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Newsletter n° 37 SOMMARIO Scambi Italia­Med Paralleli Istituto Euromediterraneo del Nord­Ovest www.paralleli.org Responsabile: Marcella Rodino Hanno collaborato: Giuseppe Mancini, Abdellatif Taboubi, Claudio Tocchi, Angelo Travaglini tel. 011 5229810 newsletter@paralleli.org

• Turchia: le proteste non rallentano la crescita Giuseppe Mancini ­ Istanbul • Economic Development in Africa Report

Med Flash • Gare della World Bank 2012: la posizione dell'Italia • Turchia: interscambio commerciale +6,1% • Made in Italy: il futuro è in Medio Oriente • Co­sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

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Crisi ed Economia Mediterranea • Turchia: la nuova via della Seta Con il sostegno di: Rete Camerale Nord Ovest per il Mediterraneo

Giuseppe Mancini – Istanbul • Smart grids: AEC, ICT Europe ed Enel, insieme in Arabia Saudita

Window of Opportunity • Oman: ora tocca all'Italia • Egitto: WB e cooperazione italiana supportano il piano di rinnovamento delle ferrovie • Turchia: il Parlamento approva la riforma del settore petrolifero

Sviluppo e partenariato Euromed • UPM: lancio del nuovo programma Logismed • Ue­Algeria: prima intesa su energia • Marocco: in arrivo 35 mln di euro dal programma Spring • In Turchia la 9ª edizione del Mediterranean Engineering Group (MEG)

Approfondimenti • Rapporto Wto: più attenzione all’ambiente e alla gestione delle risorse • Percentuali da pre­crisi per l'export italiano

Palestra Mediterranea Le attività dell'Istituto Paralleli sono sostenute da:

• Egitto: punto di riferimento fondamentale nel contesto arabo Angelo Travaglini • L’Islam politico in Turchia e in Egitto Angelo Travaglini


SCAMBI ITALIA­MED

Turchia: le proteste non rallentano la crescita Giuseppe Mancini ­ Istanbul Nell'economic brief della Banca mondiale presentato ad Ankara il 3 luglio non si registrano mutamenti nelle aspettative di crescita del Pil, che rimangono del 3,6% per il 2013. “Gli effetti delle proteste del parco Gezi sull'economia turca sono limitati e i dati non mostrano alcun segnale negativo sulla fiducia”, ha dichiarato il direttore per la Turchia Martin Raiser. Le proteste nate nel parco Gezi e a piazza Taksim di Istanbul, che si sono poi propagate – intensamente in grandi centri come Ankara e Izmir, in modo blando altrove – nelle altre province della Turchia, hanno sostanzialmente perduto la loro carica più virulenta. Sono drasticamente scesi i numeri, sono mutate le forme: da una parte manifestazioni artistiche che sono anche azioni di disobbedienza civile (il “duran adam”, l'uomo immobile), oppure festival colorati e musicali o ancora arte digitale direttamente su Internet; dall'altra assemblee serali di rilievo politico negli altri parchi di Istanbul, dopo il secondo sgombro di Gezi del 15 giugno: per adesso impegnate in semplici discussioni ad ampio raggio più che nella formazione di piattaforme elettorali. Tra l'altro, per i manifestanti è arrivata anche una prima vittoria concreta, ottenuta però attraverso canali giurisdizionali e non con forzature delle piazze: la decisione di un tribunale amministrativo di cancellare il progetto di riqualificazione urbana all'origine delle proteste. E' stato presentato in forma videoanimata in occasione della campagna elettorale per le politiche di due anni fa, sul sito web del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp); o meglio, ne sono stati suggeriti in modo suggestivo i caratteri salienti: la pedonalizzazione completa della piazza, la realizzazione di tunnel per convogliare sottoterra il traffico, la ricostruzione della caserma ottomana di artiglieria (Topçu Kışlası) demolita nel 1940. Nonostante l'approvazione all'unanimità da parte del consiglio municipale metropolitano e l'inizio dei lavori per lo scavo dei tunnel, infatti, non ne sono mai stati resi noti i dettagli; persino la destinazione dell'imponente edificio previsto per piazza Taksim è rimasta avvolta nell'incertezza: le voci più insistenti – mai smentite e a volte candidamente ammesse – ipotizzavano l'apertura di un centro commerciale. La mobilitazione è stata immediata, un gruppo di ecologisti, architetti, urbanisti e professionisti vari – riuniti nella “Piattaforma di Taksim” – ha iniziato un'azione di contrasto a suon di comunicati stampa e procedure legali contro il progetto, essenzialmente per tre motivi: perché i cittadini non sono mai stati né informati né interpellati, perché gli esperti non hanno mai avuto modo di esporre il proprio parere tecnico, perché manca un approccio organico che valuti gli effetti complessivi sul traffico e sulla vivibilità della

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zona. Sono seguite proposte, tutte concrete ma mai prese in considerazione dalle autorità competenti: il sit­in di fine maggio, inscenato per impedire l'abbattimento di alcuni alberi, a causa del primo sgombro affrettato e sbrigativo della polizia si è trasformato in rivolta a cui hanno complessivamente partecipato – secondo le stime del ministero degli interni – due milioni e mezzo di persone. L'ampiezza delle manifestazioni deriva dal convergere di diverse sensibilità e motivazioni: degli ecologisti della protesta originaria, contrari a un progetto di sviluppo urbano nell'area del parco; della nuova “generazione Y” – media borghesia, alto livello di scolarizzazione – che mal sopporta le intromissioni nella sfera privata da parte del governo e non trova rappresentanza credibile nelle opposizioni parlamentari; dei gruppi della sinistra extra­parlamentare; delle fazioni kemaliste ostili all'Akp perché considerato incompatibile coi valori della repubblica laicista fondata da Atatürk. La saldatura è avvenuta in virtù dell'uso considerato eccessivo della forza da parte della polizia, che ha fatto ampio uso di gas lacrimogeni, idranti, spray al peperoncino, in alcuni casi proiettili di gomma; e dei discorsi incendiari del primo ministro Erdoğan, già preso di mira per l'attitudine paternalista e lo stile decisionista, che ha definito i manifestanti “vandali” e “terroristi”. Il bilancio è di cinque vittime – quattro tra i manifestanti, uno tra la polizia – e migliaia tra feriti e intossicati; i danni materiali, provocati soprattutto da atti di vandalismo – sono ingenti: sono stati anche segnalati abusi, pestaggi, violenze, arresti arbitrari da parte della polizia. Il premier ha vacillato, ha subito durissimi colpi alla sua popolarità nazionale e al suo prestigio internazionale: ma dopo una prima fase di sbandamento, il suo approccio – durezza nella retorica, fermezza nelle strade, apertura di canali di dialogo coi manifestanti che ha ricevuto due volte – gli ha consentito di superare la crisi senza ulteriori complicazioni. Anzi, ha scatenato una controffensiva attraverso grandi comizi per il “rispetto della volontà nazionale” – in risposta a chi ne invocava le dimissioni: ma la tenuta del governo non è mai stata in pericolo – che hanno segnato l'inizio della campagna elettorale per le amministrative del marzo 2014: a quello di Istanbul c'erano più di un milione di persone, Erdoğan è stato osannato dai suoi determinatissimi sostenitori. E' stata però intaccata e forse compromessa anche l'immagine che il governo dell'Akp – partito conservatore d'espirazione islamica al potere del 2002 – era riuscito faticosamente a costruirsi: un governo politicamente riformista, abile e lungimirante in economia, modello di equilibrio tra democrazia e islam; eppure, la contestazione collettiva che ha scosso il paese ha gridato allo stato di polizia, all'islamizzazione, alla dittatura: mentre i media internazionali hanno tracciato frettolosi paralleli con le “primavere arabe”. La stessa Unione europea ha deciso di

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rimandare a ottobre l'effettiva apertura di un nuovo capitolo negoziale – il 22, sulle politiche regionali – nel processo di adesione. Turismo a parte, l'economia non sembra invece aver subito grossi danni. Nell'economic brief della Banca mondiale presentato ad Ankara il 3 luglio, infatti, non si registrano mutamenti nelle aspettative di crescita del Pil, che rimangono del 3,6% per il 2013: “gli effetti delle proteste del parco Gezi sull'economia turca sono limitati e i dati non mostrano alcun segnale negativo sulla fiducia”, ha dichiarato il direttore per la Turchia Martin Raiser. Anche nel corso dell'incontro della comunità imprenditoriale con l'ambasciatore Scarante, che si è tenuto a Istanbul il 25 giugno, l'interpretazione che ha prevalso è quella di un impatto nel medio termine trascurabile: gli operatori del settore bancario non hanno segnalato mutamenti nelle strategie d'investimento, tutt'al più – come hanno confermato i rappresentanti dell'Ice e della Camera di commercio italo­turca – sono state posticipate due o tre missioni programmate per la fase più calda. Tuttavia, sono le stesse autorità di governo turche che individuano costantemente nella stabilità politica – un governo monocolore dal 2002 – il segreto principale del boom economico degli anni 2000: visto che ha permesso di realizzare le riforme strutturali necessarie a liberare l'economia dal dirigismo del passato; se questa stabilità venisse a mancare, anche nel medio periodo lo scenario potrebbe mutare drasticamente. Tutto dipenderà dall'andamento del processo di pace col Pkk curdo, dall'esito del progetto di nuova costituzione in cui riconoscere pari diritti e dignità a tutti i gruppi etnici e religiosi (e in cui Erdoğan vorrebbe inserire il presidenzialismo, per essere eletto alla massima carica nel 2015), dai risultati delle consultazioni comunali e presidenziali dell'anno prossimo, delle politiche dell'anno successivo.

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Economic Development in Africa Report “Se il forte negozia col debole si può finire male”, afferma Supachai Panitchpakdi, economista e diplomatico tailandese, dal 2005 alla guida della Conferenza dell’Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad). Supachai Panitchpakdi crede che l’Africa si salvi se nei potenti del mondo vince la “voglia di cooperazione”. Riportiamo l’intervista che ha rilasciato all'agenzia Misna in occasione della pubblicazione dell’Economic Development in Africa Report. Dopo aver ricoperto il ruolo di vice­primo ministro della Thailandia, Sapuchai è stato protagonista delle trattative che portarono alla nascita dell’Associazione dei paesi del sud­est asiatico (Asean) e della Cooperazione economica Asia­ Pacifico (Apec). Un’esperienza raccontata in diversi libri, come “Globalizzazione e commercio nel nuovo millennio”; e arricchita tra il 2002 e il 2005 dall’incarico come direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto). Segretario, negli ultimi 20 anni il peso del commercio tra i paesi africani è molto diminuito. Perché?

“Il commercio inter­africano era in crescita fino agli anni ’90. Nel 1996 valeva il 22% del totale delle transazioni dei paesi del continente. Poi, in termini percentuali, ha subito un brusco calo e ora non conta più dell’11%. Il problema è che gli scambi inter­africani aumentavano dell’8% l’anno mentre il commercio del continente con il resto del mondo, trainato dalle esportazioni delle materie prime, si espandeva del 12%. I flussi all’interno all’area sub­sahariana sono cresciuti, dunque, ma non abbastanza. Va tenuto però conto del fatto che buona parte delle transazioni tra i paesi africani avvengono al nero. Quello informale è un settore più grande e importante di quanto non sia in Asia o in altre regioni del mondo, ma sul quale mancano statistiche precise. Se potesse essere preso in considerazione, la quota del commercio inter­africano rispetto al totale aumenterebbe”.

I dati ufficiali, a ogni modo, indicano un forte ritardo rispetto all’Asia o all’Europa…

“In Asia il commercio tra i paesi del continente vale il 55% del totale, in Europa addirittura il 70%, in America Latina il 21%. Nel caso africano gli ostacoli sono diversi. Per prima cosa le tariffe doganali sono troppo alte. Nel mondo, in media, dazi e barriere incidono sui prodotti africani solo per il 2,5% del loro valore. Questo accade perché l’Africa ha beneficiato di una serie di accordi, come quelli previsti dalla legge statunitense Growth and Opportunity Act. Le tariffe sui beni africani esportati in altri paesi del continente, al contrario, pesano per il 9%. È un problema grave. Al quale se ne aggiungono altri. In Africa i costi delle transazioni sono alti perché mancano le infrastrutture. La ‘densità stradale’ è di sette chilometri ogni cento chilometri quadrati, mentre nei paesi emergenti non africani il dato è di 130 chilometri ogni cento chilometri quadrati. Poi c’è la varietà limitata dei prodotti. Il grosso delle esportazioni è costituito da petrolio e materie prime. Un ostacolo ulteriore sono gli alti costi di produzione. I paesi africani hanno difficoltà ad accedere a

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finanziamenti internazionali e a garantirsi forniture di elettricità affidabili. Spesso mancano lavoratori qualificati. E il risultato è che i prodotti costano molto”. Come si incentivare commercio africano?

potrebbe il inter­

“L’abbassamento delle tariffe doganali è importante, ma da solo non basta. Bisogna favorire l’emergere di uno spirito imprenditoriale. L’Africa ha bisogno di più commercianti e imprenditori che decidano di operare nel settore formale, nel rispetto delle regole. E perché questo avvenga servono regole chiare e semplici, che incoraggino a farsi avanti e a rischiare. Un altro aspetto è l’intesa tra pubblico e privato. In Asia, soprattutto nell’Asia orientale, Stato e imprenditori si sostengono a vicenda e si consultano in modo regolare. Il terzo punto è la creazione di una catena del valore aggiunto. Da economie fondate su risorse naturali bisogna passare a economie sviluppate, che producano ricchezza. All’Africa servono imprenditori che non si limitino a sfruttare i pozzi di petrolio ma che facciano ricerca e investano. Bisogna poi applicare gli accordi commerciali tra i paesi africani. Alcuni non funzionano bene e bisogna migliorarli. Dovrebbero, in particolare, prevedere che i governi del continente devolvano parte delle loro entrate a un Fondo per le infrastrutture regionali. Nigeria, Sudafrica, Algeria potrebbero contribuire. E anche gli Accordi di partnership economica in fase di negoziazione con l’Europa dovrebbero aiutare a finanziare progetti infrastrutturali”.

L’integrazione del continente, sul piano economico e politico, resta un obiettivo?

“Organizzazioni regionali come la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe o la Comunità dell’Africa orientale stanno cercando di unire gli sforzi per dar vita a mercato unico. Attenzione, però: l’integrazione non deve essere solo libera circolazione dei beni ma strategia per lo sviluppo, che favorisca gli investimenti nelle infrastrutture, nelle reti dell’acqua e dell’energia”.

Come giudica gli Accordi di partnership economica che dovrebbero sostituire le intese di Cotonou?

“Le trattative potrebbero andar meglio. Mi preoccupa l’accento messo sulla reciprocità. Se questo principio fosse applicato per davvero, l’Africa rischierebbe una deindustrializzazione. I paesi del continente perderebbero fino al 70% delle rendite fiscali derivanti dalle importazioni europee. Il commercio inter­africano, allo stesso tempo, potrebbe ridursi del 16%. Un paradosso se si considera che l’obiettivo dichiarato degli Accordi è sostenere le economie africane. Gli Ape non devono essere fondati solo sui negoziati perché nei negoziati l’Africa è debole. Devono essere fondati su un’idea di cooperazione per lo sviluppo, capace di invertire la tendenza del continente alla deindustrializzazione”.

La classe media in Africa: mito o realtà?

“La rilevanza del settore informale in Africa fa sì che molte persone appartenenti a questa categoria sfuggano alle statistiche. Per stimare la consistenza numerica della classe media, quindi, bisogna prima studiare meglio l’economia in nero. La Banca africana di sviluppo ha calcolato che questo segmento valeva il 25% della popolazione fino agli anni ’80 e

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il 34% nel 2010. Sulla base di queste rilevazioni, entro il 2060 si dovrebbe raggiungere il 40%. La Banca africana di sviluppo, però, non tiene conto del settore informale. Un settore, è bene sottolinearlo ancora, più importante di quanto non sia in Asia o in altri continenti. La crescita della classe media, allora, non è affatto un mito; è un fenomeno reale, sempre più rilevante nonostante i condizionamenti della crisi globale”. (Fonte Misna)

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MED FLASH

Gare della World Bank 2012: la posizione dell'Italia E' salita di un gradino l'Italia nel 2012, posizionandosi al settimo posto nella graduatoria assoluta dei principali paesi aggiudicatari delle gare con il 3,9% e un valore superiore ai 570 milioni di dollari. Nell’anno fiscale 2012 (luglio 2011 ­ giugno 2012) il Gruppo Banca Mondiale ha finanziato progetti per circa 35 miliardi di dollari, con una media annuale di poco inferiore ai 100.000 contratti sottoscritti. I dati complessivi relativi all’anno fiscale 2012 confermano il primato della Cina con il 15,8% del valore dei contratti aggiudicati e un ammontare di oltre 2,3 miliardi di dollari. L’India è seconda (11,1 %), grazie a un’eccellente performance nell’ambito della fornitura di beni. Da rilevare i buoni risultati di Germania (5,06%) e Spagna (5,02%), rispettivamente terze e quarte nella classifica assoluta, che hanno scalzato dal gradino più alto, per quanto riguarda i paesi europei, l’Italia. A livello di singoli settori, la Cina, dopo l’exploit dell’anno fiscale 2011 (21%) mantiene la leadership nell’ambito dei lavori civili con una quota del 18% e 1,58 miliardi di dollari di contratti. Seguono India (13,8%) e Germania (7%). Per quanto riguarda la fornitura di beni, la Cina (16,8%) precede India (11,16), Federazione Russa (7,37%) e Italia (6,7%). La supremazia dei paesi in via di sviluppo è tradizionalmente meno marcata nell’ambito dei servizi di consulenza. Nel 2012, l’Afghanistan (9,1%) è seguito da Giappone (6,3%), Francia (5,4%) e Germania (4,8%). Posizione dell’Italia

Nel 2011, l’Italia figurava come ottavo tra i principali paesi aggiudicatari delle gare relative ai progetti della Banca Mondiale, con una quota del 2.58% e un valore di poco superiore ai 350 milioni. I dati definitivi del 2012 evidenziano un netto miglioramento, sia in valore assoluto che percentuale, consentendo al nostro paese di collocarsi al settimo posto nella graduatoria assoluta con il 3,9% ed un valore superiore ai 570 milioni di dollari. L’Italia prosegue l’ottima performance degli ultimi anni, in termini di valore dei contratti assegnati, soprattutto nei confronti degli altri paesi industrializzati. Al riguardo, in questa speciale classifica, nell’anno fiscale 2012, è stata preceduta, per la prima volta dopo diversi anni, da Spagna e Germania, segno evidente di come altri paesi europei stiano dedicando una rinnovata attenzione alle possibilità di finanziamento offerte dalla Banca. Gli ultimi dati evidenziano un netto miglioramento nelle aggiudicazioni concernenti la fornitura di beni, con oltre 280 milioni di dollari, ed un balzo in avanti, nella graduatoria relativa, di grande rilievo rispetto alla trentesima posizione

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occupata nel 2011. Nei lavori civili l’Italia registra un certo rallentamento, ma riesce comunque a mantenere un’ottava posizione da considerare in maniera positiva, con un ammontare superiore ai 285 milioni di dollari. Persiste infine la debolezza del nostro paese nell’ambito dei servizi di consulenza, con una riduzione della quota percentuale di contratti assegnati (da 0,8 a 0,5%) e un deludente posizionamento al 53 posto. Come negli anni passati, i migliori risultati si possono ricondurre all’aggiudicazione di pochi contratti di grandi dimensioni. I contratti di maggiore rilevanza riguardano la fornitura di beni, con due importanti commesse assegnate in Egitto, nell’ambito del Giza North Power Project, ad Ansaldo Energia e Salvatore Trifoni & Figli Spa e quattro contratti aggiudicati in Bielorussia alla Todini Costruzioni. I primi dati provvisori (riferiti al periodo luglio 2012 ­ aprile 2013) registrano un totale di contratti assegnati ad aziende italiane per la considerevole somma di 381.189.449 dollari e si può ragionevolmente prevedere che i dati finali potranno superare i 600 milioni di dollari. Nonostante alcuni segnali incoraggianti, le gare finanziate dalla Banca Mondiale costituiscono potenzialmente un’importante fonte di profitto per le aziende italiane, solo parzialmente sfruttato. La non perfetta conoscenza delle opportunità disponibili costituisce indubbiamente una limitazione a cui si aggiungono ulteriori ostacoli riscontrati dalle aziende italiane tra cui si segnalano: ­ la poca chiarezza nella definizione dei requisiti per la presentazione di alcune offerte ­ la complessità dei progetti oggetto di gara ­ gli standard tecnici previsti e l’ammontare delle fideiussioni ­ la lontananza dei paesi nei quali svolgere l’attività oggetto del bando di gara ­ il costo associato alla ricerca del partner o dell’agente locale. La crescente scarsità di fonti di finanziamento nazionali e l’accresciuta concorrenza nell’aggiudicazione di bandi origine comunitaria, dovrebbero tuttavia spingere le aziende italiane a dedicare sempre più sforzi e risorse nei confronti delle gare bandite dalle Banche Multilaterali di Sviluppo e, in particolare, dalla Banca Mondiale. (Fonte: Italplanet)

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Turchia: interscambio commerciale +6,1% Il valore degli scambi commerciali della Turchia con il mondo (import+export) nel periodo gennaio/maggio 2013 è aumentato del 6,1%, raggiungendo i 167.6 miliardi di dollari contro i 158 miliardi di dollari del 2012, ma quello del passivo è peggiorato del 17% (41,9 miliardi nel 2013 contro 35,8 dell'anno precedente). L'Italia si aggiudica il quinto posto dei migliori partners commerciali. Il valore degli scambi commerciali della Turchia con il mondo (import+export) nel periodo gennaio/maggio 2013 è aumentato del 6,1%, raggiungendo i 167.6 miliardi di dollari contro i 158 miliardi di dollari del 2012, ma quello del passivo è peggiorato del 17% (41,9 miliardi nel 2013 contro 35,8 dell'anno precedente). E' quanto si evince dagli ultimi dati pubblicati dal Tuik, l'Istituto di statistica turco, ed elaborati dall'Ufficio Ice di Istanbul, secondo cui nel periodo le importazioni sono aumentate dell'8,1% (per un valore di 104,8 miliardi nel 2013 contro 96,9 miliardi nel 2012), mentre le esportazioni hanno avuto un incremento solo del 2,9% (62,8 miliardi nel 2013, 61 miliardi nel 2012). Più equilibrata la situazione degli scambi con la UE, che da sola rappresenta il 37,4% del totale degli scambi turchi e che ha un valore di 62,6 miliardi di dollari: l'interscambio è aumentato del 4,7% (nei primi 5 mesi del 2012 era stato di 60,1 miliardi), mentre il passivo verso la UE, di 11,9 miliardi, è aumentato del 7,3% (nei primi 5 mesi del 2012 era stato di 11,1 miliardi). Le esportazioni verso la UE hanno toccato i 25,3 miliardi, con un aumento del 3,6% (nei primi 5 mesi del 2012 erano 24,5), le importazioni i 37,3 miliardi, con un aumento del 4,3% (nei primi 5 mesi del 2012 erano 35,6). La graduatoria dei Paesi con i quali la Turchia ha commerciato di più vede al primo posto la Germania, con un interscambio di 15,1 miliardi (con un aumento del 7,9% rispetto ai primi 5 mesi del 2012), composti da 9,7 miliardi di importazioni (con un aumento del 14,2%) e da 5,4 miliardi di esportazioni (in diminuzione dell'1,8%). Verso la Germania, la Turchia ha un passivo commerciale di 4,2 miliardi di dollari. Al secondo posto dei migliori partners commerciali risulta la Russia, con 12,7 miliardi di interscambio (in diminuzione dell'1,6%), 9,8 miliardi di importazioni (in diminuzione del 3,9%, 2,8 miliardi di esportazioni (con un aumento del 7,1%). Verso la Russia la Turchia ha un passivo di 7 miliardi di dollari. In terza posizione risulta la Cina, con 11,5 miliardi di interscambio (in aumento del 18,6%), 10 miliardi di importazioni (+15,4%) ed 1,5 di esportazioni (+45,9%). Verso la Cina la Turchia ha un passivo di 8,5 miliardi di dollari. In quarta posizione gli USA con 8,3 miliardi di interscambio (in diminuzione del 2,8%), composti da 5,9 miliardi di importazioni (in diminuzione del 4,1%) e 2,4 miliardi di esportazioni (con una variazione dello 0,4%) Verso gli Usa la Turchia ha un passivo di 3,5 miliardi di dollari. In quinta posizione l'Italia, con 7,9 miliardi di interscambio (­1,3%),

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composti da 5 miliardi di importazioni (­6,7%) e 2,9 miliardi di esportazioni (+9,7%). Verso l'Italia la Turchia ha un passivo di 2,1 miliardi di dollari.

Made in Italy: il futuro è in Medio Oriente Presentata a Roma il 4 luglio la ricerca "Oltre i BRICS, nuovi mercati per il Made in Italy", realizzata dall'Agenzia Ice in collaborazione con Prometeia. Tra i 25 mercati emergenti più appetibili per il nostre imprese, ben otto sono rappresentati da Paesi nordafricani o mediorientali. Per le aziende che producono beni di consumo, diventano più attrattivi Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar e Marocco. Sarà il Medio Oriente il paracadute del "Made in Italy", mortificato in patria dalla crisi. E' quello che indica uno studio presentato oggi a Roma durante il XII forum del Comitato Leonardo, il quale, ogni anno, scatta una fotografia dello stato di salute del Made in Italy, mettendo a confronto istituzioni, mondo del credito e imprenditori. La ricerca, realizzata dall'Agenzia Ice in collaborazione con Prometeia, ha un titolo eloquente: "Oltre i BRICS, nuovi mercati per il Made in Italy". ''In pochi anni ­ è stato spiegato durante la presentazione ­ i BRICS sono diventati player global. Finita la loro fase propulsiva, però, si rivelano anche mercati difficili, spesso affollati e con un'offerta locale sempre più agguerrita''. Da qui, la necessità di andare 'oltre i BRICS', cercando di individuare quali mercati mostrino maggiore potenziale e facilità di operare per le imprese italiane. In altre parole, gli analisti hanno operato una sorta di ricognizione geografico­ economica orientata al domani, da cui si apprende che, tra i 25 mercati emergenti più appetibili per il nostre imprese, ben 8 sono rappresentati da Paesi nordafricani o mediorientali. Non solo: se si parla nello specifico di aziende che producono beni di consumo, allora Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar e Marocco (insieme a Messico e Malesia) sono in particolare i più attrattivi. I parametri presi in considerazione dai ricercatori ICE­ Prometeia sono molteplici: stato di sviluppo, potenzialità dell'economia, dinamiche demografiche, Pil pro capite, ma anche livello di rischio, dazi e sistema distributivo. Nello specifico, per quanto riguarda i beni di consumo, "la variabile considerata più rilevante è la soglia di reddito (stimata in 11.500 dollari pro capite a parità di potere d'acquisto)", vale a dire circa 9.000 euro. L'Arabia Saudita è in cima alla lista anche tra i Paesi con maggiore potenziale per gli investimenti italiani; rientrano in questa categoria pure Tunisia e Marocco. Se si parla invece di infrastrutture, "demografia e urbanizzazione guidano la crescita": e i mercati con maggiori potenzialità per l'Italia sono l'Egitto (dove si stimano oltre 80 miliardi di investimenti entro il 2020), la Nigeria e l'America Latina. "Per cogliere le

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opportunità presenti in questi Paesi ­ concludono i ricercatori ­ è necessario che le aziende italiane si concentrino sulle specificità merceologiche e settoriali dei singoli mercati". L'errore da non commettere, invece, è quello di "perdere la visione di sistema". Del resto, il successo del Made in Italy è "storicamente frutto di eccellenze diffuse", che hanno saputo sfruttare "il comune denominatore della qualità, con un forte effetto di traino anche per altri settori".

Co­sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo Si è conclusa martedì 25 giugno 2013 la due giorni di lavori della conferenza internazionale "MEDEA: MEDiterraneo, Expo e Agroalimentare" che ha visto riuniti a Milano i più autorevoli rappresentanti delle Istituzioni italiane e marocchine impegnati nello sviluppo socio economico dei due Paesi, coinvolgendo in tutto oltre 150 tra imprenditori, associazioni, istituzioni italiane milanesi e marocchine. Si è conclusa martedì 25 giugno 2013 la due giorni di lavori della conferenza internazionale "MEDEA: MEDiterraneo, Expo e Agroalimentare" che ha visto riuniti a Milano i più autorevoli rappresentanti delle Istituzioni italiane e marocchine impegnati nello sviluppo socio economico dei due Paesi, coinvolgendo in tutto oltre 150 tra imprenditori, associazioni, istituzioni italiane milanesi e marocchine. Ospite dell'Unione degli Artigiani di Milano Monza e Brianza un partenariato composto da MEDInaTERRANEA, COSV, Ministero dei Marocchini Residenti all'Estero, Fondazione Creazione di Impresa, Centro Regionale per gli Investimenti della regione Tadla­Azilal, Halal Italia, il Consolato marocchino a Milano, l'Università Statale di Milano, ISMU, Société Général du Maroc, Extrabanca, all'interno di un programma co­finanziato da Comune di Milano, ha proposto un intenso programma di lavoro. Con quattro panel tematici, incontri B2B, una tavola rotonda e una conferenza internazionale dal titolo "Co­sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future" i promotori si sono concentrati sulla necessità di rafforzare politiche di sviluppo condivise tra i due paesi, di adeguare le esigenze del profit alle politiche di sviluppo regionale e sui vantaggi di un coordinamento con il no profit. E' emerso in modo chiaro ed evidente che è possibile, volendolo, avviare dei percorsi di co­sviluppo per una reciproca crescita economica in una cooperazione non più diretta dal nord verso il sud ma considerata uno scambio di conoscenze e di politiche condivise a vantaggio di tutti gli attori coinvolti. Le imprese e le associazioni stanno in prima persona creando consorzi, reti formali e partnership, per offrire agli aderenti servizi di mediazione e offrendo opportunità di sviluppo d'impresa. Da parte loro, le istituzioni sono interessate a lavorare con questi gruppi di lavoro.

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L'internazionalizzazione verso il Marocco rappresenta una importante possibilità per le imprese, che oggi questa deve tenere conto del peso delle relazioni instaurate grazie alle comunità marocchine in Italia se vuole mantenere dei legami duraturi. Il co­sviluppo, inteso come rafforzamento e continuità delle relazioni tra imprenditori e associazioni italiane e marocchine, rappresenta un'opportunità di crescita per entrambi i paesi, nel rispetto di regole condivise in termini di politiche di sviluppo sostenibile. "Nell'attuale contesto dobbiamo far emergere gli effetti positivi della crisi: questa ci dà una opportunità straordinaria per riflettere insieme a instaurare nuove relazioni nel bacino del Mediterraneo", ha affermato il Console Mohammad Benali, evidenziando che "queste giornate rappresentano una occasione per individuare le opportunità di cooperazione interregionale tra Lombardia e Marocco, definire il quadro giuridico come documento di riferimento e individuare le principali aree della cooperazione precisando i temi prioritari, come il supporto al microcredito, lo sviluppo sostenibile, l'uso dell'acqua, i sistemi di irrigazione e promozione dei partenariati". (www.medmagazine.net)

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CRISI ED ECONOMIA MEDITERRANEA

Turchia: la nuova via della Seta Giuseppe Mancini – Istanbul Obiettivo 2023: 10.000 chilometri di alta velocità ed estensione totale della rete ferroviaria da 11.000 a oltre 25.000 chilometri. Un reticolo che si espande a vista d'occhio, che mette in comunicazione città prima semi­ isolate favorendone lo sviluppo e che consente un più celere trasferimento delle produzioni industriali verso i mercati interni e d'esportazione. Il ponte è praticamente pronto, mancano solo i collaudi. E' stato realizzato dall'italiana Astaldi, scavalca il Corno d'oro ed è parte integrante della nuova linea della metropolitana che – dal 29 ottobre 2013, l'anniversario della Repubblica – congiungerà la sponda occidentale e orientale di Istanbul attraverso un tunnel sotto il Bosforo. Lo stesso giorno, ci sarà anche un'altra inaugurazione ferroviaria: quella della linea ad alta velocità da Istanbul a Eskişehir, che proseguendo il viaggio consentirà di raggiungere la capitale Ankara in circa tre ore, contro le cinque attuali. Non solo, perché grazie alla Baku­Tbilisi­Kars e alla connessione Aktau­Urumchi – in fase di avanzata costruzione – si verrà a creare un passaggio ininterrotto da Londra alla Cina. E' la nuova “via della Seta” per il trasporto di passeggeri e di merci. La Turchia aspira infatti a diventare un hub nella rete di corridoi multi­modali tra l'Asia e l'Europa. L'alta velocità è una novità recente, in Anatolia. La prima tratta – per l'appunto da Eskişehir ad Ankara – è entrata in funzione nel 2009, quella da Ankara a Konya due anni dopo, mentre il 23 marzo 2013 il primo ministro Erdoğan ha tagliato il nastro della Konya­Eskişehir. Gli obiettivi sono estremamente ambiziosi e sono stati esplicitamente enunciati nel programma elettorale per le politiche del 2011: costruire entro il 2023 – nel centenario della Repubblica – 10.000 chilometri di alta velocità, portare l'estensione totale della rete ferroviaria da 11.000 a oltre 25.000 chilometri. Un reticolo che si espande a vista d'occhio, che mette in comunicazione città prima semi­isolate favorendone lo sviluppo e che consente un più celere trasferimento delle produzioni industriali verso i mercati interni e d'esportazione. Solo per l'alta velocità è previsto un investimento complessivo – comprensivo dei lavori già eseguiti – di circa 20 miliardi di euro. Sempre il 23 marzo, il premier turco ha più concretamente annunciato la costruzione entro il 2015 – anno in cui si terranno le prossime elezioni nazionali – di altre 14 linee, a partire dalla Istanbul­Izmir. Congiungeranno inoltre Eskişehir – snodo dell'Anatolia interna – alle province di Afyon, Bursa, Izmir, Kırıkkale, Manisa, Sivas, Uşak, Yozgat; Konya a quelle di Adana, Gaziantep, Karaman, Mersin, Osmaniye. Le altre previste, per un successivo futuro, sono Bursa­Izmir, Eskişehir­Antalya, Erzincan­Trabzon, Sivas­Erzincan, Kars­

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Diyarbakır. Nel frattempo, la compagnia statale Tdcc, dal 2009 al 2013 ha già accolto sui suoi treni nove milioni e mezzo di passeggeri, tutti sottratti ai potenti operatori di bus extra­urbani che hanno tratto vantaggio per decenni da una rete ferroviaria – alternativa debolissima – assolutamente inadeguata per uno stato moderno e in crescita. L’obiettivo è portare il traffico passeggeri e merci su rotaia ­ oggi a un livello ancora bassissimo ­ rispettivamente al 15% e al 20% del totale (ovviamente, quando tutto il sistema sarà completato, entro il fatidico 2023). In questa determinatissima opera di innervamento, indispensabile per sostenere lo sviluppo economico della Turchia, i fondi di pre­accessione forniti dall'Unione europea – insieme ad altri finanziamenti internazionali – si sono rivelati indispensabili per tenere il bilancio sotto controllo. Già dal 2003, con un primo piano quinquennale lanciato dal governo da poco in carica dell'Akp, alla componente monetaria si è aggiunta quella legislativa: l'adeguamento progressivo all'acquis comunitario. Questo processo si è fondamentalmente concluso grazie alla legge approvata lo scorso 24 aprile – dopo un precedente decreto del 2011 – per la liberalizzazione del settore, in base ai principi già esistenti per autostrade e aeroporti. In concreto, la nuova legge sancisce una separazione tra infrastrutture e servizi ferroviari. Se ne occuperanno due società distinte. La Tdcc manterrà la proprietà della rete, avrà il compito di proseguire col suo ampliamento – come previsto – e di gestirla; la novità è che operatori esterni potranno essere autorizzati a costruire delle tratte secondo il modello “build­operate­transfer”: costruirle, assicurarne il funzionamento (per al massimo 49 anni) in cambio dei proventi dell'attività, e cedere la proprietà al pubblico. Verrà poi costituita una seconda compagnia statale, la Türk Tren, che proporrà servizi commerciali di trasporto passeggeri e merci, ma lo farà in regime di concorrenza, perché il settore sarà aperto a operatori privati che potranno ricevere tratte in affidamento oneroso. Per garantire il buon funzionamento del sistema – che secondo i piani entrerà completamente in vigore nell'arco di cinque anni – e determinare assegnazioni e costi, la Direzione generale dei trasporti ferroviari in seno al relativo ministero è stata trasformata in “autorità regolatrice”. Si attendono cospicui benefici: per le casse dello stato, che avrà meno compiti e non sarà più costretto a elargire sussidi, per i viaggiatori e gli operatori economici in virtù dell'effetto concorrenza sulle tariffe di mercato. O almeno per le tratte a maggiore redditività, perché il pubblico continuerà a sovvenzionare i servizi passeggeri – soprattutto nelle zone depresse del paese – strutturalmente in perdita, ma considerati essenziali.

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Smart grids: AEC, ICT Europe ed Enel, insieme in Arabia Saudita Firmato a giugno un Memorandum of Understanding (MoU) finalizzato all’implementazione delle smart grids nel Regno dell'Arabia Saudita e nei Paesi della Cooperazione del Golfo. A giugno a Ryad, Arabia Saudita AEC, Europa ICT ed Enel hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) finalizzato all’implementazione delle smart grids nel Regno dell'Arabia Saudita e nei Paesi della Cooperazione del Golfo (CCG), ossia Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain ed Oman. Forte di un’esperienza decennale nell’Advanced Meter Infrastructures (AMI) e di ottimi rapporti di lavoro con le utility locali, Advanced Electronics Company (AEC) ha scelto di collaborare con ICT Europe ed Enel, quest’ultima dotata di tecnologia testata sul campo e di competenza internazionale in materia di Smart Metering e Smart Grids, per supportare questa tecnologia in continua evoluzione con le capacità locali. Le tre società hanno siglato un protocollo d'intesa con un focus primario sulla fornitura di prestazioni di classe mondiale nelle smart grids e nella distribuzione dell’energia. Questa collaborazione è una risposta al piano del Regno dell'Arabia Saudita volto ad abbracciare la tecnologia Smart Grid. Il trend energetico oggi si sta muovendo rapidamente verso reti integrate, che consentono una migliore gestione degli asset, della domanda di picco ed una migliore risposta ai guasti. Oltre all'efficienza ed all’affidabilità, le tecnologie Smart Grid possono raggiungere una più facile integrazione delle fonti di energia rinnovabili, come l'energia solare. I potenziali guadagni in termini di efficienza e di distribuzione di energia possono inoltre rafforzare ulteriormente la sicurezza energetica della regione, dal momento che i paesi GCC attualmente dipendono per lo più dai combustibili fossili per il loro fabbisogno energetico. Questo protocollo d'intesa permetterà ad AEC di aumentare il suo “technical footprint” nelle utility locali, consentendo di beneficiare della comprovata competenza industriale di Enel nel settore energetico. Questa collaborazione unisce le tecnologie locali e internazionali nei settori delle Smart Grids, Advanced Metering Infrastructure, reti di automazione, sistemi di gestione di distribuzione e Smart City, fornendo servizi operativi ad alto valore per aiutare i clienti finali e migliorare significativamente l'efficienza di funzionamento. “È un passo importante nel contesto di espansione della nostra catena di valore in tutta la regione. La collaborazione con ICT Europe ed Enel farà progredire in modo significativo le nostre soluzioni per le smart grids. Questo protocollo d'intesa consente di trasferire tecnologie, creando opportunità di lavoro per i talenti nazionali, integrando allo stesso tempo le necessità delle utility locali e le iniziative nel settore delle rinnovabili come quelle guidate da King Abdullah City for Atomic and Renewable Energy (K.A.CARE)

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e dalla National Electricity Cogeneration Regulatory Authorities (ECRA)”, ha affermato Ghassan Al­Shibl, Presidente e CEO di AEC. Siamo un player globale per le soluzioni di reti intelligenti e questa collaborazione rappresenta una tappa ulteriore per affermare la nostra leadership. Con una comprovata esperienza di 38 milioni di contatori elettronici in Italia, 13 milioni di nuova generazione in fase di installazione in Spagna, più di 24.000 MW di generatori distribuiti collegati alla nostra rete di distribuzione e una qualità del servizio di alto livello, che dal 2001 ad oggi è migliorato di oltre il 60%, siamo lieti di contribuire a diffondere le tecnologie delle Smart Grid in Arabia Saudita e tutti i Paesi della Cooperazione del Golfo ", ha commentato Livio Gallo, Direttore Infrastrutture e Reti di Enel. Il CEO di ICT Europe, Francesco Costanzo, ha affermato che “in quanto ‘boutique investment bank’ e co­sviluppatore di business, la nostra ‘vision’ è quella di colmare i divari tecnologici che esistono nel mercato saudita, portando importanti aziende tecnologiche internazionali, come Enel Distribuzione, che sono disposte a trasferire tecnologie e ad investire nel Regno di Arabia Saudita, attraverso forti e credibili partner locali, come AEC. Il nostro compito non è solo quello di favorire e gestire il rapporto tra i partner, ma anche quello di investire in promettenti opportunità, come le Smart Grid, che costituiscono un ottimo esempio del nostro modello di business". (ItalPlanet News)

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Oman: ora tocca all'Italia Una via aperta dalla politica e che ora sta all'imprenditoria allargare e consolidare in l'Oman, paese che ''ha una storia di cultura e rispetto del paesaggio che lo rende diverso da tutto il resto del Golfo''. Secondo il ministro degli Esteri Emma Bonino in visita a Muscat a luglio, l'''importanza'' sta ''non solo nel consolidare rapporti già costituiti, ma nell'aprire spazi di collaborazione nuovi in settori che a loro interessano e sui quali noi abbiamo una grande capacita'''. Bonino lancia cosÏ la sfida agli imprenditori: ''Ora tocca a voi''. Che siano ferrovie o porti, restauro o musica, gli omaniti vedono non solo nei grandi gruppi ma anche ''nella piccola e media impresa italiana un punto di riferimento importante'', spiega la titolare della Farnesina, attenta a sottolineare quanto la particolarita' di questo Paese stia anche nell'esistenza di ''un'alta borghesia acculturata'' della quale e' espressione un sultano ''visionario' come Qaboos, invitato da Giorgio Napolitano a Roma. E che, oltre ad amare la musica e a costruire per questo la sontuosa Royal Opera House che vorrebbe aprire una cooperazione permanente con le istituzioni musicali italiane, punta a creare una ''classe media'' sostenuta proprio dallo sviluppo delle piccole e medie imprese. Secondo Massimo Rustico, coordinatore per l'estero dell'Ance (Associazione nazionale costruttori edili), ''i nostri amici omaniti hanno un enorme bisogno di know how perche' il tessuto industriale di questo Paese e' fatto di piccole e medie imprese al di la' di quei tre o quattro grandi gruppi'' e per questo ''organizzeremo una missione con l'aiuto della Farnesina''. Sulla stessa lunghezza d'onda la vicepresidente di ConfindustriaAssafrica e Mediterraneo, Maria Donata Gentile: ''Si e' aperta una straordinaria opportunita' di cui l'Italia ha bisogno e l'obiettivo e' quello di supportare le piccole e medie imprese perche' operino in sinergia con le omologhe locali''. Di spazio, e tanto, ce n'e' anche per i grandi gruppi, arrivati a Muscat con Emma Bonino. L'Oman sta realizzando un complesso piano infrastrutturale che mira a collegare in maniera integrata il Paese attraverso una rete di porti, aeroporti, strade, ferrovie. ''Se siamo bravi a metterci insieme coscienziosamente e fare una proposta concreta del sistema Paese ­ osserva Giuseppe Cafiero, vicepresidente di Astaldi ­ probabilmente si e' aperta una porta per un grande sviluppo dei mercati italiani in Oman''. E Renato Casale, ad di Italferr che e' in dirittura d'arrivo per una gara sullo sviluppo della rete ferroviaria, ricorda che nel corso della visita di Bonino e' giunta la conferma che il settore, per Muscat, ''e' una priorita'''. ''E' senz'altro nostro interesse dare seguito rapidamente a quest'alleanza proficua tra il

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potenziale omanita e la nostra leadership tecnologica nel settore petrolifero'', aggiunge Valerio Maussier, direttore delle relazioni istituzionali di Tenaris. ''Vedere un Paese che fa dei programmi di crescita e' un po' di aria nuova, e non ci siamo piu' abituati'' sintetizza Duccio Astaldi, presidente di Condotte. (Fonte: ANSAmed)

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Egitto: WB e cooperazione italiana supportano il piano di rinnovamento delle ferrovie Da World Bank un finanziamento di 305 milioni di dollari per migliorare affidabilità, efficienza e sicurezza dei servizi. L’Italia collabora al Piano di Ristrutturazione e Sviluppo di Egyptian National Railways. Un team di esperti della Banca Mondiale ha effettuato una missione tecnica al Cairo nell’ambito dell’Egyptian National Railways Restructuring Project (ENRRP), un intervento del valore complessivo di circa 305 milioni di dollari USA e della durata prevista di 8 anni (2009­2017), co­finanziato dalla stessa Banca Mondiale. Il Programma intende fornire assistenza al Governo egiziano per migliorare affidabilità, efficienza e la sicurezza dei servizi ferroviari. Obiettivo della missione è stato quello di valutare lo stato di avanzamento dell’iniziativa, con particolare riferimento a: ­ affidamento di gare d’appalto per la modernizzazione dei sistemi di segnalazione lungo le linee Cairo­Alessandria e Beni Suef­Assiout; ­ rinnovamento delle infrastrutture (binari) lungo la linea Cairo­ Aswan; ­ aggiornamento delle pratiche gestionali e operative delle ferrovie egiziane. Nel quadro della missione era, infine, prevista la realizzazione di un seminario volto a condividere buone pratiche internazionali. In questo contesto sono intervenuti anche i manager italiani di Ferrovie dello Stato, impegnati nel quadro del programma di sostegno al Piano di ristrutturazione e sviluppo di Egyptian National Railways finanziato, per un valore complessivo di 8 milioni di euro dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri. Il Ministro dei trasporti egiziano, Hatem Abdel Latif Hatem, ha quindi deciso di coinvolgere i manager in un gruppo di lavoro ad hoc, a cui partecipano anche funzionari delle Ferrovie egiziane, che sarà impegnato nell’analisi e nella definizione di raccomandazioni relative a cinque tematiche strategiche: ­ nuova legislazione in materia di sistemi ferroviari; ­ metodologie di finanziamento per realizzazione e mantenimento delle infrastrutture; ­ linee guida per i contratto di servizio pubblico nelle ferrovie; ­ rinnovamento del trasporto merci con coinvolgimento del settore privato; ­ razionalizzazione della gestione del personale e definizione di una strategia flessibile in grado di rispondere ai bisogni del mercato. È da rilevare che anche il rapporto degli esperti della Banca

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Mondiale sottolinea l’esigenza di estendere la durata dell’assistenza tecnica italiana oltre il 2014 per affrontare gli aspetti relativi alla riforme delle Ferrovie egiziane. Infine il ministro egiziano dei trasporti, Latif Hatem, ha auspicato la realizzazione di uno studio di fattibilità sul raddoppio della linea ferroviaria nazionale Alessandria­Cairo­Aswan il cui finanziamento potrebbe essere inserito nella terza fase del Programma italiano di conversione del debito. (Fonte:www.infomercatesteri.it)

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Turchia: il Parlamento approva la riforma del settore petrolifero Il Parlamento turco ha approvato un progetto di legge governativo che mira a liberalizzare il settore petrolifero. Fra le novità previste, la nuova normativa rivede le procedure (e la relativa tempistica) per la richiesta e il rilascio delle concessioni per le esplorazioni. Al fine di rendere più efficiente l’utilizzo delle risorse del Paese, non sarà possibile mantenere per lungo tempo la titolarità di una licenza senza effettuare i relativi investimenti. Inoltre, il territorio turco, che è attualmente diviso in 18 aree, sarà diviso in due macro regioni: onshore e offshore (e quest’ultima a sua volta in acque territoriali interne ed esterne). Infine, verrà completamente eliminato il numero massimo di licenze cha ogni singola società può ottenere per ciascuna area e verranno riviste alcune delle norme che attualmente favoriscono la Turkish Petroleum Company (TPAO). Tra gli obiettivi del Governo, secondo il Ministro dell’Energia Taner Yildiz, vi è la trasformazione di TPAO in una società che opera con maggiore flessibilità sui mercati internazionali, a prescindere dal suo status (statale, privata o quotata in borsa). A fronte delle critiche dell’opposizione, per la quale la nuova normativa indebolirà la società statale, Selami İncedalcı, Direttore Generale per gli Affari Petroliferi del Ministero, ha dichiarato alla stampa che il nuovo progetto di legge non indebolirà TPAO. Al contrario, questa potrà ottenere molte più licenze per attività di esplorazione e perforazione per petrolio e gas”. Secondo la normativa attualmente in vigore, infatti, la TPAO può acquistare più licenze in ciascuna regione del Paese, a condizione che il numero totale non superi di dieci volte il numero delle regioni petrolifere. Con la nuova normativa, sebbene TPAO perda alcuni privilegi rispetto alle altre società di esplorazione, viene rimossa la limitazione del numero delle licenze per regione. Secondo rappresentanti dell’opposizione, invece, TPAO dovrà ora “sfidare le aziende private nelle future gare d'appalto e perderà i privilegi garantiti dal fatto di essere una società statale. Con le privatizzazioni degli anni scorsi, TPAO è stata già privata delle proprie raffinerie e della rete di stazioni di rifornimento e il nuovo provvedimento la renderà molto meno competitiva all'estero. Le motivazioni che hanno portato il governo a rivedere la normativa, che risale al 1954 e che da più parti era considerata non più adeguata, sarebbero da ricondurre al bisogno del governo turco di reperire più fondi dall’estero per finanziare le attività di esplorazione e perforazione. Per il Ministro dell'Energia Yildiz, il processo di liberalizzazione favorirà la concorrenza e spingerà più soggetti a investire nel Paese. (Fonti: ICE Istanbul e Ambankara)

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UPM: lancio del nuovo programma Logismed Il 17 giugno si è tenuto a Barcellona il lancio ufficiale del nuovo programma dell'Unione per il Mediterraneo 'Logismed', con il sostegno dell'Ue. Logismed è un progetto del valore di 3 milioni di euro per un periodo di quattro anni e sarà realizzato dalla Banca europea d'investimenti (Bei). Il nuovo programma dell'Upm, che punta a migliorare il settore della logistica e quindi a migliorare gli scambi commerciali, è mirato su Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto e Giordania, tutti Paesi che stanno attualmente portando avanti importanti riforme e investimenti nei settori di logistica e commercio. ''Il settore della logistica della regione del Sud del Mediterraneo ­ commenta il commissario Ue alla politica di vicinato, Stefan Fule ­ gioca un ruolo essenziale nel rilanciare lo sviluppo economico e facilitare il commercio fra le due sponde del bacino, per cui una forza lavoro con adeguate capacità è vitale. Le attività sostenute dal programma adottato oggi ci aiuteranno a raggiungere questo scopo''. Fornendo programmi di formazione specifici, facendo campagne di comunicazione e facilitando la certificazione dei professionisti, l'Ue punta a migliorare gli scambi commerciali fra i partner del Sud del Mediterraneo e i 27, aumentando l'integrazione economica della regione. Il programma sarà complementare agli sforzi dell'Ue per lo sviluppo di piattaforme logistiche nel Mediterraneo meridionale. Logismed coinvolge i settori pubblico e privato ed è supportato dai 43 Paesi dell'Unione per il Mediterraneo.

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Ue­Algeria: prima intesa su energia A luglio l'Ue ha firmato con l'Algeria un memorandum di intesa sull'energia stabilendo un quadro di cooperazione che copre idrocarburi, rinnovabili, efficienza energetica, la riforma di norme e regolamenti, la progressiva integrazione dei mercati dell'energia, lo sviluppo delle infrastrutture di interesse comune, il trasferimento di tecnologia e lo sviluppo locale. Prove concrete di avvicinamento fra Ue e Algeria, con la firma di un memorandum di intesa sull'energia. Ad annunciarlo il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, al termine della sua visita ad Algeri. Nel campo dell'energia ''l'Algeria è un partner chiave per l'Ue, a livello bilaterale e regionale'', ha affermato Barroso. ''Il gas è una sfida strategica per le due parti: l'Algeria è il principale fornitore dell'Europa e l'Europa è di gran lunga il principale cliente dell'Algeria'', ha sottolineato il presidente della Commissione Ue, spiegando che l'intesa quadro appena firmata ''stabilisce un quadro di cooperazione'' che copre idrocarburi, rinnovabili, efficienza energetica, la riforma di norme e regolamenti, la progressiva integrazione dei mercati dell'energia, lo sviluppo delle infrastrutture di interesse comune, il trasferimento di tecnologia e lo sviluppo locale. ''Questo memorandum ­ ha affermato Barroso ­ riflette i nostri forti interessi comuni e sarà applicato nel rispetto delle leggi e delle regole in vigore''. L'obiettivo dell'Ue è quello di allargare la cooperazione con Algeri in tutti i campi, incluso quello dell'immigrazione, un altro tema ''di comune interesse sul piano umano ed economico'', ha detto Barroso. ''Vogliamo stabilire un dialogo sulla migrazione, la mobilità e la sicurezza ­ ha annunciato il presidente della Commissione Ue ­ che consentirà progressi concreti su temi importanti come la mobilità delle persone, i visti e il controllo delle frontiere''.

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Marocco: in arrivo 35 mln di euro dal programma Spring Oltre 385 milioni di dirham (35 milioni di euro) in arrivo dall'Unione europea in Marocco per la seconda fase del programma Spring. Secondo quanto riferisce il sito di Enpi (www.enpi足info.eu), i fondi dovranno essere destinati a progetti legati alla trasformazione democratica e al rafforzamento delle istituzioni, ma anche a una crescita economica sostenibile. Il programma Spring, che dispone di un bilancio complessivo di oltre 500 milioni di euro per il periodo 2011足2013, punta a sostenere i partner dell'Ue nel Sud del Mediterraneo nel loro processo di transizione democratica e ad aiutarli a fronteggiare le urgenti sfide socio足economiche che stanno affrontando. ''Questo sostegno dimostra che le istituzioni europee hanno fiducia nell'impegno del Regno rispetto al processo di democratizzazione e di riforma e riconosce i significativi progressi nella partnership fra Ue e Marocco'', ha detto Rupert Joy, capo della delegazione Ue a Rabat. Il procedente stanziamento di Spring per il Marocco 竪 stato di 880 milioni di dirham, diretto al Consiglio nazionale dei diritti umani e delegazione interministeriale per i diritti umani, ma anche all'assistenza sanitaria nelle zone rurali. A essere finanziati inoltre tre progetti legati a occupazione, istruzione e sostegno alla strategia di consulenza aziendale.

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SVILUPPO E PARTENARIATO EUROMED

In Turchia la 9ª edizione del Mediterranean Engineering Group (MEG) Il nuovo partenariato mediterraneo per l’ingegneria: ad Ankara rilanciata la cooperazione nell’ambito dell’Unione per il Mediterraneo. La capitale turca, attraversata da scontri e manifestazioni contro il Premier Erdogan, ha ospitato il 4 e 5 giugno scorsi la 9ª edizione del MEG ­ Mediterranean Engineering Group, il vertice che riunisce le Associazioni e le società di ingegneria dei Paesi della sponda nord e sud del Mediterraneo. Marocco, Grecia, Turchia, Portogallo, Spagna, Italia e Francia. Questi i Paesi delle sette Associazioni di ingegneria che si sono date appuntamento nella metropoli turca per condividere la situazione dei mercati nazionali ed esplorare opportunità di cooperazione nell'area del Mediterraneo. L’OICE, che è tra i membri fondatori e che ha ospitato a Roma la prima edizione del 2005, ha partecipato con una delegazione guidata dal Consigliere e Responsabile OICE Campania, Giovanni Kisslinger, e composta da Francesco Ruvidi (Studio KR ­ Napoli), Fausto Bisi (Dune ­ Reggio Emilia) e Francesco Fiermonte e Marco Ragusa dell’Ufficio Internazionale dell’Associazione. Il Vertice, organizzato dalla turca ATCEA­Association of Turkish Consulting Engineers and Architects, si è sviluppato in due sessioni di lavoro. Nella prima sono state presentate le opportunità di business connesse all’Unione per il Mediterraneo e ai progetti World Bank nell’area mediterranea, gli strumenti di marketing e lobby dell’EFCA e la prossima Conferenza FIDIC di Barcellona. La seconda sessione è stata dedicata a presentazioni tematiche nei settori dello sviluppo sostenibile e dell’antisismica. Per l’OICE, la società Dune ha svolto un intervento sull’approccio italiano alle tecnologie antisismiche e al restauro di monumenti danneggiati dal terremoto. La società turca In­Arch, partecipata dalla italiana Studio KR, ha fatto una presentazione sull’isolamento sismico e tecnologie strutturali di monitoraggio sanitario. Molto apprezzati gli interventi italiani, sono stati richiamati nel discorso finale del Presidente ATCEA, Demir Inozu, che ha anche encomiato il modello commerciale di Studio KR in Turchia. “Il MEG ­ ha commentato il coordinatore della missione Kisslinger ­ si conferma una straordinaria opportunità di contatti per le società e un network importante per sviluppare partnership operative. Per l’OICE ­ ha aggiunto ­ può diventare un utile strumento per favorire la costituzione di reti multinazionali e quindi il processo di internazionalizzazione”. “Tuttavia ­ ha detto Francesco Ruvidi, di Studio KR ­ bisogna rendere operativa la proposta di un database di società di ingegneria MEG per favorire la ricerca dei partner e

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condividere informazioni su progetti e appalti”. L’incontro si è chiuso con l’impegno di strutturare al meglio la comunicazione interna ed esterna del MEG e di avviare una fase costituente per istituzionalizzare un appuntamento che sarà sempre più essenziale per l’ingegneria mediterranea. Il prossimo incontro si svolgerà a Barcellona dal 15 al 18 settembre 2013, in occasione della FIDIC Centenary Conference. E da Ankara arriverà un MEG più forte. (Italplanet)

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APPROFONDIMENTI

Rapporto Wto: più attenzione all’ambiente e alla gestione delle risorse Secondo il “World Trade Report 2013 – Factors shaping the future of world trade” dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), «il futuro del commercio mondiale e del sistema commerciale mondiale sarà plasmato da diversi fattori economici, politici e sociali». Presentando il rapporto, il direttore della Wto Pascal Lamy ha detto: «Dimostra l’affermazione della globalizzazione e l’aumento dell’interdipendenza degli scambi commerciali e gli effetti che possono avere su degli elementi esterni. La trasformazione del commercio è in corso da qualche tempo. Si manifesta più chiaramente nella partecipazione geografica più ampia al commercio e nell’aumento della produzione internazionale nella catena di fornitura». «Un elemento che si distingue chiaramente nel rapporto – ha aggiunto – è l’importanza del commercio per lo sviluppo. Le previsioni e le riflessioni contenute in questo rapporto non prevedono un rovesciamento della globalizzazione. Ma dobbiamo ricordare che i guadagni che ne derivano possono essere annullati o almeno mitigati se le pressioni a breve termine ignoreranno gli interessi a lungo termine, e se verranno trascurate le sue conseguenze sociali in termini di irregolarità dei suoi benefici. Questo è il motivo per cui sono necessari nuovi sforzi per rilanciare la vitalità del sistema commerciale globale». Danny Quah, della London School of Economics and Political Science, ha evidenziato che «uno dei più grandi avvenimenti degli ultimi 20 anni è l’integrazione di numerosi Paesi in via di sviluppo nell’economia mondiale ed il loro emergere come protagonisti chiave del commercio internazionale». Le cifre fornite dal rapporto raccontano di una globalizzazione che rischia di lasciare ai margini la vecchia e ricca Europa: «Le importazioni dell’Africa sono aumentate più rapidamente di quelle di ogni altra regione, con il 11,3%, seguita dal Medio Oriente (7,9%)» e il Wto avverte che «se l’India, i Paesi del Medio Oriente e l’Africa subsahariana riuscissero a rafforzare le loro istituzioni pubbliche ed a mantenere delle politiche economiche aperte, potrebbero diventare le economie più dinamiche del mondo». Riguardo all’altro gigante economico, la Cina, il rapporto Wto 2013 sottolinea che «è in un processo di accumulazione rapida di capitale. Così potrebbe trovare una nuova fonte di vantaggio competitivo nelle esportazioni a più forte intensità di capitale». Il World Trade Report 2013 punta l’attenzione sull’importanza della tecnologia e della politica e dice che «il futuro del commercio dipenderà da elementi quali l’investimento, la demografia, la tecnologia, la disposizione e la disponibilità di energia e delle altre risorse naturali, i costi dei trasporti e le istituzioni». Patrick Low, uno dei redattori del rapporto e direttore della divisione ricerca e statistiche della Wto, ha ricordato che «il

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mondo cambia ad una velocità incredibile a causa di diversi fattori quali i modelli di produzione e di consumo, l’innovazione tecnologica permanente, i nuovi modi di fare il commercio e la politica» e il rapporto conferma che «il forte calo dei costi di trasporto e delle comunicazioni è il fattore che ha plasmato il sistema commerciale mondiale attuale. Anche la geopolitica ha giocato un ruolo decisivo, rafforzando queste tendenza strutturali». Il commercio mondiale delle merci, 18.000 miliardi di dollari, e dei servizi commerciali, 4.000 miliardi di dollari, negli ultimi 30 anni è aumentato in media di circa il 7% all’anno e ha raggiunto il livello record nel 2011. «Ormai il commercio dei servizi rappresenta circa il 50% del commercio mondiale – ha detto Low – Questa tendenza potrebbe accentuarsi in futuro con l’aumento dei costi dell’energia. Nel commercio mondiale dei prossimi anni assisteremo all’emergere di catene di valore internazionali, alla comparsa di nuove forme di regionalismo, alla crescita del commercio dei servizi, all’aumento e ad una maggiore volatilità dei prezzi dei prodotti di base, alla progressione delle economie emergenti ed all’evoluzione della percezione dei legami tra il commercio, il lavoro e l’ambiente. Queste tendenze costituiranno delle nuove sfide che l’Omc dovrà affrontare». Uno dei driver più significativi del cambiamento è la tecnologia: «Non solo le rivoluzioni nel settore dei trasporti e delle comunicazioni hanno trasformato il nostro mondo – spiega il rapporto Wto – ma i nuovi sviluppi, come la stampa 3D, e la continua diffusione delle tecnologie dell’informazione continueranno a farlo. Il commercio e gli investimenti diretti all’estero, insieme ad una maggiore diffusione geografica della crescita del reddito e delle opportunità, integrerà un numero crescente di Paesi in più ampio scambio internazionale. Redditi più alti e popolazioni più grandi provocheranno nuove tensioni sulle risorse rinnovabili e non rinnovabili, generando una ancora maggiore necessità di una gestione attenta delle risorse. Uno sforzo maggiore deve essere dedicato ad affrontare le questioni ambientali». Per quanto riguarda la politica, «le istituzioni economiche e politiche continueranno ad avere un ruolo significativo da svolgere nella definizione della cooperazione internazionale, anche nel commercio, così come nell’interazione dei costumi culturali tra i Paesi. Misure non tariffarie avranno più risalto e la convergenza normativa probabilmente costituirà la più grande sfida per il sistema commerciale del futuro. Il futuro del commercio sarà anche influenzato da come i politici e le politiche affronteranno con successo i problemi della crescente preoccupazione sociale, come ad esempio la disponibilità di posti di lavoro e la persistente disparità di reddito, così come le preoccupazioni ambientali». (Fonte: Greenreport.it)

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APPROFONDIMENTI

Percentuali da pre­crisi per l'export italiano Marcella Rodino Esportazioni di nuovo ai livelli pre­crisi e saldo positivo della bilancia commerciale. Ancora troppa Europa però nel basket dei nostri mercati esteri, come emerge dallo studio della DGSP della Farnesina. Secondo la 27° edizione del Rapporto ICE, uscita a metà luglio, su struttura e dinamiche del commercio estero, aumentano le imprese italiane esportatrici. Sono migliaia le imprese di piccole e piccolissime dimensioni che si sono affacciate all’estero, spesso per la prima volta. Le esportazioni di beni italiani del 2012 hanno superato i 389 miliardi di euro, tornando ai livelli pre­crisi e portando la bilancia commerciale in avanzo di circa 11 miliardi. E' quanto emerge dallo studio della DGSP della Farnesina e da Rapporto ICE su struttura e dinamiche del commercio estero e del processo di internazionalizzazione. Secondo il Rapporto della Farnesina i dati provvisori sulle esportazioni del mese di marzo 2013 indicano una lieve contrazione rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (34 miliardi contro 36 miliardi) ma il cumulato dei dodici mesi terminanti al marzo 2013 mostra invece un aumento dell’export del 2,3% sui dodici mesi terminanti al marzo 2012. Il saldo commerciale dei dodici mesi terminanti al marzo 2013 riporta un avanzo di 25 miliardi di euro. Dopo la contrazione del 2009 (­21%) dei flussi commerciali in uscita, gli anni successivi hanno mostrato tassi di crescita sempre positivi, benché in rallentamento nell’ultimo anno (3,5% nel 2012 rispetto al 2011 contro l’11,4% del periodo precedente). I principali settori di esportazione italiani al dicembre 2012 sono macchinari ed apparecchiature (che pesano per oltre il 18%). Aggiungendo gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto, tale settore arriva a pesare per oltre il 27% delle esportazioni di beni. Il sistema moda – prodotti tessili, prodotti di abbigliamento e prodotti in pelle – pesa per l’11% delle esportazioni italiane. Seguono i prodotti della metallurgia (con l’8,5%) e l’agroalimentare (prodotti alimentari e prodotti dell’agricoltura, 6,6%). Dal punto di vista geografico, l’Unione Europea resta il principale partner, assorbendo il 54% delle esportazioni italiane nel 2012, ma in calo (nel 2005 assorbiva il 61% dell’export). Seguono i Paesi europei non appartenenti all’UE (che pesano per il 14%), l’Asia orientale (7,8%), l’America settentrionale (7,6%), il Medio Oriente (4,9%), l’America centro­meridionale (3,9%), l’Africa settentrionale (3,5%), l’Asia centrale (1,4%), l’Africa Sub­Sahariana (1,4%) e l’Oceania (1,1%). Tre paesi assorbono il 30% dell’export italiano, rimanendo gli stessi del 2005: la Germania (12,5%), la Francia (11,1%) e gli Stati Uniti (6,9%). I tre paesi citati, pur essendo i principali mercati di sbocco, stanno lentamente perdendo peso, a vantaggio principalmente della Turchia (che da un peso del 2,1% nel

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2005 è passata al 2,7 nel 2012), della Russia (dal 2 al 2,6%), della Polonia (dall’1,9 al 2,4%), della Cina (dall’1,5 al 2,3%), degli Emirati Arabi Uniti (dallo 0,9% all’1,4%), del Brasile (dallo 0,7 all’1,3%), dell’Arabia Saudita (dallo 0,6% all’1%), dell’Algeria (dallo 0,4% all’1%) e del Messico (dallo 0,7% all’1%). Per quanto riguarda la distribuzione delle esportazioni sul territorio italiano, secondo il Rapporto ICE, sono aumentate in linea con la media nazionale le esportazioni dell’Italia nord occidentale, mentre nell’Italia nord­orientale si è verificato un rallentamento, anche per le conseguenze del sisma in Emilia Romagna. Alla crescita relativamente più rapida delle vendite all’estero dell’Italia centrale hanno contribuito in gran parte le vendite di oro non monetario della Toscana. A eccezione di Sicilia e Sardegna, al cui aumento hanno largamente contribuito i prodotti petroliferi raffinati, e Puglia, si sono ridotte le esportazioni delle regioni del Mezzogiorno. È ulteriormente cresciuto il numero di imprese esportatrici, in controtendenza rispetto al 2010, forse anche grazie al traino di un euro più debole. L’incremento si deve prevalentemente agli operatori più piccoli: migliaia di imprese di piccole e piccolissime dimensioni si sono affacciate all’estero, spesso per la prima volta. Insieme al continuo ingresso di nuove imprese esportatrici i dati confermano che la crisi ha avviato un processo di selezione tra le imprese stabilmente esportatrici, testimoniato dalla generale diminuzione della loro numerosità negli ultimi anni. "Il nuovo rapporto ICE conferma che l’export italiano, nonostante le difficoltà della crisi globale, continua a espandersi e a rappresentare una delle voci più dinamiche del nostro Pil” ha dichiarato il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato. “Sono sempre più le piccole e medie imprese che si affacciano sui mercati globali” ha proseguito “alla ricerca di nuove opportunità di business e di aree di mercato in cui inserirsi. Il nostro compito deve essere quello di restare al loro fianco, supportandole concretamente dal punto di vista promozionale, organizzativo, finanziario e assicurativo. Gli strumenti ci sono, ma è necessario potenziarli e farli funzionare in modo sempre più organico. Nella Cabina di Regia per l’internazionalizzazione, che presiedo insieme al ministro Bonino, abbiamo definito le principali linee guida su cui concentrarci da qui fino a fine 2014. Subito dopo l’estate, partirà un roadshow su tutto il territorio italiano, che consentirà a un grande numero di imprese di conoscere le opportunità messe a disposizione per affrontare le sfida di andare oltreconfine. Esportare made in italy significa portare l’immagine del nostro Paese in giro per il mondo e dimostrare che l’Italia sa lavorare e produrre qualità in modo fortemente competitivo. Ci aspettiamo inoltre soluzioni efficaci sul fronte dell’attrazione degli investimenti diretti esteri dall’iniziativa Destinazione Italia, avviata dallo scorso Cdm” ha concluso Zanonato.

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IDE in uscita dall'Italia

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I flussi di investimenti italiani in uscita nel 2012, secondo la Farnesina, sono stati di 23,2 miliardi di euro, in contrazione del 40% rispetto all’anno precedente. I flussi in uscita nel primo trimestre 2013 sono stati di 676 milioni (dati provvisori). Sulla base della destinazione geografica al 2011, oltre il 61% di tali flussi erano destinati all’UE27, seguita dai continente asiatico (20,5%), africano (7,3%) e americano (5,6%). Circa i settori, il 47,5% dei flussi di investimenti diretti esteri in uscita dall’Italia nel 2011 è destinato ai servizi, il 28,5% alla manifattura, il 12,8% alle costruzioni. Lo stock degli investimenti all’estero al 2012 è di circa 424 miliardi di euro. La ripartizione settoriale al 2010 vede la forte prevalenza dei servizi (71,6%). Dal punto di vista geografico, il 73% dello stock italiano del 2011 è nell’UE27 e soprattutto nei Paesi Bassi (19,7%), probabilmente per il miglior regime fiscale, in Germania (8,5%) e in Spagna (7,6%); segue il continente americano (8,5%) con gli Stati Uniti che pesano per il 5,2%. Le aree e i paesi citati vedono il loro peso contrarsi lentamente negli anni, pur restando dominanti. Lo stock cresce in particolare nell’area extra­UE (dal 22% del 2008 al 27% del 2011), soprattutto nell’Asia nel suo complesso (dal 4,6 al 6,7%), mentre i paesi maggiormente coinvolti in questo riorientamento sono la Cina (dall’1 all’1,8%) e la Russia (dallo 0,8 all’1,4%).


PALESTRA MEDITERRANEA

Egitto: punto di riferimento fondamentale nel contesto arabo Ambasciatore Angelo Travaglini La realtà medio­orientale è in tumultuoso movimento. Di questo magma incandescente occorrerà valorizzare gli aspetti innovatori, rispettando le sensibilità e la dignità di popoli vittime d’inaccettabili forme di oppressione e dominio. Di seguito proponiamo un'analisi sulle possibili motivazioni del fallimento "Morsi", il quadro economico attuale dell'Egitto, le ripercussioni sulla politica estera e infine i nuovi rapporti con l'Occidente. Scarica versione in pdf.

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PALESTRA MEDITERRANEA

L’Islam politico in Turchia e in Egitto Ambasciatore Angelo Travaglini Alla luce degli eventi prodottisi in Egitto e alla fine dell’esperienza di governo dei Fratelli musulmani, a distanza di appena un anno dall’inizio della loro fallimentare gestione, apparirebbe utile indicare elementi di affinità e differenze rilevabili tra l’organizzazione islamista egiziana e l’analogo movimento al potere in Turchia dal 2002, sull’onda di tre consecutivi successi elettorali registrati dal suo braccio politico, l’AKP (“Justice and Development Party”). Scarica la versione in pdf

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www.paralleli.org Con il sostegno di : Rete Camerale Nord Ovest per il Mediterraneo

Le attivitĂ dell'Istituto Paralleli sono sostenute da:


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