DevelopMed n. 22

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Non direi. Come ho già fatto notare, molte imprese hanno bloccato i loro progetti, aspettando che il quadro politico si chiarificasse, ma non hanno spostato gli investimenti da nessuna parte. E cosa accadrà quando il quadro sarà chiaro di nuovo? Come si rapporteranno fra loro governo e investitori nei paesi con un nuovo governo democratico? Ovviamente, dopo ogni cambiamento c'è un periodo di aggiustamento e allineamento. Questo periodo può essere più o meno lungo, a seconda di quanto grande e complesso è il paese in questione. In un paese come l'Egitto, per esempio, occorrerà più tempo per comprendere le nuove dinamiche – la presa di potere per la prima volta nella storia da parte dei partiti islamici, per esempio, sarà un cambiamento completo. D'altra parte in paesi come Tunisia o Libia la transizione sarà molto più facile. Ma, di nuovo: questo periodo richiederà del tempo e, quando la situazione sarà più chiara, ci saranno anche molti più investimenti. C'è da tenere presente inoltre che Tunisia, Egitto e Libia avranno un governo temporaneo, poi uno di transizione, infine uno regolare – in tutto passerà più di un anno in cui la situazione sarà molto fluida. Ma, negli affari, ad alti rischi corrispondo altri profitti – se le PMI attendono troppo prima di investire, rischiano di farsi scappare le migliori occasioni. Parliamo di infrastrutture. Nell'area del Mediterraneo avviene quasi il 20% di tutti gli scambi mondiali. Come pensa che cambierà questo dato nel prossimo futuro? C'è uno studio molto interessante realizzato da McKenzie e altre aziende nel 1995 che prevede una totale inversione, entro il 2025, delle quote del PIL destinate al consumo interno e all'esportazione: dall'80% del primo e 20% delle seconde al contrario, al 20% di consumo interno e 80% di esportazioni. In totale, i paesi arabi contano più di 300 milioni di persone, quasi quanto gli Stati Uniti. Eppure, questa è la regione più affamata di attrezzature, infrastrutture, assistenza sanitaria, e altri servizi. Nel lungo periodo ci sarà una crescita del livello di scambio, non il contrario. Nel settore aviario, per esempio, in cui io ho lavorato per più di 30 anni, verranno creati migliaia di nuovi posti di lavoro nei prossimi 5 anni. Ci saranno più compagnie aeree e le persone vorranno muoversi più rapidamente. Verranno firmati nuovi contratti di libero scambio fra Egitto, Algeria e Marocco, e presto non ci saranno più confini fra Egitto e Marocco, con linee ferroviarie e autostrade che uniranno Il Cairo con Marrakesh. Questo è il commercio intra-regionale – e per quanto riguarda quello con l'Europa? Negli ultimi anni ho avuto molte esperienze con europei che consideravano il Nord Africa o il Magreb come il paniere dell'Europa – o il suo giacimento di gas. I prezzi per la produzione agricola sono molto più bassi che in Francia o in Italia. E questo avrà uno sviluppo nel futuro. Oggi un prodotto agricolo impiega non più di 40 ore da una fattoria tunisina ad un supermercato italiano – e nel futuro gli scambi saranno di più, e più rapidi. Per poter aumentare gli scambi, quale dovrebbe essere il ruolo dei governi? Serve più impegno o meno? Secondo la mia esperienza moltissimi paesi hanno avuto ottimi risultati nel creare un marchio del loro paese. Se guardiamo la situazione italiana oggi, per esempio, non penso che il governo stia facendo abbastanza per supportare le sue imprese, non quanto ha fatto dagli anni '60 agli anni '80 negli Stati Uniti, dove il made-in-Italy è ancora un marchio molto forte, al contrario di quanto non sia nei paesi arabi. Il governo dovrebbe fare di più per sostenere gli uomini e le donne d'affari, dovrebbe essere in prima linea, non nelle retrovie. Come? Penso che il ruolo di istituzioni come le Camere di Commercio possa essere grande, specialmente in Italia. Come ho detto prima, non vedo abbastanza “aggressività” sui mercati. È tempo che qualcuno si alzi e sventoli la bandiera del made-in-Italy. E le camere di commercio possono aiutare questo processo, ma solo guardando al mondo delle imprese là fuori, con persone che hanno delle esperienze sul campo, non fornendo soltanto aiuti da scrivania.


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