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Le Katakombenschulen
Le scuole clandestine in Alto Adige
Laurea in scienze dell’educazione
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L’Alto Adige attualmente è sottoposto a pressione politica a causa delle imminenti elezioni. Ma a differenza del clima politico nazionale, in A.A.-Sudtirolo, questa pressione è usata nuovamente come occasione di divisione e spaccatura tra i due/tre gruppi etnici presenti sul territorio. Si è festeggiato su tutto l’Heimat Tirolese (Sud e Nord) il bicentenario di Andreas Hofer, leggendario comandante di San Leonardo che condusse una eroica resistenza contro il riformismo napoleonico e bavarese per salvaguardare le tradizioni di Patria (Heimat), Chiesa e Imperatore, e ora rispolverato a fautore dell’autodeterminazione del popolo soppresso sudtirolese. Si sfila nelle piazze contro i residui dell’epoca fascista; il monumento alla Vittoria a Bolzano, la statua all’Alpino a Brunico. Si polemizza vivacemente sulla Toponomastica bilingue, sul ritorno ai nomi originali di luoghi, monti e fiumi, ecc. Tutto ciò sta creando tra i due gruppi etnici una sempre maggiore tensione, percepibile sia attraverso i mass media, ma palpabile anche nei rapporti sociali sul territorio. In questo clima è difficile non cadere nel tranello teso dai due estremi schieramenti etnici ed è difficile porsi come
22 ponte culturale come fece negli anni ’80 A. Langer, senza una opportuna ed approfondita ricerca storica sulle origini di questi malesseri.
Lo spunto per questo lavoro me lo ha suggerito inconsapevolmente Frau Magdalene Hofer, una arzilla nonnina incontrata ad una festa popolare. Stava tranquillamente vendendo, seduta ad una panchina, alcuni suoi lavori di pizzo e avvicinatomi, in uno stentato italiano, mi ha incominciato a raccontare della sua gioventù, scoprendo così il suo passato di “lehrerin” (maestra) nelle Katakombenschulen. Mi ha dato, così, lo spunto a “conoscere”, “ricercare” e riscoprire un’ origine dei malesseri odierni, il forte legame per le tradizioni, per la cultura locale e i metodi pedagogici con cui pericolosamente venivano tramandate scrittura, lingua e cultura all’ombra dei masi e delle parrocchie.
La provincia di Bolzano con l’introduzione del Nuovo Statuto d’Autonomia, (D.P.R. 31 agosto 197 2 n. 270 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 20 novembre 197 2 n. 301) vede ampliati i propri poteri, dapprima statali, con il trasferimento di competenze, soprattutto con riferimento alle questioni etniche e culturali. Tra le materie alle quali vengono attribuite competenze legislative provinciali presentano particolare rilievo come manifestazione d’autonomia minoritaria, quelle dirette a permettere la rea-
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s lizzazione della “autonomia culturale” della minoranza di lingua tedesca. Di grandissimo rilievo a tal fine è l’art. 19 dello Statuto che è inerente all’istruzione scolastica in provincia di Bolzano, che consente il diritto di ottenere che ai propri figli sia praticato nelle scuole pubbliche l’insegnamento in lingua materna, da insegnanti per i quali tale lingua sia a loro volta materna.. La lingua non materna deve essere ugualmente insegnata in determinate ore e assume il ruolo di seconda lingua. Tre settori dividono l’organizzazione scolastica, il primo dei quali comprende le scuole ove l’insegnamento è praticato in lingua italiana, il secondo, le scuole ove l’insegnamento è praticato in lingua tedesca ed il terzo, le scuole delle località ladine. La scuola in Alto Adige si presenta quindi come separata in tre settori, riferiti ad ogni gruppo linguistico esistente. Separazione, che ha l’intento di salvaguardare i gruppi linguistici minoritari, tedesco e ladino, al fine di conservarne intatte le radici e le caratteristiche culturali, nonché la consistenza sociale. Gli amministratori della politica scolastica altoatesina mettono sempre più l’accento sulla distinzione, sulla separazione, sulla diversità che si deve affermare, difendere ed esaltare dei tre gruppi linguistici. Essi non vogliono una società bilingue che possa condurre ad una cultura mista, perché in tal modo verrebbe a scomparire l’identità del gruppo etnico tedesco. La diversità vista quindi come un valore culturale ed etnico da tutelare in ambito societario ma prima di tutto in campo legislativo, al fine di salvaguardare l’integrità, gli usi, i costumi, le tradizioni di ogni gruppo linguistico tenuto a coabitare in uno stesso territorio con altri. Sempre secondo gli amministratori scolastici altoatesini, una scuola mistilingue non tutelerebbe la minoranza linguistica tedesca in Alto Adige. La scuola è quindi usata come strumento per conservare l’identità etnica di una minoranza. Essa è vista come momento formativo integrante della personalità di ogni individuo, e come base sulla quale costruire e mantenere quei valori caratteristici di identità e di appartenenza ad una specifica cultura. La presa di coscienza di un valore così imprescindibile da quella che potrebbe essere una successiva evoluzione formativa e di crescita personale, ha permesso concretamente di tutelare quanto più possibile, attraverso la salvaguardia delle tradizioni, ogni gruppo linguistico.
Ma da che cosa scaturisce questa esigenza di conservazione di una lingua e di cultura, esigenza istituzionalizzata attraverso uno Statuto d’Autonomia? Nonostante sia il fattore etnico, sia quello linguistico siano fondati su circostanze puramente naturali, la capacità di individuare e mantenere delle differenze nei gruppi sociali per tale motivo dipende dalla valutazione che gli uomini danno di tali differenze.
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s Accade, che quando un gruppo entri a far parte volontariamente di una collettività linguistica diversa dalla propria per vari motivi di opportunità politica e/o economica, possa adeguarsi a questa ultima nel giro di una o due generazioni. Questo presuppone anche una volontà di assimilazione da parte del gruppo maggioritario; se ciò non dovesse avvenire o almeno non in questi termini, i caratteri distintivi del gruppo che dovrebbe essere assimilato, non solo rimarrebbero in vita per diverse generazioni, ma addirittura ne verrebbero esaltate le peculiarità, una fra queste, la componente linguistica, aspetto fondamentale di ogni popolo, che tenderebbe a conservarsi molto a lungo. Da sempre la minoranza tedesca altoatesina si è determinata come minoranza lontana da qualsiasi aspirazione all’assimilazione, è sempre stata una minoranza volontaria che aspira a conservare ed a valorizzare quelle caratteristiche che la differenziano dai membri della maggioranza. Generalmente le scelte di una minoranza che rinuncia all’assimilazione da parte della maggioranza, con intenti di voler conservare i propri usi e costumi, hanno radici storiche. Molti popoli attraverso il proprio passato e le proprie esperienze hanno potuto vivere situazioni dove l’assimilazione era per certi casi conveniente, quindi essendo stata una libera scelta non subita, è stata vissuta in modo positivo. Ecco quindi che viene nuovamente ribadito il concetto della volontà come
24 elemento principale e determinante perché una assimilazione possa non solo avvenire, ma perché ciò avvenga in termini pacifici. La volontà di essere assimilato da parte di un popolo, deve essere comunque direttamente proporzionale alla volontà di assimilazione dello stesso da parte della maggioranza. Ho ritenuto fondamentale, esaminare il problema attraverso un filo conduttore storico, evidenziando il modo di porsi del governo italiano nei confronti della minoranza tedesca altoatesina dal momento dell’annessione dell’Alto Adige, fino alla fine della seconda guerra mondiale. Ciò ci permetterà di valutare la questione in modo obiettivo, dato proprio dalla conoscenza, e di capire i motivi e la volontà del popolo sudtirolese nel mantenere vive le proprie tradizioni, la propria identità etnica, la propria cultura. Questa volontà così determinata, ormai radicata in tutto il popolo sudtirolese, influenzerà in modo determinante la serie delle relazioni che si è stabilita tra i successivi governi italiani e la minoranza tedesca dell’Alto Adige. Indubbiamente l’atteggiamento del governo fascista nei riguardi della minoranza tedesca altoatesina, repressivo e promotore di quei processi di snazionalizzazione di quel fattore che determina una minoranza nazionale, cioè la lingua, non poteva altro che creare una minoranza volontaria volta alla conservazione della propria identità culturale e linguistica. Conservazione dell’identità culturale e
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s linguistica che trova proprio nel periodo storico analizzato il suo massimo sviluppo per le ideologie nazionaliste dominanti in Europa. Grazie infatti proprio ad organizzazioni patriottiche germaniche che avevano come fine la diffusione della lingua e della cultura nazionale, tra tutti gli Ausslanddeutsche, al fine di mantenere vivo il sentimento di appartenenza e di unità di tutti popoli germanici, la minoranza tedesca altoatesina, durante il fascismo non fu isolata nel mantenere in vita la propria cultura e la propria lingua. L’atteggiamento repressivo del governo fascista in senso snazionalizzatore non solo non ha portato all’italianizzazione del territorio, ma ha spinto la minoranza tedesca altoatesina all’esaltazione delle proprie differenze peculiari, facendole inoltre abbracciare l’ideologia nazionalistica della Germania vista come l’unica in grado di salvaguardare
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s la propria identità linguistica e culturale. Questo scontro tra due nazionalismi avrà i suoi effetti deleteri anche dopo la caduta del governo fascista, in quanto la minoranza tedesca abituata ad identificare l’italiano come fascista, lo vedrà sempre come una minaccia, un pericolo, per la conservazione della sua identità e tenderà a chiudersi nell’estremismo nazionalistico. I governi succeduti a quello fascista non contribuiranno a cambiare quest’ ottica di vedute della minoranza tedesca altoatesina, ma porteranno ad un’esasperazione del problema dell’Alto Adige, a causa dei ritardi e delle carenze nell’attuazione del Primo statuto d’Autonomia. Ciò ha comportato anche una stigmatizzazione dell’italiano, identificato ancora oggi da una parte della popolazione tedesca, fortunatamente la più vecchia e reazionaria, come un Walsche, termine che significa straniero nella sua accezione più negativa. La capacità di convivenza tra diverse etnie in un unico territorio è data, oltre che dalla tolleranza e dal rispetto reciproco, anche dalla volontà di saper rompere con il passato, per poter vivere il presente in modo costruttivo e nella ricerca della collaborazione. La diversità quindi vista come un possibile arricchimento e come un bene reciproco per le varie parti che, una volta svanito il pericolo di perdita della propria identità dovrebbero fra loro collaborare, per assimilare i valori comuni di civiltà dei due popoli. Dopo una breve presentazione storica
26 riguardante l’annessione dell’ Alto Adige e la successiva politica dei governi italiani fino alla fine della seconda guerra mondiale, si è scelto di analizzare in particolare, la politica scolastica fascista in quanto ritenuta massimo strumento d’italianizzazione dell’Alto Adige. Il regime aveva ben compreso le potenzialità dell’istruzione scolastica, che diventata ormai strumento del potere, si prefiggeva di formare i bambini di allora, attraverso la continua esaltazione delle gesta dei fascisti e della grandezza dell’Italia, in un rapporto di dipendenza dal governo fascista, perseguendo fino in fondo il compito assunto d’italianizzare l’Alto Adige. Il suo fallimento sarà quindi il fallimento di una politica di regime nei confronti della minoranza tedesca altoatesina. Ora, nel trovare una tale corrispondenza tra i fini del fascismo e di certi aspetti della scuola, ho ritenuto opportuno espandere la ricerca nell’analisi del ruolo che la scuola ha avuto in Italia durante il periodo del dominio fascista, ruolo di acquisizione del consenso al governo e di selezione fra i gruppi sociali. Affinché la scuola non si discostasse da tali obiettivi fu accentuata la sua struttura centralistica. In tutto il Paese fu affidato alla scuola il compito di rendere ogni italiano un fascista, così come alla scuola altoatesina fu affidato il compito di rendere ogni tedesco un italiano-fascista. Sotto il fascismo ogni minoranza, sia essa nazionale o religiosa o puramente politica, ma contraria al fascismo e alla sua ideologia, basata su un concetto
unitario di nazione che s’identifica con lo Stato fascista, è perseguitata. Quest’identificazione tra italiano e fascista nella realtà storica si è dimostrata falsa. Non è lo stato italiano in quanto tale, cioè l’italiano di lingua e cultura italiana a perseguitare la minoranza tedesca altoatesina, ma il governo italiano di un determinato periodo storico, a perseguitare una qualsiasi minoranza che fosse ad esso contraria. Una tale analisi del periodo storico fascista porta alla conclusione che in ogni gruppo linguistico vi sono differenze culturali e politiche, e che l’appartenenza ad uno stesso gruppo linguistico non porta di conseguenza allo scontro con un altro gruppo linguistico. Come già precedentemente affermato, ogni periodo storico genera rapporti diversi tra maggioranza e minoranza, non determinante una volta per sempre. La via dello scontro tra nazionalismi è stato l’effetto di un determinato periodo storico. Qualsiasi diffidenza fra italiani e tedeschi dovrebbe scomparire anche alla luce del Nuovo Statuto di Autonomia concesso alla Provincia di Bolzano, nel quale la minoranza tedesca altoatesina nell’ambito della provincia di Bolzano diventa maggioranza. Conseguite queste garanzie politiche destinate alla conservazione della propria identità etnica e linguistica, è possibile pensare ad un progetto al quale partecipino tutte le componenti linguistiche dell’ Alto Adige e che si sviluppi nel senso di creare una cultura mistilingue, con caratteristiche sue di sintesi delle due culture e nella quale tutti gli abitanti dell’ Alto Adige s’identifichino.
Il compito che il Fascismo affidò alla scuola attraverso una ricerca costante del consenso fu quello, di formare i nuovi italiani „fascisti e cattolici“ che favorissero il concetto unitario di Nazione. Altro compito promosso dall’idealismo gentiliano era quello di selezionare i gruppi sociali attraverso una netta divisione di indirizzi scolastici, che “conservasse” le differenze fra i vari ceti e controllasse l’accesso delle classi meno abbienti agli studi superiori. La scuola si ridusse spesso di fatto ad uno strumento in mano al regime per acquisire il consenso dei giovani e garantire livelli di istruzione diversa per ogni classe sociale. Per assicurare questi obiettivi, il Fascismo promosse una trasformazione della scuola, che la rendesse sempre più centralizzata e rigidamente controllata. L’indicazione di programmi unici (e, per le elementari, anche di libri di testo) decisi e trasmessi dal Ministero, chiamato dal 1929 di “ Educazione Nazionale” e non più di Pubblica Istruzione, attraverso via gerarchica, agli insegnanti, fa ben comprendere la totale mancanza di autonomia riservata all’ istituzione scolastica. Gli insegnanti inoltre, in una escalation repressiva, per poter esercitare la loro professione nelle scuole pubbliche, dovettero aderire al Partito Nazionale Fascista, in quanto pubblici funzionari.
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s Il loro operato veniva inoltre valutato e controllato dai Provveditori agli studi, dagli Ispettori scolastici, dai Direttori didattici e dai Presidi, cariche tutte di nomina ministeriale. Attraverso la scuola veniva trasmessa l’ideologia fascista che prevedeva la concezione di uno Stato forte e autoritario che certamente non prendeva in considerazione la tutela né di minoranze linguistiche, né di diversità ideologiche, proprio sulla base dei principi nazionalisti. Il compito era ancora più gravoso per gli insegnanti altoatesini, ai quali non solo non veniva concessa alcuna autonomia didattica (il programma era infatti unico in tutta Italia) ma era anche affidato un arduo e rischioso incarico: italianizzare bambini tedeschi, staccandoli dal contesto linguistico-culturale della loro famiglia. Il Fascismo, infatti, attraverso la scuola, intendeva promuovere iniziative di “snazionalizzazione” dei cittadini alloglotti, penalizzando, in qualche caso duramente, un atteggiamento diverso degli insegnanti, atto a favorire il mantenimento di culture, lingue e tradizioni diverse da quella voluta dallo stato fascista. Fondandosi su un concetto rigidamente unitario di Stato Nazionale, qualsiasi autonomia veniva stroncata dal Fascismo. Il problema della lingua e della cultura diversa veniva affrontato non certo con il riconoscimento dei diritti dei cittadini locali, ma anzi con la ricerca della soppressione delle stesse. L’esistenza stessa di una minoran
28 za metteva in pericolo il principio del concetto fascista di Stato-Nazione, che non poteva consentire a nessuna minoranza il mantenimento dei propri usi, costumi, tradizioni e lingua. Il fascismo persegutò qualsiasi minoranza, quelle tedesca e ladina altoatesine, come altre minoranze sia di tipo politico che religioso o razziale. Ciò che accadde in ambito scolastico e non solo, in Alto Adige, ne fu la logica conseguenza, risultato di una politica repressiva attuata dal regime fascista. La nascita di scuole clandestine o d’ emergenza ed il tentativo di mantenere in vita, attraverso di esse, la propria lingua e cultura da parte dei popoli tedesco e ladino altoatesini, fu la risposta di un gruppo minoritario al tentativo di assorbimento da parte di una maggioranza con metodi coercitivi e repressivi, risposta espressa, grazie anche alle mediazioni di istituzioni ecclesiali, in forma di resistenza pacifica e nonviolenta, non senza il rischio di sfociare anche in forma di guerra civile. In ogni caso, la mancata accettazione di assorbimento da parte del gruppo di madrelingua tedesca altoatesino, ha generato l’esaltazione delle proprie peculiarità, non senza forme di avversione verso l’italiano, in generale identificato purtroppo come fascista. Il fallimento della politica scolastica del Regime in Alto Adige, può essere letto come il fallimento della politica fascista più in generale nei riguardi della popolazione tedesca e ladina altoatesina. L’italiano venne sempre visto come colui che voleva sopraffare la tradizione
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s e cultura locale. A dare quest’immagine negativa degli italiani, contribuì la scuola stessa, promulgando la figura dell’ italiano fascista che esaltava la grandezza dell’Italia dovuta alla politica del regime. Qualsiasi differenza sociale, politica o culturale, veniva negata nell’insegnamento scolastico che promuoveva una unica figura del vero italiano, identificato, appunto, nel fascista. Il porsi nei riguardi della questione altoatesina in una prospettiva di repressione e “snazionalizzazione” si rivelò nei fatti controproducente, ma fu espressione del concetto fascista di Nazione, formata da un’ unica razza che parla un’unica lingua. Tale politica esaltatrice dei valori nazionali, non poteva che portare allo scontro fra due nazionalismi opposti, italiano e tedesco (favoriti dai rispettivi governi) e portare a conseguenze di ostilità della minoranza tedesca altoatesina verso il gruppo italiano, facendola rinchiudere nella contrapposizione italiano-tedesco anche dopo la caduta del Fascismo, per gli effettivi ritardi dei successivi governi italiani al riconoscimento dell’ autonomia. Il Fascismo non perseguitò solo le minoranze tedesca e ladina altoatesina, ma anche altre minoranze contrarie al regime e tutti gli italiani in genere contrari alla dittatura fascista. Evidenziare ciò significa spezzare la dicotomia italiano-fascista. Appartenere ad un gruppo linguistico maggioritario, non significa necessariamente non riconoscere diritti di altri individui, o gruppi sociali diversi dal proprio, o addirittura volerne l’omologazione o la subalternità. I recenti accadimenti sfociati in guerra nei territori balcanici ci fanno ulteriormente comprendere quanto la convivenza pacifica tra popolazioni di diverse etnie e culti religiosi, sia fondata su equilibri precari. Attraverso un’educazione permanente che valorizzi costumi e tradizioni della propria e dell’ altrui storia, è possibile rapportarsi nei confronti dell’altro. Altro, inteso non come diverso da noi, ma con un’ apertura mentale, fondata sulla democrazia e sul rispetto. E forse, con ciò, si potranno anche superare antichi conflitti ed inimicizie dei diversi gruppi linguistici. La recente nascita a Bolzano di un’Università mistilingue, potrebbe fungere da fulcro per scardinare pregiudizi e promuovere il confronto tra le diverse culture così da giungere ad una sintesi, che potrebbe risultare un arricchimento ed un vantaggio per ogni gruppo linguistico.
Alberto Tartarotti Coordinatore Comunità S. Isidor