. Il caso ha provocato inoltre imbarazzo nel governo sudafricano ed è stato stigmatizzato dalla Casa Bianca, dato che Jantjie aveva “tradotto” anche il discorso del presidente Barack Obama. “E’ una vergogna che una cerimonia dedicata ad onorare la vita e a celebrare l’eredità di uno dei grandi leader del ventesimo secolo sia stata distratta da questa e altre vicende”, ha detto il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest. Il governo sudafricano ha aperto una inchiesta interna sulla scelta di Jantjie, ingaggiato attraverso una società d’interpreti. Questa vicenda e tutto l’insieme della manifestazione ha messo in mostra una grave superficialità da parte degli organizzatori della cerimonia e dei capi di governo. I funerali di Nelson Mandela sono passati nell’immaginario collettivo come una grande sfilata di leader politici. Ma quello che non convince è stato l’atteggiamento dei capi di Stato. Se le immagini di Obama sorridente fossero state scattate durante i funerali di un pontefice la reazione dei mezzi di informazione e dell’opinione pubblica internazionale sarebbe stata molto più dura e lo stesso Obama avrebbe avuto dei grossi problemi politici al ritorno negli Stati Uniti. Per Mandela e per la sua memoria questo riguardo non c’è stato. Strano, come minimo. E perché mai?

DRAGHI: UNIONE BANCARIA ENTRO APRILE, MA SI VADA AVANTI CON LE RIFORME “Confido che le altre componenti dell’unione bancaria siano approvate entro la fine della legislatura del Parlamento Ue”, cioè ad aprile quando c’è l’ultima plenaria. Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, parlando a Bruxelles. “L’unione bancaria - ha aggiunto è necessaria, ma non sufficiente, a rompere il legame tra debiti sovrani e banche. Le condizioni di prestito ugualitarie si ristabiliscono solo se proseguono le riforme”. Il presidente dell’Eurotower ha poi detto che “non vediamo deflazione” nell’Eurozona, ricordando, davanti alla plenaria del Parlamento Ue di Strasburgo, che l’inflazione è sotto il 2% “da un lungo periodo di tempo” e che continuerà così a lungo. Il mandato della Bce, ha aggiunto, è quello di “mantenere la stabilità dei prezzi in entrambi i sensi”, sia sopra sia sotto il 2%.

primo piano

A

i tempi della contestazione studentesca, quando si voleva abbattere la scuola dei padroni ed il capitalismo imperialista, si diceva di non fidarsi dei compagni che indossavano scarpe inglesi. Di sicuro figli dei ricchi che, appena la lotta si sarebbe fatta dura, ti avrebbero mollato secondo il loro istinto di classe. Ma nessuno aveva mai avuto nulla da ridire sulle macchine inglesi. Se portavi ai piedi Church’s e Clark’s eri un potenziale traditore. Se invece arrivavi in Jaguar alle manifestazioni, eri un fico della Madonna. Cosa c’è che non va, allora, nel capetto dei “forconi” che a fine manifestazione lo portano via con una Jaguar scura? Lui indossa scarpe larghe e spesse da contadino, fabbricate di sicuro nelle valli sue. State tranquilli, non fatevi impressionare, potete fidarvi.

&

a n a l i s i

Troppi cortei nella capitale

I

l rapporto del sindaco Marino con i vigili urbani della capitale non è buono e mettere a dura prova la capitale con le manifestazioni di ieri è stata un’assurdità per i cittadini romani. E tutto questo succede mentre Marino si trova a New York per una delle sue iniziative. Ma andiamo con ordine. Non c’è voluto molto ieri mattina per mandare il traffico in tilt. La capitale è stata teatro di numerose manifestazioni in diversi punti della città. A piazza del Popolo si sono ritrovati i lavoratori LA VOCE REPUBBLICANA Fondata nel 1921 Francesco Nucara Direttore Giancarlo Camerucci Vicedirettore responsabile Iscritta al numero 1202 del registro stampa del Tribunale di Roma - Registrata quale giornale murale al Tribunale di Roma con decreto 4107 del 10 novembre 1954/1981. Nuove Politiche Editoriali, Società cooperativa giornalistica - Sede Legale - Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326. Amministratore Unico: Dott. Giancarlo Camerucci Direzione e Redazione: Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326 Tel. 06/6865824-6893448 - fax. 06/68210234 - Amministrazione: 06/6833852 Progetto grafico e impaginazione: Sacco A. & Bernardini.

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della Fiom, arrivati nella Capitale con 60 pullman. Molti di loro hanno lasciato il sitin dirigendosi verso palazzo Chigi costringendo la polizia municipale alla chiusura di via del Corso. In migliaia poi si sono dati appuntamento a piazza Bocca della Verità, sempre nel centro storico, per il corteo dei lavoratori del settore commercio e turismo, aderenti ai sindacati di categoria Cgil-Cisl e Uil. I manifestanti sono partiti pochi minuti fa in direzione di viale Trastevere. Alta tensione, invece, alla Sapienza dove gli studenti hanno lanciato bombe carta e sfondato le transenne che li separavano dall’aula magna dove si svolge la Conferenza Nazionale sulla Green Economy. In piazzale dei Partigiani, in zona Ostiense, è proseguito ad oltranza il presidio dei Forconi in attesa della grande manifestazione a Roma della prossima settimana e alla quale parteciperanno cittadini da tutta Italia. Disagi anche nella zona sud di Roma a causa di un incidente stradale a catena su via Cristoforo Colombo, arteria principale che collega la Capitale al litorale. Inoltre, all’interno dell’università “La Sapienza” c’è stata una manifestazione contro la “green economy”. Ci sono state cariche della polizia e due studenti fermati. Gli studenti hanno accerchiato l’Aula Magna dell’ateneo dove si svolgeva la Conferenza sulla Biodiversità. Alla manifestazione partecipavano molti ministri e tra questi Fabrizio Saccomanni, responsabile del dicastero dell’Economia. La polizia ha presidiato la zona ed il corteo è stato bloccato. Gli studenti hanno urlato “bella scena la celere che carica gli studenti all’università. Non ce ne andiamo finché non ci restituite i nostri compagni”. Il Comune di Roma dovrebbe pianificare certe manifestazioni per evitare il caos a cui tutti i romani sono stati costretti ad assistere. Con ogni amministrazione è successo lo stesso. Grandi speranze si erano legate al nome di Marino. Insomma, sindaco, veda di fare qualcosa di “strutturale” e ponderato.

c o m m e n t i

La Mela conta le sue vittime

C

osa succede in quelle aziende? In questi mesi tutti si sono abituati ad assistere alle peggiori vessazioni contro i giovani lavoratori. Qualche mese fa, negli Stati Uniti, morì uno stagista che aveva lavorato ininterrottamente per giorni e che era andato avanti con il caffè. Nessuno si è stupito di questa morte. Chi conosce bene come funzionano i meccanismi delle nuove e antiche professioni sa benissimo che non esistono più regole consolidate per il lavoro. L’ultimo caso di queste morti da iperlavoro farà discutere molto. Un ragazzo di 15 anni, Shi Zaokun, è morto di polmonite dopo aver lavorato per un mese presso la Pegatron, un’azienda taiwanese con sede a Shanghai che produce l’“iPhone 5” per la Apple. Anche se l’azienda nega qualsiasi legame tra la morte del giovane e il lavoro presso la fabbrica, China Labor Watch, l’organizzazione che si occupa dei diritti dei lavoratori, sostiene invece che sarebbero state le difficili condizioni di lavoro e turni massacranti - anche di 12 ore consecutive per sei giorni alla settimana - a far ammalare il ragazzo. Secondo le accuse inoltre, la Pegatron, per poter far lavorare Shi avrebbe falsificato i suoi documenti, facendo risultare che il ragazzo aveva 20 anni e non 15, per aggirare il divieto di assumere minorenni. Inoltre sia la legge cinese, sia le policy di Apple prevedono che gli operai debbano lavorare per non più di 60 ore a settimana mentre, a quanto sostengono gli attivisti di China Labor Watch, gli ingressi e le uscite mostrano che il giovane Shi ne lavorava sempre quasi 80 a settimana. Dopo la Foxconn, altro importante fornitore della Apple in Cina, dunque anche Pegatron è finita nell’occhio del ciclone, tanto più perché il caso del ragazzo morto non è il primo. Negli ultimi mesi sono stati cinque gli operai della Pegatron morti. Apple ha intanto inviato un team di suoi medici esperti per

valutare la situazione ed individuare le eventuali anomalie ma i primi accertamenti sembrano non aver portato a nulla. “Non abbiamo trovato prove di collegamento alcuno tra le morti e le condizioni di lavoro nella fabbrica - si legge in un comunicato della Apple -, ma certo ci rendiamo conto che questo non e’ di conforto per la famiglia che ha perso il proprio caro. Abbiamo un team di lavoro alla Pegatron che serve proprio a garantire che essi operino secondo i nostri elevati standard”. Sarà molto difficile che la Apple giunga a scoprire qualcosa. Questa grande multinazionale dovrebbe cercare di monitorare continuamente le aziende con le quali collaborano. Se non lo fanno i casi come questi si moltiplicheranno. Ecco perché, mai come nel settore del lavoro, la prevenzione è il valore più importante. Certo, i clienti non cambieranno idea sui prodotti di questa azienda. Ma perché assistere inermi a questa strage silenziosa?

Irlanda: storia di due (in)giustizie

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a Chiesa di Irlanda torna a chiedere scusa per la piaga della pedofilia che per anni ha coinvolto il clero nel Paese. Lo fa nel giorno in cui vengono pubblicati i diversi rapporti delle diocesi dai quali emerge tutto il lavoro che si sta compiendo per la salvaguardia dei bambini. Ma ciò che è accaduto nel passato non può essere cancellato con un colpo di spugna. Tanto più che anche Papa Francesco ha istituito proprio qualche giorno fa una apposita Commissione con l’obiettivo di proteggere i bambini. Il cardinale irlandese Sean Brady, arcivescovo di Armagh, si dice “veramente dispiaciuto” di quanto accaduto nel passato. “Questa diocesi - scrive il cardinale riferendosi ad Armagh - è pienamente impegnata per la salvaguardia dei bambini e dei giovani. Tuttavia i miei primi pensieri oggi sono per coloro che sono stati abusati. So che per voi, vittime di abusi e le vostre famiglie, giornate come quella di oggi

- dice il card. Brady - sono particolarmente difficili. Avete sofferto terribilmente e io ne sono veramente dispiaciuto. Prego per voi e lavorerò per assicurare che siate sostenuti nel cammino verso la guarigione e la pace”. Il cardinale irlandese sottolinea che le politiche e le pratiche adottate vanno nella giusta direzione ma avverte: “In ogni momento, quando e dove i bambini sono coinvolti in attività della Chiesa, la vigilanza è la nostra parola d’ordine”. Ma da ogni angolo del Paese oggi sono arrivati messaggi dello stesso tenore, da quello del vescovo di Kerry Ray Browne’s al vescovo di Achonry Brendan Kelly, dal vescovo Seamus Freeman di Ossory a quelli delle diocesi di Down and Connor o di Cashel & Emly. Se la Chiesa di Irlanda è impegnata ad uscire dal tunnel e comunque registra progressi nelle pratiche adottate per aiutare le vittime e per evitare nuovi abusi, dall’Australia invece arrivano notizie di tenore diverso. La Chiesa cattolica d’Australia è infatti finita nel mirino della Commissione nazionale d’inchiesta sulle risposte delle istituzioni agli abusi sessuali a minori. Nella prima comparizione della Chiesa davanti alla Commissione, il legale che la rappresenta, Peter Gray, ha riconosciuto che molti minori hanno subito abusi, che i crimini sono stati insabbiati, che i responsabili sono stati protetti e le vittime non credute. Tornando alla Commissione vaticana, Padre Hans Zollner, preside dell’Istituto di Psicologia e responsabile del Centro per la protezione dell’Infanzia della Pontificia Università Gregoriana ha sottolineato che “la decisione di Papa Francesco è di grande importanza per tutta la Chiesa” ed “è la prima decisione concreta che nasce dal Consiglio degli 8”, il gruppo di cardinali costituito dal Papa per aiutarlo nella riforma della Curia. Il caso australiano e quello irlandese mettono in evidenza due approcci diversi. Nella cattolicissima Irlanda la Chiesa ha avuto le mani libere per istituire Commissioni e organi preposti alla protezione dei bambini, ma in Australia è stata la giustizia ordinaria a fare il suo corso, anzi una Commissione indipendente. Fino a quando la stessa Chiesa cattolica pretenderà di farsi giudice dei propri interessi e dei propri scandali non cambierà nulla.


Venerdì 13 dicembre 2013

LA VOCE REPUBBLICANA

terza pagina

Bruno Segre e le sue battaglie laiche: la storica rivista “L’Ara” Le vicende della Federazione italiana per la cremazione. Evoluzione di una nuova mentalità

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Ceneri, quella antica “lotta” tra i massoni e i cristiani

La Chiesa si oppose per due secoli alle pressioni dall'esterno. Misure nate dall’igiene

Cronache in diretta dalla Città dei Vivi La pira che bruciò quel celebre letterato

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a lettura dell’accurato ed interessante studio di Marco Novarino e Luca Prestia - con prefazione di Franco Della Peruta -, “Una battaglia laica. Un secolo di storia della Federazione italiana per la cremazione”, pubblicato a Torino (in prima edizione nel 2006), ci ha indotti a formulare alcune domande all’avvocato Bruno Segre, già presidente di quella Federazione e ancora gerente responsabile (tra breve entrerà nel suo sessantaseiesimo anno di impareggiabile conduzione) del mensile L’Incontro, che non è solo un bel titolo ma anche e soprattutto un concreto dato di fatto. Lei, tra le diverse tante altre cose, è stato presidente nazionale - dal 1959 alla fine degli anni Novanta - della Federazione italiana della Società per la cremazione. In quel periodo fondò un bollettino, L’Ara, come le venne l’idea? Quante copie diffuse? “Inizialmente (1958) si trattò di un bollettino trimestrale, che non soltanto ospitava le cronache relative alle singole Socrem, ma pubblicava articoli e statistiche demografiche, notiziari esteri e sevizi sui problemi della senilità e prose letterarie sull’argomento. Successivamente, dal gennaio 1992, L’Ara assunse la veste di una rivista elegante, in carta patinata, di periodicità semestrale, con una tiratura di 30.000 (trentamila) copie, centinaia delle quali spedite alle Federazioni per la cremazione, in tutto il mondo. Non dimentichiamo che gli ebrei osservanti e i musulmani sono contrari alla cremazione”. Questo bollettino, poi trasformatosi in una vera e propria rivista, che ruolo ebbe nella Federazione? Riuscì ad accrescere la scelta cremazionista? “Indubbiamente la rivista, spedita in omaggio a tutti i quotidiani italiani, a tutte le biblioteche dei capoluoghi di provincia, alle principali istituzioni della Repubblica (a cominciare dal Parlamento), ebbe effetti sia sull’opinione pubblica (con polemiche verso gli oppositori), sia nell’evoluzione delle leggi che culminò, via via, con provvedimenti a sostegno del nostro rito sino a quello sulla dispersione delle ceneri. In particolare si aprì la strada a favore della cremazione nei singoli Comuni, i quali - resisi conto che essa favoriva la Città dei Vivi utilizzando le urne al posto delle tombe nella Città dei Morti, esentarono da tasse funeratizie le cremazioni, tranne a Torino, ove viene imposto un iniquo balzello da me sempre contestato”. Lo spargimento delle ceneri oggi è finalmente possibile anche nel nostro Paese, ma è davvero così semplice poterlo - per chi lo desidera - mettere in pratica? “Vi sono due possibilità per lo spargimento delle ceneri. La prima, più facile, è collocare le ceneri in un apposito manufatto nell’area del crematorio (come a Torino). La seconda è, previo l’adempimento di alcune prescrizioni burocratiche, la disponibilità degli eredi a scegliere le modalità di dispersione in natura (montagna, fiumi, laghi, mari a duecento metri di distanza dall’habitat) oppure di conservazione dell’urna nella propria dimora”. Quali furono i motivi che la indussero - nel 1999 - a cessare le pubblicazioni de L’Ara? “L’Ara cessò le pubblicazioni con le mie dimissioni da pre-

sidente della Federazione italiana della Socrem. Ora sono vicepresidente effettivo della Socrem di Torino (cui sono iscritto dal 1946, come lo fu mio padre). Tutti i miei familiari sono stati cremati a Torino”. Se non ricordiamo male, L’Ara fu l’unico periodico ad occuparsi di cremazione in Italia. Oggi la Socrem si è dotata di un altro notiziario? “E’ apparso pure qualche modesto bollettino di alcune Socrem e una rivista di Tanatologia, oltre ad alcuni libri storici sulla cremazione in Italia. Non mi risulta che la Federazione italiana pubblichi una rivista. Sino a qualche anno fa la Socrem di Torino pubblicava una bellissima rivista culturale Confini che, essendo troppo costosa, è stata sostituita da un esauriente bollettino quadrimestrale intitolato Socrem News”. Fortunatamente la cremazione non incontra più tanti ostacoli come invece avveniva in passato, soprattutto da parte della Chiesa cattolica. Anzi, essa è ormai in continuo aumento. Quali sono le regioni dove questa opzione - davvero salva-territorio - trova una maggiore attuazione? “Premesso che Torino da oltre centoventi anni è la città pilota (ove la Socrem, collegata con la Fondazione Fabretti, è un’azienda autonoma, mentre in altre città la Socrem è un’azienda che il Comune gestisce) con oltre quarantamila soci, una sala di commiato con accompagnamento musicale registrato, una commemorazione mensile dei defunti ed altri servizi (festività per le ricorrenze annuali, pomeriggi culturali, consulenza , conferenze, spettacoli teatrali, lettura di poesie, gite) può ben dirsi che la cremazione, almeno al Nord del Paese, è ormai una consuetudine sempre più estesamente praticata come il matrimonio con rito civile rispetto a quello religioso. La battaglia a favore della cremazione è stata condotta, a suo tempo, anche dal periodico Libero Pensiero (organo dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”). Nel Sud purtroppo la cremazione è poco sviluppata, stante l’arretratezza dei costumi e la persistenza delle tradizioni confessionali. In talune città la cremazione viene praticata (e da noi sconfessata perché trattasi di rito umanitario senza fini di lucro) da aziende di pompe funebri a scopo di profitto commerciale. La Federazione italiana della Socrem, di cui sono presidente onorario per i miei quarant’anni di lavoro al servizio del nostro ideale cremazionista, fa parte dell’Union Crematiste, che ha sede in Francia, e non più della Federazione Internazionale per la Cremazione (Fic), che ha invece sede in Gran Bretagna, squalificata per l’accettazione di imprese funerarie, di fabbricanti di bare e arredi funebri, che esponevano i loro manufatti durante i Congressi della Fic”. Questo quanto raccolto dall’avvocato Segre, che ringraziamo sentitamente per la gentilissima disponibilità dimostrataci e a cui, ancora una volta, rinnoviamo i migliori auguri per il suo straordinario impegno e per la sua tanta forza. Sempre congiunti da una grandissima umanità. Luciano Masolini

Nell’articolo a fianco si parla di cremazione in Italia. Per completare l’argomento abbiamo scelto un lungo articolo del “Corriere della Sera” scritto da Paolo Mieli di cui pubblichiamo alcuni estratti. Il brano risale al 13 luglio 2010.

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n principio fu qualcosa che accadde nel 1822. Quell’ anno, ai primi di luglio, il grande poeta inglese Percy Shelley - che dal 1818 si era trasferito in Italia con la seconda moglie Mary, l’autrice di Frankenstein - affogò, a seguito di una tempesta che aveva affondato la sua goletta ‘Ariel’, al largo della costa toscana. Il corpo dell’autore del Prometeo liberato restò in mare una decina di giorni per essere alla fine ritrovato sulla spiaggia di Viareggio. E fu su quella spiaggia che, per decisione del suo grande amico George Byron, fu arso su una pira. Un celebre quadro di fine Ottocento, dipinto da Louis Edouard Fournier, ritrae quel cadavere tra le fiamme, la cerimonia rituale che precedette il trasporto delle ceneri di Shelley a Roma, nel cimitero degli inglesi. Da quel momento la cremazione fu considerata, soprattutto sotto il profilo simbolico, un rito laico. Qualcosa di più importante che un mezzo per liberare le città dalle perniciose conseguenze igieniche dei tradizionale metodi di inumazione dei cadaveri. La grande legge organica delle sepolture, che imponeva la creazione di cimiteri municipali extraurbani, era stata promulgata da Napoleone in Francia (nel 1804) e poi da noi (nel 1806). Ma fu necessario attendere l’Unità d’Italia perché, nel 1865, si giungesse a una disposizione definitiva che specificava come i comuni dovessero farsi carico della costruzione e della gestione di appropriati cimiteri pubblici e avviava così un cammino assai importante per la regolazione del trapasso (cammino che, tuttavia, procedette a passo di lumaca). Fu in questo contesto che si sviluppò la battaglia cremazionista di cui si occupa il capitolo centrale dell’importante libro di Maria Canella Paesaggi della morte. Riti, sepolture e luoghi funerari tra Settecento e Novecento, che sta per essere pubblicato da Carocci. Volume che si avvale della prefazione di un’autorità in questo campo, Michel Vovelle, autore di La morte e l’Occidente (Laterza). Vovelle è molto incoraggiante nei confronti della Canella e si spinge a lodare la sua “imprudenza””, grazie alla quale l’autrice ha osato cimentarsi “con la coorte degli storici della morte” apportando “con pieno dirit-

to” molti “arricchimenti alla disciplina”. E, a tal proposito, Vovelle cita proprio le pagine sulla cremazione. A questo tema, l’ incinerazione dei cadaveri, erano già stati dedicati alcuni volumi pionieristici: La morte laica. Storia della cremazione in Italia (1880-1920) e La morte laica. Storia della cremazione a Torino (1880-1920), editi entrambi da Paravia e curati rispettivamente da Fulvio Conti, Anna Maria Isastia, Fiorenza Tarozzi e da Augusto Comba, Serenella Nonnis Vigilante, Emma Mana; si parlava della questione anche in La morte e l’ immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa (Lacaita) di Dino Mengozzi, oltre che in Una battaglia laica. Un secolo di storia della Federazione italiana per la cremazione di Marco Novarino e Luca Prestia (con una prefazione di Franco Della Peruta), edito dalla Fondazione Fabretti. Particolare attenzione era stata dedicata dagli accurati saggi di Comba e della Isastia nei volumi succitati in cui i due storici figurano tra i curatori - al ruolo della massoneria in questa disputa. Ruolo che è ben analizzato anche in questo nuovo libro. Scrive Canella che la battaglia cremazionista nacque come rivolta contro lo stato delle sepolture urbane indiscriminate e come soluzione all’emergenza igienica causata dallo scarso o inesistente controllo sulle pratiche di inumazione. Anche se lei stessa mette subito in evidenza “come i danni e i pericoli provocati dalle sepolture, rilevati nelle accuse dei cremazionisti, fossero in gran parte retaggio dei sistemi di inumazione precedenti alla nascita dei cimiteri pubblici extraurbani voluti dalle amministrazioni comunali dai primi dell’Ottocento in avanti”. La lotta dei fautori della cremazione “si svolse dunque quasi contemporaneamente alla costruzione dei cimiteri moderni, indebolendo, di conseguenza, la posizione dei cremazionisti, poiché veniva meno l’argomento principale della loro polemica e cioè la salvaguardia della salute pubblica dal punto di vista della prevenzione riguardo all’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del terreno causato dalla decomposizione dei corpi”. Coloro che si battevano per ridurre i cadaveri in cenere sostenevano che i cimiteri fossero gravi focolai di infezione e si proponevano, grazie ai progressi della batteriologia e della microbiologia, di dimostrare le pericolose conseguenze della decomposizione dei corpi sulle aree circostanti a quelle di sepoltura. La loro battaglia “aveva assunto così le caratteristiche di una lotta in favore del progresso e della modernità”. (...)

z i b a l d o n e

Inizia l’era del sindaco Nel Pd sono informati?

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rimarie Pd. Ha vinto Renzi e tutti a chiedersi: ma perché mai ha vinto? Scrive Diamanti: “Le primarie del Pd hanno garantito a Matteo Renzi un successo ampio e netto — quasi il 70% dei consensi. Legittimato da una mobilitazione larga quanto inattesa. Circa 3 milioni. Più o meno come nel 2009 e nel secondo turno dell’anno scorso. Quando, però, si trattava di primarie di coalizione per scegliere il candidato premier del Centrosinistra. Un’affluenza tanto ampia non era scontata. Due settimane fa, infatti, la quota di elettori del Pd e del Centrosinistra che dichiarava l’intenzione di partecipare alle primarie era, di circa un terzo, inferiore alle occasioni precedenti (Sondaggio Demos). Effetto, soprattutto, della delusione, in seguito al risultato delle elezioni di febbraio. Quando il centrosinistra non è

riuscito a vincere, nonostante la mobilitazione e le attese alimentate dalle primarie svolte in novembre. Invece, anche in questa occasione, molti elettori hanno messo da parte disincanto e frustrazione. Così, per una volta di più, domenica sono tornati ai seggi allestiti dal Pd. Ci hanno ripensato per diverse ragioni. Anzitutto, il vizio della partecipazione. La convinzione democratica. La convinzione che la “volontà popolare” sia importante. E vada sostenuta comunque. Nonostante tutto. Tanto più se avviene “di persona”. E permette di incontrare — e, prima ancora, discutere con — altre persone. In tempi nei quali la “partecipazione” è stata sostituita dalla televisione. Oppure dalla rete. A cui, però, molti non accedono. Mentre quelli che sono “connessi” — in numero, peraltro, crescente — comunicano senza incontrarsi “di persona”. Così, alla fine, molti “delusi” hanno ceduto alla convinzione “democratica”. In entrambi i sensi: alla parteci-

pazione democratica — offline — promossa dal Partito Democratico. Al quale è stata concessa un’altra occasione. Per realizzare, davvero, il cambiamento. E per cambiare — esso stesso. Come ha sottolineato Romano Prodi, per spiegare la sua “sofferta” decisione di votare, dopo aver annunciato, in precedenza, che non l’avrebbe fatto (con molte ragionevoli ragioni)”. E ancora: “Ad alimentare la partecipazione ha contribuito, in misura importante, la competizione tra i candidati. Accesa, malgrado l’esito apparisse largamente scontato. Nell’insieme, ha dato l’idea di un “cambio di generazione”. La diversa storia politica personale dei due “sfidanti” di Renzi ha, infatti, integrato e allargato l’offerta politica proposta agli elettori. All’interno e all’esterno del Pd. Come emerge, in modo particolarmente chiaro, dai dati dell’indagine condotta da C&LS. Circa 3600 interviste effettuate (e coordinate dalle Università di Cagliari e Milano) durante le primarie, fuori dai seggi, presso un campione nazionale significativo. Mettono in evidenza, anzitutto, le differenze generazionali degli elettori dei tre candidati. Pippo Civati, infatti, raccoglie i suoi consensi soprattutto fra i più giovani (circa il 30% fra 16 e 34 anni), Gianni Cuperlo fra i più anziani (35% oltre i 65 anni). Matteo Renzi, invece, attinge, in modo trasversale, da tutti gli strati d’età. Non a caso, visto che rappresenta la larga maggioranza della base del Pd — coinvolta e potenziale. Per questo, però, il contributo di Cuperlo e Civati è utile a Renzi e al Pd. Perché i due sfidanti intercettano componenti, per quanto delimitate, molto diverse e lontane fra loro; difficili, soprattutto, da saldare insieme. Cuperlo: il retroterra dei partiti tradizionali. Civati: gli elettori insoddisfatti della politica, che guardano “oltre” il Pd. D’altra parte, quasi metà degli elettori di Cuperlo (il 48%) è composta da iscritti al Pd, mentre più di tre quarti di quelli di Renzi e di Civati si dichiarano non-iscritti. Le differenze fra i candidati appaiono evidenti dagli orientamenti politici. Gli elettori di Cuperlo sono concentrati a centrosinistra e a sinistra (90%, distribuiti quasi equamente tra le due aree dello spazio politico), quelli di Civati soprattutto a sinistra (57%). Dove si colloca una componente significativa di elettori di Sel. Renzi, invece, è saldamente ancorato a centrosinistra (50% dei voti), ma attinge consensi anche al centro (18%). Nella sua base, non per caso, appare ampia (31%) la quota dei cattolici praticanti”. E questo già, scusate, ma era cosa nota. E chi vota Renzi, fa un investimento. “D’altronde, per gli elettori del Pd che hanno votato alle primarie, la scelta di Renzi appare un investimento esplicito in vista delle elezioni. Non a caso, il 94% dei partecipanti al voto delle primarie si dicono convinti che Renzi sia in grado, più di ogni altro candidato, di battere il Centrodestra alle prossime elezioni. Lo pensano, in larghissima maggioranza, anche gli elettori di Cuperlo (80%) e, ancor più, di Civati (90%)”. Una bella responsabilità, insomma.

La finta rivoluzione del mondo musicale

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ilioni di brani musicali saranno disponibili gratis in streaming su smartphone e tablet. E’ l’annuncio che Spotify ha fatto da New York, ampliando così al mobile l’offerta finora riservata ai pc. L’offerta, ha specificato Daniel Ek, amministratore delegato di Spotify, riguarda la

modalità ‘shuffle’. In sostanza, digitando il nome di un artista, Spotify ne mostrerà tutti i titoli e ne avvierà la riproduzione in ordine casuale. “L’idea” ha detto Ek, “è’ quella di creare una radio in cui gli ascoltatori hanno una maggiore possibilità di scelta”. Fino ad ora era possibile ascoltare spotify su mobile solo con un abbonamento premium, disponibile a poco meno di 10 euro al mese. “Vogliamo dare acceso alla gente allo streaming legale. Gli utenti premium continueranno ad avere la possibilità di avere a disposizione la musica offline, ascoltare i singoli brani a scelta e senza pubblicità. Il nostro obiettivo e’ risvegliare l’amore della gente per la musica”. Spotify ha allargato il proprio bacino da 17 a 35 nazioni in un anno. Tra le band che hanno aderito al servizio - in esclusiva - i Led Zeppelin, che fino ad ora si erano rifiutati di concedere la propria musica per la trasmissione in streaming. In ogni caso, di quale rivoluzione mai si tratterebbe? Non è chiaro.

Gli Usa ci spiano: è la vecchia cantilena

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on si arrestano le politiche “invasive” della National Security Administration che, ancora oggi utilizza i cookie di Google nonostante le polemiche. NSA pare che voglia individuare gli hacker e per farlo non esista a mettere le mani negli archivi. La notizia è stata diramata dal Washington Post e si riaprire il dibattito, dando ai legali delle

associazioni che si occupano di privacy un nuovo argomento sul quale attaccare la pratica. Stando a quanto contenuto nei documenti rivelati da Snowden, sia l’Nsa che la sua controparte britannica, la Gchq, hanno usato lo strumento per tracciare le attività online di milioni di utenti. In particolare la Nsa si è concentrata sul sistema usato da Google. Questo tipo di cookie permette di isolare una comunicazione all’interno del mare del web e così usare un software per entrare nel computer del possibile hacker. Le polemiche sono comunque destinate a perdurare a lungo. Anche perché abbiamo l’impressione che NSA se ne sbatta tranquillamente delle polemiche e della proteste. E poi come fa Goggle a non sapere? Sa e non parla? È così? Nei documenti l’NSA non spiega come ha ottenuto questi tipi di dati, ma secondo il Washington Post rientrano tra quelli che le autorità a stelle e strisce possono pretendere da Mountain View con un ordine emanato sulla base del Foreign Intelligence Surveillance Act. Con un comunicato l’agenzia si è limitata a dire che “è nella nostra missione legale raccogliere dati di intelligence per proteggere gli Stati Uniti”. Un motivo sempre sbandierato con successo. Ma la scusa terrorismo non può essere sempre usata a piacimento, all’infinito. E spia oggi, spia domani, chissà mai chi finisce nella rete dello zelante pescatore... Sappiamo come fossero oggetto di spionaggio anche i videogames in rete. Dovrebbero dirci ormai cosa non fosse oggetto di spionaggio. Ogni giorno c’è un nuovo soggetto. La National security agency (Nsa) e il Government communications headquarters (Gchq), tra i loro compiti, avevano anche quello di raccogliere informazioni su milioni di giocatori carpendoli dai dati online dei videogiochi più diffusi su scala globale: da ‘Second life’ a ‘World of warcraft’. Questo, almeno, secondo le ultime rivelazioni di Edward Snowden, l’ex contractor della Nsa.Secondo i documenti rivelati da Snowden, le intelligence hanno deciso di entrare nei mondi virtuali per paura che le reti terroristiche e criminali potessero usare i giochi online per comunicare segretamente, organizzare attentati e spostare ingenti quantità di denaro. Così, intuendo il pericoloso potenziale dei giochi online, le spie hanno creato personaggi di fantasia per seguire milioni di persone anche nelle loro vite virtuali. Anche se qualcuno sospetta che la minaccia potrebbe essere stata ingigantita dalle agenzie di intelligence visto che, secondo quanto scrive il New York Times, non sembra che l’ingresso nei mondi virtuali abbia portato dei risultati.I giochi “sono creati dalle aziende per fare soldi; le identità e le attività dei giocatori sono monitorate”, ha spiegato Peter Singer della Brookings Institution, autore di un libro sulla sicurezza e la guerra informatica (“Cybersecurity and cyberwar: what everyone needs to know”). “Per i gruppi terroristici che cercano di tenere segrete le comunicazioni - continua Singer - ci sono modi più semplici ed efficaci per farlo”, senza bisogno di creare un avatar. Le rivelazioni sulla sorveglianza nei mondi virtuali fanno così emergere nuove preoccupazioni sul rispetto della privacy. Il copione è lo stesso, insomma.


4 LA VOCE REPUBBLICANA

Venerdì 13 dicembre 2013

Riordino del costo del lavoro: un segnale che appare importante

I tagli in discussione sono cifre degne della massima attenzione. La riduzione delle tariffe

Siamo solo all’avvio di una necessaria riforma

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osì emerso nel testo approvato al Senato, nelle linee generali del provvedimento di legge sulla stabilità, il riordino del costo del lavoro, è certamente un deciso segnale conducente nel Governo a logiche e determinazioni in variazione di indirizzi. Esso sembra mostrarsi, anche se soltanto attraverso stretti passaggi nella manovra di politica economica, inadeguata oggi a fronteggiare l’incontestabile fase di depressione, segnale di una svolta accolta. Paradigmatico si appalesa l’approccio alla riduzione del cuneo fiscale, effettualmente ostacolata o perlomeno fortemente sottovalutata. Riduzione, purtroppo, “giocata” solo su un aspetto finanziario piuttosto esiguo, nel quadro delle possibilità offerte

dal panorama totale: la diminuzione dei premi di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni su lavoro e le malattie professionali, a carico dell’industria e dell’artigianato, nonché dei contributi agricoli, dovuti all’Inail. Più da vicino, cifre significative come i tagli in discussione - pari al 14% nel primo anno, al 15,5% nel 2015 e al 17% nel 2016, seppure sostenuti da interventi dello Stato di trasferimenti finanziari per il triennio stabilito ammontanti a 500, 600 e 700 milioni per “sopperire alle perplessità” resistenti nel management di quell’Istituto – sono decisioni degne della massima attenzione e di apprezzamento. A tale riduzione di premi e contributi, si collegano la revisione delle tariffe - ferma, come noto ai nostri let-

ELENCO PAGAMENTO TESSERE PRI 2013 Sez Pri “Spadolini” Torino; Sez. Pri “Mameli” Genova; Consociazione Forlivese; Sez. Pri “Cattaneo” Milano; Sez. Pri “Arcamone” Foligno (PG); Unione Comunale Cervia (RA); Sez. Pri, Prato-Firenze-Pistoia; Sez. Pri “Mazzini”, Modigliana (FC); Sez. Pri “Mazzini”, Vecchiano (PI); Sez. Pri Albano Laziale, Roma; Sez. Pri “Mazzini” Ariccia, Roma; Sez. Pri Lanuvio, Roma; Sez. Pri Padova; Sez. Pri “Cattaneo”, Rovigo; Sez. Pri Cesenatico (FC); Sez. Pri Paola (CS); Sez. Pri “R. Pacciardi” Grosseto; Sez. Pri “Chiaravalle” Soverato (CZ); Sez. Pri Jesi e Chiaravalle (AN); Sez. Pri Catanzaro; Consociazione Pri Cesena; Federazione Provinciale Pri Ravenna; Sez. Pri “Silvagni-Mazzini-Valconca”, Rimini; Sez. Pri “Mazzini”, Rimini; Sez. Pri, Novi Ligure (AL); Sez. Pri, Lamezia Terme; Sez. Pri Vomero Arenella (NA); Sez. Pri “Ugo La Malfa”, Codigoro (FE); Sez. Pri “Pisacane”, Foggia; Sez. Pri “Sant’Andrea Borgo Mazzini” Rimini; Sez. “Ugo La Malfa”, Napoli; Sez. Pri “Celli” Cagli (PU); Sez. Pri “Centro”, Caserta; Sez. Pri “Garbarino”, Chiavari (GE); Sze. Pri Fano (AP); Sez. Pri “Mazzini”, Comacchio (FE); Sez. Pri “Giovine Europa”, Andora (SV); Sez. Pri Mantova; Sez. Pri Dro (TN); Gruppo Pri Lucchese, Lecco; Sez. Pri “G. Spadolini”,Viareggio; Sez. Pri “R. Sardiello”, Reggio Calabria; Sez. Pri Melicucco (RC); Sez. Pri Locri (RC); Sez. Pri Samo (RC); Sez. Pri Africo (RC); Sez. Pri Bovalino (RC); Sez. Pri Gioia Tauro (RC); Sez. Pri Pavona, Roma; Sez. Pri Cecchina, Roma; Sez. Pri Palombara Sabina, Roma; Sez. Pri Tuscolana, Roma; Sez. Pri "Pisacane", Foggia; Sez. Pri "G. Mazzini", Ferrara; Sez. Pri "L. Santini", Viterbo; Sez. Pri Trieste; Sez. Pri “Camangi” Roma; Sez. Pri “Bonfiglioli” Bologna; Sez. Pri Grottaglie (BA); Sez. Pri Spilimbergo (PN); Sez. Pri “Aurelio Saffi” Ravenna; Sez. Pri Varese; Sez. Pri Bottiroli” Voghera (PV); Sez. Pri “Mameli” Cologno Monzese (MI); Sez. Pri Cremona; Sez. Pri “Flaminio Prati (Roma); Sez. Pri “F.lli Bandiera” San Pietro in Campiano (RA). Sono pervenute all'Ufficio Amministrazione del PRI versamenti di pagamenti tessere di singoli iscritti. E' chiaro che ai fini congressuali l'iscrizione singola non consente la partecipazione ai lavori dell'Assise repubblicana. Chi non è nelle condizioni di avere una sezione dovrà iscriversi a quella territoriale più vicina. Per ogni ulteriore informazione o chiarimento si prega di rivolgersi all'Ufficio Organizzazione (Maurizio Sacco) ai seguenti numeri: 338/6234576 - 334/2832294 - oppure orgpri@yahoo.it

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tori, da anni - e l’utilizzo, diremmo riutilizzo, di parametri infortunistici dinamicamente adeguati al reale onere degli infortuni e malattie professionali stessi, avvenuti e da porre a diretto carico dei datori di lavoro che hanno svolto le attività generatrici dei rischi. Una spinta decisiva Sul particolare argomento - della differenza tra costo del lavoro (talmente elevato da collocare l’Italia al secondo posto in UE con un valore di 132,1) e trattenute al lavoratore e oneri a carico dell’azienda (ferma restando la retribuzione lorda uguale a 100) -, questa Commissione e il PRI avevano incentrato lo spazio di un utilizzo proiettato all’abbattimento della “spending”, nello “scioglimento” del corposo nodo dell’avanzo finanziario (stabile da infiniti esercizi) dell’Inail. Il ragionamento venne in rilievo dalla mancata riforma degli istituti previdenziali con il flop del “mega Inps” concretamente sintetizzabile nel cumulo di “pesi impropri“ (per tutti beninteso) che gravano sulle gestioni stesse e dei quali lo stesso presidente di quell’Istituto ha asserito, prima facie, essere responsabili della “instabilità” dell’impianto previdenziale, (giudizio inspiegabilmente rimangiato), unitamente a eccessi di privilegi della classe atipica dei “lavoratori dipendenti e dei liberi professionisti“-! Au contraire nella panoramica delle possibili strade per conseguire l’obiettivo, i vincoli d’impiego che lo Stato poneva all’Inail nella gestione delle risorse (cfr. “La Voce Repubblicana” dell’11 luglio 2003, 19 luglio 2009, 14 febbraio 2011, 10 febbraio 2012) determinavano, da più di vent’anni, giacenze infruttifere di fondi in Tesoreria centrale, lasciando in piedi la fonte della “ricchezza“ in quell’ente derivante dal cospicuo accumulo dell’avanzo finanziario. Risultato di una gestione con un eccesso di premi assicurativi a carico dei settori dell’artigianato e terziario e di un inspiegabilmente disequilibrato meccanismo di finanziamento tra le tre gestioni, storicamente connotato da un comparto economico dell’industria, “condannato” a una solidarietà finanziaria verso la gestione agricoltura sempre in rosso. Finalmente - nel rispetto del principio del pareggio classico di bilancio -, oltre alla doverosa restituzione ai datori di lavoro del comparto del terziario e artigianato, anche la valutazione che quel surplus avrebbe dovuto e potuto migliorare le prestazioni assicurative a favore dell’utenza - la previdenza assicurativa, in definitiva -, i cui risultati sono commentabili leggendo i rapporti in merito. E’ questa una operazione che, oltre a intervenire nel qua-

Recensione di Antonio Angeli del libro di Giancarlo Tartaglia "Francesco Perri, dall'antifascismo alla Repubblica" di prossima uscita. La recensione è apparsa su “Il Tempo" del 13 ottobre 2013

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ome è possibile nascere repubblicani in una monarchia, quale era l’Italia alla fine dell’Ottocento? Significa anteporre il ragionamento e l’amor di patria a qualunque convenienza. Accadde a Francesco Perri, acutissimo osservatore e al tempo stesso protagonista della vita democratica del nostro paese. Perri nacque nel 1885 in un paesino in provincia di Reggio Calabria, dal quale si distaccò subito per vivere tra il nord d’Italia e il cuore dell’Europa, mantenendo sempre, però, l’occhio e la mente rivolti a quella che per decenni si è chiamata “Questione Meridionale”. Perri fu, nella sua vita di intellettuale, lunga e difficile, “schiavo” del pensiero. Il ragionamento lo fece essere repubblicano nell’Italia dei Savoia, antifascista quando marciavano le camicie nere e poi meridionalista, legato alle realtà locali al tempo dell’Impero... La storia di questo intellettuale, giornalista e politico, uno di quelli che hanno costruito dal basso, con lacrime e sangue (veri), l’Italia felix del boom economico, è scritta in un completissimo saggio biografico: “Francesco Perri. Dall’antifascismo alla Repubblica”, di Giancarlo Tartaglia, Gangemi Editore, 320 pagine, 25 euro. Tartaglia, storico, giornalista e docente universitario descrive, con una minuziosa opera documentale, da Giolitti alla Ricostruzione, l’evoluzione e la vita di quest’uomo che aveva come obiettivo l’affermazione di un principio modernissimo: la selezione dell’élite di governo deve essere realizzata per via meritocratica e non per mero diritto di successione. Individuò nella monarchia, con i suoi rituali e le sue clientele, un ostacolo insuperabile per la realizzazione di un paese moderno. Nel Ventennio visse un antifascismo appartato, di poco clamore, ma di costanti sofferenze. Si dedicò alla politica nel difficile periodo dell’occupazione nazista finché, dopo la liberazione, nel ’45, il partito lo volle alla guida del “Tribuno del Popolo”, foglio repubblicano genovese, e poi della stessa “Voce Repubblicana”. Fu protagonista delle battaglie per la Costituente e per la Repubblica fino ai giorni della vittoria referendaria. Roberto Balzani, nella sua introduzione, definisce il libro “un bel contributo alla storiografia sul repubblicanesimo, che sarebbe piaciuto a Giovanni Spadolini”. E a tutti quelli che costruiscono e vivono la democrazia “dal basso”. Antonio Angeli,“Il Tempo”, 13 ottobre 2013

dro esiguo delle risorse pubbliche normalmente utilizzate in un sistema economico e sociale di crisi, tiene conto invece e bene dell’inaccettabile mantenimento di avanzi finanziari che mascherano un’occulta tassazione aggiuntiva, di “tesori o tesoretti”, investimenti pubblici nelle condizioni attuali non più praticabili dopo le dismissioni fallimentari delle cartolarizzazioni (si rinvia alla Corte dei Conti) e del Carteggio Pri-Confartigianato dell’on.le Nucara, segretario del Pri, con il presidente Giorgio Guerrini, su “Il buon utilizzo delle risorse pubbliche“ (“La Voce Repubblicana” del 19 giugno 2009). Un avvio di riforma strutturale, piccola ma sincera La proposta accolta dal Governo Letta, e da subito data all’opinione pubblica da “Il Mattino” del 22 ottobre ca, di una re-determinazione dei carichi contributivi previdenziali (premi e contributi) nelle logiche di una finanza pubblica fondante su fattori determinanti della dinamica del costo del lavoro, tenendo fermo il principio della contestuale riduzione con il miglioramento delle prestazioni“, può ascriversi unicamente – nel costante, totale silenzio su tale operazione - all’impegno di un “piccolo partito e del suo segretario“ che con fermezza la pose tra le tesi per le riforme del novembre 2010, al 47° Congresso, ne “I riflessi dell’andamento del costo della sua politica”. E questo concreto obiettivo-risultato, di elevato valore sociale, ci appare rimasto tangibile argine alla autonomia del partito e della politica sostenuta, di fronte alla berlusconiana della “annessione“ (eseguita) dei “piccoli partiti” - dalla mitologia della destra, del centro, della sinistra e di altre nuove variabili -, lasciando spazi a una “politica dei contenuti!”, nei quali tutti si beano, decantandoli, ma senza costrutto alcuno. Le conseguenze della decadenza del Paese e di una responsabilità politica di ”lungo corso”, per un altro “ventennio”, sono sotto gli occhi con la aggravamento dell’antipolitica - visti i “movimenti continuamente personalizzati“ e privi di politica sana! A nostro avviso, non solo di analisi e critiche sui versanti tecnico, amministrativo e contabile, un merito va riconosciuto al driver e ai repubblicani che hanno dovuto “barcamenarsi” in un mare così tempestoso, restando all’altezza della tradizione e degli intrinseci valori di democrazia e buon governo. La Commissione Lavoro Previdenza e Sicurezza: Baldacconi, Baratto, Lanti, Giannoni, Marmo, Mileto e Serrelli,Arpaia per la Lidu e Esposito per l’Unitre Sorrentina


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