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Storie di vita di tossicodipendenza
Storie di vita di tossicodipendenza un approccio qualitativo per la ricerca
Laurea in scienze dell’educazione
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La tesi illustra le storie di vita nell’ambito della tossicodipendenza nel contesto della psicologia dell’età evolutiva, perché rappresenta l’oggetto della mia esperienza professionale, della riflessione continua, dell’integrazione e del contributo di ulteriori spunti delle nozioni acquisite. Lavorando in questo settore e in virtù delle relazioni che ho instaurato con gli ospiti della comunità in cui opero, ho avuto la possibilità di raccogliere tre storie di vita realistiche e profonde e soprattutto aggiornate in itinere. Sono perfettamente consapevole che il tema della tossicodipendenza si presenta molto complesso, anche perché raccoglie e include elementi di quasi tutti i temi presenti nel percorso evolutivo di un adolescente, di un giovane e di un adulto. Sono altresì consapevole che l’esposizione delle storie di vita, da parte delle persone intervistate, subisce inevitabilmente l’influsso dell’impostazione, dei contenuti e della metodologia della comunità d’appartenenza e di quelle precedentemente frequentate, anche se l’apertura del programma, la sua evoluzione e l’aver consultato modelli diversi, ci ha dato la possibilità di avere un quadro, un approccio ed un’ana
18 lisi più aperti e più completi. La mia quasi ventennale esperienza nel campo di strutture residenziali, semiresidenziali e ambulatoriali per persone tossicodipendenti, ha contribuito a rendermi sempre più consapevole dell’unicità del vissuto di ogni storia di vita in cui influiscono divergenze e punti in comune. Ne consegue che l’intervento sulle persone tossicodipendenti non può essere effettuato a priori, ma deve necessariamente tenere conto della diversità della persona e del suo vissuto. La metodologia delle storie di vita, basata su una ricerca di tipo qualitativo, ci permette, come afferma Lutte, (1987 ) di presentare meglio la diversità delle esperienze e rendere più vivo e concreto il tema per avvicinarlo maggiormente ai singoli individui. Lutte paragona la storia di vita ad un costrutto psicologico (come intelligenza, identità ecc.), ossia un modo di rappresentarsi certi fenomeni psichici. Inoltre questa metodologia permette di dare senso di continuità alla persona che può attribuire a se stesso e alla sua storia, il suo passato, presente e il suo futuro anticipato. Sempre secondo l’autore, la ricostruzione della propria storia di vita permette alla persona un’ elaborazione della propria storia e consente di mantenere un senso di coesione e di continuità malgrado le contraddizioni e le problematiche che caratterizzano la vita dell’essere umano. L’attinenza alla realtà, la rappresentazione di sé, e l’elaborazione della propria storia, confrontata con altre storie, che permette di dare alla pro-
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s pria vita continuità, sono contenuti che contribuiranno a dare voce a chi, in prima persona, ha fatto l’esperienza della tossicodipendenza. Il lavoro che ho esposto ha cercato, attraverso la ricostruzione delle storie e il confronto tra esse, di evidenziare le similitudini e le divergenze, di cogliere cioè tutti quegli aspetti che non sono generalizzabili e che rendono unico il significato che ogni persona dà alla propria esperienza di tossicodipendenza.
Il lavoro è composto da quattro parti. La prima contiene un approfondimento teorico che presenta i vari modelli interpretativi del fenomeno della tossicodipendenza. La seconda è dedicata all’esposizione della metodologia utilizzata, la terza presenta la ricostruzione delle storie di vita a cui fa seguito il commento tematico ed infine la quarta raccoglie le conclusioni.
Il lavoro sulla prima parte, quella teorica, si è rivelato lungo ma fondamentale, soprattutto per aver avuto la possibilità di considerare due modelli interpretativi molto diversi tra loro. Lo svolgimento della seconda parte, quella esperienziale, relativa alla raccolta delle tre storie di vita, si è rilevata molto intensa dal punto di vista relazionale ed emotivo. Possiedo ormai una ventennale esperienza nella conduzione di gruppi, supportata da una formazione teorica e pratica, alcuni dei quali, tematici, hanno come obbiettivo l’espressione di emozioni in vista di un cambiamento personale e profondo. Nonostante la mia esperienza, ho riscontrato una profonda differenza sul piano personale e professionale, tra il clima che si instaura durante i gruppi in comunità e quello creatosi durante la raccolta delle tre storie di vita. In questo secondo contesto si è creato un clima più libero, più caldo e colloquiale, forse perché si è trattato di un lavoro staccato dal contesto e dai rispettivi ruoli ricoperti all’interno del mio ambito professionale e perché nel lavoro di raccolta delle storie di vita non c’era la necessità di trasmettere né esplicitamente, né implicitamente, nessuna richiesta di prestazione né di cambiamento. Questo clima, che ho cercato di rendere il più libero possibile, sganciato da ruoli, richieste, e contesto professionale, ha decisamente favorito la relazione, il mio coinvolgimento emotivo, la nostra congruenza ed autenticità. Non mi sono sentita obbligata a valutare o meno l’autenticità delle informazioni raccolte, ma a rispettare la ricostruzione e l’interpretazione che i tre protagonisti hanno fatto della loro esistenza. Questa esperienza, rivelatasi per me unica ed irrepetibile, mi ha fatto scoprire episodi rilevanti e lati significativi delle persone intervistate, che mi erano sfuggiti o che non erano emersi, nella relazione terapeutico-educativa in comunità. Il clima di libertà e di relazione in cui è immerso l’intervistato, permette l’emergere dei propri vissuti. Le tre storie di vita sono chiaramente
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s diverse, come diversi sono gli eventi e i passaggi che portano alla tossicodipendenza, come diversi si rivelano lo status sociale, i valori trasmessi e interiorizzati, i vissuti, i legami famigliari e affettivi, i significati simbolici relativi alla tossicodipendenza, le esperienze esistenziali prese in considerazione nei vari ambiti. Gli interrogativi di Girardi riguardanti l’eziologia, lo sviluppo e il mantenimento della tossicodipendenza, precedentemente citati, trovano nelle storie di Beatrice, Gianni e Lucia alcune risposte, certamente le loro risposte, che però presentano, seppur nella differenza legata all’unicità di ogni essere umano, alcune forti convergenze. Mi riferisco, ad esempio, alla droga, utilizzata almeno inizialmente, come una ricerca di alternativa alla normalità, ad “un disagio generalizzato e diffuso” che esplode, seppur tra mille contraddizioni e diversità, nell’adolescenza, e che si manifesta nel rapporto con i famigliari, nel contesto sociale, nella scuola, nel lavoro, nelle relazioni quotidiane ed affettive, nel tempo libero. Il disagio di Beatrice, Gianni e Lucia, almeno nel suo esordio, trova molti punti in comune con “l’insoddisfazione per il modello di vita e di lavoro, per le prospettive di avvenire, per il sistema di valori, per il tipo di normalità che i genitori rappresentano; il desiderio, quindi, confusamente sperimentato, di una vita diversa, di valori più veri ed umani, di un lavoro più realizzante, di una vita più liberante....” come riscontrato da Girardi.
20 La scelta dell’uso, prima, e dell’abuso e della dipendenza poi, trovano nelle storie dei tre protagonisti, un significato simbolico esistenziale, una ricerca di senso, una ricerca di alternativa ai modelli famigliari e sociali. La loro indubbia vulnerabilità personale non sembra essere un elemento e un presupposto assolutamente prioritario per la comprensione e per l’interpretazione del loro iter di tossicodipendenza. Nel caso di Gianni e di Lucia, se analizziamo le ricadute, sembra che l’approccio all’abuso di sostanze, costituisca non una scelta consapevole ma una strategia conosciuta e famigliare per “autocurare” la propria sofferenza. La loro percezione del fallimento, che porta ad una sempre più massiccia assunzione di droga e ad un percorso sempre più devastante, pare investire in un primo momento maggiormente l’area esistenziale, insita nella ricerca posta nelle premesse dell’assunzione piuttosto che in quella della fragilità psichica. L’esperienza totalizzante dell’eroina è presente in tutte le tre storie di vita raccolte, sia negli effetti distruttivi, che si riflettono sulla percezione di sé, nelle relazioni quotidiane ed affettive, che nel contesto culturale e nei rituali ripetitivi della ricerca e dell’assunzione di droga. L’eroina come esperienza totalizzante, come totalizzante si presenta la ricerca di senso, di appartenenza, di riconoscimento, che sta alla base del suo uso, anche se i contesti socioculturali di Beatrice, Gianni e di Lucia si presen-
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s tano profondamente diversi. Nelle tre storie, a testimonianza della loro unicità, sono presenti alcuni eventi, casuali e non, che influenzano gli iter evolutivi dei tre protagonisti. Mi riferisco al ripetitivo sentimento di “non essere importante” percepito da Gianni, rafforzato da una precoce istituzionalizzazione, che lo porterà a aderire ad un gruppo deviante organizzato, all’impossibilità di Beatrice di essere se stessa e di soddisfare le aspettative genitoriali e del suo status, e all’ossessione di Lucia per il proprio corpo che “tradisce” favorendo l’infezione del virus dell’HIV , contratto con rapporti sessuali non protetti, per paura di perdere un uomo che non ama. Emerge chiaramente dai tre racconti, lo stretto collegamento tra lo status sociale e la dinamica personale e famigliare. Da parte di Beatrice, l’appartenenza alla classe borghese, viene vissuta attraverso la continua richiesta di adattamento e di prestazioni, come una violenza alla propria personalità, che determinerà una forte ribellione e una ricerca di senso. Lucia si trova ad essere investita da aspirazioni sociali della madre, che la portano ad essere sradicata dal suo ambiente affettivo. Gianni, invece, cercherà la famiglia, per cui si è sempre sentito un peso, nell’adesione al gruppo deviante che gli propone gli stessi modelli di base, violenza e denaro. Gli eventi, diversi fra loro e spesso casuali, e la riflessione che determina la scelta di cambiamento in direzione di una possibile astinenza, passa, per tutti e tre gli intervistati, attraverso una profonda sofferenza e ad esperienze negative ma significative: il rapporto di Gianni con persone che vivono sulla strada e con un sacerdote che sembra testimoniare la sua fede in modo coerente e sganciato da dogmi e prescrizioni, la scoperta del Vangelo da parte di Beatrice, che forse le ricorda il sacerdote emarginato della sua adolescenza, la riscoperta del valore della vita e della speranza da parte di Lucia, sieropositiva, il valore della vita sganciato dall’input sociale prioritario del denaro, dell’apparenza, del consumo e della competizione, per tutti e tre i protagonisti. La possibilità di incontrare dopo nove anni Beatrice, Gianni e Lucia ha permesso un ulteriore approfondimento delle loro storie ma anche alcune domande aperte rispetto alla correlazione tra la visione della tossicodipendenza come malattia con il proprio mondo interiore e con l’ambiente. Questa sorta di “quadratura del cerchio” riconferma, attraverso il trascorrere del tempo e delle esperienze, la complessità degli esseri umani e del nostro contesto sociale.
Marina Bruccoleri Responsabile Area Dipendenze e Area Donna