Quaderni Anno X - N 2/2010

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QUADERNI RIVISTA QUADRIMESTRALE DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRINDISI

Anno X - N. 2 -2010

Autorizzazione Tribunale di Brindisi n. 10 del 16 maggio 2001

Testata associata all'A.STA.F. ISSN 1972-8956

Direttore Responsabile Augusto CONTE Comitato di redazione

Pasquale ANNICCHIARICO, Roberto CAVALERA, Giustina GIORDANO, Dario LOLLI, Antonio MAURINO, Emanuele MILONE, Carlo PANZUTI, Alessandra PORTALURI, Paolo VADACCA.

Direzione

ORDINE DEGLI AVVOCATI presso IL TRIBUNALE DI BRINDISI

Palazzo di Giustizia Via Lanzellotti, 3 - Tel. 0831/586993 72100 BRINDISI www.ordineavvocati.br.it presidente@ordineavvocati.br.it consiglio@ordineavvocati.br.it Redazione e pubblicità EDIZIONI GRIFO via Sant'Ignazio di Loyola, 37- Lecce tel. 0832/454358 edizionigrifo@gmail.com Stampa Locopress -Mesagne

Tutti gli iscritti all'Ordine possono collaborare alla rivista del Consiglio con articoli su problemi di interesse generale: la Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli che pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti.

Tiratura n. 1.500 copie

Sommario

• EDITORIALE di Augusto Conte

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• DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI OVVERO

SUL RICONOSCIMENTO DEL TITOLO DI AVVOCATO SPECIALISTA

• ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO - Corso di preparazione all'esame di abilitazione alla professione forense - Piano semestrale offerta formativa Anno 2010 (crediti formativi) • ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE - L'avvocatura e il congresso di Genova di Claudio Consales • OPINIONI E DOCUMENTI - La comunicazione nell'esercizio della professione forense di Augusto Conte - L'obbligatorietà dell'azione penale tra mito e realtà di Ettore Randazzo - La disciplina dello stalking alla prova dell'applicazione: "indizi" di incostituzionalità di Antonello Denuzzo - Studi di settore e principio del contraddittorio: l'orientamento della Suprema Corte a Sezioni Unite di Giorgio Mantovano - Efficacia degli strumenti giuridici nella repressione del tifo violento di Gianmichele Pavone e Roberto Maniglio

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IN COPERTINA: Raffaello Sanzio, La Giustizia, Stanza della Segnatura, Roma, Musei Vaticani, sec. XVI.


• NOTE DI STORIA FORENSE - Il sistema delle pene nei codici penali del Regno delle Due Sicilie e del Regno di Sardegna (Terza parte) di Augusto Conte

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• CONVEGNI E CONGRESSI - Valerio Spigarelli nuovo Presidente dell'Unione delle Camere Penali. Prestigioso riconoscimento al brindisino Fabio Di Bello, al suo fianco nel gorverno dei penalisti italiani di Mario Guagliani

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• SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE - Armando Spataro, Ne valeva la pena di Augusto Conte

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CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRINDISI Presidente

Avv. Augusto CONTE

Cons. Segr. Avv. Carlo PANZUTI Cons. Tesor. Avv. Antonio MAURINO Consiglieri Avv. Pasquale ANNICCHIARICO Avv. Giuseppe A. ATTOLINI Avv. Roberto CAVALERA Avv. Ilaria CRESCENZO Avv. Roberta DE CASTRO Avv. Mario DE GUIDO Avv. Giustina GIORDANO Avv. Dario LOLLI Avv. Emanuele MILONE Avv. Alessandra PORTALURI Avv. Francesco SILVESTRE Avv. Paolo VADACCA


EDITORIALE

EDITORIALE di

AUGUSTO CONTE La categoria forense è sottoposta da qualche anno a iniziative e provvedimenti, pretestuosamente “giustificati” dal rilevante numero degli iscritti agli Albi, dalla presunta conseguente incidenza sulla crescita del contenzioso, dall’esistenza di tariffe minime inderogabili, poi eliminate, dall’asserito ostacolo frapposto, anche dagli Ordini, alla concorrenza; le cosiddette norme di “liberalizzazione” formalmente sbandierate anche come opportunità per i giovani, rivelatesi fallaci, e sostanzialmente punitive per tutti, sono state precedute e accompagnate, da una “campagna” di denigrazione, con l’avallo di faziosi e partigiani “opinionisti” che si sono avvalsi dei mezzi di informazione e specie di quelli televisivi, con la prospettazione di casi limite e senza dare voce alla avvocatura. La reazione della avvocatura e delle istituzioni forensi, prima stupita e incredula, ha scelto la linea della razionalità e della compostezza, dell’informativa sull’effettivo ruolo dell’avvocatura, della diffusione del suo impegno formativo, tecnico ed etico, per fare fronte alla assistenza, principalmente nell’ambito della attività giurisdizionale di natura civile e penale, diventato impraticabile ad onta della introduzione di riforme che non hanno portato alcun rimedio al sistema. Le speranze di un rinnovamento della professione attraverso la riforma dell’ordinamento professionale alimentate dalle rappresentanze governative e parlamentari, che la davano come imminente, sono andate deluse incomprensibilmente, consideQuaderni

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EDITORIALE

rato che la riforma, condivisa da tutte le diverse “anime” della avvocatura, era stata approvata in Commissione Giustizia al Senato con l’adesione di maggioranza e opposizione: evidentemente, difettando qualsiasi altra spiegazione politica, i “poteri forti” economici, che hanno dimostrato contrarietà, hanno giocato un ruolo decisivo nel blocco dell’iter parlamentare. L’ultimo assalto alla avvocatura, che la snaturalizza dal suo ruolo fondamentale nella giurisdizione è costituto dalla privatizzazione della giustizia, con l’introduzione della mediazione obbligatoria in quasi tutti i campi del diritto civile, che richiede esplicitamente all’avvocato di ignorare e dimenticare le qualità e specificità tecnico-professionali acquisite faticosamente in anni di esperienza professionale, dovendosi limitare a considerare esclusivamente l’interesse economico più immediato e più utile, essendo superflua la tutela dei diritti e l’applicazione delle tecniche operative; illudendo ancora una volta gli avvocati, specie i più giovani, su nuove cospicue attività lavorative (che, invece, specie con l’introduzione della class action saranno prerogative di pochi) e con grande incertezza sulla efficacia della soluzione dei problemi che affliggono l’amministrazione giudiziaria, relegando la funzione giurisdizionale dei giudici, e l’apporto ineludibile della avvocatura a questioni residuali che hanno soltanto il compito di far sapere che, almeno formalmente, la giustizia civile è (era) un bene costituzionale di cui nessuno potrà godere (del quale vengono privati soprattutto i cittadini, fruitori del servizio). L’avvocatura che ha reagito e reagisce nelle sedi di rappresentanza istituzionale e politica oggi, più che mai in passato, deve dimostrare di sapere spiegare il suo ruolo sociale, esprimendosi, con forza, nelle sedi congressuali principalmente, ma costantemente e permanentemente in ogni occasione, a favore della collettività per preservarla dal pericolo, sempre più in-

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EDITORIALE

combente, di non avere piÚ una avvocatura libera e autonoma che sia garante dei suoi diritti e dia voce alla sua esigenza di sicurezza nella tutela dei propri interessi; sensibilizzando tutti gli iscritti; continuando pervicacemente al proprio aggiornamento, alla crescita delle capacità tecniche e, innanzi tutto, privilegiando l’etica, privata e professionale, soggettiva e di categoria, che ritengo, convintamente e caparbiamente, essere il cuore pulsante di una avvocatura credibile e nobile.

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Dossier sulle specializzazioni ovvero sul riconoscimento del titolo di avvocato specialista


DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

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DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

Introduzione Con la recente adozione del regolamento sul riconoscimento del titolo di avvocato specialista il Consiglio Nazionale Forense ha inteso affrontare un tema vivo e scottante, che di recente ha subito un accelerato esame in seguito alle iniziative intraprese da più associazioni professionali. Il nostro Presidente Guido Alpa ha diramato il testo del regolamento e della relazione illustrativa, chiarendo che è prevista una prima fase applicativa di carattere sperimentale, che durerà un anno a partire dal 30 giugno 2011. Al termine si potrà dare corso a modifiche e adattamenti, che scaturiscano dall’esperienza raggiunta e dalle osservazioni delle diverse componenti dell’Avvocatura. Il dossier predisposto vuole costituire un utile strumento per noi tutti, nel quale si descrive, riportando le fonti, il percorso di formazione del regolamento con gli apporti intervenuti. Il lavoro è suddiviso in tre parti: • la prima dà conto dell’istituzione dell’apposita commissione di studio costituita dal CNF, della prima bozza del regolamento e degli interventi degli ordini professionali e delle associazioni; • la seconda contiene la successiva bozza del regolamento predisposta per la discussione nella riunione generale tenutasi in Roma il 18 settembre 2010 presso il complesso di Borgo S. Spirito e gli interventi degli ordini professionali e delle associazioni; • la terza raccoglie il testo definitivo del regolamento approvato dal CNF nella seduta del 24.9.2010 e la relazione di accompagnamento, nonché tutti i successivi interventi degli ordini e delle associazioni.

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DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

Per una migliore fruizione visiva alle tre parti del dossier è stata assegnata una diversa colorazione. È aperto il dibattito con l’auspicio che siano numerosissimi gli interventi, al fine di consentire i giusti e opportuni approfondimenti per giungere alla scadenza dell’anno di sperimentazione con le eventuali proposte di modifica e adattamento ritenute utili.

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DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

INDICE

I PARTE • Circolare C.N.F. n. 15-C-2010 del 31.5.2010 con cui viene deliberato di istituire una Commissione per la predisposizione del regolamento sulle specializzazioni ..................................... p. • Bozza di regolamento approvato dal C.N.F. nella seduta del 25.6.2010 ........................................................ “ • Osservazioni del C.O.A. di Firenze dell’8.9.2010.................... “ • Osservazioni della sezione A.I.G.A. di Firenze del 9.7.2010 ... “ • Osservazioni della Associazione Nazionale Forense del 14.7.2010 ............................................................... “

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II PARTE • Circolare C.N.F. n. 27-C-2010 del 16.9.2010 con cui viene trasmessa la bozza del regolamento sulle specializzazioni approvato il 15.9.2010 .............................................................. “ • Bozza di regolamento emendata rispetto alla prima versione, per tenere conto delle osservazioni pervenute dai COA e dalle associazioni ................................................................... “ • Relazione di accompagnamento alla bozza di regolamento ..... “ • Osservazioni del C.O.A. di Gela .............................................. “ • Osservazioni del C.O.A. di Ravenna ........................................ “

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III PARTE • Circolare C.N.F. n. 29-C-2010 del 30.9.2010 con cui viene trasmesso il testo definitivo del regolamento sulle specializzazioni approvato il 24.9.2010 ................................... “ • REGOLAMENTO DEFINITIVO approvato dal C.N.F. nella seduta del 24.9.2010 ........................................................ “ • RELAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO al regolamento .......................................................................... “ • Comunicato stampa del C.N.F. del 18.9.2010 .......................... “ Quaderni

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Comunicato stampa del C.N.F. del 24.9.2010 .......................... “ Comunicato stampa del C.N.F. del 30.9.2010 .......................... “ Delibera del C.O.A. di Napoli del 28.9.2010 ........................... “ Delibera del C.O.A. di Palermo del 30.9.2010 ......................... “ Delibera del C.O.A. di Bari del 6.10.2010 ............................... “ Osservazioni dell’Unione degli Ordini Forensi del Lazio ........ “ Delibera del C.O.A. di Firenze del 13.10.2010 ........................ “ Comunicato stampa dell’A.I.G.A. del 25.9.2010 ..................... “ Comunicati stampa dell’Unione Camere Penali Italiane del 24, 27 e 28.9.2010............................................................... “ Osservazioni dell’Associazione Nazionale Forense del 27.9.2010 ............................................................................ “ Comunicato stampa dell’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi ................................................................. “ Comunicato stampa della Camera Civile Veneziana del 28.9.2010 ............................................................................ “ Osservazioni dell’A.I.A.F. del 1.10.2010 ................................. “ Osservazioni del Sindacato degli Avvocati di Bari del 10.10.2010 .......................................................................... “ Delibera dell’Unione Nazionale delle Camere Civili del 9.10.2010 ............................................................................ “ Comunicato stampa delle Associazioni Specialistiche dell’Avvocatura del 19.10.2010 ................................................ “

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DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

Prima Parte

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DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

Circolare C.N.F. n. 15-C-2010 del 31.5.2010 con cui viene deliberato di istituire una Commissione per la predisposizione del regolamento sulle specializzazioni Roma, 31 maggio 2010 III.mi Signori Avvocati PRESIDENTI DEI CONSIGLI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI PRESIDENTI DELLE UNIONI REGIONALI FORENSI PER IL TRAMITE DEI C.O.A. DISTRETTUALI PRESIDENTI DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE IN AMBITO CONGRESSUALE PRESIDENTE DELL’O.U.A. PRESIDENTE DELLA CASSA FORENSE e, per conoscenza: Ill.mi Signori Avvocati COMPONENTI IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE LORO SEDI

OGGETTO: Disciplina della professione di avvocato - specializzazioni Illustri Presidenti e Cari Amici, desidero informarVi che il Consiglio Nazionale Forense, nella seduta amministrativa di venerdì 28 maggio scorso, ha adottato la seguente delibera in materia di “specializzazioni”:

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IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, attese le iniziative correnti in materia di regolamentazione delle specializzazioni forensi, considerando - la competenza esclusiva del Consiglio Nazionale Forense nel rilascio di titoli di specializzazione; - la necessità di assicurare la qualità della prestazione specialistica a tutela del diritto di difesa dei cittadini costituzionalmente garantito, - nonché l’intrinseco fondamento deontologico della materia; segnalando che i lavori del già costituito gruppo di studio per la predisposizione di un testo in materia sono confluiti nell’ambito del complessivo disegno di riforma dell’ordinamento forense; ritenuto che le specializzazioni debbano essere regolate nell’ambito di un quadro unitario, delibera di istituire una Commissione per la predisposizione dei principi e delle linee guida del regolamento sulle specializzazioni, composta dal Vice Presidente Ubaldo Perfetti e dai Consiglieri nazionali Stefano Borsacchi, Antonio De Giorgi e Andrea Mascherin. Con i più cordiali saluti Avv. Prof. GUIDO ALPA

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DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

Bozza di regolamento approvato dal C.N.F. nella seduta del 25.6.2010 Roma, 25 giugno 2010

IIl.mi Signori Avvocati PRESIDENTI DEI CONSIGLI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI PRESIDENTI DELLE UNIONI REGIONALI FORENSI (per il tramite dei Consigli dell’Ordine distrettuali degli Avvocati) PRESIDENTE DELL’ O.U.A. PRESIDENTE DELLA CASSA FORENSE e, per conoscenza: COMPONENTI IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE LORO SEDI

Oggetto: REGOLAMENTO SULLE SPECIALIZZAZIONI FORENSI Cari Presidenti, Vi comunico che il Consiglio Nazionale Forense, attesa la riconducibilità alla natura deontologica della disciplina della specializzazione forense, ha approvato, nella seduta amministrativa del 25 giugno 2010, la bozza del “Regolamento sulle specializzazioni forensi” che Vi allego. Nella predisposizione della bozza, abbiamo – ovviamente – tenuto conto dei Regolamenti predisposti dalle diverse Associazioni specialistiche. In conformità a quanto a suo tempo concordato in sede di Commissione speciale per la redazione del testo di riforma dell’Ordinamento della professione, Vi sarei grato se ci facesTe pervenire le osservazioni in merito alla bozza, possibilmente entro il prossimo 15 luglio (da trasmettere al seguente indirizzo e-mail: ufflciostudi@consiglionazionaleforense.it). Raccolte le osservazioni, il Consiglio provvederà ad indire un incontro per il varo del testo definitivo. Avv. Prof. Guido Alpa

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REGOLAMENTO PER IL RICONOSCIMENTO DEL TITOLO DI AVVOCATO SPECIALISTA Art. 1 - Oggetto del regolamento 1-. Il presente regolamento disciplina le modalità per l’acquisizione del titolo di avvocato specialista ed il suo mantenimento. Art. 2 - Definizione di avvocato specialista 1-. È specialista l’avvocato che ha acquisito, in uno dei settori del diritto sotto indicati, una specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio Nazionale Forense e che deve essere mantenuta ed incrementata nel tempo secondo il principio della formazione continua, il tutto nei termini ed alle condizioni che seguono. Art. 3 - Elenco delle specializzazioni 1-. L’avvocato potrà conseguire il diploma di specialista in una delle seguenti aree del diritto: (a) diritto civile; (b) diritto commerciale; (c) diritto industriale; (d) diritto di famiglia, delle persone e dei minori; (e) diritto del lavoro; (f) diritto tributario; (g) diritto amministrativo; (h) diritto della navigazione; (i) diritto penale; (I) diritto internazionale; (m) diritto comunitario. Art. 4 - Aggiornamento dell’elenco delle specializzazioni 1-. Il Consiglio Nazionale Forense, sentite le associazioni specialistiche direttamente interessate che avranno trenta giorni di tempo dalla richiesta per esprimere il proprio parere, potrà aggiornare ogni due anni l’elenco delle specializzazioni di cui al precedente art. 3. Art. 5 - Requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista. 1-. Per conseguire il titolo di avvocato specialista in uno dei settori pre-

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DOSSIER SULLE SPECIALIZZAZIONI

visti dal presente Regolamento e successive sue modifiche ed integrazioni, costituiscono requisiti indispensabili: (a) aver maturato un’anzianità di iscrizione all’albo, ininterrotta, di almeno quattro anni all’atto della presentazione della domanda per sostenere l’esame di cui sub (f) che segue; (b) non aver riportato nei quattro anni precedenti la presentazione della domanda una sanzione disciplinare anche non definitiva superiore alla censura; (c) aver presentato apposita domanda da depositare, con la documentazione richiesta, presso la sede amministrativa del Consiglio Nazionale Forense in Roma; (d) aver frequentato, proficuamente e continuativamente, per almeno un biennio, una scuola, od un corso di alta formazione riconosciuti dal Consiglio Nazionale Forense e tenuti da enti, o soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7.6) che segue ed aver conseguito il relativo attestato in tempo non anteriore a due anni rispetto alla data di presentazione della domanda di cui sub (c) che precede; (e) non essere stato destinatario nei due anni antecedenti la domanda della sanzione di cui sub 6.4) che segue; (f) aver sostenuto con esito positivo l’esame presso il Consiglio Nazionale Forense. 2-. Il titolo di avvocato specialista è conferito con il rilascio di apposito diploma da parte del Consiglio Nazionale Forense ed è soggetto a revoca da parte di quest’ultimo per i motivi di cui all’art. 6. Il nome dell’avvocato specialista sarà inserito nell’apposito registro tenuto dal Consiglio Nazionale Forense, accessibile al pubblico anche tramite pubblicazione nel sito Internet di quest’ultimo. Art. 6 - Condizioni per il mantenimento del titolo di avvocato specialista 1-. Il titolo di avvocato specialista è soggetto a revoca quando l’interessato non abbia adempiuto agli obblighi di formazione continua, specificamente nel settore oggetto di specializzazione, secondo le modalità previste dal successivo art. 13). 2-. La revoca è pronunciata dal Consiglio Nazionale Forense su segnalazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati che ha la tenuta dell’albo presso cui è iscritto l’interessato, il quale, previa contestazione dell’addebito, aver sentito l’interessato ed averlo ammesso a prestare le proprie deduzioni, al termine di un procedimento da condurre secondo le prescrizioni della legge 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni, invierà Quaderni

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al Consiglio Nazionale Forense motivata richiesta di revoca completa degli atti del procedimento svoltosi innanzi a lui. 3-. La revoca produrrà effetti dal giorno successivo a quello della notifica del relativo provvedimento. 4-. La spendita senza titolo, o dopo che il titolo sia stato revocato, della qualifica di specialista, costituisce infrazione disciplinare. 5-. La revoca del titolo non preclude il suo riacquisto alle condizioni, nessuna esclusa, di cui all’art. 5) che precede. Art. 7 - Scuole e corsi di alta formazione 1-. La frequenza alle scuole, o ai corsi di alta formazione di cui all’art. 5.d) che precede, dovrà avere durata non inferiore al biennio solare, per un minimo di 200 (duecento) ore complessive di studio ed esercitazioni, anche pratiche. 2-. Il rilascio dell’attestato di cui all’art. 5.d) che precede presuppone la frequenza della scuola, o del corso, senza assenze, o con assenze complessivamente non superiori al dieci per cento del monte ore biennale complessivo. 3-. Ai fini del conseguimento del titolo di avvocato specialista sarà considerato valido solo l’attestato di frequenza rilasciato da uno dei soggetti abilitati all’organizzazione ed alla gestione di scuole, o di corsi di alta formazione riconosciuti dal Consiglio Nazionale Forense ed iscritti nell’apposito registro tenuto da quest’ultimo. 4-. Per quanto sopra, le scuole ed i corsi di alta formazione potranno essere organizzati e gestiti: (a) dal Consiglio Nazionale Forense, direttamente, o tramite la Scuola Superiore dell’Avvocatura; (b) dai singoli Consigli dell’Ordine degli avvocati, singoli, o associati, direttamente, o tramite le loro fondazioni; (c) dalle associazioni forensi costituite fra avvocati specialisti, riconosciute dal Consiglio Nazionale Forense si sensi dell’art. 11) che segue; (d) dagli altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente. 5-. I soggetti di cui alle lettere (b), (c) e (d) di cui al comma 4) che precede, dovranno inviare al Consiglio Nazionale Forense una apposita domanda di iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla istituzione e gestione delle scuole, o dei corsi di alta formazione, allegando copia dello

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statuto, o del regolamento interno di funzionamento, specificando la loro qualifica e caratteristiche, nonché producendo dichiarazione di impegno ad organizzare e gestire le scuole, o i corsi di alta formazione, con modalità tali da garantire l’attuazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista e specificando, altresì, che a loro carico non sono stati adottati provvedimenti, seppur non definitivi, o stabilizzati negli effetti, di revoca dell’iscrizione nel registro, o dell’autorizzazione di cui, rispettivamente, al comma 7), o all’art. 8) che segue. 6-. Il Consiglio Nazionale Forense al termine dell’istruttoria sulla domanda, nel corso della quale potrà chiedere chiarimenti, o integrazioni documentali, o informative, provvederà all’iscrizione del richiedente nel registro, o alla comunicazione del rifiuto. 7-. L’iscrizione nel registro potrà essere revocata quando il Consiglio Nazionale Forense, in attuazione delle sue funzioni di ispezione e controllo per il cui esercizio potrà in qualsiasi momento richiedere informazioni, documenti, chiarimenti e quant’altro: (a) accerti che sono venute meno le condizioni che hanno legittimato l’iscrizione; (b) verifichi che non sia stata richiesta ovvero, se richiesta, rilasciata l’autorizzazione di cui all’art. 8) che segue, per almeno due volte; (c) accerti che, sebbene autorizzata, la gestione e l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avviene nel rispetto del programma di cui all’art. 8.1.a) che segue, o avviene con modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista. 8-. La revoca, quando non ritenesse, per i casi meno gravi, di impartire segnalazioni, o direttive, è pronunciata dal Consiglio Nazionale Forense al termine di un procedimento amministrativo regolato dalle norme della legge 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni tali, comunque, da garantire l’osservanza del principio del contraddittorio ed il diritto di difesa. Art. 8 - Approvazione preventiva e sorveglianza sulle scuole ed i corsi di alta formazione 1-. I soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7.6) che precede potranno organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione con effetti utili al rilascio dell’attestato di cui all’art. 5.1.d) che precede solo se: (a) avranno presentato al Consiglio Nazionale Forense, annualmente e Quaderni

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prima dell’inizio di ogni singolo anno scolastico, o di corso, il programma dettagliato della scuola, o del corso, con specifica indicazione delle materie trattate, delle ore destinate a ciascuna di esse, degli argomenti specificamente affrontati per ogni materia e del nome dei docenti, con relativa qualifica; (b) avranno ottenuto da parte del Consiglio Nazionale Forense l’autorizzazione rilasciata sulla base delle indicazioni fornite come indicato sub (a) che precede. 2-. L’autorizzazione si intenderà in ogni caso concessa ove entro 120 giorni dal ricevimento della relativa documentazione non intervenga un espresso diniego; il termine resta interrotto nel caso di richiesta di informazioni, o documentazione integrativa e riprenderà a decorrere ex novo a partire dal momento in cui le une, o l’altra, siano state fornite. 3-. AI Consiglio Nazionale Forense è espressamente riconosciuto il potere di ispezione e controllo di cui all’art. 7.7) che precede, oltre che per l’esercizio del potere di revoca del provvedimento di iscrizione nel registro, anche dell’autorizzazione nei casi in cui la gestione e l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avvenga nel rispetto del programma, o avvenga con modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista. Art. 9 - Attribuzione del titolo di specialista 1-. Il titolo di avvocato specialista, seguito dall’indicazione del settore di riferimento, è attribuito esclusivamente dal Consiglio Nazionale Forense, previo superamento dell’apposito esame da tenersi a Roma, o nelle eventuali sedi decentrate che il Consiglio Nazionale Forense dovesse individuare. Art. 10 - Commissioni e disciplina dell’esame 1-. Le Commissioni d’esame per l’attribuzione del titolo di specialista, presiedute in ogni caso da uno dei membri nominati dal Consiglio Nazionale Forense, saranno composte da cinque commissari effettivi e cinque supplenti di cui: (a) quattro (due effettivi e due supplenti) nominati dal Consiglio Nazionale Forense, anche tra i propri componenti; all’atto della nomina il Consiglio Nazionale Forense designerà il commissario che assumerà le funzioni di presidente; (b) due (uno effettivo ed uno supplente) nominati dall’associazione spe-

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cialistica nella cui area giuridica dovrà svolgersi l’esame; (c) due (uno effettivo ed uno supplente) nominati dal Ministero della Giustizia; (d) due (uno effettivo ed uno supplente) nominati dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica. 2-. I commissari di cui sub (a) e (b) dovranno essere scelti tra avvocati iscritti nell’albo speciale per l’abilitazione all’esercizio innanzi alle Magistrature superiori; quelli di cui sub (c) tra magistrati, quelli di cui sub (d) tra i docenti, o i ricercatori universitari di ruolo. 3-. Ai fini dell’esame, ogni interessato presenta domanda di ammissione al Consiglio Nazionale Forense unitamente alla documentazione necessaria a comprovare il possesso del requisito di cui all’art. 5.a) e 5.d) che precede ed a quella necessaria a consentire alla Commissione d’esame la valutazione del possesso dell’esperienza pregressa superiore alla media di cui al comma 6) che segue, nonché l’avvenuto pagamento del contributo di cui al comma 9) che segue. 4-. La Commissione, entro il termine ritenuto del caso anche allo scopo di unificare in un’unica sessione più domande di esame, si riunisce su convocazione del suo presidente per la fissazione del calendario delle prove d’esame di cui è data comunicazione all’interessato al recapito da questi indicato nella domanda ed al Ministero della Giustizia. 5-. L’esame consiste: (a) nello svolgimento di una prova scritta su materia attinente all’area di specializzazione; (b) nello svolgimento di una prova orale; (c) nello svolgimento di altra prova orale avente ad oggetto la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa nella materia, superiore alla media. 6-. L’esame si intenderà superato con esito favorevole se il candidato avrà riportato una votazione di almeno 30/50 in ciascuna prova. Alle prove orali di cui sub (b) e (c) che precedono sarà ammesso il candidato che abbia riportato una votazione minima di 30/50 nella prova scritta. 7-. Ai fini della prova orale avente ad oggetto il possesso dell’esperienza pregressa superiore alla media, il candidato dovrà comprovare, salvaguardando il segreto professionale, il numero dei casi trattati nella materia, il modo in cui le pratiche sono state coltivate e il loro grado di complessità. A tal fine presenterà all’atto della domanda di ammissione all’esame ed unita a questa, una relazione scritta con l’indicazione anonima di un numero significativo di casi, delle autorità presso cui sono stati trattati, del Quaderni

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loro numero di ruolo generale, delle udienze, delle problematiche poste dalle singole fattispecie e di quant’altro ritenesse del caso, unitamente alla documentazione, anche in copia non autentica, atta a comprovare quanto oggetto della dichiarazione. 8-. Dell’avvenuto superamento dell’esame la Commissione rilascia certificazione all’interessato ai fini dell’iscrizione nel registro. 9-. Ai fini del sostenimento dei costi connessi allo svolgimento delle prove di esame il Consiglio Nazionale Forense determinerà l’ammontare del contributo, soggetto a revisione, da pagare da parte di ciascun interessato all’atto della presentazione della domanda di partecipazione all’esame. Art. 11 - Associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF 1-. Ai fini del presente regolamento il Consiglio Nazionale Forense tiene aggiornato e reso accessibile al pubblico, anche tramite pubblicazione nel suo sito Internet, l’elenco delle associazioni costituite fra avvocati specialisti riconosciute come esponenziali di detta categoria. 2-. Per l’iscrizione nell’elenco, le associazioni specialistiche dovranno fornire tutta la documentazione richiesta per dimostrare la loro rappresentatività, diffusione territoriale e l’eventuale accreditamento internazionale. 3-. Ai fini della diffusione territoriale l’associazione dovrà fornire la prova di essere presente, con autonome sezioni, in almeno la metà dei distretti delle Corti d’Appello presenti sul territorio nazionale. La rappresentatività sarà riconosciuta solo se all’associazione siano complessivamente iscritti almeno il 20% degli avvocati specialisti inseriti negli appositi elenchi tenuti dai Consigli degli Ordini in quello specifico settore. 4-. Lo statuto dell’associazione deve (a) prevedere espressamente come scopo la promozione del profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti; (b) escludere espressamente il rilascio da parte dell’associazione di attestati di competenza professionale; (c) prevedere una disciplina degli organi associativi su base democratica ed escludere espressamente ogni attività a fini di lucro; (d) l’associazione deve altresì dotarsi di strutture organizzative e tecnicoscientifiche idonee ad assicurare la determinazione e i livelli di qualificazione professionale e il relativo aggiornamento professionale; 5-. Il Consiglio Nazionale Forense, anche per il tramite dei Consigli degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sul mantenimento dei re-

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quisiti e delle condizioni per il riconoscimento delle associazioni di cui al presente articolo, nonché il controllo sul rispetto delle prescrizioni. Le associazioni specialistiche dovranno attestare e, ove richiesto, comprovare, almeno ogni triennio, la permanenza dei requisiti di cui sopra. 6-. In sede di prima applicazione, sono inserite di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche le associazioni forensi specialistiche riconosciute come maggiormente rappresentative dal Congresso Nazionale Forense e cioè: (a) l’Associazione Giuslavoristi italiani (AGI); (b) l’Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia (AIAF); (c) l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI); (d) l’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT); (e) l’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC); (f) la Società italiana avvocati amministrativisti (SIAA). 7-. In nessun caso le associazioni specialistiche potranno rilasciare attestati di specializzazione, o di specifica competenza professionale. Art. 12 - Professori universitari 1-. Gli avvocati professori universitari di ruolo in materie giuridiche afferenti i settori disciplinari di cui sub 3) che precede, di prima fascia, acquisiscono il titolo di specialista nella rispettiva materia di titolarità e sono esentati dall’obbligo di formazione continua di cui all’art. 13) che segue. Essi sono iscritti a domanda e senza altra documentazione diversa dalla dimostrazione della loro qualifica. 2-. Gli avvocati professori universitari di ruolo in materie giuridiche afferenti i settori disciplinari di cui sub 3) che precede, di prima fascia, che intendono acquisire il titolo di specialista in una seconda materia diversa da quella di titolarità, potranno conseguire il titolo solo nel rispetto di quanto previsto dal presente regolamento, salva l’applicazione, ricorrendone i presupposti, del regime transitorio di cui all’art. 14) che segue. 3-. Resta salva la facoltà, per coloro che abbiano conseguito titoli specialistici universitari, di indicare il relativo titolo accademico, con specifica indicazione dell’Università che lo ha rilasciato e dell’esatta denominazione del titolo conseguito. Art. 13 - Aggiornamento professionale specialistico 1-. Gli avvocati che abbiano conseguito il titolo di specialista sono tenuti, ai fini del suo mantenimento, a curare il proprio aggiornamento professionale secondo le modalità stabilite nel presente regolamento. Quaderni

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2-. Il periodo di valutazione dell’aggiornamento professionale è il triennio. 3-. L’unità di misura dell’aggiornamento professionale è il credito formativo. 4-. Ogni avvocato specialista deve conseguire nel triennio almeno n. 60 crediti formativi, di cui almeno 15 in ogni singolo anno. 5-. I crediti formativi conseguiti per l’aggiornamento professionale specialistico, sono valutabili come crediti formativi per la formazione continua di cui al regolamento approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 13 luglio 2007 e successive modificazioni. 6-. La verifica dell’aggiornamento professionale è rimessa al Consiglio dell’ordine nel cui albo l’avvocato è iscritto. 7-. I corsi di formazione continua nelle materie specialistiche potranno essere organizzati esclusivamente dai soggetti abilitati ad organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione ed iscritti nel relativo registro tenuto dal Consiglio Nazionale Forense. Art. 14 - Disciplina transitoria 1-. Gli avvocati che all’atto dell’entrata in vigore del presente regolamento hanno un’anzianità di iscrizione all’albo, continuativa, di almeno 10 anni, sono dispensati dalla frequenza dei corsi e delle scuole di alta formazione di cui all’art. 7) che precede, ma dovranno sostenere la prova di cui all’art. 10) che precede. 2-. Gli avvocati che all’atto dell’entrata in vigore del presente regolamento hanno un’anzianità di iscrizione all’albo, continuativa, di almeno 20 anni sono autorizzati a qualificarsi con il titolo di specialista in non più di due discipline giuridiche da essi indicate, nell’ambito dell’elenco di cui all’art. 3) che precede, previa attestazione di aver acquisito specifica conoscenza teorica e significativa esperienza. 3-. La richiesta di riconoscimento del titolo di specialista nel caso previsto dal comma 2 che precede, dovrà essere inoltrata, con la relativa documentazione per il tramite del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, al Consiglio Nazionale Forense il quale, previa verifica della sussistenza delle condizioni previste dal presente regolamento, provvederà all’iscrizione del richiedente nel registro di cui all’art. 5.2) che precede.

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Osservazioni del C.O.A. di Firenze dell’8.9.2010 ALLEGATO ALLA DELIBERA N. 2 DELL’08.09.2010 OSSERVAZIONI SULLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO SULLE SPECIALIZZAZIONI FORENSI DEL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE DEL 25 GIUGNO 2010 (1) È indubbio che la qualità delle prestazioni professionali è interesse non solo pubblico ma anche dell’Avvocatura che attraverso l’alta qualificazione degli iscritti agli albi può recuperare, ed anzi aumentare, ruolo e considerazione sociale e competitività effettiva nel “mercato” dei servizi professionali. In questa essenziale prospettiva deve collocarsi ogni intervento (normativo, regolamentare ed organizzativo) che abbia ad oggetto la formazione culturale e tecnica degli iscritti agli albi e l’evidenziazione all’esterno delle loro competenze professionali. (2) La costruzione di un “sistema” formativo forense deve essere strutturato sulla valorizzazione delle competenze specifiche e settoriali quali segmenti qualitativi ulteriori rispetto alla formazione generale “di base”. In questa prospettiva si impone in primo luogo l’esigenza di riformare il regolamento sulla formazione continua che va ridefinito con riguardo prevalente, se non esclusivo, ai settori di attività nei quali sia richiesta particolare competenza o perché espressamente richiesta e/o presunta dalla legge (ad esempio: patrocinio a spese dello Stato, difese d’ufficio nel processo penale ordinario e minorile) o perché “pubblicizzata” dall’avvocato con gli strumenti di informazione consentiti dagli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico forense. La “specializzazione”, intesa quale segmento alto del sapere e del saper/fare degli avvocati deve essere favorita e sostenuta in strettissimo rapporto con le molteplici e sempre più settoriali “specialità” delle fonti normative, dei rapporti economici e sociali, delle sedi di definizione dei conflitti individuali e collettivi.

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(3) Il titolo di avvocato specialista è destinato ad operare in maniera significativa e determinante (e non solo all’interno delle attività riservate ex lege al Foro) sul mercato dell’offerta delle prestazioni professionali (che è già caratterizzato, e lo sarà ancora di più, da forme di promozione sempre più competitive di quelle finora conosciute) e finirà per svolgere la funzione di vero e proprio criterio di selezione da parte della committenza e della clientela. Il conseguimento, il mantenimento e l’utilizzo del titolo di avvocato specialista è pertanto destinato ad incidere in maniera determinante, e comunque assai invasiva, sulle condizioni quotidiane di esercizio dell’attività professionale, con rilievo esterno e non solo di natura etico/deontologica. (4) La considerazione che precede porta a ritenere che non può essere affidata alla potestà regolamentare deontologica del Consiglio Nazionale Forense la disciplina compiuta e minuziosa delle specializzazioni forensi e delle condizioni e modalità con cui ogni avvocato potrà, appunto, conseguire, mantenere ed utilizzare il titolo di specialista. Né a conclusione contraria può pervenirsi sulla base dell’assunto giurisprudenziale secondo cui il disposto dell’art. 2, comma 3 della legge “Bersani” imporrebbe agli Ordini professionali di adottare misure riguardanti l’aggiornamento professionale degli iscritti (così il TAR del Lazio nelle sentenze con le quali ha ritenuto sussistente la potestà regolamentare del CNF sul tema della formazione permanente): la norma richiamata, infatti, pone agli Ordini soltanto il dovere di adeguare i propri codici di autodisciplina e le norme deontologiche per superare “il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali”. Pertanto mentre è legittimo che il CNF regolamenti le modalità con cui il titolo di specialista potrà essere “pubblicizzato” altrettanto non può dirsi per una disciplina che fissi le condizioni e le procedure per il conseguimento, il mantenimento e l’utilizzo del titolo stesso. (5) È peraltro interesse dell’Avvocatura che il sistema delle specializzazioni forensi trovi legittimazione sostanziale e formale, e conseguente protezione, in sede legislativa (seppure con un intervento “di cornice” da integrarsi con l’esercizio di una potestà regolamentare definita nei principi, nelle competenze, nelle forme e nelle modalità di esercizio). Del resto lo stesso disegno di legge di riforma dell’ordinamento forense

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per come elaborato dalla commissione istituita dal C.N.F. contiene, all’art. 8, una disciplina che è stata condivisa da tutte le componenti dell’Avvocatura e che non è stata, se non marginalmente, modificata dagli emendamenti approvati in Senato all’esito della seduta del 12 maggio 2010. L’iniziativa di alcune associazioni forensi di istituire proprie scuole di specializzazione finalizzate alla formazione di propri elenchi di avvocati specialisti motivata come forma di protesta contro il presunto stravolgimento del testo dell’art. 8 nella sede parlamentare, può essere compresa solo per la finalità di richiamare la responsabilità del Parlamento per la rapida approvazione di un intervento legislativo sulla materia ma non può essere legittimata da parte del C.N.F. con la autoregolamentazione oggi proposta. È invece opportuno che il dibattito che il C.N.F. ha promosso a riguardo nell’intera Avvocatura, e le proposte che ne conseguiranno, siano finalizzate alla richiesta di approvazione di uno specifico provvedimento legislativo, anche in via di decretazione d’urgenza, che riprenda (magari migliorandolo con il recupero dell’iniziale formulazione) il testo dell’art. 8 del disegno di legge attualmente in discussione al Senato. (6) Quanto al merito delle singole disposizioni della proposta di regolamento sono pervenuti contributi e rilievi critici da parte dell’AIGA - Sezione di Firenze (all. 1) e del Sindacato Avvocati di Firenze e Toscana - ANF (all. 2) che il Consiglio ha tenuto in considerazione nella formulazione del presente parere. Ad integrazione di quelle considerazioni e/o in aggiunta si rileva: • definizione di avvocato specialista (art. 2) (i) è necessario operare la definizione di specializzazione nel senso già sopra indicato di competenza specifica in un determinato ambito di attività professionale acquisita con l’esercizio continuativo e pluriennale oltre che con l’aggiornamento permanente delle conoscenze giuridiche, tecniche e processuali tipiche della materia settoriale. • elenco delle specializzazioni (art. 3) (i) le macroaree “diritto civile”, “diritto penale” e “diritto amministrativo” sono troppo vaste e contraddicono l’idea stessa di “specialità” delle competenze: mentre per il diritto civile vengono giustamente considerati come settori specifici il diritto commerciale, il diritto industriale, quello della famiglia, delle persone e dei minori e quello del lavoro (anche in ragione degli specifici regimi processuali) analoga ripartizione non viene Quaderni

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effettuata con riguardo al diritto penale ed al diritto amministrativo nei quali ferma la necessaria competenza “unitaria” di tipo processuale, devono considerarsi le specificità ed articolazioni di diritto sostanziale (si pensi al diritto penale “economico” in ambito finanziario, tributario, societario e fallimentare, al diritto penale ed amministrativo in materia urbanistica ed ambientale, al diritto amministrativo in materia di pubblico impiego); (ii) anche le aree del diritto internazionale e del diritto comunitario sono eccessivamente vaste oltre che assolutamente generiche se si considera, quanto meno per il diritto comunitario, l’influenza diretta sulle normative nazionali; il diritto nazionale e comunitario deve invece essere bagaglio di conoscenza tecnica degli avvocati con riguardo ai singoli settori di diritto sostanziale; le uniche specialità apprezzabili come tali potranno (e dovranno) essere quelle relative alla difesa innanzi agli organi giudiziari sovranazionali; (iii) non sono stati considerati alcuni settori significativi del diritto (uno fra tutti, quello del diritto dell’immigrazione e degli stranieri) mentre altri andrebbero enucleati in autonomia rispetto ad ambiti non omogenei (il diritto delle successioni e delle persone non è certo riferibile automaticamente all’area del diritto di famiglia e dei minori); • requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista (art. 5) (i) la previsione del comma 1, lettera b, è in palese contrasto con la regola del nostro ordinamento disciplinare che non prevede afflittività alcuna per le sanzioni non definitive oltre che in contrasto con il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza; • condizioni per il mantenimento del titolo di avvocato specialista (art. 6) (i) la formazione continua dell’avvocato specialista deve essere individuata in maniera specifica e non con mero richiamo (operato dal comma l) all’assolvimento dell’obbligo di formazione continua che allo stato è di contenuto generico e che, ove anche modificata nel senso sopra proposto con riguardo alla formazione “di competenza”, non sarebbe comunque in grado di assicurare il mantenimento e l’aggiornamento delle conoscenze particolari e specifiche che costituiscono la connotazione sostanziale di una vera specializzazione; (ii) la previsione del comma 3 non considera l’ipotesi dell’impugnazione del provvedimento ed i relativi effetti necessariamente sospensivi della sua efficacia; in ogni caso più che di revoca appare preferibile ragionare di sospensione della facoltà di utilizzo del titolo;

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(iii) la previsione del comma 5, così come formulata, imporrebbe, per la riacquisizione del titolo di specialista, di dover sostenere nuovamente l’esame il che è francamente eccessivo; può invece ipotizzarsi una verifica del mantenimento delle conoscenze ovvero la sospensione della facoltà di utilizzo del titolo fin tanto che non sia stato assolto l’obbligo di formazione continua; • scuole e corsi di alta formazione (art. 7) (i) non sono indicati, neppure per grandi linee, i contenuti e le metodologie didattiche dei corsi specialistici, non essendo affatto sufficiente, per l’eccessiva genericità, il richiamo (nel comma 5) agli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista (riferito peraltro solo come mero impegno esclusivamente ai soggetti diversi dal CNF, dagli Ordini e dalle associazioni specialistiche che parrebbero essere invece, immotivatamente, esentati dall’obbligo); (ii) concorrendo il CNF all’attività formativa i suoi poteri di controllo e sanzione nei confronti degli altri soggetti deputati alla gestione delle scuole e dei corsi si pone in aperto contrasto con l’inviolabile principio di concorrenza e di libertà e pluralità dell’offerta formativa con le inevitabili conseguenze anche sul piano dei possibili interventi dell’AGCM; • commissioni e disciplina dell’esame (art. l0) (i) non è accettabile che parte dei commissari siano nominati dalle associazioni specialistiche titolari della gestione dei corsi frequentati dai candidati soggetti alla verifica d’esame (comma l, lettera b); (ii) non si vede come un regolamento del CNF possa imporre al Ministro della Giustizia ed al MIUR l’obbligo di designazione di componenti delle commissioni d’esame previsto dal comma 1, lettere c) e d); (iii) il requisito della sola anzianità dei commissari avvocati (comma 2) non è idoneo ad assicurare competenza e conoscenza tale per la valutazione dell’aspirante specialista; (iiii) la previsione della seconda prova orale prevista dal comma 5, lettera c, è francamente inspiegabile: la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa nella materia, superiore alla media è uno dei presupposti per conseguire il titolo di specialista e può (anzi: deve) essere oggetto dell’accertamento con le prove d’esame previste dalle lettere a) e b); (iiiii) il riferimento ai costi connessi allo svolgimento delle prove d’esame (comma 9) è estremamente generico; deve peraltro essere espressamenQuaderni

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te limitato al solo gettone di presenza simbolico l’eventuale compenso dei commissari d’esame; • associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF (i) si richiamano integralmente le considerazioni svolte a riguardo nei richiamati contributi rimessi dall’AlGA e dal Sindacato degli Avvocati ANF, rilevando inoltre che: - non può essere affidato al CNF, soggetto concorrente alla gestione delle scuole e dei corsi, il potere di valutazione e di verifica delle associazioni; - i requisiti richiesti dai commi 2 e 3 (rappresentatività e diffusione territoriale) sono tipici della rappresentanza sindacale e politica ma del tutto inopportuni con riguardo alle “qualità” necessarie in tema di specializzazioni; - è più opportuno, invece, prevedere che gli avvocati iscritti agli albi, al fine di evidenziare le specializzazioni, possono costituire associazioni nel rispetto dei seguenti requisiti: a) l’associazione deve essere costituita fra coloro che hanno conseguito il medesimo titolo di specializzazione e deve avere adeguata diffusione e rappresentanza territoriale; b) lo statuto dell’associazione deve prevedere espressamente come scopo la promozione del profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti; c) lo statuto deve escludere espressamente il rilascio da parte dell’associazione di attestati di competenza professionale; lo statuto deve prevedere una disciplina degli organi associativi su base democratica ed escludere, espressamente, ogni attività a fini di lucro; d) l’associazione deve dotarsi di strutture, organizzative e tecnico-scientifiche, idonee ad assicurare la determinazione dei livelli di qualificazione professionale ed il relativo aggiornamento professionale; (ii) il riconoscimento in sede di prima applicazione delle associazioni elencate nel comma 6) non è accettabile: le deliberazioni a riguardo del Congresso Nazionale Forense sono state assunte sulla base di ben altri presupposti (rappresentatività politica e sindacale); • professori universitari (art. 12) (i) il sapere universitario nulla ha a che vedere con il sapere e (soprattutto) il saper-fare che costituiscono il presupposto essenziale delle capacità professionali specialistiche; i commi 1 e 2 non sono pertanto accettabili

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essendo fondate sulla indimostrata presunzione delle idoneità specialistica del docente universitario; • aggiornamento professionale specialistico (art. 13) (i) si richiamano le considerazioni svolte supra sub 2: è corretto costruire un autonomo sistema di formazione continua dell’avvocato specialista ma vanno definiti con molta precisione i relativi contenuti e i metodi didattici; • disciplina transitoria (art. 14) (i) se il sistema delle specializzazioni deve tutelare l’interesse pubblico e del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista non è accettabile alcuna esenzione e/o agevolazione in regime transitorio fondato, peraltro su un dato, quello della mera anzianità di iscrizione all’albo, per nulla indicativo di competenze e conoscenze specifiche e settoriali: si finirebbe, visti i numeri degli iscritti in albo, per legittimare come specialisti quasi il 50% degli avvocati contraddicendo alla radice le motivazioni stesse dell’intervento; (ii) parimenti inaccettabile ed ancora più incomprensibile è la possibilità per gli iscritti da oltre venti anni di legittimarsi come specialisti addirittura in due discipline.

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Osservazioni della sezione A.I.G.A. di Firenze del 9.7.2010 Firenze, 9 luglio 2010 Spettabile CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FIRENZE Via email: segreteria@ordincavvocatifirenze.it e, p.c. Egregio Signore PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELL’ORDINE AVV. SERGIO PAPARO Via email: presidenza@ordineavvocatifirenze.it

OGGETTO: Regolamento CNF sulle Specializzazioni Forensi - Osservazioni della Sezione di Firenze dell’AlGA Spettabile Consiglio dell’Ordine, ringraziando per l’invito ricevuto ad esprimere le nostre valutazioni in merito al Regolamento sulle Specializzazioni Forensi varato dal C.N.F., a nome della Sezione di Firenze formo la presente per comunicare quanto segue. La sezione AlGA di Firenze manifesta le proprie perplessità in merito ad un Regolamento che da un lato appare troppo severo e penalizzante nei confronti della componente più giovane dell’Avvocatura e dall’altro tende a non riconoscere il ruolo delle Associazioni Forensi generaliste, indipendentemente dalla esperienza da queste effettivamente maturata in ambito formativo. Cerchiamo di evidenziare le questioni che a nostro parere appaiono maggiormente problematiche seguendo l’ordine dell’articolato del Regolamento medesimo. Art. 3 - Elenco delle specializzazioni: l’elenco proposto appare contraddittorio e penalizzante per alcune categorie.

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Da un lato si prevedono ambiti di specializzazione estremamente ampi (civile, penale, amministrativo), dall’altro – ma tendenzialmente solo per il diritto civile – si vanno ad individuare settori di materie più ristretti (commerciale, industriale, famiglia, lavoro, navigazione, etc.) che rientrano comunque nel concetto di diritto civile. Non si comprende quindi se un avvocato specialista in diritto civile sia da considerarsi tale anche in settori che di tale categoria fanno parte ma sono individuati come ambiti autonomi oppure se la sua specializzazione sia solo di tipo “residuale”. Al contempo tale distinzione non si trova per il diritto penale e per il diritto amministrativo dove si prevede una specializzazione generale non considerando che anche in detti settori esistono materie fortemente diverse tra loro (si pensi ai reati finanziari rispetto a quelli contro la persona, oppure alla materia urbanistica rispetto al diritto dell’immigrazione). Art. 10 - Commissioni e disciplina dell’esame comma 2: non si comprende perché Commissari d’esame potranno essere solo avvocati abilitati all’esercizio innanzi alle Magistrature Superiori dato che questa abilitazione si ottiene – almeno in base alla normazione vigente – solo grazie all’anzianità maturata senza che attesti alcunché circa le effettive conoscenze specialistiche del soggetto. comma 5: la disciplina dell’esame appare fortemente penalizzante per i giovani e palesemente contraddittoria. Da un lato infatti si prevede che maturati i quattro anni di anzianità d’iscrizione si possa sostenere l’esame e che quindi con due anni di anzianità sia possibile iscriversi ai corsi, dall’altro si subordina il superamento dell’esame alla dimostrazione di aver maturato una non meglio precisata esperienza “superiore alla media” nella materia in cui si vuole specializzarsi. Tale doppia previsione di fatto impedisce alla maggior parte dei giovani colleghi – pur debitamente formati – di potersi specializzare. comma 7: il meccanismo di valutazione delle pratiche effettivamente seguite appare estremamente contorto: in particolare appare a dir poco singolare che si possano eseguire valutazioni di merito circa la conduzione di una causa e le strategie difensive operate da un altro collega. Art. 11 - Associazione tra avvocati specialisti riconosciute dal CNF Come sopra accennato la previsione regolamentare circa le Associazioni riconosciute è fortemente penalizzante per quelle Associazioni Forensi generaliste (quali AIGA o ANF) che – pur avendo maturato negli anni noQuaderni

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tevole esperienza formativa – non rivestono carattere di specialità. Da osservare che anche alcune delle Associazioni inserite non svolgono solo ed esclusivamente attività di tipo scientifico ma anche – al pari di quelle generaliste – attività di tipo sindacale. Riteniamo pertanto che il riconoscimento del CNF debba tener conto della comprovata esperienza formativa delle Associazioni riconosciute e del loro effettivo radicamento – anche e soprattutto operativo – sul territorio. Art. 14 - Disciplina transitoria Anche la disciplina transitoria appare fortemente lesiva dei diritti della giovane Avvocatura. Se è plausibile esentare i colleghi con una certa anzianità dalla frequentazione dei corsi e delle scuole dando valore all’esperienza maturata “sul campo” confermata dal superamento dell’esame, non si capisce perché gli avvocati con oltre 20 anni di anzianità siano ritenuti – di fatto – specializzati in due settori a loro scelta senza nessun vaglio c/o controllo. Grazie a tale non condivisibile impostazione, ancora una volta, solo i più giovani saranno tenuti a dover erodere i loro già risicati introiti per sostenere corsi che – peraltro – potrebbero anche rivelarsi perfettamente inutili, stante la minore esperienza pratica da questi maturata. Più logico sarebbe prevedere una disciplina transitoria che preveda la qualifica di specialista per i colleghi con più di 10 anni di anzianità con esenzione dai corsi ma con obbligo di esame e con una previsione di maggior aggiornamento professionale continuo (ex art. 13) che vada a compensare l’assenza di un corso iniziale. Certi dell’attenzione che vorrete prestare alle nostre posizioni, porgiamo i nostri più sentiti ringraziamenti e restiamo a completa disposizione per ogni ulteriore chiarimento e/o approfondimento. Cordiali saluti. p. AlGA Firenze II Presidente Avv. Gabriele Bonafede

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Osservazioni della Associazione Nazionale Forense del 14.7.2010 1.Premessa Prima ancora di costituire un fattore di promozione dell’attività dell’avvocato, la regolamentazione della specializzazione forense risponde alla finalità di tutelare il cittadino utente, consentendogli di rivolgersi ad un professionista dotato di competenza ed esperienza in particolari aree del diritto. Il progetto di riforma dell’ordinamento forense in discussione al Senato contiene una compiuta regolamentazione della specializzazione, con un impianto che, nonostante gli emendamenti apportati prima dal Comitato Ristretto e poi dall’Aula, è rimasto sostanzialmente inalterato. Esistono nella più complessa e ampia regolamentazione dell’ordinamento forense priorità certamente più urgenti di quella attinente alle specializzazioni, che, del resto, appare certamente poco opportuno regolamentare in maniera avulsa dal contesto generale. Anche a voler prescindere, ma solo per il momento, dalla possibilità di evitare la riserva di legge e di normare la materia delle specializzazioni con regolamento – circostanza sulla quale si nutrono dubbi notevoli, anche alla luce della giurisprudenza più recente – deve ritenersi quanto meno inopportuna l’anticipazione di una riforma ormai in avanzato stato di approvazione. Deve ritenersi, comunque, oltremodo singolare che la regolamentazione proposta sia sostanzialmente difforme da quella dell’originario disegno di legge licenziato dal c.d. tavolo tecnico istituito presso il Consiglio Nazionale Forense e che ha lavorato per molti mesi. In via generale si ritiene, pertanto, preferibile che la specializzazione venga – eventualmente – regolamentata in seno alla legge di riforma dell’ordinamento forense. Tanto più che l’art. 8 del disegno di legge, che regola proprio le specializzazioni, è già stato approvato e che, proprio per la difformità di tale testo con quello dell’odierno regolamento, si rischia di mettere in piedi un sistema destinato ad essere travolto in un breve volgere di tempo.

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2. Elenco specializzazioni Nell’attuale sistema delineato dall’art. 17 bis del codice deontologico forense i concetti di specializzazione e settore di attività prevalente sono nettamente distinti. Oggi, infatti, non è consentito all’avvocato definirsi specialista in virtù della costante pratica in un certo settore del diritto, anche se pluriennale costante e ininterrotta. Tuttavia, se l’avvocato esercita prevalentemente in un determinato settore del diritto, può informarne il pubblico e la clientela utilizzando allocuzioni che escludano il termine “specializzazione” , definendo queste aree di attività come prevalenti, maggioritarie o simili espressioni. Salva la possibilità di definirsi “civilista”, “penalista”, “amministrativista” etc. Detta distinzione, a nostro avviso opportuna, di fatto scompare nel regolamento che non solo all’art. 2 definisce come avvocato specialista quello “che ha acquisito, in uno dei settori del diritto sotto indicati, una specifica e significativa competenza teorica e pratica”, ma all’art. 3 sotto la rubrica “elenco delle specializzazioni” prevede non solo aree specialistiche, ma anche veri e propri macro-settori del diritto, quali “diritto civile”, “diritto penale” e “diritto amministrativo”. Secondo i dati forniti dal Censis (Contrastare la crescita, promuovere la mobilità. Indagine sugli avvocati italiani, 2007) fra gli avvocati l’area disciplinare del diritto civile risulta prevalente per oltre l’86% degli intervistati, rispetto al 9,1% di diritto penale ed al 4,7% diritto amministrativo; fra i civilisti la maggior parte non ha un’area di specializzazione (32,4%). Ritenere che l’avvocato che si occupa di “diritto civile”, senza ulteriore specificazione, sia un avvocato specialista è francamente singolare. Se le percentuali sono quelle sopra indicate, è come dire che siamo tutti avvocati specializzati, o aspiranti tali. Senza contare che appare francamente iniquo ipotizzare che per divenire specializzato in tutte le branche del diritto civile sia sufficiente un numero di ore di formazione uguale a quello di ogni singola branca del diritto civile. E senza considerare l’ingestibilità delle scuole e delle commissioni di esame qualora ogni avvocato civilista (che non abbia più di venti anni di iscrizione all’albo) decida di definirsi specialista. La logica conseguenza del ragionamento suddetto è che l’elenco delle specializzazioni dovrà prevedere solo reali materie specialistiche e non interi settori del diritto.

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L’elenco, inoltre, dovrà essere il più ampio possibile, affinché vengano fugate le perplessità dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato in ordine ai vantaggi per alcune specialità a scapito dell’esclusione di altre. 3. Scuole e corsi Si ritiene debba essere salvaguardata la pluralità dell’offerta formativa specialistica. A tal proposito se è vero che l’art. 4 del regolamento include, fra i soggetti che possono organizzare e gestire scuole e corsi di alta formazione, anche “altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente; in realtà nel comma seguente ben poco si dice sulle caratteristiche di tali soggetti, lasciando invece, in capo al CNF, una assoluta discrezionalità in ordine alla iscrizione nel registro dei soggetti abilitati. Il che contraddice la pluralità dell’offerta e di fatto nega la possibilità che soggetti estranei alle istituzioni forensi e a poche associazioni specialistiche di avvocati possano organizzare e gestire le scuole. 4. Commissioni d’esame I criteri di scelta dei commissari d’esame appaiono incongrui. In particolare si rileva: - non è prevista alcuna specifica e comprovata competenza specialistica dei commissari; - due fra loro andrebbero nominati dalla “associazione specialistica nello cui area giuridica dovrà svolgersi l’esame”, ma non è detto che esista una associazione accreditata per ogni branca specialistica del diritto; - appare dubbio che il Ministero della Giustizia e quello della Università possano avere l’obbligo di nominare commissari d’esame in virtù di un regolamento del CNF. 5. Prova orale sulla esperienza pregressa Pur essendo opportuna la tutela e la valorizzazione della costante e pluriennale pratica in un determinata area specialistica del diritto, e pur Quaderni

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non ignorando che si tratta di un criterio previsto in altri Paesi europei, ad esempio la Svizzera, si ritiene che il concetto di “esperienza pregressa nella materia superiore alla media” introduca un criterio eccessivamente ambiguo. Non solo infatti non è chiaro se tale superiorità vada verificata rispetto alla media conoscenza degli avvocati, alla media del contenzioso di quello specifico avvocato, alla media del contenzioso degli avvocati specialisti di quella determinata branca etc. Ma, probabilmente, il valore di questa media si modifica per aree geografiche (ad esempio il diritto internazionale o comunitario vede la maggiore espansione di esercizio nella città di Roma, il diritto della navigazione nelle città portuali etc.) Anche la prova del “modo in cui le pratiche sono state coltivate” implica un giudizio a posteriori sull’operato degli aspiranti specialisti che appare inopportuno ed inammissibile. 6. Associazioni fra avvocati specialisti Premesso che non si comprende se le associazioni “costituite fra avvocati specialisti” possano essere multi-specialistiche, si osserva: a) le associazioni forensi riconosciute dal Congresso sono considerate maggiormente rappresentative sul piano nazionale ai diversi fini dell’applicazione delle varie norme statutarie che fanno riferimento alle Associazioni Forensi. Fra queste norme nessuna fa riferimento alle specializzazioni, tanto è vero che la previsione accomuna associazioni specialistiche e non specialistiche. E ciò non stupisce: come si legge nel preambolo dello Statuto “il patrimonio di valori, di cultura e di proposta politica delle libere associazioni forensi è indispensabile presupposto ed ineliminabile contributo per un’effettiva soggettività politica che consenta all’avvocatura di misurarsi con ampio confronto sui problemi e sugli interessi di carattere anche generale e quindi di esprimere il proprio autonomo pensiero propositivo”. Lo Statuto poi prevede in favore delle associazioni una costante consultazione con CNF e OUA per la realizzazione dei deliberati congressuali (art. 2), la partecipazione al Comitato organizzatore del Congresso forense (art. 4) e la partecipazione, senza diritto di voto, alla assemblea dell’OUA. Ciò che conta, ai fini del riconoscimento delle associazioni, è la rap-

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presentatività politica, l’esistenza del mandato a rappresentare di un significativo numero di avvocati, che renda le associazioni idonee a portare, in seno congressuale e nella altre istanze politico-forensi, la posizione dei loro iscritti. Questa è cosa ben diversa dal riconoscimento in ordine alla competenza ed esperienza specialistica. Nessun controllo è mai stato operato dal Congresso, in quanto irrilevante, né sul numero degli iscritti delle associazioni, né sul loro effettivo esercizio di attività forense specialistica. L’inserimento di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche di quelle riconosciute dal Congresso per fini del tutto differenti è perciò deprecabile. Mentre l’esistenza dei requisiti dovrebbe essere verificata, per ciascuna associazione, anche nella fase iniziale dell’attuazione della specializzazione. b) Si apprezza la previsione che le associazioni debbano escludere espressamente ogni attività a fini di lucro. Andrebbe a nostro avviso chiarito che le stesse, ed i loro dirigenti, non possano essere soci o in qualsiasi altro modo partecipare a società, associazioni o enti aventi fini di lucro, e che la formazione e le scuole debbano essere gestite dalle associazioni iscritte negli elenchi direttamente e senza intermediari. c) Il criterio di riconoscimento della rappresentatività (iscrizione del 20% degli avvocati specialisti già iscritti negli albi degli specialisti) è ideato in modo da favorire ingiustificatamente le associazioni iscritte di diritto. 7. Formazione continua Si esprime decisa contrarietà alla previsione dell’art. 13.7, che attribuisce in via esclusiva la formazione continua nelle materie specialistiche (requisito indispensabile per il mantenimento del titolo) solo ai soggetti abilitati a organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione. Ciò infatti introduce una ingiustificata deroga alle norme regolamentari sulla formazione ed un parimenti ingiustificato monopolio in favore di determinati soggetti.

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8. Disciplina transitoria Appare eccessiva la possibilità, per gli avvocati iscritti all’albo da almeno venti anni, di qualificarsi con il titolo di specialista, addirittura in due diverse discipline, solo sulla scorta di una auto-attestazione di avere acquisito specifica conoscenza teorica e significativa esperienza. Inoltre visto che la domanda, seppure tramite gli ordini, va inoltrata al Consiglio Nazionale Forense, senza la necessità di acquisire dagli ordini alcun parere, ed è il CNF che provvede alla iscrizione, evidentemente non verrà effettuato alcun controllo (se non quello formale sulla autocertificazione dell’interessato) sull’effettiva e significativa esperienza. 9. Considerazioni finali Non viene ripetuta nel regolamento una importante previsione del disegno di legge sulla riforma dell’ordinamento professionale, secondo la quale il conseguimento del titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale. Pur ritenendo che certamente la riserva non potrebbe introdursi con regolamento, sarebbe utile ribadire detta previsione. Ci si chiede anche quale possa essere la sorte delle norme deontologiche sulla spendita del “settore prevalente di attività”, ed in particolare se l’avvocato civilista o penalista possa continuare a definirsi tale, pur in mancanza della iscrizione all’elenco degli specialisti. Roma, 14 luglio 2010 Associazione Nazionale Forense Il Direttivo Nazionale

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Circolare C.N.F. n. 27-C-2010 del 16.9.2010 con cui viene trasmessa la bozza del regolamento sulle specializzazioni approvato il 15.9.2010 Roma, 16 settembre 2010 Ill.mi Signori Avvocati PRESIDENTI DEI CONSIGLI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI PRESIDENTI DELLE UNIONI REGIONALI FORENSI

per il tramite dei C.O.A. distrettuali

PRESIDENTI DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI maggiormente rappresentative in ambito congressuale

PRESIDENTE DELL’O.U.A. PRESIDENTE DELLA CASSA FORENSE e, per conoscenza: Ill.mi Signori Avvocati COMPONENTI IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE LORO SEDI

Cari Presidenti, il Consiglio Nazionale, nella seduta amministrativa di ieri, 15 settembre, ha approvato – su proposta della commissione interna all’uopo costituita – una bozza di regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista. Ve ne allego copia affinché possiate valutarne il testo, in vista dell’assemblea già convocata per il 18 settembre p.v. Si tratta ovviamente di una bozza aperta ad ulteriori integrazioni e suggerimenti, redatta al fine di favorire il dibattito. Confido di incontrarvi numerosi in occasione dell’assemblea e Vi invio i più cordiali saluti. Avv. Prof. Guido Alpa

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Bozza di regolamento emendata rispetto alla prima versione, per tenere conto delle osservazioni pervenute dai COA e dalle associazioni

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Relazione di accompagnamento alla bozza di regolamento La commissione costituita per l’elaborazione di un testo di regolamento sulle specializzazioni, composta dal cons. Stefano Borsacchi, dal cons. Antonio de Giorgi, dal cons. Andrea Mascherin e coordinata dal Vicepresidente Ubaldo Perfetti, dopo aver redatto la bozza del regolamento, si è riunita l’8 u.s. per esaminare i suggerimenti di modifica pervenuti da Ordini ed Associazioni accogliendone alcuni e non accettandone altri; di seguito si espongono le ragioni dell’accoglimento e del rigetto. Rispetto all’allegato regolamento, il testo proposto dal CNF è quello contenuto nella colonna di sinistra; ivi, le parole, o le frasi, aggiunte in accoglimento dei suggerimenti figurano in carattere neretto, quelle eliminate, sempre in accoglimento dei suggerimenti, sono cassate con una barra orizzontale. Art. 1 - (Oggetto del regolamento) (i) Non si è ritenuto opportuno specificare – come invece richiesto - che l’esigenza di un regolamento è correlata al fine “(…) di garantire la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento a mantenimento della qualifica di avvocato specialista” – richiesta dell’ULOF - dal momento che ciò è sottinteso e, comunque, l’esplicitazione del fine nulla aggiunge alla sostanza del regolamento, mentre appesantisce il testo. Tuttavia, un cenno agli scopi del regolamento potrà essere contenuto nella relazione accompagnatoria definitiva per chiarire che il regolamento non è autoreferenziale e tanto meno funzionale alla creazione di aree di riserva professionale. Art. 2 - (Definizione di avvocato specialista) (i) Si è chiesto (ULOF) di aggiungere al comma 1 che l’acquisto della qualifica di specialista è subordinato al possesso di una competenza attestata con rilascio di apposito diploma da parte del CNF “(…) previo parere del Consiglio dell’ordine nel cui albo l’avvocato è iscritto”. La commissione ha ritenuto di ricusare il suggerimento perché il rilascio del diploma è atto di competenza esclusiva del CNF presso il quale si svolge il relativo esame, sicché non è previsto l’intervento nel procedimento del COA; da altro punto di vista si è ritenuto che non vi sarebbe stata base logica per un tale intervento consultivo perché, essendo il titolo collegato alla dimoQuaderni

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strazione della competenza in una data materia, il parere, se vertente sulla competenza, non poteva essere dato da chi non la esamina e, se vertente su altro, sarebbe stato sicuramente eccentrico e come tale anche espressione di eccessiva discrezionalità. La commissione ha, tuttavia, colto in tale suggerimento, il senso di una richiesta di maggior coinvolgimento degli ordini nel processo di riconoscimento del titolo e ciò ha ritenuto di garantire, ad es., nell’art. 4/1 laddove è prevista la facoltà per il CNF di aggiornare l’elenco delle specializzazioni; accanto alla previsione originaria del solo parere delle Associazioni interessate, si è aggiunta la necessità del parere dei COA. (ii) D’ufficio la commissione ha ritenuto di eliminare le parole mantenuta ed incrementata riferita alla competenza teorica e pratica alla base della specializzazione perché il riferimento alla formazione continua come principio ispiratore della conservazione della competenza già rimanda a tali concetti (lifelong learning). In tal senso il suggerimento del COA di Pordenone non è stato accolto perché si traduceva in aggiustamento linguistico di concetti che si ritenevano già espressi in modo appropriato nel testo originario. Al posto dei termini mantenuta ed incrementata si è pertanto deciso di inserire la parola conservata. (iii) Nonostante la perplessità di taluno dei componenti la Commissione, si è ritenuto di mantenere il riferimento ad una competenza significativa per rendere chiaro che essa deve essere un grado sopra quella ordinaria. Art. 3 - (Elenco specializzazioni) (i) Si tratta dell’aspetto più delicato in rapporto al quale sono state formulate numerose osservazioni, la maggior parte delle quali evidenzia l’eccessiva genericità del riferimento alla specializzazione in diritto civile. La commissione ha concordato con tali rilievi e, dapprima, ha ritenuto di superarli dettagliando le specializzazioni nell’area del diritto civile facendo riferimento ai libri del cod. civ. Alla fine, scartata questa soluzione perché avrebbe rischiato di creare sovrapposizioni, si è ritenuto di risolvere la questione nel seguente modo: (a) lasciare il riferimento al diritto civile laddove con ciò si vuole indicare l’area di prevalente esercizio della professione allorché si forniscono le indicazioni consentite dall’art. 17 bis CdF (attività prevalenti svolte) sicché si potranno dare aree prevalenti corrispondenti al diritto civile, al diritto penale, etc.; (b) individuare le aree di specializzazione nel diritto civile in conformità a ciò che segnala il diritto vivente e la pratica; in tal modo, al posto delle

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originarie 11 specializzazioni introdotte dal generico riferimento al diritto civile, si sono individuate le seguenti 16 nuove specializzazioni molte delle quali rientranti nell’area del diritto civile (famiglia, persone, impresa e società, consumatori, etc.): - diritto di famiglia, delle persone e loro patrimoni; - diritto delle assicurazioni (compreso il risarcimento del danno); - diritto bancario; - diritto del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale; - diritto industriale (proprietà intellettuale, marchi, brevetti, etc.); - diritto della concorrenza (antitrust, pubblicità ingannevole, violazione di cartelli, etc.); - diritto delle società; - diritto dei consumatori; - diritto fallimentare; - diritto tributario; - diritto della navigazione; - diritto internazionale; - diritto dell’Unione Europea; - diritto sportivo; - diritto amministrativo; - diritto penale. Non si è ritenuto di procedere oltre, perché si sarebbe corso il rischio di indicazioni troppo di dettaglio e come tali impraticabili nel concreto (es. diritto delle successioni, diritto dei contratti e delle obbligazioni, etc.). (ii) Per quanto detto sopra, è forse opportuno inserire nel primo comma il seguente inciso: “(…) L’elenco delle sopra riportate specializzazioni non condiziona l’indicazione ex art. 17 bis del codice deontologico forense relativa alle attività prevalenti svolte che possono essere indicate con riferimento alle macroaree del diritto civile, penale, amministrativo, tributario, lavoro.” Art. 4 - (Aggiornamento dell’elenco delle specializzazioni) (i) Si è accolto, come sopra detto, il suggerimento dell’ULOF mirante ad inserire anche i COA (oltre alle associazioni specialistiche interessate) nella fase consultiva del processo di revisione dell’elenco. (ii) Si è accolto il suggerimento dell’ULOF di aumentare da due a quattro gli anni dopo i quali si può operare la revisione (ciò per ragioni di opportunità). (iii) Si è accolto il suggerimento di UNCAT di chiarire che le associaQuaderni

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zioni specialistiche da consultare sono quelle di cui al successivo art. 11 e cioè quelle riconosciute come esponenziali delle categoria ed iscritte nel registro tenuto dal CNF. (iv) Si è invece respinta la proposta del COA di Pordenone secondo cui “(…) deve essere previsto che la possibilità di inserimento di nuove specializzazioni può avvenire oltre che a seguito di una autonoma decisione del CNF, anche per una specifica richiesta proveniente dall’associazione specialistica”. Si è ritenuto più opportuno mantenere l’originaria previsione per marcare la centralità della posizione del CNF nella materia; ciò non toglie che l’esercizio del potere discrezionale di aggiornamento, proprio del CNF, possa essere eccitato da una richiesta di una nuova associazione specialistica la quale potrà rivolgere al CNF istanza o segnalazione da tenere in conto in occasione della revisione quadriennale. Siccome ciò è sottinteso nell’originaria formulazione, non si sono ravvisate ragioni per modificarla in un modo che avrebbe potuto indurre il dubbio circa l’obbligatorietà della revisione in tal senso da parte del CNF se richiesto da un’associazione specialistica. Art. 5 – (Requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista) (i) Si ricorderà che nella precedente relazione di accompagnamento alla bozza di regolamento venne descritta l’esistenza in seno alla Commissione di due orientamenti uno (se così si può dire) rigorista che richiedeva un’anzianità prossima ai dieci anni per poter conseguire il titolo ed altra meno rigorista che si accontentava di un periodo minore; ne venne fuori una soluzione di compromesso che indicò in quattro gli anni l’anzianità necessaria. La posizione rigorista si è manifestata ora nei suggerimenti di ULOF ed UCP volti ad innalzare ad almeno sei gli anni di anzianità. La Commissione ha ritenuto di accogliere dette proposte in quanto il sessennio rappresenta una più equilibrata mediazione tra le due opposte opinioni. (ii) I COA di Padova, Saluzzo, Siena e Trento e l’Unione Camere Civili hanno ritenuto non condivisibile la previsione dell’art. 5, co. 1, lett. b) secondo cui tra i requisiti per conseguire il titolo vi deve essere quello di non aver riportato “(...) nei quattro anni precedenti la presentazione della domanda una sanzione disciplinare anche non definitiva superiore alla censura” lamentando l’assenza di correlazione logica. Dopo un’attenta discussione, la Commissione ha ritenuto di aderire al rilievo perché, a ben vedere, impedire all’avvocato che abbia riportato una sanzionem per di più non stabilizzatasi, di partecipare alle prove per l’otte-

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nimento del titolo, si sarebbe tradotto in una sanzione impropria, aggiuntiva a quella irrogata; la Commissione ha ritenuto che tale correlazione può invece sussistere – e quindi giustificarsi l’introduzione di un requisito di tal genere – quando la sanzione trova giustificazione nella violazione di un dovere di competenza, o di aggiornamento professionale, perché, in tal caso, l’uno e l’altro fatto hanno diretta connessione con la specializzazione dato che chi è stato ritenuto non competente, o ha tralasciato la formazione, non può, contraddittoriamente, pretendere di essere riconosciuto come specialista. La sostituzione, poi, della previsione per cui la sanzione può anche non essere definitiva, con l’altra per cui deve essersi stabilizzata, è parso criterio più adeguato al principio di giustizia e soprattutto di proporzionalità. La precedente dizione è stata, pertanto, cassata ed al suo posto introdotta la seguente nuova: “(...) non aver riportato nei tre anni precedenti la presentazione della domanda una sanzione disciplinare definitiva conseguente ad un comportamento realizzato in violazione del dovere di competenza o di aggiornamento professionale”. (ii) È stato accolto il suggerimento di UNCAT di dare ai requisiti un ordine sequenziale più logico cosicché gli originari requisiti contraddistinti dalle lettere a), b), c), d), e), f), g) sono stati riordinati come segue: a), b), e), d), g), c), f). (iii) L’ULOF ha proposto, quanto al requisito d), di inserire la previsione che i corsi da frequentare per poter presentare domanda di riconoscimento del titolo, sono quelli riconosciuti dal CNF “(…) tenuti e gestiti dai Consigli dell’Ordine o da enti o soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7.6) che segue (…)”. La proposta è stata respinta perché la dizione originaria secondo cui detti corsi sono quelli “(…) tenuti da enti o soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7.6 (recte: 7.4)” è sufficientemente chiara perché l’art. 7.4 (erroneamente classificato 7.6) indica proprio i COA, singoli o associati, direttamente o tramite le loro fondazioni, come enti gestori dei corsi. (iv) L’ULOF ha chiesto di inserire tra i requisiti anche quello per cui non si deve essere stati sanzionati per aver speso, senza titolo, o dopo che il titolo è stato revocato, la qualifica di specialista; si tratta della previsione dell’art. 6.4) secondo cui quel comportamento costituisce illecito disciplinare. L’osservazione è parsa pertinente e pertanto è stato inserito come requisito c) il seguente nuovo: “(…) non essere stato destinatario nei tre anni antecedenti la domanda della sanzione di cui sub 6.4) che segue”. Per coerenza con quanto sopra previsto, è stato espunto il riferimento, pure contenuto nella proposta ULOF, alla non definitività della sanzione. Il testo Quaderni

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del precedente requisito sub c) è stato invece cassato perché la domanda non può costituire un requisito, mentre altrove è previsto che sia necessario presentare una domanda al CNF per partecipare agli esami. (v) Non è stata accolta la proposta di UNCAT di inserire un ulteriore requisito consistente nello svolgimento per un biennio di un’attività professionale nel settore per il quale si intende conseguire la specializzazione “(…) eseguendo almeno dodici incarichi (…) e conseguendo per gli stessi onorari su base annua pari almeno al 70% del limite minimo previsto dalla legge sull’iscrizione alla Cassa di previdenza (…) oppure partecipando, sempre in un biennio, all’esecuzione di trenta incarichi (…)”. La previsione è parsa non necessaria posto che la seconda prova orale che i candidati devono sostenere consiste proprio nel dimostrare un’esperienza pregressa nel settore (art. 10, co. 5, lett. c). (vi) Il COA di Siena ha segnalato l’incoerenza di prevedere (art. 5, co, 2) che il titolo sia revocabile da parte del CNF secondo la procedura dell’art. 6) che a sua volta al co. 2 prevede che ciò possa avvenire “(…) su segnalazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati che ha la tenuta dell’albo presso cui è iscritto l’interessato (…)”; ci si domanda come possa il COA segnalare alcunché se, essendo il registro degli specialisti tenuto dal CNF, può anche ignorare la qualifica di specialista posseduta dal proprio iscritto. L’osservazione è parsa corretta perché la semplice previsione che il registro sia pubblicato sul sito Internet del CNF (art. 5, co. 2) non dà garanzia di conoscenza effettiva del dato da parte del COA il cui iscritto sia divenuto specialista e che poi abbia commesso un fatto che giustifica la segnalazione ai fini della revoca del titolo. Si è, dunque, previsto che il CNF comunichi ai singoli COA i nominativi dei propri iscritti divenuti specialisti e, per l’effetto, è stato aggiunto al co. 2 il seguente inciso: “(…) Anche ai fini dell’esercizio da parte del Consiglio territoriale del potere di segnalazione di cui all’art. 6.2 ai fini di quanto previsto dall’art. 6.1., il Consiglio Nazionale Forense comunicherà, periodicamente, ai COA il nominativo degli avvocati specialisti iscritti nei rispettivi albi di appartenenza”. (v) È stata proposta, poi, l’introduzione di un nuovo co. 3 per tenere conto di chi abbia conseguito un diploma di specializzazione universitario (es. Scuola di perfezionamento in Diritto civile), o abbia una qualifica che giustifichi un percorso facilitato per il conseguimento del titolo di specialista (es. dottore di ricerca); con esclusione, però, di qualsiasi meccanicismo nel senso che il CNF valuterà il titolo e deciderà se ammettere all’esame senza bisogno di frequenza di un corso di specializzazione, o no. La Commissione ha concordato ed è stato introdotto il seguente comma:

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“(…) Se in possesso di un diploma di specializzazione o titolo equipollente comunque rilasciato esclusivamente da un’Università degli Studi o da Enti equiparati in uno dei settori di specializzazione di cui all’art. 3 che precede, l’interessato potrà chiedere al CNF di valutarlo ai fini del rilascio del diploma di specializzazione previsto dal presente regolamento. All’uopo l’interessato dovrà presentare al CNF una domanda di riconoscimento del diploma in suo possesso e conseguito da non più di due anni, alla quale allegherà quest’ultimo in originale o in copia autentica, nonché certificazione, anche nella forma dell’autodichiarazione, attestante la durata del corso e le materie oggetto di studio ed approfondimento. Il CNF al termine dell’istruttoria, nel corso della quale potrà richiedere ulteriore documentazione e chiarimenti, potrà decidere: (a) se ammettere il richiedente a sostenere direttamente l’esame di cui all’art. 10 che segue; (b) se subordinare l’ammissione all’esame di cui sub (a) alla frequenza dei corsi di cui all’art. 7 che segue, in tal caso determinando l’ammontare del monte ore necessario”. Tra i diplomi di cui si parla non è compreso quello rilasciato dalle SSPL (scuole Bassanini) dato che non riguarda uno dei settori di cui all’art. 3), ma genericamente le professioni legali. (vi) L’AIAF ha chiesto di inserire un art. 5 bis) nel quale prevedere che per conseguire il titolo è necessario aver frequentato con continuatività, per almeno un biennio, lo studio di un avvocato che, a sua volta, abbia conseguito da almeno un quinquennio tale titolo. La proposta è stata respinta perché introduce un ostacolo a danno di chi potrebbe aver conseguito l’esperienza necessaria senza aver frequentato lo studio di uno specialista; tale norma, poi, potrebbe rappresentare un’espressione di autoreferenzialità. Art. 6 - (Condizioni per il mantenimento del titolo di avvocato specialista) (i) Il COA di Pordenone ha proposto l’abolizione del co. 1 perché ripetitivo di quanto previsto dall’art. 17 bis del cod. deontologico forense. Nella realtà si tratta di due fonti diverse, limitandosi il presente regolamento a prevedere e consentire il ritiro del titolo quando – come pare giusto – l’interessato abbia violato gli obblighi di formazione continua. Tuttavia, la commissione ha ritenuto di cassare le parole “(…) specificamente nel settore oggetto di specializzazione” per evitare equivoci nei rapporti tra i due tipi di formazione. Quaderni

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(ii) UCP e UNCAT propongono di inserire un nuovo comma 1 bis secondo cui il titolo è revocato se l’interessato non dà prova di esercitare con continuità la professione nel settore di specializzazione (indicando criteri quantitativi per vagliare detta continuità). Si è ritenuto di non accogliere la richiesta perché il titolo di specialista dà conto di una particolare qualità professionale che non si perde per il mancato esercizio; sotto altro profilo, la garanzia del mantenimento delle competenze che giustificano il possesso del titolo è offerta dalla previsione dell’obbligo di formazione continua (anche) specialistica cosicché è, semmai, questa previsione con il connesso rischio, nel caso di violazione dell’obbligo, di vedersi revocato il titolo, che assolve alla funzione che la modifica proposta sembra voler indicare. (iii) Secondo il COA di Pordenone il procedimento per la revoca del titolo (art. 6, co. 2) deve prevedere la possibilità di un intervento dell’avvocato presso il Consiglio Nazionale Forense in sede di discussione sulla richiesta formulata dal Consiglio dell’Ordine. La proposta non è stata accolta perché il contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa sono garantiti dalla previsione per cui è presso il COA segnalante che si svolge il procedimento con le garanzie, anche, della legge 241/90 e successive modifiche, limitandosi il CNF a valorizzare i risultati del procedimento col dare esecuzione all’atto di revoca. Prevedere che una nuova audizione debba necessariamente avvenire anche presso il CNF è stato considerato eccessivo; ma nessuno impedisce all’interessato di inviare al CNF deduzioni scritte, o chiedere di essere ascoltato anche in quella sede. (iv) Parimenti respinta è stata l’osservazione del COA di Siena secondo cui la norma sulla revoca del titolo potrebbe essere considerata incostituzionale perché l’effetto è immediato e non sono previsti meccanismi di impugnazione. Proprio perché non è detto nulla, si applicano le regole generali a proposito dell’esecutività dell’atto amministrativo e quelle sulla facoltà di impugnazione innanzi al giudice amministrativo (TAR Lazio) con correlata possibilità di tutela cautelare. (v) UCP ed, in diversa misura, UNCAT propongono di arricchire il comma 4 con la previsione che costituisce infrazione disciplinare, non solo la spendita del titolo di specialista senza averlo conseguito, o dopo la sua revoca, ma anche quella di specializzato (UCP), esperto “(…) o altra idonea che possa far ritenere il possesso di una specifica competenza” (UNCAT); è parso di dover respingere la proposta perché in questa sede vanno prese in considerazione le violazioni connesse alla normativa sul titolo di specialista, il resto costituendo materia di previsione deontologica diversa e collegata alla decettività dei messaggi lato sensu pubblicitari.

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Tuttavia va considerato, in linea generale che, come indicato nell’ultima parte di questa relazione (v. anche nota 3), potrebbe essere opportuno cassare detto comma 4 per stabilire una conciliazione, tra l’altro, con l’art. 17 bis CdF. Art. 7 - (Scuole e corsi di alta formazione) (i) È stata accolta la proposta del COA di Pordenone di eliminare il riferimento al biennio solare indicando il semplice biennio come parametro di durata della scuola, o del corso; ciò perché la diversa ed originaria dizione avrebbe potuto creare difficoltà interpretative, o applicative, se scuole, o corsi, avessero (come nella prassi avviene) durata non coincidente con l’anno solare (com’è, ad es. per l’anno accademico). Non è, invece, stata accolta la proposta del medesimo COA di innalzare a 300 il monte ore di frequenza perché giudicato eccessivo e, per lo stesso motivo, quella di UNCAT che richiedeva in aggiunta alle 200 ore di studio, altre 100 ore di esercitazione anche pratiche. (ii) Circa l’attestato di frequenza, non è stata accolta la proposta di ULOF di consentirne il rilascio se essa (frequenza) è stata almeno pari al 10% del monte ore complessivo, essendo sembrato irrisoria una frequenza di tal genere; respinta è stata anche la proposta del COA di Belluno di elevare al 20% del monte ore complessivo la soglia oltre la quale l’attestato non può esser rilasciato perché eccessivamente concessiva. In buona sostanza, su 200 ore di frequenza, è parso ragionevole prevedere una franchigia di 20 ore e non di più. Parimenti è stata respinta la proposta di UNCAT di condizionare il rilascio dell’attestato ad una frequenza proficua e continuativa perché, quanto al primo requisito, di difficile verifica e, quanto al secondo, perché assorbito dalla previsione circa la franchigia di cui s’è detto, dovendosi la continuatività intendere nel senso relativo che la previsione di essa (franchigia) implica. (iii) L’ULOF propone di riscrivere il comma 3 inserendo l’espressa previsione che l’attestato può essere rilasciato solo “(…) dai consigli dell’Ordine e/o dagli enti o soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7.6)”. La proposta non è stata accolta per gli stessi motivi indicati supra sub 5(iii) perché l’originaria dizione secondo cui ai fini del conseguimento del titolo di avvocato specialista sarà considerato valido solo l’attestato di frequenza rilasciato “(…) da uno dei soggetti abilitati all’organizzazione ed alla gestione di scuole o di corsi di alta formazione riconosciuti dal Consiglio nazionale Forense ed iscritti nell’apposito registro tenuto da quest’ultimo” Quaderni

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è parsa sufficientemente chiara nel senso che l’art. 7.4 (erroneamente classificato 7.6) indica proprio i COA, singoli o associati, direttamente o tramite le loro fondazioni, come enti gestori dei corsi. Piuttosto si è ritenuto di rendere più snella la formulazione così sostituita: “(…) Ai fini del conseguimento del titolo di avvocato specialista sarà considerato valido solo l’attestato di frequenza rilasciato dagli Enti e soggetti di cui all’art. 7.4”. (iv) È stata accolta la proposta del COA di Alessandria che meglio esprime l’idea connessa alla possibilità dei COA di organizzare i corsi; la nuova norma, più snella, suona così: “(…) dai consigli dell’ordine degli avvocati, anche in forma associata tra di loro, direttamente o tramite le loro fondazioni”. È stata altresì accolta la proposta di ampliare il novero dei soggetti includendovi anche le Scuole di formazione forense riconosciute dal CNF. (v) Secondo ANF la norma non è chiara nel salvaguardare il pluralismo dell’offerta formativa in quanto troppo generico il riferimento ad “altri soggetti” (comma 4); soggiunge che sussiste eccessiva discrezionalità del CNF ai fini dell’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati ad erogare formazione specialistica; infatti “(…) tale formazione deve potersi erogare anche da parte di soggetti diversi dalle istituzioni forensi e dalle associazioni specialistiche”. Queste obiezioni sono state respinte perché la norma, laddove prevede che la formazione possa essere erogata “(…) dagli altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente” costituisce una valvola che non restringe ma anzi amplia l’orizzonte dei possibili formatori se è vero che non li ingabbia in una classificazione precostituita. Onde, nulla impedisce che essi siano “(…) soggetti diversi dalle istituzioni forensi e dalle associazioni specialistiche” sempre che in possesso dei requisiti di cui al comma 5. Sotto altro profilo la discrezionalità del CNF nel valutare i requisiti è controllabile nel consueto modo previsto per la verifica della legittimità degli atti amministrativi. (vi) Tra i soggetti abilitati figurano le associazioni forensi costituite tra avvocati specialisti; l’ULOF ha proposto – e la commissione ha accolto l’idea – di precisare che deve trattarsi di avvocati con identica specializzazione per rendere chiaro che si deve trattare di aggregazioni omogenee. (vii) Secondo l’ULOF (ed anche il COA di Trento), i COA dovrebbero essere esentati dalla dimostrazione dei requisiti previsti dal comma 5; la maggioranza dei membri della commissione è per l’accoglimento in quanto la previsione responsabilizza i COA; nella bozza allegata è stato perciò cancellato il riferimento ai soggetti di cui alla lettera b) del comma precedente il che avrebbe, appunto, comportato un rimando ai COA.

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(viii) UNCAT (ed in certa misura anche UCP) ha proposto di onerare il soggetto formatore di organizzare, con cadenza annuale, corsi di formazione continua nella materia specialistica per cui ha chiesto l’iscrizione, nonché di dimostrare il possesso di strutture organizzative e tecnico scientifiche adeguate. La norma dovrebbe essere la seguente: “(…) I soggetti di cui alle lettere (b), (c) e (d) di cui al comma 4) che precede, dovranno inviare al Consiglio Nazionale Forense una apposita domanda di iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla istituzione e gestione delle scuole, o dei corsi di alta formazione, allegando copia dello statuto, o del regolamento interno di funzionamento, specificando la loro qualifica e caratteristiche, ed in particolare dimostrando di disporre di strutture organizzative e tecnico-scientifiche idonee ad assicurare la determinazione ed i livelli di qualificazione ed aggiornamento professionale, nonché producendo dichiarazione di impegno ad organizzare e gestire le scuole, o i corsi di alta formazione, e con cadenza annuale i corsi di formazione continua nella materia specialistica per cui chiedono l’iscrizione di cui al successivo articolo 13, con modalità tali da garantire l’attuazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento e mantenimento della qualifica di avvocato specialista, in particolare limitando la partecipazione ad un numero massimo di cento allievi per anno scolastico o per corso e per ciascuna sede, e specificando, altresì, che a loro carico non sono stati adottati provvedimenti, seppur non definitivi, o stabilizzati negli effetti, di revoca dell’iscrizione nel registro, o dell’autorizzazione di cui, rispettivamente, al comma 7) o all’art. 8) che segue”. La proposta merita attenzione e la Commissione rimanda la sua valutazione alla decisione collegiale; essa inserisce requisiti opportuni, soprattutto con riferimento all’obbligo di organizzare la formazione specialistica a vantaggio di chi, altrimenti, non saprebbe come adempiere l’obbligo formativo dopo il conseguimento del titolo; sennonché, se, come sopra visto, si esonerano i COA dalla richiesta dovendosi intendere la loro iscrizione nel registro automatica, si crea una sperequazione perché un pari obbligo non è loro imposto. La soluzione potrebbe essere trovata nella riformulazione in parte qua del regolamento per la formazione continua inserendo un più chiaro obbligo di organizzare corsi formativi in determinate materie specialistiche. (ix) AIAF ha proposto di introdurre un comma 6 bis in cui si specifica che il CNF ha un potere di vigilanza sul funzionamento di corsi e scuole anche per ciò che riguarda qualità ed effettività. La proposta non è stata accolta perché si tratterebbe di ripetere un concetto già espresso dal comma 7. Quaderni

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(x) L’ULOF propone di modificare il comma 6 nel seguente modo (sottolineato): “(…) Il Consiglio nazionale forense – in composizione allargata ai presidenti delle Unioni regionali degli ordini – (…) provvederà all’iscrizione del richiedente (…). La proposta non è stata accolta perché illegittima, in quanto non è possibile, per una fonte regolamentare, modificare la composizione di un organo previsto e disciplinato dalla legge. Del pari non è stata accolta la proposta della medesima ULOF di modifica del comma 7 nel senso di prevedere che anche la decisione di revoca dell’iscrizione debba essere presa dal CNF in composizione allargata ai presidenti delle Unioni regionali degli Ordini. Coerentemente, non è stata accolta la proposta dell’ULOF di modifica del comma 8, sempre nell’identica direzione già segnalata. (xi) È stata accolta la formulazione del comma 7, lett. b) proposta da UNCAT limitatamente al punto relativo al mancato rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 8). Art. 8 - (Approvazione preventiva e sorveglianza sulle scuole ed i corsi di alta formazione) (i) Non è stata accettata la proposta dell’ULOF di condividere con i presidenti delle Unioni regionali dei Ordini la valutazione che il CNF deve dare sulla qualità delle scuole e dei corsi; ciò per i motivi già sopra indicati. (ii) Non è stata accettata la proposta di ridurre da 120 a 60 i giorni il periodo dopo il quale si forma il silenzio/assenso sulla richiesta di autorizzazione e ciò per la ristrettezza del termine così proposto rispetto alle capacità organizzative del CNF. (iii) Non è stata accettata la proposta di UNCAT di specificare che i poteri di ispezione e controllo del CNF sono finalizzati alla “(…) realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista” per i motivi di cui sub art. 1. (iv) Non è stata accettata la proposta di UNCAT di consentire che l’ispezione ed il controllo possano essere esercitati dai COA nei confronti delle Associazioni Forensi e di soggetti non istituzionali perché ciò contraddice la centralità della funzione del CNF e non garantisce quella omogeneità di valutazioni che solo l’esercizio della prerogativa da parte di un unico soggetto assicura. (v) È lasciata alla valutazione del Consiglio la decisione se prevedere la sanzione indiretta costituita dall’impossibilità per chi abbia subito la

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revoca dell’autorizzazione, di richiederne un’altra prima che siano passati 5 anni (proposta UNCAT di introduzione di una nuovo comma). Art. 10 - (Commissioni e disciplina dell’esame) (i) Non è stata accettata, per le motivazioni che più volte sono state indicate, la proposta di ULOF (modifica del comma 1) di estendere anche ai presidenti delle Unioni regionali degli ordini forensi la facoltà di interloquire col CNF nella nomina dei commissari d’esame. (ii) In linea generale la commissione ha ritenuto di escludere – modificando con ciò il suo precedente orientamento – la possibilità che siano nominati commissari d’esame soggetti non indicati dal CNF e dalle associazioni specialistiche interessate; ciò perché non trattandosi di norma primaria, la previsione della necessità che Ministero dell’Università e della Giustizia nominino propri commissari non è coercibile se le nomine non vengano effettuate. Cosicché sono state eliminate le lettere c) e d) ed i commissari d’esame saranno solo tre, due nominati dal CNF (tra cui va scelto il presidente) ed uno dall’associazione specialistica interessata. Per conseguenza non sono state prese in esame le proposte di UNCAT ed ULOF che prevedevano particolari requisiti per la nomina dei commissari di nomina ministeriale. (iii) Non è stata accettata la proposta del COA di Pordenone di calendarizzare ogni quattro mesi l’esame delle domande pervenute fissando le date degli esami, sostituendo il riferimento al “(…) termine ritenuto del caso anche allo scopo di unificare in un’unica sessione più domande di esame”. Ciò perché la struttura del CNF potrebbe non consentire il rispetto del termine e comunque per il motivo indicato dalla norma e cioè “(…) anche allo scopo di unificare in un’unica sessione più domande di esame” per realizzare il quale si potrebbe dover tener conto di domande pervenute anche oltre il quadrimestre. In alternativa – per non appesantire la struttura del CNF – potrebbe essere previsto un periodo molto più ampio del quadrimestre. (iv) ULOF, COA di Parma ed in certa misura COA di Cremona ed ANF lamentano l’inutilità, o l’inopportunità, di prevedere una seconda prova orale “(…) avente ad oggetto la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa nella materia superiore alla media” (comma 5, lett. c). La commissione ha ritenuto di raccomandare la conservazione della previsione perché l’acquisto della qualifica di specialista implica che l’interessato sia particolarmente esperto, dato, questo, da dimostrare. La dimostrazione, peraltro, è libera (si potranno presentare, ad esempio, copie di Quaderni

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atti) come libera è la valutazione della commissione. Nondimeno si è ritenuto di eliminare il riferimento all’esperienza superiore alla media anche perché criterio difficile da giudicare per cui la commissione dovrà valutare solo il possesso di una esperienza in quel settore. Si ricorda che previsione simile è contenuta nel regolamento per le specializzazioni della Federazioni degli avvocati svizzeri. (v) AIAF ed anche UNCAT hanno proposto di modificare il comma 7 laddove si dettano criteri per la valutazione dell’esperienza pregressa superiore alla media indicando il numero dei casi trattati. La commissione sconsiglia di adottare un criterio rigido (indicazione e prova di un numero minimo di casi trattati) per lasciare liberi gli esaminatori di valutare in modo più adeguato alla specificità di ogni caso. Si consiglia di mantenere fermo il riferimento al “(…) numero significativo di casi”. (vi) Il COA di Trento ritiene questa disposizione penalizzante per i giovani colleghi nonché in contrasto con l’art. 5. Da un lato sfugge il profilo di contrasto, dall’altro la filosofia di fondo del regolamento è quella di tutelare l’affidamento della collettività sulle qualità particolari possedute da un avvocato specialista per cui non dovrebbe venire in considerazione, come criterio derogatorio della serietà della valutazione, un criterio estrinseco come l’età. Art. 11 - (Associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF) (i) È stato accolto il suggerimento di ULOF di modificare la rubrica dell’articolo aggiungendo dopo la parola specialisti l’inciso nella stessa materia, per evitare equivoci sul fatto che la aggregazioni di avvocati specialisti debba procedere per aree omogenee. (ii) Non è stata accolta la proposta di UNCAT di modificare il comma 1 inserendo la previsione che “(…) Il CNF potrà riconoscere per ogni specializzazione di cui al precedente articolo 3 una sola associazione”. Così congegnata la norma impedisce il pluralismo associativo e codifica uno status quo immodificabile. (iii) Critiche sono state operate soprattutto da ANF a proposito del criterio col quale dimostrare la rappresentatività delle associazioni che aspirano all’iscrizione nell’elenco del CNF. Si sostiene che “(…) l’inserimento di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche di quelle riconosciute dal Congresso per fini del tutto differenti è perciò deprecabile”. La previsione è quella del comma 6 e la commissione raccomanda di mantenerla perché, da un lato, è inopportuno che associazioni costituite da decenni ed oramai storicamente consolidatesi, non debbano veder riconosciuto da subito e di diritto questo loro status, dall’altro il riconoscimento effettuato

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dal Congresso Nazionale Forense, seppur ad altri fini, è comunque significativo di rappresentatività, autorevolezza e soprattutto serietà; dunque è un criterio affidabile. Quanto alle altre che dovessero aspirare in futuro all’inserimento nell’elenco, il criterio con cui giudicare la rappresentatività deve essere quanto più obiettivo possibile; tra tutti, è sembrato affidabile quello di prevedere che “(…) La rappresentatività sarà riconosciuta solo se all’associazione siano complessivamente iscritti almeno il 20% degli avvocati specialisti inseriti negli appositi elenchi tenuti dai Consigli degli Ordini in quello specifico settore. Si eccepisce da ANF che questa misura “(…) è stata ideata in modo da favorire ingiustificatamente le associazioni iscritte di diritto”; ma, escluso qualsiasi calcolo di questo tipo che avrebbe richiesto, semmai, l’innalzamento della quota di iscritti, il 20% pare misura adeguata anche tenendo conto della modificazione della platea degli avvocati dovuta alle cancellazioni ed alle nuove iscrizioni sicché quel limite non appare eccessivamente alto e tale da impedire oggettivamente la costituzione di nuove entità. (iv) ULOF propone di coinvolgere i Presidenti delle Unione regionali degli ordini nella funzione di controllo circa il mantenimento dei requisiti in capo alle associazioni iscritte; la proposta è stata respinta per le motivazioni più volte ripetute mentre in questo caso è previsto che la funzione di controllo sia esercitata “(…) anche per il tramite dei Consigli dell’Ordine circondariali”, il che, da un lato valorizza la funzione di quest’ultimi, dall’altro è previsione che obbedisce ad esigenza pratica perché il controllo risulta più efficace localmente. Art. 12 - (Professori universitari) (i) Critiche sono state sollevate dai COA di Saluzzo e Siena circa il diritto dei professori universitari di prima fascia (ordinari) di iscriversi ipso facto nel registro degli avvocati specialisti per la materia di titolarità di insegnamento; altre critiche sono state sollevate da UNCAT e dal COA di Parma circa l’esclusione, ritenuta ingiustificata, dei professori di seconda fascia (associati) e di quelli in pensione (COA di Parma). La commissione raccomanda di lasciare invariata la norma per vari motivi; intanto il fenomeno sarà sicuramente numericamente trascurabile, sia per il non rilevante numero di ordinari in materie giuridiche, sia perché verosimilmente molti preferiranno pubblicizzare il loro titolo accademico piuttosto che quello di specialista; da ultimo è difficile contrastare l’opinione di chi sostiene che l’ordinario di una materia non sia da considerare uno specialista e ciò a differenza dell’associato. Quaderni

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Art. 13 - (Aggiornamento professionale specialistico) (i) Secondo il COA di Pordenone si dovrebbe prevedere “(…) uno sdoppiamento dell’aggiornamento professionale, quello cd “generico” per tutti che permette di indicare l’attività prevalente, e quello “specifico” per l’aggiornamento professionale specialistico”. La commissione ha ravvisato in questa raccomandazione un fondo di verità nel senso che la dizione del comma 1, laddove afferma che gli avvocati che hanno conseguito il titolo di specialista “(…) sono tenuti, ai fini del suo mantenimento, a curare il proprio aggiornamento professionale secondo le modalità stabilite nel presente regolamento” potrebbe essere ambigua nel senso di far pensare che l’unica formazione richiesta allo specialista sia quella prevista dal presente regolamento. Per evitare questo rischio si è ritenuto di inserire, subito dopo, il seguente inciso: “Restano ferme, per quanto non espressamente derogate dal presente Regolamento, le disposizioni del Regolamento sulla formazione continua”. (ii) AIAF, UCP ed UNCAT hanno proposto modifiche al comma 4 laddove si dice che “(…) ogni avvocato specialista deve conseguire nel triennio almeno n. 60 crediti formativi di cui almeno 15 in ogni singolo anno” proponendo ciascuna una suo criterio quantitativo. È parso giusto accogliere la proposta di UNCAT che eleva a 120 il monte ore complessivo nel triennio (60 annuali) ed a 30 quello per ogni singolo anno. (iii) La commissione raccomanda di effettuare una rivisitazione del regolamento sulla formazione continua aggiungendo un richiamo al presente regolamento ed agli obblighi formativi ivi previsti al fine di conciliare i due testi, i relativi obblighi ed eliminare eventuali aree di ambiguità dovute a possibili sovrapposizione di previsioni. (iv) A proposito dell’organizzazione dei corsi per la formazione continua nelle materie specialistiche ULOF propone la modifica del comma 7 con l’introduzione del riferimento specifico ai COA quali soggetti organizzatori; la proposta non è stata accolta per i motivi più volte ribaditi e cioè perché col dire che “(…) I corsi di formazione continua nelle materie specialistiche potranno essere organizzati esclusivamente dai soggetti abilitati ad organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione ed iscritti nel relativo registro tenuto dal Consiglio Nazionale Forense” automaticamente e chiaramente ci si riferisce anche ai COA inclusi tra i “(…) soggetti abilitati ad organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione ed iscritti nel relativo registro (…)”. (v) Secondo AIAF e COA di Cremona la previsione mortifica il pluralismo dell’offerta formativa; non è così perché l’elenco dei soggetti ed enti

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autorizzati ad organizzare corsi formativi non è chiuso, ma aperto (si ricordi la norma valvola dell’art. 7.4, lett. d) (altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente) e chiunque può aspirare ad essere iscritto nell’elenco e così, per trascinamento, a far parte del novero dei soggetti e degli enti contemplati dal comma 7 dell’articolo in commento. Art. 14 - (Disciplina transitoria) (i) UNCAT ha proposto di allargare ai ricercatori universitari, dottori di ricerca, avvocati con almeno 5 anni di anzianità che dimostrino di aver svolto almeno 50 incarichi nel determinato settore giuridico, o che abbiano svolto attività di docenza per un certo numero di ore, il diritto a sostenere la prova d’esame senza frequenza dei corsi, ora previsto dal comma 1 solo per gli avvocati con almeno 10 anni di anzianità. Seguire questa proposta avrebbe voluto dire applicare a dismisura l’esenzione anche in favore di avvocati con scarsa anzianità (5 anni) – e persino in contrasto col requisito del sessennio di iscrizione per presentare la domanda di partecipazione all’esame – o, addirittura, senza anzianità specifica. Si è invece ritenuto (manifesta perplessità sulla soluzione adottata dalla commissione il cons. Borsacchi) di ampliare in modo limitato e non significativo la categoria includendovi i ricercatori ed i dottori di ricerca. (ii) Il COA di Siena è contrario alla disciplina transitoria così come formulata. Quello di Parma ed in certa misura l’Unione del Triveneto sostengono che manca qualsiasi controllo circa l’attività svolta in passato dall’avvocato con anzianità di dieci anni, controllo che dovrebbe essere demandato al COA locale (Parma). Si è ritenuto di non aderire a queste sollecitazioni perché: (a) una disciplina transitoria è comunque necessaria; (b) essa non stabilisce un automatismo, posto che l’avvocato con dieci anni di anzianità non è iscritto ipso facto nel registro, ma deve sostenere l’esame presso il CNF onde il vantaggio è solo quello di essere esonerato dalla frequenza dei corsi specifici; (c) proprio l’esame costituisce modalità di accertamento “(…) sull’attività svolta in passato” (Unione del Triveneto) perché in quella sede è prevista una seconda prova orale destinata ad accertare il possesso di una esperienza pregressa nella materia, verificabile con l’indicazione e la discussione dei casi trattati. * * *

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Resta da esaminare il tema del fondamento del potere normativo regolamentare del CNF in materia di specializzazioni. Si segnala che al riguardo sono state avanzate da più parti legittime preoccupazioni, in particolare dall’ANF, ma anche dal COA di Siena. Il COA di Cremona ritiene preferibile un sistema basato su «aree di prevalenza» piuttosto che su «specializzazioni» (l’Unione Triveneta, a questo proposito, auspica che «l’attività prevalente», già prevista dal codice deontologico, «divenga una delle condizioni per mantenere il titolo di specialista»). Deve al riguardo osservarsi che tale fondamento è rintracciabile nel medesimo l’apparato logico/giuridico che è servito per giustificare l’analogo potere regolamentare in materia di formazione continua e che è stato giudicato conforme a legge nelle sentenze dei giudici amministrativi che hanno sino ad ora respinto tutte le impugnazioni (tra gli altri atti, anche) del regolamento CNF, e cioè nelle sentenze del TAR Lazio nn. 7081, 7230, 9769 e 9770 del 2009. Prendendo spunto dalla motivazione di quest’ultima, si ricava che il TAR, a proposito delle censure circa la spettanza della legittimazione del CNF a normare in materia1, ha affermato che “(…) tali censure non sono condivisibili. Ed invero, circa la sussistenza stessa del potere del CNF di adottare il regolamento per la formazione professionale e di sanzionarne il mancato rispetto, la fonte del potere di emanare norme di deontologia professionale vincolanti per i singoli professionisti è costituita dagli artt. 12, I comma, e 38, I comma, del R.D.L. n. 1578 del 1933 (cfr.: Cass., SS.UU., 6.6.2002 n. 8225). D’altra parte, la fonte del potere di adottare norme interne a garanzia della qualità delle prestazioni professionali si rinviene nell’art. 2, comma 3, del D.L. n. 233 del 2006 convertito in legge n. 248 del 2006. Il Collegio ritiene, quindi, che nell’ordinamento esiste una norma che non solo consente, ma impone agli ordini professionali di adottare “misure” riguardanti l’aggiornamento professionale degli I ricorrenti sostenevano col primo motivo “(...) che al C.N.F. non è attribuita dalla legge la potestà di emanare regolamenti sulla formazione degli avvocati italiani, né in particolare la potestà di imporre loro specifici obblighi formativi” l’unica fonte attributiva di tale potere essendo l’art. 13 del codice deontologico che però, sempre secondo i ricorrenti “(...) non ha natura né caratteristica di legge, costituendo solo espressione di poteri autorganizzativi degli Ordini professionali in materia disciplinare”cosicché “(...) il C.N.F. non può statuire un obbligo di formazione, ma al massimo può promuoverla a fini deontologici; la pretesa quantitativa e qualitativa di formazione richiesta dal regolamento del C.N.F. si risolve nella potestà, da una parte, di sanzionare disciplinarmente gli iscritti che non abbiano partecipato ad eventi formativi e dall’altra, di accreditare eventi formativi proposti da terzi con fini di lucro, potestà entrambe non previste da alcuna norma di legge”. 1

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iscritti. E la serietà delle “misure” comporta la necessità di sanzioni per il loro mancato rispetto, che può trovare risposta nel potere di regolamentazione deontologica degli ordini professionali. Così appare legittima la norma contenuta nell’art. 13 del codice deontologico che prevede il dovere deontologico degli iscritti di rispettare i regolamenti concernenti gli obblighi ed i programmi formativi. La disposizione “completa” la disciplina sulla formazione che trae, come detto, il suo potere specifico dalla citata norma di legge del 2006”. Inoltre, la citata legge 248/2006 all’art. 2, comma 1), lett. b) prevede l’abrogazione delle disposizioni (anche deontologiche) che contengono “(…) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali (…) secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine”, mentre il successivo comma 3 soggiunge che i codici deontologici sono adeguati “(…) anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali (...)”. Ciò posto, il vigente CdF (artt. 5 e 17 bis) prevedono, tra le informazioni che l’avvocato può dare, anche quella relativa ai “(…) diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari”, norma da leggere nel senso che è vietata l’indicazione di altri titoli di specializzazione diversi da quelli universitari; ciò, in un contesto nel quale, in assenza di disciplina normativa primaria sulle specializzazioni e considerata la possibilità di frequentare vari corsi di specializzazione anche di altissimo livello, mal si comprende perché un avvocato non possa spendere anche quei titoli (l’effetto della norma potrebbe considerarsi discriminatorio nella prospettiva della legge 248/2006); di qui un’esigenza di modifica della disposizione in sintonia con le prescrizioni della legge 248/2006. Ai fini, poi, dell’adozione di norme interne in materia di specializzazioni, si potrebbe ritenere che la giustificazione è quella stessa del regolamento per la formazione continua e cioè il comma 3 della citata legge 248/2006 laddove prescrive di adottare (il TAR dice che ciò non solo è un diritto, ma persino un dovere del CNF) (…) misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali”. Da un lato, vi è, allora, l’esigenza di consentire l’indicazione della qualifica di specialista, dall’altro vi è quella di garantire “(…) la qualità delle prestazioni professionali” dello specialista e ciò, per l’appunto, col regolamento2. Non solo: quest’ultimo svolgerebbe anche la funzione di garantire che Va considerata, infatti, la doppia natura del regolamento da esaminare non solo in chiave permissiva quale strumento, cioè, che consente la spendita di un titolo, ma anche 2

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il messaggio pubblicitario relativo alla specializzazione sarebbe coerente con “(…) i criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine” (art. 2, legge 248/2006 cit.) e quindi sarebbe ulteriormente giustificato anche da questo secondo punto di vista. Ne deriva che la sequenza dovrebbe in tal caso essere la seguente: (i) dapprima, la modifica in parte qua dell’art. 17 bis da riformulare come segue relativamente al contenuto dell’informazione: “(…) L’avvocato che intende dare informazioni sulla propria attività professionale (…) può indicare: (…) – la specializzazione conseguita a termini del regolamento adottato dal Consiglio nazionale Forense; la spendita senza titolo, o dopo che il titolo sia stato revocato della qualifica di specialista conseguita a termini del suddetto regolamento, costituisce infrazione disciplinare”3 (così verrebbero accolti i rilievi formulati dal COA di Pordenone, e dal COA di Bologna, che ha proposto di abrogare le qualifiche di cui all’art. 17-bis dello stesso codice. Il COA di Bologna); (ii) poi, si dovrebbe espungere dal regolamento l’art. 6, co. 4 laddove si dice che “(…) la spendita senza titolo, o dopo che il titolo sia stato revocato della qualifica di specialista, costituisce infrazione disciplinare” dato che la previsione confluisce (come è più giusto che sia ) nel CdF; (iii) infine, si adotta il regolamento che di per sé costituisce una delle “(…) misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali” e per garantire che il messaggio informativo sia coerente con i criteri di trasparenza e veridicità che il CNF deve adottare ai sensi della legge 248/2006 (TAR Lazio 9770/2009). * * * Il lavoro svolto dalla commissione è stato particolarmente facilitato dalla cooperazione dell’Ufficio Studi.

in chiave formativa dal momento che, ponendo stringenti requisiti qualitativi per il suo acquisto, indirettamente rappresenta un mezzo di garanzia della qualità delle prestazioni professionali (art. 2, co. 3 legge 248/2006). 3 Si fa notare che la necessità di modificare in parte qua l’articolo 17 bis CdF è imposta comunque dal fatto che il regolamento è in contrasto con detta norma laddove prevede che gli specialisti universitari non divengano, ipso facto, specialisti nel senso voluto dal regolamento ma debbano assoggettarsi ad un giudizio del CNF che stabilisce se ammetterli all’esame o far loro frequentare i corsi (art. 5, co. 3). Dunque da un lato chi ha un diploma di specializzazione universitaria può ex art. 17 bis dire di essere specialista, dall’altro altrettanto non può fare ai sensi del regolamento se prima non si sia assoggettato al giudizio del CNF e non abbia frequentato e/o superato l’esame, pena la commissione dell’illecito disciplinare previsto dall’art. 6, co. 4 reg. spec.

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Osservazioni del C.O.A. di Gela A seguito degli incontri che abbiamo avuto nell’ambito del nostro COA sull’argomento, ci permettiamo, sperando di fornire un contributo positivo al dibattito in corso, rappresentare le seguenti nostre valutazioni. Ci pare assolutamente inopportuna la disciplina transitoria di cui all’art. 14, specie nella parte che riguarda gli avvocati che hanno maturato più di venti anni di iscrizione all’albo. Si condivide in linea di principio la previsione, nella fase transitoria, di una qualche facilitazione in relazione all’anzianità di iscrizione. Sarebbe opportuno, però, prevedere che solo chi è già abilitato al patrocinio innanzi le Magistrature Superiori possa fruirne per cui, riguardo al primo comma dell’art. 14, si dovrebbe prevedere che il requisito per l’esonero dalla frequenza del corso di alta formazione sia costituito dall’iscrizione nell’albo dei Cassazionisti. L’aspetto che ci pare veramente assurdo è tuttavia quello per cui si consentirebbe al professionista di poter indicare ed essere iscritto in ben due elenchi di specializzazione. Poniamo ad esempio il caso che un professionista indichi di essere specializzato sia in diritto civile che in diritto penale e così ottenga (stante il sostanziale automatismo della previsione) la relativa iscrizione: si sarà in tal modo negato e tradito il concetto stesso di specializzazione, intesa essenzialmente come “affidabile” informazione al pubblico, perché se è già difficile pensare ad uno “specialista” per tutto il diritto civile, figuriamoci se è possibile che una persona possa in effetti essere “specialista” in due branche così vaste (e diverse) dell’ordinamento. Va quindi senz’altro limitata ad una la specializzazione che è possibile indicare fruendo della disciplina transitoria. Ma v’è di più. Ci pare del tutto incongruo con le finalità della disciplina il prevedere una sorta di iscrizione automatica, sulla scorta di una mera autocertificazione, per chiunque abbia maturato il ventennio di iscrizione all’albo. Si partirebbe senz’altro col piede sbagliato, creando i presupposti per fornire informazioni tutt’altro che affidabili, perché decine di migliaia di professionisti, che specialisti non sono e non sono mai stati e che forse non hanno neanche svolto un’attività in qualche modo prevalente in un certo settore professionale, si potrebbero così fregiare del titolo ingeneranQuaderni

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do confusione e soprattutto determinando scarsa credibilità nel pubblico proprio sulla valenza ed attendibilità dell’iscrizione negli elenchi di specializzazione. Il nostro Consiglio ritiene pertanto opportuno suggerire la modifica della proposta del regolamento in parte de qua prevedendo, oltre a quanto sopra si è detto, che anche il professionista con oltre venti anni di anzianità possa ottenere l’iscrizione in un solo elenco di specialista inoltrando domanda al CNF corredata dalla relazione prevista dal comma 7 dell’art. 10 del regolamento e prevedendo che, sulla domanda medesima, debba essere previamente acquisito il parere motivato, sempre in punto della specifica e particolare esperienza professionale maturata, da parte del COA di appartenenza. Inoltre dovrà espressamente prevedersi che tutti i professionisti che intendano avvalersi del regime transitorio, debbano possedere il requisito di cui all’art. 5 lettera “b”. Cordialità, Il Presidente del COA Avv. Antonio Gagliano

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Osservazioni del C.O.A. di Ravenna Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ravenna, esaminata la bozza di REGOLAMENTO PER IL RICONOSCIMENTO DEL TITOLO DI AVVOCATO SPECIALISTA, presentata dal C.N.F. osserva quanto segue: 1. Sussistono dubbi sulla opportunità di attribuire titoli “para accademici” al di fuori di una specifica disciplina legislativa e senza il coordinamento con una relativa formazione accademica. 2. Vi è il rischio che la “specializzazione” venga confusa con la pratica di “attività prevalente” in un determinato settore del diritto; peraltro la previsione di macrosettori specialistici, quali diritto civile, diritto commerciale, diritto penale e diritto amministrativo, per la vastità degli ambiti di studio che sottendono, si pone in ossimorico contrasto con le caratteristiche delimitanti della disciplina specialistica. È auspicabile, comunque, una delimitazione univocamente riconosciuta degli ambiti di estensione delle singole materie specialistiche. 3. Non pare opportuno demandare l’organizzazione e la gestione delle scuole e dei corsi di alta formazione, a soggetti diversi dal C.N.F. e Consigli dell’Ordine (e rispettive emanazioni), quali le associazioni forensi costituite tra avvocati specialisti (allo stato non esistenti, ma surrogate dalle Associazioni già presenti riconosciute dal Congresso Nazionale Forense, ma per altre finalità) e altri soggetti (privati) autorizzandi, onde evitare che la formazione specialistica sia gestita al di fuori delle Istituzioni dell’Avvocatura e con finalità lucrative o di “autopromozione”. 4. Nelle commissioni di esame non pare opportuna la presenza di commissari nominati dall’associazione specialistica in quanto può ingenerare surrettizie forme di cooptazione per consolidare (o creare) la rappresentatività valevole ai fini del riconoscimento istituzionale dell’Associazione. 5. Non è chiara, al di là della abilitazione al patrocinio avanti le Magistrature Superiori, quali requisiti di qualificazione e preparazione pratica o scientifica debbono avere i commissari nominati dal CNF, o dal Ministero della Giustizia (non risultando sussistere specializzazioni precostituite tra i magistrati). 6. Occorre precisare in termini obiettivi e univoci quali siano i parametri per la “valutazione del possesso dell’esperienza pregressa superiore alla media” che la commissione d’Esame (secondo il Regolamento) dovrebbe esprimere. Quaderni

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7. Non si concorda sul fatto che le associazioni forensi attualmente riconosciute dal Congresso Nazionale Forense con finalità di rappresentatività “politico-istituzionale” dell’Avvocatura Italiana siano di diritto considerate “associazioni specialistiche”, vale a dire costituite da avvocati specialisti (e ciò in assenza – allo stato – di avvocati specialisti, posto che gli avvocati associati attualmente a tali associazioni esistenti sono avvocati tout court, e possono rimanere tali se non superano l’esame specialistico). Il che conduce al rischio che l’esigenza dell’associazione di mantenere in futuro il riconoscimento necessario per il rango disciplinato dal Regolamento in esegesi, possa favorire forme di “accaparramento” dei potenziali associandi tra gli avvocati neo specializzati, e introdurre nella selezione dei candidati logiche estranee al merito e alla preparazione. La specializzazione “domestica”, così concepita, pur nella serietà degli intenti e nella lodevole volontà di colmare lacune nell’inerzia dello Stato, rischia tuttavia di rimanere, solo in via residuale, un sistema certificativo mirato a costruire standard di qualità superiore della prestazione professionale in specifici ambiti settoriali, e di assumere impropriamente, in via primaria, la funzione di enfatizzazione della visibilità e dell’appeal professionale dell’avvocato a fini promozionali, con la possibilità di innescare surrettiziamente indiscriminate “corse” alla specializzazione, non in funzione delle peculiari vocazioni dell’aspirante specialista, ma per il timore del professionista di rimanere “un passo indietro”, in un mercato in cui l’esasperazione competitiva – data dall’accesso di offerta prestazionale – privilegia l’esternazione delle qualità e l’ostensibilità dei titoli, rispetto alla solidità della preparazione e allo scrupolo professionale. Ciò premesso, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ravenna, ove il Regolamento venga adottato prima di ogni disciplina specifica in punto, auspica vengano considerate le sopraestese osservazioni.

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Terza Parte

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Circolare C.N.F. n. 29-C-2010 del 30.9.2010 con cui viene trasmesso il testo definitivo del regolamento sulle specializzazioni approvato il 24.9.2010 Roma, 30 settembre 2010 Ill.mi Signori Avvocati

PRESIDENTI DEI CONSIGLI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI PRESIDENTI DELLE UNIONI REGIONALI FORENSI per il tramite dei C.O.A. distrettuali

PRESIDENTI DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI

maggiormente rappresentative in ambito congressuale

PRESIDENTE DELL’O.U.A.

PRESIDENTE DELLA CASSA FORENSE e, per conoscenza: Ill.mi Signori Avvocati COMPONENTI IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE LORO SEDI

Cari Presidenti,

Vi trasmetto il testo del regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista che il Consiglio nazionale ha approvato nella seduta amministrativa del 24 settembre. Il regolamento entrerà in vigore il 30 giugno 2011, ed è prevista una prima fase applicativa di carattere sperimentale, al termine della quale potranno essere decisi modifiche ed adattamenti opportuni. Il testo è corredato di una diffusa relazione che dà conto delle scelte compiute e tiene conto di tutte le osservazioni pervenute. Il regolamento è infatti il risultato di un ampio processo di consultazione che ci ha occupati negli ultimi mesi, ed al quale hanno partecipato molti Ordini e numerose Associazioni, condividendo in larghissima maggioranza lo spirito Quaderni

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ed il senso dell’iniziativa, ed offrendo puntuali suggerimenti migliorativi, soprattutto nella proficua Assemblea dello scorso 18 settembre. Le specializzazioni sono un tema di pluridecennale discussione, e sono oggi divenute un passaggio ineludibile verso la modernizzazione della categoria, per dotare l’Avvocatura italiana di nuovi strumenti idonei a garantire la qualità delle prestazioni professionali, nell’interesse dei cittadini. Un passaggio non più rinviabile, soprattutto alla luce delle letargiche lentezze di Governo e Parlamento, che, a fronte delle promesse solennemente ribadite anche nei nostri congressi, hanno arrestato la discussione del progetto di legge di riforma dell’ ordinamento forense, che giace al Senato senza alcuna certezza in ordine alla calendarizzazione dei lavori. Nel frattempo, erratiche ed estemporanee iniziative normative in materia di giustizia si succedono senza la previa, opportuna, e legislativamente dovuta consultazione dell’Avvocatura. Era dunque indispensabile dare un segnale forte alla politica ed al Paese, manifestando in modo inequivocabile la volontà della categoria di procedere nelle necessarie riforme che valorizzino adeguatamente il ruolo degli avvocati nell’amministrazione della giustizia, e più in generale il ruolo sociale di un’Avvocatura garante dei diritti dei cittadini. Ed era necessario farlo ora, in modo che questo messaggio forte e chiaro arrivi a tutti dal prossimo Congresso di Genova, dove l’Avvocatura deve non solo esprimere le ineludibili richieste, ma anche dimostrare di essere in grado di elaborare e governare – anche da sola, se necessario – i cambiamenti che i tempi richiedono. Sappiamo bene che il processo che abbiamo intrapreso è largamente condiviso. Non mancheranno – come detto – tempi e luoghi per gli aggiustamenti opportuni: tuttavia è necessario che, in questa fase così delicata, l’Avvocatura si presenti unita e compatta, e i pur comprensibili motivi di puntuale disagio su specifiche misure non siano espressi in forme e modalità tali da vanificare le ragioni di solidarietà ed unità. La stessa unità che l’Avvocatura ha saputo dimostrare con riguardo al progetto di riforma dell’ordinamento forense, del quale le specializzazioni costituiscono parte integrante e qualificante, e che la nostra attuale iniziativa intende proprio rilanciare con forza. La stessa preziosa unità che alza il velo sulla insufficienza della politica, rimuovendo ogni possibile scusa basata sulla nostra frammentazione. Ciò detto, richiamo la vostra attenzione sul fatto che nulla in questo regolamento vi è di obbligatorio, nulla di irreversibile e nulla di automatico.

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Nulla di obbligatorio perché, a parte ciò che è necessario per conseguire il titolo, l’acquisizione di quest’ultima non è obbligatoria ma corrisponde ad una facoltà che è anche un’opportunità soprattutto per i più giovani; nulla vi è di irreversibile perché l’art. 13) si occupa di dire che al termine del periodo di sperimentazione sino al 30.6.2012, questo Consiglio apporterà tutte le modifiche che – suggerite anche da voi – saranno ritenute necessarie per eliminare lacune o mancanza di coordinamento ma soprattutto per revisionare, se necessario, l’elenco delle aree di specializzazione; nulla vi è di automatico perché l’art. 14) si occupa di chiarire che l’anzianità non determina un effetto trascinamento e di per sé non attribuisce il titolo di specialista essendo l’interessato sottoposto ad un doppio vaglio, del consiglio territoriale di appartenenza e del Consiglio nazionale forense. Confidando nella condivisione dei sentimenti che hanno governato l’elaborazione del testo, porgo a tutti i calorosi saluti del Consiglio nazionale, oltre che i miei personali. Avv. Prof. Guido Alpa

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REGOLAMENTO DEFINITIVO approvato dal C.N.F. nella seduta del 24.9.2010 Art. 1 - Oggetto del regolamento 1. Il presente regolamento disciplina le modalità per l’acquisizione del titolo di avvocato specialista ed il suo mantenimento. Art. 2 - Definizione di avvocato specialista 1. È specialista l’avvocato che ha acquisito, in una delle aree del diritto sotto indicate, una specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio nazionale forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio della formazione continua, nei termini ed alle condizioni che seguono. Art. 3 - Elenco delle specializzazioni 1. L’avvocato può conseguire il diploma di specialista in non più di due delle seguenti aree del diritto: 1) diritto di famiglia, dei minori, e delle persone; 2) diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni; 3) diritto commerciale; 4) diritto del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale; 5) diritto industriale; 6) diritto della concorrenza; 7) diritto tributario;

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8) diritto amministrativo; 9) diritto della navigazione; 10) diritto dell’Unione europea; 11) diritto penale. 2. In nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione da parte dell’avvocato del titolo di specialista Art. 4 - Aggiornamento dell’elenco delle specializzazioni 1. Salvo quanto previsto dall’art. 14) il Consiglio nazionale forense, sentiti i Consigli degli Ordini e le associazioni specialistiche del settore di cui al successivo art. 11 che entro trenta giorni di tempo dalla richiesta esprimono il proprio parere, potrà aggiornare ogni quatto anni l’elenco delle specializzazioni di cui al precedente art. 3. Art. 5 - Requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista 1. Per conseguire il titolo di avvocato specialista in una delle aree previste dal presente Regolamento e successive sue modifiche ed integrazioni, l’avvocato deve: (a) aver maturato un’anzianità di iscrizione all’albo, ininterrotta, di almeno sei anni all’atto della presentazione della domanda per sostenere l’esame di cui sub (e) che segue; (b) non aver riportato nei tre anni precedenti la presentazione della domanda una sanzione disciplinare definitiva conseguente ad un comportamento realizzato in violazione del dovere di competenza o di aggiornamento professionale; (c) non essere stato destinatario nei due anni antecedenti la domanda della sanzione di cui sub 6 che segue; (d) aver frequentato, proficuamente e continuativamente, per almeno un Quaderni

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biennio, una scuola, od un corso di alta formazione riconosciuti dal Consiglio nazionale forense e tenuti da enti, o soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7) ed aver conseguito il relativo attestato non prima di due anni rispetto alla data di presentazione della domanda di cui sub (e); (e) aver presentato domanda da depositare, con la documentazione richiesta, presso la sede del Consiglio nazionale forense; (f) aver sostenuto con esito positivo l’esame presso il Consiglio nazionale forense. 2. Il titolo di avvocato specialista è conferito con il rilascio di apposito diploma da parte del Consiglio nazionale forense ed è soggetto a revoca da parte di quest’ultimo per i motivi di cui all’art. 6). Il nome dell’avvocato specialista è inserito nell’apposito registro tenuto dal Consiglio nazionale forense, accessibile al pubblico tramite pubblicazione nel suo sito Internet. Il Consiglio nazionale forense comunicherà, periodicamente, ai Consigli degli ordini degli avvocati il nominativo degli avvocati specialisti iscritti nei rispettivi albi di appartenenza. 3. Se in possesso di un diploma di specializzazione, o titolo equipollente, comunque rilasciato esclusivamente da un’Università degli Studi, o da Enti equiparati, in una delle aree di specializzazione di cui all’art. 3) che precede, l’interessato può chiedere al Consiglio nazionale forense di valutarlo ai fini del rilascio del diploma di specializzazione. 4. L’interessato deve presentare al Consiglio nazionale forense una domanda di riconoscimento del diploma di cui al comma che precede, conseguito da non più di quattro anni, allegando il diploma in originale, o in copia autentica, nonché certificazione, anche nella forma dell’autodichiarazione, attestante la durata del corso e le materie oggetto di studio ed approfondimento. Il Consiglio nazionale forense al termine dell’istruttoria, nel corso della quale può richiedere ulteriore documentazione e chiarimenti, delibera: (a) di ammettere il richiedente a sostenere direttamente l’esame di cui all’art. 10);

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oppure (b) di subordinare l’ammissione all’esame alla frequenza dei corsi di cui all’art. 7), in tal caso determinando l’ammontare del monte ore necessario. Art. 6 - Condizioni per il mantenimento del titolo di avvocato specialista 1-. Il titolo di avvocato specialista è soggetto a revoca quando l’interessato non adempia agli obblighi di formazione continua, specificamente nell’area di specializzazione, secondo le modalità previste dall’art. 12. 2. La revoca è pronunciata dal Consiglio nazionale forense su segnalazione del Consiglio dell’ordine degli avvocati nel cui albo è iscritto l’interessato. Il Consiglio dell’ordine, previa contestazione dell’addebito, sentito l’interessato, al termine di un procedimento da condurre secondo le prescrizioni della legge 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni, invierà al Consiglio nazionale forense motivata richiesta di revoca completa degli atti del procedimento. 3. La revoca produrrà effetti dal giorno successivo a quello della notifica del relativo provvedimento. 4. La revoca del titolo non preclude il suo riacquisto alle condizioni, nessuna esclusa, di cui all’art. 5). Art. 7 - Scuole e corsi di alta formazione 1. La frequenza delle scuole, o dei corsi di alta formazione di cui all’art. 5.d), dovrà avere durata non inferiore al biennio, per un minimo di 200 (duecento) ore complessive di studio ed esercitazioni, anche pratiche. 2. Il rilascio dell’attestato di cui all’art. 5.d) presuppone la frequenza della scuola, o del corso, senza assenze, o con assenze complessivamente non superiori al dieci per cento del monte ore biennale complessivo.

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3. Ai fini del conseguimento del titolo di avvocato specialista sarà considerato valido solo l’attestato di frequenza rilasciato dagli enti e soggetti di cui al comma seguente. 4. Le scuole ed i corsi di alta formazione potranno essere organizzati e gestiti: (a) dal Consiglio nazionale forense, direttamente, o tramite la Scuola superiore dell’avvocatura; (b) dai Consigli dell’ordine degli avvocati, anche in forma associata, direttamente, o tramite le loro fondazioni o Scuole di formazione forense riconosciute dal Consiglio nazionale forense; (c) dalle associazioni forensi costituite fra avvocati specialisti, riconosciute dal Consiglio nazionale forense ai sensi dell’art. 11); (d) dagli altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente. 5. I soggetti di cui alle lettere (c) e (d) di cui al comma 4) inviano al Consiglio nazionale forense una apposita domanda di iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla istituzione e gestione delle scuole, o dei corsi di alta formazione, allegando copia dello statuto e del regolamento interno di funzionamento, specificando la loro qualifica e caratteristiche, nonché producendo dichiarazione di impegno ad organizzare e gestire le scuole, o i corsi di alta formazione, con modalità tali da garantire la realizzazione degli scopi del presente regolamento, ed in particolare la tutela dell’affidamento della collettività; gli istanti dovranno specificare, altresì, che a loro carico non sono stati adottati provvedimenti, seppur non definitivi, o stabilizzati negli effetti, di revoca dell’iscrizione nel registro ai sensi del comma 8) del presente articolo, o dell’autorizzazione di cui all’art. 8.2). 6. I Consigli dell’ordine degli avvocati, anche in forma associata, direttamente, o tramite le loro fondazioni o scuole, sono iscritti a semplice richiesta nel registro, senz’altra formalità, ferma la possibilità per il Consiglio nazionale forense di revocare detta iscrizione ai sensi di quanto previsto nel comma 8). 7. Il Consiglio nazionale forense al termine dell’istruttoria sulla doman-

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da, nel corso della quale può chiedere chiarimenti, o integrazioni documentali, o informative, iscrive il richiedente nel registro, o comunica il rifiuto. 8. Il Consiglio nazionale forense, in attuazione delle sue funzioni di ispezione e controllo per il cui esercizio potrà in qualsiasi momento richiedere informazioni, documenti, chiarimenti e impartire segnalazioni e direttive, revoca l’iscrizione nel registro in uno dei seguenti casi: (a) quando accerti che sono venuti meno i requisiti di iscrizione: (b) quando verifichi che non sia stata richiesta, ovvero, se richiesta, rifiutata l’autorizzazione di cui all’art. 8), per almeno due volte; (c) quando accerti che, sebbene autorizzata, la gestione e l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avviene nel rispetto del programma di cui all’art. 8.1.a), o avviene con modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di cui all’art. 7.5). d) quando non siano state osservate le segnalazioni e le direttive di cui sopra. 9. La revoca è pronunciata dal Consiglio nazionale forense al termine di un procedimento amministrativo regolato dalle norme della legge 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni. Art. 8 - Approvazione preventiva e sorveglianza delle scuole e dei corsi di alta formazione l. I soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7 possono organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione con effetti utili al rilascio dell’attestato di cui all’art. 5 solo se: (a) avranno presentato al Consiglio nazionale forense, annualmente e prima dell’inizio di ogni singolo anno scolastico, o di corso, il programma dettagliato della scuola, o del corso, con specifica indicazione delle materie trattate, delle ore destinate a ciascuna di esse, degli argomenti trattati e dei docenti, con relativa qualifica;

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(b) avranno ottenuto da parte del Consiglio nazionale forense l’autorizzazione rilasciata sulla base delle indicazioni fornite. 2. L’autorizzazione si intende in ogni caso concessa ove entro 120 giorni dal ricevimento della relativa documentazione non sia espressamente rifiutata; il termine è interrotto nel caso di richiesta di informazioni, o documentazione integrativa e riprende a decorrere a partire dal momento in cui le une, o l’altra, siano state fornite. 3. L’autorizzazione è revocata nei casi in cui la gestione e l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avvenga nel rispetto del programma, o avvenga con modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista. 4. Il Consiglio nazionale forense esercita il potere di ispezione e controllo, sia ai fini della revoca dell’iscrizione nel registro, sia ai fini del rilascio o della revoca dell’autorizzazione Art. 9 - Attribuzione del titolo di specialista 1. Il titolo di avvocato specialista, seguito dall’indicazione dell’area di riferimento è attribuito esclusivamente dal Consiglio nazionale forense, previo superamento dell’apposito esame di cui all’art. 10. Art. 10 - Commissioni e disciplina dell’esame 1. Le Commissioni d’esame per l’attribuzione del titolo di specialista, presiedute da uno dei membri nominati dal Consiglio nazionale forense, saranno composte da cinque commissari effettivi e cinque supplenti di cui: (a) tre effettivi e tre supplenti nominati dal Consiglio nazionale forense; all’atto della nomina il Consiglio nazionale forense designerà il commissario che assumerà le funzioni di presidente; (b) due effettivi e due supplenti nominati dall’associazione specialistica

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competente. Nel caso di più associazioni specialistiche, le stesse dovranno provvedere di concerto. Nel caso di mancata effettuazione della nomina da parte dell’associazione specialistica, o nel caso in cui manchi il concerto, alla nomina provvede il Consiglio nazionale forense. 2. I commissari dovranno essere scelti tra avvocati iscritti nell’albo speciale per l’esercizio innanzi alle Magistrature superiori. 3. Ai fini dell’esame, ogni interessato presenta domanda al Consiglio nazionale forense unitamente alla documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti previsti ed a quella necessaria a consentire alla Commissione d’esame la valutazione del possesso dell’esperienza pregressa di cui al comma 5, lett. b) del presente articolo, nonché il pagamento del contributo di cui al comma 9) del presente articolo. 4. La Commissione si riunisce su convocazione del suo presidente per la fissazione del calendario delle prove d’esame di cui è data comunicazione all’interessato al recapito da questi indicato nella domanda ed al Ministero della Giustizia. 5. L’esame consiste: ne;

(a) in una prova scritta su materia attinente all’area di specializzazio-

(b) in una prova orale su argomenti relativi alla materia attinente all’area di specializzazione, ed avente ad oggetto anche la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa nella materia. 6. L’esame si intenderà superato con esito favorevole se il candidato avrà riportato una votazione di almeno 30/50 in ciascuna prova. Alla prova orale è ammesso il candidato che abbia riportato una votazione minima di 30/50 nella prova scritta. 7. Ai fini della prova orale avente ad oggetto la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa, il candidato dovrà comprovare, salvaguardando il segreto professionale, il numero dei casi trattati, il modo in Quaderni

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cui le pratiche sono state coltivate e il loro grado di complessità. A tal fine presenterà all’atto della domanda di ammissione all’esame ed unita a questa, una relazione scritta con l’indicazione anonima di un numero significativo di casi, delle autorità presso cui sono stati trattati, del loro numero di ruolo generale, delle udienze, delle problematiche poste dalle singole fattispecie e di quant’altro ritenuto opportuno, unitamente alla documentazione, anche in copia non autentica, atta a comprovare quanto oggetto della dichiarazione. 8. Dell’avvenuto superamento dell’esame la Commissione rilascia certificazione all’interessato ai fini dell’iscrizione nel registro. 9. Il Consiglio nazionale forense determina l’ammontare del contributo dovuto da ciascun candidato all’atto della presentazione della domanda di partecipazione. Art. 11 - Associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF l. Ai fini del presente regolamento il Consiglio nazionale forense tiene aggiornato e reso accessibile al pubblico, tramite pubblicazione nel suo sito Internet, l’elenco delle associazioni costituite fra avvocati specialisti. 2. Per l’iscrizione nell’elenco, le associazioni specialistiche dovranno fornire tutta la documentazione utile a dimostrare la loro rappresentatività e diffusione territoriale. 3. Ai fini del riconoscimento della diffusione territoriale l’associazione deve dimostrare la sua articolazione territoriale, con autonome sezioni, in almeno la metà dei distretti delle Corti d’Appello. Ai fini del riconoscimento della rappresentatività, l’associazione deve dimostrare di avere un numero di iscritti pari ad almeno il 20% degli avvocati specialisti nella relativa area. 4. Lo statuto dell’associazione deve: (a) prevedere come unica finalità la promozione del profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti;

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(b) escludere espressamente il rilascio da parte dell’associazione di attestati di competenza professionale; (c) prevedere una disciplina degli organi associativi su base democratica e non avere fini di lucro. L’associazione deve dotarsi di strutture organizzative e tecnico-scientifiche idonee ad assicurare l’adeguato livello di qualificazione e aggiornamento professionali;. 5. Il Consiglio nazionale forense, anche per il tramite dei Consigli degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sul mantenimento dei requisiti e delle condizioni per il riconoscimento delle associazioni di cui al presente articolo, nonché il controllo sul rispetto delle prescrizioni. Le associazioni specialistiche dovranno attestare e, ove richiesto, comprovare, almeno ogni triennio, la permanenza dei requisiti di cui sopra. 6. In sede di prima applicazione, sono inserite di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche le associazioni forensi specialistiche riconosciute come maggiormente rappresentative dal Congresso Nazionale Forense e cioè: (a) l’Associazione Avvocati Giuslavoristi italiani (AGI); (b) l’Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia (AIAF); (c) l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI); (d) l’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT); (e) l’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC); (f) la Società italiana avvocati amministrativisti (SIAA). 7. In nessun caso le associazioni specialistiche potranno rilasciare attestati di specializzazione, o di specifica competenza professionale.

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Art. 12 - Aggiornamento professionale specialistico 1. Gli avvocati che abbiano conseguito il titolo di specialista sono tenuti, ai fini del suo mantenimento, a curare il proprio aggiornamento professionale secondo le modalità stabilite nel presente regolamento. Restano ferme, per quanto non espressamente derogato dal presente Regolamento, le disposizioni del Regolamento sulla formazione continua. 2. Il periodo di valutazione dell’aggiornamento professionale è il triennio. 3. L’unità di misura dell’aggiornamento professionale è il credito formativo. 4. Ogni avvocato specialista deve conseguire nel triennio almeno n. 120 formativi, di cui almeno 30 in ogni singolo anno. 5. I crediti formativi conseguiti per l’aggiornamento professionale specialistico, sono valutabili come crediti formativi per la formazione continua di cui al regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense il 13 luglio 2007 e successive modificazioni. 6. La verifica dell’aggiornamento professionale è rimessa al Consiglio dell’ordine nel cui albo l’avvocato è iscritto. 7. I corsi di formazione continua nelle materie specialistiche potranno essere organizzati esclusivamente dai soggetti abilitati ad organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione ed iscritti nel relativo registro tenuto dal Consiglio nazionale forense. Art. 13 - Disciplina transitoria 1- Gli avvocati che all’atto dell’entrata in vigore del presente regolamento hanno un’anzianità di iscrizione all’albo, continuativa, di almeno 20 anni acquisiscono il titolo di specialista in non più di una delle aree di cui all’art. 3, alle seguenti condizioni:

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a) avere presentato al Consiglio nazionale forense, per il tramite del Consiglio dell’ordine di appartenenza, domanda corredata dalla documentazione e dai titoli idonei a comprovare una specifica competenza teorica e pratica nel settore prescelto; b) ove ritenuto necessario dal Consiglio nazionale forense, avere sostenuto con esito positivo presso lo stesso Consiglio nazionale un colloquio vertente sulla documentazione e i titoli presentati. 2. In relazione a quanto sub a), il Consiglio dell’ordine trasmetterà al Consiglio nazionale la documentazione ed i titoli corredati di parere non vincolante. 3. L’avvocato è iscritto nel registro degli avvocati specialisti se la domanda non è espressamente rifiutata entro 120 giorni dal ricevimento della stessa. Il termine è interrotto nel caso di richiesta di informazioni, o documentazione integrativa e riprende a decorrere a partire dal momento in cui le une, o l’altra, siano state fornite. Art. 14 - Entrata in vigore. Revisione del regolamento 1. Il presente regolamento entra in vigore il 30 giugno 2011. Entro un anno dall’entrata in vigore il Consiglio nazionale forense, sentiti i Consigli dell’ordine degli avvocati, e le Associazioni specialistiche, potrà procedere, se necessario, alla revisione delle disposizioni del presente regolamento, con particolare riferimento alle aree di specializzazione, ai fini della tutela dell’affidamento della collettività. Roma, 24 settembre 2010

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RELAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO al regolamento Art. 1 - (Oggetto del regolamento) La norma stabilisce che oggetto della disciplina regolamentare sono presupposti e modalità per l’acquisizione del titolo di specialista e le condizioni per mantenerlo una volta acquisito; ne esula, pertanto, la materia disciplinata dal codice deontologico forense laddove (art. 17 bis) si prevede che l’avvocato può, tra l’altro, dare indicazioni circa “(…) i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente”. I due aspetti restano separati, diversa essendo la specializzazione rispetto alla materia di attività prevalente. La prima è espressione di una particolare competenza, che pone lo specialista su un gradino superiore di conoscenza ed abilità rispetto all’avvocato generalista; l’esercizio, invece, in modo prevalente in un dato settore non significa per ciò solo possedere particolari abilità specialistiche. Per questo motivo, mentre il se della veste di specialista richiede un vaglio particolare della competenza e l’informazione circa il possesso della relativa qualità non può essere disgiunta dall’esaurimento, con esito positivo, del complesso procedimento per l’acquisto del relativo titolo, l’indicazione della materia di attività prevalente è (se così si può dire) libera in quanto costituisce nulla più che la fotografia delle modalità espressive di una data attività professionale, senza pretesa che essa denunci il possesso di particolari abilità e competenze, a parte quelle che la pratica costante di una data materia possono far supporre che costituiscano, in ogni caso, la dotazione frutto dell’esperienza. Si lega a questa considerazione l’indicazione del comma 2 dell’art. 3) laddove ammonisce che “in nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione da parte dell’avvocato del titolo di specialista”. Se questo è vero in linea teorica, nella pratica la spendita del titolo di specialista e l’indicazione della materia di attività prevalente, possono dar vita ad un messaggio potenzialmente decettivo tutte le volte che la comunicazione circa quest’ultima (materia di attività prevalente) risulti ambigua tanto da far supporre di essere in presenza di uno specialista. Occorrerà vagliare, caso per caso, il potenziale decettivo dell’indicazione circa la materia di attività prevalente al fine di sanzionare adeguatamen-

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te il comportamento di chi, facendo leva su ciò che il codice deontologico forense consente di indicare, crea, per le modalità e per il contenuto del messaggio, confusioni ed ambiguità. Queste conseguenze negative – da mettere in conto e che si può contribuire ad eliminare anche tramite una revisione degli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico forense – costituiscono un costo certamente accettabile a fronte dei ben più gravi effetti distorsivi derivanti dall’auto-proclamazione di competenze che la mancanza di un regolamento sulle specializzazioni potrebbe comunque generare. Va poi detto che lo scopo di quest’ultimo non è di creare aree di riserva a vantaggio di ristrette elite professionali; al contrario, è funzionale a tutelare l’affidamento del cittadino sulla professionalità dell’avvocato, favorendo, al contempo, l’acquisizione di saperi specialistici che sono, in quanto tali, garanzia di migliore qualità della prestazione. Questa finalità di tutela dell’interesse della collettività alla qualità della prestazione traspare in più parti della disciplina e costituisce, ad esempio, una delle ragioni che hanno indotto a costruire una normativa transitoria non imperniata sulla meccanica acquisizione del titolo di specialista per il solo fatto del possesso di una certa anzianità di esercizio professionale; sempre in questa prospettiva si spiega il particolare rigore del percorso studiato per l’acquisizione del titolo, completato dal requisito di un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno sei anni. Non è superfluo, poi, precisare che la specializzazione costituisce un’opportunità e l’acquisizione del relativo titolo una facoltà. È un’opportunità perché, se riguardata dal lato soprattutto dei giovani, un’anzianità di sei anni di iscrizione all’albo, se è il minimo richiedibile per avere quella “(…) esperienza pregressa nella materia” che va dimostrata in sede di prova orale (art. 10, co. 5, lett. (b), ma v. anche art. 2), non è tale da impedire l’acquisto del titolo da parte dei giovani avvocati per i quali la qualifica di specialista costituirà un fattore di miglioramento competitivo rispetto agli avvocati più anziani, affermati e meglio radicati nel mondo della professione. È contemporaneamente una facoltà perché nulla nel regolamento è obbligatorio, salvo ciò che è necessario per acquisire il titolo di specialista una volta presa la decisione di acquisirlo. Da ultimo, il regolamento allinea l’Italia ai paesi che già si sono dotati di un regolamento sulla specializzazione, come il Regno Unito, la Germania, la Francia, il Belgio, il Portogallo, la Croazia, la Slovenia, la Svizzera; e si adegua alle raccomandazioni del CCBE del 29.9.2009 di favorire una formazione di qualità superiore ed una disciplina concernente la specializzazione. Quaderni

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Art. 2 - (Definizione di avvocato specialista) Si definisce l’avvocato specialista quello che ha acquisito, in una delle aree del diritto indicate dall’art. 3), una specifica e significativa competenza teorica e pratica; specifica, perché la conoscenza deve riguardare quella determinata area, significativa perché non è sufficiente una conoscenza ordinaria, ma appunto superiore. Quest’ultima – avverte la norma – deve essere non solo teorica, ma anche pratica, per cui non basta il sapere, ma è necessaria anche la data nel modo indicato dall’art. 10), co. 7) e, cioè, comprovando “(…) il numero dei casi trattati, il modo in cui le pratiche sono state coltivate e il loro grado di complessità”, ciò che costituirà, poi, argomento di discussione in sede di prova orale (art. 10, co. 6, lett. b). L’art. 2) soggiunge che non è sufficiente aver conseguito il titolo di specialista poiché la conoscenza specifica e significativa che ne è alla base, va conservata nel corso degli anni secondo il principio della formazione continua, con chiaro riferimento, perciò, anche al fatto che – giusta il regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense il 13.7.2007 – essa non va solo mantenuta, ma anche integrata con i nuovi saperi e rimanendo al passo delle nuove acquisizioni, anche giurisprudenziali. Infine, con l’avverbio esclusivamente riferito al soggetto in grado di rilasciare il diploma di specialista, la norma avverte che l’unica competenza al riguardo è del Consiglio nazionale forense; il tutto, peraltro, nel contesto di un apporto costruttivo ed implicante condivisione di compiti e funzioni da parte dei Consigli dell’Ordine e delle Associazioni specialistiche. Art. 3 - (Elenco specializzazioni) L’art. 3) elenca le aree di specializzazione individuandole in complessive undici e costituisce il frutto di una scelta di mediazione tra due opposte concezioni: quella di ispirazione tedesca, imperniata su poche aree e quella francese, condizionata da una più accentuata segmentazione; nel primo caso le aree sono state individuate in quelle del diritto del lavoro, diritto della sicurezza sociale, diritto tributario, diritto amministrativo, diritto di famiglia, diritto fallimentare, diritto penale e diritto delle assicurazioni (tale ultima area di specializzazione è stata introdotta con la riforma del 1° settembre 2003); nel secondo la nuova lista delle specializzazioni approva-

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ta dall’assemblea generale del Conseil National des Barreaux del 12 e 13 marzo 2010, ne evidenzia ben 29; in essa figurano specializzazioni come droit des etrangers ed de la nationalitè, droit de la santè, droit douanier, droit de l’enviroment, droit de la fiducie. Ma figurano anche specializzazioni collegate a macroaree come droit penal e droit public. L’elenco che esposto nel presente regolamento tiene conto della necessità di non spingersi eccessivamente oltre nel dettaglio, prendendo spunto anche da ciò che segnala la pratica ed il diritto vivente, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti collegati alla macroarea del diritto civile che si è ritenuto di non identificare come oggetto di possibile specializzazione in quanto tale, trattandosi di settore troppo vasto e rispetto al quale la stessa suddivisione in sei libri del codice civile, segnala la complessità e la sua articolazione in ambiti dotati di propri caratteri distintivi. Uguale criterio non è stato seguito per il diritto penale e per il diritto amministrativo; per il primo, svolgendo la conoscenza dei meccanismi del processo ruolo determinante ed imprescindibile, qualsiasi sia il sottosettore di specializzazione individuato; per il secondo, trattandosi di materia non adeguatamente scomponibile. La sperimentazione che seguirà l’entrata in vigore del regolamento consentirà di vagliare la coerenza delle scelte così effettuate e proprio allo scopo di apportare quegli aggiustamenti che eventualmente si rendessero necessari, all’elenco dell’art. 3) si collega la norma di chiusura dell’art. 14) secondo cui “(…) entro un anno dall’entrata in vigore il Consiglio nazionale forense, sentiti i Consigli dell’ordine degli avvocati e le associazioni specialistiche, potrà procedere, se necessario, alla revisione delle disposizioni del presente regolamento, con particolare riferimento alle aree di specializzazione (…)”. Infine, il comma 2 dell’art. 3), prevedendo che “in nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione, da parte dell’avvocato, del titolo di specialista”, conferma quanto innanzi detto a proposito della distinzione concettuale che va mantenuta – sino all’eventuale revisione del codice deontologico forense – tra aree di specializzazione e settori di prevalente esercizio dell’attività professionale. Su questo aspetto va richiamata l’attenzione dei Consigli dell’Ordine in punto alla vigilanza disciplinare necessaria ad evitare possibili abusi.

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Art. 4 - (Aggiornamento dell’elenco delle specializzazioni) Accanto alla possibilità di revisione straordinaria dell’elenco delle specializzazioni a seguito della prima sperimentazione del regolamento, facoltà di revisione da esercitare ex art. 14) nel corso del primo anno dalla sua entrata in vigore (e quindi sino a tutto il 30.6.2012 entrando in vigore il regolamento il 30.6.2011), è stata prevista con l’art. 4) una sorta di revisione (si potrebbe dire) ordinaria quadriennale dell’elenco delle specializzazioni. Essa mira a mantenere quest’ultimo al passo con l’evoluzione dei saperi specialistici, garantendo al regolamento la flessibilità necessaria e proprio per questo è prevista la cooperazione dei Consigli dell’Ordine e delle Associazioni specialistiche che dovranno fornire il loro parere al riguardo; tale cooperazione, peraltro, non è detto si esaurisca solo nella predetta attività consultiva, perché nulla impedisce che Consigli territoriali ed associazioni suggeriscano essi stessi le soppressioni, o le integrazioni ritenute del caso, trasformandosi in fattori propulsivi del potere di aggiornamento attribuito al Consiglio nazionale forense. Per quanto riguarda specificamente le Associazioni specialistiche, il potere di interlocuzione sotto forma di intervento consultivo, o propositivo, è stato riconosciuto esclusivamente in capo a quelle previste dall’art. 11) e cioè alle Associazioni riconosciute dal Consiglio nazionale forense comprese quelle inserite di diritto nel relativo elenco di cui al comma 6 del cit. art. 11). Per evitare le incertezze conseguenti ad aggiornamenti troppo ravvicinati nel tempo, è stato ritenuto congruo un intervallo di quattro anni tra un aggiornamento e l’altro. Art. 5 - (Requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista) L’art. 5) elenca i requisiti indispensabili per conseguire il titolo di specialista. Il primo comma, lett. a), è l’anzianità di iscrizione all’albo di almeno sei anni, periodo che coniuga esigenze di rigore e serietà del processo di acquisizione del titolo, con la necessità di favorirne l’apprensione anche da parte dei giovani avvocati, quelli per i quali più degli altri la spendita della qualifica può rappresentare fattore concorrenziale. Nella lettera b) del cit. comma 1, compare il requisito dell’assenza di sanzioni disciplinari stabilizzatesi (cioè, definitive), subite nei tre anni

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precedenti la presentazione della domanda per l’acquisizione del titolo; sennonché, per garantire una base di giustificazione logica alla previsione anche nel rispetto del principio di proporzionalità, è previsto che tali sanzioni debbano essere state irrogate in relazione a comportamenti deontologicamente rilevanti attuati in violazione del dovere di competenza, o di aggiornamento professionale; ambedue i corrispondenti doveri deontologici, infatti, hanno una diretta correlazione con la specializzazione posto che non è logico possa aspirare a conseguire il titolo chi non si è formato come avrebbe dovuto, ovvero ha dimostrato la sua incompetenza. Tutte le altre sanzioni, invece, eventualmente subite dall’interessato anche nei tre anni precedenti la presentazione della domanda, stabilizzatesi, ma irrogate per violazioni di doveri deontologici diversi da quelli suindicati, non sono ostative al conseguimento del titolo. La lettera c) dell’art. 5) introduce, poi, l’ulteriore requisito per cui nei due anni precedenti la domanda non deve essere stata adottata a carico dell’interessato la sanzione di cui all’art. 6); in suo pregiudizio, cioè, non deve essere stata pronunciata la revoca del titolo a causa dell’inadempimento degli obblighi di formazione continua previsti dall’art. 12) quale condizione per il mantenimento della qualifica di specialista. Se non fosse stato previsto un intervallo di tempo tra la revoca e la presentazione della domanda per il riacquisto del titolo (l’art. 6, co. 4, infatti, prevede che la revoca non impedisce il suo riacquisto) la sanzione sarebbe rimasta sostanzialmente priva di contenuto concreto, potendo essere vanificata da un pressoché immediato riacquisto della qualifica. Un intervallo di due anni durante i quali non può essere presentata la domanda per partecipare all’esame è parso congruo e soprattutto rispettoso, anche qui, del principio di proporzionalità. Il requisito previsto dalla lettera d) consiste nel possesso dell’attestato di frequenza, proficua e continuativa, di una scuola, o corso di alta formazione, riconosciuti dal Consiglio nazionale forense e tenuti da enti, o soggetti, iscritti nel registro di cui all’art. 7). Si prevede, altresì, che tale attestato non sia stato conseguito più di due anni prima della data di presentazione della domanda; tale intervallo massimo di validità temporale garantisce che esso continui ad essere espressivo di perdurante competenza ad evitare il rischio che, in mancanza di qualsiasi scadenza, possano darsi casi di presentazione di domande di partecipazione all’esame dopo lustri dalla frequenza di scuole, o corsi. Un lasso temporale di due anni – poi – entro cui decidere se presentare, o meno, la domanda, appare più che congruo. Quaderni

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I successivi requisiti di cui alle lettere e) ed f) attengono alla necessità che sia presentata apposita domanda al Consiglio nazionale forense corredata dai documenti necessari, mentre il superamento dell’esame è l’altra condizione indispensabile. Il comma 2) dell’art. 5) stabilisce che il titolo di avvocato specialista è conferito col rilascio di apposito diploma rilasciato dal Consiglio nazionale forense il quale istituisce un registro, pubblicato sul suo sito Internet, nel quale inserisce il nominativo di ciascun avvocato cui è stato conferito il diploma. La pubblicazione del registro nel sito Internet, consentendo la rapida consultazione, permette di soddisfare con immediatezza le esigenze conoscitive di chiunque. Il comma prevede anche che il Consiglio nazionale forense comunichi periodicamente ai singoli consigli territoriali interessati i nominativi degli avvocati cui ha conferito il diploma di specialista e che risultano iscritti negli albi da essi tenuti; la previsione ha lo scopo di consentire anche ai consigli territoriali di avere chiaro il quadro dei propri iscritti che sono divenuti specialisti per due motivi fondamentali; il primo, quello di permettere, se interessati, di predisporre a loro volta un elenco degli specialisti ai fini della sua consultazione da parte del pubblico, o per fornire risposta ad eventuali richieste di segnalazione di specialisti in date aree; il secondo, non meno importante, quello di permettere il controllo e la vigilanza circa l’adempimento da parte degli interessati degli obblighi di formazione continua specialistica il cui inadempimento giustifica la revoca del titolo. Revoca che, seppur pronunciata dal Consiglio nazionale forense, presuppone la segnalazione del Consiglio territoriale, l’unico in grado di verificare l’adempimento dell’obbligo formativo che assume una sua particolare fisionomia quando si tratta di uno specialista. È chiaro, peraltro, che l’istituzione da parte del consiglio territoriale di un documento, libro, o registro, in cui annotare il nominativo degli specialisti iscritti, man mano incrementato dalle periodiche segnalazioni del Consiglio nazionale forense, in nessun caso deve essere interpretata come iniziativa costitutiva di un nuovo e distinto albo ed in nessun caso può tenere luogo dell’ufficialità che è propria ed unica del registro degli specialisti tenuto dal Consiglio nazionale forense. I commi 3) e 4), infine, prendono in considerazione la condizione di coloro che hanno conseguito un diploma di specializzazione universitario, o posseggono un titolo equipollente. Il primo è il caso di chi abbia frequentato scuole di specializzazione gestite dalle Università degli studi, od enti equiparati ed abbia conseguito il relativo diploma; da questa previsione fuoriescono le scuole di specializzazione per le professioni legali pur gesti-

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te dalle Università anche in consorzio tra di loro (le cd. scuole Bassanini) dato che esse non rilasciano un diploma di specializzazione in una determinata area del diritto. Il secondo è il caso, ad esempio, dei dottori di ricerca. Deve in ogni caso trattarsi di diplomi di specializzazione, o titoli equipollenti, relativi ad una delle aree di specializzazione indicate nell’art. 3). Per queste ipotesi il regolamento ha escluso qualsiasi forma di automatismo nell’acquisto del titolo di specialista che è subordinato, innanzi tutto, alla presentazione di una domanda al Consiglio nazionale forense di riconoscimento del diploma, o del titolo, ai fini di quanto previsto dal regolamento (comma 3), sempre che si tratti di diploma, o titolo, equipollente conseguito non più tardi di quattro anni prima della presentazione della domanda (prima parte del comma 4). Anche questa restrizione concernente la validità temporale del diploma, o del titolo, per i fini previsti dal regolamento, è in sintonia con quanto previsto a proposito del requisito di validità temporale dell’attestato di frequenza di un corso, o di una scuola di alta formazione (art. 5, comma 1, lett. c); lo scopo qui come là essendo quello di garantire che diploma, o titolo equipollente, continuino, nonostante il passaggio del tempo, ad essere espressivi di perdurante competenza, ad evitare il rischio che, in mancanza di qualsiasi scadenza, possano darsi casi di presentazione di domande di riconoscimento del diploma, o del titolo equipollente, dopo lustri dal momento del relativo conseguimento e senza più garanzia di perdurante possesso e, soprattutto, avvenuta manutenzione dell’acquisita competenza. Valutata la documentazione, il Consiglio nazionale forense potrà ammettere il richiedente a sostenere direttamente l’esame senz’altri adempimenti, ovvero subordinarlo alla frequenza dei corsi, o scuole di alta formazione, determinando in questo caso il monte ore necessario ad integrare la preparazione. Art. 6 - (Condizioni per il mantenimento del titolo di avvocato specialista) L’art. 6 si incarica di chiarire che il titolo di specialista non è acquisito in via definitiva e stabile nel futuro; esso, infatti, è soggetto a revoca. Sennonché quest’ultima può essere pronunciata in un solo caso: quando l’interessato non adempia agli obblighi di formazione continua, specificamente nell’area della specializzazione, secondo le modalità previste dall’art. 12). Ciò significa, ad esempio, che la revoca non potrà essere pronunciata per Quaderni

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nessun altro motivo e tanto meno per non aver l’interessato esercitato con continuità la professione nel settore di specializzazione; infatti il titolo di specialista dà conto di una particolare qualità professionale che non si perde per il mancato esercizio, ma solo se non si coltiva la relativa conoscenza e non la si sottopone a manutenzione periodica. Come detto in precedenza, solo il Consiglio dell’Ordine che ha la custodia dell’albo nel quale lo specialista è iscritto può essere in grado di segnalare l’inadempimento agli obblighi di formazione continua e può segnalare ciò al Consiglio nazionale forense per l’adozione del provvedimento di revoca. Il potere di controllo da parte del Consiglio territoriale si declina, dunque, inizialmente nella forma dell’accertamento dell’inadempimento agli obblighi di formazione continua e successivamente in quella della contestazione all’interessato del relativo inadempimento (comma 2). La norma precisa – se ve ne fosse bisogno – che il relativo procedimento deve essere improntato al rispetto dei principi codificati dalla legge 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni. Esaurito il procedimento, il consiglio territoriale inoltrerà al Consiglio nazionale forense una motivata richiesta di revoca del titolo di specialista in uno alla documentazione necessaria. Nel pronunciare la revoca, o nel respingere la richiesta, il Consiglio nazionale forense si limiterà a valorizzare i risultati del procedimento svoltosi innanzi al consiglio territoriale; ma, seppur il contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa siano stati garantiti nella fase del procedimento svoltosi innanzi al consiglio territoriale segnalante, non è escluso che l’interessato possa presentare al Consiglio nazionale forense deduzioni scritte, o chiedere di essere ascoltato. Il comma 3) soggiunge che la revoca produce effetti dal giorno successivo alla notifica del relativo provvedimento. Pur nel silenzio della norma, trattandosi di atto amministrativo, è indubbio che contro di essa è concessa tutela innanzi all’Autorità giudiziaria competente cui si accompagna, quale indefettibile attributo, la possibilità di tutela anche cautelare con la paralisi degli effetti, altrimenti immediati, del provvedimento. Come detto in precedenza, la revoca non impedisce il riacquisto del titolo decorso il biennio di cui all’art. 5), comma 1, lett. c). Infine, la norma non è stata arricchita con la previsione che costituisce infrazione disciplinare la spendita del titolo di specialista senza averlo conseguito, o dopo la sua revoca, dal momento che trattasi di previsione di stampo deontologico la cui sede naturale di normazione è il codice deontologico forense.

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Art. 7 - (Scuole e corsi di alta formazione) La frequenza delle scuole, o dei corsi di alta formazione, che consente l’acquisto dell’attestato indispensabile, a termini dell’art. 5), comma 1, lett. d), per partecipare all’esame presso il Consiglio nazionale forense, deve avere durata non inferiore alle 200 ore nell’arco del biennio intendendosi per tale non il biennio solare, ma quello scolastico/accademico; ciò in quanto non sempre (anzi, quasi mai) quest’ultimo ha una durata coincidente con l’anno solare. La previsione del primo comma della norma in commento è completata da quella del secondo comma per il quale la frequenza deve essere continuativa, come si ricava dalla prescrizione per cui le eventuali assenze non possono essere superiori al 10% del monte ore complessivo e, quindi, a 20 ore durante il biennio. Può accadere che la scuola, o il corso di alta formazione, rilasci, comunque, l’attestato di frequenza anche se le assenze hanno superato il limite massimo suindicato se, ad esempio, il relativo regolamento interno prevede un limite superiore, o non ne prevede alcuno (fatto, questo, che potrebbe, tuttavia, essere valutato ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca dell’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla gestione di scuole, o corsi di alta formazione, come si vedrà in commento al comma 8). Sennonché, la lettura comparata dell’art. 7), commi 1) e 2) (che stabilisce un monte ore massimo di assenze nel biennio) e dell’art. 5), comma 1, lett. d) (che introduce – come si è visto – il requisito di una frequenza proficua e continuativa), rende chiaro che non è un attestato in sé di frequenza che integra il requisito richiesto per partecipare all’esame, quanto uno di frequenza continuativa per tale intendendosi quella che registri assenze non superiori a 20 ore nel biennio. Cosicché, sarà il Consiglio nazionale forense – in sede di verifica dei presupposti e requisiti per l’ammissione all’esame – a valutare l’idoneità dell’attestato presentato, onde costituisce buona norma di comportamento presentarne uno che incorpori la certificazione del rispetto del limite massimo di assenze, ovvero unire ad esso un distinto ed apposito certificato relativo alle assenze, rilasciato dalla scuola, o dal corso. Il comma 3) aggiunge che non qualsiasi attestato di frequenza sarà considerato valido ai fini dell’ammissione all’esame, ma solo quello rilasciato dai soggetti (i) abilitati alla gestione di scuole, o corsi di alta formazione e (ii) iscritti dal Consiglio nazionale forense nell’apposito registro di cui al comma 7). Tali soggetti sono stati individuati (comma 4), oltre che nel Consiglio Quaderni

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nazionale forense, anche (i) nei Consigli dell’ordine degli avvocati, che potranno all’uopo associarsi e gestire scuole e corsi direttamente, o tramite le loro fondazioni, o scuole di formazione forense riconosciute dal Consiglio nazionale forense, (ii) nelle associazioni forensi costituite fra avvocati specialisti, riconosciute dal Consiglio nazionale forense ai sensi dell’art. 11), (iii) negli “(…) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente”. Quest’ultima previsione garantisce il pluralismo dell’offerta formativa dato che si tratta di norma in bianco che non tipizza la qualifica soggettiva, o la caratteristica strutturale che è necessario possedere per organizzare e gestire scuole, o corsi; pertanto, chiunque, anche enti, o società private con scopo di lucro potranno rientrare nel novero dei soggetti formatori, sempre che siano in possesso dei requisiti previsti dal regolamento e risultino iscritti nell’apposito registro. Questa previsione ripropone lo schema logico già sperimentato nel regolamento per la formazione professionale continua all’art. 3), comma 3), laddove è stato introdotto il principio dell’uguale legittimazione di enti, associazioni, istituzioni, organismi pubblici, o privati, operanti, o no, nel settore professionale ai fini dell’organizzazione degli eventi formativi. Ora come allora va sottolineato che si tratta di opzione coerente con il principio di non discriminazione derivante dalle regole che impongono di non erigere barriere anticoncorrenziali; infatti ed in linea astratta, non si può, né impedire ad enti e società aventi scopo di lucro di organizzare scuole, o corsi di formazione, né sancire l’inidoneità della frequenza di quest’ultimi ai fini dell’acquisizione della competenza specialistica necessaria al superamento dell’esame, né, tanto meno, conculcare la libertà di scelta dell’interessato che deve – invece – essere libero di organizzare come crede il suo percorso formativo specialistico, se del caso anche optando per la frequenza a costosi corsi, o scuole, organizzati da società specializzate. Da questo punto di vista, come già posto in evidenza nella relazione di accompagnamento al regolamento per la formazione professionale continua, pur nella consapevolezza che l’organizzazione di scuole, o corsi di formazione, può rappresentare la fonte di una lucrosa attività, è ben presente l’impossibilità di introdurre nel presente regolamento, anche in via di fatto, fattori regolatori della concorrenza, o selettori delle opportunità, dovendosi, al contrario, garantire opzioni formative in condizioni di pari opportunità di accesso, senza ostacoli all’esercizio del diritto alla libera scelta. Anche in questo campo, tuttavia, sarà compito dei Consigli dell’ordi-

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ne degli avvocati e delle Associazioni specialistiche bilanciare i possibili effetti distorsivi con offerte formative non orientate al conseguimento di vantaggi economici, ma ispirate al principio del tendenziale equilibrio tra costi e ricavi. Con il comma 5) è regolamentato il procedimento per ottenere l’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla istituzione e gestione delle scuole e dei corsi. Gli interessati che sono onerati di un’apposita domanda sono quelli di cui alle lettere (c) e (d) del comma precedente e, quindi, le associazioni forensi e gli altri organismi non meglio identificati; essi devono presentare al Consiglio nazionale forense una domanda di iscrizione contenente l’indicazione della loro qualifica e caratteristiche cui va allegata (i) la copia dello statuto e del regolamento interno di funzionamento e (ii) la dichiarazione di impegno a gestire corsi e scuole con modalità tali da garantire la realizzazione degli scopi del regolamento; nella domanda va altresì specificato che nei confronti del richiedente non sono stati adottati provvedimenti, anche non definitivi, di revoca di una precedente iscrizione, o dell’autorizzazione di cui all’art. 8). Il comma 6) chiarisce un dato di per sé già evidente dalla lettura del comma 5) il quale ultimo, individuando nei soggetti di cui alle lettere (c) e (d) del comma 4) quelli onerati della presentazione della domanda di iscrizione nel registro accompagnata dalla dimostrazione dei requisiti sopra illustrati, esclude quelli di cui alle lettere (a) e (b) e, quindi (oltre ovviamente al Consiglio nazionale forense), i Consigli dell’ordine degli avvocati. L’esclusione è, comunque, riaffermata a chiare lettere nel suddetto comma 6) che onera i Consigli dell’ordine degli avvocati di una semplice richiesta senz’altra formalità e quindi senza necessità di allegare quanto previsto dal comma 5); in questo senso, la previsione della non necessità di allegare la dichiarazione di impegno a gestire corsi e scuole con modalità tali da garantire la realizzazione degli scopi del regolamento, significa che i consigli territoriali sono assistiti dalla presunzione iuris tantum di conformità dei loro comportamenti agli scopi del regolamento. Si è però fatto cenno alla presunzione relativa perché, se è vero che alla richiesta senz’altra formalità, segue automaticamente l’iscrizione del consiglio territoriale nel registro, è bensì vero che l’iscrizione non esonera il consiglio dal rispetto, nella gestione delle scuole, o dei corsi, dei criteri previsti dal regolamento, tanto vero che anche nei suoi confronti può essere adottato il provvedimento di revoca dell’iscrizione. Quest’ultima (iscrizione) è (i) disposta – ai sensi della comma 7) – dal Quaderni

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Consiglio nazionale forense al termine di un’apposita istruttoria sulla domanda (ovviamente per i soli soggetti di cui alle lettere (c) e (d) del comma 4), ovvero (ii) rifiutata. In quest’ultimo caso, come in tutti quelli in cui il Consiglio nazionale forense emana un provvedimento amministrativo, il rifiuto può essere impugnato nelle opportune sedi giudiziali. È superfluo precisare che il rifiuto dell’iscrizione non significa che il richiedente non può organizzare e gestire scuole, o corsi di formazione, ma solo che gli attestati di frequenza rilasciati non sono validi ai fini dell’iscrizione all’esame da sostenere presso il Consiglio nazionale forense. Infine i commi 8) e 9) si occupano di disciplinare il procedimento per la revoca dell’iscrizione una volta che questa sia stata ottenuta. Infatti, anche per il principio del contrarius actus, il Consiglio nazionale forense può sempre revocare l’iscrizione e strumentalmente all’esercizio di tale potere è previsto che possa svolgere attività di controllo e vigilanza richiedendo informazioni, documenti, chiarimenti, impartendo segnalazioni e direttive. Non potendo la revoca essere disposta discrezionalmente, sono stati previsti quattro casi ricorrendo i quali essa può essere pronunciata, e precisamente quando il Consiglio: (a) accerti che sono venuti meno i requisiti di iscrizione; (b) verifichi che non sia stata richiesta, ovvero, se richiesta, rifiutata l’autorizzazione di cui all’art. 8), per almeno due volte; (c) accerti che, sebbene autorizzata, la gestione e l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avviene nel rispetto del programma di cui all’art. 8.1.a), o avviene con modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di cui all’art. 7.5); d) quando non siano state osservate le segnalazioni e le direttive emanate dal Consiglio nell’esercizio dei sui poteri di vigilanza. In disparte il primo caso che non solleva particolari problemi, il secondo si riferisce al sistema di autorizzazione ad organizzare il programma formativo delle scuole, o dei corsi previsto dall’art. 8). Infatti, non basta appartenere al novero dei soggetti iscritti nell’apposito registro ed abilitati dal Consiglio nazionale forense a gestire i corsi, o le scuole di formazione, ma occorre – come prevede il cit. art. 8) – che il programma dettagliato dell’insegnamento, con indicate le ore e le materie, sia annualmente comunicato al Consiglio nazionale forense per la sua approvazione. Se l’autorizzazione non sia stata richiesta, ovvero sia stata rifiutata per almeno due volte, è possibile la revoca dell’iscrizione nel registro dei soggetti autorizzati. Simmetricamente, se l’autorizzazione sia stata rilasciata ma poi, in con-

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creto, la gestione della scuola, o del corso, avvengano non in conformità del programma sulla base del quale essa (autorizzazione) è stata concessa, l’iscrizione potrà essere revocata. Infine, altro motivo di revoca è la mancata osservanza delle direttive e segnalazioni fatte dal Consiglio nazionale forense per quanto attiene alla gestione dei corsi, o delle scuole. Art. 8 - (Approvazione preventiva e sorveglianza sulle scuole e dei corsi di alta formazione) Quanto sopra detto a proposito della revoca si chiarisce meglio esaminando la struttura dell’art. 8) che, in sostanza, disciplina il meccanismo dell’approvazione preventiva da parte del Consiglio nazionale forense dei programmi dei corsi e delle scuole. Il sistema che in tal modo viene a configurarsi è basato su una sorta di doppio binario, corrispondente ad un altrettanto doppio stadio di controllo sull’idoneità, in astratto, del soggetto formatore a svolgere il compito e sulla congruità, ed in concreto, del programma formativo rispetto alla sua funzione; infatti, dapprima è necessario che l’ente formatore sia iscritto nello speciale registro di cui all’art. 7), condizione, questa, indispensabile perché l’attestato di frequenza rilasciato possa essere speso per essere ammessi all’esame; secondariamente, è altrettanto indispensabile che i programmi formativi siano annualmente comunicati al Consiglio nazionale forense e da questo autorizzati (art. 8 cit.). Ne deriva che la coppia iscrizione/autorizzazione costituisce il perno attorno a cui ruota la formazione specialistica la quale non potrà sortire gli esiti voluti se l’ente che la somministra non sia iscritto nel registro ed i suoi programmi non siano autorizzati. Cosicché, il rifiuto di iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla formazione, la successiva revoca dell’iscrizione, il rifiuto dell’autorizzazione concernente i programmi formativi, o la sua revoca, concorrono a formare un sistema organico che garantisce l’idoneità dell’offerta formativa sia dal lato del soggetto che se ne fa carico, sia dal lato del contenuto. A proposito di autorizzazione, il comma 2) introduce il meccanismo del silenzio/assenso dato che l’autorizzazione relativa ai programmi annuali si intende accordata se non rifiutata espressamente entro 120 giorni dalla sua richiesta. L’autorizzazione concessa può a sua volta essere revocata se si accerti che, in concreto, la gestione e l’esercizio delle scuole e dei corsi non riQuaderni

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spetta il programma sulla base del quale essa è stata rilasciata; ovvero se gestione ed esercizio avvengano con modalità contrastanti con gli scopi prefissi dal regolamento. Il caso potrebbe essere quello proposto supra di una scuola, o di un corso, che rilascino attestati di frequenza senza considerazione delle assenze, o basandosi su un quantitativo di assenze ammesse superiore al limite delle 20 ore nel biennio previste dal regolamento; in un caso come questo, non solo l’attestato – come si è visto – non è utile ai fini dell’ammissione all’esame, ma l’autorizzazione può essere revocata perché la gestione e l’esercizio avvengono in modo che confligge con quanto previsto dal regolamento; e poiché esso è il veicolo per la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino, è come se detta gestione, o esercizio, si svolgessero con modalità contrastanti con i predetti scopi. Ai fini dell’esercizio del potere di rilascio, o revoca, delle autorizzazioni, si prevede al comma 4) che il Consiglio nazionale forense eserciti funzioni di ispezione e vigilanza. Art. 9 - (Attribuzione del titolo di specialista) Il titolo di specialista è attribuito solo dal Consiglio nazionale forense previo superamento dell’apposito esame; esso, secondo quanto prescritto dall’art. 9), può essere speso indicando la qualifica di specialista seguita dall’area di riferimento. Così si potrà correttamente dire di essere specialista in diritto commerciale, specialista in diritto tributario, e così via. Art. 10 - (Commissioni e disciplina dell’esame) L’intero art. 10) è dedicato alla disciplina dell’esame prevedendosi al primo comma che la commissione d’esame deve essere comunque presieduta da uno dei commissari nominati dal Consiglio nazionale forense. Questi ultimi (lett. a) e b) sono complessivamente in numero di cinque, di cui tre nominati dal Consiglio nazionale forense e due dall’associazione specialistica competente (l’uno e l’altra nominano altresì altrettanti commissari supplenti). Tutto ciò rende chiaro che vanno formate presso il Consiglio nazionale forense tante commissioni d’esame quante sono le aree specialistiche per le quali si chiede il rilascio del titolo. Quanto alle associazioni potrebbe accadere che ve ne sia più d’una per la stessa area specia-

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listica, ipotesi al momento non concreta, ma che potrebbe concretizzarsi in futuro tenuto conto che secondo l’art. 11) qualsiasi associazione di nuova formazione può chiedere di essere riconosciuta per gli effetti previsti dal regolamento se soddisfa le condizioni previste dal cit. art. 11). Nel caso di pluralità, sarà necessario un concerto tra quelle interessate ai fini della nomina dei commissari di spettanza; in mancanza di concerto, la nomina è effettuata in via surrogatoria dal Consiglio nazionale forense. Potranno essere nominati commissari solo avvocati abilitati all’esercizio professionale innanzi alle magistrature superiori (comma 2). La domanda di partecipazione all’esame dovrà essere corredata della documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti previsti, compresa quella idonea a dimostrare l’esperienza pregressa nell’area specialistica di riferimento (comma 3). L’esame consiste in una prova scritta su di un argomento relativo all’area di specializzazione ed in una orale. Quanto a quest’ultima, essa è duplicemente articolata: accanto ad una parte (per così dire) ordinaria consistente in una discussione su argomenti di pertinenza dell’area specialistica, ve n’è un’altra per mezzo della quale l’interessato deve dimostrare il possesso del requisito dell’esperienza pregressa nella materia. Ciò è possibile comprovando un certo numero di casi trattati, il modo della loro gestione ed il rispettivo grado di complessità. Per consentire una discussione orale sul punto, il candidato dovrà presentare, in precedenza, allegandola alla domanda, una relazione scritta con l’indicazione anonima di un numero significativo di casi, delle autorità presso cui sono stati trattati, del loro numero di ruolo generale, delle udienze, delle problematiche poste dalle singole fattispecie e di quant’altro ritenuto opportuno, unitamente alla documentazione, anche in copia non autentica, atta a comprovare quanto oggetto della dichiarazione. Il perché di questa particolare articolazione della prova orale risiede nel fatto che l’acquisto della qualifica di specialista implica che l’interessato sia particolarmente esperto, dato, questo, da dimostrare. La previsione è peraltro in linea con quelle di altri regolamenti europei sulla specializzazione, com’è, ad esempio, il caso del regolamento per le specializzazioni della Federazione degli avvocati svizzeri varato il 21.1.2003 il cui § 14 prevede che il candidato debba dimostrare “(…) di disporre di un’esperienza pratica superiore alla media nel settore del diritto in questione”. Quanto alla dimostrazione di tale esperienza, la previsione che essa debba essere dimostrata tramite illustrazione di un “(…) numero significativo di casi” svincola la valutazione da criteri numerici rigidi.

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Art. 11 - (Associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF) Come si è visto, tra gli enti formatori che possono essere iscritti nel relativo registro, sono comprese anche le Associazioni specialistiche di cui – recita il comma 1) – il Consiglio nazionale forense tiene aggiornato e rende accessibile al pubblico, tramite pubblicazione sul suo sito Internet, l’elenco. Per l’iscrizione in quest’ultimo è necessario si tratti di associazioni rappresentative e diffuse territorialmente (comma 2) e la dimostrazione di questi due requisiti è affidata dal comma 3) – quanto al primo – alla prova di avere un numero di iscritti almeno pari al 20% degli avvocati specialisti della corrispondente area e – quanto al secondo – alla prova di un’articolazione territoriale con autonome sezioni in almeno la metà dei distretti di Corti di appello della Repubblica. Questa previsione consente, se ne esistono i presupposti, l’attuazione di un pluralismo associazionistico che non esclude nessuno, in linea teorica e di principio, dal concorrere alla formazione specialistica. Del resto, un criterio quantitativo di tal genere, non favorisce il mantenimento dell’esistente, ché anzi permette ampia mobilità. Perché possa essere iscritta nel registro, l’associazione che abbia i requisiti di cui sopra, deve avere uno statuto che (comma 4): (a) preveda come unica finalità la promozione del profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti; (b) escluda espressamente il rilascio di attestati di competenza professionale; (c) contempli una disciplina degli organi associativi su base democratica con esclusione di finalità lucrative. L’associazione deve dotarsi di strutture organizzative e tecnico-scientifiche idonee ad assicurare l’adeguato livello di qualificazione e aggiornamento professionali. Il Consiglio nazionale forense, anche per il tramite dei Consigli degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sul mantenimento dei requisiti e delle condizioni per il riconoscimento delle associazioni, nonché il controllo sul rispetto delle prescrizioni. Le associazioni specialistiche dovranno attestare e, ove richiesto, comprovare, almeno ogni triennio, la permanenza dei requisiti di cui sopra (comma 5). In sede di prima applicazione sono iscritte di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche riconosciute dal Consiglio nazionale forense per i fini del regolamento quelle riconosciute come maggiormente rappresentative dal Congresso nazionale forense e cioè:

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(a) l’Associazione Avvocati Giuslavoristi italiani (AGI); (b) l’Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia (AIAF); (c) l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI); (d) l’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT); (e) l’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC); (f) la Società italiana avvocati amministrativisti (SIAA). È vero che detto riconoscimento congressuale è avvenuto per tutt’altri fini, ma è bensì vero che questo costituisce un criterio estrinseco, più valido di altri, o meno inidoneo di altri, per far sì che associazioni costituite da decenni ed oramai storicamente consolidatesi, nonché certamente rappresentative, possano veder riconosciuto da subito e di diritto un loro status, che trova nel riconoscimento effettuato dal Congresso nazionale forense, seppur ad altri fini, il crisma della rappresentatività, autorevolezza e soprattutto serietà. Art. 12 - (Aggiornamento professionale specialistico) La disciplina dell’art. 12) concerne un aspetto fondamentale della specializzazione e cioè l’aggiornamento professionale poiché – come già precisato – il titolo di specialista non va solo acquisito, ma anche conservato; e la sua conservazione presuppone l’adempimento degli obblighi formativi. È ovvio che le esigenze di formazione di un avvocato specialista sono diverse da quelle di un avvocato generalista; l’interferenza tra i due aspetti della formazione, quella disciplinata dal regolamento per la formazione continua approvato dal Consiglio nazionale forense il 13.7.2007 e quello della formazione dell’avvocato specialista, è regolata dalla norma dell’art. 12), comma 1), seconda parte, per la quale “restano ferme, per quanto non espressamente derogato dal presente regolamento, le disposizioni del regolamento sulla formazione continua”. Ciò vuol dire che per l’avvocato specialista valgono, anzitutto, le norme sulla formazione contenute nel presente regolamento e, per quanto qui non previsto, anche quelle del regolamento sulla formazione continua dell’avvocato generalista. La previsione non deve però essere interpretata nel senso che i crediti formativi debbano essere sommati; si occupa di chiarire questo specifico aspetto il comma 5) secondo cui “I crediti formativi conseguiti per l’aggiornamento professionale specialistico, sono valutabili come crediti formativi per la formazione continua di cui al regolamento approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 13 luglio 2007 e successive Quaderni

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modificazioni”. Poiché i crediti formativi da conseguire da parte dello specialista sono 120 e quelli dell’avvocato generalista sono 90, è ovvio che con l’adempimento del suo debito formativo specifico, l’avvocato specialista adempie contemporaneamente anche quello previsto dal regolamento per la formazione continua. Di ulteriormente diverso rispetto a quest’ultimo non è solo il monte crediti formativi che è di 120 nel triennio, ma anche il limite minimo di crediti formativi da adempiere nel singolo anno che sale da 20 (come previsto per l’avvocato generalista) a 30 (comma 4). Esclusi questi aspetti, valgono per la formazione continua dell’avvocato specialista le norme ed i criteri del regolamento sulla formazione del 13.7.2007 (comma, 1, seconda parte) del quale, peraltro, non è esclusa una rivisitazione per eventualmente coordinare al meglio i due testi, eliminando possibili aspetti di dubbio interpretativo. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati nel cui albo è iscritto lo specialista ha il compito di controllare l’adempimento dei relativi obblighi formativi (comma 6) e ciò è reso possibile dal fatto che – secondo quanto si è già visto in commento all’art. 5) comma 2) – il Consiglio nazionale forense invia periodicamente ai consigli territoriali interessati l’elenco degli avvocati cui è stato rilasciato il diploma; col che detti consigli sono in grado di sapere esattamente quanti e quali siano gli specialisti iscritti nel proprio albo, potendo così esercitare nei loro confronti un controllo differenziato anche per quanto riguarda l’adempimento degli obblighi formativi. Infine il comma 7) prescrive che i corsi per la formazione continua nelle materie specialistiche possono essere organizzati esclusivamente dagli stessi soggetti abilitati ad organizzare e gestire le scuole ed i corsi e che siano iscritti nel relativo registro tenuto dal Consiglio nazionale forense. Questa è dizione che – come già sottolineato – include automaticamente nel novero dei soggetti abilitati i Consigli territoriali e le associazioni specialistiche; ma non esclude anche altri enti ed organizzazioni che abbiano ottenuto l’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati, riaffermandosi, anche in questo ambito, il principio del pluralismo dell’offerta formativa. Art. 13 - (Disciplina transitoria) Con l’art. 13) viene introdotta una disciplina transitoria che riguarda gli avvocati che all’atto dell’entrata in vigore del regolamento – e cioè alla data del 30.6.2011 – abbiano un’anzianità minima di iscrizione continuativa all’albo di almeno 20 anni.

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Per essi il regolamento non prevede alcun automatismo nell’acquisizione del titolo di specialista nel senso che non opera un effetto trascinamento dovuto all’età, questa costituendo una delle componenti del relativo procedimento. Infatti, soddisfatto l’anzidetto requisito minimo, una prima restrizione opera relativamente al numero delle aree in cui la specializzazione può essere conseguita, limitata ad una, rispetto alle due previste dall’art. 3), comma 1) per chi segue il procedimento (per così dire) ordinario. L’altra condizione è che l’interessato sia in grado di dimostrare, con apposita documentazione da allegare alla domanda unitamente ai titoli, la “(…) specifica competenza teorica e pratica nel settore prescelto”(comma, 1), lett. a). Domanda, documentazione e titoli vanno depositati presso il Consiglio territoriale nel cui albo l’interessato è iscritto il quale, prima di trasmetterli al Consiglio nazionale forense, formulerà un parere, non vincolante, sulla fondatezza e meritevolezza della richiesta (comma 2). A questo punto il Consiglio nazionale forense avrà quattro scelte: (a) potrà ritenere documentazione e titoli presentati dall’interessato e parere espresso dal consiglio territoriale idonei e sufficienti per esprimere un giudizio positivo sulla richiesta di attribuzione del titolo di specialista e lo attribuirà; (b) potrà ritenerli non idonei, o non sufficienti, e decidere di sottoporre il richiedente ad un colloquio vertente sulla documentazione ed i titoli presentati; in questo caso solo l’esito positivo di tale prova orale permetterà l’acquisizione del titolo (comma 1, lett. b); (c) potrà, anche valorizzando l’eventuale parere negativo del consiglio territoriale, ritenere non idonei documentazione e titoli a giustificare l’acquisizione del titolo di specialista e rifiutare di attribuirlo; (d) potrà, ritenendo allo stato l’inidoneità, o l’insufficienza di documentazione e titoli non tale da giustificare il rifiuto di cui sub (c), richiedere informazioni ulteriori, o documentazione integrativa (comma 3, ultima parte) alla luce della quale, assumerà una delle tre decisioni di cui sopra. Come si vede, il procedimento è privo di qualsiasi automatismo e l’acquisizione del titolo non è effetto naturale dell’anzianità essendo il richiedente sottoposto ad un doppio vaglio, quello del Consiglio territoriale e quello del Consiglio nazionale forense. La disciplina è completata dalla previsione di una forma di silenzio/assenso poiché, se entro 120 giorni dal ricevimento della domanda il Consiglio nazionale forense non l’avrà rifiutata, o non avrà disposto la richiesta Quaderni

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di informazioni ulteriori, o documentazione integrativa (richiesta che varrà a interrompere il corso dei 120 giorni), la domanda si intenderà accolta. Art. 14 - (Entrata in vigore. Revisione del regolamento) La norma dell’art. 14) differisce l’entrata in vigore del regolamento al 30.6.2011 per consentire a ciascuno dei soggetti, enti, organizzazioni, comunque coinvolti nel processo di attuazione del presente regolamento, di predisporre quanto necessario a fronteggiare le richieste di attribuzione del titolo di specialista e di progettare l’organizzazione necessaria a gestire scuole, o corsi di formazione. Particolare attenzione merita la seconda parte dell’art. 14) laddove precisa che, al di là del potere di aggiornamento ogni quadriennio delle aree di specializzazione, il Consiglio nazionale forense si riserva la facoltà di sottoporre il regolamento a revisione entro un anno dalla sua entrata in vigore e quindi entro il 30.6.2012 con particolare riferimento alle aree di specializzazione; in tal senso il periodo sino al 30.6.2012 viene considerato alla stregua di fase sperimentale nel corso della quale valutare l’esistenza di eventuali lacune disciplinari, difetti di coordinamento tra parti del regolamento, o tra queste ed altre fonti disciplinari esterne, in specie il regolamento sulla formazione professionale continua ed il codice deontologico forense, esigenze di completamento della disciplina, con particolare riferimento alle aree di specializzazione. Ed è soprattutto in relazione all’identificazione di quest’ultime che il Consiglio nazionale forense si attende un contributo fattivo dei vari protagonisti ordinamentali e del mondo delle associazioni che permettano, anche tramite l’osservazione tratta dalla pratica e dal diritto vivente, di verificare la tenuta logica e giuridica dell’elencazione contenuta nell’art. 3) eventualmente curvandola nel modo che sarà ritenuto più opportuno; sicché a buon ragione è stato detto che il presente regolamento costituisce un cantiere aperto e l’art. 14) ne rappresenta la dimostrazione.

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Comunicato stampa del C.N.F. del 18.9.2010 Avvocati: avanti con le specializzazioni forensi a tutela del cittadino Oggi il Consiglio nazionale forense ha riunito i presidenti dei Consigli dell’Ordine per sottoporre la bozza del regolamento per il riconoscimento del titolo di specialista Roma 18/9/2010. Andare avanti con la definizione delle regole per attribuire agli avvocati il titolo di specialista nella varie aree del diritto. Strada obbligata per garantire maggiore qualificazione professionale anche e soprattutto a tutela del cittadino. È questa l’indicazione che è emersa oggi in occasione della riunione dei presidenti dei Consigli dell’Ordine, convocati a Roma dal Consiglio nazionale forense presso il complesso di Santo Spirito in Sassia per discutere della bozza di regolamento per il riconoscimento del titolo di specialista. La bozza, predisposta dal Cnf prima della pausa estiva e inviata agli Ordini e Associazioni per le osservazioni, ulteriormente modificata sulla scorta di quest’ultime, disciplina le modalità per l’acquisizione del titolo di avvocato specialista e il suo mantenimento, principalmente attraverso la definizione delle aree di specializzazione e di un percorso per l’acquisizione del titolo segnato dalla frequenza di corsi specializzanti e da un esame presso il Cnf. Il presidente Guido Alpa ha sottolineato la necessità di varare il regolamento concepito come un ulteriore strumento per l’attuazione delle concezioni fondanti ed ispiratrici della proposta di riforma della professione forense – e tuttora ferma in senato con grande disappunto della classe forense – e che tendono ad una maggiore qualificazione professionale. E proprio la lentezza con la quale il parlamento sta affrontando l’esame della riforma, che disciplina anche la specializzazione, sta convincendo l’avvocatura ad approvare un proprio regolamento (per bruciare i tempi). Il vicepresidente Ubaldo Perfetti, coordinatore del gruppo di lavoro sulle specializzazioni, ha illustrato, anche alla luce delle indicazioni ricevute da Ordini ed Associazioni, gli aspetti problematici della disciplina regolamentare, con particolare riguardo ai requisiti per conseguire il titolo, alla garanzia di un ruolo attivo e propositivo dei Consigli degli Ordini ed a quella del pluralismo delle offerte formative, al rapporto tra regolamento e Quaderni

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codice dei deontologia, alla disciplina transitoria. “Si tratta di un cantiere aperto. Oggi raccoglieremo ulteriori indicazioni e poi sottoporremmo al Consiglio nella prossima seduta amministrativa, un testo che tenga conto anche di ciò che di utile emergerà dalla discussione”, ha rassicurato Perfetti. Dalla platea è arrivata l’indicazione generale di apprezzamento per l’iniziativa ed il lavoro del Cnf che allinea il nostro ad altri paesi, come Francia e Germania, già da tempo dotati di un’efficace disciplina sulle specializzazioni, unita al suggerimento di esaminare con particolare attenzione il tema della disciplina transitoria per evitare che l’anzianità costituisca di per sé fattore costitutivo della specializzazione. Claudia Morelli

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Comunicato stampa del C.N.F. del 24.9.2010 Specializzazioni forensi: il Cnf approva il regolamento Per diventare specialista occorrerà frequentare un corso e superare un esame presso il Consiglio nazionale forense. Le nuove regole entreranno in vigore a giugno 2011 Roma 24/9/2010. Il Consiglio nazionale forense ha approvato oggi il regolamento sulle specializzazioni forensi, che disciplina le aree di specialità professionale e le modalità per acquisire il titolo di specialista. Così il presidente Guido Alpa: “Il Cnf ha voluto così coronare un lavoro iniziato a giugno e condotto nel confronto costante con gli Ordini e le Associazioni, nella convinzione che il riconoscimento delle qualifica di avvocato specialista sia a garanzia dell’interesse pubblico e di tutela del cittadino. Corrispondendo anche a una risalente esigenza dell’avvocatura, che già nel congresso di Genova del 1960 aveva posto questa necessità”. Il regolamento gioca d’anticipo rispetto alla riforma forense, il ritardo nell’approvazione della quale ha spinto il Cnf ad approvare l’articolato pur con l’avvertenza che si tratta di un testo che entro un anno dalla sua entrata in vigore potrà esser sottoposto a revisione, tenendo conto degli effetti prodotti e della tenuta sul campo della individuazione delle aree di specializzazione, la cui definizione ha impegnato lungamente il Cnf. Il testo definitivo, proposto al plenum dal gruppo di lavoro presieduto dal vicepresidente Ubaldo Perfetti, accoglie molte delle osservazioni avanzate dagli Ordini e dalle Associazioni, da ultimo nella riunione che si è tenuta sabato scorso a Roma presso il complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, accompagnandolo con una relazione esplicativa. Le aree di specialità individuate sono 11 e il regolamento stabilisce che l’avvocato può conseguire il diploma di specializzazione in non più di due. Esse sono: 1) Diritto di famiglia, dei minori e delle persone 2) Diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni 3) Diritto commerciale 4) Diritto del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale 5) Diritto industriale Quaderni

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6) Diritto della concorrenza 7) Diritto tributario 8) Diritto amministrativo 9) Diritto della navigazione 10) Diritto dell’Unione europea 11) Diritto penale Entro un anno dall’entrata in vigore il Cnf, sentiti Ordini e Associazioni, potrà procedere se necessario alla revisione delle disposizioni, con particolare riferimento alle aree di specializzazione, ai fini della tutela dell’affidamento della collettività. Requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista. L’avvocato dovrà aver maturato un’anzianità di iscrizione all’albo, ininterrotta, di almeno sei anni; aver frequentato continuativamente per almeno un biennio una scuola/corso tra quelli riconosciuti dal Cnf (per un minimo di duecento ore complessive di studio e esercitazioni); aver sostenuto con esito positivo l’esame presso il Cnf. Esame. Consiste nello svolgimento di una prova scritta su materia attinente all’area di specializzazione e nello svolgimento di una prova orale, avente ad oggetto anche la dimostrazione del possesso di una esperienza pregressa nella materia. Associazioni fra avvocati specialisti. Il Cnf terrà aggiornato e reso accessibile al pubblico (sul sito Internet) l’elenco delle associazioni costituite tra avvocati specialisti. In sede di prima applicazione, sono inserite di diritto le associazioni forensi specialistiche riconosciute dal Congresso forense. Aggiornamento specialistico. Per il mantenimento del titolo di specialista, l’avvocato sarà tenuto a curare il proprio aggiornamento professionale e conseguire nel triennio almeno 120 crediti formativi. Di cui almeno 30 in ogni singolo anno. Tali crediti sono computati come crediti formativi per la formazione continua. Scuole e corsi di specializzazione. Presso il Cnf sarà istituito il registro dei soggetti abilitati alla istituzione e gestione delle scuole e/o di corsi di alta specializzazione, nel quale sono iscritti a semplice richiesta i Consigli dell’Ordine. Le scuole dovranno presentare al Cnf, annualmente prima dell’inizio dell’anno scolastico, il programma dettagliato della scuola o del corso. Norma transitoria. Gli avvocati che alla data di entrata in vigore de regolamento hanno una anzianità di iscrizione all’albo, continuativa, di 20

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anni potranno acquisire il titolo di specialista, in non più di una delle aree di specializzazione, presentando al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, che esprimerà un parere non vincolante, documenti e titoli che dimostrino la particolare conoscenza della materia. Il Cnf provvederà all’iscrizione previo eventuale colloquio. Entrata in vigore. Il regolamento del Cnf entrerà in vigore il 30 giugno 2011. Aggiornamento codice deontologico. L’approvazione del regolamento imporrà una conciliazione delle norme del regolamento con quelle del Codice deontologico forense con particolare riguardo agli articoli 17 e 17 bis. Claudia Morelli

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Comunicato stampa del C.N.F. del 30.9.2010 Specializzazioni forensi: l’Avvocatura rafforza la qualità delle prestazioni Con una lettera circolare il presidente del Consiglio nazionale forense scrive agli Ordini inviandogli il testo del regolamento sulle specializzazioni Roma 30/9/2010. Rafforzare la qualità delle prestazioni professionali a vantaggio dei cittadini e del loro affidamento sulla professionalità dell’avvocato. È innanzitutto con questo spirito che il Consiglio nazionale forense ha approvato, nella seduta del 24 settembre, il regolamento sulle specializzazioni forensi. Ma anche con l’intenzione di dare un “segnale forte” alla politica e al Paese al parlamento, “manifestando in modo inequivocabile la volontà della categoria di procedere nelle necessarie riforme che valorizzino adeguatamente il ruolo degli avvocati nell’amministrazione della giustizia, e più in generale il ruolo sociale di un’Avvocatura garante dei diritti dei cittadini”. Il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, ha scritto ai presidenti degli Ordini forensi e ai presidenti dell’Oua e delle Associazioni forensi una lettera circolare (n. C-29 /2010), con la quale ha diramato il testo del regolamento sulle specializzazioni e la relativa relazione di accompagnamento. Nella lettera, il presidente Alpa ha ribadito che le specializzazioni sono “un tema di pluridecennale discussione e sono oggi divenute un passaggio ineludibile verso la modernizzazione della categoria, per dotare l’Avvocatura italiana di nuovi strumenti idonei a garantire la qualità delle prestazioni professionali, nell’interesse dei cittadini. Un passaggio non più rinviabile, soprattutto alla luce delle letargiche lentezze di Governo e Parlamento, che, a fronte delle promesse solennemente ribadite anche nei nostri congressi, hanno arrestato la discussione del progetto di legge di riforma dell’ordinamento forense, che giace al Senato senza alcuna certezza in ordine alla calendarizzazione dei lavori. Nel frattempo, erratiche ed estemporanee iniziative normative in materia di giustizia si succedono senza la previa, opportuna, e legislativamente dovuta consultazione dell’Avvocatura”. La circolare rassicura l’avvocatura sulla circostanza che la specializzazione sarà acquisita su base volontaria, che il regolamento entrerà in vigore il 30 giugno 2011, ed è prevista una prima fase applicativa di carattere

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sperimentale, al termine della quale potranno essere decisi modifiche ed adattamenti opportuni. “Il testo è corredato di una diffusa relazione che dà conto delle scelte compiute e tiene conto di tutte le osservazioni pervenute. Il regolamento è infatti il risultato di un ampio processo di consultazione che ci ha occupati negli ultimi mesi, ed al quale hanno partecipato molti Ordini e numerose Associazioni, condividendo in larghissima maggioranza lo spirito ed il senso dell’iniziativa, ed offrendo puntuali suggerimenti migliorativi, soprattutto nella proficua Assemblea dello scorso 18 settembre”, ricorda Alpa. Che, ancora, sottolinea come “nulla nel regolamento vi è di obbligatorio, nulla di irreversibile e nulla di automatico”, visto che l’acquisizione del titolo non è obbligatoria ma corrisponde ad una facoltà che è anche un’opportunità soprattutto per i più giovani; che l’art. 13) si occupa di dire che al termine del periodo di sperimentazione sino al 30.6.2012, il Consiglio apporterà tutte le modifiche che – suggerite anche dagli Ordini – saranno ritenute necessarie per eliminare lacune o mancanza di coordinamento ma soprattutto per revisionare, se necessario, l’elenco delle aree di specializzazione; e che l’art. 14) si occupa di chiarire che l’anzianità non determina un effetto trascinamento e di per sé non attribuisce il titolo di specialista essendo l’interessato sottoposto ad un doppio vaglio, del consiglio territoriale di appartenenza e del Consiglio nazionale forense. Per Alpa era necessario dare questo segnale proprio ora, alla vigilia “del prossimo Congresso di Genova, dove l’Avvocatura deve non solo esprimere le ineludibili richieste, ma anche dimostrare di essere in grado di elaborare e governare – anche da sola, se necessario – i cambiamenti che i tempi richiedono”. Nella lettera, il presidente Alpa fa appello all’unità dell’Avvocatura, sottolineando che “non mancheranno tempi e luoghi per gli aggiustamenti opportuni” e auspicando che “i pur comprensibili motivi di puntuale disagio su specifiche misure” non siano tali “da vanificare le ragioni di solidarietà ed unità. La stessa unità che l’Avvocatura ha saputo dimostrare con riguardo al progetto di riforma dell’ordinamento forense, del quale le specializzazioni costituiscono parte integrante e qualificante, e che la nostra attuale iniziativa intende proprio rilanciare con forza. La stessa preziosa unità che alza il velo sulla insufficienza della politica, rimuovendo ogni possibile scusa basata sulla nostra frammentazione”, conclude Alpa. Il testo del regolamento e della relazione illustrativa sono consultabili sul sito www.cnf.it. Claudia Morelli Quaderni

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Delibera del C.O.A. di Napoli del 28.9.2010 Estratto dal verbale della seduta di Consiglio del 28 settembre 2010 Omissis .... Il Consiglio Rilevato che il CNF in data 24 settembre 2010 ha approvato il Regolamento sulle specializzazioni, cosi come risulta dal comunicato stampa in pari data, Osserva - che la redazione del Progetto di Riforma dell’Ordinamento Professionale ha costituito un fondamentale momento di unitarietà dell’Avvocatura, conducendo alla condivisa realizzazione del testo, poi presentato, attraverso il CNF, al Parlamento; - che la previsione relativa alle specializzazione era stata oggetto di estrema attenzione e dibattito nella stesura del testo condiviso; - che lo storico unitario percorso seguito per la redazione del progetto di Riforma avrebbe dovuto senz’altro suggerire che il testo definitivo del Regolamento, anche con le modifiche e le osservazioni pervenute nella seduta presso il CNF del 18 settembre 2010, venisse reso noto nella maniera più ampia segnatamente a tutti i Consigli territoriali, onde consentire un’effettiva valutazione e condivisione del testo definitivo; - che l’imminenza del momento congressuale costituiva ulteriore occasione di riflessione, ben potendo divenire il Congresso luogo di confronto e di affinamento delle idee; - che, per converso, il CNF non ha inteso seguire il metodo sopra delineato che avrebbe garantito, così come avvenuto per il Progetto di Riforma dell’Ordinamento Forense, un’ampia e sentita condivisione del Regolamento, peraltro approvato al termine del Mandato triennale dello stesso CNF; - che ancora a tutt’oggi non si ha conoscenza del testo definitivo del

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Regolamento, ma soltanto del breve sunto esposto nel comunicato stampa del CNF; Pertanto, alla stregua delle osservazioni sopra formulate e di quelle che saranno possibili soltanto all’esito della conoscenza del testo definitivo Si chiede che il CNF voglia riaprire la discussione sul Regolamento, atteso anche il carattere dichiaratamente sperimentale dello stesso, al fine di attenerne la più ampia ed effettiva condivisione da parte dell’Avvocatura tutta. Omissis ... F.to IL SEGRETARIO Avv. Antonio Tafuri

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F.to IL PRESIDENTE Avv. Francesco Caia

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Delibera del C.O.A. di Palermo del 30.9.2010 L’anno duemiladieci, il giorno trenta del mese di settembre, in Palermo e nella sala del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati sita nel Palazzo di Giustizia, si è riunito il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo sotto la PRESIDENZA dell’Avv. Enrico SANSEVERINO. Sono presenti i Signori Consiglieri: Avv. Francesco GRECO CONSIGLIERE SEGRETARIO; Avv. Pietro ALOSI, Avv. Maurizio ARGENTO, Avv. Renato CATUOGNO, Avv. Giuseppe DI STEFANO, Avv. Ciro FORTUNATO, Avv. Santi GERACI, Avv. Maurizio GIACONIA, Avv. Annamaria INTROINI, Avv. Francesco PANTALEONE, Avv. Antonino REINA, Avv. Marina VAJANA. OMISSIS Consiglio Nazionale Forense Regolamento per le specializzazioni IL CONSIGLIO Appreso del comunicato stampa diffuso che il Consiglio Nazionale Forense, in data 24 settembre 2010, ha approvato il Regolamento delle specializzazioni forensi che disciplina le aree di specialità professionale e le modalità per acquisire il titolo di specialista RITENUTO Che l’avvenuta approvazione non ha tenuto adeguatamente conto delle indicazioni emerse nel corso della riunione dei Presidenti dei Consigli dell’Ordine, tenutasi a Roma in data 18.09.2010, all’esito della quale era stato concordato di procedere ad ulteriori approfondimenti per vagliare ed eventualmente apportare le dovute rettifiche. PR E S O ATT O Che parimenti le osservazioni pervenute dalle Associazioni Forensi sono rimaste quasi integralmente disattese.

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C O N S I D E RAT O Che l’intervenuta nomina del nuovo Consiglio Forense avrebbe dovuto indurre il Consiglio uscente a rimettere ogni valutazione all’insediando organo ESPRIME Ferma contrarietà per le inusuali modalità con le quali il regolamento è stato approvato CHIEDE Che lo stesso regolamento venga sospeso in attesa che si proceda ad opportuna revisione. F.to IL CONSIGLIERE SEGRETARIO (Avv. Francesco GRECO)

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F.to IL PRESIDENTE (Avv. Enrico SANSEVERINO)

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Delibera del C.O.A. di Bari del 6.10.2010 Punto n. 15 all’Ordine del Giorno (Comunicazioni) del Presidente: 1. CNF – REGOLAMENTO DELLE SPECIALIZZAZIONI FORENSI: il Consiglio, nel ribadire il contenuto del proprio precedente deliberato, considerato che: - è, quanto meno, dubbia la potestà regolamentare del C.N.F. in “subjecta materia”; - il regolamento per il riconoscimento del titolo di Avvocato specialista approvato dal C.N.F. nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010 così come strutturato, si pone in contrasto con l’orientamento manifestato dal legislatore in sede di discussione del progetto di riforma della legge professionale; - proprio in questi giorni, peraltro, riprenderà al Senato la discussione sulla riforma; - risulta, tuttora, vigente il divieto di cui all’art. 91 R.D.L. 27.01.33 n.1578; è del parere che anche in considerazione delle ricadute sull’intera Categoria e del forte impatto sociale, fermo restando il massimo interesse a conseguire l’obiettivo delle specializzazioni mediante soluzioni unitarie e condivise dal Legislatore, invita

il C.N.F. a sospendere ogni effetto della delibera in questione e a rimettere ogni decisione in merito alla sua adozione al prossimo Congresso di Genova. Omissis Bari, lì 7 ottobre 2010 IL CONSIGLIERE SEGRETARIO (Avv. Mariano Fiore)

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IL PRESIDENTE (avv. Emmanuele Virgintino)

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Osservazioni dell’Unione degli Ordini Forensi del Lazio Letto · Il regolamento sulle specializzazioni emanato lo scorso 24 Settembre 2010 dal CNF · La relazione di accompagnamento al testo Considerato Che in data 28-06-10 il CNF ha inviato a tutti quanti gli Ordini bozza di regolamento per il riconoscimento del titolo di Avvocato Specialista chiedendo l’invio di note ed osservazioni sino al successivo 15-07-10; Che detto termine è stato poi postergato al successivo 06-09-10; Che nel periodo 12/27 Luglio 2010 si sono svolte le elezioni per il rinnovo dei Componenti del Consiglio Nazionale Forense; Che nel pomeriggio del 16-09-10 è pervenuto a tutti gli ordini testo del regolamento rielaborato a seguito delle osservazioni, delle note e delle critiche inviate allo stesso CNF; Che il giorno 18-09-10 si è tenuta in Roma Assemblea dei Presidenti degli Ordini, nel corso della quale sono emerse ulteriori considerazioni, suggerimenti e critiche al testo predisposto; Che in data 24-09-10 il CNF ha licenziato il testo definitivo del Regolamento, senza ulteriori confronti con gli Ordini, e senza tener presente alcune delle critiche sollevate in sede assembleare; Che a tutt’oggi non vi è stata da parte del Ministero la proclamazione degli eletti e quindi il Consiglio Nazionale Forense opera in regime di prorogatio; Che diversi Ordini e diverse associazioni hanno manifestato perplessità circa l’effettivo potere “legislativo” del CNF ad emanare il regolamento per il riconoscimento del titolo di Avvocato specialista; Che l’art. 91 del RDL n. 1578/33, tutt’ora vigente, prevede genericamente che non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale. Considerato inoltre Che (nella colpevole assenza di una volontà politica ad accogliere le reiterate istanze di riforma della Professione avanzate dall’Avvocatura) scopo, assolutamente condivisibile, del regolamento, è da un lato quello di fornire al cittadino l’immagine di un’avvocatura affidabile, professionale Quaderni

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e soprattutto chiara nel rapporto con il proprio cliente e dall’altro (come è dato leggere dalla relazione di accompagnamento) “non è quello di creare aree di riserva a vantaggio di ristrette elite professionali; ma al contrario è funzionale a tutelare l’affidamento del cittadino sulla professionalità dell’avvocato favorendo, al contempo, l’acquisizione di saper specialistici che sono, in quanto tali, garanzia di migliore qualità della prestazione” Che correttamente l’art. 2 del regolamento prevede che l’avvocato specialista sia quello “…che ha acquisito,…, una specifica e significativa competenza teorica e pratica”, prevedendo pertanto che non basta il solo sapere ma è necessaria anche la dimostrazione del saper fare; Che alla luce di quanto sopra il cliente che si rivolga all’Avvocato Specialista farà, quindi, affidamento su una assistenza legale superiore da parte di un professionista che oltre al sapere è in condizione di saper fare; Che nell’art. 3 sono elencate n. 11 specializzazioni e più precisamente: · Diritto di famiglia, dei minori, e delle persone; · Diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni; · Diritto commerciale; · Diritto del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale; · Diritto industriale; · Diritto della concorrenza; · Diritto Tributario; · Diritto amministrativo; · Diritto della navigazione; · Diritto dell’Unione Europea; · Diritto penale; Che il detto elenco non può essere condiviso nella sua interezza attesa: · sia l’eccessiva frammentazione del diritto civile in più specializzazioni rispetto ad altri settori del diritto; · sia l’individuazione di settori assolutamente generici del diritto quali ad esempio il diritto della Concorrenza; · sia l’omesso inserimento di specializzazioni riguardanti gli aspetti formali della professione quali ad esempio quelli relativi al diritto processuale civile (in particolar modo) e penale; Che gli artt. 33 e 34 del RDL n. 1578/33 prevedono il diritto dell’Avvocato, trascorsi 12 anni dalla iscrizione all’albo ordinario, ad iscriversi all’Albo dei Cassazionisti tenuto dal CNF con conseguente diritto per il professionista di esercitare la professione davanti alla Corte di Cassazione ed a tutte le altre magistrature superiori; Che l’art. 5 del regolamento prevede la possibilità di presentare doman-

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da volta ad ottenere il titolo di Avvocato specialista trascorsi almeno 6 anni dall’iscrizione all’albo; Che l’Avvocato Specialista oltre al sapere ed al saper fare, deve poter fare; Che nel Diritto Processuale Penale sono previste diverse possibilità per la parte, e quindi per il suo difensore, di adire la Suprema Corte (magistratura superiore) avverso provvedimenti adottati sia dal PM che dai giudici nel corso del procedimento di I^ grado di giudizio; Che nel processo amministrativo tutte le fasi di gravame (anche avverso i provvedimenti cautelari) si svolgono avanti al Consiglio di Stato (magistratura superiore) Che in tutti i procedimenti civili, penali e tributari, il giudizio si può concludere con il grado di legittimità avanti la Suprema Corte di Cassazione; Che pertanto appare incoerente, con il dettato normativo vigente, prevedere la possibilità del riconoscimento del titolo di specialista all’Avvocato che pur avendo il sapere e pur avendo dimostrato di saper fare, non può oggettivamente fare, ovvero appare incoerente prevedere il riconoscimento del titolo di specialista anche a quegli Avvocati che non possono esercitare la professione avanti le magistrature superiori; Che appare opportuno coordinare il testo del regolamento con il dettato normativo (Art. 33 e 34 RDL n.1578/33) prima che la normativa sulle specializzazioni entri in vigore (1-06-2011) Che in caso di mancato coordinamento, vi è il fondato timore: · di vanificare totalmente, l’apprezzabile e condivisibile, finalità cui mira il regolamento e cioè sia quella di fornire al cittadino l’immagine di un’avvocatura affidabile, professionale e soprattutto chiara nel rapporto con il proprio cliente e sia quella di garanzia di migliore qualità della prestazione; · di ingenerare nella clientela un’ immagine di incertezza, di confusione e di inaffidabilità del titolo di specialista (basti pensare all’Avvocato Specialista in Diritto Penale non Cassazionista il quale potrebbe dover riferire al proprio assistito che non può presentare ricorso di legittimità avverso il provvedimento del Tribunale della Libertà perché non abilitato ad esercitare avanti a detta magistratura, ovvero all’Avvocato Specialista in Diritto Amministrativo il quale dovrà riferire al proprio cliente che lui non può proporre gravame alla sentenza di I^ grado emessa dal TAR in quanto carente di ius postulandi avanti al Consiglio di Stato e che lui cliente dovrà cercarsi altro avvocato per far valere le sue ragioni) Quaderni

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Che stante le dichiarate finalità del regolamento di garanzia professionale e di trasparenza di rapporti con la clientela, sorprende che nel testo del regolamento licenziato non sia prevista: · l’obbligatorietà per lo specialista di munirsi di una polizza assicurativa Professionale (obbligo peraltro rivendicato dall’Avvocatura nel proprio elaborato di Riforma delle Professioni) · la possibilità di revocare il titolo non solo per mancato aggiornamento ma anche per intervenute successive sanzioni disciplinari in capo allo Specialista per violazioni deontologiche Che la limitazione al conseguimento di due soli diplomi di specialista (art. 2) appare contra legem atteso che non può precludersi a priori la possibilità per il professionista di ottenere il diploma in tutte le specializzazioni, ovvero non può precludersi all’Avvocato di cambiare, nel corso della propria vita professionale, il tipo di specializzazione o i tipi di specializzazione; Che non sono specificati quali saranno i criteri con i quali verranno individuati i commissari d’esame tra gli Avvocati Cassazionisti; Ritenuta L’importanza che il regolamento sulle specializzazione avrà sull’intera categoria sia sotto l’aspetto economico sia sotto l’aspetto sociale e sia infine sotto l’aspetto d’immagine dell’intera categoria nei confronti della collettività La necessità di chiarire i dubbi sulla effettiva potestà legislativa del CNF all’emanazione del regolamento; La necessità di superare, in via condivisa tra tutte le componenti del mondo forense, le possibili incoerenze tra il dettato normativo (artt. 33-34 e 91 del RDL n. 1578/33) ed il regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista L’opportunità che il regolamento venga licenziato da un Organo nel pieno dei suoi effettivi poteri e non in prorogatio Invita Il Consiglio Nazionale Forense 1) a sospendere ogni effetto della delibera adottata il 24-09-2010 circa il regolamento sulle specializzazioni 2) a riaprire la discussione sul Regolamento tra tutte le componenti dell’Avvocatura 3) a rimettere al prossimo Congresso Nazionale in Genova ogni decisione in merito

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Delibera del C.O.A. di Firenze del 13.10.210 Su relazione del Presidente, il Consiglio all’unanimità DELIBERA (1) Si condividono i contenuti delle delibere già approvate da alcuni Consigli dell’Ordine (tra gli altri, Palermo, Napoli e Bari) ed in particolare: a) il rilievo che il Consiglio Nazionale Forense non ha tenuto adeguatamente conto né delle indicazioni emerse nel corso dell’Assemblea dei Presidenti dei Consigli dell’Ordine tenutasi a Roma il 18 settembre 2010 (all’esito della quale era stato concordato – ed era comunque emerso come assolutamente necessario – di procedere ad ulteriori approfondimenti) né delle posizioni espresse da alcune Associazioni Forensi; b) la considerazione dell’inopportunità, anche sotto il profilo della correttezza dei comportamenti istituzionali, che la delibera di approvazione del Regolamento sia stata assunta dal Consiglio Nazionale Forense in situazione di prorogatio e nell’imminenza dell’insediamento dei componenti eletti all’esito delle operazioni di rinnovo del Consiglio tenutesi nel luglio scorso (di cui ben 11 sono di nuova nomina). (2) Si riconfermano integralmente le osservazioni critiche già espresse con il documento allegato alla delibera n. 2 dell’8 settembre 2010 (delle quali il regolamento approvato il 24 settembre 2010 non pare aver tenuto conto se non in maniera del tutto marginale nonostante che nel corso del dibattito svoltosi nell’Assemblea del 18 settembre 2010 in Roma fossero state ampiamente condivise ed apprezzate) con le integrazioni che seguono. a) L’esigenza che la materia delle specializzazioni sia disciplinata con provvedimento legislativo e non meramente regolamentare è imposta dal contenuto dell’art. 91 del R.D.L. 1578/1933 che dispone che “alla professione di avvocato non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale”. b) Nell’individuazione dell’elenco delle specializzazioni mentre è stato opportunamente eliminato il riferimento al “diritto civile” in considerazioQuaderni

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ne della vastita della materia e della genericità della macroarea, altrettanto non è stato fatto con riguardo alle aree del “diritto penale” e del “diritto amministrativo” per le quali si ribadisce che, ferma la necessaria competenza “unitaria” di tipo processuale, devono considerarsi le specificità ed articolazioni di diritto sostanziale (si pensi al diritto penale dell’economia, finanziario, tributario, societario e fallimentare ed al diritto penale ed amministrativo in materia urbanistica ed ambientale nonché al diritto amministrativo in materia scolastica, di pubblico impiego, e di appalti pubblici). Tale scelta del Regolamento finisce per contraddire l’idea stessa di “specialista” delle competenze professionali. Per quanto concerne le aree del diritto civile si rileva che non sono stati considerati settori di grande rilevanza quali il diritto dell’immigrazione e degli stranieri, il diritto “immobiliare” (proprietà, diritti reali, locazioni, condominio) così come non sono stati considerati in autonomia (essendo stati accorpati anacronisticamente ed irragionevolmente nella macroarea del diritto commerciale) il diritto fallimentare, il diritto bancario ed il diritto societario). c) L’obbligo della frequenza “proficuamente e continuativamente” per almeno un biennio di una scuola o di un corso di alta formazione (con il conseguimento del relativo attestato) è ingiustificato ed irragionevole (oltre che gravemente oneroso). A tale riguardo non possono non essere richiamate le osservazioni già mosse dall’AGCM con segnalazione n. 41 del 21.9.2009 (relativa agli analoghi contenuti dell’art. 8 del disegno di legge di riforma dell’ordinamento forense in discussione al Senato) che ha auspicato “la previsione di un sistema aperto ed alternativo alle scuole” al fine di consentire a chiunque di poter “dimostrare la relativa specializzazione a prescindere dalla frequentazione delle scuole suddette”. Una volta fissati (in maniera oggettiva e non discrezionale) i contenuti che lo specializzando dovrà dimostrare di possedere e determinati con rigore i criteri di valutazione in sede d’esame, deve essere consentito un percorso formativo anche individuale; semmai la frequenza della scuola e/o dei corsi specializzandi potrebbe essere valorizzata per ridurre il numero di anni necessari per il conseguimento del titolo (così consentendosi anche ai colleghi più giovani di accedervi). d) Quanto ai soggetti deputati alla gestione delle attività di formazione è evidente che il Consiglio Nazionale Forense non può svolgere alcun ruolo essendo il soggetto istituzionale cui deve essere riservato esclusivamen-

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te il compito di rilasciare il titolo di avvocato specialista e di esercitare il controllo sul complessivo funzionamento del sistema. La presente delibera è stata adottata, all’unanimità dei presenti alle ore 15,40. Se ne dispone la pubblicazione sul sito internet dell’Ordine. f.to Il Consigliere Segretario Avv. Alberto Fabbri

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f.to Il Presidente Avv. Sergio Paparo

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Comunicato stampa dell’A.I.G.A. del 25.9.2010 L’AIGA boccia il Regolamento del CNF sulle specializzazioni “Sono molto sorpreso – ha dichiarato Giuseppe Sileci, Presidente AIGA – nell’apprendere che il CNF, approvando il Regolamento sulle specializzazioni forensi, abbia introdotto un regime transitorio, consentendo la specializzazione “ope legis” degli avvocati più anziani. Esonerando dalla frequenza del corso di formazione gli avvocati con oltre 20 anni di iscrizione all’albo ed imponendola solo agli iscritti più giovani, si garantisce ai primi un enorme vantaggio competitivo perché si gravano di obblighi e relativi oneri, economici e non solo, unicamente i secondi, ossia coloro che hanno redditi più bassi ed oltretutto in costante calo”. “L’AIGA – ha spiegato Sileci – si è sempre battuta per l’obbligatorietà della formazione ed è da sempre favorevole alle specializzazioni, ma non può consentire che all’interno del ceto forense, la cui componente giovane costituisce più del 60% degli iscritti, si attuino scelte regolamentari gerontocratiche, così perpetuando un’abitudine che sta condannando il nostro Paese ad un inesorabile arretramento economico-sociale”. “Avevamo anche suggerito di prevedere specializzazioni più moderne, quali il diritto ambientale, che si caratterizzano per la loro multidisciplinarietà – ha aggiunto Sileci – ma il CNF ha optato per specializzazioni molto tradizionali determinando, forse involontariamente, una disparità di trattamento tra civilisti, i quali potranno essere specializzati in una determinata materia, ed i penalisti - amministrativisti e tributaristi, i quali potranno spendere una specializzazione “generalista” in diritto penale, amministrativo o tributario”. “L’Associazione Italiana Giovani Avvocati, quindi, nel ribadire la piena contrarietà ad una disciplina che ostacola la crescita lavorativa dei giovani, chiede – ha concluso il Presidente – di essere immediatamente sentita dal CNF sul Regolamento approvato ieri affinché se ne adegui il contenuto alle reali esigenze dell’intera categoria”.

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Comunicati stampa dell’Unione Camere Penali Italiane del 24, 27 e 28.9.2010 Comunicato stampa sull’approvazione del Regolamento Specializzazioni da parte del CNF L’Unione delle Camere Penali Italiane esprime il proprio pieno apprezzamento per l’odierna approvazione da parte del Consiglio Nazionale Forense del regolamento sulla specializzazione dell’avvocato. Si tratta di una decisione storica, poiché per la prima volta in un testo normativo, sia pure regolamentare, viene disciplinata la specializzazione forense, sinora consegnata ad incontrollabili qualifiche di fatto che non garantivano in alcun modo i cittadini, che sono i veri destinatari di questa iniziativa. Si tratta di una battaglia che l’UCPI ha condotto in maniera serrata in questi ultimi anni, insieme alle altre associazioni specialistiche, e che gli ordini forensi hanno accolto con estremo favore. Al Consiglio Nazionale Forense ed a Guido Alpa che l’ha fortemente e coraggiosamente sostenuta va il grande merito di aver saputo far proprie le istanze di massima qualità e trasparenza della prestazione professionale sottese al nuovo regolamento e di aver valorizzato lo strumento regolamentare come momento di rilancio politico della ineludibile riforma della professione forense. Nei prossimi anni avremo avvocati più qualificati e la loro competenza settoriale potrà essere nota ai cittadini, che potranno rivolgersi ad un professionista la cui preparazione nello specifico settore sarà dettagliatamente verificata. Il segnale che l’avvocatura intende inviare alla politica è chiaro e pienamente condiviso dall’UCPI: non saranno più tollerate ulteriori inerzie e retromarce; laddove il legislatore non si facesse carico di garantire ai cittadini un avvocato che sia davvero in grado di tutelarne i diritti e le libertà, l’avvocatura non esiterà, con gli strumenti a sua disposizione, a percorrere la strada di una propria rigorosa battaglia riformatrice. La Giunta UCPI Roma, 24 settembre 2010

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Specializzazioni forensi/UCPI: ANF parla di democrazia ma ancora deve imparare dove stia di casa Ogniqualvolta, all’esito di libere e democratiche consultazioni interne all’avvocatura, l’Associazione Nazionale Forense va in minoranza, non trova di meglio che urlare e sbraitare lamentando attentati alla democrazia – questa la reazione dell’Unione Camere Penali Italiane alla dichiarazione del segretario generale dell’ANF, Ester Perifano, in merito all’approvazione del regolamento sulla specializzazione forense. Il metodo democratico, cui il CNF in questi ultimi anni ha dato piena attuazione convocando sempre tutte le componenti dell’avvocatura e discutendo qualunque ipotesi di regolamentazione, per potersi dire realmente tale impone che la minoranza ceda il passo alla maggioranza, a maggior ragione quando ciò viene preventivamente pattuito. Constatiamo oggi, così come già nel corso della discussione sul disegno di legge di ordinamento forense protrattasi per oltre due anni all’interno dell’avvocatura, che questa banale regola democratica ad ANF è sconosciuta. È bene però che ANF ricordi che anche sulla specializzazione forense il confronto interno è stato ampio e si è protratto per mesi. Mesi nel corso dei quali il CNF ha prorogato il termine per gli emendamenti e, in più occasioni, ha consultato gli ordini e le associazioni, per poi adottare un testo che ha trovato la preventiva approvazione della assoluta maggioranza dei destinatari. Nessun blitz dunque – come dichiarato dalla Perifano - ma soltanto la riuscita sperimentazione di un metodo assolutamente democratico; e in democrazia, com’è noto, la maggioranza prevale. La Giunta UCPI Roma, 27 settembre 2010 AIGA si affianca ad ANF nel tentativo scomposto di affondare la specializzazione. L’attacco di AIGA alla norma transitoria, che consente agli avvocati iscritti all’albo da più di 20 anni di dichiarare una specializzazione conseguita, appare strumentale al sabotaggio del regolamento coraggiosamente adottato dal CNF. La norma transitoria è un male inevitabile per qualunque riforma che voglia funzionare a regime, la scelta dei venti anni ed il limite ad una sola specializzazione è un compromesso intuibilmente ragionevole.

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Non si può, se non strumentalmente, prima condurre battaglie per rendere meno rigoroso l’accesso agli albi di specialità e per annacquare la specializzazione e poi portare attacchi massimalisti e velleitari alla norma transitoria. Se si vuole difendere l’avvocato generalista e dequalificato, l’accesso facile e la formazione poco gravosa, lo si dica apertamente. L’UCPI, che da sempre è in grado di operare anche da sola in virtù della sua storia e del suo quarantennale ruolo trainante di rappresentanza nelle battaglie di civiltà per la difesa dei valori costituzionali, si opporrà duramente in tutte le sedi, nessuna esclusa, per denunciare il tentativo gattopardesco di cambiare tutto per non cambiare nulla. Non si conferiscano poteri di rappresentanza a sindacati più o meno esistenti che operano di conserva con l’ANM, non si rappresenti il CNF come un manipolo di decisionisti antidemocratici: tutte le associazioni sono state consultate intorno ad un tavolo comune, naturalmente non può farsi prevalere le opinioni incompatibili con le espressioni di maggioranza. Questa falsa rappresentazione del CNF, al pari di quella altrettanto falsa di un’avvocatura divisa, non giova alle battaglie dell’avvocatura e la indebolisce nei confronti della politica. La Giunta UCPI Roma, 28 settembre 2010

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Osservazioni dell’Associazione Nazionale Forense del 27.9.2010 Perifano (Anf): “Un Cnf scaduto per metà decide per 240 mila avvocati”. Secondo l’Associazione nazionale forense il regolamento approvato in tutta fretta venerdì scorso dal Consiglio nazionale forense, da un punto di vista tecnico è inadeguato a disciplinare in modo efficace la materia delicatissima delle specializzazioni, mentre il metodo applicato è assolutamente inopportuno. Ad affermarlo è il segretario generale dell’Anf, Ester Perifano che contesta fortemente anche il metodo portato avanti dal Consiglio nazionale forense. «Un blitz come questo – ha affermato Perifano – non è concepibile a meno di due mesi dalla celebrazione del Congresso nazionale; 11 membri su 26 sono già stati rinnovati e il Cnf ha di fatto già concluso il suo mandato esercitando un potere regolamentare che la legge attuale non gli riconosce, incidendo pesantemente sulla vita professionale di 240 mila avvocati e ignorando le perplessità del mondo forense, innanzi tutto degli Ordini che avevano chiesto una pausa di riflessione». «Per la seconda volta in pochi anni – ha continuato Perifano – ci troviamo di fronte ad un Consiglio nazionale ente tuttofare: determina l’elenco delle specializzazioni, gestisce il registro degli Enti formatori, fa l’esame agli specializzandi». Inutile appare ogni forma di consultazione, se poi delle tantissime critiche mosse dai tanti soggetti presenti, Ordini in primo luogo, non si tiene alcun conto. Sconcertante poi che si espropri il Congresso di decidere sulla opportunità di regolamentare le specializzazioni e sul merito della regolamentazione, dal momento che, lungi dal riguardare solo la deontologia professionale, si tratta di una materia destinata ad incidere direttamente ed immediatamente sulla attività professionale di tutti gli avvocati. Tra i punti più controversi Palma Balsamo, responsabile per il Direttivo Nazionale del settore Specializzazioni Forensi, segnala quanto segue : - vengono indicate fra le specializzazioni branche del diritto effettiva-

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mente specialistiche, come il diritto di famiglia o quello sportivo, accanto a veri e propri settori del diritto, come il diritto penale o quello amministrativo, sinora considerati come macroaree e non specializzazioni; - vengono inopinatamente addossati ai consigli dell’ordine, già in difficoltà nella gestione della formazione continua permanente, ulteriori e pesanti compiti di formazione degli avvocati specialisti; - vengono introdotti criteri per l’accreditamento degli enti formatori che contraddicono la pluralità dell’offerta e di fatto negano la possibilità che soggetti estranei alle istituzioni forensi e a poche associazioni specialistiche di avvocati possano organizzare e gestire le scuole; - vengono iscritte di diritto nell’elenco dei formatori le Associazioni specialistiche riconosciute dal Congresso, inclusa l’Unione delle Camere civili, che sono riconosciute solo in base alla loro generale rappresentatività, senza che sia mai stato operato alcun controllo, né sul numero degli specialisti iscritti alle associazioni, né sul loro effettivo esercizio di attività forense specialistica; - non viene specificato, seppure espressamente richiesto al CNF, che le associazioni ed i loro dirigenti, non possano essere soci o in qualsiasi altro modo partecipare a società, associazioni o enti aventi fini di lucro, e che la formazione e le scuole debbano essere gestite dalle associazioni iscritte negli elenchi direttamente e senza intermediari; - viene introdotta una disciplina transitoria che, a fronte di tanto rigore per il conseguimento del titolo di specialista, consente agli avvocati iscritti all’albo da più di venti anni di autodefinirsi specialisti in due diverse materie senza alcuna verifica. «La vicenda è davvero allarmante» chiosa Perifano «per cui il Congresso Straordinario dell’Associazione, previsto a Pescara dall’8 al 10 ottobre p.v., cade a proposito: sarà l’occasione giusta per approfondire tutte le scottanti tematiche sul tappeto e chiamare l’ANF, in vista del Congresso di Genova, a definire le proprie posizioni, per difendere e sostenere, in sede congressuale, le proprie idee, nell’interesse non solo dei propri aderenti e simpatizzanti ma dell’Avvocatura intera. Troppo spesso ignorata, è evidente, da vertici completamente scollati dalla base».

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Comunicato stampa dell’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi Il comunicato del 20 settembre 2010 della Associazione Nazionale Forense merita una risposta, anche da parte della nostra Associazione che finora, nel lodevole intento di evitare possibili polemiche, ha evitato di esprimersi. Dobbiamo prendere atto che ANF preferirebbe nella realtà mantenere le cose come stanno, vale a dire senza regole. Infatti, la mancanza di un regolamento sulle specializzazioni ha portato al proliferare di avvocati che si definiscono specializzati al di fuori di qualunque controllo; se si dubita di questa affermazione basta andare su internet e verificare. La nostra e le altre associazioni, che per loro natura raggruppano avvocati che da anni hanno fatto una scelta professionale precisa, hanno portato avanti con estrema trasparenza il progetto di costruire il sistema delle specializzazioni per l’avvocatura, rendendosi conto che si tratta di una scelta obbligata e responsabile, una risposta precisa a bisogni del paese e dei suoi cittadini che hanno il diritto di sapere le qualificazioni professionali degli avvocati a cui vogliono rivolgersi. A tale scopo il regolamento inizialmente proposto dal CNF è stato sottoposto a un lungo esame da parte di tutte le componenti dell’avvocatura, che hanno potuto esprimere liberamente le proprie posizioni in merito, arrivando al testo infine approvato. Come ogni regolamento, esso può esprimere compiutamente o meno i desideri, le aspettative, le volontà di ciascuna componente dell’avvocatura; ma da qui a proporre continui rinvii, riesami, approfondimenti oltre quelli già effettuati, vuole semplicemente dire che non si desidera risolvere il problema, mantenendo l’attuale stato confusionale. Anche a noi non piacciono alcune scelte fatte dal CNF, sopratutto in merito alla disciplina transitoria per la quale avevamo proposto forme più semplici per i colleghi con almeno dieci anni di iscrizione all’albo e per i giovani. Se ANF intende che il dibattito avvenuto e le conclusioni riassunte nel regolamento siano contrarie alle sue determinazioni è liberissima di continuare la sua battaglia che per noi è di retroguardia; ma non può offendere,

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come ha fatto le Associazioni, che si sono impegnate in senso opposto, attribuendo loro un semplice interesse economico all’emanazione del regolamento sulle specializzazioni. Questa è una battuta di effetto, che dimostra semplicemente che la vera preoccupazione di ANF è che la definizione di specialista possa creare una categoria di avvocati diversa da quelli che essa ritiene di rappresentare. Nel mondo dell’avvocatura c’è posto per tutti, dal momento che la vera selezione non è il titolo che ciascuno può aver ottenuto, comunque dopo studi approfonditi ed esami, ma nella capacità del singolo di esercitare con professionalità e dignità la propria professione. Quanto al supposto interesse economico e di lucro, occorre ricordare che nessuna esclusiva è affidata alla formazione specialistica delle Associazioni; la formazione di specialisti è libera e potrà essere esercitata da chiunque ritenga di avere le capacità di insegnare, una volta ottenuto il riconoscimento del CNF. ANF, che certamente ha dentro di sé le risorse per farlo, potrà misurarsi anch’essa sul punto, anche se quello che appare da tutti i comunicati di ANF sul problema specializzazione è, purtroppo, la paura del nuovo ed il desiderio che l’avvocatura resti un mondo incapace di far fronte alle realtà economiche e sociali in continuo divenire piuttosto che misurarsi in un terreno finora inesplorato. Grazie, quindi, ai colleghi del CNF che hanno dato un segnale importante per l’avvocatura in un momento in cui, invece, la classe politica dimostra la sua totale assenza dal problema. Avv. Patrizio Tumietto PRESIDENTE UNCAT

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Comunicato stampa della Camera Civile Veneziana del 28.9.2010 La Camera Civile Veneziana, esaminato il contenuto del regolamento sulle specializzazioni forensi approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 24 settembre, esprime il proprio dissenso per alcune delle previsioni in esso contenute. In particolare, rileva con sconcerto che per quanto riguarda il diritto civile sono state individuate sei aree di specialità (diritto di famiglia, dei minori e delle persone; diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni; diritto commerciale; diritto del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale; diritto industriale; diritto della concorrenza) a fronte di nessuna, ad esempio, nell’ambito del diritto penale e di quello amministrativo. Tale scelta determinerà una palese disparità di trattamento all’interno dell’Avvocatura posto che coloro che esercitano prevalentemente nel diritto penale o in quello amministrativo potranno fregiarsi della qualifica di specialisti, mentre altrettanto non potranno fare coloro che non svolgano attività preminente in una delle aree suindicate, le quali, oltre a non prendere in considerazione vasti settori del diritto civile, sembrano avere invece privilegiato solo taluni ambiti, alcuni dei quali sin troppo circoscritti. La Camera Civile Veneziana, nell’evidenziare l’inopportunità e l’inadeguatezza di tali previsioni e la propria ferma contrarietà, chiede che il regolamento venga quanto prima sottoposto ad un’opportuna revisione che ponga rimedio alle segnalate anomalie evitando che una gran parte degli avvocati civilisti risulti penalizzata ed emarginata da un riconoscimento di qualifica che, come ricorda lo stesso regolamento, è stato invece voluto da Ordini e Associazioni nella convinzione che l’attribuzione di avvocato specialista sia a garanzia dell’interesse pubblico e a tutela dei cittadini. IL SEGRETARIO avv. Fabio Sportelli

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IL PRESIDENTE avv. Paolo Maria Cherservani

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Osservazioni dell’A.I.A.F. del 1.10.2010 Ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati Al Presidente e ai Componenti del Consiglio Nazionale Forense Al Presidente dell’OUA Alle Associazioni AGI - Associazione Giuslavoristi Italiani AIGA - Associazione Italiana Giovani Avvocati UNCC - Unione Nazionale Camere Civili UCPI - Unione Nazionale Camere Penali UNCAT - Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi SIAA - Società Italiana Avvocati Amministrativisti UGAI - Unione Giovani Avvocati Italiani LORO INDIRIZZI E-MAIL REGOLAMENTO SULLE SPECIALIZZAZIONI FORENSI L’AIAF, che sin dalla sua costituzione, risalente al 1993, si è battuta per garantire ai cittadini una difesa e assistenza legale qualificata, fondata sul riconoscimento della specializzazione e l’obbligo di aggiornamento professionale dell’avvocato, accoglie con soddisfazione l’approvazione del Regolamento sulle specializzazioni forensi da parte del Consiglio Nazionale Forense. Il riconoscimento della specializzazione è una questione sulla quale in Italia si dibatte da almeno 40 anni, senza che la politica e il legislatore siano stati mai in grado di dare qualsivoglia soluzione, così come sinora avvenuto per il progetto di legge di riforma della professione forense, che giace in Parlamento e di cui non vi è alcuna certezza di calendarizzazione dell’esame, soprattutto in questo burrascoso periodo politico che sembra avviarsi verso elezioni anticipate. In questo contesto di carenze politiche e legislative l’Avvocatura italiana è stata finalmente in grado di dare un segnale forte, propositivo e concreto, che non si limita più a critiche e contestazioni, ma avanza con un progetto nuovo che, seppure limitato alla sola questione della specializzazione, è in grado di contribuire fattivamente a migliorare l’immagine Quaderni

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dell’Avvocatura stessa presso i cittadini, di tutelare l’interesse della collettività offrendo una certificata qualità della prestazione professionale in determinate materie e aree giuridiche, con conseguenze sul mercato del lavoro che non potranno che essere positive anche per gli avvocati, soprattutto nei settori più minacciati dall’intervento espansionistico di altre categorie professionali. È indubbio che la scelta attuata dal Consiglio Nazionale Forense, supportata e condivisa dalla stragrande maggioranza degli Ordini e delle Associazioni forensi e risultato di un ampio processo di consultazione con questi, valorizza il ruolo degli avvocati nell’amministrazione della giustizia, e più in generale il ruolo sociale di un’Avvocatura garante dei diritti dei cittadini, come ha affermato il Presidente del CNF, Avv. Prof. Guido Alpa. L’AIAF ha contribuito al dibattito sul Regolamento con proposte e richieste di integrazione e modifica, con la finalità di salvaguardare un doveroso criterio di rigore per il conseguimento e il mantenimento del titolo di specialista, ma anche di tutelare l’impegno manifestato in questi anni dai tanti giovani avvocati che scelgono di svolgere la loro attività in via prevalente in un determinato ambito giuridico e si aggiornano con costanza nella relativa materia. La questione delle norme transitorie è stata tra le più discusse, e dopo l’elaborazione di diverse proposte da parte del CNF che di volta in volta ha recepito i suggerimenti di Ordini e Associazioni, si è pervenuti ad una soluzione che certo è carente, poiché non prevede un criterio che possa dare rilevanza, ai fini del riconoscimento della specializzazione, all’effettiva pratica ed esperienza maturate in uno specifico settore da avvocati con anzianità inferiore ai 20 anni. La previsione di consentire agli avvocati iscritti all’Albo da almeno dieci anni e meno di venti, di svolgere direttamente l’esame senza la frequentazione della scuola, che pure era presente nelle altre bozze del Regolamento redatte dal CNF, è stata cancellata nel testo definitivo. È rimasta solo la norma transitoria che esonera gli avvocati con più di 20 anni di iscrizione all’Albo dalla frequentazione della Scuola, e consente loro di scegliere una sola materia in cui chiedere il riconoscimento della specializzazione da parte del CNF, rispetto alla quale dovranno però dare ampia e documentata dimostrazione di effettivo e continuativo svolgimento di attività. Il controllo avverrà sia da parte dell’Ordine che del CNF, e un accertamento rigoroso non renderà certo semplice ottenere l’automatico riconoscimento della specializzazione in forza della sola anzianità.

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Tuttavia, poiché l’entrata in vigore della nuova disciplina è prevista per il giugno 2011, e il CNF ha ribadito anche nella relazione accompagnatoria che il testo licenziato dovrà essere sperimentato e potrà essere modificato, l’AIAF continuerà ad impegnarsi per ottenerne una modifica che tenga conto di criteri meritocratici, a salvaguardia delle situazioni di coloro che già di fatto svolgono una attività esclusiva o prevalente e continuativa in un settore giuridico e desiderano acquisire il titolo di specialista, rispetto ai quali andranno individuati specifici requisiti per l’esonero dalla frequentazione della scuola. Il prossimo Congresso Nazionale Forense di Genova dovrà ora ribadire con rinnovata fermezza la richiesta unanime dell’Avvocatura all’immediata approvazione del testo del progetto di legge sulla Riforma della professione forense, ma dovrà anche soprattutto manifestare la nostra capacità di andare oltre le contestazioni, che non sempre sono comprese dai cittadini, e che rischiano di dare un’immagine dell’Avvocatura conservatrice e ripiegata su stessa, a difesa di privilegi di categoria o di mercato che ben sappiamo che nei fatti non esistono più da molto tempo. Le critiche che in questi giorni provengono da un’Associazione generalista quale ANF, che con veemenza individua nel Consiglio Nazionale Forense il nemico da abbattere, e giunge persino all’insulto gratuito e infondato nei confronti di Associazioni specialiste quali l’AIAF, l’UCPI, l’AGI e l’UNCAT che raccolgono migliaia di aderenti e la cui storia e attività sono di pubblica notorietà, non possono che creare un danno all’Avvocatura. In primo luogo queste critiche non tengono conto dell’ampio confronto che si è sviluppato per oltre due anni all’interno del CNF, degli Ordini e delle Associazioni forensi sul tema delle specializzazioni forensi e della relativa regolamentazione, che è giunto alla conclusione dell’approvazione del Regolamento solo in quanto si è costituita intorno al testo proposto dal CNF una larghissima maggioranza che ne condivideva lo spirito e il contenuto. L’ANF nel tacere su questo ampio e lungo confronto, in cui certo non ha mai sostenuto la specializzazione forense, assume posizioni non corrette che negano i basilari principi della democrazia, negando legittimazione alle posizioni espresse dalla stragrande maggioranza di Ordini e Associazioni. L’ANF, Associazione generalista, ha sempre espresso la sua contrarietà rispetto ad un potere regolamentare del CNF in merito alle specializzazioni, così come si era anche schierata contro il Regolamento sulla formazioQuaderni

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ne continua, giungendo a rivolgersi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Si deve peraltro ricordare che il Tar Lazio ha disatteso i ricorsi che contestavano il potere regolamentare del CNF, con le decisioni 7081, 7230, 9769, 9770 del 2009, e di conseguenza le osservazioni contenute nei comunicati di ANF di questi giorni relative alla contestazione del potere regolamentare del CNF sono già state respinte dai giudici amministrativi. Ma il punto centrale è un altro. Queste posizioni critiche di ANF, che attaccano il CNF e le Associazioni specialiste in realtà sono strumentali ad una politica conservatrice di cui questa Associazione si è fatta sinora portavoce, che non esplicita mai un chiaro progetto per il futuro dell’Avvocatura, incapace di superare il piano delle critiche e di farsi carico con coraggio di un progetto di rinnovamento che guardi al futuro della professione e alle esigenze dei cittadini. Risulta di conseguenza preoccupante che l’OUA, Organismo Unitario dell’Avvocatura – e quindi rappresentante di tutte le istanze – non abbia espresso alcun comunicato sull’approvazione del Regolamento delle specializzazioni forensi da parte del CNF, e dia ampia risonanza alle posizioni critiche minoritarie che l’ANF rappresenta. L’AIAF auspica che l’OUA si faccia portavoce soprattutto del consenso che si è costituito intorno al testo del Regolamento approvato dal CNF, emerso in particolare nel corso dell’Assise del 18 settembre u.s. Proseguendo nel cammino che coerentemente segue da quasi 20 anni, l’AIAF intende da subito impegnarsi fattivamente per dare attuazione al Regolamento, dove viene riconosciuta quale materia di specialità il “diritto di famiglia, dei minori e delle persone”. L’AIAF, già riconosciuta dal Congresso Nazionale Forense come Associazione degli avvocati che svolgono attività in tali materie maggiormente rappresentativa sul territorio nazionale, viene inserita di diritto nell’elenco delle Associazioni costituite tra avvocati specialisti, e questo importante riconoscimento è solo frutto del nostro costante impegno, della nostra storia e della nostra capacità di individuare un progetto futuro e moderno per l’Avvocatura, avendo come riferimento il percorso già intrapreso dalla nostra categoria negli altri Paesi europei. ANF rifletta sulle conseguenze per l’immagine dell’intera Avvocatura delle sue dichiarazioni pubbliche prima di accusare l’AIAF di biechi interessi di business e sia leale e corretta nelle informazioni che dà ai Colleghi, ad esempio sulla forma della struttura di servizi creata dalle Associazioni specialiste per la gestione organizzativa delle scuole di specializzazione,

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essendo notorio che le Associazioni prive di personalità giuridica non possono svolgere attività che possono essere considerate commerciali in quanto prevedono ad esempio il pagamento di attività per i non soci. Questo limite ha da anni reso necessaria la costituzione delle Fondazioni forensi, non essendo possibile per gli Ordini degli avvocati gestire in proprio l’attività di formazione continua che prevede spesso il pagamento di una quota di partecipazione agli eventi. Auspichiamo quindi che il prossimo Congresso Nazionale Forense possa essere l’occasione di un proficuo dibattito sul futuro dell’Avvocatura, in cui ogni componente si senta impegnata ad individuare proposte e soluzioni concrete che possano, al di là delle critiche verbali, consentire all’Avvocatura italiana di rafforzare la propria immagine e il ruolo che le spetta nella società come a livello istituzionale, e offrire ai nostri giovani un modello più moderno della professione e concrete possibilità di lavoro. Avv. Milena Pini Presidente AIAF

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Osservazioni del Sindacato degli Avvocati di Bari del 10.10.2010 Il regolamento è del 24 settembre 2009. L’Associazione Nazionale Forense e il Sindacato Avvocati di Bari, aderente all’ANF, non hanno mancato di contestare sin da subito (e da ultimo in occasione del congresso straordinario tenutosi a Pescara nei giorni dell’8, 9 e 10 ottobre 2010) l’annunziata iniziativa del Consiglio Nazionale Forense, evidenziando – in particolare – che una simile determinazione non poteva essere sottratta alla approfondita ed irrinunciabile discussione da parte dell’intera Avvocatura Italiana, il cui Congresso – peraltro – si terrà a Genova nel prossimo Novembre. Discussione ancora più necessaria per tutte le perplessità espresse non soltanto da parte di associazioni forensi quali ANF ed AIGA, di gran lunga le più rappresentative dell’avvocatura italiana – se non altro in termini numerici – rispetto a quelle associazioni c.d. specialistiche che tale provvedimento hanno di fatto sponsorizzato e patrocinato (UCPI, UGI, AIAF, UNCAT), ma anche da parte dei Consigli degli Ordini degli Avvocati. Ragioni di opportunità avrebbero dovuto indurre il Consiglio Nazionale Forense a rimettere la questione al Congresso, specie in considerazione di tutte le pesantissime implicazioni che una statuizione di tal genere inevitabilmente provocherà sull’attività professionale degli avvocati italiani. Sempre ragioni di opportunità, ma diverse da quelle di cui sopra, avrebbero dovuto indurre il Consiglio Nazionale Forense ad astenersi dall’adozione di qualsivoglia provvedimento in argomento giacché, come già detto, ben 11 membri sui 26 che lo compongono trovansi in regime di prorogatio. Il regolamento, evidentemente illegittimo o forse privo – per quanto si dirà a breve – di qualsiasi valore, rappresenta niente altro che l’appiattimento del Consiglio Nazionale Forense – in quella esposta sua carente composizione – sulle posizioni molto interessate delle indicate associazioni c.d. specialistiche. Al riguardo non è sfuggito certamente che l’iniziativa del CNF risulta intimamente determinata, indotta e pilotata da tali associazioni, che tutte e contemporaneamente nella primavera del 2010 si ritrovarono ad adottare loro propri regolamenti sulla “specializzazione” forense in segno di pro-

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testa rispetto al ritardo del legislatore nel portare avanti la discussione del disegno di legge di riforma della professione forense. La dimostrazione dell’appiattimento del CNF sulle indicazioni delle c.d. Associazioni specialistiche è ulteriormente confermata dal fatto che con quel regolamento risultano iscritte di diritto nell’elenco dei formatori le Associazioni specialistiche riconosciute dal Congresso, inclusa l’Unione delle Camere Civili, che attualmente sono riconosciute solo in base alla loro generale rappresentatività, senza che sia mai stato operato alcun controllo, né sul numero degli specialisti iscritti alle associazioni, né sul loro effettivo esercizio di attività forense specialistica. D’altro canto, pur prevedendosi nel regolamento che tali associazioni non debbano aver alcuno scopo di lucro, il CNF ha omesso completamente di inserire il divieto che dette associazioni ed i loro dirigenti possano essere soci o in qualsiasi altro modo partecipi di società, associazioni o enti aventi fini di lucro, e che la formazione e le scuole debbano essere gestite dalle associazioni iscritte negli elenchi direttamente e senza intermediari. Non è sfuggito nemmeno agli avvocati italiani quanto denunciato da ANF in questi giorni, e cioè che quattro delle indicate associazioni c.d. specialistiche, ispiratrici del contestato Regolamento del CNF, hanno già costituito nei mesi scorsi una società, evidentemente avente scopo di lucro, la Gnosis Forense s.r.l., nel cui oggetto sociale rientra “la gestione delle attività e dei servizi necessari alla realizzazione e al funzionamento delle scuole di alta formazione per la specializzazione professionale”. Ecco disvelato come quelle associazioni c.d. specialistiche, che - grazie a quel regolamento da esse stesso ispirato al CNF - dovrebbero assumere il ruolo di garanti senza scopo di lucro della professionalità della classe forense italiana, già prima della emanazione del regolamento avevano approntato i mezzi e predisposto gli strumenti per lo sfruttamento privatistico e la gestione imprenditoriale di enormi flussi economici da estrarre da tutti i 240.000 avvocati italiani, oggi in balia di una cerchia ristrettissima di interessi. Infine ed a conferma della inadeguatezza, della farraginosità e della assoluta mancanza di qualsivoglia serio approccio al problema delle specializzazioni ed ai problemi dell’avvocatura italiana, non riesce comprensibile come mai siano state previste tra le specializzazioni branche del diritto civile (considerato nella sua interezza una macro area), quali il diritto di famiglia, quello della responsabilità civile e delle assicurazioni, della concorrenza, ecc…, nel mentre per il diritto penale e per quello amministrativo, non siano state individuate aree di specialità, nonostante trattasi Quaderni

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di veri e propri settori o macro aree del diritto che hanno in sé ed incontestabilmente plurime speciali discipline (si pensi per il diritto penale ai reati ambientali, a quelli finanziari, a quelli urbanistici, a quelli societari, a quelli fallimentari, a quelli in materia di sicurezza del lavoro, ecc…, ovvero per il diritto amministrativo all’area del pubblico impiego, a quella urbanistica, a quella degli appalti pubblici, a quella elettorale ecc...). Né francamente possono ritenersi neanche lontanamente convincenti le argomentazioni svolte dal CNF nella relazione esplicativa e di accompagnamento del regolamento, ove si afferma che “… per quanto riguarda gli ambiti collegati alla macroarea del diritto civile… si è ritenuto di non identificare come oggetto di possibile specializzazione in quanto tale, trattandosi di settore troppo vasto e rispetto al quale la stessa suddivisione in sei libri del codice civile, segnala la complessità e la sua articolazione in ambiti dotati di propri caratteri distintivi. Uguale criterio non è stato seguito per il diritto penale e per il diritto amministrativo; per il primo, svolgendo la conoscenza dei meccanismi del processo ruolo determinante ed imprescindibile, qualsiasi sia il sottosettore di specializzazione individuato; per il secondo, trattandosi di materia non adeguatamente scomponibile”. Questi i concetti propinati agli avvocati nella relazione del CNF !!! Non meno discutibile, poi, è la disciplina transitoria prevista nel regolamento!!!! Tuttavia, oggi non è questo il punto cruciale della questione. Prima o poi il tema delle specializzazioni vedrà coinvolta l’intera Avvocatura ma oggi la nostra attenzione deve concentrarsi su un regolamento del quale è lecito dubitare. Sebbene sia tuttora in vigore la legge professionale forense n. 1578 del 1933 che all’art. 91 recita “Alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale”, oggi abbiamo a che fare con un regolamento (l’ennesimo!!!!) del CNF e dobbiamo discutere sul come porci rispetto ad esso, rispetto a chi lo ha emanato, rispetto alla sua valenza. Il Sindacato Avvocati di Bari è del parere di prepararsi in tempi rapidissimi per una dura e caparbia battaglia politica contro lo strapotere – anche regolamentare, non previsto in materia dalla vigente legge professionale, e più volte denunciato – del CNF, che, inoltre, in scadenza di mandato e privo del numero di consiglieri previsto per legge adotta un provvedimento (l’ennesimo) destinato ad incidere sulla vita professionale degli avvocati.

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E l’iniziativa e la battaglia politica si impongono perché, se è vero che un Consiglio dell’Ordine può svuotare di contenuti il regolamento del CNF non riconoscendone la relativa potestà, è anche vero che l’Avvocatura ha il dovere di elaborare iniziative concrete (e forse anche rischiose) per tutelare la professione. È a tutti noto che l’Ordine degli Avvocati di Bari ha adottato – in sede di aggiornamento professionale – un proprio regolamento, così tutelando di fatto i propri iscritti, e non risulta che il CNF abbia adottato iniziative contro l’Ordine. Correttivo analogo potrebbe essere annunciato dall’Ordine di Bari sul tema in questione e anche in questo caso sarebbe assicurata una concreta tutela ai suoi iscritti. Il quesito che ne deriva è: che valore reale ha questo regolamento? Qual è la sanzione derivante dalla sua inosservanza? Abbiamo forse notizie in ordine ad iniziative disciplinari intraprese dal CNF in danno dei colleghi (anche di Bari) per la mancata osservanza del regolamento sull’aggiornamento professionale? Non risulta niente di tutto ciò. Se “specializzazione” dev’essere così sia, ma che ciò avvenga almeno con un provvedimento di legge che la preveda e la regolamenti!! Allora, come deve porsi l’Avvocatura rispetto a tutto ciò? Possono i singoli Avvocati e le Associazioni provocare interventi dei rispettivi Ordini di appartenenza? Vogliamo provocare l’elaborazione, tra tutti i delegati al Congresso Nazionale di Genova, di una mozione da presentare a fine novembre per dire con forza: “tu CNF, questo regolamento non lo puoi adottare e lo devi ritirare!!!” Questo è il compito che oggi tutti NOI siamo chiamati a svolgere! L’occasione per un confronto è prevista per venerdì 15 pv in occasione dell’Assemblea indetta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari. Partecipate numerosi.

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Delibera dell’Unione Nazionale delle Camere Civili del 9.10.2010 La Giunta Esecutiva dell’Unione Nazionale Camere Civili premesso: che in data 24 settembre 2010 il Consiglio Nazione Forense ha approvato il “Regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista”; visto il parere conforme espresso dal “Consiglio dei Presidenti” dell’Unione Nazionale delle Camere Civili, riunito in Roma, in data 8 ottobre 2010; delibera: 1) esprime apprezzamento nei confronti del CNF e del suo Presidente, per l’intervenuta approvazione del Regolamento sulle specializzazioni, con ciò dando un forte segnale alla politica che, se non viene in breve tempo approvata la legge di riforma dell’ordinamento forense, l’Avvocatura è comunque in grado di autoriformarsi e di dotarsi di regole condivise, che possano realizzare alcuni degli ormai non più rinviabili adeguamenti della professione forense alle istanze che provengono dalla società; 2) esprime, altresì, apprezzamento, al medesimo CNF, per aver recepito parte delle modifiche richieste dall’UNCC; 3) esprime, viceversa, fermo dissenso e preoccupazione e ritiene che debba essere, con urgenza, rivisto l’elenco delle specializzazioni di cui all’art. 3, nella parte in cui, del tutto incomprensibilmente ed immotivatamente non annovera fra le aree del diritto in cui è possibile ottenere la specializzazione, il diritto civile “classico”, ricomprendente le materie dei diritti reali, successioni, obbligazioni e contratti, ed esprime, altresì, forte preoccupazione per altre discrasie rilevate nel medesimo regolamento. Ritenuto che, in tal modo, gran parte dell’Avvocatura civilistica verrebbe ingiustificatamente ed immotivatamente privata della possibilità di poter ottenere un riconoscimento della specializzazione in tali materie che pur co-

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stituiscono, sia per antica tradizione (risalente al diritto romano), sia per l’attività pratica quotidianamente svolta, parte rilevante ed estremamente qualificata dell’attività professionale di un avvocato; Istituisce una apposita Commissione, con il compito di elaborare urgentemente un documento contenente le specifiche proposte dell’U.N.C.C.; invita il CNF, a rivedere con urgenza, anche al fine di permettere una tempestiva partenza delle Scuole di alta formazione, il Regolamento, con particolare riferimento all’elenco delle specializzazioni, includendo specifica area che ricomprenda le suindicate materie dei diritti reali, successioni, obbligazioni e contratti; e, a tal fine, a costituire un “gruppo di lavoro”, con il concorso delle Associazioni forensi e delle Rappresentanze istituzionali, per un’immediata e organica revisione del testo del Regolamento medesimo. Dispone che copia della presente delibera sia inviata dal Segretario Nazionale a tutti i Presidenti delle Camere Civili, al CNF, all’OUA, ai Consigli dell’Ordine, alle Unioni Regionali dei Consigli degli Ordini Forensi e alle Associazioni Forensi maggiormente rappresentative. Il Segretario Avv. Laura Jannotta

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Il Presidente Avv. Renzo Menoni

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Comunicato stampa delle Associazioni Specialistiche dell’Avvocatura del 19.10.2010 LE ASSOCIAZIONI SPECIALISTICHE DELL’AVVOCATURA CON IL CNF PER LA RIFORMA PROFESSIONALE DENUNCIANO SABOTAGGI INTERESSATI UCPI – AGI – AIAF – UNCAT – UNCC sostengono la scelta del CNF di varare il regolamento sulla specializzazione degli avvocati e sottolineano che così si tutela anzitutto il diritto dei cittadini di scegliere consapevolmente un avvocato qualificato e specializzato. Il tentativo posto in essere dall’OUA, da alcune associazioni generaliste, come l’ANF, e da alcuni Consigli dell’Ordine, di ottenere la sospensione del regolamento appena varato dal CNF lascia trasparire, pur senza arrivare a dichiararla apertamente, l’intenzione di opporsi alla introduzione della specializzazione in ambito forense rinviandola sine die. Le associazioni specialistiche auspicano che tale iniziativa sia respinta anche perché finirebbe per rompere l’unità dell’avvocatura attorno a tali temi, unità faticosamente raggiunta, che aveva consentito l’avvio, prima, e la ripresa oggi, del percorso parlamentare della riforma dell’ordinamento forense, che si chiede sia portato a termine nei tempi più rapidi e nel testo unitariamente licenziato dall’avvocatura.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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L’avvocatura ed il congresso di Genova di CLAUDIO CONSALES*

L’Avvocatura italiana attraversa uno dei momenti più drammatici della sua storia. Non è la solita nenia di chi ha tutto e non vuole cedere nulla, ma è la realtà che emerge inconfutabilmente dai fatti. Il numero enorme di iscritti agli albi 230.000/250.000 con una crescita annuale di 15.000 unità è un dato che si commenta da sé con riferimento alle sempre maggiori difficoltà che si incontrano per raggiungere un reddito decoroso che possa compensare i sacrifici e le rinunce che quotidianamente ogni singolo avvocato affronta. Un dato è inconfutabile: non esiste sicuramente un mercato per 250.000 avvocati. Nonostante i pervicaci ed ostinati attacchi che quotidianamente l’avvocatura riceve dai così detti paladini del libero mercato, c’è da dire che per l’avvocatura la concorrenza è nella realtà dei fatti e scaturisce proprio dall’elevatissimo numero di avvocati. Laddove c’è ampia possibilità di selezione nella scelta del professionista già si è realizzata di per sé la tutela del cittadino-consumatore; pertanto tutti coloro che attaccano l’avvocatura quale casta privilegiata saldamente attaccata ai propri vantaggi (ma quali?) o è un ignorante o è in chiara malafede. Se una censura può muoversi all’avvocatura è proprio quella di Avvocato del Foro di Brindisi. Delegato nazionale O.U.A.

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essersi presentata divisa negli appuntamenti che la storia di questi ultimi anni ci ha offerto e di non aver saputo rispondere con coraggio e determinazione a tutti coloro che impunemente l’hanno attaccata anche in modo disgustoso. Per screditare l’avvocatura davanti all’opinione pubblica alcuni benpensanti ricorrono senza pudore all’infelice detto dum lis pendet, crumena rendet o alla forma abbreviata dum pendet rendet, in tal modo addebitando all’avvocatura la responsabilità dei tempi lunghissimi della giustizia e consolidando un’immagine sciacallesca dell’avvocato come unico responsabile dei tempi lunghi stante la sua vocazione onnivora nei confronti della borsa dei propri clienti. Chi quotidianamente sale le scale dei Palazzi di Giustizia o chi è un sereno osservatore delle vicende giudiziarie sa però che non è così. Il primo ad essere gravemente danneggiato dall’inefficienza della giustizia è proprio l’avvocato, che ha tutto l’interesse ad operare in un sistema giustizia celere ed efficiente, considerato che è proprio il raggiungimento del risultato la migliore occasione di guadagno e non certamente la pendenza del giudizio. La comunicazione ai clienti di rinvii lunghissimi è uno dei momenti più mortificanti del nostro operare considerato che è proprio sull’avvocato che l’utente della giustizia scarica i suoi malumori ed è proprio l’avvocato che deve trovare i modi e le parole per giustificare le insostenibili lungaggini dei processi. Sta di fatto quindi che l’avvocato ha svolto e continua a svolgere un delicato ruolo di mediazione sociale tra l’apparato giudiziario sempre più complesso ed oneroso e l’utente della giustizia. In questo contesto di disagio evidente il grande imbroglio perpetrato dai poteri nemici dell’avvocatura è di fare ricadere sull’avvocatura la responsabilità di un sistema giustizia in cui l’avvocatura è la prima ad essere fortemente danneggiata. Un po’ come la favola del lupo e dell’agnello in cui il lupo ac-

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cusava l’agnello di intorbidire l’acqua del ruscello, pur trovandosi l’agnello a valle rispetto al lupo. Non può sfuggire che gli attacchi all’avvocatura da parte dei poteri forti non sono casuali, ma rispondono ad una logica ben precisa diretta a mortificare l’unica ed effettiva istituzione costituita per la tutela dei diritti. La tutela dei diritti e la possibilità data ad ogni cittadino di poterli rivendicare in caso di lesione degli stessi è una pratica non gradita a chi vuole imporre le logiche del profitto e della sopraffazione. Recentemente, in questa perversa logica, è stato affermato che il numero elevato della cause è collegato al numero elevato degli avvocati, come se fossero gli avvocati a creare le cause di per sé a prescindere da una tutela da offrire. In questo clima di insinuata collettiva diffidenza nei confronti dell’avvocatura sono nati istituti nuovi che col pretesto di una soluzione più celere delle controversie mirano in realtà a sopprimere il diritto di difesa per lasciare il cittadino alla totale mercé dei poteri forti e delle loro blandizie. Con l’intento di sacrificare il diritto di difesa e con esso l’avvocato, come se la giustizia possa ridursi ad una semplice pratica burocratica tra Stato e cittadino in cui l’avvocato non può che essere una presenza scomoda ed inutile nasce l’istituto della mediazione obbligatoria senza la necessaria presenza dell’avvocato. Quali gli effetti? A partire dal 20 marzo 2011 non si potranno più iniziare controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successione ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti, da responsabilità medica, da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari senza prima essersi rivolti ad un organismo di mediazione magari costituito proprio dal soggetto contro il quale si vogliono fare valere le proprie ragioni. Quaderni

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Naturalmente l’assistenza dell’avvocato non sarà necessaria anzi sarà del tutto sconsigliata considerato che, diranno i poteri forti, il suo unico interesse è quello del dum pendet rendet. In tal modo, poi, si aprirà l’abilitazione alla difesa a chiunque lo voglia: non servirà la laurea, non servirà la pratica professionale, non servirà l’iscrizione ad un Ordine, non servirà la deontologia, non servirà la formazione professionale obbligatoria non servirà nulla, servirà soltanto carpire la fiducia dello sprovveduto cittadino a cui si farà passare questo preciso messaggio: la presenza dell’avvocato è inutile e dannosa. In questo quadro non proprio edificante si svolgerà il Congresso di Genova. Sarebbe un grave errore per l’avvocatura non sfruttare questo importante avvenimento con l’approvazione di mozioni puntuali dirette a recuperare il concetto di centralità del diritto di difesa e quindi dell’insostituibile figura dell’avvocato. Conseguentemente il Congresso deve pronunciarsi con un no netto alla mediazione così come regolamentata e rivendicare unitamente alla facoltatività della stessa l’obbligatorietà dell’assistenza tecnica del difensore anche perché il procedimento di mediazione riverbera i suoi effetti anche nell’eventuale giudizio successivo. Il Congresso dovrà formulare proposte puntuali in ordine alla giustizia penale ed alla giustizia civile all’insegna della celerità e della speditezza; in particolare nella giustizia civile bisogna superare la farraginosità derivante dalla presenza di riti diversi per materie diverse, per arrivare ad un solo rito per tutte le materie. Il Congresso dovrà evidenziare che non possono esistere riforme significative a costo zero e che l’accelerazione della giustizia passa anche attraverso una massiccia assunzione di magistrati e di personale di cancelleria. L’avvocatura dovrà ancora fermamente esigere che le riforme sulla giustizia dovranno essere preventivamente discusse ed elabo-

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rate con i soggetti che direttamente vivono le vicende giudiziarie: i magistrati e gli avvocati. Naturalmente le mozioni approvate dai delegati al Congresso, che rappresentano la totalità dell’avvocatura, dovranno diventare traguardi da conseguire con tenacia, sacrifici ed anche attraverso momenti di decisa lotta con il coinvolgimento di tutti gli iscritti.

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La comunicazione nell’esercizio della professione forense dal ripudio della pubblicità alla divulgazione dell’informazione sull’attività di AUGUSTO CONTE In onore di Franco Cipriani (al Quale mi hanno legato ammirazione e affetto) Premessa L’Avvocatura, dalla sua istituzione ha avvertito e ritenuto la pubblicità contraria e disdicevole alla propria funzione, e al riserbo che la deve circondare per la delicatezza delle questioni trattate che coinvolgono aspetti, attinenti al patrimonio e alla persona, particolarmente sensibili degli assistiti, privilegiando una competizione dignitosa e decorosa, fondata sulla preparazione, sullo studio e, quindi, nel corso della crescita professionale, sulla capacità tecnica ed etica nelle prestazioni e sulle qualità acquisite dagli Studi professionali. Il concetto stesso di pubblicità, nella ricognizione terminologica, non si attiene alle attività di tutela dei diritti, esclusiva della professione forense, ma a iniziative di natura commerciale e mercantile1; nella lingua italiana viene definita pubblicità “l’attività diretta a far conoscere l’esistenza di un bene o di un servizio e a incrementarne 1

Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana. Zanichelli. 2002.

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il consumo e l’uso, in riferimento a azienda o commercio”. L’esercizio dell’attività forense, che ordinariamente si svolge in regime naturalmente concorrenziale, non ha natura commerciale perché non genera un prodotto, ma mira a un risultato, costituito normalmente da un provvedimento giurisdizionale, conseguito dialetticamente attraverso l’uso della scienza giuridica applicata al caso concreto, nell’ambito di un processo. Simile contenuto hanno anche i concetti di propaganda e di réclame2. Venendo all’ambito della normativa, l’art. 2 del D.L. 28.1.1992, n. 74 definisce pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di una attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti e obblighi su di essi, oppure la prestazione di opere o di servizi.3 Al rifiuto della pubblicità, universalmente condiviso nell’ambito forense4, che partiva dal concetto che l’avvocato deve attendere che la clientela si rivolga a lui non essendo consentito il contrario, e cioè che sia l’avvocato a sollecitarla andando egli stesso verso di essa5, facevano seguito rigore e severità, da parte della giurisprudenza disciplinare nella repressione di qualsiasi forma di pubblicità “commerciale”6. 2 La propaganda è definita dallo Zingarelli “opera o azione esercitata sull’opinione pubblica per diffondere... prodotti commerciali”, o, al più, “determinate idee” (specialmente politiche). La réclame (vocabolo entrato nell’uso del linguaggio nazionale) è definita “pubblicità di un prodotto commerciale”. 3 Va osservato, come sarà in seguito approfondito, che la pubblicità ha natura promozionale, mentre l’informativa risponde a un criterio conoscitivo. 4 Anche se spesso non praticato. 5 Il divieto di pubblicità non era prerogativa del nostro sistema; in passato in Francia era anche vietato apporre la qualifica sulla targa esterna del palazzo di abitazione e sulla carta e buste intestate era vietato mettere in evidenza titoli e qualifiche. 6 Nei primi anni cinquanta del secolo scorso non solo era vietata qualsiasi forma reclamistica con avvisi sui giornali o con circolari, ma “si vorrebbe vietare persino la inserzione di nominativi di avvocati su agende legali e su guide commerciali e nei resoconti giornalistici dei processi”. ANTONIO VISCO. L’Avvocato nell’ordinamento professionale e nel pro-

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Nell’era della “comunicazione”, negli ultimi tre lustri, si è avuta una rivoluzione nel settore della pubblicità che, anima della concorrenza, ha inciso anche sulle attività professionali e, per quello che ci riguarda, su quella dell’avvocato. Queste note hanno lo scopo di ripercorrere attraverso la giurisprudenza, anteriore e successiva all’introduzione e alle modifiche del Codice Deontologico Forense, le norme nazionali e comunitarie, le Direttive del Parlamento e del Governo Europeo, gli interventi delle Autority, l’evoluzione della comunicazione nell’ambito dell’attività forense, che ha reso possibile e opportuna l’informazione ”pubblicitaria”, con i limiti del decoro professionale e dell’interesse della clientela. La giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense prima della introduzione del codice deontologico forense del 1977. L’incolpazione contestata ad avvocati inerenti fatti o atti in violazione del divieto di pubblicità nella giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense ordinariamente è unita ad altre violazioni e specialmente alla violazione del divieto di accaparramento della clientela e alle violazioni compiute attraverso i rapporti con la stampa. Le sentenze della prima fase sono ispirate al rigore più assoluto nel censurare il divieto di pubblicità. Con una decisione del 1974, nella quale l’iniziativa pubblicitaria veniva definita “propaganda”7, il Consiglio Nazionale Forense confercesso civile e penale. “Leonardo da Vinci” editrice. Bari. 1957. Del resto fino a un decennio addietro veniva censurata la inserzione su guide telefoniche del nominativo di avvocati in grassetto o con altre forme di rilievo. 7 C.N.F. Presidente Casalinuovo. La decisione è stata da me ricordata nelle note sul divieto di accaparramento pubblicate in questa Rivista, che ha anche costituito argomento di deontologia nell’ambito dei corsi di formazione professionale (alla stessa rimando anche per l’approfondimento del concetto di “decoro”).

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mava la decisione del Consiglio dell’Ordine di Bologna, ritenendo “comportamento lesivo del decoro professionale, l’avere distribuito penne biro, recanti la stampigliatura del nome e del titolo, negli uffici e nelle carceri”. Aveva motivato il C.d.O. che “considerata pacifica la circostanza della distribuzione delle penne biro ai funzionari addetti agli uffici giudiziari... una simile iniziativa era disciplinarmente censurabile perché, pur rimanendo alquanto incerta la finalità pubblicitaria, rappresentava sempre un fatto disdicevole essendo produttivo di commenti sfavorevoli nell’ambiente professionale”; il C.N.F. riteneva il comportamento lesivo del decoro professionale, essendo “fatto inconsueto che l’avvocato consenta di far stampigliare su una matita biro il suo nome insieme ai titoli professionali. Vi sono doni che devono essere rifiutati non apprezzandosi conveniente la loro utilizzazione8. La regola di compostezza, che è peculiare prerogativa del professionista, impone l’assoluto ripudio del sistema mercantile, il quale indulge all’uso di mezzi pubblicitari più o meno discutibili per assicurare la maggiore diffusione del prodotto. Il distribuire matite “personalizzate” anche se rimanesse incerto il proponimento reclamistico, costituisce sempre atto di colpevole imprevidenza, perchè una simile manifestazione di vanità suscita commenti mordaci se non addirittura malevoli nei confronti della classe forense”. Con la decisione, parzialmente confermativa del C.d.O. di Milano di qualche tempo dopo9 veniva censurata la condotta di un praticante procuratore abilitato siccome in violazione del divieto di propaganda e di accaparramento della clientela aveva inviato lettere ad alcuni imputati con le quali li invitava ad avvalersi della propria opera professionale e a recarsi nel proprio Studio. L’orientamento di rigore (anche se con lievi sanzioni) veniva man8 L’incolpato si era difeso dichiarando che le penne “personalizzate” gli erano state donate da un cliente. 9 C.N.F. 26.5.1977 Presidente Casalinuovo.

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tenuto negli anni ottanta; con la sentenza del giugno 198010, sempre in tema di divieto “di propaganda e accaparramento della clientela” il C.N.F. pronunciava, a conferma della decisione del C.d.O. di Milano, che “il professionista che sottoscrive e diffonde una circolare che reclamizza la propria attività professionale, offrendo prestazioni di natura squisitamente legale e promettendo, in particolare «rapidità e celerità» nel recupero anche giudiziale di crediti, tiene un comportamento non consono alla dignità e al decoro della professione forense”. Una delle prime decisioni in materia di pubblicità televisiva risale allo stesso periodo; con una motivazione di “apertura” il C.N.F. riteneva che non viola la norma di deontologia professionale il professionista che compaia in una rubrica televisiva di una emittente locale per rispondere a domande di carattere giuridico, di natura tributaria; confermava, invece, la sanzione inflitta dal C.d.O. di Livorno per l’altro aspetto della apparizione televisiva, consistente nell’apparire alla fine della trasmissione sul teleschermo, permanendovi per qualche tempo, il recapito del professionista. Il ricorrente, anticipando i tempi, nel ricorso sosteneva che “in un momento come quello attuale e tenuto conto dell’evoluzione che vi è stata in materia pubblicitaria e sugli scopi dell’esercizio professionale, scopi che non sarebbero dissimili, quanto all’aspettativa di lucro, di qualunque altra attività...”; e, peraltro la decisione impugnata doveva ritenersi errata, anche perché l’iniziativa del cartello finale non era sua ma di chi curava la trasmissione. Al proposito il C.N.F. affermava, in riferimento alla interpretazione evolutiva che bisognerebbe dare della pubblicità anche per attività professionale, che “è ben vero che i tempi cambiano e così i costumi ed anche la morale; ma anche per quanto proclivi si voglia essere sulla strada delle mutazioni, vi sono principi generali che non possono essere toccati senza scardinare la base stessa del 10

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C.N.F. 26.6.1980 Presidente Casalinuovo.

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concetto di etica. Nel campo della professione forense questo concetto fondamentale è sempre stato – ed il C.N.F. ritiene che lo sia tuttora – la pubblica funzione che il difensore esplica con tutela della libertà del singolo che a lui si affida. Non è pertanto questione di paternalismo o di lustro e tanto meno di lucro. E non è neppure questione di remunerazione, che è giusto e doveroso che vi sia in ogni attività dell’uomo. È sempre e solo questione di dignità e di buon gusto che vietano all’avvocato di propagandare la propria attività con qualsiasi mezzo pubblicitario”. Quanto all’iniziativa della organizzazione del programma televisivo l’avvocato incriminato, che aveva fornito il proprio biglietto da visita, aveva mostrato un atteggiamento di acquiescenza all’iniziativa ritenuta pubblicitaria11. Con una sentenza del dicembre del 198012, di conferma della decisione del C.d.O. di Caltanissetta il C.N.F. riteneva che “l’invio da parte del professionista al personale di cancelleria e agli agenti di custodia di un biglietto di auguri, con l’invito scritto a ritirare una strenna presso un Minimarket, e la pubblicità seguita a tale iniziativa, sono fatti lesivi della dignità e del decoro professionale”. Oltre al divieto di pubblicità il C.N.F., nel rigettare il ricorso avverso la decisione del C.d.O. di Bergamo in una decisione della fine degli anni ottanta13 riteneva violato anche il dovere di indipendenza nel comportamento del professionista che consentiva ad una organizzazione di segnalare il proprio nominativo a potenziali clienti, assumendo di conseguenza incarichi professionali e ricevendo i clienti nella sede della stessa organizzazione. Tra la fine degli anni ‘70 e i primi degli anni ‘80 inizia una atten11 Per un analogo caso il C.N.F. con la sentenza 3.12.1987, n. 93 Presidente Grande Stevens, aveva assolto l’incolpato in difetto di prova circa la consapevolezza del professionista nella esposizione del cartello recante i dati del suo Studio. 12 C.N.F. Presidente Sorgato. La tenue sanzione applicata fu solo quella dell’avvertimento! La condotta censurata riguardava non solo il divieto di pubblicità ma un disdicevole modo di conquistarsi la disponibilità e i favori di pubblici impiegati. 13 C.N.F. 20.7.1989, n. 114 Presidente Cagnani.

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zione degli avvocati alla propria deontologia e in particolare al tema della pubblicità. Nel settembre 1981 la rivista Capital pubblicava un articolo su settanta avvocati definiti “toghe d’oro” della professione forense: insorgeva l’Ordine di Milano con un comunicato deplorativo dell’iniziativa. Il notiziario della Giuffrè Studio Legale, distribuito in quegli anni a tutti gli avvocati apriva una rubrica con il titolo “avvocato offresi”14, raccogliendo osservazioni e commenti anche sulle esperienze straniere; il tema della pubblicità sarà ripetutamente affrontato segnalando la resistenza della categoria forense alla accettazione di forme di pubblicità, anche “mascherate” sotto il termine “informativa” (poi tollerata con il correttivo del rispetto della dignità e del decoro della categoria). All’inizio degli anni novanta i principi attinenti al divieto di pubblicità venivano mantenuti come patrimonio etico dell’avvocatura. Significativa è la sentenza15, sempre richiamata successivamente, confermativa della decisione del C.d.O. di Bari: “Il ripudio di mezzi pubblicitari di ogni genere costituisce tradizione e vanto dell’avvocatura italiana, che nel corso di decenni ha sempre confermato il rifiuto di forme di emulazione diverse da una dignitosa gara di meriti dimostrati attraverso le opere e lo studio” (Nella fattispecie il responsabile aveva predisposto e diffuso uno stampato di tenore autoelogiativo e con chiaro fine pubblicitario, contenente l’offerta di servizi professionali di ogni genere e per ogni settore, con l’ausilio di professionisti «di fama nazionale»). A proposito delle modalità di composizione della carta intestata la sentenza del 199216, di rigetto del ricorso avverso la decisione del 14 Studio Legale, n. 9/1981; il notiziario sarà il primo a segnalare il caso Bates (di cui avanti nel testo) che nel 1977 aveva consentito la pubblicità degli avvocati negli Stati Uniti, quale espressione di libertà fondamentale del cittadino, ivi comprese quelle di espressione e informazione. 15 C.N.F. 23.4.1991, n. 56 Presidente Landriscina. 16 C.N.F. 28.12.1992, n.121 Presidente Cagnani.

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CoA di Bolzano, così pronunciava: ”Il professionista che usi carta intestata portante dicitura da riferire più ad attività commerciale che professionale, così dimostrando di voler reclamizzare il proprio studio, tiene un comportamento non conforme alla dignità e al decoro professionali”. (Nella fattispecie è stata applicata la sanzione della censura al professionista che oltre ad altri addebiti, aveva usato e diffuso presso istituti bancari e terzi carta da lettere intestata al proprio studio legale, portante la dicitura “centro studi doganali-valutari ed amministrativi-Sezione di Bolzano”). Nuovamente a proposito della pubblicità “televisiva” su ricorso avverso decisione del C.d.O. di Trento si pronunciava il C.N.F. nel 199517, così decidendo: ”L’avvocato che nel corso di una apparizione televisiva effettui un tentativo, anche se blando, di far conoscere l’esistenza di un suo studio professionale, viola il precetto che sancisce il divieto di pubblicità degli esercenti la professione legale”; negli stessi sensi, in riferimento ai rapporti con la stampa, la successiva decisione del 1996, su ricorso avverso18 decisione del C.d.O. di Vicenza: ”L’avvocato che a mezzo di interviste e comunicazioni rese agli organi di stampa enfatizzi sé, la sua professionalità e le tecniche processuali e di difesa, pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante”. Ancora nel 199719, prima della approvazione del Codice Deontologico Forense, decidendo su ricorso avverso decisione del C.d.O. di Cosenza, raccordando il divieto di pubblicità, non codificata, al dovere di diligenza e di autonomia, desumibili dall’Ordinamento Forense, così pronunciava: ”Viene meno al dovere di indipendenza e autonomia il professionista che domicili il suo Studio presso una società commerciale, dandone notorietà sulla carta intestata dello Studio stesso, e accomunando sulla targa e nel citofono la sede della società con quella dello studio legale”. C.N.F. 4.7.1995, n. 72 Presidente Cagnani. C.N.F. 30.10.1996, n. 144 Presidente Cagnani. 19 C.N.F. 25.2.1997, n. 18 Presidente Bonazzi. 17 18

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Il codice deontologico forense italiano del 1997 e il codice deontologico degli avvocati della comunità europea del 1988 e del 1998. Il Codice Deontologico Forense approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 17.4.1997, e ratificato dal Congresso Forense di Grado-Trieste del settembre dello stesso anno, si atteneva ai principi di rigore innanzi espressi, secondo i quali la pubblicizzazione dell’attività forense poteva condurre a una equiparazione alle attività di impresa e alla mercificazione della professione, incompatibile con la funzione esercitata in difesa dei cittadini davanti agli organi giurisdizionali, e lesiva del rapporto fiduciario con il cliente, con svilimento della professione. L’art. 17 del Codice, nella sua prima stesura ribadiva20 il divieto di pubblicità e statuiva: ”È vietata qualsiasi forma di pubblicità dell’attività professionale”. Peraltro, sulla spinta di istanze volte a introdurre nell’ordinamento una pubblicità volta ad informare il pubblico, nel rispetto dei principi di dignità e decoro, sia dell’esistenza di uno studio legale, che dei servizi offerti e delle materie trattate, e con la finalità di favorire la diffusione delle capacità e identità professionali di ciascun avvocato, anche a beneficio degli utenti21, il Codice consentiva a) l’indicazione La rubrica faceva riferimento al “Divieto di pubblicità”. Anche in un passato remoto vi erano state opinioni contrarie al divieto di pubblicità, della quale “si farebbe anche a meno, ma serve per farsi conoscere dal pubblico”. ANTONIO VISCO. L’Avvocato. “Leonardo da Vinci” editrice. Bari 1957. L’Autore portava a esempio la pubblicità consentita ai medici anche tramite avvisi pubblicitari di specializzazione per alcune infermità e si chiedeva perché non consentire all’avvocato di diffondere una circolare con cui dare notizia dell’apertura di uno studio anche con l’indicazione dei campi di specializzazione e commentava, anticipando i tempi di qualche decennio: “Si parte dal concetto che l’avvocato debba pazientemente attendere che la clientela venga da lui e gli si vieta di sollecitarla, andando egli verso di essa. Ma non si tiene conto della spietata concorrenza professionale e del bisogno di guadagnare per vivere, ciò che spinge a uscire dal riserbo e farsi avanti. Ciò può e deve farsi sempre dignitosamente, per cui gli abusi che intaccano la dignità della professione, vanno repressi severamente”. 20 21

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nei rapporti con i terzi (carta da lettera, rubriche professionali e telefoniche, repertori, banche dati forensi) di particolari rami di attività; b) l’informazione agli assistiti e ai colleghi sull’organizzazione dello studio e sull’attività professionale svolta; c) l’indicazione del nome di un avvocato defunto che avesse fatto parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo avesse espressamente previsto o avesse disposto per testamento in tal senso, ovvero vi fosse il consenso unanime dei suoi eredi. L’attività di informativa consentita doveva essere veritiera e rispettosa dei doveri di dignità e di decoro. Precedentemente alla introduzione del Codice nazionale era stato emanato il Codice Deontologico degli Avvocati della Comunità Europea approvato il 29.9.1988 da Le Conseil des barreau a Strasburgo22 che al capo 2.6 disciplinava la Pubblicità personale, stabilendo con il primo canone che “l’avvocato ha l’obbligo di non fare e di non far fare pubblicità personale se non nella misura in cui le norme dell’ordine professionale forense cui appartiene glielo permettano”. Il Codice Europeo si adeguava alle tradizioni e ai principi esistenti nei singoli Stati e gli avvocati europei avrebbero dovuto attenersi alle disposizioni dello Stato in cui si sarebbero trovati ad esercitare. Peraltro il comma 2 aggiungeva che laddove autorizzata, l’avvocato doveva dimostrare, specialmente per la pubblicità attraverso i mass-media, che la stessa veniva fatta solo per raggiungere i clienti, propri o potenziali, che si trovassero in un paese ove la pubblicità è permessa e che la diffusione altrove fosse puramente accidentale. Nessuna ingerenza spiegava Le Conseil des barreau, emanando il Codice, sui regolamenti interni degli Stati Europei, anzi ne rispettava i principi in materia inibendo agli avvocati di trasgredirli. 22 Il Codice Europeo, Presidente Franzo Grande Stevens, relatore il V. Presidente Raoul Cagnani, era stato recepito dal Consiglio Nazionale Forense. Peraltro rarissimi Ordini territoriali lo accolsero.

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A distanza di dieci anni dal 28 ottobre 1988 il C.C.B.E. (Conseil of the Bars and Law Societis of the European Union), a conclusione dei lavori durati alcuni anni, il 28 novembre 199823 apportava alcune modifiche all’originario testo; la Commissione designata per la revisione faceva cenno alla libertà di mercato e alla concorrenza delle società multidisciplinari che determinavano cambiamenti nella professione e creazione di nuove regole. In verità le disposizioni che riguardavano la “Pubblicità personale”24 rimasero invariate: infatti le proposte della commissione che consentivano la pubblicità-informazione25 non furono approvate per le differenze all’epoca esistenti negli ordinamenti, anche deontologici, di alcuni Stati Europei. Nel periodo di tempo intercorso tra l’approvazione della norma che confermava il divieto di pubblicità contenuta nel Codice Deontologico nazionale e la prima modifica del 1999 che sostituiva, già nella rubrica, il divieto di pubblicità con “l’informazione sull’esercizio professionale”, la giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione confermava il divieto di pubblicità compiuta con atti contrari alla dignità della professione forense: ”Commette infrazione disciplinare l’avvocato che, a scopo di pubblicizzare il proprio Studio, attui l’offerta concorrenziale di un servizio, con sleale sottolineatura di elementi suggestivi, non consono alla dignità della professione forense”26. Agli inizi del nuovo millennio si rinviene ancora qualche decisione di rigore che, comunque, più che al divieto assoluto di pubblicità è attinente alle modalità scorrette e non veritiere della diffusione di Assemblea plenaria del C.C.B.E. di Lione del 28.11.1998. Art. 2.6 del Codice Deontologico Europeo. 25 Il testo della proposta era così composto: ”Un avvocato è abilitato a informare il pubblico dei servizi forniti purché l’informazione data sia oggettiva e persegua un interesse legittimo”; l’informazione si sarebbe potuta dare anche attraverso stampa, radio e televisione. 26 Corte di Cassazione-Sezioni Unite Civili, 24.2.1998, n. 1988. 23 24

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notizie sull’attività: ”Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il professionista che abbia diffuso notizie false circa gli incarichi ricevuti” (nella specie il professionista aveva dichiarato falsamente di avere ricevuto incarichi professionali da un personaggio famoso e la notizia aveva avuto un forte riscontro sulla stampa)27. Ma la giurisprudenza iniziava ad assumere nuovi orientamenti a seguito delle modifiche approvate al Codice Deontologico nel 1999. Le modifiche all’art. 17 del codice deontologico del 1999 e del 2002. Il divieto assoluto di pubblicità, con autonoma iniziativa del C.N.F., che teneva conto delle osservazioni dei Consigli dell’Ordine, veniva abolito (anche se la questione è discutibile perché consentire l’informativa non comportava automaticamente l’abolizione del divieto come si desume dalla decisione 5.3.2001, n. 32, che sarà di seguito riportata), su proposta della Commissione di revisione, con deliberato del 16.10.199928, poi integrata con delibera del 26.10.2002: pur permanendo i divieti (desumibili anche dall’art. 18, rapporti con la stampa, e dall’art. 19, divieto di accaparramento) per la pubblicità di tipo commerciale, comparatistico e occulto29. 27 C.N.F. 20.9.2000, n. 89 Presidente Danovi; la sentenza rigettava il ricorso avverso la decisione del CdO di Padova. 28 Le ragioni della istituzione della Commissione risiedevano “nella volontà di attenzione, conoscenza, approfondimento e aggiornamento delle tematiche deontologiche, per una codificazione che sia costantemente vicina alla realtà forense e ne interpreti esattamente il ruolo e le funzioni”. 29 Si distinguono diverse forme di pubblicità; diretta: effettuata mediante invio direttamente al pubblico di lettere, dèpliant e simili; comparativa: il prodotto è paragonato a quello dei concorrenti; ingannevole: che può indurre in errore le persone cui è rivolta pregiudicando i loro interessi economici e danneggiando un concorrente; occulta: in spettacoli

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Le riforme avevano la (quasi30) totale adesione, o almeno venivano tollerate dalla avvocatura per l’equilibrio, ispirato a prudenza e ragionevolezza, della novella che passava dalla enunciazione di un divieto alla regolamentazione di un diritto, dal “divieto di pubblicità” alle “informazioni sull’esercizio professionale”, passando dalla possibilità di informazione ai soli colleghi e clienti, alla facoltà di dare informazioni sulla attività professionale anche a potenziali clienti. Alcuni Stati Europei, sia pure con alcune limitazioni, avevano “liberalizzato” la informazione pubblicitaria31, anche sulla spinta di una prima e famosa sentenza americana che nel 1977 aveva rimosso negli Stati Uniti il divieto di pubblicità32 sull’accertata incostituzionalità della norma che vietava la pubblicità degli avvocati siccome contraria al primo emendamento della Costituzione americana posto a tutela della libertà di espressione33. Altra spinta, questa volta “interna” era pervenuta dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato dalla Relazione del 3.10.1997 sull’indagine di ordini e collegi professionali che enunciava l’equiparazione giuridica dell’atticinematografici o televisivi, libri, riviste e ogni forma non chiaramente riconoscibile come tale; subliminale: in filmati o programmi televisivi, effettuata con immagini tanto brevi da non essere percepita visivamente, ma sufficiente a esercitare un’influenza inconscia sul pubblico (fonte: Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana. Zanichelli. 2002). 30 Vi furono infatti critiche di segno opposto: M. CLARICH da Guida al Diritto 1999, n. 42 affermava che nulla mutava rispetto al passato (cambiare tutto per non cambiare nulla); F. BUCCI, su Gli Oratori del Giorno 1999, n. 7 si chiedeva se “c’è ancora qualche deficiente tra noi che vuole l’abolizione del divieto di pubblicità”. 31 Negli Stati Europei più che di informazione si parla di pubblicità, come avviene in Inghilterra e in Francia, dove “è permessa all’avvocato la pubblicità nella misura in cui essa procura al pubblico una necessaria informazione”, e in Germania, ove la pubblicità è consentita a condizione che informi in modo corretto, nella forma e nel contenuto, e non miri al conferimento di un singolo e specifico incarico. Del resto il Disegno di Legge 9.7.1998, n. 5092 all’art. 2 prevedeva l’abolizione del divieto di pubblicità, garantendo nel contempo, la correttiva dell’informazione pubblicitaria e il Disegno di Legge 2.9.1988, n. 5211 all’art. 8 prevedeva la possibilità di dare informazioni sulla attività professionale, “secondo correttezza, nel rispetto del prestigio della professione e degli obblighi di segretezza e riservatezza”. 32 Vedi, al proposito, la nota n. 14. 33 Corte Suprema degli Stati Uniti 1977: Bates / State Bar of Arizona.

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vità professionale a quella di impresa in quanto conforme al diritto comunitario e all’ordinamento italiano: corollario di tale impostazione erano (oltre alla eliminazione di tariffe obbligatorie) il divieto di pubblicità in quanto restrittivo della concorrenza. Le osservazioni suscitarono fiera sollevazione dell’avvocatura che giungeva a temere la scomparsa della attività professionale in sé considerata. Con le nuove disposizioni veniva compiuta una certa armonizzazione delle regole deontologiche in tema di pubblicità con le spinte “market oriented” provenienti dalle norme comunitarie e con l’evoluzione stessa della attività forense in riferimento al nuovo contesto socio-economico in cui l’esercizio della professione si inseriva. La nuova formulazione della norma, introdotta con la delibera 26.10.2002 del C.N.F. si adeguava alla normativa europea e in particolare al contenuto della Direttiva 2000/31/CE sul Commercio Elettronico attuata in Italia con il D.L.vo n. 70/2003; l’art. 10 recita: “L’impiego di comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione o ne sono parte, fornite da chi esercita una professione regolamentata, deve essere conforme alle regole di deontologia professionale e, in particolare, all’indipendenza, alla dignità, all’onore della professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi”. La riforma34 teneva presenti alcuni fattori tra loro connessi: il profilo giuridico e, in particolare i principi costituzionali e quelli dell’Ordinamento Comunitario35, che tutelano il diritto di manifestare liberamente il pensiero, in esso ricompresa la libertà di ricevere e comunicare informazioni; il campo di applicazione, essendo i servizi

34 Con qualche riserva ancora, e anche al di là dello svilimento della professione, sul rischio di mercificare l’attività dell’avvocato e di arrecare vantaggi non ai migliori professionisti ma a quelli maggiormente provvisti di risorse finanziarie. 35 REMO DANOVI. La pubblicità... Rassegna Forense 2000. In particolare l’art. 10 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo.

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professionali operanti nell’ambito europeo36; la realtà: la tolleranza per situazioni di fatto contrarie ai principi di rigore, anche per la difficoltà di seguire le manifestazioni pubblicitarie. L’art. 17 consente quindi all’avvocato di fornire “informazioni sulla propria attività, secondo concretezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e riservatezza”. La norma, stabilito il nuovo principio indicava al primo paragrafo i mezzi di informazione consentiti: mezzi ordinari (carte da lettere e simili, targhe); brochures informative; rapporti con la stampa (con i limiti di cui all’art. 18); siti web e reti telematiche (previa segnalazione al C.d.O.); elencava i mezzi vietati: televisione e radio, giornali e annunci pubblici, mezzi anomali e contrari al decoro (distribuzione di opuscoli o volantini non richiesti; l’offerta di servizi e consulenze gratuite su Internet). Indicava, poi, i mezzi consentiti previa approvazione del C.d.O. quali seminari e convegni organizzati da Studi professionali. Nel secondo paragrafo venivano stabiliti i contenuti della informazione: indicava come consentiti l’indicazione di tutti i dati personali (dalla data di nascita, alle foto, all’attività didattica, alle onorificenze); le informazioni sullo Studio (componenti, attività svolte); l’indicazione del logo; le certificazioni di qualità; l’utilizzazione di Internet per offerte di consulenza con obbligo di indicazione dei dati anagrafici e del C.d.O. di appartenenza con obbligo al rispetto del codice deontologico; indicazione del responsabile dello Studio; specificazione degli estremi della polizza assicurativa; indicazione delle tariffe vigenti per la determinazione dei corrispettivi. Dovevano ritenersi vietati: i dati di terzi, i nomi dei clienti; le specializzazioni; i prezzi delle prestazioni; le percentuali di cause Al proposito va richiamata la Direttiva di stabilimento 14.3.1988 che consente l’esercizio della professione forense in tutto il territorio europeo. In particolare l’art. 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo. 36

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vinte o l’esaltazione dei meriti; il fatturato dello Studio; le promesse di recupero; l’offerta di servizi (in relazione anche al divieto di accaparramento di cui all’art. 19). Era consentita l’indicazione del nome di un avvocato defunto, già facente parte dello Studio, purché lo abbia previsto o disposto per testamento, o con il consenso unanime degli eredi. La giurisprudenza del C.N.F. si adeguava subito alle nuove disposizioni, applicandole anche ai fatti pregressi; con una delle prime sentenze37 veniva accolto il ricorso avverso la decisione sanzionatoria del CdO di Brescia con la seguente motivazione: “Alla luce anche delle recenti modifiche apportate al Codice Deontologico Forense, l’invio di un biglietto che specifichi nell’ambito della correttezza dell’informazione l’indicazione di particolari rami di attività esercitati dal professionista e il tipo di organizzazione dello Studio non comporta alcuna violazione deontologica”. Anche l’intervista, censurata dal C.d.O. di Milano, in accoglimento del ricorso38 veniva ritenuta esente da censura: “Non comporta alcuna violazione deontologica l’intervista apparsa su un quotidiano quando si escluda “intenzionalità” dell’incolpato di farsi pubblicità in violazione delle norme deontologiche”. Peraltro l’informativa veniva censurata39 qualora venisse qualificata come pubblicità e travalicasse i limiti di una corretta e veritiera informazione: “Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante e lesivo del divieto di pubblicità il professionista che in congressi internazionali, ad uno dei quali peraltro partecipava come rappresentante di un Ordine italiano, distribuisca brochures magnificanti l’attività svolta dal proprio Studio. Il codice deontologico C.N.F. 14.11.2000, n. 158 Presidente Buccico. C.N.F. 13.12.2000, n. 248 Presidente Buccico. Nella sentenza non veniva individuata la finalità propagandistica. 39 C.N.F. 5.3.2001, n. 31 Presidente Buccico, di rigetto del ricorso avverso il CdO di Brescia. La decisione conferma che il divieto di pubblicità non era abolito alla radice. 37 38

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forense, infatti, consente la possibilità di una corretta informazione come prevista nei canoni 3° e 4° art. 17, ma nel rispetto dei doveri di verità, dignità e decoro propri della classe forense. La relazione della Commissione Europea sui servizi professionali del 2004 e la comunicazione dello stesso annodell’autorità garante della concorrenza e del mercato. La Commissione Europea presentava il 9.2.2004 la Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali con la quale il Commissario Monti si determinava a trovare punti di contatto e di dialogo con gli Ordini professionali (e in particolare con il C.N.F.), invitandoli ad adeguare le prescrizioni deontologiche in materia di pubblicità dei professionisti, che veniva messa in collegamento con la questione dei minimi tariffari40. La liberalizzazione del settore della pubblicità professionale, secondo la Relazione, avrebbe messo a disposizione degli utenti una quantità maggiore di informazioni sulle prestazioni professionali e sulle qualità del professionista, consentendo una più attenta scelta, riducendo la asimmetria informativa nel rapporto tra professionista e cliente. Di seguito alla Relazione il 9.5.2004 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato richiamava l’attenzione del C.N.F. sui “benefici che possono derivare al confronto concorrenziale tra liberi professionisti dall’utilizzo degli strumenti pubblicitari”; secondo l’AGCM le restrizioni alla pubblicità sono di ostacolo al superamento delle asimmetrie informative e la pubblicità comparativa costituisce un utile strumento che l’art. 19 (divieto di accaparramento della Quello della pubblicità, al contrario del sistema tariffario che è di natura legislativa o regolamentare, è un settore disciplinato da prescrizioni di natura deontologica. 40

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clientela) non consente; conseguenza delle limitazioni è l’aumento dei costi dei servizi professionali; suggeriva quindi di escludere la preclusione all’uso di alcuni mezzi di informazione, quali radio, giornali e televisione; di eliminare la necessità di autorizzazione per convegni e seminari e per l’apertura di un sito internet; l’abolizione dei divieti di indicare le specializzazioni, i prezzi delle prestazioni, la percentuale delle cause vinte, l’indicazione dei nomi dei clienti, e di consentire atteggiamenti concorrenziali verso i colleghi e l’attività di accaparramento della clientela. L’interesse al libero spiegamento delle dinamiche concorrenziali, senza nessuna limitazione e soprattutto senza alcuna regola di verità e obiettività non si contemperava però con l’interesse alla protezione dell’affidamento pubblico al fine di tutelare i clienti, che richiedono agli avvocati la protezione di diritti fondamentali, quali il diritto di difesa, da pregiudizi agli stessi, a presidio dei quali la Costituzione assegna carattere pubblicistico (prevedendo l’esame di Stato, la riserva di esercizio agli iscritti all’Albo) proprio per proteggere un ragionevole affidamento del cliente. La stessa Direttiva CE/123/2006 del 12.12.200641 relativa ai servizi sul mercato interno aveva soppresso anche per le professioni regolamentate ogni divieto in materia di pubblicità, ma per questo ha riconosciuto la necessità di un temperamento ed ha imposto la conformità del messaggio alle regole professionali, tenuto conto della specificità della professione nonché dell’indipendenza, dell’integrità, della dignità e del segreto professionale. L’istituzione professionale nazionale manifestava attenzione alla problematica della pubblicità, prima con le modifiche del 1999 e del 2002 innanzi indicate e poi con la modifica dell’art. 17 e l’introduzione dell’art. 17bis del 26.1.2006.

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Cosiddetta Direttiva Bolkestein.

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Le modifiche al codice deontologico in materia di pubblicità contenute nella delibera 26.1.2006 del C.N.F. Sulla spinta delle iniziative europee indicate nel precedente paragrafo e di altre Direttive Europee, la 2006/123/CE42, il Consiglio Nazionale Forense apportava ulteriori aggiunte al Codice Deontologico, modificando l’art. 17 (rubricato come “informazioni sull’attività professionale”) e introduceva l’art. 17bis con l’indicazione della elencazione dei “mezzi di informazione consentiti”. Le nuove disposizioni saranno di seguito analizzate con le successive modifiche del 18.1.2007: l’art. 17 consente le informazioni, in coerenza, per contenuto e forma, con l’affidamento della collettività, richiedendo trasparenza e veridicità nel rispetto della dignità del decoro della professione, con esclusione di pubblicità ingannevole, elogiativa e comparativa; l’art. 17bis indica le modalità della informazione. È necessario ricordare in questo paragrafo che la giurisprudenza disciplinare adeguava le pronunce alle modifiche: “In tema di offerta di prestazioni professionali mediante la pubblicazione di un articolo di stampa, mentre, in linea generale, deve ritenersi consentito fornire informazioni che offrano alla collettività la possibilità di conoscere l’esistenza di un professionista e la materia nella quale svolge con prevalenza la propria attività professionale, non è invece possibile dare notizia di particolari specializzazioni, non suffragate da titoli La direttiva stabilisce che “gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che emanano dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità al diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il segreto professionale. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse e generale e proporzionale”; e ancora che :”i codici di condotta dovrebbero includere, a seconda della natura specifica di ogni professione, norme per le comunicazioni commerciali relative alle professioni regolamentate...”. La Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio è del 12.12.2006. 42

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legittimamente conseguiti, né accedere ai mezzi di in formazione a meri scopi pubblicitari finalizzati all’accaparramento della clientela. Va esclusa, pertanto, la violazione agli artt. 17 e 18 CDF nel caso in cui l’articolo di stampa contenga un semplice e del tutto generico richiamo all’esperienza maturata dall’incolpato nelle materie del diritto civile e commerciale, senza, pertanto, l’indicazione di una particolare “specializzazione”, né tanto meno dell’offerta di prestazioni professionali”43. La Legge 4.8.206, n. 248 (di conversione del D.L. 4.7.2006, n. 223) e gli effetti sulla delibera del gennaio 2007 del C.N.F. di adeguamento del codice deontologico. La legge 4.8.2006, n. 248 che convertiva in Legge il D.L. 4.7.2006, n. 223 faceva venir meno il divieto di effettuare pubblicità informata prescrivendo alle Istituzioni professionali di adeguare i codici di disciplina alla nuova normativa. Sono note le polemiche sollevate, in tutte le sedi dell’Avvocatura e nei Congressi, nei confronti della normativa che aboliva anche i minimi tariffari e il divieto del patto di quota lite. In riferimento alla pubblicità la norma prevedeva che “sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali... b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine. Le disposizioni deontologiche e pattizie e C.N.F. 15.12.2006, n. 158 Presidente Alpa (che accoglie il ricorso avverso la decisione del CdO di Treviso). 43

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i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle”. Pertanto il C.N.F. con delibera 18.1.2007 riscriveva gli articoli 17 e 17bis CDF oggetto della precedente delibera 16.1.2006, pur sul rilievo che “le misure imposte rappresentano uno strumento adeguato al perseguimento dei fini enunciati dal testo normativo44 e nonostante sia criticabile l’assoggettamento di una professione di rango costituzionale, la cui funzione è quella della difesa dei diritti, ai principi di tutela della concorrenza che regolano l’attività delle imprese”45. Il Consiglio Nazionale rammentava che con la recente modifica del 26.1.2006 erano stati già, in buona parte, rimossi i precedenti divieti, consentendo anche di fornire informazioni sia sui titoli conseguiti, che sui diplomi di specializzazione purché conseguiti mediante percorsi post-universitari disciplinati per legge, non potendosi considerare tale il semplice esercizio, anche prevalente, dell’attività professionale in un campo di applicazione del diritto. La Legge 4.8.2006, n. 248 ammetteva la “pubblicità informativa” su caratteristiche e costi delle prestazioni precisando che il messaggio doveva rispettare criteri di trasparenza e veridicità controllate dagli Ordini professionali. L’art. 17 prevedeva quindi che contenuto e forma della informa44 Il testo normativo nell’art. 1 precisava che le norme adottate costituivano misure necessarie e urgenti (donde il ricorso alla decretazione di urgenza del Decreto Legge) “in relazione alla improcrastinabile esigenza di rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente commerciali, anche al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione, attraverso la liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro”. 45 Relazione del C.N.F. alle modifiche apportate al CDF in applicazione della Legge 4.8.2006, n. 248.

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zione devono essere coerenti con le finalità della tutela dell’affidamento della collettività e devono rispondere a criteri di trasparenza e veridicità verificabili dal C.d.O.; stabiliva, quanto al contenuto, che l’informazione deve essere conforme a correttezza e non può avere oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale, né può essere rivelato al pubblico il nome dei clienti e quanto alla forma e modalità, confermava il rispetto della dignità e del decoro della professione; era esclusa la pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa e sponsorizzazione di seminari di studi e corsi e l’indicazione del nome di un avvocato defunto (salva diversa disposizione o consenso). Le disposizioni che vietavano l’offerta di prestazioni al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro e di svago, in luoghi pubblici o aperti al pubblico venivano “trasferite” nell’art. 19 (Divieto di accaparramento della clientela). L’art. 17bis con la nuova rubrica “modalità di informazione”, in luogo di “mezzi di informazione” elimina la limitazioni dei mezzi di informazione utilizzabili, dovendo comunque quelli adottati essere adeguate al decoro della professione. La riforma aboliva la elencazione dei mezzi di informazione consentiti, conservando, siccome obbligatorie, quelle obiettivamente utili per orientare la scelta del professionista da parte del cliente46. L’art. 17bis indicava tra le modalità di informazione come obbligatorie la denominazione dello Studio con i nominativi dei professionisti; il Consiglio dell’Ordine di iscrizione; la sede principale e le eventuali sedi secondarie con tutti i recapiti anche telefonici e telematici; il titolo professionale che consente all’avvocato straniero di esercitare in Italia e all’italiano di esercitare all’Estero. Tra le modalità facoltative vi era l’indicazione dei titoli accademici; specializzazioni conseguite dinanzi alle giurisdizioni superioTra queste, la sede, l’Ordine di iscrizione, il luogo di esercizio, i titoli, le specializzazioni, i settori di attività prevalenti e altri. 46

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ri; settori di esercizio e eventualmente prevalenti materie di attività; le lingue conosciute; il logo dello Studio; la polizza assicurativa; le certificazioni di qualità. La norma facultava l’uso di siti web previa comunicazione all’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto, escludendo la possibilità di riferimenti commerciali o pubblicitari mediante l’indicazione diretta o tramite banner o pop-up di alcun tipo. Il C.N.F. orientava a tali principi la giurisprudenza ritenendo deontologicamente illecito il comportamento dell’avvocato che sulla carta intestata aveva indicato la qualifica di giudice di pace47. Il C.N.F. riaffermava che “anche nel novellato impianto deontologico (di adeguamento alla Legge 4.8.2006, n. 248) qualsiasi comportamento del legale resta comunque soggetto ai limiti imposti dal decoro, dalla dignità e dalla indipendenza della professione, oltre che alla trasparenza e veridicità della informazione resa al pubblico. Quanto in particolare al fenomeno della pubblicità lo stesso resta naturalmente intrinseco all’attività puramente commerciale, avente quale fine la vendita di beni e di servizi. Il professionista, invece, è tenuto alla corretta informazione, finalizzata alla scelta consapevole del cittadino, che deve corrispondere ai criteri di verità e trasparenza, come indicato dalla norma ora richiamata e recepita nel Codice vigente (art. 17) e non avere mere o concorrenti finalità di captazione, a presidio del valore (considerato assorbente anche nella legislazione comunitaria) della lealtà verso clienti e colleghi”48. C.N.F. 12.7.2007, n. 242 Presidente Alpa: “La qualità di Gdp non attiene all’attività professionale esercitata dall’avvocato e quindi la sua indicazione a titolo informativo nei confronti di terzi nell’esercizio della professione si deve considerare vietata dall’art. 17 del CDF. L’esternazione di tale qualifica nell’esercizio dell’attività professionale rivela infatti l’intenzione di accreditarsi in modo elogiativo in quanto appartenente alla magistratura, alimentando nei terzi un affidamento non giustificato né consentito anche in base ai doveri di dignità e decoro dell’avvocato”. Come ha stabilito la giurisprudenza disciplinare “l’attività forense e quella di giudice onorario sono ontologicamente distinte e profondamente diverse tanto da essere incompatibili nello stesso ambito territoriale”. 48 C.N.F. 22.11.2007, n. 268 Presidente Vermiglio, di rigetto del ricorso avverso decisione del CdO di Monza. 47

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Nel caso in trattazione il C.N.F. ha censurato il comportamento dei professionisti che avevano inviato una “circolare” con la quale “reputando tali indicazioni, anche se non esaustive, estremamente esemplificative della nostra specializzazione (i trentenni professionisti facevano riferimento all’esperienza maturata per circa quattro anni in due Studi professionali, e che i settori di sviluppo professionale riguardavano diritto assicurativo, contrattualistica, diritto di famiglia, questioni condominiali, sfratti, recupero crediti), Vi segnaliamo la assoluta disponibilità ad intraprendere con Voi una prossima e futura collaborazione professionale – anche solo, se ritenete, a titolo di prova – precisando, altresì che è nostra prerogativa, al fine di fornire un utile e maggiore servizio, recarsi direttamente presso il domicilio dei clienti...”. Con altra decisione49 riteneva la giurisprudenza disciplinare essere “di immediata evidenza che l’avere pubblicamente e fallacemente prospettato la possibilità di avvalersi di «particolari procedure» per ottenere un divorzio congiunto (cioè consensuale) in pochi mesi (6 -7 mesi) anche senza che siano passati i tre anni dalla separazione e, perfino, senza una preventiva separazione e quindi arrivando subito al divorzio con un unico provvedimento senza nemmeno significare che tale possibilità conseguirebbe soltanto all’avvìo di una procedura in un (non meglio specificato) Paese estero, non rispetta i limiti essenziali della veridicità e completezza dell’informazione consentita al professionista ed assume anzi i caratteri della pubblicità recettiva, contraria come tale ai doveri di dignità e decoro che debbono costantemente informare la condotta dell’avvocato. Parimenti contrario ai predetti doveri è l’ulteriore messaggio pubblicitario, avente contenuto chiaramente autoelogiativo ed inutilmente polemico, attraverso il quale l’avvocato si presenta quale «difensore dei difensori», vale a dire dei poliziotti che difendono i cittadini, da certa opinione pubbli49 C.N.F. 22.12.2007, n. 219 Presidente Tirale, di rigetto del ricorso avverso decisione del C.d.O. di Modena.

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ca e da parte di certa magistratura, eccessivamente garantista”. Secondo i principi innanzi espressi e indicati nel CDF l’avvocato è tenuto alla corretta informazione, finalizzata alla scelta consapevole del cittadino, che deve corrispondere a criteri di verità e trasparenza; e l’informazione non deve avere sola finalità concorrenziale di captazione, anche a presidio dei valori di lealtà e correttezza verso clienti e colleghi. I rilievi dell’AGCM alla ulteriore riforma degli artt. 17 e 17bis cdf. Nel corso della audizione dinanzi alla Camera dei Deputati del 18.4.2008, nell’ambito della nuova indagine conoscitiva sugli Ordini professionali, l’AGCM formulava una serie di rilievi: secondo l’Autorità il divieto di pubblicità elogiativa o comparativa non sarebbero giustificabili perché di ostacolo al principio della libera concorrenza; il divieto di informativa non rispettosa della dignità e del decorso della professione non sarebbe giustificabile sotto il profilo concorrenziale perché potrebbe disincentivare l’utilizzo della leva della pubblicità50; il divieto di accaparramento di clientela rappresenta una accezione negativa della concorrenza; il divieto di indicare nomi dei clienti poteva essere abolito. Nel corso della precedente audizione alla Camera dei Deputati del’8.3.2007 l’AGCM aveva osservato che i codici deontologici 50 L’Autorità riprendeva le posizioni tratteggiate nella relazione 1997, già accentuate nella relazione del 16.11.2005 e nelle relazioni al Parlamento e che avevano avuto espressione nella audizione del Presidente dinanzi alle Commissioni riunite, II^ della Giustizia e X^ delle Attività produttive e della Camera dei Deputati dell’8.3.2007. La AGCM è stata istituita con Legge 10.10.1990, n. 287; la prima indagine conoscitiva sulla concorrenza e sul mercato nelle professioni intellettuali (ritenute attività economiche qualificate come imprese “in quanto consistono nella offerta di prestazioni riconducibili alla natura di servizi dietro corrispettivo”) risale all’1.12.1994.

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“non dovrebbero mai riguardare questioni relative al comportamento economico degli stessi professionisti nella loro offerta di servizi sul mercato”. Con la relazione conclusiva dell’indagine conoscitiva sui servizi professionali del 21.3.2009 tutti i concetti già come innanzi espressi venivano insistentemente sviluppati fino a giungere alle seguenti affermazioni: a) la equiparazione tra professione intellettuale e impresa; b) il rigetto di tariffari e di qualsiasi limite anche alla pubblicità comparativa sui prezzi e sui nomi dei clienti; c) la inopportunità del concetto di “decoro” per limitare la concorrenza; d) la irrilevanza deontologica della violazione dell’obbligo di aggiornamento in mancanza di una verifica sulla prestazione di servizi adeguati. L’AGCM poneva al centro dei suoi giudizi la libertà di agire dei servizi professionali nelle dinamiche dei mercati, in regime di concorrenza senza eccezioni o deroghe, trascurando la connessione degli elementi economici con gli aspetti di rilevante interesse pubblico della professione forense, e non considerando i diritti fondamentali della persona, sicuramente preminenti rispetto all’interesse di mercato. Non considerava la specificità della professione forense, riconosciuta dalla Costituzione e richiamata anche nelle Risoluzioni del Parlamento Europeo51 e confermata dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria52; in tutte le richiamate occasioni è stato riconosciuto il fondamentale ruolo dell’avvocato nella attività giurisdizionale, e nel In particolare la Risoluzione del 23.3.2006; ma già quella del 5.4.2001 (B5-0247/2001) aveva affermato che “le libere professioni rappresentano uno dei pilastri del pluralismo e dell’indipendenza all’interno della società ed assolvono a ruoli di pubblico interesse” e stabiliva che “le regole sono necessarie, nel contesto specifico di ciascuna professione, per assicurarne l’imparzialità, la competenza, l’integrità e la responsabilità dei membri della professione stessa, o per impedire conflitti di interesse e forme di pubblicità ingannevole, e che non ostacolano peraltro la libera circolazione dei servizi, non sono considerati restrizioni del gioco della concorrenza ai sensi dell’art. 1, §1 del Trattato”. 52 Corte di Cassazione-Sezioni Unite 11.9.2007, n. 19014; Corte di Giustizia Europea 5.12.2006. 51

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rispetto dei diritti fondamentali e dei principi dello Stato di Diritto53. La Relazione dell’AGCM riteneva ancora che le limitazioni alla pubblicità che vietano espressioni laudative o elogiative imponendo l’obbligo del rispetto del decoro, della dignità professionale e della decenza, essendo prevalente l’interesse generale di garanzia della concorrenza rispetto a quello di tutela del decoro e del prestigio della professione, erano illegittime54. La delibera 12.6.2008 sui rilievi dell’AGCM e la ulteriore riforma del CDF operata dal C.N.F. Il C.N.F. nella adunanza del 12.6.2008 prendeva atto dei rilievi dell’AGCM e, in riferimento alla pubblicità informativa integrava l’art. 17bis aggiungendo l’espressione “tempestiva”, alla comunicazione al C.d.O. di appartenenza della utilizzazione di siti web. In contrapposizione ai rilievi ribadiva che “il divieto di pubblicità comparativa e quello di pubblicità elogiativa sono funzionali all’in53 Principi riaffermati nella Dichiarazione di Roma dell’8.11.2008 sulla formazione dell’avvocato in Europa, approvata dalle delegazioni di venticinque Paesi dell’unione Europea. 54 L’AGCM metteva sullo stesso piano, confondendole, l’attività di impresa e quella professionale. Da uno Studio dell’OCSE del 28.1.2008 sulle restrizioni alla concorrenza nelle professioni legali è risultato che fanno maggior ricorso alla pubblicità i legali che mostrano livelli più bassi di qualità; osserva l’OCSE che “un mercato completamente libero porta con sé il rischio di servizi legali di qualità scadente”. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea di Nizza 7.12.2000, sulla strada tracciata della Carta Sociale Europea di Torino e del Protocollo di Strasburgo del 5.5.1988 distingue la libertà professionale (art. 15) dalla libertà di impresa (art. 16); negli stessi sensi Corte di Cassazione-Sezioni Unite Civili 25.3.2005, n. 6213; Corte di Giustizia Europea della comunità Europea 19.2.2000 in causa C-35/99. La Suprema Corte di Cassazione riscontrava lesione del principio deontologico del divieto di accaparramento, “nella prospettazione al pubblico di fallaci innovazioni normative a mò di richiamo e di una funzione forense configurata come mera gestione di impresa di servizi secondo un’esagerata concezione mercantilistica dell’esercizio professionale... non consono al ben diverso livello sul quale deve porsi, per i principi recetti nel Codice Deontologico sulla communis opinio degli appartenenti alla categoria, l’attività dell’advocatus il chiamato alla difesa”; negli stessi sensi Corte di Cassazione-Sezioni unite, 5.1.2007. n. 37.

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teresse generale che l’informazione data dall’avvocato risponda ai principi di correttezza e verità...tale limitazione è volta ad evitare che gli iscritti all’Albo professionale possano compiere azioni di promozione o propaganda capaci di compromettere la fiducia dei soggetti che a loro si rivolgono e di pregiudicare la dignità della professione. L’informazione, infatti, è ammessa nei limiti in cui è data per favorire la conoscenza pubblica di notizie utili a far conoscere l’esistenza e l’identità del professionista ed il luogo ove svolge l’attività, oltre che il tipo di prestazioni che egli è in grado di garantire; l’informazione non può accedere tale funzione perché, se ciò si ammettesse, sarebbe almeno in parte motivata dall’interesse economico del professionista a promuovere le proprie prestazioni anche a prescindere dalla loro necessità o della utilità che esse possono avere per il cliente”. Ribadiva ancora il C.N.F. che “il richiamo ai doveri di dignità e di decoro della professione è esplicitamente contenuto nell’art. 12 R.D. 27.11.1933, n. 1578 e costituisce il parametro normativo generale, alla stregua del quale deve essere valutata la condotta degli esercenti la professione forense”, e, del resto il CDF ha carattere di norma di legge, come confermato anche dalla Corte di Cassazione-Sezioni Unite 20.12.2007, n. 2681055. L’ultima “stesura” del codice è quella attualmente in vigore56 che ha conservato, rigettando le osservazioni dell’AGCM, il divieto di accaparramento della clientela in quanto “le norme ivi indicate hanno come obiettivo la tutela della professione dall’esercizio di forme di acquisizione della clientela illegittime e comunque scorrette”57, venendo disattesa la richiesta dell’AGCM di assoggettare una professione di rango costituzionale, la cui funzione è quella di difesa dei diritti, ai principi di tutela della concorrenza che regolano l’attività delle imprese. La Suprema Corte attribuisce alle norme del Codice Deontologico Forense la natura “di fonte normativa integrativa del precetto legislativo”. 56 Il CDF introdotto il 17.4.1997 è stato aggiornato e modificato il 16.10.1999, il 26.10.2002, il 27.1.2006, il 14.12.2006, il 18.1.2007 e infine il 12.6.2008. 57 Delibera del C.N.F. del 12.6.2008. 55

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La giurisprudenza del C.N.F., coerentemente con i principi posti a fondamento del CDF aggiornato, riteneva di censurare, rigettando il ricorso avverso la decisione del C.d.O. di Bergamo58, la condotta dell’avvocato che aveva pubblicizzato sul “Pagine Gialle” la sua attività di “separazioni-divisioni-eredità”; di “recupero crediti senza anticipazioni” e di “gratuito patrocinio”59. Censurava anche, con altra sentenza di rigetto del ricorso avverso la decisione del CdO di Modena60, la condotta dell’avvocato che nel rilasciare un’intervista a un quotidiano locale, il cui tenore complessivo era improntato a magnificare il suo ruolo di paladino dei deboli, esaltava in modo improprio e inopportuno il proprio costume professionale di difensore dei meno abbienti e delle parti più deboli; rappresentava caratteristiche che lo differenziavano dai colleghi per “il fatto che riesco ad osservare il mondo anche con gli occhi degli altri” e dichiarando che “mi metto in gioco, cerco di capire sino in fondo la situazione e la persona che ho di fronte. Mostrare empatia, è questo il mio valore aggiunto”; affermando che “io mi occupo di consulenze gratuite, non di assistenza. Ovvero fornisco alle donne – senza percepire alcun compenso – ogni tipo di informazione in merito ai loro diritti in ambito familiare. Questo affinché non vengano ingannate, usate, maltrattate”. E concludeva “vorrà dire che non girerò mai in Mercedes e mi accontenterò della solita vecchia affidabile Clio”. Il professionista, che veniva meno, oltre al dovere deontologico sulle informazioni consentite, anche ai doveri di probità dignità e decoro, nei rapporti con la stampa e al divieto di accaparramento, e che dichiarava con “modestia” che aveva perfino rifiutato di far pubblicare una sua foto, secondo il C.N.F. non si era attenuto a una 58 C..N.F. 10.7.2008, n. 169 Presidente Alpa; con la sentenza (difformemente da altra precedente pronuncia – vedi nota n. 37 -) il Consiglio riteneva anche che la riforma introdotta dopo la Legge 4.8.2006, n. 248 non aveva valore retroattivo. 59 Che non significava come prospettato in maniera fuorviante dal ricorrente l’inserimento nell’Elenco degli iscritti al patrocinio per i non abbienti. 60 C.N.F. 25.9.2008, n. 173 Presidente Alarico Mariani Marini.

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corretta informazione, finalizzata alla scelta consapevole del cittadino, che “deve corrispondere ai criteri di verità e trasparenza e non avere mera o concorrente finalità di captazione, a presidio del valore (considerato assorbente anche nella legislazione comunitaria) della lealtà verso clienti e colleghi”. Spiegava anche il C.N.F. che in ragione della specificità delle professioni liberali “vi sono limiti di compatibilità ulteriori per il rispetto di riconosciuti principi superiori: essenzialmente, la dignità ed il decoro della professione, che sono e restano i valori fondamentali della deontologia forense, consacrati nella norma primaria – art. 12 della Legge professionale n. 1578 del 1933 – ripresi dall’art. 5 del CDF ed analiticamente esplicitati nell’intero corpo dello stesso codice”. Nota è la sentenza61 confermativa della decisione del C.d.O. di Brescia che ha censurato la condotta del professionista che aveva aperto “un negozio giuridico” a livello di strada, come un “normale negozio al dettaglio” con la suggestiva insegna A.L.T. (Assistenza Legale per Tutti) e l’indicazione “Prima Consulenza Gratuita”. La locuzione A.L.T. non era un “innocente acronimo, ma un messaggio suggestivo e schiettamente pubblicitario, nel significato normalmente percepito di «un invito bonario, non perentorio, a fermarsi»”. Il C.d.O. di Brescia aveva motivato che sia il CDF vigente sia la Legge 4.8.2006, n. 248 non consentono ai professionisti “una indiscriminata pubblicità, ma la sola diffusione di specifiche informazioni sull’attività esercitata, le prestazioni offerte e le tariffe applicate: la comunicazione, cioè, di notizie ed informazioni eminentemente descrittive di elementi oggettivi utili per una scelta consapevole, vietando, invece le forme di pubblicità suggestive e prive di valenza informativa”. Chiariva il C.N.F. che più che essere censurato l’ambiente e il luogo diversi dalla tradizione di esercizio della professione e le modalità 61 C.N.F. 10.12.2009 Presidente Perfetti. La sentenza è anche nota per avere l’AGCM aperto una indagine sull’Ordine di Brescia (competente in quanto l’incolpato era Consigliere dell’Ordine di Milano).

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comunicative inusuali, rilevanti disciplinarmente “sono stati giustamente considerati non i mezzi utilizzati ma i contenuti con essa proposti, siccome equivoci, suggestivi, eccedenti il carattere informativo consentito e pertanto configurati come impropria attività di captazione della clientela operata con metodi illeciti in ragione di tale loro suggestione, equivocità ed eccesso, nel collegamento logico tra gli articoli 19 e 17 e 17bis del CDF, che, come assertato in seguito alla Legge 4.8.2006, n. 2, “non consente invero una pubblicità indiscriminata (ed in particolare non comparativa ed elogiativa) ma la diffusione di specifiche informazioni sull’attività, anche sui prezzi, i contenuti e le altre condizioni di offerta di servizi professionali allo scopo di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione del compenso e delle modalità del suo calcolo, com’è consentito dalla normativa statale citata”. E conclude richiamando in conformità della normativa comunitaria e della sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, che la peculiarità della professione forense impone le limitazioni connesse alla dignità e al decoro della professione. “Il concetto di decoro...va adattato ed interpretato, nella sua sostanza, in modo adeguato allo sviluppo della legislazione e della sensibilità sociale ed è oggi funzionale non alla difesa di una categoria professionale caratterizzata dalla pur elevata funzione sociale svolta, ma alla salvaguardia della sua complessiva reputazione nell’interesse dell’intera collettività, ai fini dell’accrescimento della qualità delle prestazioni e della sicurezza del rapporto fiduciario professionale, non solo sotto il profilo tecnico, ma etico comportamentale...62”. L’AGCM ha ancora di recente (provvedimento 7.10.2009, n. 20363) dichiarato che i Consigli dell’Ordine (nella specie dei medici chirurghi e odontoiatri) in quanto rappresentativi di imprese costituiscono una associazione di imprese e ha applicato la sanzione al Consiglio dell’Ordine di Bolzano che aveva invitato gli iscritti odontoiatri a non indicare a una associazione di consumatori, per la pubblicazione, i prezzi praticati, avendo l’Ordine ostacolato il confronto competitivo frenando l’attività economica della categoria e compiendo una restrizione della concorrenza. La sanzione, che deve essere rapportata al fatturato delle imprese, è stata commisurata alle entrate rappresentate dai contributi annui degli iscritti. 62

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L’Obbligatorietà dell’azione penale tra mito e realtà di ETTORE RANDAZZO* Dell’obbligatorietà dell’azione penale, pur sancita con chiarezza dalla nostra Costituzione (art. 112: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”) e dalla legge ordinaria (si veda l’art. 412 c.p.p., secondo cui il procuratore generale dispone l’avocazione delle indagini se il pubblico ministero non l’esercita o non chiede tempestivamente l’archiviazione), si parla da tempo quasi nostalgicamente come fosse un mito, dunque irraggiungibile e impalpabile: un ideale da inseguire romanticamente e senza grandi speranze. È singolare che nel nostro singolare paese il mito si identifichi così frequentemente con la nostra carta costituzionale, tanto bella e invidiata quanto talvolta astratta e lontana. Nel sistema giudiziario, gli articoli 13, 24, 27, 111, ne sono esempi di quotidiana disapplicazione. Certamente può discutersi dei dettagli magari esponendo opinioni diverse, ma non può seriamente dubitarsi che i fondamentali principi di civiltà sanciti dalle dette norme siano tuttora una meta più che una conquista. Mi riferisco all’allarmante precarietà della libertà personale, la cui disciplina viene inquinata non di rado da iniziative autoritarie che la stessa Consulta fatica a neutralizzare (il doppio binario, concepito per far fronte al fenomeno mafioso, è sempre più ingarbugliato da strane “derivazioni”, così estendendosi pericolosamente ad altre “categorie” di indagati, sicuramente non trattati da presunti innocenti); alla presunzione d’innocenza, appunto, smentita da norme ordinarie e da prassi diffuse che confliggono con questo sacrosanto patrimonio di ogni stato liberale; all’effettività della difesa e delle garanzie degli imputati, di ogni condi*

Avvocato del Foro di Siracusa e Docente di Deontologia Forense.

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zione personale e sociale e per ogni reato; alla funzione rieducativa di una pena invece indecorosa e gravemente afflittiva, oltre che affibbiata anticipatamente mediante una carcerazione preventiva troppo spesso ingiusta e illegittimamente vessatoria (perché mai il presunto innocente deve subire le angherie non solo normative del sistema carcerario anziché, nei casi in cui sia davvero necessario, esser rinchiuso in una struttura sorvegliata, tale da evitare la fuga, l’inquinamento probatorio, la reiterazione di reati?); al Giusto Processo, solennemente accolto dalla legge primaria e già presente da mezzo secolo nella Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, ma ordinariamente tradito da una legislazione ordinaria che non può vantare affatto né la parità tra accusa e difesa, né la terzietà del giudice, né la ragionevole durata, concepita – anche nella Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, da cui viene mutuata – quale diritto l’imputato, mentre nella nostra interpretazione giurisprudenziale è stata deformata in potere punitivo dello Stato. Tornando dall’empireo dei bei principi (padron ‘Ntoni dei Malavoglia lamentava: belle parole e mele fradice) alla quotidianità delle aule giudiziarie, la realtà, che in qualche modo potrebbe tradursi nel diritto vivente, è la concreta applicazione delle norme mediante la loro interpretazione, naturalmente affidata alla magistratura. Che a sua volta fa quel che può. Con buon senso di solito, però a volte non disdegnando di supplire alle carenze o alle crepe del sistema. Quasi sempre con le migliori intenzioni. Si tratta pur sempre del personale senso di giustizia dell’interprete, che – nella integrazione o nella sostituzione di previsioni normative – non può operare da legislatore. A questo punto deve sciogliersi un nodo: un principio costituzionale può subire una deformazione significativa, alias una grave violazione, per ragioni contingenti, per considerazioni pragmatiche inevitabilmente soggettive e soprattutto in assenza di un adeguato intervento del legislatore? Le regole, insomma, anche costituzionali, possono divenire un optional, un orientamento di massima, un consiglio, senza così ritagliare sensibilmente la nostra stessa libertà democratica?

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Sotto questo profilo, per quel che specificamente riguarda l’obbligatorietà dell’azione penale, assume sempre più rilevanza e vigore il dibattito tra gli studiosi, i magistrati e gli avvocati. Va precisato che ciò non si inquadra in una sorta di dipendenza processuale dal sistema statunitense, notoriamente ispirato alla discrezionalità dell’azione penale e in pratica caratterizzato da patteggiamenti strepitosi; per lo più, infatti, simili gestioni giudiziarie ci sembrano stramberie proprie di una cultura giuridica molto più giovane della nostra, peraltro ancora mortificata dalla pena di morte e dalle ipocrisie che spesso la circondano (è di questi giorni la notizia della sospensione dell’esecuzione perché il farmaco letale da iniettare era scaduto!). Piuttosto, noi dobbiamo tener conto dell’inondazione alluvionale di procedimenti, effettivamente sproporzionati con riguardo sia agli organici dei magistrati e del personale di cancelleria, sia alle nostre disponibilità economiche e logistiche. Il pilastro costituzionale, e logico, e liberale, dell’obbligatorietà quale antidoto contro abusi e soprusi vacilla decisamente. Le circolari, e comunque le indicazioni anche informali dei capi, come le stesse direttive del CSM, razionalizzano e disciplinano le selezioni forzatamente omissive dei sostituti. Esse creano al più una uniformità “interna”, ovvero limitata al distretto di Corte d’appello, con difformità ingiustificabili rispetto agli altri distretti, ancora più evidenti nei distretti vicini. E del resto sarebbe inaccettabile anche un intervento omogeneo (del Procuratore Generale presso la suprema Corte, ad esempio), comunque contra legem e in violazione al principio di separazione dei poteri. Simili interventi, tra l’altro, sono un vulnus al primato delle regole, che non sottopongono il diritto al processo alla condizione della ritenuta rilevanza del reato in questione. Non è legittimo ratificare preferenze espresse dalle Procure, neanche le più sensate, in quanto il metodo è in ogni caso inaccettabile: l’individuazione di eventuali priorità compete esclusivamente al potere legislativo, dal quale l’ordine giudiziario deve sempre tenersi a distanza di sicurezza. Quaderni

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Intervengano, invece, il legislatore e il ministero. Ci diano organici, strutture, se del caso nuove leggi, processi brevi e prescrizioni lunghe, o viceversa: siamo abituati a tutto, sebbene non rassegnati a nulla. E soprattutto provvedano gli organi competenti a tutelare l’obbligatorietà dell’azione penale, ovvero – anziché abbandonarla alle intemperie – ne riformino la disciplina, se possono e vogliono. La realtà che tutti conosciamo, con la falcidia di tantissimi procedimenti (con le relative aspettative degli interessati, persone offese o imputati che siano) di fatto e mediante prescrizione, è sconfortante. E a ben vedere ci sono forti crepe anche nel sistema normativo, almeno secondo l’interpretazione giurisprudenziale più accreditata. Non può farsi a meno di citare al proposito le decisioni anche a Sezioni Unite della suprema Corte (si veda n. 34536 dell’11 luglio 2001), secondo cui la cosiddetta “cestinazione” della pseudonotizia di reato, o ritenuta tale dal pubblico ministero, quand’anche non fosse condivisibile, non potrebbe essere impugnata nemmeno per abnormità, bensì al più provocare l’avocazione del procuratore generale ex art. 412 c.p.p. Una avocazione discrezionale a garanzia dell’obbligatorietà, in definitiva! Il principio de quo, maltrattato e violato per stato di necessità più o meno opinabile, è agonizzante a causa di un faidatè dilagante e in concreto tollerato. Tuttavia, non credo che sia auspicabile la sua abrogazione, che pure in mancanza di interventi terapeutici adeguati sarebbe una pietosa eutanasia. Di certo non può essere tenuto in vita in queste condizioni. Si decida, dunque. Quanto alla sorte di questo nostro cardine (fondamentale anche per garantire l’uguaglianza voluta dall’art. 3 della Costituzione), quel che temo, persino di più di una ingloriosa rottamazione, è la derisione o peggio la sottovalutazione della legalità, valore primario e ovviamente da custodire e venerare, quale contravveleno all’anarchia e all’arbitrio. In tal modo la stessa legalità diventa solo una meta. Non possiamo permettere che diventi un mito.

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La disciplina dello stalking alla prova dell’applicazione: “indizi” di incostituzionalità

(a margine di Cass. pen. Sez. V, n. 6417/2010) di ANTONELLO DENUZZO*

1. Con l’emanazione del decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009, poi convertito in legge n. 38 del 23 aprile 20091, il Governo ha inteso riscontrare la domanda di sicurezza avanzata dalla collettività “a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale”, come si sottolinea nel preambolo al provvedimento normativo2. Forse il legislatore avrebbe potuto intervenire nelle forme della legislazione ordinaria (vale a dire senza sacrificare i tempi della deliberazione)3, così consentendo che maturasse, nel tessuto etico * Avvocato del Foro di Brindisi e componente del Consiglio direttivo A.I.G.A., sezione di Brindisi. Dottore di Ricerca in Diritto costituzionale, Università del Salento. Professore a contratto di Diritto pubblico per le arti e lo spettacolo presso l’Università di Bari, sede di Brindisi. 1 Pubblicata in G.U. n. 95 del 24 aprile 2009. 2 Riassuntivamente: l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 11/2009 ha introdotto nel Codice penale, all’art. 612-bis, l’inedita fattispecie di “Atti persecutori”, formula con la quale è stato interpretato il termine di origine anglosassone (stalking: da to stalk, letteralmente “fare la posta alla preda”) utilizzato anche dalla dottrina italiana per definire le condotte di insistita interferenza nella sfera privata altrui. Si tratta di un delitto doloso inserito tra quelli contro la libertà morale e punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni, la cui fattispecie ha ad oggetto le “condotte reiterate” di minaccia o molestia che determinano nella persona offesa “un perdurante e grave stato di ansia o paura”, ovvero ingenerano nella medesima “un fondato timore” per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto o di altra persona alla stessa legata da un vincolo affettivo, o, ancora, la costringono “ad alterare le proprie abitudini di vita”. 3 Del resto, “già la scelta del bicameralismo appare orientata alla salvaguardia di una riflessione ponderata nel procedimento legislativo”: A. BURATTI, Dal diritto di resistenza al

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della società civile, un’opinione pubblica documentata ed obiettiva4, in grado di affiancarsi alla dialettica parlamentare5. Il significato simbolico del ricorso alla decretazione d’urgenza ben si comprende, tuttavia, nel quadro di una considerazione del fenomeno assai condizionata dalla percezione mediatica dello stesso6. metodo democratico. Per una genealogia del principio di opposizione nello stato costituzionale, Giuffrè, Milano, 2006, 231. Peraltro, tale attenzione alla congruità dei tempi del procedimento deliberativo risulta oggi elusa dalla perdita delle caratteristiche di omogeneità dei contenuti del singolo articolo nella prassi parlamentare: sul punto, A.A. CERVATI, Art. 70, in G. BRANCA (a cura di), Comm. cost., Zanichelli, Bologna-Roma, 1994, 128. 4 A. LOIODICE, Diritto all’informazione, in A. LOIODICE, I. LOIODICE, F. VARI, La nuova generazione dei problemi costituzionali, Edizioni ART, Roma, 2006, 43: “La stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale dovrebbero instaurare il contatto conoscitivo con l’ambiente che è fuori dal campo visuale di ognuno […]. Se però può essere incontestabile che tali strumenti creino, in punto di fatto, l’opinione pubblica, non si può tuttavia ritenere che l’ordinamento consenta la formazione dell’opinione pubblica e la raccolta di informazioni solo per mezzo loro, perché, se così fosse, non verrebbe garantita la formazione di una volontà comune documentata (con la conseguenza che la democrazia si fonderebbe su un tipo di opinione pubblica che può anche essere manipolata o aberrante) ed al giurista non resterebbe altro che prenderne atto”. 5 Per J. HABERMAS, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia (1992), Guerini e associati, Milano, 1996, 181 ss., il processo democratico si articola, nello Stato di diritto e pluralistico, secondo la predisposizione di strumenti e procedure in grado di garantire una costruzione discorsiva della deliberazione. “La ponderata disamina degli opposti argomenti, anche quando non riesca a produrre un’effettiva convergenza sulle scelte pubbliche, rafforza la legittimità della decisione assunta e concorre a elevare il grado di legittimità delle istituzioni democratiche”: A. MASTROPAOLO, Democrazia, neodemocrazia, postdemocrazia: tre paradigmi a confronto, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, IV, 1626. 6 L’urgenza ex art. 77 Cost. va intesa in stretto rapporto con la funzione propria del decreto legge quale strumento “eccezionalmente” destinato a sostituire la legge ordinaria (e gli altri strumenti ordinari dei quali il Governo dispone: la presentazione di un disegno di legge ovvero l’esercizio della delega all’uopo già ottenuta). L’urgenza, “cioè, richiede che malgrado l’importanza e l’improrogabilità delle misure progettate dal Governo, queste non possano, per motivi tecnici, compiersi efficacemente ed immediatamente dalle Camere parlamentari”: L. PALADIN, In tema di decreti-legge, in Riv. trim. Dir. pubbl., 1958, 557. D’altro lato, il presupposto della straordinarietà implica il verificarsi di situazioni eccezionali ed imprevedibili o, comunque, non frequenti né sistematiche: cfr. F. SORRENTINO, Le fonti del diritto, V ed., Ecig, Genova, 2002, 87. Anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 29 del 1995, ha affermato il principio per cui, in base all’art. 77 Cost., “la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto”. Per una disamina della giurisprudenza co-

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Pertanto, l’art. 7 del decreto legge n. 11/2009 ha introdotto, al nuovo art. 612-bis del Codice penale, l’ipotesi delittuosa rubricata “atti persecutori”, con lo scopo di sanzionare episodi di minacce o molestie reiterate, in una logica di prevenzione della possibile consumazione di condotte più gravi. Le condotte che oggi integrano la nuova figura penale potevano essere perseguite, a seconda delle caratteristiche, ricorrendo alle ipotesi di violenza privata o di molestia o di disturbo alle persone; ma non mancavano di verificarsi situazioni che rivelavano l’inadeguatezza degli artt. 610 e 660 c.p. per sanzionare comportamenti che incidevano in maniera significativa sulla libertà morale o personale della persona offesa o sulla sua salute psicofisica. Infatti, mentre le incriminazioni tradizionali sono tendenzialmente calibrate sull’episodio singolo, potendo al più la reiterazione della condotta illecita dare vita ad una ipotesi di reato continuato, la fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p. elegge proprio la serialità dei comportamenti a elemento costitutivo, perché è in tale serialità (e non già nell’entità delle condotte che la compongono) che individua l’effettiva misura della lesione del bene tutelato, come suggerito dalla stessa rubrica legis7. Per l’utilizzo della formula “reiterazione” e di altre clausole in grado di riservare ai giudici ampia discrezionalità nella determinazione degli elementi essenziali del reato (laddove si allude a condotte di minaccia o di molestia tali da costringere la persona offesa ad “alterare le proprie abitudini di vita” o al “fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto”), la fattispecie di stituzionale in tema di decreti legge, si veda A. SIMONCINI, Corte e concezione della forma di governo, in V. TONDI DELLA MURA, M. CARDUCCI, R.G. RODIO (a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione politica. Atti del seminario di Otranto – Lecce svoltosi il 4-5 giugno 2004, Giappichelli, Torino, 2005, 249 ss. 7 Cfr. R. BRICCHETTI, L. PISTORELLI, Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida al Diritto, n. 10/2009, 58.

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stalking ingenera, però, preoccupazioni non infondate sul piano della tassatività della formulazione della norma8 e della conformità con il principio della riserva di legge nella materia penale. Non è agevole comprendere neppure se, ai fini dell’accertamento del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, anch’esso tipizzato come conseguenza della condotta antigiuridica, sia necessario un accertamento medico ovvero se sia sufficiente fare ricorso a criteri di comune esperienza; peraltro, la causazione di questo evento potrebbe verificarsi anche in casi di scarso disvalore, se la vittima è di particolare fragilità psicologica, con ciò estendendosi la tipicità della fattispecie al di là delle stesse intenzioni del legislatore. Anche se la norma andrà interpretata già sul piano oggettivo, secondo canoni di buon senso, non di rado in simili ipotesi potrebbe difettare il dolo, quando il molestatore non abbia previsto né voluto la causazione dell’evento. Proprio nelle materie in cui vige una riserva di legge assoluta, come quella penale, l’esigenza di leggi chiare e precise è, tuttavia, più pressante, perchè il deficit di determinatezza rischia di riverberarsi negativamente sull’attività degli operatori giudiziari9. 2. La sentenza n. 6417/2010 Cass. pen. sez. V consente di riflettere intorno ad alcuni caratteri strutturali del reato di “atti persecutori”, ma anche di verificare la tenuta di alcuni principi costituzionali fondamentali. Infatti, è proprio il coinvolgimento del principio di legalità (nel suo corollario della precisione e della esattezza dei testi) e del divieto di applicazioni retroattive della legge penale sfavorevole che veste di “rilevanza costituzionale” la sentenza in discorso. È opportuno ricordare i momenti essenziali della vicenda che ha Sul punto, E. MARZADURI, Il ricorso alla decretazione d’urgenza condizionato dal diffuso allarme sociale, in Guida al Diritto, n. 10/2009, 41. 9 Sul problema della qualità della legislazione, M. AINIS, La legge oscura. Come e perché non funziona, Laterza, Roma-Bari, 1997. 8

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dato origine al giudizio giunto innanzi alla Corte di Cassazione: dunque, il gip del Tribunale di Ravenna aveva rigettato l’ordinanza di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare avanzata dall’indagato del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. Quindi, il Tribunale di Bologna aveva confermato la misura custodiale, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ritenendo che l’indagato si fosse reso autore di minacce, violenza privata e danneggiamento nel periodo dal 2 gennaio 2009 al 21 febbraio dello stesso anno e che ulteriori condotte delittuose fossero state poste in essere nei giorni 25 e 26 febbraio 2009. Ricorrendo in Cassazione, il difensore ha evidenziato in primo luogo che gli atti compiuti dal 2 gennaio al 21 febbraio avrebbero dovuto considerarsi irrilevanti ai fini dell’art. 612-bis c.p., in quanto anteriori alla sua entrata in vigore; in secondo luogo, che le due sole condotte commesse nei giorni 25 e 26 febbraio non avrebbero potuto considerarsi sufficienti ad integrare il reato contestato, contraddistinto da una condotta plurima. Il giudice di legittimità ha confermato il provvedimento restrittivo della libertà personale argomentando laconicamente che poiché “il termine «reiterare» denota la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza (…), se ne deve evincere che anche due condotte sono sufficienti a concretare quella reiterazione cui la norma subordina la configurazione della materialità del fatto”. Non è difficile credere, tuttavia, che la Corte abbia dovuto destreggiarsi con cura, per via ermeneutica, tra l’indeterminatezza di un testo di dubbia compatibilità con il principio di legalità, nella parte in cui richiede quale elemento consustanziale del reato una imprecisata “reiterazione” della condotta, ed il principio di irretroattività della legge penale (principio che, come ha riconosciuto la Consulta, sottraendolo ad operazioni di bilanciamento, è espressione di fondamentali valori di civiltà giuridica10). 10

Cfr. sent. n. 394/2006, punto 6.3 del Cons. in dir.; in dottrina, M. D’AMICO, Art. 25, in

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La Corte di Cassazione sceglie, dunque, di non pronunciarsi ex professo su tali questioni di diritto intertemporale, ma di risolvere la vicenda con una stretta interpretazione letterale del termine “reiterare”, tale da escludere le condotte antecedenti ai fini della decisione (e da considerare, invece, sufficienti le condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore dell’art. 612-bis c.p.). L’assunto per cui due sole condotte integrano il reato di stalking mal si concilia, tuttavia, con la struttura di reato abituale dello stesso, che richiede una condotta costante, ripetuta nel tempo11. In teoria, per evitare l’applicazione retroattiva della legge penale sfavorevole, andrebbe escluso il cumulo tra le condotte antecedenti e quelle successive nel caso di successione di norme creatrici di una nuova tipologia di reato abituale12. Pertanto, nella fattispecie in esame il giudice di legittimità avrebbe dovuto accertare che l’evento fosse conseguenza soltanto delle condotte successive, escludendo dal computo quelle anteriori, punibili solo a titolo di reati autonomi, eventualmente in concorso materiale tra di loro. Del resto, se si considera il carattere permanente degli eventi-conseguenza tipizzati dall’art. 612-bis, è difficile immaginare che essi possano costituire l’esito di due sole condotte. Per queste ragioni, il pericolo è che dietro l’interpretazione letterale della disposizione si sia annidata un’applicazione retroattiva della legge penale. La soluzione più conforme a Costituzione – se si esclude il perR. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, 545-546. La “dottrina” del bilanciamento, che la Corte costituzionale ha sviluppato in epoca relativamente recente, deriva dalla precedente esperienza di “interpretazione” di tipo sistematico delle disposizioni costituzionali, per cui ogni diritto, anche il più alto, nasce limitato e va inteso e apprezzato nel fascio complessivo degli altri diritti o dei diritti altrui: cfr. R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento di interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, 56 ss. 11 Cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, Zanichelli, Bologna, 2007, 375; in tal senso la sentenza n. 3181/2010 del Tribunale di Roma, sez. V. 12 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Cedam, Padova, 2009, 94.

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corso della rimessione della questione alla Consulta13 – sarebbe stata, probabilmente, quella dell’accertamento in concreto della potenzialità lesiva della condotta nei confronti del bene giuridico tutelato14. Secondo tale impostazione, il giudice dovrebbe indagare di volta in volta la sussistenza di un nesso eziologico tra fatto ed evento, mentre nei casi di mancata produzione dell’evento l’indagine dovrebbe avere ad oggetto la potenzialità della condotta alla lesione del bene giuridico tutelato, con un giudizio di idoneità formulato ex ante. In definitiva, in futuro occorre che si conduca un’attenta indagine, ragionando caso per caso, circa il momento di consumazione del delitto, che tenga in adeguata considerazione la struttura di reato di danno e di evento degli “atti persecutori”. In tale prospettiva, l’indagine sul tempus commissi delicti dovrebbe orientare il giudice nella qualificazione dei fatti penalmente rilevanti. Sia consentito, infine, per inciso, indicare come un limite della normativa adottata l’avere pretermesso il ricorso a misure di tipo terapeutico o più in generale di sostegno psicologico, alle quali avrebbe potuto sottoporsi volontariamente lo stalker al fine di ottenere benefici di carattere penitenziario. Una simile soluzione avrebbe offerto, ad un individuo che assume comportamenti assillanti in modo seriale, un aiuto a liberarsi dalla propria ossessione, con l’obiettivo di spezzare in tempo il crescendo di intensità e di aggressività nelle molestie persecutorie che costituisce l’aspetto più inquietante di questo fenomeno. La Corte costituzionale – magari con una pronuncia interpretativa, qualora avesse ritenuto infondata la questione – avrebbe potuto fornire indicazioni preziose anche per la successiva giurisprudenza comune in via di formazione. 14 Il nuovo delitto deve ritenersi plurioffensivo: l’art. 612-bis c.p. tutela non solo la libertà morale della persona, ma anche la tranquillità, la “serenità psicologica”. Inoltre, il reato è in grado di invadere la privacy dell’individuo. Peraltro, non è necessaria la lesione cumulativa di questi diversi beni giuridici, poiché anche la lesione di uno di essi è sufficiente a determinarne l’offensività della condotta. Sullo sfondo, si profilano anche i beni giuridici stessi della vita e dell’incolumità personale, considerato che una modalità di realizzazione della fattispecie consiste in una minaccia che può essere tale da ingenerare nella vittima un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto. 13

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Studi di settore e principio del contraddittorio: l’orientamento della Suprema Corte a Sezioni Unite di GIORGIO MANTOVANO*

1. Premessa Nell’enorme mole di contenzioso tra fisco e contribuenti viene spontaneo chiedersi: è legittimo procedere all’automatico computo del reddito imponibile di professionisti ed imprese sulla sola base di mere statistiche? La risposta è fermamente negativa. Una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione civile, a Sezioni Unite, sentenza n. 26635 depositata il 18 dicembre 20091 (a cui si conformano le successive sentenze n. 26636, 26637 e 26638, depositate in pari data), ha fatto definitivamente chiarezza su taluni profili problematici in ordine alla natura ed alla modalità applicativa degli accertamenti tributari caratterizzati dal ricorso agli studi di settore. Preliminarmente,

Dottore Commercialista. Le sentenze n. 26635, 26636, 26637 e 26638 di Corte Cass., Sez. Un., 18.12.2009, sono annotate da M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata, in Boll. trib., 2010, n. 4, 307 e ss. In tema, vedasi anche, con riferimento alla sentenza n. 26635 citata, P. TURIS, La Suprema Corte detta all’Amministrazione finanziaria le condizioni di utilizzo degli studi di settore in sede di accertamento, in Il Fisco, 2010, n. 2, 241; E. HOLZMILLER, Studi di settore. Indicazione della Cassazione a Sezioni Unite, in La Settimana fiscale, 2010, n. 3, 25; F. BALESTRA, Accertamento sulla base delle medie di settore. Indicazioni della Cassazione, in La Settimana fiscale, 2009, n. 44, 39; A. MARCHESELLI, Le Sezioni Unite sulla natura presuntiva degli studi di settore, in Corr. trib., 2010, n. 4, 251 e ss. * 1

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giova ricordare che, con tale tipo di accertamento2, l’Amministrazione finanziaria, partendo da una serie di dati e notizie forniti, per lo più, dagli stessi contribuenti, in sede dichiarativa, si avvale di uno strumento presuntivo – ai fini delle imposte sui redditi, dell’Irap e dell’Iva – atto ad individuare, nell’ambito delle imprese e dei professionisti, un determinato ammontare verosimile di ricavi/compensi e corrispettivi, collocati in un “intervallo di confidenza”, delimitato da un ricavo ‘minimo’ (verso il basso) e da un ricavo ‘puntuale’ (verso l’alto)3. Al-

2 È l’art. 62 sexies, D.L. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con mod. con L. 29 ottobre 1993, n. 427, la disposizione che riconosce all’Amministrazione finanziaria la possibilità di procedere ad accertamento analitico-presuntivo allorquando vi siano “gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili (...) dagli studi di settore (...)”. le modalità di impiego degli studi di settore sono, invece, regolamentate dall’art. 10, L. 8 maggio 1998, n. 146, che stabilisce che gli accertamenti da studi di settore “sono effettuati nei confronti dei contribuenti (il cui) ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulti inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi” (comma 1). Giova ricordare che, mentre l’art. 62 sexies, D.L. 331/1993, citato, è rimasto sostanzialmente immutato, l’art. 10 menzionato ha subìto varie modifiche negli anni. L’effetto è stato quello di ampliare la platea dei potenziali destinatari e di intervenire sul processo di formazione degli studi di settore (diventati ‘evoluti’). 3 La funzione di ricavo espressa da un apposito software, denominato Gerico, è una funzione matematica polidroma, che non ha per soluzione un solo valore, ma ammette un intervallo di soluzioni possibili, il cd. intervallo di confidenza, compreso tra un valore minimo, ovvero il ricavo minimo ammissibile, ed un valore massimo o ricavo puntuale di riferimento. Le funzioni statistiche di questo tipo non sono in grado di stimare un unico importo di perfezione per il valore presunto di ricavi o compensi da ritenere congrui, ma individuano più possibilità all’interno delle quali i valori espressi hanno un’elevatissima e medesima probabilità di rappresentare la congruità (pari al 99%). Nessuna norma individua esattamente quale sia il ricavo che deve essere dichiarato ai fini della congruità con le elaborazioni degli studi di settore. Solitamente gli Uffici accertatori, confortati dalle prime circolari esplicative, sono soliti richiedere l’adeguamento al ricavo massimo puntuale, malgrado vi sia stato dal 2008 un sostanziale cambiamento di rotta. In argomento, in senso critico verso la scelta del ricavo massimo o puntuale, all’interno dell’intervallo di confidenza, vedasi S. FIACCADORI, L’intervallo di confidenza, l’allegazione dei dati e dei calcoli e l’inapplicabilità delle sanzioni dell’accertamento da studi di settore, in Il Fisco, 2009, n. 14, 2211 e ss. Sul punto anche cfr. G. BERARDO – V. DULCAMARE, L’intervallo di confidenza degli studi di settore, in Corr. trib., 2009, n. 11; C. CARPENTIERI, Le dichiarazioni dei ricavi relativi all’intervallo di confidenza nel Mod. studi di settore, in Corr. trib., 2008, n. 28, 2259 e ss. B. IANNIELLO, Studi di settore: contribuenti in linea se collocati all’interno dell’intervallo di confidenza, in Le Società, 2008, n. 3, 384.

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l’orientamento dottrinale4, secondo cui si tratta di strumenti ausiliari di accertamento, non utilizzabili in via automatica, ma solo se opportunamente supportati ed integrati con una serie di elementi diversi ed ulteriori rispetto al risultato di ‘Gerico’, si aggiunge ora la chiara presa di posizione della Suprema Corte, a Sezioni Unite, che finisce con il fissare, ineccepibilmente, alcuni approdi esegetici in ordine alla natura giuridica degli studi di settore ed alla rilevanza endoprocedimentale della fase del previo contraddittorio. 2. Gli studi di settore hanno natura di presunzioni semplici Il convincimento che gli studi di settore diano luogo a delle presunzioni “semplici” e non legali5, da armonizzare con tutti gli altri 4 In tema, la letteratura è oramai vastissima. Senza alcuna pretesa di completezza e con riguardo ai contributi più recenti, vedasi: R. LUNELLI, Accertamento da studi di settore e contraddittorio, in Guida ai controlli fiscali, 2010, n. 1, 51 e ss.; A. BORGOGLIO, Chiarimenti su studi di settore e redditometro, in Il Fisco, 2010, n. 13, 2055 e ss.; G. BERARDO – V. DULCAMARE, Approvato il Decreto che introduce i correttivi agli studi di settore, in Corr. trib., 2009, n. 25, 1983 e ss.; C. NOCERA, Studi di settore: la ‘rilettura’ dell’Agenzia delle Entrate delle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione, in Il Fisco, 2010, n. 17, fasc. 2, 2700 e ss.; Id., Controlli da studi di settore: l’utilizzo di ulteriori elementi, in Il Fisco, 2009, n. 25, 4145 e ss.; A. MARCHESELLI, Gli accertamenti analitico-induttivi e gli studi di settore tra presunzioni semplici e legali, in Corr. trib., 2009, n. 44, 3622 e ss.; A. TREVISANI, I correttivi agli studi di settore secondo l’Agenzia delle Entrate, in Corr. trib., 2009, n. 31, 2507 e ss.; A. IORIO – S. SERENI, I risultati degli studi di settore non dispensano l’Ufficio dall’onere della prova, in Il Fisco, 2009, n. 18, 2971 e ss.; S. FIACCADORI, La prova contraria agli studi di settore e la giurisprudenza, in Il Fisco, n. 44, 7255 e ss. 5 A. MARCHESELLI, Gli accertamenti analitico-induttivi e gli studi di settore tra presunzioni semplici e legali, in Corr. trib., 2009, n. 44, 3623 e ss., sottolinea che: “in sede giudiziale, ben diversa è la portata di una presunzione legale (che vincola il giudice, senza avere alcuno spazio il suo libero convincimento) rispetto a quella della presunzione semplice. Per superare la presunzione legale sarebbe infatti necessaria una ‘prova contraria’ in senso tecnico. È ben vero che tale prova contraria potrebbe derivare da una presunzione semplice valorizzata dal giudice secondo il suo apprezzamento, sulla base del materiale acquisito al giudizio e che ciò, in fatto, diminuisce la rigidità del vincolo. Ma non lo annulla: il giudice tributario ‘deve’ applicare la presunzione legale, salvo che prove contrapposte la superino e il superamento della presunzione legale deve essere adeguatamente motivato. Se invece si tratta di presunzione semplice, il giudice deve convincersi della plausibilità della

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elementi a disposizione per la ricostruzione reddituale del contribuente è ora chiaramente affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte6. La sentenza n. 26635 cit. ha rilevato, innanzitutto, che gli studi di settore, pur costituendo uno strumento più raffinato dei parametri, in quanto la relativa elaborazione prevede una diretta collaborazione delle categorie interessate, restano, tuttavia, una mera elaborazione statistica. Il risultato che ne consegue si traduce in un’ipotesi probabilistica che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una presunzione semplice, ma non legale. Tale, cioè, da non poter comportare una automatica inversione dell’onere della prova, ma solo una base per un ragionamento presuntivo da valutare volta per volta, con la collaborazione del contribuente. In sostanza, gli studi di settore rappresentano degli indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale del contribuente, testimoniata dallo scostamento tra il reddito dichiarato e quello accertato dall’elaborazione statistica che indica il livello ‘normale’ in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante. Peraltro, lo scostamento non deve essere qualsiasi, ma testimoniare una grave incongruenza. Tanto legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento, nel cui ambito, avverte la sentenza, i dati emergenti dallo studio di settore (o dai cd. parametri) devono essere ‘corretti’ in contraddittorio con la parte, in modo da ‘fotografare’ quella specifica realtà economica. Affinché le presunzioni semplici divengano “qualificate”, ossia “gravi, precise e concordanti”, occorre che l’Ufficio inferenza. Detto in altri termini, a fronte di una presunzione legale, il giudice non ha alcun onere di motivazione se ne fa applicazione, se non quello di motivare sulle ragioni per cui non ha dato seguito alle eventuali allegazioni contrarie del contribuente. Se di presunzione semplice si tratta, il giudice deve motivare già solo per valorizzare l’induzione ai fini della decisione”. 6 In dottrina, per una più diffusa esposizione di argomenti, cfr.: A. MARCHESELLI, Le presunzioni nel diritto tributario. Dalle stime agli studi di settore, Torino, 2008; P. RIVETTI, Riconoscimento della natura di presunzione semplici di studi di settore e parametri contabili, in Il Fisco, 2009, n. 48, 7995. Per una configurazione in termini di presunzione legale relativa, F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte Generale, Milano, 2006, 236; R. LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2001, 573.

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accerti che: - le “incongruenze” tra i ricavi/compensi e corrispettivi dichiarati e quelli presunti, sulla base di Gerico, siano “gravi”7; - i ricavi/compensi e corrispettivi presunti siano “fondatamente desumibili” dallo studio di settore applicato in concreto e “logicamente attribuibili” al contribuente accertato8. 3. La difesa del contribuente: la necessità del contraddittorio Va detto che la disciplina degli studi di settore prevede (art. 10, comma 3 bis9, della legge 8 maggio 1998, n. 146, come aggiunto dal comma 409 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con effetto a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004) l’obbligo per l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di instaurare un previo contraddittorio10 con il contribuente. Le indicazioni delle circolari, già prima della espressa previsione della legge11, erano univoche nello stabilire che il contraddittorio fosse doveroso. Occorre, 7 La giurisprudenza di merito ha talora ritenuto che tale aggettivo indichi la necessità di superamento di una soglia minima, talvolta espressamente fissata, Comm. trib. prov. Milano, Sez. VIII, 13 aprile 2005, n. 60, in C. T. n. 30/2005, pag. 2401, con nota di A. MARCHESELLI, Illegittimo l’accertamento se non sono “gravi” le incongruenze con il dichiarato, ritiene che essa debba ammontare almeno al 25-30%. 8 R. LUNELLI, Accertamento da studi di settore e contraddittorio, op. cit., 52. 9 Il comma 3 bis stabilisce che: “Nelle ipotesi di cui al comma 1 l’Ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”. 10 Sulle finalità e le forme della partecipazione del contribuente all’accertamento, cfr. L. SALVINI, La cooperazione del contribuente e il contraddittorio nell’accertamento, in Corr. trib., 2009, n. 49, 3571 e ss., la quale rileva come il riconoscimento, da parte del legislatore, della funzione deflattiva propria del contraddittorio che si svolge prima dell’emissione dell’atto di accertamento e del conseguente incremento dell’economicità ed efficienza dell’azione amministrativa hanno ispirato il potenziamento degli istituti partecipativi. Il tema del contraddittorio alla luce dei nuovi istituti di adesione è affrontata anche da G. ANGELINI, La centralità del contraddittorio nel procedimento di accertamento, in Corr. trib., 2009, n. 46, 3763 e ss. 11 La Guida all’applicazione degli Studi di settore (reperibile on-line: http://www.agenziaentrate.it), punti 16 e 17, ribadiva la necessità del previo contraddittorio.

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difatti, verificare l’affidabilità dello studio di settore nel caso concreto, avendo riguardo alle peculiarità oggettive, soggettive e territoriali, del contribuente verificato. Trattasi, come è facile comprendere, di un momento delicato per il contribuente, atteso che la solidità e ricchezza delle sue argomentazioni è sottoposta al vaglio discrezionale del funzionario dell’Agenzia delle Entrate, incaricato di procedere nell’accertamento. Dalla professionalità con cui è sviluppato il confronto dipende, in larga misura, la corretta applicazione dello “studio” al caso specifico. La giurisprudenza italiana, dopo avere, in un primo tempo, ritenuto non obbligatorio il contraddittorio preventivo12, già nel dicembre 200313 sottolineava che: “lo stesso Legislatore dello Statuto del contribuente – nel prevedere all’art. 12, co. 7 (che si pone come norma generale) un tendenziale necessario contraddittorio anticipato (...) – conferma indiscutibilmente l’esigenza che l’accertamento venga calibrato sempre al caso concreto, sulla base di una (sua) conoscenza più approfondita”. Ed ancora, in tempi più recenti, prima dell’intervento delle Sezioni Unite, la Suprema Corte confermava quell’opinione, argomentando che gli studi di settore “non si possono considerare sufficienti” a sostenere, da soli “l’accertamento di un rapporto giuridico tributario (...), senza che l’attività istruttoria amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento”14. Cass., sent. n. 17038/2002, in Dir. prat. trib., 2003. n. 2, II, 405, con nota di A. FERStudi di settore ed accertamento presuntivo. 13 Cass., sent. 12 dicembre 2003, n. 19062, con nota di C. ZAFARANA, Accertamento induttivo in presenza di false fatturazioni, Riv. dott. comm., 2004, n. 2, 440 e ss. e, nello stesso senso, Cass., sent. 15 dicembre 2003, n. 19163, in Riv. giur. trib., 2004, n. 5, 446, con nota di M. RAVACCIA, Natura dei coefficienti ed onere della prova. 14 Cass., 28 luglio 2006, n. 17229, in Corr. trib., n. 38/2006, 3051, con nota di T. SCIARRA, e in GT- Riv. giur. trib., n. 12/2006, 1047, con commento di A. MARCHESELLI, Per l’applicazione delle presunzioni semplici di cui agli studi di settore è necessaria la previa attuazione del contraddittorio. La sentenza è anche annotata da L. R. CORRADO, Il contraddittorio endoprocedimentale quale garanzia di attendibilità dell’accertamento fondati sugli studi di settore, in Dir. prat. trib., 2007, n. 2, II, 311 e ss. e V. D’AGOSTINO, L’insufficienza degli 12

RARIO,

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Con le recentissime sentenze del dicembre 2009, sopra citate, si conferma, dunque, l’obbligatorietà del contraddittorio15, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo, per adeguare la mera elaborazione statistica alla peculiare situazione reddituale del singolo contribuente, determinando, in tal modo, “il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa)”. Altrimenti, avverte la Suprema Corte, lo studio di settore si trasformerebbe da mezzo di accertamento in strumento di determinazione del reddito, con un’illegittima comprensione dei diritti emergenti dagli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione16. In definitiva, al contribuente deve essere consentito “di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, per studi di settore a realizzare l’accertamento di un rapporto giuridico tributario e l’importanza del contraddittorio anticipato ex art. 12, 7° comma, L. n. 212/2000, ibidem, 2007, n. 4, II, 793 e ss.; G. CARDAMELLIS, Illegittimità dello studio di settore se non preceduto dal contraddittorio del contribuente, in Dir. prat. soc., 2006, n. 23, 77 e ss.; A. VOGLINO, Saggi rigori giurisprudenziali sull’accertamento basato sugli studi di settore, in Boll. trib., 2006, n. 21, 1739 e ss. 15 Testualmente si legge nelle sentenze n. 26635, 26636, 26637, 26638, citate, : “Ancora una volta, quindi, è il contraddittorio – previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 301 del 2004, art. 1, comma 409, lett. b), e comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dalla espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo (v. Cass. n. 17229 del 2006), e dalla prassi amministrativa – l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore”. 16 È attraverso la cooperazione fra Amministrazione finanziaria e contribuente che vengono, al tempo stesso, soddisfatti i principi costituzionali del “giusto procedimento” e di uguaglianza (art. 3), riserva di legge (art. 23), capacità contributiva (art. 53), buona amministrazione e parità di trattamento (art. 97), esplicitamente richiamati dall’art. 1, L. 27 luglio 2000, n. 212, sullo Statuto dei diritti del contribuente. Per un excursus storico sul tortuoso e difficile iter di approvazione dello Statuto del Contribuente, si rinvia a F. D’AYALA VALVA, Il principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente. Il ruolo dello Statuto, in Riv. dir. trib., 2001, I, 915. Il principio del contraddittorio ha trovato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia un’ampia elaborazione. Per un’analisi ragionata, si rinvia a C. CALIFANO, Principi comuni e procedimento tributario: dalle tradizioni giuridiche nazionali alle garanzie del contribuente, in Riv. dir. trib., 2004, I, 993.

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vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore”. In questo, la Corte si salda, con mirabile sensibilità giuridica, agli orientamenti più avanzati, internazionali e costituzionali, che dal contraddittorio hanno colto anche la dimensione di attuazione dell’interesse del privato17. 4. Il contraddittorio del contribuente e la giurisprudenza di merito sull’allegazione dei dati degli studi di settore Il contribuente che riceve un “invito a comparire” non è obbligato a presentarsi presso l’Ufficio; ma se non lo fa induce l’Amm. Fin. ad emettere l’avviso di accertamento sulla base degli elementi in suo possesso. Il contribuente ha un evidente interesse ad instaurare il contraddittorio per contestare, motivatamente, le presunzioni che scaturiscono dall’applicazione di GE.RI.CO. Come si è rilevato18, tra le tante considerazioni e osservazioni il contribuente potrà segnalare, ed adeguatamente documentare: 17 Corte cost., 24 luglio 2009, n. 244, in Corr. trib. n. 36/2009, 2915, con commento di A. MARCHESELLI, Nullità degli avvisi di accertamento senza contraddittorio con il contribuente; Corte di Giustizia UE, 18 dicembre 2008, causa C-349/2007, Sopropè, in GT-Riv. giur. trib., n. 3/2009, 203, con commento di A. MARCHESELLO, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario. Con tale sentenza, la Corte di Giustizia europea ha affrontato la questione della congruità dei termini previsti dall’ordinamento portoghese in favore del contribuente per far valere le proprie osservazioni prima dell’emanazione di un provvedimento di recupero di diritti doganali. In particolare, ha affermato che “il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione”. Fermo tale diritto, spetta poi agli Stati individuare le sue concrete modalità di esercizio ove le fonti comunitarie non provvedano, purché tali modalità non rendano detto esercizio impossibile o eccessivamente difficile. Così L. SALVINI, La cooperazione del contribuente e il contraddittorio nell’accertamento, op. cit., 3576. 18 R. LUNELLI, Accertamento da studi di settore e contraddittorio, op. cit., 55.

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- la mancata considerazione, da parte dell’Ufficio, di cause di inapplicabilità o di esclusione; - eventuali errori nella valutazione dei dati contabili o extracontabili, utilizzando anche la nota metodologia allegata allo studio di settore; - l’erronea riconducibilità della propria attività ai cluster individuati dall’Ufficio; - l’esistenza di particolari circostanze di natura economica che inducano ad applicare quelle ‘circostanze attenuanti’ più volte segnalate dall’Agenzia delle Entrate19; - la sussistenza di condizioni di marginalità economica nello svolgimento della propria attività; - l’esistenza di peculiari circostanze, per l’annualità considerata, che hanno inciso sui risultati reddituali. È di assoluta importanza, per la sua difesa, che il contribuente possa comprendere quali elementi e quali calcoli abbiano portato l’Amm. Fin. ad un determinato risultato di congruità, altrimenti risulterà impossibile contestare in modo puntuale le presunzioni di maggiori ricavi espresse da GE.RI.CO. Non è casuale che la Comm. trib. prov. di Bari n. 283/15/200620 e la Comm. trib. reg. della Campania, Sez. staccata di Salerno, n. 189/12/200621, abbiano dichiarati nulli gli avvisi di accertamento ai quali non era stato allegato o non era stato esplicitato il prospetto dei calcoli, dei dati contabili ed extracontabili utilizzato per gli studi di settore. Correttamente si è detto 19 Vedasi le Circ. Min.: 21 maggio 1999, n. 110/E; 8 giugno 2000, n. 121/E; 13 giugno 2001, n. 54/E; 27 giugno 2002, n. 58/E; 17 luglio 2003, n. 39/E; 18 giugno 2004, n. 27/E; 21 giugno 2005, n. 32/E; 22 giugno 2006, n. 23/E; 22 maggio 2007, n. 31/E; 12 giugno 2007, n. 38/E; 29 maggio 2008, n. 44/E. 20 La sentenza è riportata da D. CARMINIO, Dati degli studi da allegare, in Il Sole 24ore del 13 novembre 2006, 36. 21 La sentenza è annotata da A. SACRESTANO, Studi di settore disattesi dai giudici, in Il Sole 24ore del 14 dicembre 2006, 35.

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che allegare un atto complesso e di stampo matematico come lo studio di settore e la sua corretta elaborazione non può essere considerato un optional, ma un dovere preciso ed ineludibile per pervenire ad un accertamento motivato22. La sentenza n. 33/34/2008 del 25 settembre 200823 della Comm. trib. reg. di Torino ha precisato, correttamente, che i risultati espressi dagli elaborati matematici e statistici di per sé sono privi di motivazione e non chiariscono, in quanto ritenuti ultronei, i parametri, i criteri ed i calcoli che li hanno prodotti. Non basta allegare i modelli dichiarativi degli studi ed individuare il codice dello studio applicato, in quanto l’Ufficio ha l’onere motivazionale di allegare i conteggi, i dati sulla scorta dei quali è giunto a stabilire un dato risultato di congruità. Spetta all’accertatore dimostrare quali dati abbia usato, quali tra quelli usati abbiano influito sul calcolo, e soprattutto come li ha effettivamente elaborati. In mancanza di tali basilari indicazioni, l’atto è da ritenere nullo per difetto di motivazione. 5. Effetti della mancata attuazione del contraddittorio: nullità dell’avviso di accertamento Assolutamente ineccepibile, infine, il rilievo pratico, sottolineato dalla Suprema Corte, della nullità dell’accertamento, in ipotesi di mancata attuazione del contradditorio24. Se deve essere ossequiato il S. FIACCADORI, L’intervallo di confidenza, l’allegazione dei dati e dei calcoli e l’inapplicabilità delle sanzioni dell’accertamento da studi di settore, op. cit., 2218 e ss. 23 Richiamata in S. FIACCADORI, ult. op. cit., 2219. 24 Lo aveva riconosciuto anche l’Amministrazione finanziaria (cfr. Circ. Minist. 5/ E/2008) che non è soltanto il contribuente che deve partecipare al contraddittorio con spirito attivo per cercare di fornire quegli elementi che il software GE.RI.CO. non ha considerato. Anche l’Ufficio, infatti, deve avvalorare e rafforzare la fondatezza del ricavo, solo probabile, che emerge dai calcoli del programma, con le circostanze concrete di svolgimento dell’attività che, proprio durante la fase del contraddittorio, si manifestano. Sempre la circolare n. 5/E del 2008, inoltre, evidenziava con chiarezza quali fossero gli obblighi 22

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principio della cooperazione, secondo buona fede, tra contribuente ed Erario, previsto dallo Statuto del contribuente, è dovere dell’Ufficio, diligentemente, offrire la possibilità di un contraddittorio endoprocedimentale: il contribuente, da un lato, potrà fornire elementi da cui trarre la dimostrazione che la sua attività si discosta dalla rigida previsione dello studio di settore inteso nella sua astratta configurazione; dall’altro, l’ufficio potrà acquisire informazioni utili ad una corretta determinazione dell’effettiva capacità contributiva, eliminando buona parte del contenzioso tributario ed esaurendo in quella fase questioni e malintesi, altrimenti, destinati a ricomparire in sede giurisdizionale. La motivazione dell’atto di accertamento dovrà, comunque, come prescrive la prassi, dare rilievo alle argomentazioni opposte dal contribuente, illustrando le ragioni per le quali esse non appaiono meritevoli di accoglimento25. Soltanto all’esito dell’intero svolgimento di tale ‘percorso di adeguamento’, mutuando le parole della Suprema Corte, l’accertamento originato dall’applicazione del criterio statistico dello studio di settore, preceduto dal contraddittorio, potrà dirsi legittimamente adottato (dal punto di vista procedimentale). di motivazione a carico dell’Ufficio in materia di accertamento in conseguenza del ricorso agli studi di settore, sottolineando che gli atti di accertamento non potessero limitarsi ad un mero rinvio alle risultanze dello studio medesimo. Grazie proprio a quanto emerso nella fase del contraddittorio con il contribuente, l’Ufficio deve dare conto delle ulteriori valutazioni effettuate, rispetto alla stima iniziale dei ricavi elaborati da GE.RI.CO., disattendendo, in tutto o solo in parte, le argomentazioni fornite dal contribuente. Secondo quell’indirizzo ministeriale, l’Amm. fin. deve fornire indicazioni sulle valutazioni fatte in relazione al almeno tre profili espressamente individuati nella circolare, ossia: a) la mancanza di elementi oggettivi che possano far ritenere inadeguato il percorso tecnico-metodologico seguito dallo studio per giungere alla stima; b) la corretta imputazione del contribuente nel cluster di riferimento; c) la mancanza di cause o circostanze che possano aver influito in negativo sul normale svolgimento dell’attività. 25 Tanto lo si desumeva già dalla Circ. Min. 28 giugno 2001, n. 65/E, ma, in termini sempre più espliciti, dalle successive Circ. Min., 22 maggio 2007 , n. 31/E, 12 giugno 2007, n. 38/E nonché dalla C. M. 5/E/2008, che sottolineavano l’obbligatorietà, per l’Ufficio, di riportare – nell’avviso di accertamento – l’esito delle valutazioni effettuate a seguito del contraddittorio con il contribuente.

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Con la Circ. n. 19/E del 14 aprile scorso, l’Agenzia delle Entrate ha dettato istruzioni ai propri uffici in ordine alla gestione delle controversie in tema di studi di settore, alla luce dell’orientamento delle Sezioni Unite menzionato. Si è ribadito che la mancata attivazione del contraddittorio comporta l’assenza di un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento, la cui mancanza comporta un vizio dell’accertamento ritenuto insanabile, tale da indurre gli uffici a rinunciare alla lite, laddove questa circostanza sia stata puntualmente rilevata dal contribuente nel corso del giudizio innanzi la Commissione provinciale26.

26 In ordine alla perplessità suscitate dalla lettura di detta circolare in ordine alle motivazioni che dovrà contenere l’avviso di accertamento, vedasi C. NOCERA, Studi di settore, op. cit., 2700 e ss.

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Efficacia degli strumenti giuridici nella repressione del tifo violento di GIANMICHELE PAVONE* E ROBERTO MANIGLIO**

Il tifo violento è una questione annosa e da tempo si è cercato di contrastarlo, soprattutto mediante il ricorso ad interventi giuridico-normativi. Nonostante ciò, comportamenti violenti da parte degli spettatori delle partite di calcio si ripresentano puntualmente ad ogni nuova stagione calcistica e, soprattutto in seguito ad episodi di particolare gravità, occupano il dibattito tra gli addetti ai lavori tanto sul versante sportivo quanto su quello delle politiche di pubblica sicurezza. In questa sede ripercorreremo l’evoluzione giuridica nell’approccio al problema, al fine di valutarne criticamente alcuni aspetti, alla luce delle dinamiche psicosociali che caratterizzano il fenomeno ultras. 1. Caratteristiche del tifo violento È stato comprovato che la violenza da parte degli spettatori delle partite di calcio è presente sin dalla sua comparsa come evento ludico-ricreativo1. Tanto nel medioevo, quando il gioco del calcio non aveva la fisionomia che ha oggi, quanto nell’Ottocento e nel Novecento, con la comparsa del calcio moderno, si è assistito ad una varietà di turbolenze e disordini, sebbene con modalità e intensità Avvocato del Foro di Brindisi. Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Criminologia, Professore a contratto Università del Salento. 1 Si veda MANIGLIO, Il fenomeno ultras. Evoluzione storica, cause e dinamiche in prospettiva internazionale. Tesi di Dottorato. Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli, 2010. *

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ampiamente differenti nel corso del tempo2. È particolarmente degno di nota, infatti, il cambiamento qualitativo che ha subito il fenomeno in questione negli ultimi decenni. Fino a qualche decennio fa, infatti, le condotte violente da parte degli spettatori delle partite di calcio tendevano a verificarsi in prossimità temporale e spaziale rispetto all’orario e al luogo in cui si era disputato l’incontro. Soprattutto, tali intemperanze erano basate prevalentemente sulla spontaneità, sull’improvvisazione e sull’immediatezza e perlopiù connesse alle dinamiche del gioco in campo. Al contrario, in epoca più recente, si è giunti a condotte sempre più organizzate, coordinate e mirate frutto di accurata pianificazione e messe in atto anche in luoghi e tempi molto lontani dall’orario della partita3. Pietra angolare in questo percorso evolutivo è stata la nascita del tifo organizzato a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta nell’America Latina ed in diverse nazioni europee, in particolare Italia e Inghilterra dove il fenomeno è stato etichettato come “movimento ultras” o “hooliganism”. La comparsa del tifo organizzato ha comportato un mutamento radicale delle modalità di tifo nonché un cambiamento qualitativo delle condotte violente degli spettatori4. A partire da quegli anni, infatti, il tifo calcistico è diventato sempre più coreografico ed artistico. Al tempo stesso, anche gli atti violenti hanno iniziato a mostrare crescenti segni di organizzazione e pianificazione. Sul versante del tifo, si è da subito imposta una nuova modalità espressiva, colorata e rumorosa, da parte dei tifosi che è apparsa, tanto ai calciatori quanto agli altri spettatori, talmente forte nel suo impatto da essere capace di condizionare gli umori dei giocatori, che, a seconda se incoraggiati o scoraggiati, si sentono più o meno motivati e determinati nella loro performance. La passione e l’impegno nella partecipazione al tifo da parte dei tifosi organizzati è tale che il ruolo MANIGLIO, Tifo violento. Cause, dinamiche e contrasto. Monografia in preparazione. MANIGLIO, Il fenomeno ultras..., cit. 4 MANIGLIO, Tifo violento…, cit. 2 3

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di questi ultimi da passivo è diventato concretamente attivo, tanto da cominciare ad essere considerati come il “dodicesimo uomo in campo”5. Per quanto riguarda il versante della violenza, come già anticipato, si è giunti ad un livello sofisticato di organizzazione delle intemperanze che vengono pianificate per essere messe in atto in momenti specifici e contro obiettivi mirati. In breve, si tratta principalmente di episodi di aggressione fisica o verbale messi in atto in tre circostanze particolari: in primo luogo, contro tifosi avversari in occasione delle partite tra due squadre le cui tifoserie hanno una storia di rivalità violenta; in secondo luogo, contro i giocatori o i dirigenti della propria squadra in occasione di contestazioni solitamente per lo scarso rendimento della squadra o del singolo giocatore preso di mira o per scelte societarie non condivise; in terzo luogo, contro le forze dell’ordine o esponenti politici in occasione di momenti di contestazione o nel clima di insoddisfazione e mancata condivisione di leggi e norme considerate eccessivamente repressive. Per via della sua variegatura e complessità, il fenomeno del tifo violento è stato oggetto di lunga ed attenta analisi da svariati campi del sapere scientifico. Negli ultimi quarant’anni sono state così proposte numerose ipotesi sull’eziologia e sulla patogenesi del fenomeno, che nell’insieme compongono un quadro quanto mai variegato e complesso. Questi contributi hanno permesso di riconoscere una condizione di multicausalità e circolarità6. È stato appurato che numerosi fattori psicosociali, interagendo tra loro, contribuiscono ad originare il fenomeno. Nel tentativo di fornire un esauriente quadro complessivo è possibile integrare le varie posizioni, nel rispetto della loro specificità. In breve, è possibile considerare tutti gli aspetti associati all’origine e allo sviluppo del fenomeno ultras ed evidenziati in altra sede, in particolare i mutamenti sociali, economici e culturali 5

MANIGLIO, Tifosi e ultras, in Cognitivismo Clinico, 3 (1), 2007, 1-13.

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degli ultimi anni, le spinte nazionaliste o separatiste e i conflitti etnici che contraddistinguono alcuni Paesi, nonché l’affermazione di ideologie politiche estreme e del razzismo tra i giovani che compongono le tifoserie e l’abuso di alcool e droghe, come fattori causali “distali”, in quanto il loro effetto sul comportamento dei tifosi appare “mediato” da altri fattori che ricoprono un ruolo più “prossimale” e che sono da ricercare negli aspetti mentali degli attori protagonisti. Pertanto, appare quanto mai necessario prendere in considerazione le dinamiche psicologiche dei tifosi non solo al fine di spiegarne la condotta ma anche per pianificare misure effettive capaci di prevenirne i comportamenti violenti. Gli scontri tra tifosi e forze dell’ordine, le aggressioni a calciatori e dirigenti, e la varietà di atti di vandalismo, dentro e fuori gli stadi (con parti dello stadio smontate e divelte, danneggiamenti a treni, autobus e macchine parcheggiate nelle vicinanze o nelle vie del centro, furti nei negozi, bar, autogrill, etc.) sono forme di violenza che ai più appaiono come mere “bravate”, teppismo o vandalismo “gratuiti”, lontane anni luce dal calcio e dal tifo, ma che in realtà trovano una “logica” se si prende in considerazione la mente degli ultras. Come ampiamente dimostrato in altre sedi7, gli ultras sono dotati di stati mentali (credenze e scopi) peculiari che li predispongono ad agire in funzione del loro ruolo. In sintesi, ogni ultras vuole che la propria squadra vinca (scopo 1) e crede che ciò sia possibile (credenza 1), soprattutto con il proprio contributo attivo, in termini di passione ed entusiasmo con cui si esercita il tifo (credenza 2). Inoltre, la credenza che anche gli altri tifosi, a loro volta, vogliano la vittoria (credenza 3) e credano che tifando di più possano far vincere la propria squadra (credenza 4), attiva nell’ultras lo scopo di tifare di più e meglio dell’ultras avversario per essere più efficace di quest’ultimo (scopo 2). Nel comSi veda MANIGLIO, Tifo violento…, cit. Si vedano: MANIGLIO, The hooligan’s mind, in Journal of Forensic Sciences, 52 (1), 2007, pp. 204-208; MANIGLIO, Tifosi e ultras, cit., 1-13. 6 7

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plesso, la somma delle credenze e degli scopi appena citati determina chi è il miglior “ultras-sostenitore”, e implica la volontà da parte di ognuno di apparire agli occhi degli altri e degli spettatori come il migliore (scopo 3). Tuttavia, in alcune situazioni, in particolare in occasione di partite in cui si fronteggiano squadre e tifoserie caratterizzate da una lunga storia di rivalità e inimicizia, ogni ultras ha la credenza che il solo tifo può non essere sufficiente ad ottenere la vittoria e/o a determinare chi è stato il sostenitore più bravo e che, invece, serva ricorrere a gesti e comportamenti più forti e inequivocabili, basati su un’aggressività apertamente manifesta. In questi casi, dunque, ogni ultras crede che il ricorso alla violenza sia legittimo (credenza 5) e vuole farvi ricorso (scopo 4), avendo cura anche in questo caso di lasciare segni chiari e inequivocabili della propria superiorità che attestino che egli è il miglior “ultras-combattente” (scopo 5). La somma delle credenze e degli scopi appena nominati e il valore che rivestono nell’architettura mentale del soggetto permettono non solo di capire perché un tifoso mette in atto comportamenti violenti ma soprattutto di pianificare utili strategie di contrasto. 2. L’evoluzione normativa La “tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”, è una materia che ha acquisito nel tempo una dimensione progressivamente più autonoma, formando una sorta di micro-sistema del tutto peculiare anche per via della presenza di numerose deroghe rispetto ai principi processuali generali. Punto di partenza è la legge n. 401 del 13 dicembre 1989, concernente gli Interventi nel settore del gioco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive8. A partire da questa data, infatti, è possibile registrare un 8 Si vedano: DEL CORSO, Legge 13/12/1989, n. 401 (Giuoco e scommesse clandestine), art. 6, in Leg. pen., 1990, 113-116; MARZADURI, Legge 13/12/1989, n. 401, in Leg. pen., 1990, 117-121.

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notevole ampliamento nel novero delle fattispecie rilevanti sia ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, che delle pene in senso stretto. Nel 1995, con la legge n. 45, recante Misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche, nel 2001, con la legge n. 377, anch’essa volta ad introdurre Misure urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive, e infine nel 2003, con la legge n. 88, il legislatore ha provveduto a penalizzare molteplici comportamenti che rappresentavano una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico dello Stato. Più di recente, vanno ricordati gli interventi normativi del 2005, con la legge n. 210, riguardante Ulteriori misure per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, e del 2007, con la legge n. 41, relativa alle Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche. 3. Il D.A.SPO. (Divieto di Accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni SPOrtive) Nel quadro della normativa richiamata, l’art. 6, l. n. 401/1989, disciplina il “divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive” (D.A.SPO.). Da un punto di vista soggettivo, il provvedimento questorile disciplinato dal predetto articolo viene emesso nei confronti di soggetti che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, negli ultimi cinque anni, per una serie di reati, specificamente indicati, “ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza”. Più precisamente, è possibile individuare tre categorie di persone destinatarie dei provvedimenti in questione, e precisamente: a) coloro che siano stati denunciati o condannati per i reati relativi al possesso di armi ex art. 4 commi 1 e 3, l. 18 aprile Quaderni

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1975, n. 1109; b) coloro che siano stati denunciati o condannati per avere preso parte attiva a episodi di violenza in occasione od a causa di manifestazioni sportive; c) coloro che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza. Tale elencazione, tuttavia, non esaurisce le tipologie soggettive alle quali è applicabile il divieto di accesso, poiché l’art. 6 è stato espressamente richiamato dell’art. 2, co. 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, conv. mod. l. 25 giugno 1993, n. 205, ed in base a tale rinvio il divieto di accesso è applicabile anche: a) alle persone denunciate o condannate per determinati reati concernenti la discriminazione razziale, etnica e religiosa10, per reati in tema di genocidio11 o per un reato aggravato perché commesso per finalità discriminatorie12; b) alle persone sottoposte a misure di prevenzione perché dedite alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica, ossia per alcune delle categorie previste dall’art. 1, n. 3, l. n. 1423 del 1956, nel testo riformato dall’art. 2 l. n. 327 del 1988. La competenza ad emettere il provvedimento spetta al questore del luogo in cui le turbative si sono verificate, non risultando appliPrescindendo dal contrasto giurisprudenziale sulla portata del comma 1 (parte della Giurisprudenza – Cass. pen., sez. I, 27 ottobre 1986, Balzoni – ritiene che si riferisca al porto di armi improprie, come precisava il testo originario; altro orientamento – Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 1986, Lanza – ritiene che si tratti di quelle proprie), è pacifico che non siano ricomprese nel novero le armi per le quali non è ammessa la licenza, cioè le armi da guerra e le armi c.d. bianche: per le prime il porto illegittimo è previsto dall’art. 4 l. 2 ottobre 1967, n. 895, nel testo sostituito dall’art. 12 l. 14 ottobre 1974, n. 497; per le armi bianche, ossia le armi da punta e taglio la cui destinazione naturale è l’offesa alle persone (come i pugnali e le c.d. mollette), il porto abusivo è previsto e punito dall’art. 699, co. 2, c.p. (Cass. pen., sez. I, 11 marzo 1992). È esclusa, inoltre, la fattispecie prevista dal comma 4, prima parte, dell’art. 4 l. n. 110 del 1975, ossia il porto in una riunione pubblica – e, quindi, anche allo stadio – di un’arma da parte di persona munita di licenza (Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 1982, Paluzzi; Cass. pen., sez. VI, 6 dicembre 1978, Falcucci). Per una trattazione analitica della questione: CARCANO-VARDARO, La disciplina delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, Giuffrè, 1993, 142-144. 10 Art. 3 l. 13 ottobre 1975, n. 654, sost. art. 1, co. 1, d.l. n. 122 del 1993. 11 L. 9 ottobre 1967, n. 962, in G.U. 30 ottobre 1967, n. 272. 12 Art. 3 d.l. n. 122/1993. 9

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cabili le regole generali in tema di misure di prevenzione. Il criterio della residenza o, alternativamente, della dimora abituale del destinatario può trovare applicazione sussidiaria nelle sole ipotesi in cui quello del luogo di commissione del fatto non possa operare come, ad esempio, in caso di turbativa verificatasi all’estero13. Quanto agli aspetti oggettivi, il provvedimento può avere un duplice contenuto: da un lato, infatti, prevede il divieto di accesso ai luoghi specificamente indicati, nonché a quelli interessati dalla sosta, dal transito e dal trasporto di coloro che partecipano o assistono a manifestazioni sportive14; dall’altro prevede l’obbligo – che non consegue necessariamente al divieto – di presentarsi personalmente negli uffici di polizia del luogo di residenza (o altro ufficio indicato), nel corso delle giornate nelle quali si svolgono le manifestazioni ed in orari stabiliti15. Il divieto concerne alcuni luoghi che siano interessati in qualche modo da competizioni “agonistiche” che si svolgano in Italia o all’estero (cui partecipi il proprio club, tutte le squadre italiane e/o la nazionale italiana), con esclusione delle manifestazioni ginniche non competitive16 e di quelle clandestine per ovvie Cass. pen. sez. III, 9 maggio 2007, n. 33863; Cass. pen., sez. III, 10 novembre 2005, n. 43992. 14 Art. 6, co. 1, l. 401/1989. 15 Art. 6, co. 2, l. 401/1989. In relazione all’obbligo di presentazione è stata più volte sollevata questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 13 Cost. Sul punto: Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 2002, n. 3060; C.Cost., 4 dicembre 2002, n. 512; Cass. pen., sez. I, 4 febbraio 1997. Nella generalità dei casi l’obbligo di presentazione viene stabilito come di seguito indicato: 20/30 minuti dopo l’inizio del primo tempo; 20/30 minuti dopo l’inizio del secondo tempo; 20/30 minuti dopo la fine dell’incontro. 16 Anche, se in via generale, ogni competizione sportiva ha natura agonistica in quanto tende ad attribuire la vittoria a chi, osservando determinate regole, fornisce la migliore prestazione, la specificazione “agonistiche”, l’espressione in questione è opportuna essenzialmente al fine di escludere dal divieto le manifestazioni ginniche non competitive. LUISO, Commenti articolo per articolo, l. 31 dicembre 1989, n. 401 (Giuoco e scommesse clandestine), art. 2, in Leg. pen., 1990, 96-97; MARZADURI, Commento articolo per articolo, l. 31 dicembre 1989, n. 401 (Giuoco e scommesse clandestine), art. 8, in Leg. pen., 1990, 118. La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto di recente che il divieto in questione possa legittimamente riferirsi agli incontri “amichevoli”, ad eccezione di quelli decisi in rapporto ad esigenze 13

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ragioni17. Si tratta, quindi, di: stadi, palazzetti sportivi, ma anche stazioni ferroviarie, scali aerei, caselli autostradali, autogrill, etc. Quanto all’obbligo di presentarsi negli uffici di polizia, la ratio è quella di assicurare l’osservanza da parte dell’interessato del provvedimento di divieto di accesso, precludendo al soggetto sottoposto a D.A.SPO. la possibilità di presentarsi o avvicinarsi allo stadio o negli altri luoghi specificatamente indicati. Nel procedimento in questione occorre assicurare all’interessato la corretta esplicazione del proprio diritto di difesa: deve essere, pertanto, avvertito (pena la caducazione ab origine delle misure disposte18) ed è riconosciuta la facoltà di presentare al giudice memorie e deduzioni scritte entro quarantotto ore19. Il provvedimento adottato, adeguatamente motivato in ordine alla pericolosità del soggetto ed alle ragioni alla base della decisione, deve essere comunicato immediatamente al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del luogo in cui si è tenuta la manifestazione sportiva20 e lo stesso, se ritiene che sussistano i presupposti previsti dalla legge, chiede la convalida al giudice per le indagini peculiari del momento e senza una preventiva programmazione, tale da renderle conosciute o conoscibili dal destinatario della prescrizione (Cass. pen., sez. III, 17 dicembre 2008, n. 3437; Cass. pen., sez. III, 06 novembre 2008, n. 47451). 17 Più dettagliatamente: MOLINARI, La nuova formulazione delle atipiche misure di prevenzione personali in tema di fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche, in Cass. pen., 1995, X, 2750. 18 Cass. pen., sez. III, 16 dicembre 2008, n. 377. Sul punto, si veda: PAVONE, Diritto di difesa e divieto d’accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, in Dir. pen. proc., 2009, X, 1247 ss. 19 C. Cost, 23 maggio 1997, n. 144, in Cass. Pen, 1999, 1365-1369, con nota di GAZZANIGA; Cass. pen., sez. III, 6 maggio 2008, n. 27727, Mazzei; Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2008, n. 26136, Senatore; Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 2007, n. 11467, Perlino; Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2004, n. 17899, Casadei. 20 Il divieto di cui al comma 1 può essere disposto anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni ma maggiori di quattordici. Il provvedimento, in questo caso, è notificato a coloro che esercitano la potestà genitoriale e sulla convalida è chiamato ad esprimersi il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni territorialmente competente.

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preliminari, con decreto motivato, entro il citato termine di quarantotto ore dalla notifica del provvedimento21. Qualora la richiesta non venga avanzata entro tale termine ovvero ove il giudice non disponga la convalida nelle quarantotto ore successive22, il provvedimento cessa di spiegare la propria efficacia. Il potere di controllo dell’autorità giudiziaria è limitato alla verifica dei presupposti formali richiesti per l’adozione del provvedimento23, esulando da tale sindacato gli aspetti attinenti al contenuto discrezionale, di spettanza dell’autorità amministrativa. Ne consegue che ogni eventuale vizio riguardante il provvedimento del questore per difetto o contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta sfuggirebbe da ogni controllo giurisdizionale24. Tuttavia è ormai pacifico, allo scopo di escludere ogni arbitrio nel legittimo esercizio potere discrezionale, che il questore sia tenuto a motivare l’imposizione della prescrizione, anche al fine di determinare la durata del divieto, di indicare specificamente le competizioni agonistiche alle quali si riferisce ed i luoghi interessati alla sosta ed al transito conseguenti alle competizioni stesse25. Avverso l’ordinanza di convalida può essere proposto ricorso per Cassazione che, tuttavia, non sospende l’esecuzione dell’ordinanza. La durata massima del divieto di accesso è fissata in cinque anni e quella minima in un anno (sicché non possono più essere disposte le prescrizioni in questione in relazione ad una singola competizione agonistica). Nei confronti delle persone indicate nel comma 3 Cass. pen., sez. I, 15 ottobre 2003 n. 42744, Malfa. Il termine per la convalida decorre dallo scadere delle prime quarantotto ore, calcolate dal momento della notifica all’interessato del predetto provvedimento e non già da quello di ricezione della richiesta di convalida del pubblico ministero né, tantomeno, da quello di emissione o trasmissione della richiesta medesima, e spira con il decorso delle successive quarantotto ore (Cass. pen., sez. III, 11 dicembre 2007, n. 2472). 23 Cass. pen., 15 gennaio 2001, n. 825. 24 FERRERO-RISSO, cit. 25 Sul punto, si vedano: in dottrina, MOLINARI, cit., 2744; in Giurisprudenza, Cass. pen., sez. III, 13 ottobre 2005, n. 37123. 21 22

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dell’art. 2 d.l. n. 122 del 1993, convertito dalla l. n. 205 del 199326, la durata di cinque anni è autonomamente determinata e, di conseguenza, non soggetta alle variazioni del testo della fonte normativa richiamata. Si tratta di un termine direttamente stabilito dalla legge senza possibilità di determinare un periodo di minore durata27, salva la possibilità di un successivo provvedimento di revoca qualora ne ricorrano le condizioni. Il comma 5 dell’art. 6 prevede i casi di revoca o di modifica e vale a dire, con un ragionamento deduttivo: 1) il mutamento delle condizioni che avevano giustificato l’emissione del divieto e della prescrizione; 2) il provvedimento di archiviazione; 3) la concessione della riabilitazione. Diversamente, per le categorie criminogene previste dal comma 3 dell’art. 2 d.l. n. 122, si fa riferimento esclusivamente alla durata del provvedimento, stabilita in modo fisso dalla legge, e non ad altre determinazioni. Deve trattarsi, pertanto, soltanto di revoca, non essendoci alcun cenno al mutamento delle condizioni che avevano giustificato l’emissione del provvedimento, collegando la revoca, oltre che all’archiviazione, anche alla sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento, alla revoca della misura di prevenzione ed alla riabilitazione ai sensi sia dell’art. 178 c.p. e sia dell’art. 15 l. n. 327 del 1988. Alla scadenza del termine è consen26 Persone denunciate o condannate per uno dei reati previsti dall’art. 3 dalla l. n. 654 del 1975 o per un reato aggravato ai sensi dell’art. 3 del medesimo d.l. 122, nonché di persone sottoposte a misure di prevenzione perché dedite alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica. La norma contiene anche un rimando al primo comma numero 2-bis) dell’art. 18 della l. n. 152 del 1975. Tale riferimento è, tuttavia, privo di valore giuridico, non essendo una norma presente nel nostro ordinamento per il mancato coordinamento tra decreto legge e legge di conversione. Sul punto, si veda: MOLINARI-PAPADIA, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale, nelle leggi antimafia e nella legge antiviolenza nelle manifestazioni sportive, Padova, 2002, 811 ss. 27 Tale notevole disparità di trattamento, frutto del potere discrezionale del Legislatore, sarebbe spiegabile con la diversa valenza di pericolosità sociale attribuita alle categorie criminegene di cui al d.l. n. 122 del 1993, trattandosi di comportamenti discriminatori originati da ideologie riaffioranti nonostante la quasi unanime condanna morale. MOLINARI, cit., 2751.

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tita anche una reformatio in peius28 soltanto se sopravvengono fatti nuovi. È quindi possibile: prolungare entro il massimo consentito, la durata del divieto, qualora sia stata determinata per un periodo minore (possibile unicamente nei confronti delle persone previste dalla l. n. 401 del 1989); aggiungere la prescrizione di comparizione personale; estendere le località in cui opera il divieto di accesso. Parimenti è possibile applicare una nuova misura successivamente alla scadenza del termine massimo di durata consentito, purché si tratti esclusivamente di fatti successivi a tale scadenza, caratterizzati, peraltro, da maggiore gravità, palesando una persistente pervicace pericolosità sociale29. Il testo originario dell’art. 6 disponeva che il mancato rispetto del divieto di accesso fosse sanzionato con l’arresto da tre mesi ad un anno, ossia con la stessa pena prevista per l’inosservanza delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale dall’art. 9, co. 1, l. n. 1423 del 1956. Con le successive riforme la pena è stata inasprita, prevedendo la reclusione da uno a tre anni e la multa da 10.000 a 40.000 euro30. 4. Le altre misure antiviolenza contenute nella l. 401/1989: i c.d reati da stadio Con la legge n. 401 del 13 dicembre 1989 (Interventi nel settore del gioco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive) ed i successivi interventi normativi, sono state introdotte nel nostro ordinamento nuove ipotesi di reato ed ampliate le fattispecie penali già esistenti (è stata introdotta, ad esempio, un’aggravante del reato di danneggiamento, 28 Trattandosi di un provvedimento amministrativo, non si pongono le questioni che invece sorgono, con riferimento all’intangibilità del giudicato, in tema di misure di prevenzione adottate dall’autorità giudiziaria. MOLINARI-PAPADIA, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale e nelle leggi antimafia, Giuffrè, 1994, 220-223. 29 MOLINARI, cit., 2751. 30 Art 6, co. 6, l. n. 401/1989.

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relativa ai casi in cui la condotta sia posto in essere sulle attrezzature e sugli impianti sportivi al fine di impedire o interrompere lo svolgimento di manifestazioni sportive (art. 635, co. 5-bis, c.p.31). È opportuno, in questa sede, concentrare la nostra attenzione, in particolare sui reati introdotti dalla legge 401/1989 (artt. 6-bis – 7bis). a) Lancio di materiale pericoloso (art. 6-bis, co. 132). La norma punisce chiunque lanci corpi contundenti o altri oggetti (bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, ma anche artifici pirotecnici, il cui semplice possesso è sanzionato dall’art. 6-ter) in modo da creare un concreto pericolo per le persone, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime. Elemento costitutivo della fattispecie è, quindi, il “concreto pericolo per le persone”, che deve conseguire all’utilizzazione degli oggetti suddetti. La pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni, “aumentata” se dal fatto deriva un danno alle persone ed “aumentata fino alla metà” se dal fatto deriva il mancato regolare inizio, la sospensione, l’interruzione o la cancellazione della manifestazione. La Giurisprudenza ha stabilito che la sentenza di patteggiamento per il reato in questione comporta obbligatoriamente l’applicazione dei provvedimenti di cui all’art. 6, l. n. 401/1989 (divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive e obbligo di comparire personalmente nell’ufficio o comando di polizia nel corso della giornata in cui esse si svolgono)33. Art. 635, co. 5-bis, c.p., numero aggiunto dall’art. 3-bis d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, conv. l. 4 aprile 2007, n. 41, in G.U. 5 aprile 2007, n. 80. 32 Art. 6-bis, co. 1, l. 401/1989, articolo inserito dall’art. 1 d.l. 20 agosto 2001, n. 336, comma modificato dall’art. 1 d.l. 17 agosto 2005, n. 162, e successivamente sostituito dall’art. 3 d.l. 8 febbraio 2007, n. 8. 33 Cass. pen., sez. III, 06 ottobre 2009, n. 44026; Cass. pen., sez. VI, 25 gennaio 2007, n. 2814; Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2002, n. 433; Cass. pen., 3466/1991. In senso difforme: Cass. pen., 4251/1991. 31

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È ravvisabile, inoltre, il concorso formale tra il delitto di cui all’art. 6-bis, co. 1, ed il delitto di lesioni personali volontarie (art. 582 c.p.), trattandosi di reati che ledono beni giuridici diversi: mentre quest’ultimo ha ad oggetto la tutela della persona in quanto tale, l’altro tutela la correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive34. L’art. 8-bis della medesima legge, infine, stabilisce che si proceda sempre con rito direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini35. b) Scavalcamento o invasione di campo (art. 6-bis, co. 236). Chiunque, nei luoghi in cui si svolgano manifestazioni sportive, supera indebitamente una recinzione o “separazione” (sic) dell’impianto (trattasi di qualunque struttura posta a delimitare le strutture direttamente interessate dall’attività sportiva), ovvero, nel corso delle manifestazioni medesime, invade il terreno di gioco, è punito con l’arresto fino a un anno e l’ammenda da 1.000 a 5.000 euro. Secondo la Giurisprudenza, la pericolosità per l’ordine pubblico deriva proprio dallo “scavalcamento”37. Anche in questo caso, se dal fatto deriva il mancato regolare inizio, la sospensione, l’interruzione o la cancellazione della manifestazione sportiva il trattamento sanzionatorio é aggravato della reclusione da sei mesi a quattro anni. c) Possesso di artifici pirotecnici (art. 6-ter38). Chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, venga trovato in possesso di razzi, bengala, fuochi artificiali e petardi ovvero di altri strumenti utilizzabili per l’emissione di fumo o “gas visibile” (comprese Cass. pen., sez. III, 20 giugno 2007, n. 37830. Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 2006, n. 35828. 36 Art. 6-bis, co. 2, l. 401/1989, comma modificato dall’art. 1 d.l. 17 agosto 2005, n. 162, e successivamente dall’art. 3 d.l. 8 febbraio 2007, n. 8. 37 Trib. Napoli, sez. IV, 16 dicembre 2008. 38 Art. 6-ter l. 401/1989, inserito dall’art. 1 d.l. 24 febbraio 2003, n. 28, e successivamente sostituito dall’art. 3 d.l. 8 febbraio 2007, n. 8. 34 35

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le torcie illuminanti39), che – anche in questo caso – determinino un “concreto pericolo per le persone”, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro. Trattandosi di un’autonoma ipotesi di reato, il possesso di materiale pirotecnico, diversamente da quanto accade per il reato di cui all’art. 6-bis, co. 1, non determina l’applicazione del D.A.SPO.40. d) Violenza o minaccia nei confronti degli addetti all’ordine pubblico o steward (art. 6-quater41). I soggetti incaricati del controllo dei titoli di accesso agli impianti sportivi, dell’instradamento degli spettatori e dell’osservanza dei regolamenti d’uso delle strutture in cui si svolgano manifestazioni sportive, nello svolgimento delle proprie mansioni e purchè siano riconoscibili, godono della qualifica di pubblici ufficiali. Ne consegue, che gli stewards sono tutelati dall’applicazione degli artt. 336 e 337 c.p.42, riferiti alla violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, nonché dall’ulteriore fattispecie di reato di cui all’art. 583-quater c.p. (Lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive)43 che punisce le lesioni gravi con la reclusione da quattro a dieci anni e quelle gravissime con la reclusione da otto a sedici anni. Inoltre, va precisato che a tutela della correttezza dell’operato degli stessi operatori, il legislatore del 2007 ha previsto (comma 1bis) che nei confronti delle società sportive che abbiano incaricato

Trib. Arezzo, 5 settembre 2005. Cass. pen., sez. III, 20 giugno 2007, n. 37830; T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 10 maggio 2006, n. 2094; Cass. pen., sez. III, 9 novembre 2005, n. 4498; Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2002, n. 519. 41 Art. 6-quater l. 401/1989, inserito dall’art. 1 d.l. 17 agosto 2005, n. 162, modificato dall’art. 2 d.l. 8 febbraio 2007, n. 8. 42 Secondo la Cassazione (Cass. pen., sez. VI, 9 ottobre 2003, n. 39454), la fattispecie di cui all’art. 337 c.p. può concorrere con quella di cui all’art. 6-bis se, trattandosi di fatti strutturalmente ben diversi, ponendo in essere più atti si realizzino entrambi. 43 Art. 583-quater, inserito dal d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, conv. l. 4 aprile 2007, n. 41. 39 40

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persone prive dei “requisiti morali”44 venga irrogata una sanzione amministrativa da 20.000 a 100.000 euro. e) Turbativa di manifestazioni sportive (art. 745). La presente norma, rappresenta una fattispecie di chiusura posta a presidio di tutte le situazioni non rientranti nelle ipotesi sin qui richiamate. Chiunque turba il regolare svolgimento di una competizione agonistica è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria – erogata dal prefetto – da 25 a 154 euro. f) Differimento dello svolgimento di manifestazioni sportive (art. 7-bis, co. 146). Per necessità pubbliche caratterizzate da “urgenza” e “gravità” in relazione alla sicurezza dei cittadini, in occasione di manifestazioni sportive, il prefetto può disporre, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, integrato da rappresentanti del Ministero per i beni e le attività culturali e del C.O.N.I.47, il differimento dello svolgimento delle manifestazioni ad altra data ritenuta idonea ovvero, in situazioni connotate dalla permanenza del “pericolo di grave turbativa”, il divieto dello svolgimento degli incontri per periodi di durata non superiore a trenta giorni.

44 I requisiti sono previsti dall’art. 11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773, in G.U. 26 giugno 1931, n. 146). In particolare, non deve trattarsi di soggetti che: non abbiano riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione; non siano sottoposti all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza; non abbiano riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità; chi non possano provare la propria buona condotta (sul punto si veda la pronuncia di incostituzionalità: Corte cost., 2-16 dicembre 1993, n. 440). 45 Art. 7 l. 401/1989, modificato dall’art. 1, comma 1-bis d.l. 20 agosto 2001, n. 336. La rubrica dell’articolo era, in origine, “Turbativa di competizioni agonistiche”. 46 Art. 7-bis, co. 1, l. 401/1989, introdotto dall’art. 1-ter del d.l. 24 febbraio 2003, n. 28. 47 Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), http://www.coni.it.

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5. Arresto, flagranza differita e giudizio direttissimo Oltre ai casi in cui siano commessi reati con violenza alle persone o alle cose per i quali l’arresto sia obbligatorio o facoltativo ai sensi degli articoli 380 e 381 c.p.p., la stessa misura è consentita, ex art. 8, co. 1-bis, per i reati di cui agli articoli 6, co. 1 e 6 l. 401/1989 (anche nel caso in cui il divieto non sia accompagnato dalla prescrizione di cui al co. 2), 6-bis, co. 1, e 6-ter. Di notevole rilevanza è la norma di cui all’art. 8, co. 1-ter, che introduce l’istituto della cd. “flagranza differita” (da 36 a 48 ore): in particolare, nei casi di cui al comma 1-bis, quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’articolo 382 c.p.p. il soggetto che, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga “inequivocabilmente” il fatto, ne risulti l’autore, sempre che l’arresto avvenga non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro quarantotto ore dal fatto. Infine, l’art. 8-bis della legge 401 prevede che per i reati di cui agli articoli 6, co. 6 (violazione delle prescrizioni del D.A.SPO.), 6bis, co. 1 e 2, 6-ter e 8, co. 1 (nei casi di arresto eseguito a norma dei commi 1-bis e 1-ter), si procede sempre con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini. 6. Limiti degli strumenti giuridici nell’azione criminal-preventiva Gli interventi legislativi sino ad ora messi in atto hanno fornito un contributo al contrasto del tifo violento. Tuttavia, non possiamo esimerci dall’evidenziare alcuni aspetti che destano perplessità. Innanzitutto, la violenza dei tifosi nelle varie nazioni è stata considerata ed affrontata quasi esclusivamente come un problema di ordine pubblico da fronteggiare prevalentemente attraverso appositi interventi legislativi ed il servizio d’ordine delle forze di polizia48. 48

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MANIGLIO, Tifo violento…, cit.

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In linea generale, gli interventi legislativi in materia di violenze calcistiche, così come accaduto per altre problematiche sociali, sono stati effettuati quasi sempre “a caldo”, nelle ore o nei giorni immediatamente successivi ad episodi di cronaca particolarmente efferati che avevano profondamente scosso l’opinione pubblica e richiesto in maniera più o meno esplicita l’ennesimo intervento del legislatore49. È evidente che, più volte, nella riforma del settore della “tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”, si è fatto ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza che, per ovvie ragioni, suscita notevoli perplessità e risente dello “stato emotivo” del legislatore. Non è mancato chi all’indomani degli ultimi interventi in materia, abbia disconosciuto la “necessità ed urgenza” invocata nei decreti poiché, mentre in passato la legiferazione era giustificata da un vuoto normativo a fronte di un notevole clamore mediatico, provocato da alcuni episodi particolarmente cruenti, legati allo svolgimento di manifestazioni sportive, le vivaci espressioni del tifo agonistico del 2007 non possedevano più quei caratteri eccezionali tali da richiedere l’immediato approntamento di norme ad hoc, all’esito di un’approvazione affrettata50. La ratio del ricorso a tale mezzo non sembra potersi rinvenire nell’opportunità di adeguare il dato normativo interno agli obblighi comunitari, nonostante le numerose sollecitazioni in tale direzione51. Piuttosto, trova maggior credito l’ipotesi, perlomeno limitatamente allo specifico intervento legislativo del 2005, della volontà di chiudere il cerchio intorno all’apparato di regolamenti ministeriali, che avevano preso forma a partire dalla legge n. 88 del 2003. Ibid. CURI, La fretta, che l’onestade ad ogni atto dismaga, in Cass. pen., 2007, V, 2259; LO MONTE, Considerazioni sulla recente normativa in tema di violenza negli stadi: un “calcio” ai teppisti e due ai principi dello stato di diritto, in Cass. pen., 2005, IV, 1463. 51 Sul punto, si vedano: SOTIS, Obblighi di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2002, 171-222, 191; VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, in Dir. pen. proc., 2005, 1433-1440. 49 50

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Alcuni provvedimenti legislativi, inoltre, suscitano perplessità anche nel merito. Ad esempio, per l’applicazione delle misure di prevenzione tipiche sono richiesti: l’appartenenza della persona a determinate categorie criminogene, da accertarsi sulla base di elementi di fatto52, e la pericolosità per la pubblica sicurezza53, che deve essere “attuale”, ossia esistente al momento della decisione54. Invece, l’art. 6, l. n. 401/1989, che disciplina il “divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive” (D.A.SPO.), non contiene alcun riferimento alla pericolosità. Se effettivamente il questore potesse prescindere da qualsiasi accertamento in proposito, il suo potere sarebbe tanto discrezionale da sconfinare nell’arbitrio, dato che la pericolosità non può certamente ritenersi insita esclusivamente nella riconducibilità ad una delle tre suddette categorie, che peraltro già presentano, come si è visto, aspetti rilevanti di genericità55. Nonostante ciò, di recente la Suprema Corte ha affermato che si tratta di categorie di persone che versano in “situazioni sintomatiche della loro pericolosità sociale”56. Le condotte di “incitamento” o di “inneggiamento” alla violenza possono essere accostate all’istigazione a delinquere57, la cui crimiArt. 1 l. 27 dicembre 1956, n. 1423, sost. art. 2 l. 3 agosto 1988, n. 327. Art. 2, co. 1, l. n. 1423 del 1956, mod. art. 3 l. n. 327 del 1988; art. 3, co. 1, l. n. 1423 del 1956, sost. art. 4 l. n. 327 del 1988. In Giurisprudenza si vedano: Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2002, n. 433; Cass. pen., sez. III 10 dicembre 2001, n. 3428 e 1671; Cass. pen., sez. III, 4 dicembre 2001, n. 3352; Cass. pen., sez. I 20 gennaio 1997, n. 284. 54 L’appartenenza a determinate categorie è condizione necessaria ma non sufficiente, essendo necessario che la pericolosità sia effettiva ed attuale e non meramente potenziale (C. Cost., 17 marzo 1969, n. 32; Cass. pen., sez. I, 5 maggio 1986, Cusumano; Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 1992, Ubaldini; Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 1992, Trimboli). 55 MOLINARI, cit., 2750. 56 Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2008, n. 24338; Cass. pen., sez. un., 13 agosto 2004, n. 44273; Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2003, n. 48845. 57 Il concetto di istigazione richiede un giudizio, in concreto, ex ante, non potendosi risolvere nella mera contrarietà delle idee dell’agente a quelle trasfuse nelle scelte normative (così FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, Il Mulino, 1988, vol. I, 68). Le condotte in questione, inoltre, si caratterizzano a norma dell’art. 2-bis, co. 2, l. n. 377/01 per la “specifica istigazione alla violenza” in relazione a tutte le circostanze indicate all’art. 6, co. 1, prima parte, l. n. 401/89. 52 53

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nalizzazione, ex art. 414 c.p., si giustifica in funzione della contrarietà ai fini che l’ordinamento persegue e della sostanziale rivolta contro i principi informatori della civile convivenza58 e ciò comporta, sul piano dell’offensività un’anticipazione repressiva in momenti sempre più lontani dallo stesso pericolo59. Manca, inoltre, la precisazione che l’appartenenza alle diverse categorie deve accertarsi “sulla base di elementi di fatto”, come invece è richiesto dalla l. n. 1423 del 195660, ma anche sotto questo profilo potrebbe sostenersi, con una interpretazione adeguatrice ai princìpi costituzionali, che pure in presenza di una norma generica, sia sempre richiesto l’accertamento di fatti e comportamenti oggettivi61. Infine, è doveroso sottolineare che, sebbene le leggi che hanno impedito l’accesso allo stadio da parte dei tifosi violenti hanno contribuito in maniera significativa al declino della violenza, in quanto costituiscono un deterrente per quanti siano intenzionati a dare luogo a disordini, tuttavia, gli strumenti giuridici sino ad ora adottati, benché ne abbiano ridotto la portata, non hanno affatto risolto il problema. Appare evidente che un fenomeno così complesso come quello del tifo violento, le cui cause risiedono tanto in fattori sociali quanto in peculiari aspetti psicologici del tifoso, non può essere contrastato efficacemente attraverso il semplice ricorso a strategie repressive e di controllo. È indubbio che gli strumenti processuali e penali messi a disposizione dall’ordinamento per combattere la violenza negli stadi hanno un carattere prevalentemente repressivo con eccessiva enfasi sulla fase punitiva piuttosto che su quella preventiva. Tale approccio non solo non ha risolto il problema, ma può generare una 58 MOCCIA, Ordine pubblico (disposizioni a tutela dell’), in Enc. Giur. Treccani, vol. XXII, 1990, 7. 59 IBID., 8. 60 Art. 1, n. 3, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, sost. art. 2 l. 3 agosto 1988, n. 327. 61 C. Cost., 7 dicembre 1994, n. 419.

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serie di effetti indesiderati e, talvolta, anche controproducenti. L’eccessiva enfasi riposta sulla repressione e sulla punizione, infatti, ha portato ad una preventiva criminalizzazione del tifoso. A causa del clima eccessivamente teso e soffocante che si è venuto a creare in occasione delle partite di calcio, gli stadi italiani di oggi assomigliano a bunker e prigioni, soprattutto per la presenza eccessiva di forze dell’ordine in assetto antisommossa e di barriere fisiche utilizzate per dividere i tifosi tra loro o dal terreno di gioco. Tali misure hanno ampiamente dimostrato la loro inefficacia nella prevenzione dei disordini. Soprattutto, tutte le norme, divieti e sanzioni volte a scoraggiare o impedire attivamente agli ultras di seguire le partite in trasferta o di esprimersi secondo le tradizionali forme coreografiche di tifo hanno contribuito ad alimentare l’odio da parte dei tifosi nei confronti delle istituzioni62. In generale, dall’analisi delle misure adottate emerge con scarsa evidenza la competenza del legislatore nella comprensione del problema. Considerare la violenza dei tifosi come una questione meramente di ordine pubblico, da contrastare attraverso il controllo, la repressione, divieti o punizioni esemplari è un approccio piuttosto limitato e mette in luce l’incapacità di cogliere tutte quelle più vaste sfumature ed implicazioni psicologiche e sociali che caratterizzano il fenomeno in questione63. Contro la violenza scatenata in occasione delle manifestazioni sportive l’intervento andrebbe rafforzato su vari fronti: per alcuni, basterebbe garantire la sicurezza degli impianti, imponendo l’obbligo di giocare a “porte chiuse” negli stadi che non rispettano determinati standard ed allontanando immediatamente coloro che dimostrino la loro pericolosità; altri propongono di limitare la vendita dei biglietti a società e tifoserie violente, ostacolando così le trasferte collettive; 62 63

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MANIGLIO, Tifo violento…, cit. Ibid.

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altri ancora chiedono ulteriori inasprimenti sanzionatori. Appare, invece, ad avviso di chi scrive, indispensabile il ricorso a misure preventive di tipo psico-educativo capaci di promuovere una cultura pacifica del tifo, attraverso modalità di espressione basate sulla passione e sulla competizione leale e rispettosa, anziché sull’odio, sull’intolleranza e sulla violenza. Sarebbe più opportuno, inoltre, investire in forme di intervento sociale64, con politiche mirate all’analisi delle ragioni sottese a determinati comportamenti antigiuridici, al fine di incidere alla radice, in un’ottica di lungo periodo, sulla mentalità stessa dei violenti (rafforzando, ad esempio, nelle fasce giovanili i valori del rispetto della persona e della cultura della legalità, oppure analizzando l’ambiguo e pericoloso rapporto tra società sportive e tifoserie violente, in termini di “giro d’affari”). Una strategia orientata in tal senso consentirebbe di attivare un dialogo tra tifosi ed istituzioni, premessa indispensabile per creare un clima più sereno negli stadi.

64 Si pensi, ad esempio, alle esperienze già radicate in altri Paesi: in Germania, i Fanprojekte; in Belgio, i Fancoaching; in Inghilterra, la Football Supporter Association; etc.

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NOTE DI STORIA FORENSE

Il sistema delle pene nei codici penali del Regno delle Due Sicilie e del Regno di Sardegna Terza parte di AUGUSTO CONTE

L’art. 76 secondo comma della Legge su i delitti e sulle pene del 20 maggio 1808, n. 143, che stabiliva le pene criminali, riferiva che “non sono comprese nella presente legge le pene dé delitti, e delle azioni illecite, dichiarate di competenza della giustizia correzionale, e della polizia così municipale, come rurale”1. Le pene di competenza della giustizia correzionale erano stabilite dalla Legge sulla giurisdizione di polizia e sulla giustizia correzionale del 22 maggio 1808, n. 153, emanata sempre da Giuseppe Napoleone (per la Grazia di Dio Re di Napoli, e di Sicilia, Principe Francese, Grand’Elettore dell’Impero), Ministro della Giustizia Cianciulli, Ministro Segretario di Stato Ricciardi, la cui entrata in vigore era stabilita per il primo novembre dello stesso anno. La Legge aveva il grande merito di unificare e trasferire sotto Il primo comma precisava che “non sono comprese nella disposizione della presente legge le pene dé delitti militari” e spiegava che per tali si intendono quelli commessi da militari in servizio, da civili (“pagani”) contro i militari in servizio, lo spionaggio militare, la diserzione, quelli contro la sicurezza dei luoghi delle armate e contro gli ordini “penali” impartiti da generali e comandanti. 1

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NOTE DI STORIA FORENSE

le “giurisdizioni ordinarie, e nelle funzioni di polizia municipale, e rurale di ciascun Comune”2, affidate al giudice di pace3, e di avere abolito, antichi ufizj giurisdizionali dell’annona, della bagliva, della portolania, del tribunale della fortificazione, della zecca dé pesi e delle misure di Napoli e della catapania, o quelli che “sieno stati esercitati per l’addietro o da particolari o dà Comuni, o che siano restati in mano alla Regia Corte”4. Il sistema di ripartizione dei reati, apparentemente diviso in delitti (pubblici e privati, per i quali ultimi il potere di accusa, nella forma della querela, spettava “alle persone offese, o a quelle, che la legge dichiara interessate alla punizione”5) e contravvenzioni, era in realtà “tripartito”6: infatti, mentre la competenza a conoscere delle contravvenzioni spetta alla giurisdizione di polizia (artt. 30 sgg. Legge 20 maggio 1808, n. 1537) i reati qualificati come delitti erano di due specie, quelli devoluti ai giudici criminali (previsti nella Legge 20 maggio 1808, n. 143) e quelli devoluti ai giudici correzionali, pre2 Compito della polizia municipale era di “conservare la tranquillità e l’ordine pubblico”, oltre al controllo su pesi e misure, alla esazione delle gabelle e alla vigilanza sulla salute pubblica; alla polizia rurale era preposta la salubrità, la sicurezza, la custodia delle campagne, degli animali, degli strumenti e dei prodotti agricoli. 3 I regolamenti connessi alle funzioni di polizia competevano all’ufficio di polizia amministrativa; “la giurisdizione, o sia l’esecuzione giudiziaria di tali regolamenti e l’applicazione delle pene negli stessi contenute appartiene all’ufizjo dé giudici di pace” (Art. 4, Legge 20 maggio 1808, n. 153). La stessa norma prevedeva che era dovere del “ministero pubblico” presso i giudici di pace, “d’invigilare alla esatta esecuzione delle leggi, dé bandi, e dé regolamenti di polizia amministrativa, di formare in caso di contravvenzione il processo verbale, rimetterlo al giudice di pace, ed esercitare presso di lui le altre funzioni necessarie; salvo sempre il diritto della parte offesa di querelarsi dinanzi al giudice stesso, e di proseguire il giudizio”. 4 Art. 1, Legge sulla giurisdizione di polizia, e sulla giustizia correzionale 20 maggio 1808, n. 153. 5 Art. 27, Legge 20 maggio 1808, n. 143. 6 SERGIO VINCIGUERRA. Le Leggi Penali di Giuseppe Bonaparte per il Regno di Napoli. Padova. CEDAM, 1998, pag. XXI. 7 Le contravvenzioni riguardavano i fatti che turbano la tranquillità e l’ordine pubblico e vanno dall’uso e manutenzione delle strade, alla pratica di fuochi artificiali, alla custodia di animali, alla sicurezza dei campi e delle cose rurali e animali, al transito nei pascoli, alla conservazione dei boschi.

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visti nel Titolo VII°, artt. 66 sgg., Legge 20 maggio 1808, n. 153 (e riguardavano: a) offese contro l’ordine pubblico: fatti contro la sicurezza dello Stato, come i libelli ingiuriosi e gli scritti dettati con l’intenzione di spargere malcontento contro il Governo e contro “le persone costituite in dignità”; fatti di allarme, ecc.; fatti prossimi ai delitti di pubblica violenza, quali attentati contro proprietà e beni privati; offese ai magistrati nell’esercizio delle funzioni o per vendetta contro loro atti legittimi; violenza e resistenza contro autorità e forza pubblica; fuga da mani di esecutori della giustizia; incendi nelle campagne; vagabondaggio e mendicità; abusi di potere dei pubblici funzionari; fatti contro la religione; fatti contro la salute pubblica; fatti illeciti contro la proprietà dello Stato, come la spendita di monete false e l’usura; contravvenzioni alle leggi che vietano giochi d’azzardo; b) offese contro i diritti degli individui, tra i quali ferite e ingiurie e persino gli omicidi “causali”8; furti modici, compresi quelli “col mezzo dé giuochi”; le truffe); tra i delitti devoluti ai giudici correzionali vi erano anche quelli degradati a correzionali ai sensi degli artt. 48, Legge 20 maggio 1808, n. 1439 e dell’art. 5, Legge 20 maggio 1808, n. 15310. La sistemazione data alle varie figure di reato riproponeva la divisione tracciata da Beccaria fra i delitti contro la società e i delitti contro i privati11. 8 Mentre gli omicidi, “qualunque sia la cagione che ne scusi, o che ne tolga l’imputabilità, e le ferite che si puniscono come tentati omicidi, appartengono sempre alla cognizione dé giudici criminali”: art. 102, Legge 20 maggio 1808, n. 153: “È però nella facoltà di costoro il rimettere ai giudizi correzionali per una correzione ammonitiva quei, che essi assolvano per la disposizione dell’art. 171 della legge penale (omicidi casuali o necessari)”. Tale specie di correzione non doveva essere “riguardata” come pena. 9 “È della facoltà del Tribunale criminale di dichiarare, quando così esiga la qualità del fatto, che non vi sia luoghi alle pene maggiori dettate dalla presente legge, e di rimettere la punizione del delitto ai magistrati della giustizia correzionale”. 10 “La giustizia correzionale punisce le azioni prossime al delitto, i delitti, che la legge scusa per lo piccolo grado di dolo, con cui sono commessi, quelli che apportano picciolo danno, ed ai quali non è imposta la pena di corpo afflittiva, o infamante”. 11 CESARE BECCARIA. De delitti e delle pene. Cap. XXV.

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Le pene della giustizia correzionale erano costituite da detenzione, casa di correzione, bando dal Regno, né casi espressamente previsti, l’esilio o la relegazione sociale, la sospensione dall’esercizio di un’arte o mestiere, la riprensione pubblica, l’ammenda. 1.1. La pena della detenzione poteva estendersi da tre giorni fino a due anni, e doveva essere espiata in un luogo chiuso, senza, però, alcuna “restrizione penosa”; il luogo chiuso era diverso dalle prigioni della giustizia criminale. Il giudice poteva stabilire, quale luogo di detenzione, in caso di circostanze particolari, la casa stessa del reo12. 1.2. La pena della casa di correzione obbligava i detenuti a eseguire lavori atti alla loro condizione, oltre che alla rispettiva arte o al proprio mestiere; la durata della pena era uguale a quella della detenzione (da tre giorni a due anni). Il giudice correzionale, ove non fossero predisposte le strutture adibite a casa di correzione poteva servirsi dei ritiri religiosi13. 1.3. Il bando dal regno poteva essere irrogato dai giudici correzionali solo per i forestieri vagabondi, oziosi o sospetti14. 1.4. La rilegazione locale poteva essere applicata o nella patria del reo, ove domiciliato altrove, o in un altro luogo, entro gli ambiti provinciali, ad esclusione della capitale e della residenza del Governo, che non potevano essere assegnati come luoghi di rilegazione. L’esilio locale consisteva nell’interdire al reo la residenza in un dato luogo, o l’accesso al medesimo, compreso l’accesso alla capitale e alla residenza del Governo. La durata della rilegazione e dell’esilio non poteva eccedere i due anni15. 1.5. La sospensione dall’arte o dal mestiere poteva essere applicata solo ove dell’arte o del mestiere si fosse abusato ai fini del delinArt. 15, comma primo, Legge 20 maggio 1808, n. 153. Art. 15, comma secondo, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 14 Art. 15, comma terzo, Legge 20 maggio 2808, n. 153. 15 Art. 15, comma quarto, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 12 13

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quere. Poteva essere applicata a discrezione (“arbitrio”) del giudice correzionale solo ove fosse necessaria come esempio per la collettività, e ove potesse temersi la reiterazione del delitto16. 1.6. La riprensione pubblica costituiva una pena “esemplare” il cui modo di esecuzione era stabilito di volta in volta dalle leggi che la prevedevano17. 1.7. L’ammenda era costituita dalla applicazione di una sanzione pecuniaria non inferiore a ducati sei, né maggiore di ducati duecento18. Particolare approfondimento merita questo tipo di pena. Il male inflitto con la pena dell’ammenda si riduceva alla semplice privazione di una determinata somma. L’uguaglianza della pena, nel sistema generale delle pene, si sarebbe dovuta desumere dalla privazione di una somma proporzionata al capitale del reo: la teorica, però, era cosa diversa dalla pratica applicazione perché proprio la relativa eguaglianza della pena costituiva “uno dè più malagevoli problemi della ragion penale”; per cui tutte le codificazioni che si erano assunte lo scopo di risolverlo o avevano disposizioni insufficienti, o perché troppo vaghe, o perché troppo suscettibili di arbitrio19. Il diritto romano aveva stabilito in proposito regole piene di umanità; le pene pecuniarie eccessive erano nulle di pieno diritto: “multa immoderata et excessiva ipso jure nulla est20. I giudici romani potevano ridurne il valore e condonarle: “iudex multam vel minuere, vel rimettere vatet”21; i poveri erano esenti: “potest remitti ex causa Art. 15, comma quinto, Legge 20 maggio 1808, n. 153. Art. 15, comma 6, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 18 Art. 15 comma settimo, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 19 ADOLFO CHAUVEAU. Teorica del Codice Penale. Versione italiana eseguita nello studio dell’Avv. Leopoldo Tarantini. Vol. I°, Napoli, stabilimento dell’Antologia Legale di Domenico Capasso. Strada S. Sebastiano, n. 51, nel Cortile R.R.P.P. Gesuiti, I° piano. Anno 1853, pag. 89. 20 Farinacius. Quaestiones criminales: delictis et poenis. Quaest. XVIII, n. 29. 21 Farinacius. Ivi, n. 55. 16 17

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pauperitatis”22 senza possibilità di commutazione in pena corporale. La pena dell’ammenda non era produttiva di infamia. In genere nelle codificazioni europee della fine del 1700 e inizi del 1800 l’ammontare della ammenda era rimessa all’arbitrio del giudice23: il problema consisteva nello stabilire la proporzione che avrebbe dovuto essere commisurata a quanto i condannati potevano giornalmente ritrarre dai beni o dagli impieghi o dall’industria, per evitare che l’ammenda potesse essere illusoria per il ricco e oppressiva per il povero; il giudice non poteva, infatti, in ogni occasione valutare in maniera perfetta la posizione sociale del condannato. La teorica consisteva nello stabilire ammende uniformi per tutti gli imputati, e proporzionate alla gravità del delitti24. Va comunque tenuto presente che per le disposizioni correzionali l’ammenda costituiva piuttosto un avvertimento che una pena, avendo lo scopo di risvegliare l’attenzione dei cittadini sulla necessità di uniformarsi esattamente alle regole di polizia; pertanto la pena poteva restare lieve anche per i più opulenti purché avesse l’effetto di avvertirli sulla infrazione commessa, compiendo in tal modo la sua missione finale. Farinacius. Ivi, n. 57. Il Codice Penale Austriaco prevedeva la formula “ammenda proporzionata ai mezzi del colpevole” e disponeva un minimo e un massimo per ciascuna infrazione; la pena dell’ammenda era esclusa per i delitti e stabilita solo per le gravi infrazioni di polizia (art. 26, part. II). La Gran Carta di Inghilterra agli artt. 25, 26, 27 e 28 proclamava che la pena dell’ammenda poteva essere proporzionata alla facoltà e alla posizione del colpevole, senza che potesse essere così grave “da obbligare un colono ad abbandonare il suo campo, un mercante a tralasciare il suo traffico, ed un agricoltore a vendere i suoi instrumenti di coltura”. Il Codice Belga prendeva per base dell’ammenda il valore della giornata di lavoro per ogni località (la somma poteva essere raddoppiata o quadruplicata secondo il carattere del reato senza tener conto delle fortune del delinquente). Il Codice prussiano (art. 85) esentava dalle ammende le classi più povere della società, convertendole in lavori correzionali o in detenzione, calcolando la detenzione in ragione di otto giorni per cinque scudi di ammenda (art. 88). 24 GAETANO FILANGIERI nella Scienza della Legislazione. Lib. II°, pag. 2, proponeva di fissare la sanzione non determinando la quantità della somma, ma la parte di fortuna del delinquente che gli sarebbe tolta dalla pena; quindi ogni determinato delitto sarebbe punito con la privazione del quinto, del decimo, del vigesimo dei beni del colpevole. 22 23

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Oltre alle pene “correttive” era in facoltà dei giudici correzionali di “esigere promesse, cauzioni, ed obblighi penali dalle parti, per assicurare il buon ordine, o per provvedere alla loro reciproca sicurezza”25. Ordinariamente le pene correttive venivano applicate dai giudici correzionali; potevano essere applicate dai giudici criminali quando a) essendo competenti a procedere per la natura del delitto, ritenevano non poter far luogo a pena diversa da quella correzionale; b) quando, nel corso della pendenza del giudizio principale il reo consumasse altro delitto minore di competenza della giustizia correzionale; c) in ogni caso il giudice criminale era competente quando venissero compiuti delitti, maggiori o minori, e questi ultimo fossero appartenenti alla giurisdizione correzionale26. Sulla determinazione in concreto della pena spiegava i suoi effetti la recidiva, che comportava ordinariamente l’applicazione del doppio della prima pena inflitta; ove fosse stata applicata la pena massima detentiva (due anni) dopo l’espiazione della nuova pena veniva disposto l’esilio locale dalla provincia27. A coloro che commettevano reati durante l’espiazione della prima pena, ove il delitto fosse di minore gravità del primo, la pena inflitta prima cominciava a decorrere dal giorno del nuovo delitto; se il nuovo delitto fosse lo stesso o maggiore, operava il raddoppio della pena e in caso di pena massima veniva aggiunto l’esilio; i colpevoli condannati correzionalmente per recidiva, dopo espiata la pena venivano sottoposti a sorveglianza di polizia per il periodo stabilito del giudice28. La estinzione dei delitti della giustizia correzionale e la prescrizione operavano nello stesso modo stabilito dalla legge penale29. Art. 14, comma 2, Legge 20 maggio 1808, n. 153. Art. 16, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 27 Art. 19, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 28 Art. 12, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 29 Le norme di riferimento sono quelle contenute negli artt. 40, 41, 42, 43, 44 e 45 della Legge 20 maggio 1808, n. 145. 25 26

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Estinguevano i delitti la morte; l’esecuzione della sentenza in caso di condanna; il giudizio, in caso di assoluzione30; la prescrizione estingueva il delitto contravvenzionale nel brevissimo tempo di tre mesi31. Alla pena correzionale veniva aggiunta la “rifazione” del danno sofferto dall’offeso e la rifusione delle spese di lite32. Tutti i soggetti compartecipi nello stesso delitto erano tenuti “del solido” nel pagamento sia delle ammende che del risarcimento dei danni; ove concorressero entrambe le condanne doveva prima essere risarcito il danno e successivamente la sanzione pecuniaria. La valutazione del danno veniva stabilita o sull’accordo con la parte che lo aveva subito o secondo la stima di esperti33. Erano tenuti in solido al pagamento i padri e, in mancanza, le madri tutrici. In mancanza, per figli o allievi minori di sedici anni, erano tenuti i tutori, le tutrici, i precettori, per i delitti commessi nei periodi nei quali si trovavano sotto la loro diretta vigilanza, o sotto quella di persone preposte; in solido erano tenuti anche i capi di famiglia, i padroni, i maestri d’arte e gli appaltatori per i delitti commessi dai loro domestici, operai o allievi, relativamente al genere del servizio nel quale erano impiegati; erano tenuti in solido anche i mariti per i danni cagionati dalle mogli fino alla concorrenza del valore dei loro beni; erano tenuti in solido i genitori, i tutori, i curatori, i custodi “dé 30 Di grande maturità giuridica era la disposizione contenuta nell’art. 41 legge 20 maggio 1808, n. 145, secondo la quale in caso di assoluzione l’imputato non poteva essere di nuovo chiamato in giudizio, “qualunque sia la pruova di nuovo acquistata, o le circostanze del delitto di nuovo scoverte”. 31 Evidentemente i tempi erano commisurati a quelli dei processi; va considerato che per i delitti criminali privati la prescrizione era di un anno dalla conoscenza del commesso delitto e che ove l’accusa istruita non fosse proseguita operava la prescrizione triennale. Nei delitti pubblici la prescrizione era di dieci anni dal “commesso delitto”; mentre la prescrizione non operava mai per i delitti capitali, né quelli in riferimento ai quali il reo era contumace. Il delitto si estingueva anche con la grazia del Principe (artt. 42, 43 e 44 Legge 20 maggio 1808, n. 145). 32 Art. 22, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 33 Artt. 23 e 24, Legge 20 maggio 1808, n, 153.

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dementi e dé furiosi”, per il risarcimento dei danni commessi nei momenti nei quali fosse mancata la vigilanza; erano, infine, tenuti in solido gli osti e i locandieri per i delitti commessi dalle persone alloggiate in violazione delle regole e cautele disposte dalle leggi di polizia amministrativa34. Il pagamento di ammende, danni e spese di lite doveva avvenire entro ventiquattro ore: in mancanza scattava la detenzione che non poteva eccedere il termine in facoltà della giustizia correzionale concesso ai giudici di pace e ai tribunali civili: salva comunque l’esecuzione sui beni, ove l’imputato ne avesse35. Ogni Comune disponeva di un Cancelliere cui era devoluto il compito di tenere un registro delle ammende, secondo i criteri stabiliti nell’art. 27 della Legge 20 maggio 1808, n. 153. La destinazione della cassa comunale delle ammende era il mantenimento dei carcerati e il sostegno delle spese necessarie per l’esercizio della giurisdizione36. La pena dell’ammenda che come si è visto aveva antichissime provenienze, all’origine aveva una funzione di “composizione” e la destinazione delle somme aveva diverse finalità; viene fatta risalire ai Franchi e ai Germani, oltre che alle leggi romane. Presso alcuni popoli, come in Cina, con il pagamento di ammende, di arbitraria valutazione, si redimevano i più gravi misfatti e il denaro non veniva versato solo all’offeso, in quanto una parte era destinata al re o al signore feudale sulle cui terre rendeva giustizia37. Abolita la “composizione” la pena fu mantenuta, con il nome di ammenda, per indennizzare il re ed i signori delle spese sostenute Art. 25, Legge 20 maggio 1808, n. 153. Art. 28, Legge 20 maggio 1808, n. 153. 36 Art. 26, Legge 20 maggio 1808, n. 153; la Legge prevedeva che gli Ufficiali di Polizia non potevano né percepire né toccare le ammende pena la immediata destituzione e la restituzione del doppio. 37 JEREMY BENTHAM. Teoria delle pene e delle ricompense e trattati di legislazione civile e penale. Principi del Codice Penale. Parte III, cap. IX, § 5. 34 35

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per la persecuzione dei colpevoli38. Secondo lo Chaveau “l’ammenda graduata in una giusta proporzione è suscettiva di utili effetti, e perfettamente conviene ad una data categoria di reati”. “Essa è divisibile quasi allo infinito, discende fino à più bassi gradi della scala generale, può quindi adattarsi à delitti più lievi. È riparabile, poiché se ne può effettuare il rimborso. E, per ultimo, non ci ha pena che possa applicarsi con maggiore eguaglianza, né meglio proporzionarsi alla fortuna dé delinquenti39. Il sistema dela giustizia correzionale era suggerito dalla esigenza di prevenzione generale molto avvertita dai teorici del diritto penale. Mario Pagano che dalla Cattedra di Diritto Penale nell’Università di Napoli nell’anno accademico 1785-1786 diffuse, in forma manoscritta, le sue lezioni con il titolo di “Istituzioni Criminali”, riversate poi nei Principii del Codice Penale pubblicati postumi nel 1803 a Milano e nel 1806 a Napoli, avrebbe voluto anche abbozzare un Codice di Polizia: “Prevenire i delitti anziché punirli, conserva intatta la pubblica tranquillità, piuttosto che, turbata, rimetterla; difendere il cittadino dall’insulto, più che vendicarlo dall’offesa, spegner le cagioni e non attender gli effetti del delitto, è l’oggetto del codice di polizia”40. Secondo Pagano una saggia Costituzione doveva avere il compito di stabilire i collegamenti tra la materia di polizia (preventiva e correzionale) e quella oggetto del codice penale, fissando i limiti della prevenzione e della repressione. L’impegno di Pagano nello studio della materia penalistica non gli consentì di approfondire gli argomenti su quei principi: “A me ADOLFO CHAUVEAU. Teorica del Codice Penale. Versione italiana eseguita nello studio dell’Avv. Leopoldo Tarantini. Vol. I°. Napoli; stabilimento dell’Antologia Legale di Domenico Capasso. Strada S. Sebastiano, n. 51, nel cortile R.R. P.P. Gesuiti, I° piano. Anno 1853, pag. 89. 39 JEREMY BENTHAM. Teoria delle pene, cit., Lib. III, cap. IV. 40 MARIO PAGANO. Saggi Politici. V, cap. XV. 38

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manca il tempo e la forza per eseguire tanto disegno. Mi basta di aver tentato di spargere i miei deboli lumi sulla parte penale e sul processo. Se colle mie fatiche e coll’esempio almeno, che desti i più felici ingegni, avrò alla mia patria qualche giovamento recato, questo dolce e caro sentimento formerà la felicità del resto dè miei giorni”41. Il sistema penale del Regno di Napoli, in commento in riferimento alle pene, introdotto da Giuseppe Bonaparte nel 1808 realizzò accanto alla Legge sui delitti e sulle pene, la giurisdizione di polizia, secondo l’insegnamento di Mario Pagano risalente a oltre venti anni prima, e divulgato nel Regno di Napoli con la postuma pubblicazione del 1806.

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MARIO PAGANO. Prefazione dell’Autore ai Principii del Codice Penale, 227.

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Valerio Spigarelli nuovo Presidende dell’Unione delle Camere Penali. Prestigioso riconoscimento al brindisino Fabio Di Bello, al suo fianco nel governo dei penalisti italiani di MARIO GUAGLIANI* A volte viene da pensare che perché ci sia un risultato eccezionale ci deve essere la combinazione di fattori eccezionali, quasi come una tempesta perfetta nella quale si intersecano tra loro una serie di elementi che, presi singolarmente, non porterebbero allo stesso risultato ottenuto dalla loro azione sincrona. E così è accaduto nel XIII Congresso Nazionale dell’Unione delle Camere Penali tenutosi a Palermo dall’1 al 3 ottobre. L’evento era di quelli memorabili: record assoluto di partecipanti; record assoluto di delegati e record assoluto di delegati che ha esercitato il diritto di voto. Ma non solo: i congressisti, infatti, hanno avuto il difficile compito di individuare il successore di Oreste Dominioni, da sei anni alla guida dei penalisti italiani, compito reso ancor più arduo anche perché, solo per la seconda volta nella storia dell’Unione, i papabili erano due illustri professionisti romani: l’avv. Valerio Spigarelli e l’avv. Domenico Battista, in passato già entrambi segretari del consesso. Era dai tempi dell’epico dualismo tra Ettore Randazzo ed il mai Avvocato del Foro di Brindisi.

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dimenticato Vittorio Chiusano che non si assisteva ad uno scontro (ma sarebbe meglio dire incontro) sia di professionisti che di visioni del nostro futuro associativo. Ed infatti l’intestazione del congresso non è stata casuale: “Un giudice garante, un avvocato forte contro la deriva delle garanzie”. Ma partiamo dalla fine. Partiamo dalla fine perché è quella che ci inorgoglisce di più, che ci ha fatto vivere il fremito maggiore, che ha fregiato la Camera Penale di Brindisi di un grande risultato mai ottenuto prima di ora. Con un esito elettorale quasi plebiscitario, ottenendo 229 voti contro 92 del proprio avversario, Valerio Spigarelli è stato individuato dal Congresso come nuovo Presidente dell’Unione delle Camere Penali. Il nuovo Presidente, nell’individuare i propri collaboratori più stretti che lo affiancheranno nel compimento del suo mandato, ha deciso di avvalersi, quale componente della Giunta, dell’opera del nostro collega Fabio Di Bello, iscritto alla Camera Penale di Brindisi nonché attuale segretario e ovviamente iscritto presso il nostro ordine professionale. La designazione non può che inorgoglire tutta l’avvocatura brindisina, sia dedita al settore penale che no, dal momento che mai in precedenza alcun rappresentante della Camera Penale di Brindisi aveva toccato un vertice così alto tra le rappresentanze nazionali dell’Unione. Grande merito anche al Presidente della Camera Penale, avv. Giancarlo Camassa, la cui presidenza si avvia al termine – ma solo per limite statutario – con la consapevolezza però di aver apportato un valore aggiunto alla storia dell’avvocatura penale del nostro circondario ed alla sua visibilità ed autorevolezza sul piano nazionale. Infatti non bisogna dimenticare, tra le rappresentanze brindisine, anche quella del collega Vito Melpignano quale componente dell’Organismo di Controllo dell’Unione delle Camere Penali.

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Ma siamo partiti dalla fine perché, presi dall’impulso del bambino che non riesce a trattenere dal dire a tutti la nuova nozione appresa a scuola dalla maestra, non ci si poteva trattenere dal rendere tutti i colleghi subito partecipi della bella soddisfazione che ha raggiunto l’avv. Fabio Di Bello ma, Fabio ce lo consentirà, che ha raggiunto anche tutti noi. L’esito finale è stato però la sintesi hegeliana di una instancabile tre giorni, nei quali si sono confrontate le più alte toghe d’Italia sui temi scottanti dell’avvocatura penale che non possono non riflettersi sull’intera classe forense. Folta anche la presenza di politici presenti sia di persona che con loro scritti. È intervenuto personalmente il Presidente del Senato Renato Schifani, ma, soprattutto, ad avviso di chi scrive, di grande pregio ed equilibrio è stato l’intervento del Presidente della Repubblica sul quale vale la pena di riflettere a lungo. Giorgio Napolitano, infatti, con un messaggio consegnato al Presidente in carica Oreste Dominioni è tornato a parlare di giustizia traendo spunto proprio dal titolo dato al Congresso. E pare proprio che gli auspici del Presidente Napolitano abbiano dato gli input giusti. Egli ha infatti augurato che tra magistratura e avvocatura possa esserci un confronto “anche serrato” ma senza “sterili contrapposizioni” che se “non influenzate dalle contingenze può condurre a scelte capaci di restituire qualità ed efficienza al processo penale, dando piena attuazione ai principi del giusto processo sanciti dall’articolo 111 della Costituzione”. E forse meglio di quanto qualsiasi cronaca potrà fare vanno ricordate, citandole testualmente, le parole del Presidente protese al tema del rinnovamento della giustizia che “va affrontato, in ogni settore e specialmente in quello penale, con interventi non disorganici nè settoriali, ma di ampio respiro” dando “volentieri atto all’Unione di Quaderni

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aver sempre energicamente sottolineato tale necessità, invitando tutte le istituzioni ad impegnarsi concretamente a tal fine”. Ha poi aggiunto il Presidente “A tal fine assumono rilievo centrale il rafforzamento del ruolo di garante del giudice e la rigorosa riqualificazione di quello del difensore. Sono certo che dal congresso emergeranno in proposito utili sollecitazioni attraverso la formulazione di proposte di modifica degli assetti vigenti coerenti e sistematiche”. Questo grande auspicio e questo grande rispetto per il ruolo del difensore e del magistrato e l’attenzione dedicata ai cambiamenti hanno costituito il leit motiv dell’intero congresso che, dopo i saluti di rito, si è aperto con l’ultimo, memorabile discorso da Presidente di Oreste Dominioni che non ha mancato di infiammare la platea e di far riflettere con la profondità dei suoi temi, rivolti al cambiamento; al cambiamento della figura dell’avvocato che per il futuro lo si pretende non tuttologo ma un professionista colto, altamente specializzato e costantemente aggiornato; cambiamento della magistratura con la istituzionalizzazione della separazione delle carriere, unica strada per giungere alla effettività del concetto di “giudice terzo”; cambiamento dei regimi carcerari ancorati ad una concezione lontana dalle attuali teorie di pene e con più funzione rieducativa. Dopo l’incipit del Presidente uscente, si è allora dato luogo al confronto elettorale. Spazio ai programmi dei candidati e agli interventi programmatici culminati nei due interventi di Domenico Battista e Valerio Spigarelli, tra i quali non sono mancate frecciate ed accuse più o meno velate. Ma durante il voto, deposte le armi, Domenico Battista ha calorosamente abbracciato Valerio Spigarelli che ha ricambiato con identico affetto, non appena Spigarelli ha superato il quorum, a spoglio ancora in corso, alzandone il braccio destro, segno auspicabile di una serena collaborazione per il bene dell’Unione.

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Alla fine, quindi, ha vinto Valerio Spigarelli, cui va il merito di aver agito non solo di spada, ma anche di fioretto e di aver promosso il tema della comunicazione facile che ha probabilmente fatto maggiore presa sui delegati. Ci sarà molto da lavorare stando proprio a quello che il neopresidente ha dichiarato: “Porteremo avanti le storiche battaglie dei penalisti italiani quali l’affermazione della terzietà attraverso la riforma dell’ordinamento giudiziario, la tutela del diritto della difesa per tutti, la garanzia di un diritto penale equo e moderno ed il rafforzamento del Giusto Processo. Altro tema per noi rilevante è la riforma del codice penale, fondamentale anche in rapporto con il modello processuale vigente, da riscrivere per assicurare al nostro Paese un codice finalmente moderno. In particolare, la custodia cautelare è uno dei terreni su cui dovremo lavorare per renderla realmente residuale e garantirne l’applicazione”. Lo stesso Presidente non ha mancato di sottolineare anche temi cari alla politica: “Ci occuperemo del tema della ragionevole durata dei processi indicando le vere cause dei ritardi: come dimostrano i dati, il tempo non si perde a causa dell’eccesso di garanzie ma per la lentezza e l’inefficienza della macchina amministrativa della giustizia”. Al suo fianco, oltre a Fabio Di Bello quale componente di giunta, per il biennio 2010-2012, lavoreranno quale Vicepresidente l’Avv. Giuseppe Conti, Segretario l’Avv. Franco Oliva, l’Avv. Vinicio Nardo. A questo punto non resta che rimboccarsi le maniche e dare tutti il massimo aiuto e la massima collaborazione al nuovo Presidente. Il Congresso si è chiuso domenica 3 ottobre, quando a Palermo è arrivata la visita del Papa. Nessuno intenderà sottolineare ecumeniche coincidenze e mistiche visioni, ma una Palermo tirata a lucido per l’evento e benedetta dalla visita del Sommo Pontefice è stata cornice ideale per un evento Quaderni

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che, soprattutto noi brindisini ricorderemo per tanto ancora. Quindi, per chiudere come avevamo aperto, questa tempesta perfetta è stata la combinazione di tanti fattori e tanti record, anche per Brindisi. Ma i record, si spera, sono fatti per essere battuti.

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE ARMANDO SPATARO, Ne valeva la pena, Laterza Editori, 2010, pp. 613.

di Augusto Conte Il sottotitolo del libro di Armando Spataro “storie di terrorismi e mafie, di segreti di stato e di giustizia offesa” rende appena uno spunto di richiamo al contenuto di un’opera di saggistica giuridica molto complessa e articolata con la quale l’Autore ripercorre gli ultimi trentacinque anni della nostra storia giudiziaria, e delle “interferenze” della politica, vissuti da protagonista esposto in prima persona. I casi affidati all’appena trentenne Sostituto procuratore della Repubblica di Milano dal 1976 e fino ai giorni nostri hanno avuto una rilevanza sociale e politica, richiamando l’attenzione e l’interesse, oltre che degli organi di informazione, delle Istituzioni dello Stato (e anche di Stati Esteri), di ambienti vicini a vittime e imputati, e, a volte, suscitando la reazione di soggetti colpiti dalle indagini o di “opinionisti”, tra cui soggetti che avevano rivestito alte cariche nello Stato, sfociata in sospetti e in denunce ed esposti contenenti accuse, risultate infondate, di copertura di mandanti da parte del magistrato inquirente, in occasione della indagi-

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ne sull’omicidio di Walter Tobagi a opera delle Brigate Rosse, o di compimento di attività sovversive e destabilizzanti dello Stato, nel caso delle indagini sul sequestro Abu Omar. Il motivo dominante conduttore di tutte le rievocazioni delle inchieste compiute e delle accuse sostenute nei dibattimenti – dai processi a carico di Curcio e Alunni, alle indagini e al processo contro Barbone per l’omicidio Tobagi, alla partecipazione a tutte le fasi del terrorismo e della legislazione sui pentiti (strumento per porre fine agli anni di “piombo”), alle indagini sulle associazioni criminali di tipo mafioso in Lombardia, all’indagine e al dibattimento nel processo a carico dei sequestratori, appartenenti ai servizi segreti italiani e americani, di Abu Omar – è costituito dal fondamentale e ineludibile rispetto di Spataro del principio di legalità e delle norme codificate (innanzi tutto della Costituzione e del principio di obbligatorietà dell’azione penale), simboleggiato dal Codice rinvenuto nelle mani del giudice Guido Galli, ucciso dalle Brigate Rosse. Gli atti di terrorismo si dipanano nella rievocazione attraverso le indagini e i processi che si intrecciano con gli omicidi, tra gli altri, dei magistrati Alessandrini e Galli; il ricordo si alterna con la trattazione del sequestro Abu Omar, con tutte le implicazioni diplomatiche e politiche, compresi il silenzio delle Istituzioni sulle richieste di estradizione degli imputati di nazionalità statunitense appartenenti alla Cia e i provvedimenti governativi con cui veniva deliberato di sollevare conflitti di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, tra poteri dello Stato e Pubblici Ministeri e Giudici del Processo Abu Omar. L’opera di Spataro si trasforma in vero e proprio trattato di legislazione e politica giudiziaria, nell’affrontare osservazioni e riflessioni su “lodi”, processo breve, norme sulla immigrazione, disastri ambientali, modifiche alle norme sulle intercettazioni, riforma della giustizia, sullo sfondo dell’ormai ricorrente problema dei rapporti tra sicurezza sociale e garanzie di libertà.

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

L’Autore fornisce valutazioni, improntate alla sua esperienza, esprimendo con metodo diretto e chiaro i suoi commenti sullo svolgimento dei fatti, sulle norme introdotte o preannunciate, sugli atteggiamenti di persone (politici, uomini di governo, magistrati ed ex magistrati, giornalisti ed ex giornalisti). Il volume diventa in tal modo, con l’arricchimento di note, richiami giurisprudenziali, direttive governative, risoluzioni parlamentari europee, appelli per la giustizia, aggiornamenti normativi, un vero e proprio manuale di consultazione per tecnici e addetti ai lavori, ma anche per chi voglia arricchire le conoscenze nei settori di amministrazione della giustizia e nei suoi “rapporti” con la politica. Con sapienti intercalari, che vengono percepiti dal lettore come espressione di ordinaria “umanità”, Spataro racconta la sua vita, privata, con la giovinezza sportiva trascorsa a Taranto e con la maturità del cinquantenne partecipante alla “maratona” di Chicago; e pubblica, con gli inizi professionali, gli impegni associativi e istituzionali, quale componente del Consiglio Superiore della Magistratura (impegno del quale conservo, insieme a colleghi e magistrati operanti in Brindisi all’epoca, ricordo della sua visita presso il nostro Tribunale nell’anno 2001); con i ricordi del padre Vincenzo, che completò la professione di magistrato quale P.G. e quindi Presidente di Sezione della Corte di Appello di Lecce; con la commozione per lo struggente ricorso dei nonni, mai conosciuti, ritrovandone le tracce sui luoghi siciliani ove erano vissuti. Valeva la pena spendere una vita in un impegno professionale unico e avvincente; valeva la pena rendere pubbliche le ragioni che hanno animato quell’impegno.

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