Gola Gioconda n. 02-2021

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OTTOBRE 2021

Dimmi da dove mangi e ti dirò chi sei

I piaceri della tavola in Toscana, in Italia, nel mondo


oltre quel che vedi

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EDITORIALE

di Maurizio Izzo

C’era una volta il contadino… L’idea che con due soldi e tanta buona volontà si mette su un azienda agricola e si va a vivere felici in campagna è una bella favola ma che rischia di avere un finale amaro. Eppure questa favola è stata ed è ancora raccontata da troppi e per troppo tempo. La verità, appunto, è ben diversa e nei giorni del G20 sull’agricoltura a Firenze è emersa chiaramente. Quello che gli agricoltori hanno portato nelle piazze, equamente divise anche cromaticamente con il giallo della Coldiretti in Piazza Santa Croce e il verde della CIA in Piazza della Repubblica, è stato un racconto ben diverso. Altro che ritorno alla natura: oggi l’agricoltura richiede investimenti e tecnologia come mai prima di ora e lo fa

proprio per rispettare quella natura a cui tutti si diciamo tanto interessati. I cambiamenti climatici stanno ridisegnando il territorio, cambiando le nostre abitudini e anche la qualità e quantità delle cose che mangiamo. Chi lavora la terra fa i conti tutti i giorni con questo. Il numero di Gola Gioconda che avete davanti per una volta, ma non sarà l’ultima, riavvolge il nastro e parte dal prodotto prima che dal piatto. Ci troverete, certo, anche tante storie di bravi cuochi ma anche un ragionamento più ampio sul dove e sul come i prodotti che cuciniamo arrivano a noi. Mi auguro che anche questo viaggio vi piaccia. Buona lettura. Gola Gioconda 3


Dove tutto è comunicazione L’attività di Sicrea spazia oggi in tutti i campi dove la comunicazione è protagonista. Dalle produzioni televisive alla gestione di reti di digital signage, dall’organizzazione di eventi e fiere agli uffici stampa, dall’edizione di riviste on line ai social network.

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SOMMARIO

3 EDITORIALE C'ERA UNA VOLTA IL CONTADINO… 8 GOLA SPECIALE DIMMI DA DOVE MANGI E TI DIRÒ CHI SEI 14 GOLA SPECIALE L’AGENDA DEI GRANDI E I PROBLEMI DEI PICCOLI 18 GOLA SPECIALE PER L’AGRICOLTURA UN FUTURO TECNOLOGICO 24 LE INTERVISTE DI GOLA COME DEVE ESSERE LA BIRRA? VIVA! 30 LE INTERVISTE DI GOLA MI PRENDO CURA DEI FORMAGGI 36 LE INTERVISTE DI GOLA L’UNIONE DEI CUOCHI 42 GIOVANI CHEF TOCCA A LORO 48 COSA E DOVE L’ORTO È UN’ESPERIENZA CHE CI PORTIAMO DENTRO 52 GOLA EXPO LA FIERA C’È. 54 GOLA EXPO COME PRIMA, PIÙ DI PRIMA

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Dimmi da dove mangi e ti dirò chi sei La piana fiorentina e la sostenibilità alimentare

* I dati relativi al bilancio alimentare sono ripresi dalla tesi dottorale di Elisa Butelli, “Strategie di Food Planning per riattivare relazioni urbano-rurali nei territori bioregionali” discussa il 30 giugno 2021 all’Università di Firenze (tutor prof.ssa Daniela Poli, co-tutor prof. Giovanni Belletti) e ulteriormente precisati sul territorio della piana di Firenze. Cfr. La città metropolitana di Firenze: un sistema di bioregioni urbane,policentriche, autosostenibili e resilienti 2017-18 (Dida, Università di Firenze, resp. Prof.ssa Daniela Poli). 2 Le produzioni vegetali sono state elaborate a partire dal database degli usi del suolo dell’Azienda Regionale Toscana per le Erogazioni in Agricoltura e le produzioni zootecniche sono state elaborate a partire dai dati ISTAT sulle consistenze degli allevamenti. 3 I dati riguardano l’intera superficie comunale. 1

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La famosa frase, ben nota a questa rivista, di Jean–Anthelme Brillat– Savarin “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” ha assunto oggi un ruolo particolare collegato al futuro delle città. L’alimentazione è infatti quel particolare anello che lega corpo e mente nella costruzione dell’habitat della vita umana. Non casualmente è proprio dalla filiera della produzione alimentare che si sta ripartendo per superare l’attuale crisi urbana. Attorno alle città si è sviluppata una vera e propria “rivoluzione del cibo” con forme innovative di produzione-distribuzioneconsumo che collegano direttamente gli agricoltori ai consumatori.


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La frase di Brillat–Savarin potrebbe essere oggi declinata in “Dimmi da dove mangi e ti dirò chi sei”. Quanto incide il tuo stile di vita nel rafforzare l’agricoltura di prossimità? Quanto sei consapevole dell’attività di presidio degli agricoltori? Molte città in Europa e nel mondo hanno definito “piani del cibo”, da Toronto, a Vancouver, New York, Portland, Amsterdam, Roma, Torino, Pisa, Livorno. La città bretone di Rennes in Francia ha lanciato negli scorsi anni un denominato Rennes ville vivrière, Rennes città dell’agricoltura di prossimità. Nel 2010-13 è stato condotto uno studio per valutare l’autonomia e il potenziale di produzione alimentare di Rennes Métropole.

di Daniela Poli e Elisa Butelli*

Verificata la mancata autonomia alimentare, sono stati definiti due scenari di proiezione al 2030: 1. dinamiche attuali insostenibili; 2. modello innovativo di produzione/distribuzione/consumo fondato su delle reti locali. Il confronto ha mostrato come il secondo scenario consenta di dimezzare le necessità spaziali e di aumentare in modo considerevole l’autonomia alimentare di Rennes Métropole. A partire da questo studio nel quadro del Piano Strategico della Città Metropolitana di Firenze1 è stato effettuato il bilancio alimentare, precisato successivamente nella tesi di dottorato di Elisa Butelli.

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Installazione di Land Art nell’azienda biologica Le salamandre di Gragnani a Vinci: “Il nido”.

Nella Città Metropolitana di Firenze, l’analisi del bilancio delle principali produzioni2 vegetali (cereali, ortaggi, frutta, vegetali, vino, olio di oliva, legumi) e zootecniche (carne bovina, suina, avicunicola) mette in luce un forte deficit. Alcuni esempi: la produzione di cereali copre solo il 3% dei consumi, quella di ortaggi il 6%, quella di carne avicunicola il 3% e suina il 1,5%. L’unico dato positivo è la produzione di vino, che grazie al Chianti, eccede del 300% rispetto al consumo. Per poter nutrire gli abitanti e i turisti di CM con agricoltura di prossimità servirebbe il suolo coltivato di due Città Metropolitana e mezzo. In particolare, emerge il peso

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rilevante nei comuni della piana fiorentina3, in riva destra e sinistra d’Arno: qui si concentra più del 60% della popolazione residente (594.102 Istat 2020). A questa di aggiunge quasi l’80% dei turisti di CM (circa 16 milioni di presenze nel 2019) concentrati per lo più su Firenze. Facendo il bilancio dei comuni della piana (49.444 ettari di SAU) emerge un deficit grave su tutti i prodotti: la produzione di cereali copre poco più del 4% dei consumi, mentre per la frutta arriva solo lo 0,7% dei consumi. La situazione è ulteriormente aggravata se si considera che per Firenze fra abitanti (359.675) e turisti servirebbero i terreni coltivabili un’intera Città Metropolitana e (quasi) mezzo.


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Esempio di policoltura e multifunzionalità agricola nell’azienda biologica Cuore Verde a Serpiolle (Firenze). A sinistra coltivazione di leguminose tra gli olivi; a destra attività didattiche in fattoria.

Per una Città Metropolitana che consuma ne servirebbero due e mezzo che producono

Per il comune di Firenze che consuma servirebbe un’intera Città Metropolitana e (quasi) mezzo che produce.

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Altre installazioni di Land Art nell’azienda biologica Le salamandre di Gragnani a Vinci. A sinistra “Questo non è un quadro di paesaggio”; sopra “Gli spaventapasseri Flora ed Ernesto”. Facebook: @Le Salamandre di Gragnani - Podere biologico

I dati rilevati sulla CM e sulla piana mettono in luce una situazione fortemente critica riguardo a una risorsa strategica come il cibo. Come già attuato in altri contesti appare utile mettere in campo una seria politica alimentare che punti sulla tutela dei terreni agricoli, sulla messa a coltura delle terre incolte e sullo sviluppo di filiere corte di prossimità (ad es. con la ristorazione collettiva di mense scolastiche, ospedaliere, universitarie) col sostegno ad un’agricoltura di tipo multifunzionale orientata alla commercializzazione locale, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, al rapporto diretto con i cittadini. Gola Gioconda 13


L’agenda dei grandi e i problemi dei piccoli Cambiamenti climatici, investimenti, tecnologie e partecipazione alle decisioni. I problemi dell’agricoltura all’indomani del G20 nel colloquio con Luca Brunelli, presidente CIA Toscana

Una volta tanto almeno l’agenda del “grandi” coincide con quella dei piccoli. I temi affrontati dal G20 sull’agricoltura a Firenze, dice Luca Brunelli, presidente Cia Toscana, sono quelli che affrontiamo tutti i giorni. In questo senso gli agricoltori possono sentirsi rappresentati da quel simposio, ma le risposte tardano ad arrivare. In questi anni è cresciuto il ruolo sociale e produttivo dell’agricoltore ed ha assunto una rilevanza che prima non c’era ma i cambiamenti sociali, economici e ambientali hanno marciato a una velocità troppo superiore. Ai ministri del G20 la Confederazione Italiana degli Agricoltori ha chiesto di aumentare l’accesso al credito, soprattutto ai piccoli agricoltori; garantire l’accesso alla terra e fermare il consumo di suolo; investire in ricerca e nuove tecnologie,

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dalle tecniche di miglioramento genetico all’agricoltura di precisione; lavorare sulla formazione e sul trasferimento delle conoscenze; ridurre gli sprechi nelle filiere favorendo la prevenzione e incrementando il recupero delle eccedenze di cibo; assicurare mercati aperti con regole commerciali chiare; valorizzare le produzioni di qualità e i territori; promuovere le diete tradizionali, come quella mediterranea, contro modalità fuorvianti di etichettatura che vogliono condizionare invece di informare. I cambiamenti climatici sono il grande spettro che si aggira tra i nostri campi, anche questo con una velocità inattesa. Siamo passati, dice Brunelli, dal fatto che per noi in Toscana l’acqua era un problema marginale al fatto che oggi la qualità stessa delle produzioni è legata alla disponibilità di questo bene.


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a cura della Redazione

Luca Brunelli - CIA Toscana

UN FUTURO DIGITALE

In occasione del G20 nello stand allestito in Piazza della Repubblica sono state presentate dalla CIA alcune soluzioni informatiche più innovative del mondo digitale applicato al comparto. Dalle App create ad hoc per semplificare il lavoro degli agricoltori ai robot intelligenti per l’alimentazione “di precisione” dei bovini in stalla, con lo scopo di ridurre l’impatto ambientale e migliorare il benessere animale, anche grazie ad applicazioni che consentono il controllo continuo ‒ tramite sensori ‒ dello stato di salute della mandria. I campioni dell’agricoltura hi-tech sono i viticoltori, che hanno reso questa vendemmia 2021 la più digitale di sempre. Migliaia di produttori gestiscono il lavoro tramite pc con veri e propri quaderni di campagna digitali: le uve sono controllate appena colte, grazie a sistemi di controllo qualità, che in un click traccia la carta d’identità di ogni vigneto.

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Il ministro Patuanelli in visita allo stand CIA

L’assessore regionale Saccardi 16


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Sono in corso trasformazioni che stanno modificando le realtà produttive e di conseguenza il paesaggio, basti pensare che oggi le aeree produttive più vocate alla coltivazione del pomodoro sono diventate le campagne dell’aretino e del senese. Ma produrre lì significa andare a trasformare a Livorno se va bene, se no a Napoli o a Reggio Emilia con costi insostenibili per tutta la filiera. È proprio la filiera, conclude Brunelli, oggi il sistema che non funziona perché in quel sistema spesso agricoltore è l’ammortizzatore sociale. La determinazione del prezzo avviene così: prima si tolgono guadagni e costi che ogni apparato ha e poi quel che resta, se resta, si da all’agricoltore. Ecco il prezzo finito. Ma la dignità di chi lavora la terra dov’è?

Luca Brunelli in un’intervista nel 2020

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di Lucia Tremonti

Per l’agricoltura un futuro tecnologico In Italia, il mercato dell’Agricoltura 4.0, vale 540 milioni di euro. La superficie di terreno coltivata con tecniche che permettono di ottimizzare la qualità produttività del suolo, è pari oggi al 4%, ma si stima di arrivare al 10% entro il 2025, grazie all’introduzione della banda larga nelle aree rurali. La ripartenza del Paese passa anche dall’agricoltura e, in questo senso, innovazione tecnologica e transizione digitale rappresentano i punti centrali da sviluppare attraverso gli strumenti d’intervento erogati da parte del Governo con il PNRR.

Dal 13 al 16 ottobre Firenze ospiterà Earth Technology Expo la fiera sulle tecnologie italiane per proteggere la Terra. Ampio spazio sarà dedicato ai temi dell’agricoltura e delle filiere hi- tech. Qui un contributo del ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Stefano Patuanelli

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COME PARTECIPARE

Earth Techonology Expo è l’app ufficiale dedicata al più completo evento in Italia dedicato alla prima esposizione dell’innovazione e le tecnologie per il presente e il futuro sostenibili. Scarica la app e ottieni il tuo biglietto per registrarti all’evento dal 13 al 16 ottobre 2021 presso la Fortezza da Basso di Firenze. Vivi la fiera in prima persona: non perderti tutte le notizie di rilievo, resta sempre aggiornato sugli eventi in tempo reale, scopri gli espositori e visita gli stand digitali. Nella città di Leonardo e del Rinascimento, negli ampi spazi della Fortezza da Basso di Firenze, per la prima volta l’Italia mette in mostra la sua straordinaria capacità di saper creare, innovare e utilizzare tecnologie per migliorare la qualità della vita delle persone, dell’ambiente e delle città, per la sorveglianza dallo spazio del territorio, per la conoscenza e il controllo del sottosuolo, suolo, mare, acque, aree boscate e ambienti urbani. INFO: WWW.ETEXPO.IT

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L’obiettivo che vogliamo perseguire, è quello di fornire al settore agricolo un ampio pacchetto di strumenti per facilitare la transizione verso sistemi alimentari sostenibili. Oggi il grado di adozione delle nuove tecnologie nelle nostre imprese deve ancora crescere per questo motivo l’agricoltura può essere considerato un terreno più fertile per declinare un moderno concetto di transizione tecnologica in senso sostenibile e competitivo.

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Per percorrere questo sentiero di innovazione è necessario però sostenere le giovani imprese e riqualificare i lavoratori, tramite un costante processo di formazione, in modo da recepire tutti gli strumenti di questo nuovo modello agricolo. Attualmente, in Italia, il mercato dell’Agricoltura 4.0 vale 540 milioni di euro (il 4% del mercato globale) e, nel 2020, ha registrato una crescita del 20% rispetto all’anno precedente.

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La superficie di terreno coltivata con strumenti di agricoltura di precisione, ovvero quelle tecniche che permettono di ottimizzare la qualità produttività del suolo, è pari oggi al 4%, ma si stima di arrivare al 10% entro il 2025 grazie anche all’introduzione della banda larga nelle aree rurali. Da questi dati si capisce quindi che il settore è fortemente in espansione, ma c’è bisogno di soluzioni che ne tutelino la crescita.


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13-16 OTTOBRE 2021

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Come deve essere la birra? Viva! Birre uniche perché appena fatte e legate al luogo di produzione. I segreti delle “artigianali” raccontati dal birraio Antonio Massa

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di Giulio Baroni

Bresciano di nascita ma toscano di adozione Antonio Massa ha iniziato a fare birra una ventina di anni fa ma è proprio qui, nel Valdarno, che nel 2013 nasce la voglia di fare una birra “tutta sua”. Ecco allora il Birrificio Valdarno Superiore dove Antonio, oltre a produrre ottime birre, sviluppa una forte sinergia con l’Università di Firenze per formazione di futuri birrai e sviluppare un’agricoltura vocata alla produzione di birra sostenibile ed ecologica.

Antonio, com’è fatta una birra artigianale? Dal 2016 in Italia c’è una legge che definisce e risponde a questa domanda, per birra artigianale si intende: birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione.

produzione limitate. L’essenza di queste parole è che la birra artigianale italiana è una birra viva che evolve nel tempo e l’indipendenza del birraio lascia spazio alla creatività nelle ricette, la produzione limitata fa sì che l’aspetto artigianale sia predominante nella cura e nella qualità del prodotto finito.

E un birrificio artigianale che caratteriste ha? Un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi. In sintesi, possiamo dire che una birra artigianale italiana è una birra non pastorizzata non microfiltrata, prodotta da un birrificio indipendente e capacità di

L’industria insegue il vostro modello, grandi marche fanno ora anche prodotti che sembrano artigianali. La birra artigianale Italiana ha festeggiato questo anno i suoi 25 anni. In questi 25 anni sono nati 1000 birrifici in Italia ma il fattore più importante è che è nata o rinata nelle persone la voglia e la passione per il mondo della birra che è fatto da un’infinità di tipologie o stili di birre. In Italia il tutto è stato impreziosito dalla forte creatività dei birrai italiani stimolati dai prodotti tipici che ogni regione o provincia italiana ha e quindi lo sviluppo di molte birre.

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Questo movimento birrario è avvenuto ed è tuttora in evoluzione in tutto il mondo, di conseguenza anche i grandi produttori di birra stanno producendo varie tipologie di birre per ‘accontentare’ l’esigenza di un pubblico che è cambiato nei gusti e nelle esigenze di prodotto. Quanto è cresciuta la qualità delle birre toscane? La Toscana è stata tra le prime regioni in Italia ad avere fin da subito ottimi birrifici e ottimi birrai o mastri birrai. Più quanto è cresciuta mi fa piacere vedere che in Toscana il livello della qualità della birra si mantiene negli anni sempre alto, anzi è sempre migliorato e oggi abbiamo ottime birre che possono competere su qualsiasi palcoscenico. Esistono progetti di filiera per le birre artigianali? Sì, da quando è stata realizzata la legge sulla birra artigianale e la birra è entrata nel paniere dei prodotti agricoli si sono sviluppanti molti tavoli di confronto in Italia sul tema filiera del malto e del luppolo e quindi della birra. Spesso sono tavoli regionali e anche in Toscana ci sono alcuni progetti attivi. Sarà molto importante avere quanto prima una legge regionale che disciplini il concetto di birra toscana. Qual’è il segreto di una buona birra artigianale? Il segreto di una buona birra artigianale è sicuramente la freschezza la fragranza di un

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prodotto appena fatto, come il pane appena sfornato. Tra noi birrai c’è il detto qual è la birra più buona del mondo? La risposta è “La birra del posto dove sei, perché è appena stata fatta”. Questo spiega perché è bello visitare luoghi, regioni per il mondo e bere e conoscere le birre locali, birre uniche perché appena fatte e legate al luogo di produzione. Accanto alle classiche sempre più spesso si trovano prodotti speciali e ricercati, parlaci delle tue birre speciali. Il territorio offre sempre materie prime interessanti per una ricetta di birra e oltre che fare una birra artigianale è bello realizzare birre locali. Un primo elemento per fare la birre è sicuramente l’acqua. Ho voluto legare il Birrificio BVS all’acqua del nostro territorio e quindi realizzare il Birrificio in un luogo dove era possibile produrre birra con acqua di sorgente e realizzare birre che rispettino la mineralità dell’acqua senza modificarla. Questa prima birra si chiama Malafrasca ed è impreziosita dall’utilizzo della lavanda toscana per renderla molto fresca e piacevole, una birra quotidiana. La Maius III che vuol dire 3 Maggio giorno del compleanno del Birrificio BVS è una birra che utilizza farro biologico toscano e le spezie toscane, ottima abbinata alla norcineria toscana. La Pratomagno rossa nella quale si utilizza un luppolo solo e poi la parte aromatica è affidata alle erbe spontanee del Pratomagno aggiunte a fine bollitura.

La birra artigianale italiana è una birra viva che evolve nel tempo e l’indipendenza del birraio lascia spazio alla creatività nelle ricette:l’aspetto artigianale è predominante sia nella cura che nella qualità del prodotto finito.

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Piante di luppolo

La Cetica prende il nome dalla patata di Cetica ed è la nostra bionda alcolica dove l’amido della patata fa salire a 7° alcolici la birra con mineralità e dolcezze molto piacevoli. Recentemente al Birrificio avete festeggiato la raccolta del luppolo toscano, parlaci di questo prodotto. Il luppolo è un fiore femminile di una pianta rampicante spontanea e selvatica dal 1500 è stato inserito nella produzione della birra e ha raggiunto nel mondo la sua consapevolezza nel 1700. Pertanto le birre moderne utilizzano tutte il luppolo per le

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sue caratteristiche ammaricanti, aromatiche e antiossidanti. Nel nostro percorso di produzione di birra locale abbiamo coinvolto agricoltori, Università esperti per innescare la coltivazione di luppolo in Toscana. Al momento abbiamo un piccolo luppoleto sperimentale e a settembre in occasione della raccolta facciamo una piccola festa per far vedere e conoscere ai nostri amici, clienti e appassionati una materia prima fondamentale della birra. Nel luppoleto sperimentale oltre che a luppoli internazionali ci sono 3 varietà autoctone toscane che stiamo studiando per realizzare future birre.


di buono c’è il forteto.

Mugello, dove la cooperativa agricola ha le sue radici. Fresca come il latte dei suoi formaggi, a iniziare dal Pecorino Toscano DOP, famoso in tutto il mondo. Genuina come la passione carni chianine, dalla serra alla bottega di fattoria. E da oggi anche comoda, perché puoi ordinare le specialità del Forteto direttamente online su www.forteto.it. WWW.FORTETO.IT

FORMAGGI | AGRITURISMO | CARNI CHIANINE | SERRA | BOTTEGA DI FATTORIA | VISITE GUIDATE | DEGUSTAZIONI


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di Maurizio Izzo

Mi prendo cura dei formaggi, sono figli adottivi A colloquio con Andrea Magi tra i più grandi esperti in Italia, un mestiere il suo poco conosciuto. Qui ci racconta cosa fa [foto di Luca Managlia]

Andrea Magi, affinatore di formaggi, descrivi meglio la tua professione. Non è facile descrivere questo mestiere, dato che in Italia è sconosciuto a molte persone, sicuramente prende spunto dal più conosciuto francese Affineur, dato che nel contesto internazionale è sinonimo di prodotti caseari trattati dal medesimo con una certa cura e attenzione. Per descrivere e far meglio intendere cosa vuol dire affinare, possiamo pensare a quando si dice: “vado in Inghilterra per affinare il mio inglese”. Quindi si intende che affinare è sinonimo di migliorare, perfezionare qualcosa che già c’è, esiste, ed è buono… ma in qualche modo può essere arricchito. In Italia da me conosciuti ci sono

almeno una quindicina di bravi colleghi affinatori, i quali hanno il mio rispetto e stima, non li vedo come concorrenti, ma mi soffermo su questo concetto: colleghi. Ognuno di noi, ha il proprio stile, le proprie peculiarità, conoscenze, influenze e quindi siamo tutti diversi, mai omologhi, ma con un minimo comune denominatore, la passione per il proprio mestiere. L’altra cosa che ci accomuna, è che siamo tutti orfani di un riconoscimento ministeriale, ovvero il nostro lavoro oltre a non essere conosciuto dal pubblico, non è codificato e nemmeno riconosciuto dal punto di vista normativo, quindi siamo in un limbo dove diventa anche difficile classificare il nostro lavoro.

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Tornando alla domanda, è indispensabile per l’affinatore, conoscere la materia prima formaggio e quindi partire a lavorare sul rapporto con il produttore che esso sia un pastore, un malgaro, un casaro o altro… iniziare a capire la tipologia di latte che utilizza, come pascolano gli animali, le tecniche di trasformazione del latte e si giunge al prodotto formaggio, che per l’affinatore non è un prodotto finito, ma un semi lavorato, ovvero un prodotto dove ancora deve essere fatta una lavorazione sostanziale. In questa fase è dove il lavoro vero e proprio dell’affinatore si concretizza, ovvero quando grazie all’esperienza, agli ambienti, ai contenitori o supporti utilizzati, agli eventuali ingredienti aggiunti, alla temperatura o umidità di conservazione… si riesce a far maturare quel prodotto nelle condizioni ottimali per il conseguimento del prodotto

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finale desiderato. Non so se sono stato chiaro, ma ai bambini che vengono in visita nelle nostre grotte di maturazione, spiego in modo più semplice che l’affinatore, non è il padre naturale dei propri formaggi ma un papà adottivo, colui che non li ha generati, ma si prende cura dei propri “bambini” e li accudisce e li cura fino a farli diventare maturi e quindi adulti. Hai mai fatto una stima di quanti formaggi assaggi in un anno? Per me non sono mai abbastanza! Impossibile fare questo calcolo, perché il formaggio per me non è solo un lavoro, ma anche un hobby, e non assaggio solo i miei, anzi, mi piace molto di più assaggiare quelli di altri produttori, assaggiarli in ogni contesto e in ogni situazione, non solo per lavoro ma anche per piacere. Mi piace andare a vedere i luoghi di produzione, per imparare e conoscere sempre nuove realtà. Mi piace assaggiarli in un ristorante ed assistere a come mi vengono presentati, ma anche nelle fiere o


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manifestazioni dove ci sono i produttori che raccontano il loro lavoro. Prendendo spunto da una frase che diceva nota pubblicità di caffè: per il formaggio “ogni momento, è quello giusto”. Si dice formaggio e si pensa alla Francia. Storia, cultura, tradizione. Manca qualcosa ai nostri formaggi rispetto ai cugini d’Oltralpe? Ai nostri formaggi non manca nulla, anzi, non lo dico solo per orgoglio nazionale, ma lo dico in termini storici e di tradizione, in Italia sicuramente abbiamo una maggiore trasversalità ed eterogeneità nella produzione casearia tra i vari tipi di latte, le tecnologie e le maturazioni. Ma se devo invidiare qualcosa alla popolazione francese, è la maggior conoscenza dei formaggi, una maggior cultura sulle croste e una maggior propensione al consumo. Sicuramente, in Francia, il formaggio e tutto ciò che gravita attorno ad esso viene tenuto molto più in considerazione che in Italia. Ma voglio essere ottimista e credo che si possa per il futuro colmare questo gap, solo se si investe in cultura gastronomica a tutti i livelli, sarebbe bello che nelle scuole, venisse insegnata l’educazione alimentare, ovvero la cultura del cibo ivi compresi anche i formaggi. Nel mondo del vino sono stati fatti tantissimi passi avanti, grazie alle associazioni e organizzazioni che negli anni hanno promosso la conoscenza di questo nobile liquido, e mi permetto, in questo contesto, di fare una piccola promozione all’ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggi) di cui io faccio parte da tanti anni, perché ad oggi è l’unico modo per accrescere la cultura casearia

e ampliare gli orizzonti della degustazione di formaggi sia in termini tecnici per operatori che più amatoriali per gli appassionati, ma di sicuro è un ottima opportunità di aprire una finestra sul mondo dei formaggi italiani che purtroppo ad oggi molti non conoscono. Si è da poco chiusa “Cheese” la manifestazione che Slow Food dedica ai formaggi e in particolare a quelli a latte crudo. Hanno davvero un valore aggiunto? Certo che sì, il valore aggiunto del latte crudo non è da mettere in discussione, dato che porta con se gran parte delle caratteristiche native del latte, ovvero di ciò che ha mangiato l’animale, come ha pascolato, il suo stato di benessere, eccetera… Ma, perdonami se torno nuovamente sul tema della cultura, se non si spiega al consumatore cosa è il latte crudo, la differenza tra il latte termizzato o quello pastorizzato, si rischia di fare un errore enorme perché si discriminano i prodotti a latte pastorizzato rispetto i formaggi a latte crudo, senza però far sapere al consumatore il perché. Non sai quante volte mi è capitato di fare questa domanda alle manifestazioni a consumatori comuni e se va bene, 2 su 3 non sanno minimamente cosa voglia dire latte crudo. Questo è il vero problema secondo me. Quindi, un formaggio prodotto con latte non sottoposto ad alcun trattamento, magari senza l’aggiunta di fermenti, ma usando solo quelli presenti nel latte stesso, siamo difronte ad una vera e propria opera d’arte, diversa ogni giorno, se… se l’animale è stato allevato e alimentato correttamente, se il latte viene munto rispettando tutta la corretta prassi igienica, se viene lavorato con maestria e curato nella maturazione con sapienza… Gola Gioconda 33


Ma se qualunque di questi passaggi, non viene eseguito perfettamente, ci possiamo trovare di fronte un prodotto con dei difetti che possono essere di diversa natura e con delle criticità più o meno gravi. Quindi, non faccio un discorso da esperto o da saccente, dico che deve sempre essere tutto contestualizzato, io lavoro sia con produttori che lavorano il latte crudo che con chi mi fa il prodotto a latte pastorizzato e personalmente un formaggio è eccellente quando è fatto bene, ossia quando tutti gli step evolutivi di produzione sono fatti in modo perfetto e rigoroso. Nella mia esperienza, ho avuto modo di assaggiare formaggi a latte crudo emozionanti e formaggi a latte pastorizzato banali, ma anche altri a latte pastorizzato eccellenti e formaggi a latte crudo sgradevoli con difetti evidenti. Non difendo nessuna teoria, sono tutte corrette, parlo per esperienza e soprattutto mi schiero solo dalla parte del formaggio, punto e basta. Voglio fare un esempio, ad avvalorare quanto finora ho detto: che è più bello un dipinto o una fotografia? Se sono fatti bene, sono belli entrambi. Ovviamente un bel dipinto è in grado di dare un’emozione maggiore perché è il frutto di un lavoro manuale di una persona e anche se la stessa persona ne vorrà fare due perfettamente uguali non è umanamente possibile farli… ma anche una bella fotografia può essere in grado di suscitare emozione perché, in questo caso il fotografo ha deciso il momento e la luce giusta per quello scatto e la tecnologia può aiutare a migliorarla o correggerla e a replicarla quante

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volte si desidera. Quindi si capisce che il dipinto sarà il formaggio a latte crudo, mentre la fotografia sarà quello a latte pastorizzato. Poi, dopo tutto questo c’è anche un altro punto di vista, non solo quello oggettivo e tecnico, ma quello puramente soggettivo, ovvero non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, quindi sui gusti personali non c’è discussione che tenga. E quelli biologici? Più o meno vale per il discorso già fatto in precedenza, anche se, sarebbe più importante parlare di “formaggi sostenibili”. Il settore della pastorizia e tutta la filiera del latte non sta passando un momento felice, come altri settori del resto, ma occorrerebbe che ci fossero degli aiuti concreti, non parlo solo in termini economici ma anche di consulenza… Ma un allevatore, un pastore, un casaro come fa ad essere informato su tutto? Come fa anche solo ad avere il tempo per dedicarsi anche a questo? Sarebbero posti di lavoro


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anzi impieghi remunerati e utili sia per le imprese che per l’ambiente. È un argomento troppo grande da affrontare in poche parole, ma ci sarebbe tanto da fare per perseguire una produzione più etica, che porterebbe al pianeta e alle persone molti più vantaggi. Il Maniaco, il Pervertito, El Cabron come scegli i nomi dei tuoi formaggi? I nomi sono il frutto di una vera e propria ispirazione, a volte prima penso ad un nome e poi ci costruisco un formaggio o una linea di formaggi e a volte in base al formaggio mi viene in mente un nome, in funzione del contesto in cui è nato o di una peculiarità del formaggio stesso. Cerco di utilizzare leggerezza e simpatia, da toscano ci viene concessa questa “licenza poetica” di essere un po’ spiritosi o se si vuole maliziosi. Sono stato apostrofato anche come impertinente da chi non mi conosce per i nomi di alcuni formaggi al limite del volgare, ma perché non conosce la mia goliardia.

Quando il discorso si fa serio, so essere serio, ma mi piace anche essere un po’ burlone e far divertire le persone oltre che a farle godere con il palato, ma poi a chi lo dico? Voi vi chiamate Gola Gioconda! Se un formaggio è buono, accattivante ed ha anche un nome che colpisce, facile da ricordare o che evoca un sorriso, sicuramente aiuta anche quello. L’ultimo nato? Non poteva che chiamarsi La Vispa Teresa, una formaggetta a latte crudo di capra a coagulazione presamica, realizzata con il mio contributo di consulenza tecnica, il risultato è un formaggio leggermente abbucciato, gradevole alla vista, fresco dalla pasta bianchissima e leggermente occhiata con un gusto dolce, ma leggermente acidulo, poco sapido ma molto aromatico. Un formaggio che anche se giovane ti conquista e dopo un primo assaggio non puoi che ripeterne un secondo e poi un terzo… il nome mi sembra azzeccato, o no? Gola Gioconda 35


L’Unione dei cuochi 1.300 associati, dagli stellati ai comuni mortali. In comune la passione per un mestiere in continua evoluzione. L’intervista al presidente dell’Unione Regionale Cuochi Toscani, Roberto Lodovichi

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Prima di tutto due parole per presentare la vostra associazione, cosa fate e qual’è l’obiettivo? L’Unione Regionale Cuochi Toscani nasce a metà degli anni ‘70 per aggregare Cuochi e Professionisti delle Arti Gastronomiche, per stimolarne in condivisione e la crescita professionale in un settore pieno di suggestioni ed in continua evoluzione. URCT è composta da 11 Associazioni Provinciali e Territoriali Toscane ed è parte integrante della Federazione Italiana Cuochi della quale condivide le finalità.


LE INTERVISTE DI GOLA

di Maurizio Izzo

Gola Gioconda 37


L’Unione è composta da circa 1300 associati, distinti in tre categorie: professionisti, allievi, sostenitori. Tra i professionisti abbiamo circa un 60% di titolari di attività o chef executive. Le attività che svolgiamo sono legate in prevalenza alla formazione, con corsi in entrata ed uscita, partecipazione ad eventi e manifestazioni di settore nonché collaborazioni con la Pubblica Amministrazione e le associazioni di categoria per la promozione della cucina e delle eccellenze toscane. In fin dei conti associate professionisti che sono anche in competizione tra di loro, come fate a farli andare d’accordo?

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Bella domanda, effettivamente abbiamo tra le nostre fila anche nomi davvero importanti e riferimenti di alto livello per la cucina non solo toscana ma italiana e devo dire che questo ci pregia. Crediamo molto nella collaborazione e nell’essere inclusivi dando visibilità a ciascuno per le proprie competenze e capacità pertanto non c’è competizione bensì valorizzazione di ogni nostro singolo associato. Devo dire che, con grande piacere, ho visto nel tempo che anche i nostri associati più prestigiosi si sono sempre messi a disposizione con umiltà divenendo spesso riferimento importante in particolare per i giovani. Siamo anche fortunati perché la straordinaria regione in cui viviamo e la vastità dei prodotti e delle materie prime che abbiamo a disposizione ci concede un’ampia rosa di espressione permettendoci così di agire su campi diversi


LE INTERVISTE DI GOLA

e non dover per forza competere. Peraltro i numerosi eventi a cui prendevamo parte prima della pandemia e che piano piano stanno tornando ci hanno permesso di favorire gli scambi tra i nostri associati a tutti i livelli creando un clima disteso e non competitivo ma anzi di grande stima e collaborazione. È stato un periodo durissimo facciamo il punto sulla ripartenza? Come sta andando? È stato un lungo difficilissimo periodo e ne porteremo ancora per molto le conseguenze addosso ma siamo una categoria forte

abituata a resistere e reagire pertanto non ci siamo scoraggiati. Nonostante le difficoltà abbiamo sempre cercato di guardare avanti, certo qualcuno si è perso per strada, altri hanno cambiato lavoro ma oggi guardiamo con speranza al presente. Dalla primavera siamo ripartiti con le nostre attività ed anche con la partecipazione a dei piccoli eventi per noi però molto importanti per dare un segnale. Nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie ma abbiamo ripreso la nostra attività di ambasciatori della cucina e delle eccellenze toscane e ci auguriamo di proseguire con un autunno ricco di eventi.

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Le zone costiere hanno avuto una stagione estremamente fortunata ma la possibilità di uso del suolo pubblico con relativo aumento dell’ospitalità dei locali ha favorito anche le zone dell’entroterra toscano e delle città d’arte che sono poi quelle ad aver sofferto maggiormente. Speriamo questo trend continui anche nella stagione in arrivo. La polemica dell’estate è stata che non si trova forza lavoro per bar e ristoranti. La risposta più immediata è che spesso chi fa questo lavoro è pagato poco. C’è una risposta ufficiale della categoria? La mancanza di personale nel periodo estivo è certamente una realtà e posso dire, almeno per la Toscana, generalizzata. In tutte le nostre associazioni provinciali si sono continuamente succedute richieste di ricerca personale spesso inevase. Non c’è una risposta ufficiale ma semplicemente una constatazione oggettiva che contempla certamente il fatto che il nostro lavoro non sia dei migliori sul mercato in quanto a remunerazione ed è anche vero che molte persone durante questo lungo periodo di restrizioni hanno deciso di cambiare lavoro e dedicarsi ad altro oltre che essere questa un’attività che non tutti prendono in considerazione visti gli orari che comporta con il maggior carico di lavoro nei giorni in cui la maggioranza delle persone fa festa. Negli ultimi anni la professione di cuoco è stata molto invidiata e le scuole si sono riempite di giovani che sognano di essere

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Cracco. Che succederà ora dopo la crisi del covid? Ad oggi potrei dire che l’onda lunga di questa fascinazione proseguirà ancora per un po’. Per nostra fortuna i ragazzi dopo un primo periodo d’infatuazione non consapevole dovuta appunto ai media che hanno esaltato alcune figure, spesso pur meritevoli, stanno prendendo consapevolezza di un lavoro al contempo straordinariamente bello ed appagante ma anche duro e complesso fatto di tanti sacrifici e di formazione continua. Anche la polemica sulle scuole alberghiere e sul fatto che i ragazzi dovrebbero provare


LE INTERVISTE DI GOLA

davvero cosa comporta il lavoro non ci appartiene in quanto collaboriamo con quasi tutti gli Istituti Alberghieri della Toscana con grandi risultati. Coinvolgiamo i ragazzi in progetti che li vedono protagonisti, come il Miglior Allievo della Toscana, e li rendiamo spesso attori di iniziative importanti dove vengono per lavorare e non per fare figura o essere sfruttati. Per questo ringrazio anche i docenti senza i quali il nostro sforzo per supportare la nuova generazione di chef sarebbe impossibile. Voi fate anche molta formazione. Quanto serve e quanto dovrebbero migliorare gli istituti alberghieri? La formazione serve moltissimo e non si deve mai abbandonare. La formazione continua è alla base del nostro lavoro e solo attraverso un apprendimento continuo possiamo stare al passo con i tempi e con le richieste di un mercato che cambia molto velocemente rispetto ad un tempo. Gli Istituti Alberghieri lo hanno capito e spesso chiamano anche noi a fare delle lezioni sulle tecniche o sulle nuove tendenze in cucina andando ben oltre le attività formative canoniche. Ci siamo avvalsi in questi ultimi anni anche di un bel progetto al quale abbiamo potuto accedere attraverso la Federazione Italiana Cuochi che si chiama NIC in School che porta negli Istituti Alberghieri dei professionisti delle Nazionale Italiana Cuochi i quali parlano ai ragazzi e danno loro

appunto delle indicazioni sulla cucina nelle sue declinazioni più attuali e di alto livello. Molte le attività benefiche che svolgete, avete qualcosa in programma per i prossimi tempi? Le attività benefiche sono alla base del nostro operato. Da sempre portiamo avanti progettualità di supporto a realtà che lo necessitano. Lo facciamo a livello regionale ed in ambito provinciale con ciascuna delle 11 associazioni che ci compongono ed anche contribuendo ad iniziative nazionali attraverso il Compartimento di Solidarietà ed Emergenze che è il settore della Federazione Italiana Cuochi che si occupa appunto di attività umanitarie. Abbiamo fatto alcune iniziative in estate e nell’autunno ci sono già diverse attività programmate come ad esempio la Merenda Reale a cui prenderanno parte i Cuochi di Arezzo in favore dell’Istituto Thevenin e che si svolgerà proprio ad ottobre o i corsi di cucina per bambini dell’Associazione Cuochi di Grosseto a novembre o ancora gli impegni natalizi dei Cuochi Lucchesi e di quelli di Siena con pranzi solidali per i bisognosi. Ci arrivano continuamente richieste di collaborazione ad iniziative benefiche e noi cerchiamo comunque di sostenerle più che possiamo ma limitatamente alla disponibilità che il nostro lavoro ci lascia però sempre con tutto il cuore perché sappiamo quanto siamo fortunati e ci sembra doveroso poter dare un piccolo contributo a chi, in quel gesto, può trovare un po’ di supporto.

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Tocca a loro Alla scoperta di cinque giovani talenti, chef che meritano già la massima attenzione, destinati a ritagliarsi uno spazio nel prossimo futuro [foto di Luca Managlia]

Un giovane siciliano dallo spirito globetrotter, la chef di un locale tutto al femminile, l’erede di una trattoria del 1952, un figlio d’arte che si ispira a Pellegrino Artusi e la giovane empolese che ha imparato dalla nonna: ecco cinque storie di chef emergenti che a Firenze si stanno costruendo una certa fama, e di cui sentiremo parlare nel prossimo futuro. In una città come Firenze, in fondo, è facile - e per certi versi naturale - che a prendersi il palcoscenico delle cronache gastronomiche siano gli chef stellati o “peristellati”, per dirla con un suggestivo neologismo: da Marco Stabile (Ora d’Aria) a Filippo Saporito (La Leggenda dei Frati), da Karime Lopez (Gucci Osteria) al bistellato Rocco De Santis (Santa Elisabetta), dal tristellato Riccardo Monco (Enoteca

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Pinchiorri) a Paolo Lavezzini (Four Seasons Hotel) fino alle new entries come Giovanni Cerroni (Mimesi). Eppure la città esprime anche una serie di nomi destinati a ritagliarsi uno spazio nel prossimo futuro. Non ci riferiamo a giovani talenti già piuttosto consolidati e in qualche caso già nell’orbita delle guide più importanti – da Edoardo Tilli di Podere Belvedere ad Andrea Perini de Al588 fino a Simone Cipriani nel suo duplice ruolo a Essenziale e al Ground – ma a ragazzi che proprio in questi ultimi due anni stanno emergendo.


GIOVANI CHEF

di Luca Managlia

Salvo Pellegriti della “Vetreria”

Giovane chef originario della provincia di Catania, dopo aver viaggiato per il mondo fino a raggiungere l’Australia, da qualche anno Salvo Pellegriti ha messo radici a Firenze, ai fornelli della Vetreria in via del Proconsolo, proprio dietro il Duomo. Qui ha fatto sì, anche grazie alla liaison con le pizze di Donato Menechella (2 spicchi del Gambero Rosso), che il ristorante diventasse una fucina di cucina creativa e di piatti mai banali. Ancora per certi versi poco noto al pubblico mainstream fiorentino, Salvo Pellegriti unisce nei piatti del suo menu una mano felice, un alto tasso di complessità e un connubio tra fantasia e tecnica. È il caso della “Caprese nell’uovo”, una rivisitazione della classica caprese in cui l’uovo è formato da bufala sciolta e ricomposta – cui è stata data la forma del guscio – così come l’albume. Il tuorlo è ricavato invece da pomodori gialli e rossi, mentre la paglia su cui è adagiato non è altro che sedano rapa. Il tutto su un letto di basilico che il commensale scopre solo nel corso dell’assaggio. Da provare anche il Risotto con cozze, ostriche, dragoncello e mela verde, per l’equilibrio e l’intensità dei sapori.

Gola Gioconda 43


Elena Rindi di “Olivia”

Classe ’87, la giovane chef Elena Rindi ha già alle spalle esperienze “stellate” con Marco Stabile a Firenze e Oliver Glowig a Roma, e – dopo un passaggio al Borgo San Jacopo con Peter Brunel, sempre in riva all’Arno, da qualche tempo è alla guida della cucina di “Olivia” in piazza Pitti, dove ha preso il posto di Giacomo Piazzesi, rinsaldando il particolare legame del ristorante con l’olio extravergine (non a caso è gestito da Serena Gonnelli dello storico frantoio Santa Tea di Reggello, in Toscana). «Non avrei mai pensato che avrei rinunciato all’utilizzo del burro, che adoro – racconta Elena, alla sua prima esperienza alla guida di una cucina – ma l’arrivo da Olivia mi ha aiutato a riscoprire tanti sapori legati all’olio Evo». Ne è un esempio il tortello di burrata con crema di melanzane, pomodoro e basilico: piatto estivo, fresco, “italiano” (non solo nelle nuance che richiamano il tricolore ma nell’adesione al principio di ricercare il sapore attraverso semplicità e leggerezza) e goloso. Altra chicca del locale è di essere tutto a trazione femminile: oltre alla titolare Serena Gonnelli e alla chef Elena Rindi, dietro il bancone ha preso posto la barlady messicana Adrine Briz.

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GIOVANI CHEF

Lorenzo Romano della “Insolita Trattoria”

Chef autodidatta, da oltre un paio d’anni Lorenzo Romano ha preso in mano le redini della trattoria di famiglia (la Trattoria Tre Soldi, attiva dal 1952) cambiando in modo radicale lo stile di cucina. Abbandonati i canoni della tradizione, pur non rinnegando alcuni dei piatti che suo padre e suo nonno hanno servito per decenni prima di lui, Lorenzo si è messo a divorare libri di chimica degli alimenti e nel giro di poco tempo ha elaborato una cucina d’ispirazione contemporanea e dal forte impatto camouflage. In altri termini, nulla è ciò che sembra: allo chef piace giocare con la vista, il tatto e il palato, dando vita a un tour di rimandi gastronomico-sensoriali che magari sono già sdoganati nei ristoranti d’alta fascia delle grandi città, ma che nelle periferia fiorentina sono da considerarsi ancora una rarità. L’effetto sorpresa viene mantenuto dalla carbonara, realizzata con crema pasticciera (sic!) e il tuorlo d’uovo grattato come fosse bottarga. «Tutto ciò che c’è di dolce nella crema pasticciera – racconta Lorenzo – viene sostituito da ingredienti sapidi».

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Tomberli e Gamannossi de “L’Artusino”

Non solo chef, ma anche imprenditori della ristorazione: con trascorsi molto differenti (Tomberli è figlio d’arte, in quanto il padre Alessandro è sommelier e responsabile di sala della tristellata Enoteca Pinchiorri, mentre Gamannossi ha una formazione da storico ed è stato anche assessore provinciale) oggi Marco Tomberli e Marco Gamannossi vivono un presente comune, alla guida – insieme a Clio Bianchi – del ristorante “L’Artusino” a Cerbaia (San Casciano). Come si evince dal nome, il locale è un omaggio alla figura di Pellegrino Artusi, padre della gastronomia italiana. Frutto di ricerca e di studio degli scritti dell’Artusi, l’ispirazione dei piatti si traduce sia nello stile informale di una trattoria sia nella riproposizione delle pietanze codificate a suo tempo, con una specifica attenzione al territorio fiorentino e toscano per gli approvvigionamenti.

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GIOVANI CHEF

Alessandra De Blasio de “Le Pavoniere”

Empolese, classe ’89, si approccia alla cucina fin dalla tenera età grazie alla nonna, cuoca e ristoratrice, dalla quale impara le tecniche della cucina tradizionale toscana e pugliese. La sua è una cucina ricercata e curata, che parte dalla valorizzazione delle materie prime e si intreccia con la voglia di sperimentare e la curiosità nell’accostamento di gusti inusuali. I sapori mediterranei e le basi delle ricette tradizionali imparate da piccola si fondono con l’esperienza, la tecnica e la personalità acquisite negli anni per sfociare in una cucina contemporanea, mai banale. Nell’estate 2021 Alessandra sposa il progetto di rinnovamento della cucina delle Pavoniere, nel cuore del parco delle Cascine. Qui è possibile assaggiare le sue proposte, tra cui il calamaro servito con crema di patata americana la cui dolcezza è contrastata dal sapore deciso della bisque di gamberi, uova di lompo e bottarga di muggine, il tutto sopra pane al carbone vegetale e finito con un guazzetto di alga nori. Oppure l’anatra, con una glassatura al miele di castagno, una fresca crema al sedano rapa che fa spiccare l’acidità delle susine in riduzione di Chianti, per terminare con una salsa al burro di arachidi salata.

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L’orto è un’esperienza che ci portiamo dentro Parola dell’inventore dell’Orto Bioattivo, Andrea Battiata. L’ultimo realizzato per i ragazzi dell’associazione AlpaHa Onlus

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«Dobbiamo produrre cibi che facciano bene, perché nell’avanzatissimo Terzo Millennio non è possibile che si finisca per produrre cibi che fanno male», Andrea Battiata, agronomo, consigliere della Società Toscana di Orticultura è il divulgatore, ma potremmo dire l’inventore del metodo Ortobioattivo.


COSA E DOVE

Che cos’è per lei un orto? Belleza e casino, gioia e delusione.

di Filippo Baldi

Anche delusione? Sì, certo perchè quando non otteniamo quello che vogliamo c’è delusione e quando dalla terra non tiriamo fuori il meglio c’è delusione.

Sembra facile. Lo è perchè è il ritorno alla natura, l’agricoltore per primo ma anche il comune cittadino deve farsi carico di questa esperienza e tornare a produrre cibo da coltivare facilmente. Con i compost vegetali noi riproduciamo la simbologia di una foresta.

E allora come si fa un Orto Bioattivo? Per preparare un Orto Bioattivo, si segue “la regola delle tre M: materia organica, microorganismi e minerali. Se vogliamo ortaggi e verdure ricchi di sostanze ed antiossidanti dobbiamo ritornare alla coltivazione naturale, aumentando la sostanza organica del terreno.

Come nasce l’esperienza dell’Orto Bioattivo? Dalla necessità di capovolgere lo schema alimentare a cui siamo arrivati, noi oggi mangiamo soprattutto energia (di cui non abbiamo bisogno) e non assumiamo antiossidanti che si troverebbero facilmente in un agricoltura naturale.

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COSA E DOVE

IL PROGETTO

Il progetto OBA.NUTRA.FOOD vuole mettere a punto un modello produttivo replicabile per la produzione sostenibile di ortaggi ad elevato valore nutraceutico a partire dal sistema di coltivazione “Ortobioattivo”. Questo metodo di coltivazione non convenzionale bandisce l’utilizzo di input chimici e mira al mantenimento della sostanza organica e della biodiversità microbica del suolo. Progetto finanziato nell'ambito del Partenariato Europeo per l’Innovazione in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura - Piano di Sviluppo Rurale 2014/2020 della Regione Toscana. Bando relativo al Sostegno per l’attuazione dei Piani Strategici e la costituzione e gestione dei Gruppi Operativi PEI-AGRI.

Per ribaltare questo schema l’orto è una delle soluzioni. A quanti orti bioattivi ha dato vita? Una cinquantina, grazie anche la progetto di ricerca OBA.NUTRA.FOOD dell’Università di Firenze. Il primo sulle colline di Firenze a Bellosguardo poi in giro per l’Italia ma sopratutto in Toscana. E c’è anche quello per i ragazzi dell’associazione Alpaha Bellissimo, i ragazzi con disabilità possono

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fare l’esperienza della coltivazione e mangiare il proprio cibo. I nostri orti sono rialzati da terra e quindi accessibili a tutti. Nel caso di questo orto usiamo anche il letame maturo degli alpaca che i ragazzi allevano. Un invito a fare l’orto? È un esperienza umana che ci portiamo dentro ma che abbiamo perso e con questo abbiamo perso anche il rapporto con la natura. Possiamo produrci un cibo che fa bene a noi e all’ambiente.


Visitare Scandicci Fiera 9-17 OTTOBRE

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www.scandiccifiera.it


La Fiera c’è. La Fiera c’è ed è sicura. La Fiera c’è, è sicura, è facilmente accessibile, è ecologica, segna la nostra ripartenza

Quest’anno l’impegno del Comune, degli organizzatori, della Polizia Municipale, di tutti gli addetti alla sicurezza, del volontariato, è stato quello di rendere alla Fiera il suo significato primo, il vero senso che fa di questi nove giorni il periodo più atteso dalla città: stare insieme, sentirsi sicuri accanto agli altri, incontrarsi, fare comunità, far conoscere il nostro territorio

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al resto del mondo, far conoscere il resto del mondo al nostro territorio. Lo scorso anno fare la Fiera fu il modo più bello − più bello e più saggio − di opporsi agli eventi; usammo ogni precauzione e tutti gli accorgimenti per non far correre rischi ai nostri cittadini, studiammo la formula più adatta, ma alla fine fu ostinazione pura, fu l’esigenza di andare


GOLA EXPO

avanti (in quel particolare momento era possibile, ma eravamo anche pronti a fermarci in tempo) e di non interrompere l’unica tradizione secolare e identitaria che ha Scandicci. Quest’anno la Fiera torna ad essere molto di più, l’occasione per riflettere sul nostro futuro e più nello specifico anche sul futuro della nostra città. Ci sono in programma occasioni di presentazione e di confronto dei progetti che riguardano Scandicci, gli spazi pubblici, le nostre piazze. Al tempo stesso promuoviamo buone pratiche per l’ambiente, per la qualità dell’aria nostra e delle prossime generazioni: grazie alla Fiera di Scandicci 2021 pianteremo alberi in tutto il mondo, in posti vicini e lontani, a partire da esperienze come quella di Treedom che condividiamo. La Fiera torna quindi ad essere la Fiera che conosciamo, un evento sicuro e facilmente accessibile – lo ripetiamo – con tanto valore e tanti valori aggiunti. In Fiera entreremo col Green Pass, com’è giusto e com’è logico. La nostra Polizia Municipale, gli organizzatori, gli addetti alla sicurezza hanno studiato anche sistemi

di Sandro Fallani

che i cittadini con i requisiti potranno scegliere ed utilizzare per accedere ancora più velocemente, più comodamente e scongiurando al massimo ogni rischio di assembramento. Le misure e le procedure adottate sono quanto di meglio si potesse organizzare in questo momento, quanto di più sicuro, quanto di più facile, quanto di più rispettoso per la tutela delle singole persone e della collettività. Buona Fiera a tutti! Il Sindaco di Scandicci Sandro Fallani

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Come prima, più di prima Dal 9 al 17 ottobre torna la Fiera di Scandicci La più grande fiera campionaria della Toscana non solo riprende il suo posto tradizionale, ma diventa una fondamentale occasione per la ripartenza della nostra Regione. Per la sua 155a edizione la Fiera si presenta con circa 300 espositori e una superficie espositiva di oltre 20.000 mq.

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Molte novità per una Fiera che assume una nuova configurazione allungandosi ulteriormente verso la fermata della tramvia De Andrè.

L’Oasi Una delle prime novità è uno spazio verde, una sorta di oasi tra i padiglioni Fiera in Fiera e Arredo Casa, e l’Expo Auto: in quest’area attrezzata il pubblico potrà fermarsi e riposarsi, trovando anche dei


GOLA EXPO

punti street food per riprendersi dalle “fatiche” della visita alla Fiera!

La galleria della Fiera Altro nuovo spazio è La Galleria della Fiera, parallelo al padiglione Arredo Casa: qui i visitatori troveranno degli stand all’aperto legati ai temi dell’abitare, alternati a vari punti ristoro.

La foresta La Fiera di Scandicci ha la sua foresta. Centinaia di alberi piantati per compensare le emissioni di CO2 che un evento come questa questo genera. È l’impegno che la Fiera si è presa a partire da questo anno affidando la realizzazone a Treedom. Si tratta di una innovativa metodologia di certificazione di piantumazione e monitoraggio degli alberi

a cura della Redazione

MANGIA E BEVI

Tante le occasioni per mangiare e bere alla Fiera con qualche novità come “Il Giardino di Legnaia” quasi un oasi dedicata allo street food, tra questi il debutto dell’Asian Food Truck e uno spazio dedicato al Km 0 e alla filiera corta. “Simbiosi” propone la pizza ed è una novità, mentre tra le conferme segnaliamo Il Forteto con i tortelli mugellani e l’hamburger di Chianina. Conferme anche per il ristorante argentino e le dolcezze dall’Ungheria. L’Associazione sportiva Robur propone ilo fritto di pesce e da Napoli arrivano specialità dolci e salate. E poi la “Bottega dei Sapori” che si conferma il regno degli appassionati di buon cibo con specialità da tutta Italia e la novità dei salumi dalla Spagna.

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GOLA EXPO

denominata Treedom Standard (pubblica su www.treedom.net). Ogni singolo albero piantato viene infatti registrato grazie alla geolocalizzazione, fotografato e riportato su una mappa all’interno della piattaforma www.treedom.net: ciò permette di intestare gli alberi piantati a aziende e persone e di renderli visibili sul web. Qui puoi seguire lo sviluppo della Foresta di Scandicci e contribuire all’acquisto di una delle piante che contribuirà a completare il progetto. https://www.treedom.net/it/organization/ sicrea/event/sicrea-foresta

L’App fiera365 È lo strumento per vivere meglio la Fiera. Serve per avere sotto controllo il programma, registrarsi agli eventi, scaricare il materiale promozionale delle aziende. è un prodotto Sicrea in collaborazione con Officine Valis

Info: www.scandiccifiera.com 56


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OTTOBRE 2021

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Credits Prima di copertina: Freepick @freepick Ultima di copertina: Freepick @mikeygl Tutto il materiale pubblicato (foto e immagini) sono di proprietà dei rispettivi autori. L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.


Gola Gioconda Il piacere della tavola con leggerezza e ironia

Un sistema di comunicazione per chi ama, produce, consuma cibo di qualità Da quindici anni un modo di raccontare l’enogastronomia con leggerezza e ironia. Oggi molto più di una rivista, un sistema di comunicazione integrato che mette a disposizione un insieme di strumenti in grado di raggiungere un vasto e differenziato pubblico.

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