Adattabilità del ciliegio in Valle d’Aosta La notevole diffusione di popolazioni spontanee di ciliegio nei boschi di latifoglie del territorio valdostano è un chiaro segnale dell’adattabilità di questa specie alle condizioni pedo-climatiche della nostra regione. La coltura del ciliegio incontra un notevole interesse anche in zone dove non si è mai diffusa come coltura specializzata, come la Valle d’Aosta, in quanto essa va ad occupare degli ambiti commerciali molto particolari ed occasionali, diversificando l’offerta a livello aziendale e offrendo un prodotto fresco precocemente durante la stagione vegetativa. Attualmente, però, il panorama varietale locale appare ancora attestato su cultivar in genere di difficile identificazione, non sempre produttive né particolarmente pregiate, con piante di un certo volume vegetativo e difficilmente gestibili.
maturazione rispetto alla pianura, un evidente riscontro economico è dato proprio dal fatto che la produzione tardiva di questa specie può venire a coincidere con un importante afflusso turistico nella zona. Rimane tuttavia molto onerosa la pratica di raccolta dei frutti, con una notevole incidenza sui costi di produzione. In passato, infatti, la scelta del portainnesto era legata ad un concetto di cerasicoltura di tipo semi-intensivo, talora marginale, non necessariamente irrigua, con densità di impianto basse, forme di allevamento in volume (vaso), sviluppo della chioma degli alberi in altezza e raccolta con scale. In queste situazioni la scelta del portainnesto, indipendentemente dalla varietà, è sempre ricaduta verso soggetti più vigorosi caratterizzati da elevata rusticità, buon adattamento alle condizioni pedo-climatiche, basse percentuali di mortalità e lunga longevità degli impianti, ma con ricadute negative soprattutto sui tempi di raccolta. In Valle d’Aosta, la raccolta delle ciliegie incide forse in maniera meno evidente rispetto ad altre situazioni, in quanto la realtà produttiva è organizzata su base famigliare, con una ridotta superficie aziendale, spesso condotta parttime, e uno sbocco commerciale strettamente locale, quindi non particolarmente impegnativo. In questi casi, ogni sforzo colturale, soprattutto dal punto di vista della raccolta, può trovare soddisfazioni anche nella ridotta concorrenza di mercato. Tuttavia, per una migliore gestione del ceraseto, risulta interessante la riduzione dello sviluppo vegetativo delle piante mediante l’impiego di portainnesti nanizzanti o seminanizzanti. A tal proposito, tra il 2003 e il 2007, è stato realizzato un impianto di ceraseto con differenti portainnesti, suddiviso in una parcella irrigua e una non irrigua. Nella parcella irrigua, la varietà Lapins è stata provata su 10 portainnesti nanizzanti e seminanizzanti, per verificarne l’efficienza produttiva, e allevata con forme di allevamento e sesti d’impianto differenti, in funzione del vigore dei portainnesti. I portainnesti presi in esame sono i seguenti: Pontaleb, Colt e Santa Lucia 64: piante allevate a vaso con un sesto d’impianto di 5 x 6 m;
La realtà cerasicola valdostana è rivolta soprattutto al consumo famigliare e quindi anche le scelte colturali si indirizzano verso una coltura promiscua non finalizzata ad una razionale specializzazione; ciò non toglie, però, che, qualora questa specie fosse in grado di richiamare l’attenzione dei produttori locali, essa potrebbe svilupparsi adeguatamente sfruttando sia la variabilità degli ambienti di coltura che la diversa precocità delle cultivar. Inoltre, in questa regione, dove la coltivazione in quota permette di dilazionare l’epoca di 71
Innovazione tecnica
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