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LE INTERVISTE DI GOLA MI PRENDO CURA DEI FORMAGGI

Mi prendo cura dei formaggi, sono figli adottivi

A colloquio con Andrea Magi tra i più grandi esperti in Italia, un mestiere il suo poco conosciuto. Qui ci racconta cosa fa

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[foto di Luca Managlia]

Andrea Magi, affinatore di formaggi, descrivi meglio la tua professione.

Non è facile descrivere questo mestiere, dato che in Italia è sconosciuto a molte persone, sicuramente prende spunto dal più conosciuto francese Affineur, dato che nel contesto internazionale è sinonimo di prodotti caseari trattati dal medesimo con una certa cura e attenzione. Per descrivere e far meglio intendere cosa vuol dire affinare, possiamo pensare a quando si dice: “vado in Inghilterra per affinare il mio inglese”. Quindi si intende che affinare è sinonimo di migliorare, perfezionare qualcosa che già c’è, esiste, ed è buono… ma in qualche modo può essere arricchito. In Italia da me conosciuti ci sono almeno una quindicina di bravi colleghi affinatori, i quali hanno il mio rispetto e stima, non li vedo come concorrenti, ma mi soffermo su questo concetto: colleghi. Ognuno di noi, ha il proprio stile, le proprie peculiarità, conoscenze, influenze e quindi siamo tutti diversi, mai omologhi, ma con un minimo comune denominatore, la passione per il proprio mestiere. L’altra cosa che ci accomuna, è che siamo tutti orfani di un riconoscimento ministeriale, ovvero il nostro lavoro oltre a non essere conosciuto dal pubblico, non è codificato e nemmeno riconosciuto dal punto di vista normativo, quindi siamo in un limbo dove diventa anche difficile classificare il nostro lavoro.

Tornando alla domanda, è indispensabile per l’affinatore, conoscere la materia prima formaggio e quindi partire a lavorare sul rapporto con il produttore che esso sia un pastore, un malgaro, un casaro o altro… iniziare a capire la tipologia di latte che utilizza, come pascolano gli animali, le tecniche di trasformazione del latte e si giunge al prodotto formaggio, che per l’affinatore non è un prodotto finito, ma un semi lavorato, ovvero un prodotto dove ancora deve essere fatta una lavorazione sostanziale. In questa fase è dove il lavoro vero e proprio dell’affinatore si concretizza, ovvero quando grazie all’esperienza, agli ambienti, ai contenitori o supporti utilizzati, agli eventuali ingredienti aggiunti, alla temperatura o umidità di conservazione… si riesce a far maturare quel prodotto nelle condizioni ottimali per il conseguimento del prodotto finale desiderato. Non so se sono stato chiaro, ma ai bambini che vengono in visita nelle nostre grotte di maturazione, spiego in modo più semplice che l’affinatore, non è il padre naturale dei propri formaggi ma un papà adottivo, colui che non li ha generati, ma si prende cura dei propri “bambini” e li accudisce e li cura fino a farli diventare maturi e quindi adulti.

Hai mai fatto una stima di quanti formaggi assaggi in un anno?

Per me non sono mai abbastanza! Impossibile fare questo calcolo, perché il formaggio per me non è solo un lavoro, ma anche un hobby, e non assaggio solo i miei, anzi, mi piace molto di più assaggiare quelli di altri produttori, assaggiarli in ogni contesto e in ogni situazione, non solo per lavoro ma anche per piacere. Mi piace andare a vedere i luoghi di produzione, per imparare e conoscere sempre nuove realtà. Mi piace assaggiarli in un ristorante ed assistere a come mi vengono presentati, ma anche nelle fiere o

manifestazioni dove ci sono i produttori che raccontano il loro lavoro. Prendendo spunto da una frase che diceva nota pubblicità di caffè: per il formaggio “ogni momento, è quello giusto”.

Si dice formaggio e si pensa alla Francia. Storia, cultura, tradizione. Manca qualcosa ai nostri formaggi rispetto ai cugini d’Oltralpe?

Ai nostri formaggi non manca nulla, anzi, non lo dico solo per orgoglio nazionale, ma lo dico in termini storici e di tradizione, in Italia sicuramente abbiamo una maggiore trasversalità ed eterogeneità nella produzione casearia tra i vari tipi di latte, le tecnologie e le maturazioni. Ma se devo invidiare qualcosa alla popolazione francese, è la maggior conoscenza dei formaggi, una maggior cultura sulle croste e una maggior propensione al consumo. Sicuramente, in Francia, il formaggio e tutto ciò che gravita attorno ad esso viene tenuto molto più in considerazione che in Italia. Ma voglio essere ottimista e credo che si possa per il futuro colmare questo gap, solo se si investe in cultura gastronomica a tutti i livelli, sarebbe bello che nelle scuole, venisse insegnata l’educazione alimentare, ovvero la cultura del cibo ivi compresi anche i formaggi. Nel mondo del vino sono stati fatti tantissimi passi avanti, grazie alle associazioni e organizzazioni che negli anni hanno promosso la conoscenza di questo nobile liquido, e mi permetto, in questo contesto, di fare una piccola promozione all’ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggi) di cui io faccio parte da tanti anni, perché ad oggi è l’unico modo per accrescere la cultura casearia e ampliare gli orizzonti della degustazione di formaggi sia in termini tecnici per operatori che più amatoriali per gli appassionati, ma di sicuro è un ottima opportunità di aprire una finestra sul mondo dei formaggi italiani che purtroppo ad oggi molti non conoscono.

Si è da poco chiusa “Cheese” la manifestazione che Slow Food dedica ai formaggi e in particolare a quelli a latte crudo. Hanno davvero un valore aggiunto?

Certo che sì, il valore aggiunto del latte crudo non è da mettere in discussione, dato che porta con se gran parte delle caratteristiche native del latte, ovvero di ciò che ha mangiato l’animale, come ha pascolato, il suo stato di benessere, eccetera… Ma, perdonami se torno nuovamente sul tema della cultura, se non si spiega al consumatore cosa è il latte crudo, la differenza tra il latte termizzato o quello pastorizzato, si rischia di fare un errore enorme perché si discriminano i prodotti a latte pastorizzato rispetto i formaggi a latte crudo, senza però far sapere al consumatore il perché. Non sai quante volte mi è capitato di fare questa domanda alle manifestazioni a consumatori comuni e se va bene, 2 su 3 non sanno minimamente cosa voglia dire latte crudo. Questo è il vero problema secondo me. Quindi, un formaggio prodotto con latte non sottoposto ad alcun trattamento, magari senza l’aggiunta di fermenti, ma usando solo quelli presenti nel latte stesso, siamo difronte ad una vera e propria opera d’arte, diversa ogni giorno, se… se l’animale è stato allevato e alimentato correttamente, se il latte viene munto rispettando tutta la corretta prassi igienica, se viene lavorato con maestria e curato nella maturazione con sapienza…

Ma se qualunque di questi passaggi, non viene eseguito perfettamente, ci possiamo trovare di fronte un prodotto con dei difetti che possono essere di diversa natura e con delle criticità più o meno gravi. Quindi, non faccio un discorso da esperto o da saccente, dico che deve sempre essere tutto contestualizzato, io lavoro sia con produttori che lavorano il latte crudo che con chi mi fa il prodotto a latte pastorizzato e personalmente un formaggio è eccellente quando è fatto bene, ossia quando tutti gli step evolutivi di produzione sono fatti in modo perfetto e rigoroso. Nella mia esperienza, ho avuto modo di assaggiare formaggi a latte crudo emozionanti e formaggi a latte pastorizzato banali, ma anche altri a latte pastorizzato eccellenti e formaggi a latte crudo sgradevoli con difetti evidenti. Non difendo nessuna teoria, sono tutte corrette, parlo per esperienza e soprattutto mi schiero solo dalla parte del formaggio, punto e basta. Voglio fare un esempio, ad avvalorare quanto finora ho detto: che è più bello un dipinto o una fotografia? Se sono fatti bene, sono belli entrambi. Ovviamente un bel dipinto è in grado di dare un’emozione maggiore perché è il frutto di un lavoro manuale di una persona e anche se la stessa persona ne vorrà fare due perfettamente uguali non è umanamente possibile farli… ma anche una bella fotografia può essere in grado di suscitare emozione perché, in questo caso il fotografo ha deciso il momento e la luce giusta per quello scatto e la tecnologia può aiutare a migliorarla o correggerla e a replicarla quante volte si desidera. Quindi si capisce che il dipinto sarà il formaggio a latte crudo, mentre la fotografia sarà quello a latte pastorizzato. Poi, dopo tutto questo c’è anche un altro punto di vista, non solo quello oggettivo e tecnico, ma quello puramente soggettivo, ovvero non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, quindi sui gusti personali non c’è discussione che tenga.

E quelli biologici?

Più o meno vale per il discorso già fatto in precedenza, anche se, sarebbe più importante parlare di “formaggi sostenibili”. Il settore della pastorizia e tutta la filiera del latte non sta passando un momento felice, come altri settori del resto, ma occorrerebbe che ci fossero degli aiuti concreti, non parlo solo in termini economici ma anche di consulenza… Ma un allevatore, un pastore, un casaro come fa ad essere informato su tutto? Come fa anche solo ad avere il tempo per dedicarsi anche a questo? Sarebbero posti di lavoro

anzi impieghi remunerati e utili sia per le imprese che per l’ambiente. È un argomento troppo grande da affrontare in poche parole, ma ci sarebbe tanto da fare per perseguire una produzione più etica, che porterebbe al pianeta e alle persone molti più vantaggi.

Il Maniaco, il Pervertito, El Cabron come scegli i nomi dei tuoi formaggi?

I nomi sono il frutto di una vera e propria ispirazione, a volte prima penso ad un nome e poi ci costruisco un formaggio o una linea di formaggi e a volte in base al formaggio mi viene in mente un nome, in funzione del contesto in cui è nato o di una peculiarità del formaggio stesso. Cerco di utilizzare leggerezza e simpatia, da toscano ci viene concessa questa “licenza poetica” di essere un po’ spiritosi o se si vuole maliziosi. Sono stato apostrofato anche come impertinente da chi non mi conosce per i nomi di alcuni formaggi al limite del volgare, ma perché non conosce la mia goliardia. Quando il discorso si fa serio, so essere serio, ma mi piace anche essere un po’ burlone e far divertire le persone oltre che a farle godere con il palato, ma poi a chi lo dico? Voi vi chiamate Gola Gioconda! Se un formaggio è buono, accattivante ed ha anche un nome che colpisce, facile da ricordare o che evoca un sorriso, sicuramente aiuta anche quello.

L’ultimo nato?

Non poteva che chiamarsi La Vispa Teresa, una formaggetta a latte crudo di capra a coagulazione presamica, realizzata con il mio contributo di consulenza tecnica, il risultato è un formaggio leggermente abbucciato, gradevole alla vista, fresco dalla pasta bianchissima e leggermente occhiata con un gusto dolce, ma leggermente acidulo, poco sapido ma molto aromatico. Un formaggio che anche se giovane ti conquista e dopo un primo assaggio non puoi che ripeterne un secondo e poi un terzo… il nome mi sembra azzeccato, o no?