
a Paola, all’energia delle cose e allo spirito vitale di quelli che furono
To Paola, to the energy of things and to the vital spirit of those who are no longer pentru Paola, pentru energia lucrurilor și spiritul vital ale celor care au fost
a Paola, all’energia delle cose e allo spirito vitale di quelli che furono
To Paola, to the energy of things and to the vital spirit of those who are no longer pentru Paola, pentru energia lucrurilor și spiritul vital ale celor care au fost
A cura di / Editor / Curator
Fare foto è inventare, sempre e comunque. Ed è doloroso e gioioso insieme. Cercasi se stessi è difficile e faticoso, porta fuori dall’anima dolori e ferite che credevi cicatrizzate e invece ricominciano a sanguinare. Guarda diritto negli occhi quel dolore, quella gioia, quelle paure, quell’insicurezza. Quello sei tu. Sei tu quel groviglio di irripetibili avvenimenti, ferite, guarigioni, tutte le persone andate per sempre, tutti i congedi dati per sempre. Sei tu e solo guardandoti potrai trasformarli in sguardo diverso sul mondo, in unicità, in linfa nuova e vitale. Il mondo lontano, che credevi morto, forse può tornare. Forse puoi farlo risorgere, restituirgli una vita, una giovinezza e un vigore nuovi.
Taking photos means creating, period. It is both painful and joyous. Finding yourself is difficult and hard work, it reawakens sorrows and reopens wounds that you thought had healed but which start to bleed again. Look that suffering and that joy, those fears and that insecurity straight in the eye. That’s who you are. You’re that jumble of unique events, hurts, and recoveries, all the people who are gone forever, all the final goodbyes. You are you, and only by taking a good look at yourself will you be able to transform these things into a different way of seeing the world, into something unique, a new and vital lifeblood. The distant world, which you thought was dead, can perhaps return. Maybe you can resurrect it, give it new life, youthfulness and vigour.
A face poze înseamnă a inventa, întotdeauna și în orice situație. Iar acest lucru este dureros și feeric deopotrivă. Căutarea de sine este dificilă și istovitoare, scoate din suflet dureri și răni despre care credem că s-au vindecat, dar, în schimb, încep să sângereze din nou. Privește direct în ochi acea durere, acea bucurie, acele frici, acea nesiguranță! Asta ești tu! Tu ești acel amalgam de evenimente irepetabile, răni, vindecări, toți oamenii plecați pentru totdeauna, fiecare adio spus pentru totdeauna. Ești tu! Și doar privindu-te pe tine însuți, poți transforma amalgamul într-o perspectivă diferită asupra lumii, în unicitate, în limfă nouă și vitală. Lumea îndepărtată, pe care ai crezut-o moartă, s-ar putea să se întoarcă. Poate o poți învia, îi poți da un suflu nou, tinerețe și vigoare.
Giovanni Gastel
Un eterno istante. La mia vita Mondadori, Milano 2015
Ilaria Bignotti
Marcello Grassi. Flânerie al nero
15
Marcello Grassi. Flânerie in Black
21
Marcello Grassi. Flânerie în negru
146
Elenco delle opere
List of works
Lista lucrărilor
150
Antologia critica
Critical Anthology
Antologie critică
160
Biografia
Biography
Biografi
162
Esposizioni personali
Personal exhibitions
Expoziții personale
Principali esposizioni collettive
Main group exhibitions
Principalele expoziții de grup
Bibliografia selezionata
Selected bibliography
Bibliografie selectată
Collezioni e archivi
Collections and archives
Colecții și arhive
Ineluttabile
“Forme nate dalla pietra, altre morte nella pietra. Ombre prigioniere dell’ombra. Antichi occhi, antiche luci, geometrie magiche. Figure che si contorcono nel marmo. Menti dolorose, parole ferite, statue che nascondono il loro volto, rovine [...]”1
Volti che emergono da pozzi neri, gambe e braccia tese in una fuga verso la luce; ali si elevano a misurare lo spazio e una lingua di sole rivela lo sgretolarsi dei muri antichi.
Davanti alle opere fotografiche di Marcello Grassi lo spettatore si sofferma e immerge, passo dopo passo, in un teatro senza tempo, dove densi sipari oscuri appena si sollevano a mostrare ciò che gli occhi dell’artista hanno potuto cogliere, folgorati dalla luce che si è stagliata su quella scultura, su quella rovina, su quel paesaggio.
Una luce che è scavata nel nero.
Un nero che rende visibile la bellezza.
Già analizzata da storici e critici dell’arte di altissima levatura e internazionali, la produzione di Marcello Grassi, che oggi conta una straordinaria e raffinatissima campionatura delle meraviglie antiche che popolano e connotano importanti musei e aree archeologiche, è un percorso che coinvolge sensorialmente e impatta nel nostro sguardo per dipanarsi nelle emozioni, chiamando alla luce le immagini del profondo di ciascuno di noi.
È una sorta di viatico, più che di viaggio, il lavoro svolto da Marcello Grassi in oltre trent’anni di attese e scatti fotografici, un percorso lento e appassionato che egli ha tributato, paziente e febbrile, al patrimonio artistico e architettonico dell’umanità; un percorso che ora noi dobbiamo compiere, osservando e sfogliando in questa pubblicazione le decine di ritratti e le vestigia antiche che Grassi ha raccolto; un viaggio che è un tributo, anche, al rimosso e al dimenticato, alla paura e alla gioia, al corpo e alla morte: innanzitutto alla vita, nel suo scorrere nei tempi e negli spazi, nel suo segnare l’epidermide delle cose e aderire, per un istante, alle nostre inquiete presenze su questa terra.
Ilaria Bignotti
Terra e roccia, pietre dure che il tempo e la mano dell’uomo in ogni tempo hanno estirpato, spostato, sbozzato, scolpito, levigato, rifinito per cercare l’immagine del pensiero, dell’emozione, del mito e del sapere. Del dolore e della speranza. Della violenza e della vittoria. Dell’amore e dell’elegia. L’opera fotografica di Marcello Grassi è una grande finestra nera con persiane di luce schiuse alla vita che non s’arresta, ma s’incide con potente bellezza sulle sue immagini: immagini che l’artista sa cogliere, passeggiando nei musei, attraversando città, sostando un attimo o aspettando lunghe ore. Il tempo, suo compagno ineluttabile, ha scolpito la nera evidenza delle sue opere che spesso ritraggono sculture e gruppi scultorei raccolti, esposti o nascosti, visitati o dimenticati dei più importanti musei internazionali, dal Louvre agli Uffizi, da Arles a Ravenna: non si tratta, mai, di scegliere il capolavoro e immortalarlo sapientemente, ma di lasciarsi, empaticamente, chiamare da questi corpi, da questi gesti, da una colonna sopravvissuta come da un varco che si mescola ai rovi: e di voler mostrare nuovamente queste immagini concrete del tempo, del nostro tempo eterno e misterioso, incalzante e beffardo, con la complicità del momento in cui luce e atmosfera convergono. Archeologo contemporaneo che non vuole tessere le maglie del tempo o ricostruire le vicende della storia, ma far scaturire, dall’immediata potenza dell’immagine appena colta, il potere, appunto, dell’unicità e della pienezza della vita che quel luogo contiene e trasmette, Marcello Grassi “[…] conduce una ricerca che si può ben definire archeologica, poiché capta le tracce delle civiltà scomparse [...] Cerca e trova: guidato da una profonda cultura antica, da un senso poco comune della pietra, da una grande padronanza dei mezzi e da una comprensione radiosa della luce”2. Così scriveva, nel lontano 1997, Charles-Henri Favrod, già direttore del Musée de l’Elysée di Losanna. Per questo la definizione di fotografo a Marcello Grassi va stretta. Nella sua indagine si ritrovano lo sguardo concettuale di chi cataloga, con la maniacale flânerie del poeta, la storia nel suo essere atemporale presenza; si respirano le parole della poesia che la pietra scolpisce, l’oscurità decanta, la luce grida nel teatro delle apparizioni; si delinea la sensibilità dello scultore, nel cogliere ora la pelle erosa di quel volto femminile, ora il guizzo muscolare di questo atleta, ora il chiastico pudore di quella Venere al bagno; si decanta la sperimentazione materica dell’artista visuale, che sa di poter dipingere con la luce e con l’oscurità, restituendo sulla superficie della fotografia trame rarefatte e condensazioni di materia pittorica.
Vi è l’uomo, che dà vita – e senso – a ciò che guarda, che con l’ostinazione della vita appunto riconosce nella pietra scolpita o costruita il potere del tempo rigenerante, di tutti i tempi, delle età dell’uomo nel loro ripetersi imperfette e per questo vive: molte delle statue da egli ritratte sembrano esseri umani, ci chiamano a sé, chiedendoci di aguzzare lo sguardo, di allungare la mano, e di toccarle... abbiamo paura di affondare nel nero che le staglia e inghiotte? Ineluttabili presenze, non possiamo opporci al loro emergere e spalancare, davanti al nostro sguardo, la voragine nera e lo stupore della luce che le disegnano come nuove icone senza tempo, sfingi misteriose che ci interrogano, fatalmente inderogabili. Non ci resta che lasciarci divorare: il tempo le ha forgiate, non hanno più tempo di aspettare.
E noi con loro. Fatalmente uniti, nello scoprirci compagni di un comune destino di trasformazione e mutamento.
Memoria
L’opera di Marcello Grassi è l’opera dell’uomo. Ci racconta del nostro quotidiano lavorio di scolpire la vita: abbiamo rappresentato soldati feriti e donne al bagno; abbiamo consegnato a
un braccio teso l’icona della vittoria e a una mano pudica il mistero della seduzione. In ogni tempo, cerchiamo attraverso le immagini di mettere al mondo ciò che è profondamente ancorato al nostro sentire: ciò che è, potenzialmente, irrappresentabile.
La filosofia ha scritto pagine e pagine su questo tema, cercando, ogni volta e ancora una volta, di rispondere al potere fatale dello sguardo e dell’immagine: guardata, svelata, nascosta, eclatante.
Marcello Grassi lo fa con la sua macchina fotografica.
Raccoglie, paziente flaneur di musei e siti archeologici, le icone della nostra storia, componendo nei decenni un atlante che non ha pretese totalizzanti ed enciclopediche, ma che ogni volta si arricchisce del mistero della bellezza, dello stupore dello sguardo, della fugace scoperta.
La memoria, nell’opera di Marcello Grassi, è Mnemosyne: musa ispiratrice e metodo di catalogazione che non segue un algoritmo, ma insegue la sensibilità dell’artista, nello scoprire quotidiano nuovi luoghi dove sono conservate le tracce del nostro esserci.
L’artista non ci mostra il “già stato”: ci svela il “mai visto”.
Ci consegna nuovi volti, nuovi corpi, e nuovi gesti: li ha scoperti grazie a quel particolare fascio di luce che in quel momento il suo occhio ha colto sul corpo di quella statua.
Lo fa lavorando in presenza: l’artista non sceglie preventivamente cosa fotografare, non costruisce alcun set, non dispone nessuna luce.
Eccitato dall’imprevista visione, frenetico e assorto contempla il museo nel quale si trova: fino a quando, trova. Lì, la rapidità del gesto fotografico condensa l’abilità del fotografo, che deve cogliere quel momento irripetibile. È anche questa precisa tecnica, questo anti-metodo che è un metodo esatto, che fa sì che nel suo lavoro di oltre trent’anni non vi sia un approccio nostalgico o un elogio passatista, né tantomeno una volontà documentaristica: la sua indagine è un atto in continua potenza, una ricerca in fieri, una scoperta al presente, senza nessun sostrato o passato.
“La memoria è il presente di ognuno di noi. Il mio lavoro si rivolge al presente, ad una memoria che chiamo “urgenza”. Non è riconoscibile un tempo determinato in quello che faccio [...] un’opera e un’arte possono trovare asilo solo in un paese senza tempo, in una terra senza orizzonte, in un tempo senza tempo. Un’opera cerca e trova la sua anima dentro la vita e questa è l’unica dimensione temporale nella quale quello che faccio si riconosce [...]”3 .
La riflessione di Claudio Parmiggiani, un artista fondamentale della nostra cultura italiana del XX secolo, che con Grassi condivide l’origine emiliana, puntualmente qui rivendica una comune sensibilità tra i due autori che diversamente lavorano con il tempo e le sue iconografie: se in Parmiggiani tale indagine si traduce in presenze – o meglio, persistenze – fatte di ombre (le sue Delocazioni), in Grassi il problema è quello della impermanenza: tutto muta, le sculture franano, le architetture si impregnano di umidità o si spaccano al sole, quella pelle marmorea si corrode con la polvere e grandi ali vittoriose un giorno forse collasseranno a terra: tutto ritorna grezza roccia, pura mineralità, aria e terra.
“Dal giorno in cui una statua è terminata, comincia, in un certo senso, la sua vita. È superata la prima fase che, per opera dello scultore, l’ha condotta dal blocco alla forma umana; ora una seconda fase, nel corso dei secoli, attraverso un alternarsi di adorazione, di ammirazione, di amore, di spregio o di indifferenza, per gradi successivi di erosione e di usura, la ricondurrà a poco a poco allo stato di minerale informe a cui l’aveva sottratta lo scultore”4 .
L’arte non deve lottare contro questo moto continuo instabile delle cose, ma deve porsi all’interno di esso, mostrarne la bellezza eterna, istantanea, mutevole: “statue spezzate così bene che dal rudere nasce un’opera nuova, perfetta nella sua stessa segmentazione”5 .
L’arte è flaneur, e noi la seguiamo, stupiti e attenti.
La fotografia è scrittura di luce: è fuoco che accende la terra, che attraversa l’aria, ed è
immagine che appare nel liquido: un liquido amniotico generante bellezza.
“Ed io vedo nelle sue immagini ben più dell’eterna germinazione che sfida la morte, un curriculum terrae, dove le rovine appartengono alla continuità fisiologica, alla fosforescenza naturale, alla polarizzazione monumentale”6 .
Oltre vent’anni fa Michèle Moutashar, Conservatore dei Musei di Arles dove a lungo Marcello Grassi ha ricercato e fotografato, evidenziava come nella sua opera la centralità del nero superasse la presenza delle ombre: il nero, nero inchiostro che sulla carta s’imbeve, il nero di Grassi è un nero assoluto, un nero fondo, un nero che esprime la sua massima nerezza7 . Moutashar giocava allora con le parole: basta il cambio della prima vocale, e il termine “encre”, inchiostro, diventa “ancre”, ancora: il nero è un ancoraggio saldo, un appello-appiglio alla vita, nel suo fagocitare nel profondo: metafora del Tempo-Chronos potente e divorante. Ma nel gioco di parole, riconoscere nel nero bituminoso di Grassi la presenza di un oggetto così saldo, forte, salvifico, significa anche richiamare alla potenza corporale di questo colore, così cruciale nell’opera del fotografo. Un nero che invoglia al tatto, all’affondo, all’incontro8 .
È il nero che ci coinvolge, anche, nelle opere di Anish Kapoor, altro artista straordinario che con il colore ha costruito la grammatica del mistero e della spiritualità; è il nero totalizzante e imperterrito che nelle fotografie di Grassi rende precaria, e per questo eccitante, la vita nuova delle antiche sculture e vestigia: “una lunga verifica di ciò che separa mentalmente l’ombra dal nero, facendo dell’essenza del nero uno dei campi sospesi della metafisica”: così descriveva Moutashar la scelta dell’artista.
Osserviamo: in alcuni scatti di Grassi, come nei torsi maschili fotografati a Ravenna, a Toulouse, agli Uffizi a Firenze, o nel volto femminile di Palazzo Massimo a Roma, il nero è fondale addensante dal quale emerge la muscolarità sensibile della pietra: pare che rivoli di nero liquido bagnino le forme dei corpi scolpiti, ancora indecisi tra l’emergere o l’immergersi nell’altrove.
Il nero, in queste opere, ne determina il loro porsi in un in-between, in un mezzo tra il prima e il dopo, tra la presenza e l’assenza: come i fantasmi di Bill Viola che ci vengono a salutare, e riprendono così il colore della vita, attraversando il frame acquoreo che li investe nel cammino, così i torsi potenti ritratti da Grassi hanno saputo, nuovamente, uscire dal blocco: non della pietra, ma della dimenticanza, dell’elogia al tempo andato; rivendicano la loro vita, ora. In altri casi, come nelle immagini dei siti delle Terme di Diocleziano a Roma, di Ercolano, di Cimiez, il nero è una coltre dalle diverse gradazioni, che sperimenta nerezze più o meno intense, mentre la luce prova a discioglierne la densa coltre, disegnando un nuovo percorso, scavando nella pietra, imbevendosi nella terra.
Altrove, il nero mette in luce l’apparizione, il gesto pudico e segreto, il guizzo muscolare e la monumentalità vittoriosa, come nella Nike del Louvre, oppure diventa presenza duplice e inquietante che dialoga con quella della scultura, come nei volti di Arles e di Palazzo Altemps a Roma.
“I campi fotografici di Marcello Grassi [...] comportano una notevole quantità di distese di nero invece che raggi luminosi [...] Abbondano i buchi, specchi supplementari e crogioli senza fondo dai quali il nero dilaga. [...] Tutto si ricollega a un’evidenza: il nero si vede e si guarda”9 .
Lo sguardo, che è àncora: ancre. Lo sguardo, nel nero inchiostro: encre. Lo sguardo, ancora: encore
Lo sguardo è sempre in relazione: guarda l’artista l’oggetto; lo guarda attraverso l’obiettivo della macchina, protesi tecnologica dell’uomo; l’oggetto guarda a sua volta l’artista; ed entrambi non si vedono guardare; guardiamo infine noi l’opera, e attraverso di essa l’artista: e non ci vediamo guardare, ma siamo guardati dall’una e dall’altro.
Partendo da questa complessità di vedute e visioni, da questa assenza necessaria di totalità del vedere, la filosofia è arrivata a dichiarare che la visione è una questione di cecità: di nero. L’atto del vedere comprende sempre una esclusione, una mancanza, una dimenticanza: l’artista, per primo, è vittima e carnefice di questa assenza, e il suo rovello è nella scelta, nell’azione, nella restituzione di ciò che vede al mondo.
Una questione eterna che eternamente ci infligge la domanda, vivificando così la ricerca sul e nel visivo. La vista e la molteplicità dei sensi, lo sguardo e il contatto, la prossimità e la distanza sono alcune delle figure che costellano il pensiero di Jacques Derrida e che potrebbero ben argomentare la ricerca fotografica di Marcello Grassi.
“Che cosa significa ‘vedere’, quando la visione si scopre coinvolta, co-implicata, addirittura costituita nel suo intimo da un fattore, da un aspetto di cecità? Si vede davvero, quando si vede?”10
Lo sguardo che Marcello Grassi sollecita attraverso la sua opera è uno sguardo aptico: l’etimologia della parola, greca, rimanda al tatto, al tocco: “venire in contatto con qualcosa”. Il termine inglese equivalente è “touch”. Attraverso il contatto con le cose, le vediamo, ne costruiamo la forma, l’immagine. “Toccare e vedere si presentano fin dall’inizio – dall’inizio del pensiero che li pensa – come inestricabilmente connessi, si rimandano l’uno all’altro, l’uno nell’altro [...] quando la visione tende a non distinguersi più dal visto o dal visibile, è come se l’occhio toccasse la cosa stessa. Meglio, come se, nell’evento di questo incontro, l’occhio si lasciasse toccare dalla cosa”11 . Guardando le opere di Marcello Grassi, l’occhio trasmette alle dita, alla nostra pelle, la granulosità della materia minerale di cui son fatte le sculture e le vestigia ritratte. Le sentiamo al tatto, sebbene non le stiamo toccando: la nostra sensibilità epidermica si attiva, avvertiamo la densità del nero che ci lava via le memorie e le incrostazioni dell’esterno e ci appoggiamo alla pelle di queste sculture: un atto erotico, anche.
“Lo sguardo infatti è apertura verso l’altro, incontro con l’altro [...] l’occhio riceve ciò che si dà a vedere, così come la mano riceve ciò che le si offre da toccare e da tenere: ‘il mondo [...] è dato nelle mani degli occhi’ [...]”12 . Tendiamo le mani verso le fotografie di Marcello Grassi: ne sentiremo il caldo vibrare della vita. Ancora.
1 Claudio Parmiggiani, L’acqua. IX, in Parmiggiani. Teatro dell’arte e della guerra, catalogo della mostra (Parma, Teatro Farnese 2006-2007), Gli Ori, Prato 2006, p. 144.
2 Charles-Henri Favrod, La Germinazione delle Rovine, Galerie du Château, Nice 1997.
3 Claudio Parmiggiani, da un’intervista con Elena Mondello, 1995, in Parmiggiani. Teatro dell’arte e della guerra, cit., p. 136
4 Marguerite Yourcenar, Il Tempo grande scultore trad. it. Giuseppe Guglielmi, Einaudi, Torino 2012, p. 51.
5 Ibidem.
6 Charles-Henri Favrod, La Germinazione delle Rovine cit.
7 Sul tema cfr. La nerezza del nero, a cura di Eva Ogliotti e Ruggero Canova, ZeL Edizioni, Pozzano Veneto 2013. Il libro raccoglie gli atti del convegno Back to Black. La nerezza del nero, tenutosi alla Bevilacqua La Masa, Venezia, Palazzetto Tito, 23-25 giugno 2011, al quale chi scrive ha partecipato con un intervento su Paolo Scheggi, ora pubblicato tra saggi del libro.
8 Una recente pubblicazione ha affrontato il nero attraverso interviste e dialoghi con architetti, artisti, critici e curatori, tra i quali Edoardo Arroyo,
Pierre Soulages, Rudy Ricciotti, Sara Marini e chi scrive, cfr. Viceversa: Black Conversation a cura di Giovanni Corbellini, 2019.
9 Michèle Moutashar (a cura di), Arles catalogo della mostra, Reggio Emilia, 1996.
10 Marcello Ghilardi, Derrida e la questione dello sguardo Aesthetica Preprint, Palermo 2011, p. 7.
11 Ivi, pp. 12 e 18.
12 Ivi, p. 19. La citazione è di Hélène Cixous, Savoir in Hélène Cixous, Jacques Derrida, Veli, Alinea, Firenze 2004, p. 14.
Ineluctable
“Forms born from stone, Others dead within it.
Shadows imprisoned in shade. Ancient eyes, ancient lights, magic geometries. Figures writhing in the marble.
Suffering minds, Wounded words, Statues hiding their faces, Ruins [...]”1
Faces emerging from black abysses; legs and arms reaching, fleeing, towards the light; wings lifting to measure the space; a shaft of sunlight revealing the collapse of ancient walls…
The viewer lingers in front of Marcello Grassi’s photographic works and is gradually immersed in a timeless theatre, where thick, dark curtains are barely raised to reveal what the artist’s eyes, dazzled by the light striking a particular sculpture, ruin or landscape, have been able to capture.
Light incised in black.
Black that makes beauty visible.
Analyzed by international art critics and historians of the highest standing, Marcello Grassi’s output offers an extraordinary and extremely refined panorama of the ancient wonders that fill and characterize a number of important museums and archaeological sites. His photographs engage the senses and strike the eye, stirring the emotions and bringing to light images that lie in the inner depths of each one of us.
More than a journey, the work Marcello Grassi has done in over thirty years of waiting and shooting, is a kind of viaticum. An itinerary followed keenly and slowly, which he has patiently and fervently dedicated to the artistic and architectural heritage of humanity, and which we ourselves must now embark on, as we study the dozens of portraits and ancient remains that he has brought together in this catalogue. His work is also a tribute to what is repressed and forgotten, to fear and joy, to the body and death – but, above all, to life, in its unfolding through time and in space, in its leaving its mark on things, momentarily becoming part of our restless presences on this earth.
Ilaria Bignotti
Earth and rock, hard stone that time and the hand of man in every age has quarried, transported, rough-hewn, sculpted, polished and finished, in a quest for the image of thought, of emotion, of myth and of knowledge.
Of suffering and of hope. Of violence and of victory. Of love and of elegy. Marcello Grassi’s photographic oeuvre is a large black window with shutters of light open onto life, which never ceases and is etched on his images with a powerful beauty. Images that the artist captures by stopping for a moment or waiting for hours, as he strolls through museums and cities. Time, his constant companion, has sculpted the black evidence of his works that often represent sculptures and sculptural groups displayed or hidden, visited or forgotten, in leading international museums, from the Louvre to the Uffizi, from Arles to Ravenna. It is never a question of his selecting a masterpiece and skilfully immortalizing it. Instead, he empathetically responds to those bodies and gestures, to a column that has survived – as if viewing it through an opening in the bushes –and seeks to show afresh these concrete images of time, of our eternal and mysterious, pressing and mocking time, with the complicity of the moment when light and mood coincide.
He is a contemporary archaeologist who, rather than weaving the threads of time or reconstructing historical events, conveys through the immediacy of the image he has just captured, the uniqueness and fullness of life that the site contains and transmits. Indeed, he conducts “[…] research that can rightly be defined as archaeological, since he captures the traces of vanished civilizations [...] Marcello Grassi seeks and finds, guided by a profound classical culture, an uncommon feeling for stone, considerable mastery of the medium, and a brilliant understanding of light.”2 Thus wrote Charles-Henri Favrod, former director of the Musée de l’Elysée in Lausanne, way back in 1997.
That is why it is not enough to call Marcello Grassi a photographer.
His research reveals the conceptual gaze of someone who catalogues history as a timeless presence, with the obsessive flânerie of the poet, and it brings alive the words of the poem sculpted by the stone, filtered through the darkness and proclaimed by light in the theatre of apparitions. It shows the sculptor’s sensibility in rendering the eroded skin of a female face, the flexed muscle of an athlete, or the chasteness of a chiastic Venus at her bath, and it clarifies the materic experimentation of the visual artist who paints with light and darkness, creating rarified textures and concretions of pictorial material on the photographic surface.
It also involves the human being who gives life – and meaning – to what is looked at, and who with the stubbornness of life recognizes in the sculpted or built stone the power of regenerative time, of all time, of the ages of man, imperfect in their repetition and therefore alive. Many of the statues he portrays also seem like human beings. They beckon to us, asking us to sharpen our gaze, to reach out to them, to touch them. Are we scared of sinking into the black that makes them stand out yet swallows them? We can do nothing to stop these ineluctable presences from emerging and revealing, before our very eyes, the abyss of black and the wonder of light that transform them into new timeless icons, enigmatic sphinxes that question us, and from whom there is no escape.
We can only let ourselves be devoured: time has forged them and they cannot wait any longer.
Nor can we. Fatally united with them, in the knowledge that we share a common destiny of transformation and change.
Marcello Grassi’s work is the work of man. It represents the daily business of sculpting life. We have depicted wounded soldiers and women at their bath; we have made an outstretched arm
the icon of victory and entrusted to a chaste hand the mystery of seduction. In every age, we have sought to express through images what is profoundly anchored in our feelings, and therefore potentially unrepresentable.
Philosophers have written reams on this theme, seeking again and again to respond to the fatal power of the gaze and of the image, whether contemplated, revealed, hidden or striking.
Marcello Grassi does this with his camera.
Patient flâneur of museums and archaeological sites, he gathers the icons of our history. From these he has composed, over the decades, an atlas that does not presume to be totalizing and encyclopaedic, but is enriched, with each image, by the mystery of beauty, the wonder of the gaze, the fleeting discovery.
In Grassi’s oeuvre memory is Mnemosyne: an inspiring muse and method of cataloguing that does not follow an algorithm but stimulates the artist’s sensibility, in his daily discovery of new places where traces of our “being there” are preserved.
The photographer does not show us what “has been”, but reveals the “never seen”.
He presents us with new faces, new bodies, new gestures, which he discovered thanks to a particular ray of light that struck the body of a statue and caught his eye.
The artist does this by working on the spot, without selecting his subject beforehand, without building sets, without setting up lighting.
Excited by the unexpected vision, he studies the museum he happens to be in and, totally absorbed, searches until he finds what he has come for. Then, the rapidity of the photographic gesture condenses the skills of the photographer, who has to fix that unique moment. This precise technique, this anti-method that is an exact method, ensures that in his work of more than thirty years there is no sign of a nostalgic approach or hymn to the past, nor even of a documentary take: his investigation is a sustained effort, an ongoing research and a discovery in the present, without any substratum or past.
“Memory is the present in each one of us. My work deals with the present, with a memory I call ‘urgency’. A specific time is not recognizable in what I do [...] a work and an art can only find refuge in a place where time does not exist, in a land with no horizon, in a timeless time. A work seeks and finds its soul in life, and this is the only temporal dimension with which what I do can be identified [...].”3
These thoughts expressed by Claudio Parmiggiani – an artist fundamental to 20th-century Italian culture who, like Grassi, is from Emilia – clearly show that he and Marcello share a common sensibility, despite the fact that they work differently with time and its iconographies. While Parmiggiani’s research is translated into presences – or rather, persistencies – consisting in shadows (as in his Delocations), Grassi tackles the problem of impermanence: everything changes, sculptures disintegrate, architecture is impregnated with humidity or with cracks in the heat of the sun, a marble skin is corroded by dust, and the great wings of victory will perhaps one day collapse on the ground. Everything goes back to being unhewn rock, pure minerality, air and earth.
“On the day when a statue is finished, its life, in a certain sense, begins. The first phase, in which it has been brought, by means of the sculptor’s efforts, out of the block of stone into human shape, is over; a second phase, stretching across the course of centuries, through alternating phases of adoration, admiration, love, hatred and indifference, and successive degrees of erosion and attrition, will bit by bit return it to the state of unformed mineral mass out of which its sculptor had taken it.”4
Art must not fight this constant unstable motion of things, but engage with it and show its eternal, immediate and changing beauty: “Statues so thoroughly shattered that out of the debris a new work of art is born […]”5
Art is a flâneur, whom we follow, amazed and attentive.
Photography is writing with light: it is fire that ignites earth, passes through air; it is image that appears in liquid – an amniotic fluid that gives birth to beauty.
“I see far more in his images than the endless germination that challenges death: a curriculum terrae in which ruins are part of physiological continuity, natural phosphorescence, and monumental polarization.”6
More than twenty years ago Michèle Moutashar, Conservator of Museums in Arles, where Marcello Grassi conducted research and took photographs for a long period, pointed out that in his work black has a centrality that outweighs the presence of shadows. Like black ink that the paper soaks up, Grassi’s black is an absolute black, a pitch black, a black that conveys its maximum intensity.7 Moutashar made her point with a pun: by changing the first vowel of the word encre, ink, to an “a” it becomes ancre, anchor. Black is a firm anchor, a call to and handhold on life, as it draws us into its depths: a powerful, all-consuming metaphor of Time-Chronos.
In the wordplay, the identification of such a strong, secure, salvific object with Grassi’s pitch black, also evokes the physical power of this colour, so crucial to the photographer’s work. Indeed, it is a black that invites the viewer to touch it, to sink into it, and to engage.8
It is black that involves us also in the works of Anish Kapoor, another extraordinary artist who has constructed the grammar of mystery and spirituality with this colour. In Grassi’s photographs it is the totalizing, dauntless black that renders precarious, and hence exciting, the new life of ancient sculptures and remains. Moutashar described the artist’s choice as “a lengthy assessment of what mentally separates shade from black, making the essence of black one of the suspended fields of metaphysics.”
Let us take a closer look: in some of Grassi’s shots, like the male torsos photographed in Ravenna, Toulouse and the Uffizi in Florence, or in the female face at Palazzo Massimo in Rome, the black is an intensifying backdrop from which the sensitive musculature of the stone emerges. Indeed, it is as if the rivulets of liquid black bathed the forms of the sculpted bodies, still undecided as to whether to emerge or to immerse themselves in the elsewhere.
The black in these works places them halfway between before and after, between presence and absence. Like Bill Viola’s ghosts who come to greet us, taking on again the colour of life, then pass through the aqueous frame they encounter on their way, the powerful torsos portrayed by Grassi emerge anew from the block; not the block of stone, but of forgetfulness, of the hymn to time past, to reclaim their lives in the now.
In other images, such as those of the sites at the Baths of Diocletian in Rome, at Herculaneum and Cimiez, the black is like a pall with more or less intense gradations, while the light seeks to dispel this dense shroud, delineating a new path, impinging on the stone, soaking into the ground.
Elsewhere, the black spotlights apparition, the modest, secret gesture, the flexed muscle, and monumental victory – as in the Nike in the Louvre – or becomes a disturbing two-fold presence in dialogue with that of the sculpture, as in the faces in Arles and Palazzo Altemps in Rome.
“Marcello Grassi’s frames [...] feature an ever-greater number of black expanses rather than luminous rays [...] There is a plethora of holes, supplementary mirrors and bottomless crucibles from which the black erupts. [...] Everything is linked to a piece of evidence: the black is visible and it is seen”.9
The gaze, as anchor: ancre. The gaze, in black ink: encre.
The gaze, again: encore
The gaze is always relational: the artist looks at the object through the camera, a technological prosthesis of man. The object, in its turn, looks at the artist, but they are not aware of looking at each other. Finally, we look at the work, and, through it, at the artist. We do not see ourselves being looked at, but are contemplated by both of them.
On the grounds of this complex interaction of points of view and visions, of this absence of a totality of seeing, philosophers have gone as far as to state that vision is a question of blindness, of blackness. The act of seeing always involves exclusion, lack, oversight. The artist, first and foremost, is both victim and perpetrator of the aforementioned absence, and he is always faced with the dilemma of choosing the right way to convey what he sees to the world.
An eternal issue that eternally poses the question, thus stimulating research on and in the visual sphere. Sight and the multiplicity of the senses, the gaze and contact, proximity and distance, are just some of the themes that constellate the thought of Jacques Derrida – themes that are key to any discussion on Marcello Grassi’s photographic research.
“What does ‘seeing’ mean, when vision finds itself intrinsically involved, co-implicated with, and actually constituted by a factor, by an aspect of blindness? Does one really see, when one sees?”10
The gaze that Marcello Grassi stimulates through his work is a haptic gaze: the etymology of the Greek term haptikos refers to touch: “to come into contact with something”. Through our contact with things we see them, we construct their shape and their image. “Touching and seeing present themselves as inextricably linked from the beginning – from the beginning of the thought that thinks them. They interact and act on each other [...], when vision tends no longer to be distinguished from the seen or the visible, it as if the eye touched the thing itself. Or rather, it is as if, in the event of this meeting, the eye let itself be touched by the thing.”11
As we look at Marcello Grassi’s images, the eye transmits to our fingers, to our skin, the graininess of the mineral matter of which the portrayed sculptures and remains are made. We feel them through touch, even though we are not touching them: our epidermic sensitivity is activated, we sense the density of the black that washes away the memories and the surface encrustations and we lean against the skin of these sculptures, which is also an erotic action.
“The gaze, in fact, is opening up to the other, meeting the other [...] the eye receives what is made visible, like the hand receives what it is offered to touch and to hold: ‘the world [...] is given in the hand of the eyes’ [...].”12
Let us reach out to Marcello Grassi’s photographs: we will feel the vibrant warmth of life. Again.
1 Claudio Parmiggiani, L’acqua. IX in Parmiggiani. Teatro dell’arte e della guerra, exhib. cat. (Parma, Teatro Farnese 2006-2007), Gli Ori, Prato 2006, p. 144.
2 Charles-Henri Favrod, La Germinazione delle Rovine, Galerie du Château, Nice 1997.
3 Claudio Parmiggiani, from an interview by Elena Mondello, 1995, in Parmiggiani. Teatro dell’arte e della guerra, cit., p. 136
4 Marguerite Yourcenar, That Mighty Sculptor, Time Eng. Trans. Walter Kaiser, Farrar, Strauss and Giroux, New York 1992, n.p.
5 Ibidem.
6 Charles-Henri Favrod, La Germinazione delle Rovine cit.
7 On this subject cf. La nerezza del nero, (eds.) Eva Ogliotti and Ruggero Canova, ZeL Edizioni, Pozzano Veneto 2013. The book contains the proceedings of the conference “Back to Black. La nerezza del nero”, held at Palazzetto Tito in Bevilacqua La Masa, Venice, on 23-25 June 2011, in which this writer participated with a paper on Paolo Scheggi, included among the essays in the book.
9 Michèle Moutashar (ed.), Arles, exhib. cat., Reggio Emilia, 1996.
10 Marcello Ghilardi, Derrida e la questione dello sguardo Aesthetica Preprint, Palermo 2011, p. 7.
11 Ivi, pp. 12 and 18.
12 Ivi, p. 19. The citation is from Hélène Cixous, ‘Savoir’, in Hélène Cixous, Jacques Derrida, Voiles Galilee, Paris 1998.
8 A recent publication has addressed the colour black through interviews and conversations with architects, artists, critics and curators, including Edoardo Arroyo, Pierre Soulages, Rudy Ricciotti, Sara Marini and this writer, cf. Viceversa: Black Conversation, (ed.) Giovanni Corbellini, 2019.
Ineluctabil
„Forme născute din piatră, altele moarte în piatră.
Umbre captive în umbră.
Ochi străbuni, lumini străvechi, geometrii magice. Chipuri, zvârcolindu-se în marmură.
Minți dureroase, cuvinte rănite, statui cu fețe ascunse, ruine [...]”1
Chipuri ieșite din gropi negre, picioare și brațe întinse într-un zbor spre lumină; aripi care se ridică pentru a măsura spațiul și o rază de soare care dezvăluie destrămarea zidurilor antice.
În fața operelor fotografice ale lui Marcello Grassi, spectatorul se oprește și se infiltrează, pas cu pas, într-un teatru atemporal, unde cortine întunecate dense, în timp ce se ridică, ne arată ceea ce ochii artistului au reușit să perceapă, izbiți de lumina care a rupt acea sculptură, acea ruină, acel peisaj.
O lumină sculptată în negru.
Un negru care face frumusețea vizibilă.
Analizată deja de istorici și critici de artă de cel mai înalt calibru internațional, producția lui Marcello Grassi, oferind o eșantionare extraordinară și rafinată a minunilor antice care populează și definesc importante muzee și zone arheologice, este un itinerariu care implică senzorial vizitatorul și are un impact vizual de dezlegare a emoțiilor, chemând la lumină imaginile profunzimii fiecăruia dintre noi.
Opera realizată de Marcello Grassi în peste treizeci de ani de așteptări și fotografii este mai degrabă un fel de viatic decât o călătorie, un itinerar lent și pasional pe care el, răbdător și febril, l-a dăruit patrimoniului arhitectural și artistic al umanității; un itinerar pe care noi trebuie să-l parcurgem acum, observând și răsfoind zecile de portrete și vestigii antice pe care Grassi le-a adunat în această publicație; o călătorie care este, de asemenea, un tribut adus la ceea ce a fost șters și uitat, fricii și bucuriei, trupului și morții: în primul rând vieții, în fluxul ei prin timpuri și spații, în felul ei de a marca pielea lucrurilor și aderarea ei, pentru o clipă, la prezențele noastre neliniștite pe acest pământ.
Ilaria Bignotti
Pământul și stânca, pietrele dure pe care timpul și mâna omului din fiecare epocă le-au dezrădăcinat, mișcat, dezbrăcat, sculptat, lustruit, rafinat pentru a căuta imaginea gândirii, emoției, mitului și cunoașterii.
De durere și speranță. De violență și victorie. De dragoste și elegie. Opera fotografică a lui Marcello Grassi este o fereastră mare, neagră, cu obloane deschise spre viață, care nu se oprește, și este gravată cu o frumusețe puternică în imaginile sale, imagini pe care artistul știe să le surprindă, plimbându-se prin muzee, traversând orașe, oprindu-se pentru o clipă sau așteptând ore întregi. Timpul, însoțitorul său inevitabil, a sculptat dovezile negre ale operelor sale care portretizează adesea sculpturi și grupuri sculpturale colectate, expuse sau ascunse, vizitate sau uitate în cele mai importante muzee internaționale, de la Luvru la Uffizi, de la Arles la Ravenna. Acest lucru nu înseamnă niciodată alegerea unei capodopere și imortalizarea ei cu înțelepciune, ci a permite, empatic, să se lase chemat de aceste corpuri, de aceste gesturi, de o coloană supraviețuitoare ca și cum ar fi făcută dintr-o crăpătură printre mărăcini: și înseamnă a arăta din nou aceste imagini concrete ale timpului, ale timpului nostru etern și misterios, apăsător și batjocoritor, cu complicitatea momentului în care lumina și atmosfera converg. Arheolog contemporan care nu dorește să țeasă zalele timpului sau să reconstruiască evenimentele istoriei, ci să le ducă mai departe, de la puterea imediată a imaginii abia surprinsă, la puterea unicității și plinătății vieții conținute și transmise în acel loc, Marcello Grassi „[...] face o cercetare arheologică, deoarece surprinde urmele civilizațiilor dispărute [...]. Caută și găsește: ghidat de o cultură antică și profundă, cu un sentiment puțin ordinar al pietrei, cu o mare stăpânire a mijloacelor și o înțelegere radiantă a lumini”2. Așa a scris, în 1997, Charles-Henri Favrod, fost director al Muzeului Elizeului din Lausanne.
Din acest motiv, definiția de fotograf pentru Marcello Grassi este îngustă. În cercetarea sa, se regăsesc privirea conceptuală ale celor care cataloghează, cu maniaca flânerie a poetului, povestea ființei lui atemporale; se respiră cuvintele poeziei pe care piatra le sculptează, întunericul le laudă, lumina le țipă în teatrul aparițiilor; se conturează sensibilitatea sculptorului, câteodată prin observarea pielii erodate a feței feminine, câteodată prin zvâcnirile musculare ale unui atlet, câteodată prin modestia chiastică a acelei Venus în apă; este lăudată experimentarea materială a artistului vizual care știe că poate picta cu lumină și întuneric, restaurând texturi rarefiate și condensări ale materiei picturale pe suprafața fotografiei. Există om, care dă viață - și sens - la ceea ce privește, care, cu obstinația vieții, recunoaște exact în piatra cioplită sau construită puterea timpului regenerator, al tuturor timpurilor, al epocilor omului în imperfectiunea lor repetată și, ca atare, vie: multe dintre statuile portretizate de el par ființe umane, ne cheamă, ne cer să ascuțim privirea, să întindem mâna și să le atingem... ne temem de scufundarea în negrul care le conturează și învăluie? Sunt prezențe ineluctabile; nu ne putem opune apariției lor și deschiderii largi, în fața privirii noastre, a prăpastiei negre și a luminii uimitoare care le atrag ca noi icoane atemporale, sfincși misterioși care ne iau inevitabil la întrebări.
Trebuie doar să ne lăsăm devorați: timpul le-a turnat și nu mai au timp să aștepte. Și noi cu ei. Uniți fatal, descoperind că suntem părtași ai unui destin comun de transformare și schimbare.
Memorie
Opera lui Marcello Grassi este opera ființei umane. El ne povestește despre munca noastră zilnică de sculptare a vieții: am reprezentat soldați răniți și femei în baie; am dat icoana victoriei unui braț întins și misterul seducției unei mâini modeste. În orice clipă, încercăm prin
imagini să dăm naștere la ceea ce este profund ancorat în sentimentele noastre: ceea ce este potențial imposibil de a fi reprezentat.
Filosofia a scris pagini și pagini pe această temă, încercând, de fiecare dată și încă o dată, să răspundă puterii fatale a privirii și a imaginii: urmărită, dezvăluită, ascunsă, izbitoare.
Marcello Grassi face acest lucru cu aparatul său fotografic.
Flaneur răbdător al muzeelor și siturilor arheologice, el colectează icoanele istoriei noastre, alcătuind de-a lungul deceniilor un atlas care nu are pretenții totalizatoare și enciclopedice, dar care de fiecare dată este îmbogățit cu misterul frumuseții, uimirea privirii, descoperirea efemeră.
Memoria, în opera lui Marcello Grassi, este Mnemosyne: muză inspiratoare și metodă de catalogare care nu urmează un algoritm, ci urmărește sensibilitatea artistului în descoperirea zilnică de locuri noi în care se păstrează urmele existenței noastre.
Artistul nu ne arată ceea ce „deja a fost”: mai degrabă dezvăluie ceea ce „nu a fost văzut niciodată”.
El ne dă chipuri noi, corpuri noi și gesturi noi: le-a descoperit datorită acelui fascicul special de lumină care în acel moment a fost prins de ochiul său pe corpul statuii.
Face acest lucru în momentul prezent: artistul nu alege în prealabil ce să fotografieze, nu construiește niciun decor, nu predispune lumina.
Emoționat de viziunea neașteptată, frenetic și absorbit, el contemplă muzeul în care se află: până găsește. Acolo, rapiditatea gestului fotografic condensează priceperea fotografului, care trebuie să surprindă acel moment irepetabil. De asemenea, această tehnică precisă, această anti-metodă, este în sine o metodă exactă, ceea ce înseamnă că în opera sa acumulată în peste treizeci de ani nu există o abordare tradiționalistă nostalgică sau o laudă, și cu atât mai puțin un testament documentar. Analiza sa este un act în putere continuă, o cercetare în desfășurare, o descoperire în prezent, fără substrat sau trecut.
„Memoria este prezentul fiecăruia dintre noi. Munca mea vizează prezentul, o amintire pe care eu o numesc „urgență”. Nu poate fi recunoscut un timp specific în ceea ce fac [...], o operă și arta pot găsi azil doar într-o țară atemporală, într-un ținut fără orizont, într-un timp atemporal. O operă își caută și își găsește sufletul în viață și aceasta este singura dimensiune temporală în care ceea ce fac este recunoscut [...]”3 . Reflecția lui Claudio Parmiggiani, un artist fundamental al culturii noastre italiene din secolul al XX-lea, care împărtășește cu Grassi originea emiliană, revendică punctual aici o sensibilitate comună între cei doi autori care lucrează în mod diferit cu timpul și iconografiile sale: dacă la Parmiggiani această investigație se traduce prin prezențe - sau mai bine zis, persistențe - făcute din umbre (Delocările sale), la Grassi problema este cea a impermanenței: totul se schimbă, sculpturile se prăbușesc, arhitecturile devin impregnate de umiditate sau crapă la soare, acea piele de marmură se corodează cu praf, iar marile aripi victorioase într-o zi, probabil, se vor prăbuși la pământ: totul se întoarce la stâncă brută, mineralitate pură, aer și țărână. „Într-un anumit sens, viața unei statui începe din ziua în care este terminată. A depășit prima etapă care, prin opera sculptorului, a condus de la bloc la forma umană; acum urmează o a doua fază, de-a lungul secolelor, printr-o alternanță de adorație, admirație, iubire, dispreț sau indiferență, prin grade succesive de eroziune și uzură, care o va readuce treptat la starea de mineral fără formă de la care sculptorul o furase”4
Arta nu trebuie să lupte împotriva acestei evoluții continue și instabile a lucrurilor, ci trebuie să se plaseze în interiorul ei, să-i arate frumusețea eternă, instantanee, schimbătoare: „statui sparte atât de bine încât o nouă operă se naște din ruină, perfectă în propria sa segmentare”5 .
Arta este flaneur, iar noi o urmărim uimiți și atenți.
Fotografia este scrisul luminii: este focul care luminează pământul, care trece prin aer și
este o imagine care apare în lichid: un lichid amniotic care generează frumusețe. „Și văd în imaginile sale mult mai mult decât veșnica germinație care sfidează moartea, un curriculum terrae, unde ruinele aparțin continuității fiziologice, fosforescenței naturale, polarizării monumentale”6 .
Negru
În urmă cu peste douăzeci de ani, Michèle Moutashar, curatorul muzeelor din Arles, unde Marcello Grassi a cercetat și fotografiat mult timp, a evidențiat modul în care în opera sa centralitatea negrului depășește prezența umbrelor: negrul, un negru de cerneală care se înmoaie pe hârtie, un negru absolut, un negru de bază, un negru care își exprimă negreala maximă7 . Moutashar s-a jucat apoi cu cuvintele: schimbând doar prima vocală, iar termenul „encre”, cerneală, devine „ancre”, din nou: negrul este o ancoră fermă, o atracție pentru viață, înglobând-o în profunzime: metafora de Timp - Cronos puternic și devorator.
Dar în jocul de cuvinte, recunoscând în genul de negru bituminos al lui Grassi prezența unui astfel de obiect solid, puternic, mântuitor, înseamnă de asemenea a reaminti puterea trupească a acestei culori, atât de importantă în activitatea fotografului. Un negru care te ispitește să-l atingi, să te arunci, să te întâlnești8 .
Este negrul care ne implică și în lucrările lui Anish Kapoor, un alt artist extraordinar, care, cu ajutorul culorii, a construit gramatica misterului și spiritualității; este negrul totalizator și neînfrânat cel care în fotografiile lui Grassi face precară și, astfel, incitantă, noua viață a sculpturilor și vestigiilor antice: „o lungă verificare a ceea ce separă mental umbra de negru, făcând din esența negrului o suspensie a câmpurilor metafizice”: așa a descris Moutashar alegerile artistului.
Observăm că în unele fotografii ale lui Grassi, ca în torsurile masculine fotografiate la Ravenna, la Toulouse, în Uffizi la Florența sau în fața feminină de la Palazzo Massimo din Roma, negrul este un fundal densificat din care se desprinde musculatura sensibilă a pietrei: se pare că fluxurile de lichid negru scaldă formele corpurilor sculptate, încă nehotărâte între apariție sau scufundare în altă parte.
În aceste lucrări, negrul le determină locul într-un in-between, într-un mediu între înainte și după, între prezență și absență: la fel ca fantomele lui Bill Viola, care vin să ne întâmpine, recuperându-și, în acest fel, culoarea vieții, traversând cadrul apos care le izbește pe parcurs, și torsurile puternice portretizate de Grassi au reușit din nou să iasă din bloc: nu din piatră, ci din uitare, din laudele trecutului; iar acum, își revendică viața.
În alte cazuri, la fel ca în imaginile Băilor lui Dioclețian din Roma, ale Herculanului, ale lui Cimiez, negrul este o pătură de diferite nuanțe, care experimentează o paletă mai mult sau mai puțin intensă, iar lumina încearcă să-și dizolve țesătura densă, trasând o nouă cale, săpând în piatră, îmbibându-se în pământ.
În alte locuri, negrul scoate în evidență apariția, gestul modest și secret, zvâcnirea musculară și monumentalitatea victorioasă, ca în Nike la Luvru, sau devine o prezență dublă și tulburătoare care dialoghează cu cea a sculpturii, ca și pe chiupurile de la Arles și de la Palatul Altemps din Roma.
„Câmpurile fotografice ale lui Marcello Grassi [...] implică o cantitate considerabilă de întinderi de negru în loc de raze luminoase [...], abundă găuri, oglinzi suplimentare și creuzete fără fund, din care negrul este rampant. [...] Totul este legat de dovadă: negrul poate fi văzut și privit”9 .
Privirea, care este încă: ancre. Privirea, în negru cerneală: encre. Aspectul, din nou: Encore
Privirea este întotdeauna în relație: artistul privește obiectul; îl privește prin lentila aparatului, proteza tehnologică a omului; la rândul său, obiectul se uită la artist; iar cei doi nu știu că sunt observați; în cele din urmă privim opera și, prin ea, artistul: și nu ne vedem pe noi înșine, ci suntem priviți de amândoi.
Plecând de la această complexitate a vederilor și viziunilor, de la această absență necesară a totalității vederii, filosofia a ajuns să declare că a vedea este o chestiune de orbire: de negru. Actul de a vedea include întotdeauna o excludere, o lipsă, o uitare: artistul, în primul rând, este victima și călăul acestei absențe, iar chinul său se află în alegere, în acțiune, în restituirea a ceea ce vede către lume.
Un dubiu etern care ne pune în mod veșnic întrebări, însuflețind astfel cercetarea asupra și în cadrul vizualului. Vederea și multiplicitatea simțurilor, privirii și contactului, proximitatea și distanța sunt câteva dintre figurile care definesc gândirea lui Jacques Derrida și care ar putea explica cercetarea fotografică a lui Marcello Grassi.
„Ce înseamnă să „vezi”, când viziunea se dovedește a fi antrenată, co-implicată, chiar constituită în sine de un factor, de un aspect al orbirii? Chiar se vede când se vede?”10 .
Privirea pe care Marcello Grassi o solicită prin opera sa este o privire sensibilă, haptică: etimologia cuvântului, de origine grecească, se referă la atingere, la simțul tactil: „a intra în contact cu ceva”. Termenul englezesc echivalent este „touch”. Prin contactul cu lucrurile, le vedem, le construim forma, imaginea. „A atinge și a vedea apar de la bun început - de la începutul gândului care le gândește - ca indisolubil legate, se referă unul la altul, unul în celălalt [...] când a vedea tinde a nu se mai distinge de vedere sau vizibil, este ca și cum ochiul ar fi atins lucrul în sine. Mai bine spus, ca și cum, în cazul acestei întâlniri, ochiul se lasă atins de lucru”11 . Privind lucrările lui Marcello Grassi, ochiul transmite degetelor noastre, pielii noastre, granularitatea materialului mineral din care sunt realizate sculpturile și vestigiile portretizate. Le simțim la atingere, deși nu le atingem: sensibilitatea noastră epidermică este activată, simțim densitatea negrului care spală amintirile și incrustațiile din exterior și ne sprijinim pe pielea acestor sculpturi: este și un act erotic. „Într-adevăr, privirea este deschidere către celălalt, o întâlnire cu celălalt [...], ochiul primește ceea ce i se arată, la fel cum mâna primește ceea ce i se oferă pentru a fi atins și luat în mână: „lumea [ ...] este dată în mâinile ochilor [...]”12 . Ne întindem mâinile spre fotografiile lui Marcello Grassi: vom simți vibrațiile calde ale vieții. Din nou.
1 Claudio Parmiggiani, L’acqua. IX în Parmiggiani. Teatro dell’arte e della guerra, catalogul expoziției (Parma, Teatro Farnese 2006-2007), Gli Ori, Prato 2006, p. 144.
2 Charles-Henri Favrod, Germinarea ruinelor Galerie du Château, Nisa 1997.
3 Claudio Parmiggiani, dintr-un interviu cu Elena Mondello, 1995, în Parmiggiani. Teatro dell’arte e della guerra, cit., p. 136
4 Marguerite Yourcenar, Le temps, ce grand sculpteur, trad. it. Giuseppe Guglielmi, Einaudi, Torino 2012, p. 51.
5 Ibidem
6 Charles-Henri Favrod, Germinarea ruinelor cit .
7 Pe tema cf. The blackness of black organizat de Eva Ogliotti și Ruggero Canova, ZeL Edizioni, Pozzano Veneto 2013. Cartea colectează lucrările de la conferința Back to Black. La nerezza del nero, ținuta la Bevilacqua La Masa, Veneția, Palazzetto Tito, 23-25 iunie 2011, la care scriitorul a participat cu un discurs despre Paolo Scheggi, publicat printre eseurile cărții.
8 O publicație recentă s-a ocupat de negru prin interviuri și dialoguri cu arhitecți, artiști, critici și curatori,
inclusiv Edoardo Arroyo, Pierre Soulages, Rudy Ricciotti, Sara Marini, precum și autorul, cf. Viceversa: Black Conversation curatoriat de Giovanni Corbellini, 2019.
9 Michèle Moutashar, Arles, catalogul expoziției, Reggio Emilia, 1996.
10 Marcello Ghilardi, Derrida e la questione dello sguardo Aesthetica Preprint, Palermo 2011, p. 7.
11 Ibidem pp. 12 și 18.
12 Ibidem p. 19. Citatul este de la Hélène Cixous, Savoir, în Hélène Cixous, Jacques Derrida, Veli, Alinea, Florența 2004, p. 14.
73-74
1. Musée archéologique de Nice-Cimiez
1997
Bagni del Nord, terme di Cimiez, Nice The Northern Baths, Baths of Cimiez, Nice
2. Musée du Louvre, Paris 2008 Nike di Samotracia, attribuita a Pitocrito di Rodi, marmo pario, 200-180 a.C. Nike of Samothrace, attributed to Pythocritus of Rhodes, Parian marble, 200-180 BC
3. Mercati di Traiano, Roma 2013 Grande Aula Great Hall
4. Mercati di Traiano, Roma 2013 Veduta dell’area archeologica View of the archaeological area
5. Mercati di Traiano, Roma 2013 Via Biberatica e Grande Emiciclo Via Biberatica and Greater Semi-Circle
6. Centrale Montemartini, Roma 2014 Niobide ferito, marmo, età antonina Wounded Niobid, marble, Antonine age
7. Centrale Montemartini, Roma 2014
Teseo, dal tempio di Apollo Sosiano, marmo, 450-425 a.C. Theseus, from the Temple of Apollo Sosianus, marble, 450-425 b.C.
8. Centrale Montemartini, Roma 2014
Musa Polimnia, marmo, da originale di età ellenistica Musa Polimnia, marble, from an original of the Hellenistic period
9. Centrale Montemartini, Roma 2014
Discoforo, marmo, copia da un originale del V/VI secolo a.C. attribuito a Naukydes
Discophorus, marble, copy of an original of the 5th/6th century BC, attributed to Naukydes
10. Musei Capitolini, Roma 2014
Ercole Combattente, marmo, da originale greco del IV secolo
Hercules combating, marble, copy of an original Greek, 4th century BC
11. Musei Capitolini, Roma 2014
Ercole, bronzo dorato, II secolo a.C.
Hercules, gilded bronze, 2nd century BC
12. Musei Capitolini, Roma 2014
“Satiro Della Valle” (statua di Pan), marmo, da originale di età ellenistica
Satyr of the Valley, marble, from a original of the Hellenistic period
13. Musei Capitolini, Roma 2014
Venere esquilina, marmo, prima età imperiale, Esquiline Venus, marble, early imperial age
14. Musei Capitolini, Roma 2014
Venere capitolina, marmo, da originale di Prassitele (IV secolo a.C.)
Capitoline Venus, marble, from an original by Praxiteles (4th century BC)
15. Musei Capitolini, Roma 2014
Amore e Psiche, marmo, da originale greco del II secolo a.C.
Cupid and Psyche, marble, from a Greek original of the 2nd century BC
16. Museo Archeologico Nazionale di Atene 2014
Ritratto di Antinoo, marmo, II secolo d.C., Collezione di sculture, inv. Γ 417
Portrait of Antinoo, marble, 2nd century AD, Sculpture Collection, inv. Γ 417
17. Villa Adriana, Tivoli 2014
Particolare del cosiddetto Serapeo
Detail of the so-called Serapeum
18. Villa Adriana, Tivoli 2014
Cariatidi Caryatids
19. Villa Adriana, Tivoli 2014
Muro del Pecile
Wall of the Pecile
20. Villa Adriana, Tivoli 2014 Veduta delle Piccole Terme View of the Small Baths
21. Villa Adriana, Tivoli 2014
Coccodrillo-fontana, Canopo, copia in cemento armato, anni cinquanta
Crocodile-fountain, Canopus, copy in reinforced concrete, 1950s
22. Villa Adriana, Tivoli 2014 Statua del Tevere e colonna, nei pressi del Canopo, copia in cemento armato, anni cinquanta Statue of the Tiber river and column, near the Canopus, copy in reinforced concrete, 1950s
23. Scavi archeologici di Ercolano 2014 Interno Internal view
24. Scavi archeologici di Ercolano 2014 Casa dell’Alcova
25. Scavi archeologici di Ercolano 2015 Terme suburbane. Atrio tetrastilo con erma di Apollo Suburban baths. Tetrastyle atrium with Apollo’s herm
26. Museo Archeologico Nazionale di Napoli 2014
Testa ritratto di Antinoo su torso antico non pertinente, marmo, età adrianea, particolare, inv. 6030
Portrait head of Antinous added to an ancient torso, marble, Hadrian’s age, detail, inv. 6030
27. Museo Archeologico Nazionale di Napoli 2014
Venere (del tipo Venere de’ Medici), marmo, particolare, inv. 6288 Venus (of the Venus de’ Medici type), marble, detail, inv. 6288
28. Museo Archeologico Nazionale di Napoli 2014
Gruppo della punizione di Dirce (Toro Farnese), inizio III secolo d.C., particolare, inv. 6002
Group of Dirce’s punishment (Toro Farnese), early 3rd century AD, detail, inv. 6002
29. Museo Archeologico Nazionale di Napoli 2014
Testa colossale di Giunone, marmo, età antonina, particolare, inv. 6228
Colossal head of Juno, marble, Antonine age, detail, inv. 6228
30. Glyptothek, München 2015
Atleta che si versa olio nella mano sinistra, scultura romana da originale del 360 a.C. circa, inv. GL 302
Athlete, Roman sculpture after original of about 360 BC. He pours oil into his left hand, inv. GL 302
31. Glyptothek, München
2015
Sculture del Gruppo del frontone occidentale dal tempio di Egina, marmo, 500/490 a.C. Sculptures of the West Pediment Group from the Temple on Aegina, marble, 500/490 BC
32. Glyptothek, München 2015
Testa di fanciullo, 100 d.C. circa, inv. GL 505
Head of a boy, about 100 AD, INV. GL 505
33. Glyptothek, München 2015 “Alessandro Rondanini”, scultura romana da una statua ritratto di Alessandro Magno del 340 a.C. circa “Alexander Rondanini”, Roman sculpture of a portrait statue of Alexander the Great, about 340 BC
34. Glyptothek, München 2015 Fauno Barberini, scultura di satiro dormiente del 200 a.C. circa, inv. GL 218 Barberini Fauno, sculpture of a sleeping satyr of about 200 BC, inv. GL 218
35. Glyptothek, München 2015 Figlio di Niobe ucciso da Apollo, scultura romana da originale greco del 320 a.C. circa, inv. GL 269 Son of Niobe, killed by Apollo. Roman sculpture after a Greek original of about 320 BC, inv. GL 269
36. Glyptothek, München 2015
Testa di Hermes Propylaios, scultura romana da originale del 450 a.C. circa, inv. DV 37
Head of Hermes Propylaios, Roman sculpture after original of about 450 BC, inv. DV 37
37. Glyptothek, München 2015
Afrodite di Cnido, scultura romana da una statua di Prassitele, circa 350 a.C., inv. GL 258 Aphrodite of Cnidos, Roman sculpture after a statue by Praxiteles about 350 BC, inv. GL 258
38. Glyptothek, München 2015 Figlio di Niobe ucciso da Apollo, scultura romana da originale greco del 320 a.C. circa, inv. GL 269 Son of Niobe, killed by Apollo. Roman sculpture after a Greek original of about 320 BC, inv. GL 269
39. Musei di Brescia
2021 Capitolium Vittoria Alata, bronzo, metà del I secolo d.C
Capitolium Winged Victory, bronze, mid-1st century AD Brixia. Parco Archeologico di Brescia romana
40. Musei di Brescia
2021 Capitolium pronao, 73 d.C. Capitolium pronaos, 73 A.D. Brixia. Parco Archeologico di Brescia romana
41. Musei di Brescia
2017 Capitolium pronao, 73 d.C. Capitolium pronaos, 73 A.D. Brixia. Parco Archeologico di Brescia romana
42. Musei di Brescia
2017 Basilica di San Salvatore, interno, VIII secolo d.C. con aggiunte successive Basilica of San Salvatore, interior, 8th century AD with later additions Brescia, complesso monumentale di Santa Giulia
43. Civico Museo Archeologico di Milano
2016 Torso di giovane Torso of a young man
44. Civico Museo Archeologico di Milano
2017 Afrodite con delfini Aphrodite with dolphins
45. Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro
2016
Statuetta di Diana Cacciatrice protesa nella corsa, I-II secolo d.C., bronzo, da Lison (Portogruaro), scavi del 1927
Statuette of Diana the Huntress stretched out in the race, 1st-2nd century AD, bronze, from Lison (Portogruaro), excavations in 1927
46. Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro
2016 Statua femminile acefala drappeggiata, prima metà del I secolo d.C., marmo di Carrara, da Concordia Sagittaria (Ve), fondo di proprietà del capitolo della Cattedrale
Headless draped female statue, first half of the 1st century AD, Carrara marble, from Concordia Sagittaria (Ve), property fund of the Cathedral chapter
47. Aquileia
2016
Foro Romano, dettaglio dei capitelli del colonnato del braccio orientale del portico, calcare di Aurisina, 170-180 d.C.
Roman Forum, colonnade of the eastern arm of the portico, detail of the capitals, Aurisina limestone, 170-180 AD
48. Aquileia
2016
Foro Romano, colonnato del braccio orientale del portico, calcare di Aurisina e restauro in laterizio, 170-180 d.C.
Roman Forum, colonnade of the eastern arm of the portico, Aurisina limestone and brick restoration, 170-180 AD
49. Museo Archeologico Nazionale di Aquileia
2019
Statua funeraria del “Navarca”, marmo, fine I secolo a.C. - inizio del II secolo d.C.
Funerary statue of the “Navarca”, marble, late 1st century BCbeginning of the 2nd century AD
50. Museo Archeologico Nazionale di Aquileia
2019
Venere, I secolo a.C. - I secolo d.C., da originale di età ellenistica, marmo Venus, 1st century BC - 1st century AD, from an original of the Hellenistic period, marble
51. Museo Archeologico Nazionale di Aquileia
2019
Statua femminile, marmo italico, inizi I secolo d.C., inv. 1502
Female statue, Italic marble, early 1st century AD, inv. 1502
52. Galleria degli Uffizi, Firenze
2017
Arianna dormiente, marmo, metà del II secolo d.C. con integrazioni moderne
Sleeping Ariadne, marble, mid 2nd century AD with modern additions
53. Musée Départemental Arles
Antique
2017
Testa di Venere Anadiomene, marmo, I secolo d.C., da Arles, fogna del criptoportico, rinvenuta nel 1947
Head of Venus Anadyomene, marble, 1st century AD, from Arles, cryptoporticus sewer, found in 1947
54. Musée Départemental Arles
Antique
2017
Testa colossale di Augusto, marmo, I secolo a.C., rinvenuta al largo di Fos-sur-Mer
Colossal head of Augustus, marble, 1st century BC, found off the coast of Fos-sur-Mer
55. Musée Départemental Arles
Antique
2017
Testa di giovane, marmo, II secolo, da Arles, casa vicino all’anfiteatro, ritrovata nel 1841
Head of a young man, marble, 2nd century, from Arles, house near the amphitheater, found in 1841
56. Musée Saint-Raymond, Musée d’archéologie de Toulouse
2017 Ritratto di bambino, marmo di Göktepe, dalla villa romana di Chiragan Portrait of a child, Göktepe marble, from the Roman villa of Chiragan
57. Musée Saint-Raymond, Musée d’archéologie de Toulouse
2017
Dioniso, marmo, dalla villa romana di Chiragan, deposito del Musée Saint-Raymond
Dionysus, marble, from the Roman villa of Chiragan, deposit of the Musée Saint-Raymond
58. Musée Saint-Raymond, Musée d’archéologie de Toulouse
2017 Venere Anadiomene, marmo Venus Anadyomene, marble
59. Musei Reali, Museo di Antichità di Torino
2017 Torso di atleta, replica del Diadumeno di Policleto, marmo bianco, I-II secolo d.C. da un originale del 440-425 a.C., inv. 299 Athlete’s torso, replica of the Diadumenus of Polykleitos, white marble, 1st-2nd century AD from an original of 440-425 BC, inv. 299
60. Musei Reali, Museo di Antichità di Torino
2017
Cratere con corteo dionisiaco, marmo bianco, fine I - prima metà II secolo d.C., inv. 622
Crater with Dionysian procession, white marble, late 1st - first half 2nd century AD, inv. 622
61. Università di Pisa, Gipsoteca di Arte Antica
2018
Calco di Afrodite da Milo Cast of Aphrodite of Milus
62. Università di Pisa, Gipsoteca di Arte Antica
2018
Calco del discobolo attribuito a Mirone Cast of the discobolus attributed to Myron
63. Museo Egizio di Torino
2018
Dettaglio della dea dell’Occidente, coperchio del sarcofago interno di Mentuirdis, legno, Epoca Tarda, XXV-XXVI dinastia (722-525 a.C.)
Detail of the goddess of the West, lid of the inner sarcophagus of Mentuirdis, wood, Late Period, Dynasty XXV-XXVI (722-525 BC)
64. Museo Egizio di Torino
2018
Statua del dio Ptah, calcare. Nuovo Regno, XVIII dinastia, regno di Amenhotep III (1390-1353 a.C.).
La testa è un restauro ottocentesco Statue of the god Ptah, limestone. New Kingdom, Dynasty XVIII, reign of Amenhotep III (1390-1353 BC).
The head is a nineteenth-century restoration
65. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme
2018
Discobolo Lancellotti, marmo, età antonina
Discobolus Lancellotti, marble, Antonine age
66. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme
2020
Afrodite al bagno accovacciata e Atena tipo Vescovali-Arezzo
Crouching Aphrodite in her bathroom and Athena of the Vescovali-Arezzo type
67. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme
2020
Fanciulla ferita, cd. Niobide dagli Horti Sallustiani, marmo, V secolo a.C.
Wounded girl, so-called Niobid by the Horti Sallustiani, marble, 5th century BC
68. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme
2018
Afrodite al bagno accovacciata, marmo, età adrianea
Crouching Aphrodite in her bathroom, marble, Hadrian’s age
69. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme
2020
Afrodite al bagno accovacciata, marmo, età adrianea
Crouching Aphrodite in her bathroom, marble, Hadrian’s age
70. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2020
Ermafrodito dormiente, marmo, II secolo d.C. Sleeping Hermaphroditus, marble, 2nd century AD
71. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2020 Gruppo con Artemide tipo Colonna, Apollo tipo Vaticano Stoccolma, Testa di Eracle, cd. Torso Valentini Group with Artemis of the Colonna type, Apollo of the Vatican Stockholm type, Head of Heracles, so-called Valentini torso
72. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2020 Discobolo tipo Lancellotti e Eros Discobolus of the Lancellotti type and Eros
73. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2020 Apollo del Tevere, marmo, II secolo d.C. Tiber Apollo, marble, 2nd century AD
74. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2020
Ermafrodito dormiente, marmo, II secolo d.C. Sleeping Hermaphroditus, marble, 2nd century AD
75. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2018 Dioniso, bronzo, età adrianea Dionysus, bronze, Hadrian’s age
76. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2020
Erma barbata di Hermes Bearded herm of Hermes
77. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2020 Erma di auriga Herm of auriga
78. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2018 Pugilatore seduto, bronzo, I secolo a.C. Seated boxer, bronze, 1st century BC
79. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme 2018 Discoboli
80. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme
2020
Afrodite al bagno accovacciata, marmo, età adrianea Crouching Aphrodite in her bathroom, marble, Hadrian’s age
81. Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps
2018
Afrodite cnidia, marmo, I-II secolo d.C.
Aphrodite of Knidos, marble, 1st-2nd century AD
82. Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps
2018
Asclepio, marmo, II secolo d.C. Asclepius, marble, 2nd century AD
83. Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps
2018
Peplophoros, marmo, I-II secolo d.C. Peplophoros, marble, 1st-2nd century AD
84. Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps
2018
Dioniso con pantera, marmo, età antoniniana Dionysus with panther, marble, Antonine age
85. Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps
2018 Afrodite accovacciata, marmo, da originale bronzeo del III secolo a.C. Crouching Aphrodite, marble, from a bronze original of the 3rd century BC
86. Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps
2018
Ares Ludovisi, marmo, II secolo a.C.
Ares Ludovisi, marble, 2nd century BC
87. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2018 Sarcofagi in Aula IX Sarcophagi in Room IX
88. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2018
Mosaico con motto “Conosci te stesso” Mosaic with the motto “Know thyself”
89. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2019 Giardino dei Cinquecento
90. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2019 Giardino dei Cinquecento
91. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2018 Giardino dei Cinquecento
92. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2018 Giardino dei Cinquecento
93. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2018 Coperchio di sarcofago a klìne Lid of a klìne sarcophagus
94. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano 2018 Dettaglio del sepolcro dei Platorini Detail of the Tomb of the Platorini
95. Museo Archeologico Nazionale di Ravenna 2019
Testa femminile, Afrodite (?), marmo, I secolo d.C. Female head, Aphrodite (?), marble, 1st century AD
96. Université de Genève, Collection de Moulages 2020 Cronide di Capo Artemisio Artemision Bronze
97. Sapienza Università di Roma/ Museo dell’Arte Classica 2019
Guerriero del frontone orientale del tempio di Atena Aphaia a Egina, 490-480 a.C., originale a Monaco, Glyptothek Warrior of the east pediment of the temple of Athena Aphaia in Aegina, 490-480 BC, original in Munich, Glyptothek
98. Sapienza Università di Roma/ Museo dell’Arte Classica 2019 Il cd. Marcello/Germanico, I secolo a.C., originale a Parigi, Museo del Louvre
The so-called Marcellus/Germanicus, 1st century BC, original in Paris, Louvre Museum
99. Sapienza Università di Roma / Museo dell’Arte Classica 2019
Giovinetto adorante, Rodi, fine IV secolo a.C., originale a Berlino, Altes Museum
Adoring youth, Rhodes, late 4th century BC, original in Berlin, Altes Museum
100. Sapienza Università di Roma / Museo dell’Arte Classica 2019
Statua di Afrodite detta Psiche, età adrianea, originale a Napoli, Museo Archeologico Nazionale Statue of Aphrodite known as Psyche, Hadrian’s age, original in Naples, National Archaeological Museum
101. Sapienza Università di Roma / Museo dell’Arte Classica 2019
Giovane di Mozia, V secolo a.C., originale a Mozia, Museo Giuseppe Whitaker
The Motya Charioteer, 5th century BC, original in Motya, Giuseppe Whitaker Museum
102. Palazzo Grimani, Venezia 2020 Gruppo di Leda con cigno, età tardoadrianea (130-138 d.C.) con ampi interventi di restauro cinquecentesco, tribuna del Museo di Palazzo Grimani Group of Leda with swan, late Hadrian’s age (130-138 AD) with extensive sixteenth-century restoration, tribune of the Museum of Palazzo Grimani
103. Sapienza Università di Roma / Museo dell’Arte Classica 2019 Statua di atleta, ricostruzione Amelung (testa del Museo Nazionale di Stoccolma su torso dei Musei Vaticani); statua di atleta, metà del V secolo a.C., originale a Cirene, Museo di Cirene Statue of athlete, Amelung reconstruction (head of the National Museum of Stockholm on the torso of the Vatican Museums); statue of athlete, mid 5th century BC, original in Cyrene, Museum of Cyrene
104. Palazzo Grimani, Venezia 2020 Sileno, marmo, torso databile all’ultimo quarto del III secolo a.C., testa e altre parti di restauro rinascimentale, forse a opera di Tiziano Aspetti. Tribuna del Museo di Palazzo Grimani Silenus, marble, torso datable to the last quarter of the third century BC, head and other parts of Renaissance restoration, perhaps by Tiziano Aspetti. Tribune of the Museum of Palazzo Grimani
Antologia critica Critical Anthology
Antologie critică
Michèle Moutashar
Ancres agosto 1996
Salvo poche eccezioni, campi fotografici di Marcello Grassi misurati uno ad uno in termini di acri, comportano una sempre maggiore quantità di distese di nero invece che raggi luminosi. Le linee di separazione sui presentano, come in montagna, violente e permeabili al tempo stesso, distaccate dal tempo, appoggiandosi tanto sull’immutabile quanto sull’effimero… Tutto si ricollega ad una evidenza: il nero vede e si guarda.
Troviamo invece, nella distesa di questi campi lapidei, sebbene nati da architetture, una quantità straordinariamente ridotta di ombre portate, e le rare passerelle gettate tra il nero e l’ombra contribuiscono soltanto a deviare qualsiasi eventualità prospettica.
Abbondano buchi, specchi supplementari e crogioli senza fondo dai quali il nero dilaga. Forse più ancora delle immagini evocatrici di necropoli etrusche, riprese da Marcello Grassi dal 1985, la sua più recente serie di Arles è una lunga verifica di ciò che separa mentalmente l’ombra dal nero, facendo dell’essenza del nero uno dei campi sospesi della metafisica.
È il nero dei limbi, muto delle forme non ancora divenute… o il nero finale, saturo di tempi sovrapposti? Il nero, comunque insensibile ai punti cardinali, come alle ortogonali, inventa per queste fotografie una improbabile dimensione, intuibile nella sfumatura immediata della pietra, nella sequenza delle tombe scavate a forma d’uomo nella roccia di Montmajour, asportabile anche dallo slittamento dell’ascia incisa sul nero degli Alyscamps.
In quale abisso infinito è ancorato il suolo polveroso dell’Abbazia?
Il fatto che Marcello Grassi, nutrito di spirito emiliano, sia venuto a Arles, dove la storia è straripante, e che tutte queste immagini – grazie a lui – facciano poi parte di collezioni della città di Arles, conferisce una risonanza infinita, inesauribile al nostro patrimonio… [Michèle Moutashar (a cura di), Arles, catalogo della mostra, Reggio Emilia, 1996]
accumulano e il genio della storia è innato? È così che Marcello Grassi ha inseguito gli Etruschi in Emilia-Romagna, nel Lazio, in Toscana e in Umbria.
Ha esplorato la via Augusta, che conduce ad Aosta e alle Alpi, la città di Arles, dove convivono arte romana ed arte romanica e dove Les Alyscamps costituiscono la necropoli millenaria più famosa del mondo occidentale.
Nella sua città natale di Reggio Emilia, ha magnificamente inventariato la Galleria e il Cortile dei Marmi.
Qualunque sia l’iniziativa che assume o l’incarico che gli viene affidato, Marcello Grassi cerca e trova: guidato da una profonda cultura dell’antico, da un senso poco comune della pietra, da una grande padronanza dei mezzi e da una comprensione radiosa della luce.
Paradossalmente, questo uso della luce si evidenzia in lui attraverso la densità del nero.
Non conosco neri più profondi e, al tempo stesso, più rivelatori dello splendore del giorno.
Questa ossessione del fotografo, a partire da Talbot e Niépce, Grassi la rivela senza superbia. Egli studia ciò che permette di comprendere la superficie, il volume, l’anfrattuosità, l’impronta.
Contemporaneamente, mettendo in gioco l’ombra, ottiene la vibrazione dell’onda elettromagnetica, il flusso delle particelle, l’energia delle cose, tutto ciò che costituisce la sua stessa materia, la trasmutazione del passato, l’eredità di quelli che furono, il soffio di vita che emana sempre dai luoghi funebri e da ciò che chiamiamo, molto giustamente, vestigia poiché vi sussistono il segno e la scia degli uomini, come una cicatrice che è la storia.
La ricerca che Marcello Grassi persegue non mi pare rivelare nostalgia né malinconia di ieri. Non è il tempo finito che lo interessa. Egli è maggiormente animato dalla celebrazione dello scorrere dei giorni, da ciò che ancora palpita degli uomini che furono, dal messaggio che ci hanno lanciato, e che egli fa rivivere. C’è una energia vitale nella sopravvivenza che egli pone in essere, elaborando una nuova forma di annali e di effemeridi. Grassi mette in scena la cronaca epica della durata; fa rivivere con una ostinata pazienza.
Michèle Moutashar Nero d’Etruria Arles, 30 giugno 1998
Restia al colore, ignara delle ocre cremisi, l’amaranto funerario della Tomba degli Auguri o di quella della Scimmia indifferente anche alla celebrazione delle figure, divine o mortali, che sorgono e si tuffano perpendicolarmente alle pareti, la fotografia di Marcello Grassi si incontra sulla soglia delle necropoli etrusche.
Sovana, Orvieto, Cortona, Cerveteri… Dal territorio che essa percorre da più di dieci anni, è evidente che non dirà grandi cose del paesaggio, né aggiungerà molto sul rigonfiamento dei tumuli, da tempo cullati dalla campagna come meloni, e ora profilati dalla peluria degli aghi i pino; come se per essa contassero soltanto i bordi, lo spessore delle membrane pietrose la cui risonanza viene incessantemente amplificata dal tempo, e il mistero delle soglie dove transitano il dentro e il fuori; Populonia, Vulci, Saturnia…, le immagini dell’Etruria tendono definitivamente ad un solo ed unico viaggio. Misurarne il nero. A che cosa può tendere, sul posto, costeggiando come in sogno il contorno delle necropoli, le cui orbe smussate dalle erbe si succedono senza confondersi, a che cosa può tendere questo sentimento che affiora subitaneamente e che nessun altro cimitero genera in questa forma, questo sentimento di un luogo continuo e senza fratture, di uno spazio che crea legame? Senza dubbio a questo alone di terra portante sopra le pietre, che circonda un ventre smisurato che sappiamo essere abitato in noi, e che si interrompe solo sul versante del nero. Una percezione che appartiene solo al corpo, e nel corpo a ciò che vi è di più intimo, e alla quale, stranamente, potrebbero fare eco solo i disegni minuscoli delle azioni dei tumuli isolati nei libri, o la trasparenza delle piantine che svela il percorso fragile e comunque formidabile delle camere funerarie, un tracciato cieco e tortuoso come quello del coledoco.
Charles-Henri Favrod
La Germinazione delle Rovine 1997
Sono più di dieci anni che Marcello Grassi conduce una ricerca che si può ben definire archeologica, poiché capta le tracce delle civiltà scomparse.
La fotografia, quando è utilizzata con padronanza, si presta bene a questa restituzione del passato e come non riuscirci meglio che in Italia dove gli strati si
E io vedo nelle sue immagini ben più dell’eterna germinazione che sfida la morte, un curriculum terrae, dove le rovine appartengono alla continuità fisiologica, alla fosforescenza naturale, alla polarizzazione monumentale.
In un colpo solo, è il trionfo, in gloria, della fotografia.
[Nadine Babani (a cura di), Etrurie, testo di presentazione, Galerie du Château, Nice 1997]
Si! Ancora un’altra cosa fa parte di questo legame, di questo continuum fatto di inversione così dichiaratamente delineata dalle immagini: la scrittura; la successione di piccoli segni sensibili, a metà strada fra fili d’erba e piume, di questa scrittura che di primo acchito si vorrebbe definire “di sinistra”, e che può anche essere riflessa dal basso verso l’alto sul retro di uno specchio di metallo scuro, che corre da destra a sinistra, per tornare da sinistra a destra alla riga successiva, “nella direzione in cui buoi tracciano i solchi”. Come questa, la “foto-grafia” d’Etruria appartiene al registro della scrittura bustrofedica. Certamente, tutti i luoghi sotterranei deputati alla morte esprimono fortemente il senso di transizione; ivi si ricongiungono, presso gli Etruschi come altrove. La ruota da tiro, le imbarcazioni di profilo e la criniera dei cavalli notturni… Certe immagini
di Orvieto, con loro bulbi di pietra come cippi da ormeggio, o muretti carenati di Populonia, rivelano anch’esse quest’aria di nave che ha lasciato la sua cala.
Ma la posta in gioco è altrove. Condotta il più vicino possibile alla pietra, valutando lungamente, come un tempo dovettero cominciare a fare gli indovini/urbanisti aggirantisi sul suolo vergine delle città, la densità di questo tufo attento al fulmine, l’immagine si aggrappa ostinatamente al suolo di questi luoghi reversibili, dove il fuori appartiene al dentro, dove ribolle il nero.
Nelle pagine sale, oscuro come le viscere, il nero della materia fotografica. Sale incontro a colui che fuoriesce dal cratere spalancato delle necropoli rupestri, fulmina gli architravi, tori, le scanalature, i piani dei letti di pietra che si levano come l’alta marea.
Dei loro luoghi di fusione, enunciati dalla pietra, la fotografia di Marcello Grassi è, qui più che in qualsiasi altra delle sue opere, l’aruspice. [Michèle Moutashar (a cura di), Etruria catalogo della mostra, Federico Motta editore, Milano 1999]
1998
Ombra e luce, ombra profonda e luce rarefatta, tenebre minacciose senza tregua e, nonostante tutto, luce trionfante. Le fotografie di Marcello Grassi rappresentano, nel materiale stesso della fotografia in bianco e nero, il significato mistico della vita monastica dei cistercensi di Maulbronn, l’incontro con quel dio che Sant’Agostino definisce “una luce che nulla potrebbe oscurare”. È un modo del tutto naturale, o, per meglio dire, del tutto spirituale, che Marcello Grassi ottiene questo risultato attraverso tre momenti. Un primo gruppo di fotografie sembra, in effetti, voler rivelare lo spirito del luogo, evidenziare certi caratteri dell’architettura del convento, senza darne immagini convenzionali d’insieme, ma scoprendone dettagli d’effetto: una slanciata volta romanica nel chiostro, la pressante successione delle finestre gotiche, la complessa geometria dei pieni, l’austera teoria dei contrafforti, il monumentale slancio della scalinata… In tutte queste immagini l’ombra, che circonda o riempie gli oggetti fotografati, siano finestroni o arcate, la fanno scoprire in forma poetica evocando totalmente la lunga storia del monumento; per chi si interessa di fotografia, queste immagini sono mirabili esempi di drammatizzazione materica e luminista: si noti come un “occhio di bue”, spostato rispetto a una porta, come se si fosse lasciato ruotare sul suo architrave, si contrappone, in tutta la sua rotondità risoluta, all’avanzare sbieco dell’ombra che, là dove si staglia, annienta la facciata. Perciò non vi è contraddizione alcuna tra questi due giochi della fotografia, il realismo pittoresco e la finta drammaturgia, poiché ogni immagine, in virtù stessa dei rapporti conflittuali che legano l’ombra e la luce, rivela una particolare qualità del monumento, forza, grazia, grandezza, tenacia, vigilanza… che è altresì una virtù combattiva. L’architettura sembra così mostrare valori morali che dovevano essere quelli dei frati che l’hanno
concepita. Da questo si può vedere che lo spirito del luogo colto da Marcello Grassi non si limita all’apparenza. Tuttavia, nella maggior parte delle fotografie, muri in controluce e distese d’ombra occupano la maggior parte dello spazio. Inoltre al limite di quel muro divenuto nera distesa si scopre solo una parte di un finestrone poiché la luce che l’attraversa impedisce dall’esterno di distinguerlo nel dettaglio. Un’altra immagine si divide fra una zona d’ombra opaca, un frammento di muro e un’apertura – non riconoscibile nella sua interezza – attraverso la quale si scopre un luogo dove il conflitto dell’ombra e della luce non consente di distinguere ciò che vi si trova. Altrove, non del tutto fuori dall’ombra o in modo frammentario, non si scorge che un drappeggio di statua, un bordo di pietra tombale, un frammento di iscrizione funebre, il dettaglio di un cimelio di figura giacente, le pietre di un muro ancora recanti le tracce dell’utensile che servì ad appianarle o le ferite inferte dal tempo. In ogni caso, ombre nere, visione frammentaria, matura degli oggetti mostrati – di cui una base di colonna scolpita con teschi o la volta profondamente danneggiata di una porticina, manifestano iperbolicamente la disastrosa incidenza – tendono al medesimo effetto: rendere ogni fotografia occasione di meditazione sugli effetti del tempo, sul decadimento di tutti monumenti eretti dall’uomo, ivi e soprattutto compresi quelli atti a perpetrare la sua memoria, sull’ineluttabile trionfo della morte. Queste fotografie sono vanità, ma vanità pacate in quanto la loro composizione è sempre armoniosa ed il loro nero sempre sontuoso. Proprio in quanto vanità, e proprio perché serene, sono dunque perfettamente consone al loro soggetto, all’esaltazione di un luogo dove le genti che vi si erano ritirate vivevano solo nell’attesa dell’ultimo istante di una esistenza interamente votata a dio. Infatti per loro questo ultimo momento rappresentava anche il primo della Vera Vita. Attendevano pazientemente nell’ombra del monastero la Sua abbagliante rivelazione. Ed è questo che ci fa capire anche Marcello Grassi attraverso le sue immagini. Questa realtà trascendente non si può conoscere; si può solo presumere. Pertanto, non può farsi vedere. L’aporia verrà superata: per dire l’indicibile e mostrare l’invisibile, linguaggio e fotografia dispongono del simbolo. Ma le fotografie che lo usano possono essere solo poche poiché, visto che il simbolo effettua il superamento semantico del detto o del mostrato, non può essere reiterato. Questo simbolo sarà, evidentemente, il trionfo della luce sulle tenebre, il capovolgimento glorioso del dominio terrestre dell’ombra, diversamente esemplificato. Su una prima fotografia, la luce, che ha attraversato il pieno di una finestra gotica è appena sbocciata come un fiore impercettibilmente radioso, in un luogo pieno di ombra ch’essa dissolve. Come nella simbologia sacra (nelle Annunciazioni, per esempio – ma è proprio di una annunciazione che qui si tratta) la luce divina viene da destra (dalla nostra sinistra, in apparenza, ma in effetti, dalla destra di Dio che ci sta di fronte). Nella sua avanzata, la luce svela la presenza di una colonna. Ora Raban Maur ci ha insegnato che la “colonna è la divinità di Cristo”.
In una seconda fotografia. La luce si abbatte su un muro disastrato e segnato e sul suolo indistinto, in una forma indefinita – indescrivibile, come Dio, non conoscibile, – di un bianco assoluto – e va oltre
la fotografia che di norma conosce solo il nero e il grigio. L’irruzione di questa luce ultraterrena in un luogo banale è pari all’epifania. In un’altra immagine, è la stessa luce che danza – e si conosce il valore della danza nella simbologia biblica – fra due colonne, equivalente locale delle colonne di bronzo del tempio di Salomone. E poi, un’ultima, dove la luce si spande sul terreno, facendo uscire dall’ombra un sentiero che punta in alto, al cielo. Come non pensare, allora, davanti a questo cammino di luce, alla affermazione che riporta Giovanni: “io sono la Via, la Verità e la Vita?”.
Così dopo la “leçon de ténèbres”, copiosamente celebrata nelle armoniose e misteriose fotografie nere di Marcello Grassi, viene la Resurrezione, o per lo meno la sua promessa, attraverso immagini dove la foto-grafia nerita di nuovo, pienamente, il suo nome.
[Maulbronn catalogo della mostra, Mediaprint, Reggio Emilia 1998]
* In francese, l’espressione “Leçon de ténèbres” indica i canti del Mercoledì, Giovedì e Venerdì Santo che esprimono il dolore per la morte di Cristo, prima della Resurrezione
Nadia Raimondi Anatomia del Tempo agosto 2000
[…] Scorrendo la selezione di fotografie presentate in mostra, appartenenti ai vari cicli realizzati dal 1985 ad oggi, di Marcello Grassi colpisce anzitutto il convinto e concentrato rigore nel mostrare suoi sentimenti e pensieri sulla storia e il passato attraverso bianconeri che sfuggono costantemente sia la dimensione del realismo che quella metafisica o puramente simbolica.
Nello stesso tempo, e prima di ogni possibile considerazione estetica, formale o contenutistica, si resta irretiti dalla qualità tecnica delle immagini, ottenute con stampe che Grassi esegue o segue personalmente.
[…] Una fotografia, dunque che, occupandosi dell’antico viene definita archeologica, ma per la quale la definizione deve essere liberata da ogni significato di stretta testimonianza documentaria, per andare a cogliere invece nelle immagini proposte il senso della restituzione intellettuale, divenuta forma visibile, del profondo rapporto con l’antico che da anni l’autore coltiva. […].
I procedimenti e gli esiti della ricerca di Grassi possono veramente definirsi di scavo visivo poiché il suo occhio e la sua mente accostano e penetrano soggetti che saranno le sue foto (dai tumuli delle necropoli agli spazi delle tombe; dai marmi delle colonne o dalle distese di pietre che furono architetture; dalle sculture tuttora all’aperto oppure ordinate nei musei alle strutture silenziosamente eloquenti di abbazie medioevali…), compiendo una sorta di blow-up cinematografico, in un avvicinamento che va a cogliere, passo dopo passo, sguardo dopo sguardo, segno dopo segno, l’intreccio fra le tracce mirabili ma caduche lasciate dall’uomo e quelle implacabili del tempo trascorso.
In fotografie che sono drammaticamente sinfonie di neri e di bianchi pur nel silenzio assoluto (anche
se percorso dal brusio emergente di indicazioni, moniti, memorie, allusioni…) creato dal magistrale equilibrio classico di una visione per lo più centrale, dove le forme di ombra densa e di luce abbacinante si bilanciano nella certezza della loro nuova immagine, Marcello Grassi condensa la percezione di un luogo e di un tempo, superandone sempre la pura trascrizione visiva.
L’occhio e la mente del fotografo si fanno dunque eccellente strumento non tanto di conoscenza quanto di comprensione del passato, proprio mentre accostandosi ai resti delle amate culture etrusca, romana o medioevale ne sa cogliere ed interpretare il messaggio di durata, il monumentum che da quelle tracce monumentali egli sente vibrare verso di noi e che trasla in immagini che inducono a cercare oltre l’immediatamente visibile.
La sontuosa e misteriosa materia dei neri e le forme di luce catturate a divenire nuova certezza, inverano nella realtà della foto – concreta e virtuale insieme – il suo pensiero, additano un percorso di avvicinamento e comprensione che non si pone come malinconica riflessione, ma come ‘celebrazione’ (Favrod) del passato e dei valori tuttora contenuti nelle pietre consunte dal tempo così come nella ricostruita temporalità del museo. Se dunque storia e tempo sono i temi conduttori di tutta la ricerca di Grassi, il soggetto vero ne diviene l’eterno continuum temporale e la trasmissione del senso di culture e civiltà scomparse, magistralmente evocato o più ancora conclamato dalla forza simbolica e costruttiva delle nuove architetture di ombra e di luce che, per via di nero e di bianco, costituiscono le sue fotografie.
[Nadia Raimondi (a cura di), Anatomia del Tempo. Fotografie 1985/2000, catalogo della mostra, Nonantola (MO), 2000]
Risveglia fantasmi e misteri oltre l’oscurità del corpo che ostacola la luce.
Sollecita le ombre, ridisegna i profili, ne raccoglie asprezze e sfregi.
Nobilita ancelle sulla cui carne il tempo si è scagliato impietoso, ridesta sibille private della vista e dell’olfatto. Conferisce dignità a un cesare decapitato, mentre melanconico e fragile, mutilato ed eroso nel suo corpo di fanciullo, sorpreso in uno specchio di luce, un efebo si trattiene.
E la rifrazione della luce determina la sovrapposizione dello spazio e del tempo. Accelera la percezione di un universo immoto, ne abbraccia il silenzio perpetuo. Lancieri e guardiani serbano l’onere antico, mentre la regina Nefertiti con temperanza solenne, tende lo sguardo magnifico allo sposo Ekhnaton. [Ryuichi Watanabe (a cura di), Anatomia del Tempo, catalogo della mostra, Milano 2002]
Marinella Bonaffini Anatomia del Tempo 2002
Vinti dalla morte imperatori ed eroi in esilio nel tempo.
Nelle carni di pietra audaci guerrieri e filosofi illustri.
Una madre o un amante in una ciocca di marmo per mille anni attendono.
Frammenti di uomini, condannati all’eternità, posano.
Per la guerra l’amore la voluttà il coraggio o la scienza hanno giocato alla vita. Finché la morte non li ha resi immortali. In un involucro fragile di bellezza e disincanto.
Laddove l’arte si consegna alla storia, consente agli uomini di vegliare sulla propria nostalgia.
Ora naufraghi in un tempo senza dei, nell’agorà del terzo millennio, frammenti di uomini, posano. Schivi, superbi, affabili o scontrosi, si abbandonano, si concedono.
A la fotografia affranca anche gli idoli, soffocati dagli uomini.
Liberi di evocare un sogno, l’ennesima illusione, racchiusa nello spazio effimero della visione.
E lo sguardo dell’artista è nell’esaltazione delle superfici, è nei riflessi volubili, nel rifrangersi della luce, nella mobilità dell’ombra.
Marcello raccoglie e ridefinisce lo spazio, lo anima di uomini.
Massimo Mussini Marcello Grassi. Herculaneum. Storie dalla terra 2015
A differenza di Pompei, Ercolano è un sito archeologico più tranquillo, meno invaso da gruppi turistici che si trascinano rumoreggiando lungo le stradine e, se hai la fortuna di visitarlo in certi periodi dell’anno puoi assaporarne il silenzio che caratterizza i nostri cimiteri monumentali. Perché Ercolano è una città di morti, come morta è la sua architettura, congelata in una esplosione nucleare e poi sepolta per secoli sotto uno strato di fango lentamente solidificato, che ha trasformato tutto in materia fossile.
Il visitatore che non ne conosce bene la storia, non è in grado di coglierne che in piccola parte il suo messaggio muto e segreto.
Si è accinto a rivelarlo Marcello Grassi con la sua fotocamera, strumento di racconto visivo e di sollecitazione emotiva, che con il linguaggio silenzioso delle immagini tenta di indurre l’osservatore a una riflessione capace di oltrepassare il puro dato sensoriale, per fari suscitatrice di senso. Qual è, infatti, il messaggio che Grassi ha colto nelle mute rovine di Ercolano?
È l’attestazione della precarietà dell’uomo, della sua intraprendenza e della sua sventatezza, della sua sicurezza e della sua imprudenza. […] Marcello Grassi ci conduce attraverso i luoghi di Ercolano con la preoccupazione di aiutarci a comprendere. Le sue immagini non sono strutturate per documentare a fini didascalici e neppure hanno l’intento di avvincere con la suggestione cromatica e l’inquadratura attraente, secondo i modelli ormai resi popolari dalle fotografie pubblicate da National Geographic. Ama piuttosto la monocromia del bianco e nero e il forte contrasto di toni, ama il particolare e il taglio selettivo, che non esauriscono il racconto dell’immagine, ma lo lasciano aperto alla domanda di cosa ci sia oltre il suo margine e di come il dettaglio raffigurato si inserisca nel contesto di cui era parte. Non sono però, le sue, immagini “teatralizzate”, nel senso che non forzano il messaggio con interventi di camera oscura capaci di modificare la realtà. I contrasti di tono corrispondono piuttosto al crudo passaggio dalla luce all’ombra, che abbacina gli occhi sotto il sole mediterraneo. Sono, insomma, una caratteristica del luogo messa in rilievo per aiutare a “entrare” emotivamente in un ambiente singolare, che è “vivo” perché è ancora fruibile, ma è “morto”, perché non ha più abitanti che lo animino, se non i temporanei visitatori. Ed è per questa ragione, che Grassi evita di comprendere nelle sue immagini la presenza umana e ogni traccia di vita, capace di alterare l’equilibrio della forma. […] L’effetto comunicativo generale è quello del silenzio, psicologicamente assimilato all’assenza di movimento, ma è un silenzio che racconta storie uscite dalla terra, come lentamente germogliate da un seme improvvisamente inghiottito. [Elio Grazioli, Walter Guadagnini (a cura di), Effetto Terra. Fotografia Europea, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2015]
Moutashar Ancres
August 1996
With a few exceptions Marcello Grassi’s photographic frames, when measured individually, feature an ever-greater number of black expanses rather than luminous rays. The lines separating them, like those of mountains, are both vigorous and porous, and detached from time, informed as much by the immutable as the ephemeral… Everything is linked to a piece of evidence: the black sees and looks at itself.
But in these expanses of stone, albeit born of architecture, we find that very few shadows have been incorporated, and the one or two bridges connecting the black to shade are intended to thwart any eventual perspective. There is plethora of holes, supplementary mirrors and bottomless crucibles from which the black erupts. Perhaps even more than the evocative images of Etruscan necropoli created by Marcello Grassi from 1985, his later Arles series is a lengthy assessment of what mentally separates shade from black, by making the essence of black one of the suspended fields of metaphysics.
Is it the black of limbos, devoid of forms as yet unmanifest… or the final black, saturated with layered times? Black, albeit impervious to the cardinal points as well as to right angles, creates an unlikely dimension in these photographs. This can be perceived through the immediacy of the nuanced stone, the series of tombs shaped like human bodies cut into the rock at Montmajour Abbey, and also in the shifting of the axe incised on the black of Les Alyscamps.
In what bottomless abyss is the dusty floor of the Abbey anchored?
The fact that Marcello Grassi, nourished by an Emilian spirit, came to Arles, which is overflowing with history, and that all these images, thanks to him, are part of the collections of the city of Arles, gives our heritage an endless, inexhaustible appeal… [Michèle Moutashar (ed.), Arles, exhibition catalogue, Reggio Emilia, 1996]
Thus, Marcello Grassi has tracked the Etruscans in Emilia-Romagna, Lazio, Toscana and Umbria.
He has explored the Via Augusta, which leads to Aosta and the Alps, and the city of Arles, where Roman and Romanesque art coexist, and Les Alyscamps constitute the most famous millenary necropolis in the Western world.
He has also magnificently inventoried the Marbles Gallery and Courtyard, in his native city of Reggio Emilia.
Whatever initiative or commission he takes on, Marcello Grassi seeks and finds, guided by a profound classical culture, an uncommon feeling for stone, considerable mastery of the medium, and a brilliant understanding of light. Paradoxically, his use of light is evidenced through the density of black.
I have never seen blacks that are deeper and, at the same time, more revealing of the splendour of the day.
This overriding concern of photographers – starting with Talbot and Niépce – is pursued, but not flaunted, by Grassi.
He studies what will enable an understanding of surface, volume, the intricacy of space, imprint. At the same time, he brings shade into play to capture the vibration of the electromagnetic wave, the flow of particles, the energy of things. And everything that constitutes his actual material: the transmutation of the past, the legacy of those who are no more, the breath of life that always emanates from burial places and from what we so aptly call vestiges, since in them the mark and traces of humanity endure, like the scar of history.
Marcello Grassi’s research seems to show no sign of no nostalgia or melancholy for the past. It is not finite time that interests him. He is more inspired by the celebration of the passing of days, by what lives on of those who are no more, and by the message they sent, which he revives. There is a vital energy in the survival he pursues by creating a new kind of annal and ephemeris.
Grassi represents the epic chronicle of endurance; he revives with stubborn patience.
Michèle Moutashar Nero d’Etruria
Arles, 30 June 1998
Averse to colour, oblivious to the crimson ochres and funerary amaranth of the Tomb of the Augurs and the Tomb of the Monkey, and indifferent to the celebration of the figures, divine or mortal, that rise and descend perpendicularly on the walls, Marcello Grassi’s photography stands on the threshold of the Etruscan necropoli.
Sovana, Orvieto, Cortona, Cerveteri… It is evident from the terrain that his images have explored for over a decade that they do not say great things about the landscape, or add much to the roundness of the tumuli cradled like melons by the countryside for aeons, and now outlined by a thick coat of pine needles. Indeed, it is as if his photography were concerned solely with borders, with the thickness of stony membranes whose impact is rendered ever-more powerful by time, and with the mystery of thresholds crossed by the inside and outside. Populonia, Vulci, Saturnia… ultimately, the images of Etruria have a sole purpose: to measure the black it contains. What can be the aim of following, in situ, the outlines of the necropoli, whose sequential circles blurred by grass are never confused? What can be the point of this particular sensation that arises immediately, and which no other cemetery triggers?
The sensation of a continuous, uninterrupted place, of a space that connects? The intention is certainly to convey the atmosphere of this land covered with stones, which surrounds a boundless womb that we know in our hearts to be inhabited, and is only interrupted on the black side.
This perception, which pertains solely to the body and to its most intimate part, could only be echoed, strangely enough, by the little drawings of the actions of the burial grounds in books, or the small transparent plans that reveal the fragile yet formidable layout of the burial chambers: a blind and tortuous arrangement reminiscent of a bile duct.
Charles-Henri Favrod
La Germinazione delle Rovine 1997
For over ten years now Marcello Grassi has conducted research that can rightly be defined as archaeological, since he captures the traces of vanished civilizations. When used with mastery, photography lends itself to restoring the past – and with what better results than in Italy where that past is exceptionally layered and the genius of history is innate?
I see far more in his images than the endless germination that challenges death: a curriculum terrae in which ruins are part of the physiological continuity, natural phosphorescence, and monumental polarization.
It is the glorious triumph of photography, in a single shot!
[Nadine Babani (ed.), Etrurie, presentation text, Galerie du Château, Nice 1997]
There is also another thing that is part of the connection, of the continuum consisting in inversion, so explicitly delineated by the images. It is writing, or more specifically the sequence of small sensitive signs, halfway between blades of grass and feathers, of a script that at first glance one would tend to define as “left-leaning” – and which also runs from bottom to top on the back of a dark metal mirror – but which goes from right to left, then from left to right on the next line, “in the direction in which oxen plough furrows”. Likewise, the “photo-graphy” of Etruria belongs to the register of boustrophedon script. There is no doubt that all underground burial places conjure a powerful feeling of transition: there, the dead are reunited with their ancestors, in the Etruscan and other cultures. There are drawings of
wheels and boats, the manes of nocturnal horses…
Certain images of Orvieto, with stone cippi like mooring posts, or of the keeled walls of Populonia, also give the feeling of movement, of a ship that has left the shore.
But the challenge lies elsewhere.
It is taken up as close to the stone as possible, by evaluating at length – like the soothsayers/urban planners of times past did, as they surveyed the virgin site of the future city – the density of the tuff that is vulnerable to lightning. Hence, the image clings stubbornly to the ground of these reversible places, where the outside pertains to the inside, where the black seethes.
The black of the photographic material, as dark as the depths of the earth, rises up from the pages.
It moves towards the man who emerges from the yawning crater of the rocky necropoli; it strikes down the architraves, the bulls, the fluting, the flat beds of stone that rise up like a heaving tidal wave. Here, more than in any other of his works, Marcello Grassi’s photography is the haruspex of their places of fusion, enunciated by the stone.
[Michèle Moutashar (ed.), Etruria exhibition catalogue, Federico Motta, Milan 1999]
what must have been the moral values of the monks who conceived it. This clearly indicates that the spirit of the place captured by Marcello Grassi goes beyond appearance.
However, in most of the photographs, silhouetted walls and expanses of shade occupy most of the space. Moreover, at the edge of the wall that has become a swathe of black we perceive only part of a large window, because the light coming through it prevents us from seeing it in detail from the outside.
Another image is divided into an opaque shadow zone, a fragment of wall and an opening – not recognizable as a whole – through which we see a place where the conflict between light and shade prevents us from distinguishing what is within.
ordinary place is equal to an epiphany. In another image, the light itself dances – and we know the significance of the dance in biblical symbolism – between two columns, the local equivalent of the bronze columns of the temple of Solomon.
And in a final photo, the light spreads across the ground and causes to emerge from the shade a path leading upwards, to the heavens. When confronted with this path of light, how can we not think of the pronouncement in the Gospel of John: “I am the Way and the Truth and the Life”?
Jean
Arrouye Leçon de ténèbres* 1998
Light and shade, rarefied light and deep shade, threatening, unrelenting darkness and, despite everything, triumphant light… Marcello Grassi’s photographs represent, through the very “stuff” of black and white photography, the mystical significance of the monastic life of the Cistercians at Maulbronn, the meeting with God whom St Augustine describes as “[…] a light that nothing can darken”.
Marcello Grassi obtains this result in a completely natural, or rather spiritual, way, in three different phases.
In fact, a first group of images seem intended to reveal the spirit of the place and to highlight certain architectural features of the monastery rather than present conventional overall views, by accentuating striking details. A soaring Romanesque vault in the cloister, a serried sequence of Gothic windows, the complex geometry of the volumes, the austere series of buttresses, the monumental thrust of a stairway… In all these images, the shade surrounding or filling the photographed objects, be they large windows or arches, brings out a poetic quality in the architecture, evoking the monument’s long history to the full. For anyone with an interest in photography, these images are extraordinary examples of the dramatic use of light and texture. Note how the definitive roundness of an ox-eye window, tilted with respect to a door as if it had rotated on its architrave, is set against the encroaching, slanting shade, which starkly obliterates the façade. Hence, there is no contradiction between these two aspects of photography, namely pictorial realism and staged drama, since each image reveals, through the conflictual relationship between light and shade, a particular virtue of the monument: strength, grace, greatness, steadfastness, vigilance… which is also a combative virtue. The architecture, therefore, shows
Elsewhere we glimpse, but still partially in shadow or in a fragmentary way, only the drapery of a statue, the edge of a tombstone, part of a funerary inscription, the detail of a memento belonging to a reclining figure, the stones of a wall that still bear the traces of the tool used to smooth them, or the injuries inflicted by time. In every case, black shadows combined with a fragmentary, mature vision of the objects shown – the disastrous erosion of which is dramatically represented by the base of a column sculpted with skulls or a severely damaged small door – aim for a sole effect: to make each photograph a means of meditating on the ravages of time, on the decline of all the monuments erected by man, especially those designed to preserve his memory, and on the inevitable triumph of death.
These photographs are Vanitas, but possess a serenity deriving from the fact that the composition is always harmonious, and the black always sumptuous. Precisely because they are Vanitas and they are serene, the images are perfectly in keeping with their subject, with the celebration of a place to which people withdrew solely to await the last moment of a life devoted entirely to God. Indeed, for them this last moment was also the first of the True Life. They waited patiently in the shade of the monastery for its blinding revelation. This is what enables us to understand Marcello Grassi through his images. It is impossible to know this transcendent reality; it can only be presumed to exist. Therefore, it cannot show itself. The contradiction will be overcome: language and photography have the symbol to say the unsayable and to show the invisible. But it can only be utilized in relatively few photographs, because the symbol semantically goes beyond the stated and the shown, and cannot be reiterated. Clearly, this symbol will be the triumph of light over darkness, the glorious overturning of shade’s earthly dominion in its various forms.
In one photograph the light pours in through a Gothic window, then blossoms like a flower with an almost imperceptible radiance, in a place filled with shade that it dispels. As in religious symbolism (in Annunciations, for instance – and here we are dealing precisely with an annunciation) the divine light comes from the right (from our left, it seems, but actually from the right of God, who is facing us). As the light advances, it reveals the presence of a column. And as Rabanus Maurus taught us, “the column is the divinity of Christ”.
In a second image, the light strikes a dilapidated, ravaged wall and the indistinguishable ground, as an undefined – indescribable, like God, and thus unknowable – absolutely white form, going beyond photography that usually knows only black and grey. The irruption of this unearthly light in an
And so after the “leçon de ténèbres”, richly celebrated in the harmonious and mysterious black photographs by Marcello Grassi, comes the Resurrection, or at least a promise of it, through images in which photo-graphy is once again completely worthy of its name.
[Maulbronn, exhibition catalogue, Mediaprint, Reggio Emilia 1998]
* In French, the expression “Leçon de ténèbres” indicates the lamentations of Holy Wednesday, Thursday and Good Friday that express grief over the death of Christ, before the Resurrection.
Nadia Raimondi Anatomia del Tempo
August 2000
[…] Looking at the selection of photographs on display – which are part of various series executed between 1985 and the present – what first strikes us about Marcello Grassi is the intense rigour with which he expresses his feelings and thoughts about history and the past through blacks and whites that constantly eschew both realism and the metaphysical or purely symbolic.
At the same time, and prior to any possible considerations concerning aesthetics, form or content, we are riveted by the technical quality of the prints, which are either made or supervised by Grassi personally.
[…] His is a photography that addresses the antique and is thus definable as archaeological, but not in a strictly documentarist sense. Indeed, these images intellectually represent, and fully convey the significance of, the profound relationship that the photographer has cultivated with the antique for years. […].
The procedures and results of Grassi’s research are truly a form of visual excavation, because his eye and his mind engage with and penetrate the subjects of his photos, from the burial mounds of a necropolis to the spaces of the tombs, from the marbles of the columns to the expanses of stones that were once architecture, from the sculptures that are still in the open air or arranged in museums to the eloquent, silent structures of medieval abbeys … Through this excavation he achieves a kind of cinematic “blow-up”, steadily closing in to capture the transitory traces left by man and the implacable traces of passing time. The photographs are dramatic symphonies of blacks and whites, steeped in absolute silence (though thrumming with emergent indications, warnings, memories and allusions) created by the masterly classic equilibrium of a more or less central vision, in which the
forms of dense shade and of dazzling light are balanced through the precision of their new image. Marcello Grassi condenses the perception of a place and of a time, always going beyond mere visual transcription.
The eye and the mind of the photographer are therefore excellent tools for understanding the past rather than gaining a knowledge of it, precisely because in engaging with the remains of treasured Etruscan, Roman and medieval civilizations they are able to grasp and interpret their message of endurance. But also the monumentum that they feel vibrating and travelling towards us from those monumental remains, which they translate into images that lead us to look beyond the immediately visible.
The sumptuous and mysterious texture of the blacks and the forms of light that are captured and unequivocally redefined, express his thought in the reality – both concrete and virtual – of the photo. They also indicate an approach and an understanding that does not take the form of melancholy reflection, but of “celebration” (Favrod) of the past and of the values still contained in the stones eroded by time and, likewise, the reconstructed temporality of the museum. While history and time are the leitmotifs of Grassi’s entire research, the real subject is the eternal continuum of temporality and the transmission of the significance of vanished cultures and civilizations. This is masterfully evoked, or rather explicitly conveyed, by the powerful symbolism and construction of the new architectures of light and shade in black and white, which constitute his photographs.
[Nadia Raimondi (ed.), Anatomia del Tempo. Fotografie 1985/2000 exhibition catalogue, Nonantola (MO), 2000]
darkness of the body that blocks the light.
He conjures shadows, reshapes profiles, capturing their harshness and disfigurements.
He ennobles handmaidens whose flesh has been mercilessly eroded by time, and reawakens sibyls deprived of the sense of sight and smell.
He restores a decapitated Caesar’s dignity, while a melancholy and fragile ephebus, his youthful body mutilated and eroded, freezes, caught unawares in a mirror of light.
The refraction of light determines the superimposition of space and time. It quickens the perception of a motionless universe, embraces its perpetual silence.
Spear bearers and guardians shoulder the ancient burden, while Queen Nefertiti, with solemn temperance, turns her magnificent gaze on her husband Akhenaton.
[Ryuichi Watanabe (ed.), Anatomia del Tempo, exhibition catalogue, Milan 2002]
setting, which is “alive” because it can still be experienced, but “dead” because there are no longer any inhabitants, apart from passing visitors, to give it life. That is why Grassi avoids including human figures or any trace of life in his images, since they would upset the formal balance. […] The overall effect is one of silence, which, psychologically, is associated with movement; but it is a silence that recounts stories that have emerged from the earth, as if they had gradually sprung forth from a seed that had suddenly been swallowed up.
[Elio Grazioli, Walter Guadagnini (ed.), Effetto Terra. Fotografia Europea Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2015]
Marinella Bonaffini
Anatomia del Tempo 2002
Emperors and heroes, vanquished by death, exiled in time.
Fearless warriors and illustrious philosophers with flesh of stone.
A mother or lover waiting for a thousand years in a block of marble.
Fragments of men, condemned to eternity, repose. Lives sacrificed to war, love, pleasure, heroism or science. Until death rendered them immortal. In a fragile shell of beauty and disenchantment. When art places itself in history’s hands, it enables men to keep watch over their own nostalgia. Castaways in a godless era, in the agorà of the third millennium, fragments of men, repose. Reserved, proud, amiable or surly, they abandon and give themselves.
Idols, suffocated by man, are also liberated by photography.
Free to evoke a dream, yet another illusion, enclosed in the ephemeral space of vision.
The artist’s gaze is in the accentuation of the surfaces, in the changing reflections, in the explosion of light, in the fluidity of shade. Marcello gathers up and redefines the space, enlivens it with human beings.
He reawakens ghosts and mysteries beyond the
Massimo Mussini Marcello Grassi. Herculaneum. Storie dalla terra 2015
Herculaneum is a more tranquil archaeological site than Pompeii, and less invaded by groups of tourists trailing noisily through its narrow streets. Indeed, if you are lucky enough to visit it in certain periods of the year, you can bathe in the kind of silence that characterizes Italy’s monumental cemeteries.
Because Herculaneum is a city of the dead, in the same way that its architecture is dead, frozen by something akin to a nuclear explosion and buried for centuries under a layer of mud that gradually solidified, fossilizing everything.
The visitor unfamiliar with its history can only capture a fraction of its silent and secret message.
A message that Marcello Grassi has set about revealing with his camera, a means of visual narrative and of arousing the emotions, which through the silent language of images seeks to lead the viewer to go beyond the purely sensory and to reflect on their meaning.
So what is the message that Grassi has received from the mute ruins of Herculaneum?
It tells of the precariousness of man, of his enterprise and recklessness, his confidence and rashness. […]
Marcello Grassi guides us through the sites of Herculaneum with the aim of helping us to understand. His images are not structured to document didactically, nor intended to fascinate through evocative colour and attractive framing – like the models made popular by National Geographic. He prefers the monochrome of black and white and high-contrast tones, the detail and the well-chosen angle, which do not tell the whole story, but raise the question of what lies outside the image and how the depicted detail fits into the context of which it was once part.
However, his images are not “dramatized”, in the sense that the message is not forced by darkroom interventions that would alter reality. The tonal contrasts correspond, instead, to the stark transition from light to shade, which is dazzling beneath the Mediterranean sun. In other words, they are a characteristic of the place that is highlighted to help us to emotionally “connect” with a unique
Michèle Moutashar
Ancres
August 1996
Cu câteva excepții, câmpurile fotografice ale lui Marcello Grassi, măsurate unul câte unul în termeni de acri, implică o cantitate tot mai mare de întinderi de negru în loc de raze de lumină. Liniile despărțitoare sunt, ca și în munți, violente și permeabile în acelaș timp, detașate de timp, bazându-se atât pe imuabil, cât și pe efemer... Totul este legat de o singură dovadă: negrul vede și se arată.
Pe de altă parte, în întinderea acestor câmpuri de piatră, deși născute din arhitectură, găsim o cantitate extraordinar de redusă de umbre adăugate, iar aleele rare aruncate între negru și umbră contribuie doar la devierea oricărei posibile perspective.
Abundă găuri, oglinzi suplimentare și creuzete fără fund din care negrul se revarsă. Poate chiar mai mult decât imaginile evocatoare ale necropolei etrusce, realizate de Marcello Grassi după 1985, cea mai recentă serie din Arles este un lung test a ceea ce separă mental umbra de negru, făcând din esența negrului unul dintre câmpurile suspendate ale metafizicii.
Este negrul membrelor, muțenia formelor care nu au devenit încă... sau negru final, saturat de timpuri suprapuse? Negrul, oricum insensibil la punctele cardinale, precum și la cele ortogonale, inventează o dimensiune puțin probabilă pentru aceste fotografii, care poate fi intuită în nuanța imediată a pietrei, în succesiunea mormintelor sculptate sub formă de om în stânca din Montmajour, putând fi îndepărtată prin glisarea toporului gravat pe acel negru din Alyscamps.
În ce abis infinit este ancorat solul prăfuit al Abației? Faptul că Marcello Grassi, hrănit de un spirit emilian, a venit la Arles, unde istoria este exuberantă, și că toate aceste imagini - datorită lui - fac parte din colecțiile din orașul Arles, oferă o rezonanță infinită, inepuizabilă patrimoniului nostru…
[Michèle Moutashar (editor), Arles catalogul expoziției, Reggio Emilia, 1996]
înnăscut?
Astfel, Marcello Grassi i-a urmărit pe Etrusci în Emilia-Romagna, Lazio, Toscana și Umbria. A explorat Via Augusta, care duce la Aosta și la Alpi, orașul Arles, unde coexistă arta romană și arta romanică, iar Les Alyscamps reprezintă cea mai faimoasă necropolă milenară din lumea occidentală. În orașul său natal, Reggio Emilia, a inventariat magnific Galeria și Curtea de Marmură. Oricare să fie inițiativa luată sau sarcina ce i-a fost încredințată, Marcello Grassi caută și găsește: este ghidat de o cultură profundă a lumii antice, de un simț neobișnuit al pietrei, de o stăpânire imensă a mijloacelor și de o înțelegere radiantă a luminii. Paradoxal, această utilizare a luminii se evidențiază în el prin densitatea negrului. Nu cunosc nuanțe de negru mai adânci și, în același timp, mai revelatoare decât strălucirea zilei. Această obsesie a fotografului, începând cu Talbot și Niépce, Grassi o dezvăluie fără trufie.
El studiază ceea ce ne permite să înțelegem suprafața, volumul, anfractuozitatea, amprenta.
În același timp, punând umbra în joc, el obține vibrația undei electromagnetice, fluxul de particule, energia lucrurilor, tot ceea ce constituie în sine materia, transmutarea trecutului, moștenirea celor care au fost, suflul vieții emanat întotdeauna din locuri funebre și din ceea ce numim, foarte corect, vestigii deoarece în ele există încă semnul și urmele omului ca o cicatrice care este istoria.
Cercetările pe care Marcello Grassi le desfășoară, nu dezvăluie nostalgia sau melancolia zilei de ieri. Nu timpul finit este ceea ce îl interesează. El este animat mai mult de sărbătorirea trecerii zilelor, de ceea ce încă mai pulsează de la ființele care au fost odată, de mesajul pe care ni l-au transmis și pe care el îl reînvie. Există o energie vitală în supraviețuire pe care artistul o aduce la umanitate, elaborând o nouă formă de arhivă și efemeridă.
Grassi pune în scenă cronica epică a duratei; o readuce la viaţă cu răbdare încăpățânată. Și văd în imaginile sale mult mai mult decât veșnica germinație care sfidează moartea, un curriculum terrae, unde ruinele aparțin continuității fiziologice, fosforescenței naturale, polarizării monumentale. Dintr-o singură lovitură, aici găsim triumful în glorie al fotografiei.
[Nadine Babani (editor), Etruria, text de prezentare, Galerie du Château, Nice 1997]
Charles-Henri Favrod Germinarea ruinelor 1997
De mai bine de zece ani Marcello Grassi desfășoară o cercetare care poate fi definită ca arheologică, întrucât surprinde urmele civilizațiilor dispărute. Fotografia, atunci când se realizează cu măiestrie, se pretează bine acestei redări a trecutului și cum să nu se reușească acest lucru mai bine decât în Italia, unde straturile se acumulează, iar geniul istoriei este
Michèle Moutashar Nero d’Etruria Arles, 30 iunie 1998
Reticentă la culoare, fără să știe de ocrele stacojii, de amarantul funerar de la Tomba degli Auguri sau de la Scimmia, indiferentă față de celebrarea figurilor,
divine sau muritoare, care se ridică și se aruncă perpendicular pe pereți, fotografia lui Marcello Grassi se întâlnește pe pragul necropolei etrusce. Sovana, Orvieto, Cortona, Cerveteri... Pornind de la teritoriul pe care această fotografie l-a ilustrat de mai bine de zece ani, este evident că ea nu va spune lucruri mărețe despre peisaj și nici nu va adăuga mult la umflarea movilelor, legănate demult de peisajul rural de parcă ar fi pepeni iar acum conturate de ace de pin căzute; ca ș cum pentru
unde trec interiorul și exteriorul; Populonia, Vulci, Saturnia…, imaginile Etruriei tind cu siguranță la o singură călătorie. Să măsoare
se succed fără a se confunda? La ce anume tinde acest sentiment care apare brusc și pe care niciun alt cimitir nu îl generează în această
acoperită de pietre, care înconjoară un pântec uriaș despre care știm că locuiește în noi și care se întrerupe doar pe versantul negrului. Este vorba despre o percepție care aparține doar corpului și celei mai intime păr i din corp și căreia, în mod ciudat, numai desenele minuscule ale acțiunilor movilelor izolate în cărți le-ar putea garanta ecoul sau transparența hărților care dezvăluie parcursul fragil și, în orice caz, formidabil al camerelor funerare, o cale oarbă și sinuoasă, precum cea a coledocului. Da! Încă un alt lucru face parte din această legătură, din acest continuum făcut din inversare, atât de deschis delimitat de imagini: scrierea, succesiunea unor mici semne sensibile, la jumătatea distanței dintre fire de iarbă și pene, din această scriere pe care am dori să o definim la prima vedere „stângace” și care poate fi reflectată și de jos în sus pe spatele unei oglinzi din metal întunecat, care merge de la dreapta la stânga, pentru a reveni de la stânga la dreapta pe linia următoare, „în direcția în care boii fac brazdele”. Astfel, „foto-grafia” Etruriei aparține registrului scrierii bustrofedonice. Cu siguranță, toate locurile subterane dedicate morții exprimă puternic sentimentul tranziției; acolo are loc reîntâlnirea, la etrusci la fel ca în altă parte. Roata de tracțiune, bărcile în profil și coama cailor nocturni... Anumite imagini din Orvieto, cu bulbi de piatră ca trunchi de coloană sau piatră de hotar cu scop de ancoră sau zidurile de carenaj ale Populoniei, dezvăluie acest aer de navă care și-a părăsit golful.
Miza este însă în altă parte. Condusă cât mai aproape de piatră, evaluând pentru o lungă perioadă de timp densitatea acestui tuf atent la fulger, cum dealtfel au făcut ghicitorii/ planificatorii urbani, văzând terenul viitoarelor
Biografia
Biography
Biografie
Marcello Grassi nasce a Reggio Emilia nel 1960. Fin da piccolo grazie all’aiuto e alla passione del padre Corrado, si interessa alla fotografia.
Nel 1985, dopo aver visitato alcune esposizioni programmate per l’Anno degli Etruschi, e dopo la lettura del libro Il Tempo, grande scultore di Marguerite Yourcenar, progetta un lavoro di “scavo visivo” nei luoghi, città e necropoli della civiltà etrusca.
Nel 1999, in occasione dell’esposizione al Musée Réattu di Arles, Federico Motta Editore pubblica il volume Etruria
Nel 1992 riceve l’incarico di fotografare i reperti della collezione archeologica conservati nel Cortile e nella Galleria dei Marmi dei Musei Civici di Reggio Emilia. Da questa prima serie di immagini prende l’avvio una lunga ricerca sull’Anatomia del Tempo condotta in musei e siti archeologici in Italia e in Europa.
Dal 1994 al 1996 fotografa la città di Arles.
Nel 1995 inizia una serie di fotografie – Il Giardino di Borges – sul tema del rapporto tra reale e irreale, avente come soggetto principale le collezioni conservate nelle raccolte zoologiche di musei italiani.
Nel 1997, su incarico del Musée Archéologique di Nice-Cimiez, realizza un servizio sul sito locale.
Nel 1998 nell’ambito degli scambi culturali previsti nel programma di gemellaggio, con quella dell’Enzkreis in Germania, la Provincia di Reggio Emilia lo invita a fotografare il monastero cistercense di Maulbronn.
Dal 2002 lavora con Fabrizio Orsi a un progetto su Luzzara a cinquant’anni esatti dalla pubblicazione del libro Un Paese di Cesare Zavattini e Paul Strand. Alla fine del 2004 viene presentato il volume Luzzara. Cinquant’anni e più... edito da Skira Editore con un testo di Luciano Ligabue. Nel 2007 sempre con Fabrizio Orsi realizza a Berlino il progetto Identità tra le città d’Europa presentato alla seconda edizione di Fotografia Europea - Reggio Emilia.
Nel 2015 ha esposto la serie Herculaneum, dedicata alla città di Ercolano vittima dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.., nella decima edizione di Fotografia Europea - Reggio Emilia. Dal 2019 è rappresentato in esclusiva dalla galleria IAGA Contemporary Art di Cluj-Napoca. Nel 2020 viene selezionato nel contesto del bando nazionale “Manifestazione di interesse per la realizzazione di mostre fotografiche da effettuarsi negli spazi espositivi del Museo Nazionale Romano per il triennio 2020/2022”. Ha esposto in numerose personali e collettive in Italia e all’estero dove sue fotografie sono conservate presso Musei e Istituzioni. Sulle sue ricerche hanno scritto tra gli altri: Charles-Henri Favrod, Michèle Moutashar, Massimo Mussini, Nadia Raimondi, Luciano Ligabue, Robert Pujade, Umberto Nobili, Jean Arrouye, Paolo Barbaro, Elio Grazioli e Walter Guadagnini, Ilaria Bignotti, Thomas Brussig, Roberto Mutti, Sandro Parmiggiani, Angela Madesani.
Marcello Grassi was born in Reggio Emilia in 1960.
He developed an interest in photography at a very young age, thanks to his father Corrado’s support and his passion for the art.
In 1985, after visiting various exhibitions planned for the Year of the Etruscans, and reading That Mighty Sculptor, Time by Marguerite Yourcenar, he planned a “visual excavation” project in the places, cities and necropoli of the Etruscan civilization.
In 1999, his book Etruria was published by Federico Motta Editore, on the occasion of an exhibition of his photographs at the Musée Réattu in Arles, France,
In 1992 he was asked to photograph the finds in the archaeological collection housed in the Marbles Gallery and Courtyard of the Civic Museums of Reggio Emilia.
From 1994 to 1996, he photographed the city of Arles. In 1995 he began a series of photographs –
The Borges Garden – on the relationship between the real and unreal, focusing on the zoological collections in Italian museums. In 1997, he was appointed by the Musée Archéologique of NiceCimiez to realize a photographic project on the local site. In 1998, he was invited by the province of Reggio Emilia to photograph the Cistercian monastery of Maulbronn, as part of the cultural exchange and twinning programme with Enzkreis in Germany.
In 2002 he began to work with Fabrizio Orsi on a project about Luzzara, exactly fifty years after the publication of the book Un Paese Portrait of an Italian Village by Cesare Zavattini and Paul Strand. In late 2004, the volume Luzzara. Cinquant’anni e più… was published by Skira Editore with a text by Luciano Ligabue.
In 2007, once again with Fabrizio Orsi, he realized the project Identità tra le città d’Europa in Berlin, presented at the 2nd edition of the European Photography Festival in Reggio Emilia.
In 2015 he exhibited the series Herculaneum, dedicated to the Campania city ravaged by the eruption of Mount Vesuvius in 79 C.E., as part of the 10th edition of the European Photography Festival in Reggio Emilia.
Since 2019, he has been represented exclusively by the IAGA Contemporary Art Gallery in ClujNapoca, Romania.
In 2020, he was selected on the strength of his response to the national call for “Expression of interest in the creation of photographic exhibitions to be held in the venues of the Museo Nazionale Romano for the three-year period 2020/2022”.
His works have been exhibited in many solo and group shows in numerous cities around Europe, where his photographs are held by various museums and other institutions.
His researches have been critiqued by scholars, such as: Charles-Henri Favrod, Michèle Moutashar, Massimo Mussini, Nadia Raimondi, Luciano Ligabue, Robert Pujade, Umberto Nobili, Jean Arrouye, Paolo Barbaro, Elio Grazioli and Walter Guadagnini, Ilaria Bignotti, Thomas Brussig, Roberto Mutti, Sandro Parmiggiani, Angela Madesani
Marcello Grassi s-a născut în anul 1960, la Reggio Emilia. Interesul pentru fotografie l-a cultivat de la o vârstă fragedă datorită ajutorului şi pasiunii tatălui său Corrado.
În 1985, după ce a vizitat unele expoziții organizate pentru „Anul etruscilor” și după lectura cărții Le temps, ce grand sculpteur de Marguerite Yourcenar, proiectează ideea unei opere de „excavare vizuală” în locuri, orașe și cimitire ale civilizației etrusce. În 1999, cu ocazia expoziției de la Muzeul Réattu din Arles, Editura Federico Motta i-a publicat volumul Etruria În 1992, i s-a încredințat proiectul de a fotografia descoperirile din colecția arheologică păstrată în Curtea și în Galeria de marmură a Muzeelor Civice din Reggio Emilia.
De la această primă serie de imagini, începe o cercetare îndelungată asupra Anatomiei timpului, realizată în muzeele și siturile arheologice din Italia și Europa. Din anul 1994 până în 1996 a fotografiat oraşul Arles.
În 1995, a inițiat o serie de fotografii - Grădina Borges - despre relația dintre real și ireal, având ca subiect principal colecțiile zoologice deținute de muzeele italiene.
În 1997, la cererea Muzeului Arheologic din NiceCimiez, fotografiază situl local.
În 1998, în cadrul schimburilor culturale prevăzute în programul de înfrățire cu districtul Enz (Enzkreis) din Germania, Provincia Reggio Emilia l-a invitat să fotografieze mănăstirea cisterciană din Maulbronn. Din 2002, lucrează cu Fabrizio Orsi la un proiect despre Luzzara, la cincizeci de ani de la publicarea cărții Un Paese de Cesare Zavattini și Paul Strand. Cartea Luzzara. Cinquant’anni e più... este publicată de Editura Skira, la sfârșitul anului 2004, cu un text scris de Luciano Ligabue.
În 2007, tot împreună cu Fabrizio Orsi, a creat la Berlin proiectul Identity among European cities, prezentat la cea de-a doua ediție a festivalului Fotografia Europeană - Reggio Emilia. În 2015, a expus seria Herculaneum, dedicată orașului Herculaneum afectat de erupția Vezuviului din anul 79 d.Hr., în cadrul celei de-a 10-a ediții a festivalului Fotografia Europeană - Reggio Emilia. Din 2019, este reprezentat în exclusivitate de Galeria de artă contemporană IAGA din ClujNapoca.
În 2020, a fost selectat în contextul cererii de oferte „Manifestazione di interesse per la realizzazione di mostre fotografiche da effettuarsi negli spazi espositivi del Museo Nazionale Romano per il triennio 2020/2022”.
A avut numeroase expoziții, individuale și colective, în Italia și în străinătate, fotografiile sale fiind păstrate în muzee și instituții de renume. Despre cercetările sale au scris printre alții: Charles-Henri Favrod, Michèle Moutashar, Massimo Mussini, Nadia Raimondi, Luciano Ligabue, Robert Pujade, Umberto Nobili, Jean Arrouye, Paolo Barbaro, Elio Grazioli și Walter Guadagnini, Ilaria Bignotti, Thomas Brussig, Roberto Mutti, Sandro Parmiggiani, Angela Madesani.
Esposizioni personali
Personal exhibitions
Expoziții personale
Principali esposizioni collettive
Main group exhibitions
Principalele expoziții de grup
Bibliografia selezionata
Selected bibliography
Bibliografie selectată
Collezioni e archivi
Collections and archives
Colecții și arhive
Esposizioni personali
Personal exhibitions
Expoziții personale
1986
Segnali di Vita
Cinema Rosebud, Reggio Emilia
1989
Spazi e Astrazioni
Cinema Eden, Puianello (RE)
1990
Le immagini dai luoghi degli Etruschi
Studio Phi, Trieste
1992
Etruria
Biblioteca Comunale, Quattro Castella (RE)
1994
I Marmi degli Dei
Musei Civici, Reggio Emilia
1996
Arles
Bibbiano (RE)
Etruria
Sala comunale, Cavriago (RE)
1997
Etrurie
Galerie du Château, Nice
1998
Maulbronn
Sala del Preside del Monastero di Maulbronn
Etruria
Fortezza Medicea di Girifalco, Cortona (AR)
1999
Etruria
Musée Réattu, Arles
2000
Anatomia del Tempo
Sala delle Colonne, Nonantola (MO)
2001
Etruria
Museo Archeologico e d’Arte della Maremma, Grosseto
2004
Anatomia del Tempo
Istituto Italiano di Cultura, Berlin
2005
Matzevòt
Sinagoga, Reggio Emilia
Luzzara. Cinquant’anni e più… Ex Convento degli Agostiniani, Fondazione Un Paese, Luzzara (RE)
Galleria Bonelli Arte Contemporanea, Mantova
Principali esposizioni collettive
Main group exhibitions
Principalele expoziții de grup
2006
Luzzara. Cinquant’anni e più…
Banale Concept Store, Biella
2008
Roma Fuit
Biblioteca Vallicelliana, Sala del Borromini, Roma
2012
Roma Fuit
Spazio Artè, Reggio Emilia
2015
Herculaneum
Museo dei Cappuccini, Fotografia
Europea ‘Effetto Terra’, Reggio Emilia
2016
Divinae Memoriae
Banca Albertini, Reggio Emilia
Luce spazio misura. Un obiettivo per l’architettura
Medi-Nova, Reggio Emilia
2017
Sine Tempore
Palazzo dei Principi, Correggio (RE)
2018
Sine Tempore
Museo Civico Archeologico, Milano
2021
Archeologia dello Sguardo
Fondazione Arsenale di Iseo (BS)
1992
Le trésor du Musée Niépce
Musée N. Niépce, Chalon-sur- Saône
1994
Portrait d’une Collection
Musée Réattu, XXV Rencontres
Internationales de la Photographie, Arles
1995
Arles revisitée par la photographie
Institut Franco-Portugais, Lisboa
1996
Photographes Italiens Contemporains Musée de la Photographie, Charleroi
1997
La Ville Multiple Musée d’Art Wallon, Liège
1999
Bianco e Nero Musée d’Art et d’Archéologie, Aurillac
2000 Esperienze Palazzo Pecci Caiani, Foiano della Chiana (AR)
2001
Abitare la città Musei Civici, Reggio Emilia
2002 ReVisioni Chiostri di San Domenico, Reggio Emilia
2003
Arles & la Photographie: la collection du Musée Reattu Fondation Maeght, Saint-Paul de Vence
2005
XL. La collection photographique d’Arles
Musée Réattu e altre sedi, Arles
Un’arte glocale Centro Cultural de la Asunción, Albacete
La bestia ingenua
Ex Convento degli Agostiniani, Fondazione Un Paese, Luzzara (RE)
2006
Il volto della follia Palazzo Magnani, Reggio Emilia
Le Réattu sujet photographique Musée Réattu, Arles
2007 Binomi Castello di Formigine (MO)
2008 Collection Reggio Emilia
Hôtel de Galliffet, Mois de la Photo, Paris
2009
Idea di paesaggio
Ex Convento degli Agostiniani, Fondazione Un Paese, Luzzara (RE)
2011
Il mio Paese. Luzzara e la fotografia
Ex Convento degli Agostiniani, Fondazione Un Paese, Luzzara (RE)
Hipstamatic for San Lazzaro Padiglione Lombroso, San Lazzaro, Fotografia Europea, Reggio Emilia
Hipstograph Gallery M, Atlanta, Georgia
Hipstamatic
Orange Dot Gallery, London
Sur Mesures
Musée Réattu, Arles
2012
‘Un secolo e 7’ Premio Fabbri per l’Arte, Pinacoteca Nazionale, Bologna Museo degli Alinari, Firenze
2013
Mon Île de Montmajour. De Christian Lacroix Abbaye de Montmajour
2018
Le Musée Réattu a 150 ans! Musée Réattu, Arles
Virtual VS Real love IAGA Contemporary Art, Cluj-Napoca
Bibliografia selezionata
Selected bibliography
Bibliografie selectată
Etruria, testo di/text by Umberto Nobili, Reggio Emilia 1992
La Photographie dans le Monde, a cura di/ed. Paul Jay, Chalon-sur-Saône 1992
Giovani Fotografi Italiani Milano 1992
Una nuova vita vi attende nella colonia extramondo, a cura di/ed. Oriano Sportelli, “Private”, n. 5, 1994
Marcello Grassi: la macchia del Tempo, “Photographie Magazine”, n. 13, 1994
I Marmi degli Dei presentazione di Paolo Barbaro, Reggio Emilia 1994
I Paesi dell’Anima, presentazione di Paolo Barbaro, Parma 1994
Arles revisitée par la Photographie, a cura di/ed. Michèle Moutashar, Arles 1995
Marino Marini, a cura di/ed. Michèle Moutashar, Actes Sud, Arles 1995
Photographie Ouverte, Musée de la Photographie, Charleroi 1996
Arles, testo di/text by Michèle Moutashar, Reggio Emilia 1996
Marcello Grassi alla ricerca del tempo a cura di/ed. Roberto Mutti, “Fotographia”, n. 26, 1996
Dal manuale di Zoologia Fantastica di Borges a cura di/ed. Nino Squarza, Reggio Emilia 1996
La Germination des Ruines testo di/ text by Charles-Henri Favrod, Galerie du Château, Nice 1997
Maulbronn testo di/text by Jean Arrouye, Maulbronn 1998
Etruria, testi di/texts by Michèle Moutashar e Charles-Henri Favrod, Federico Motta Editore, Milano 1999
Anatomia del Tempo testi di/texts by Nadia Raimondi e Charles-Henri Favrod, Nonantola (MO) 2000
Anatomia del Tempo testo di/text by Marinella Bonaffini, Milano 2002
Arles & la Photographie: portrait d’une collection, a cura di/ed. Michèle Moutashar, Edition Actes Sud/Musée Réattu, Arles 2002
Collezioni e archivi Collections and archives Colecții și arhive
Luzzara. Cinquant’anni e più… testo di/text by Luciano Ligabue, postfazione di Mimmo Spadoni, Skira, Milano 2004
Antonio Ligabue, espressionista tragico, a cura di/ed. Sandro Parmiggiani, Skira, Milano 2005
Un’arte Glocale a cura di/ed. Sandro Parmiggiani, Reggio Emilia 2005
La bestia ingenua, Luzzara (RE) 2005
Uno sguardo sulla città, a cura di/ed. Angela Madesani, Damiani, Bologna 2006
Il volto della follia, a cura di/ed. Sandro Parmiggiani, Skira, Milano 2006
Fotografia europea. Le città/L’Europa, testo di/text by Thomas Brussig, Damiani, Bologna 2007
Binomi a cura di/ed. Nadia Raimondi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2007
Indagini sul Po, a cura di/ed. Pietro Orlandi e Massimo Tozzi Fontana, Clueb, Bologna 2009
Italo Rota. I maestri dell’Architettura a cura di/ed. Anna Sartea, Hachette, Milano 2009
“Rolling Stone”, n. 82, agosto/ August, Editrice Quadratum, Milano 2010
Mi chiamo Emilia, Musei Civici di Reggio Emilia 2011
‘Un secolo e 7’, Premio Fabbri per l’arte, Skira, Milano 2012
Mon Île de Montamajour. De Cristian Lacroix Actes Sud, Arles 2013
Effetto Terra. Fotografia Europea, testo di/text by Massimo Mussini, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2015
Oser la photographie, 50 ans d’une collection d’avant garde, Musée Réattu, Arles/Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2015
Fantastique et Photographie, di/by Robert Pujade, L’Harmattan, Paris 2015
Caro Gabriele, a cura di/ed. Giovanna Calvenzi, Natalia Corbetta, Corraini Edizioni, Milano 2015
Fototeca della Biblioteca Panizzi Reggio Emilia
Musée Nicéphore Niépce Chalon-sur-Saône
Musei Civici, Collezione d’arte moderna Reggio Emilia
Musée de la Photographie
Charleroi/Mont-sur-Marchienne
Musée Réattu Arles
Ecole Nationale de la Photographie Arles
Bibliothèque Nationale, Cabinet des Estampes et de la Photographie Paris
Musée Nationale d’Art Moderne, Centre George Pompidou Paris
Musée de l’Elysée Lausanne
Collection Charles-Henri Favrod Saint-Prex
Musée d’Art et d’Archeologie Aurillac
Civico Museo Parisi Valle Maccagno (VA)
Fondazione Un Paese Luzzara (RE)
Comune di Formigine Formigine (MO)
Musée du Louvre Paris
Fabbri 1905 Bologna
Museo Archeologico di Santa Giulia Brescia
Musei Reali Torino
Museo Nazionale Romano Roma
Musée Saint-Raymond Toulouse
Musée Départemental Arles Antique Arles
Gipsoteca di Arte Antica dell’Università Pisa
Civico Museo Archeologico Milano
Museo Archeologico Nazionale Ravenna
Museo Archeologico Nazionale Aquileia
Museo dell’Arte Classica Sapienza Università Roma
Antikensammlungen und Glyptothek München
Museo Casa Mollino Torino
Museo Marino Marini Firenze
Marcello Barbanera
Annamaria Bava
Ilan Bertschy
Andrea Bruciati
Francesca Cantone
Alain Charron
Adriana Comar
Giorgio Cozzolino
Rosalba Di Pierro
Fulvia Donati
Valentina Faudino
Astrid Fendt
Daniele Ferrara
Laura Forte
Luisa Radice Fossati
famiglia Giovanni Gastel
Anna Granzotto
Chiara Guiso
Despina Ignatiadou
Stefano Karadjov
Christelle Molinie
Francesca Morandini
Marta Novello
Agnese Pergola
Alberto Perobelli
Anna Pizza
Daniela Polato
Anna Provenzali
Betrand Roussel
Stéphane Verger
Erica Zanon
Referenze fotografiche / Photo credits / Referințe fotografice
© Comune di Milano - tutti i diritti di legge riservati, Civico Museo Archeologico di Milano, nn. 43, 44
Fondazione Brescia Musei, nn. 39, 40, 41, 42
Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, nn. 59, 60
Glyptothek Munich, nn. 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38
Hellenic Ministry of Culture and Sports/ Archeological Resources Fund, National Archeological Museum, Sculpture Collection, n. 16
MIC - su concessione dell’Istituto Autonomo Villa Adriana - Villa d’Este, Tivoli, nn. 17, 18, 19, 20, 21, 22
Musées d’Archéologie de Nice, n. 1
Musée Départemental Arles Antique, nn. 53, 54, 55
Musée du Louvre, Paris, n. 2
Musée Saint-Raymond, musée d’archéologie de Toulouse, nn. 56, 57, 58
Portogruaro, Museo Nazionale Concordiese - Direzione Regionale Musei del Veneto su concessione del Ministero della Cultura, nn. 45, 46
© Roma, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali / Musei Capitolini, nn. 10, 11, 12, 13, 14, 15 / Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano, nn. 3, 4, 5 / Centrale Montemartini, nn. 6, 7, 8, 9
Sapienza Università di Roma, Museo dell’Arte Classica, nn. 97, 98, 99, 100, 101
Su concessione del Ministero della Cultura - Direzione Regionale Musei dell’EmiliaRomagna, n. 95
Su concessione del Ministero della Cultura, Direzione Regionale Musei del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Aquileia, nn. 47, 48
Su concessione del Ministero della Cultura, Direzione Regionale Musei del Friuli Venezia Giulia, Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, nn. 49, 50, 51
Su concessione del Ministero della Cultura – Gallerie degli Uffizi, Firenze, n. 52
Su concessione del Ministero della Cultura - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nn.26, 27, 28, 29
Su concessione del Ministero della Cultura - Museo Nazionale Romano / Palazzo Massimo alle Terme, nn. 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80 / Palazzo Altemps, nn. 81, 82, 83, 84, 85, 86 / Terme di Diocleziano, nn. 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94
Su concessione del MIC - Musei Reali, Museo di Antichità di Torino, nn. 59, 60
Su concessione del Ministero della Cultura - Parco Archeologico di Ercolano, nn. 23, 24, 25
Università di Pisa, Gipsoteca di Arte Antica, Pisa, nn. 61, 62
Université de Genève, Collection des Moulages, n. 96
Venezia, Museo di Palazzo GrimaniDirezione Regionale Musei del Venetosu concessione del Ministero della Cultura, n. 104
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Questo volume è stato stampato per conto di Electa S.p.A. presso Elcograf S.p.A., via Mondadori 15, Verona, nell’anno 2021
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