Quaderni Anno XI - N 1-2/2011

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QUADERNI RIVISTA QUADRIMESTRALE DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRINDISI

Anno XI - N. 1-2/2011

Autorizzazione Tribunale di Brindisi n. 10 del 16 maggio 2001

Testata associata all'A.STA.F. ISSN 1972-8956

Direttore Responsabile Augusto CONTE Comitato di redazione

Pasquale ANNICCHIARICO, Roberto CAVALERA, Giustina GIORDANO, Dario LOLLI, Antonio MAURINO, Emanuele MILONE, Carlo PANZUTI, Alessandra PORTALURI, Paolo VADACCA.

Direzione

ORDINE DEGLI AVVOCATI presso IL TRIBUNALE DI BRINDISI

Palazzo di Giustizia Via Lanzellotti, 3 - Tel. 0831/586993 72100 BRINDISI www.ordineavvocatibrindisi.it presidente@ordineavvocatibrindisi.it consiglio@ordineavvocatibrindisi.it Redazione e pubblicità EDIZIONI GRIFO via Sant'Ignazio di Loyola, 37- Lecce tel. 0832/454358 edizionigrifo@gmail.com Stampa Locopress (Mesagne) Tutti gli iscritti all'Ordine possono collaborare alla rivista del Consiglio con articoli su problemi di interesse generale: la Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli che pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti.

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Sommario

• EDITORIALE di Augusto Conte

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• ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO - Relazione morale del Presidente all'Assemblea Ordinaria del 20/1/2012 - Cerimonia del conferimento delle Toghe di Platino, delle Toghe d'Oro e d'Onore, del Premio Pietro Colucci di Alessandra Portaluri

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• IL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE

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• CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE - 2011 anno dell'avvocatura Una storia di libertà e diritti 116 - Lettera del Presidente Alpa agli Avvocati: concluso un anno difficile ma l'avvocatura non si piegherà agli interessi dei poteri forti 122 • OPINIONI E DOCUMENTI - Gestione di affari ex art. 2028 c.c. e Pubblica amministrazione di Ottavio Carparelli 125 - Illegittimo l'“opinamento" senza l'avvio del procedimento di Ottavio Carparelli 138 - Giustizia Civile tra oscurantismo politico e legislazione liberticida di Claudio Consales 152 - Il potere del G.A. di accogliere la domanda di annullamento del provvedimento amministrativo con effetti “ex tunc”, “ex nunc” o conformativi di Gianfranco Somma 165 IN COPERTINA: Luca Giordano (1634-1705), Allegoria della Giustizia, olio su tela, 1684-1686, Museo delle Belle Arti, Budapest.


- La rilevanza penale dell'ipercura di Gianmichele Pavone

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• NOTE DI STORIA FORENSE - Il sistema delle pene nei codici penali del Regno delle Due Sicilie e del Regno di Sardegna (Quarta parte) di Augusto Conte

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• CONVEGNI E CONGRESSI - Un'altra giustizia. Approdo ineludibile di Danilo Di Serio - A.I.G.A. Brindisi: il congresso di Catania XXI Congresso Nazionale Associazione Italiana Giovani Avvocati “Generazione legalità" di Alessandra Galetta

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• RICORDI - Giuseppe Attolini di Augusto Conte - Umberto Pagano di Augusto Conte

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• SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE - TIZIANA CARRUBBA, BRUNO CHERCHI, MICHELE CONSIGLIO, ANTONIO MURA, ETTORE RANDAZZO, VALERIO SPIGARELLI, Giudice, Difensore e P.M. in aula di Augusto Conte - VINCENZO GAROFOLI, GIANMICHELE PAVONE La Tutela della sicurezza pubblica tra priorità italiane e rapporti internazionali di Augusto Conte

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRINDISI Presidente Avv. Carlo PANZUTI Cons. Segr. Avv. Antonio MAURINO Cons. Tesor. Avv. Alessandra PORTALURI

Consiglieri Avv. Pasquale ANNICCHIARICO Avv. Giuseppe Armando ATTOLINI Avv. Roberto CAVALERA Avv. Ilaria CRESCENZO Avv. Roberta DE CASTRO Avv. Mario DE GUIDO Avv. Giustina GIORDANO Avv. Dario LOLLI Avv. Emanuele MILONE Avv. Francesco SILVESTRE Avv. Paolo VADACCA

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EDITORIALE

EDITORIALE di AUGUSTO CONTE

È singolare che nei periodi di crisi economica si torni a insistere sulle “liberalizzazioni” delle professioni intellettuali e, in particolare, della professione legale, con il rischio che dalla crisi economica si passi alla crisi e quindi all’oscuramento dei principi democratici di libertà e alla violazione dei diritti. Ed è ancora più singolare che nei Paesi, come il nostro, a regimi liberali, si invochino provvedimenti limitativi e distruttivi dell’attività professionale degli Avvocati, ormai da tempo rifiutati dai regimi totalitari (di destra o di sinistra) nei quali le professioni liberali, esercitate a favore dei diritti e delle libertà della collettività, potevano essere di fastidio e di intralcio all’esercizio del potere. Chi propone al legislatore l’emanazione di norme recanti un ulteriore divieto dell’uso di tariffe fisse e minime, che garantiscono il controllo e il costo dell’attività; chi insiste nel consentire l’introduzione nelle categorie professionali di società di capitali, ove possono confluire sostegni e interessi economici di provenienza occulta e dubbia, con inquinamento, condizionamento e limitazione della libertà nelle scelte professionali; chi richiede l’abolizione degli Ordini professionali, lasciando i professionisti, soprattutto i giovani e i praticanti, allo sbando, senza controllo, né reQuaderni

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EDITORIALE

gole e vigilanza deontologica, ha di mira la eliminazione dalla società dell’ultimo baluardo posto a tutela dei diritti dei cittadini rappresentato dalla Avvocatura. La giustificazione delle mortificanti e devastanti richieste trova impropriamente e infondatamente riferimento nell’art. 41 della Costituzione, non considerando che il principio espresso dal costituente non solo assicura la libertà dell’iniziativa economica, ma ne garantisce lo svolgimento in armonia con l’utilità sociale, evitando danni alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, e soprattutto dimenticando i principi costituzionali che stabiliscono l’inviolabilità del diritto alla difesa e consentono a tutti i cittadini, anche non abbienti, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Purtroppo non solo le grandi categorie imprenditoriali e multinazionali, interessate a contenere, o eliminarli, gli interventi della difesa e il costo della tutela dei diritti, ma anche il legislatore è stato “distratto” dalla valorizzazione del pilastro di democrazia e di libertà costituito dalla difesa, come si può osservare dal rilevante costo di accesso alla giustizia, ordinaria e amministrativa; dall’introduzione della mediazione con la quale, dichiaratamente, con la scusa di accelerare i tempi della giustizia civile, non si persegue più la tutela dei diritti, ma l’utilità economica anche con sacrificio dei diritti stessi e senza alcun beneficio, anzi con l’allungamento dei tempi e l’aumento dei costi delle controversie; dalla possibilità per l’opponente, nei giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione previsti dalla Legge 24.11.1981, n. 689 e di opposizione a verbale di ac4

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certamento di violazione del Codice della Strada previsti dal D.L.vo 30.4.1992, n.285, di stare in giudizio nel primo grado personalmente, eliminando il principio costituzionale della obbligatorietà della difesa tecnica. La voce delle categorie professionali e, in particolare, quella degli Avvocati, che aveva assunto un tono di rilievo nella società post-industriale, è divenuta, nella società della globalizzazione e di internet, sempre più flebile, e tende a essere sempre meno udita e ascoltata. Chi ha responsabilità di istruzione, di formazione, di informazione; chi ha a cuore le sorti delle libertà democratiche; chi divulga pubblicazioni in materia di diritto e di giustizia; chi amministra il settore giudiziario a tutti i livelli, avendo capacità di discernimento dei veri valori costituzionali della difesa; chi crede nei principi espressi dalla Carta Costituzionale; chi condivide il messaggio del Presidente della Repubblica, secondo il quale “l’avvocatura costituisce una componente peculiare dello Stato di diritto, perché a essa spetta l’insostituibile funzione di assicurare una efficace tutela dei diritti fondamentali della persona e garantisce una rapida definizione delle controversie di natura economica”, si preoccupi e si occupi di dare fiato alla voce dell’avvocatura, che non persegue interessi propri, ma è di sostegno delle libertà individuali e delle sorti dei diritti della collettività.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Relazione morale del Presidente all’Assemblea Ordinaria del 20 gennaio 2012 SOMMARIO 1)- La condizione dell’Avvocatura nel biennio 2010-2011 e gli ultimi attacchi alle professioni intellettuali. Le prospettive a breve e lungo periodo. L’attività e il ruolo dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi. 2)L’attività regolamentare del Consiglio dell’Ordine - 2.a – La formazione continua - 2.b – La difesa d’ufficio. 3)- L’attività amministrativa. 4)- L’attività di etica forense. La progettualità per una cultura professionale e deontologica. L’obbligo formativo e i piani per l’aggiornamento predisposti dall’Ordine Forense e dalla Fondazione dell’Avvocatura della Provincia di Brindisi. 5)- La media-conciliazione e l’Organismo di Mediazione Forense di Brindisi. 6)- La Biblioteca Forense “Avv. Carlo Monticelli”. 7)- Rapporti con i magistrati e con le istituzioni civili, militari e religiose del territorio. 8)- Rapporti con le istituzioni forensi e con le associazioni nazionali e territoriali. 9)- Il Consiglio e l’Amministrazione della Giustizia nel territorio.

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1. La condizione dell’Avvocatura nel biennio 2010-2011 e gli ultimi attacchi alle professioni intellettuali. Le prospettive a breve e lungo periodo. L’attività e il ruolo dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi. Mi accingo a riscrivere la relazione dopo che giovedì 12 è stato diffuso il testo provvisorio del secondo decreto Monti, in cui com-

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

paiono tre articoli dedicati alla liberalizzazione delle professioni, e dopo che ho partecipato sabato 14 presso la sede amministrativa del C.n.f. ad una riunione di tutti gli Ordini territoriali d’Italia, delle Unioni regionali degli ordini, dell’O.u.a., della Cassa Forense, delle associazioni maggiormente rappresentative, tra cui le Camere Penali, l’Aiga, le Camere Civili, l’Aiaf e i Giuslavoristi. Lo storico momento sociale e politico che l’Italia vive nel contesto europeo e mondiale ha indubbiamente influito sul mondo delle professioni intellettuali attraverso un incessante battage informatico sul programma delle c.d. liberalizzazioni. Avverto allora l’esigenza di ripercorrere i due anni passati e di soffermarmi sul prossimo futuro e più in là su di uno scenario a lungo termine. Non era mai accaduto prima che l’Avvocatura riuscisse coralmente a esprimere una piattaforma condivisa sulla riforma del nostro ordinamento professionale. Sotto la guida del Consiglio Nazionale Forense e dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura tutte le nostre componenti istituzionali (gli Ordini territoriali e le Unioni regionali degli stessi), la Cassa Forense e tutte le associazioni maggiormente rappresentative (tra cui l’Unione delle Camere Penali, l’Aiga e l’A.n.f. quali principali) è stato elaborato e presentato un disegno di legge, anche su sollecitazione dell’allora Ministro della Giustizia, che ha valorizzato la funzione costituzionale dell’Avvocato come espressione del bene fondamentale della tutela dei diritti delle persone e del diritto di difesa, ha dato spessore alla categoria attraverso l’affermazione di una sua specialità nel novero delle professioni intellettuali, ha rafforzato l’immagine di soggetti capaci di offrire prestazioni qualitative grazie anche a un sistema obbligatorio e continuo di formazione e aggiornamento, ha caratterizzato l’accesso alla professione attraverso un sistema binario di pratica e alta formazione per garantire un elevato indice qualitativo che possa essere al passo con le esigenze di una società moderna e complessa, ha rivisto l’orQuaderni

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ganizzazione della disciplina degli avvocati mediante la previsione di un organo distrettuale giudicante distinto dai Consigli territoriali degli Ordini, ha previsto e rafforzato un potere regolamentare del Consiglio Nazionale e degli Ordini territoriali, ha definitivamente normato anche le funzioni di rappresentanza “politica” degli organi locali e nazionali. È storia che il testo, transitato in Commissione Senato, ha ricevuto diverse modifiche sia in quella sede che nell’aula parlamentare dove è stato finalmente licenziato nel novembre del 2010. Nell’altro ramo del Parlamento si è avuta una battuta di arresto, la quale è poi coincisa con l’evolversi precipitoso della crisi economica e con le note vicissitudini politiche che per mesi hanno condizionato l’attività parlamentare fino poi a precipitare nella c.d. legge di stabilità che in più momenti, quello dell’approvazione del decreto legge di agosto, l’altro della conversione in legge e l’ulteriore modifica di novembre, hanno interessato anche il campo delle professioni intellettuali facendolo rientrare nel programma delle liberalizzazioni, cui ho fatto cenno all’inizio di questa relazione. Ricordo che nell’art. 3 di tale legge si prevede la riforma degli ordinamenti professionali indicando che: 1) sia fatto salvo l’esame di Stato di cui all’art. 33 della Costituzione per le professioni regolamentate; 2) sia garantito che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni: a. ai principi di libera concorrenza; b. alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale; c. alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. La riforma deve avvenire recependo i seguenti criteri:

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• l’accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista; la limitazione del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, è consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata su nazionalità o, in caso di esercizio dell’attività in forma societaria, della sede legale della società professionale; • previsione dell’obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali; • la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione; al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto; al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a 18 mesi; sulla base di convenzioni fra i consigli nazionali e il ministero dell’istruzione, università e ricerca il tirocinio potrà svolgersi in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica; • il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale; il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico; Quaderni

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in caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto del Ministro della Giustizia; • a tutela del cliente il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale e a rendere noti, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata e il massimale; • gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione di organi di livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali affidare l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina; • la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni e i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio e i compensi delle prestazioni, è libera; le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie. Dopo che alcuni anni addietro era stato abolito il divieto di esercitare la professione in forma societaria e introdotta dunque la possibilità di costituire quelle su base personale, con la nuova legge di stabilità è consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI (società cooperative e mutue assicuratrici) del libro V del codice civile, e dunque: società semplice; società in nome collettivo; società in accomandita semplice; società per azioni; società in accomandita per azioni; società a responsabilità limitata. Queste le caratteristice:

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ÿ esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci; ÿ ammissione in qualità di soci di soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché di cittadini degli stati membri dell’Unione europea, purché in possesso del titolo abilitante, ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento (i c.d. soci di capitale); ÿ criteri e modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale; designazione del socio professionista compiuta dall’utente e, in difetto, il nominativo previamente comunicato per iscritto all’utente; ÿ modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo; ÿ denominazione della società con l’indicazione obbligatoria di società tra professionisti; ÿ il socio può partecipare ad una sola società tra professionisti; ÿ osservanza del codice deontologico del proprio ordine sia per il professionista socio che per la società, la quale deve essere iscritta in un ordine e soggiacere al regime disciplinare; ÿ costituzione di società tra professionisti anche per l’esercizio di più attività professionali. Se nell’agosto del 2011 il disegno di legge prevedeva che la riforma dovesse effettuarsi con legge ordinaria, in sede di conversione nel novembre successivo è stata introdotta la previsione che essa si attui attraverso la predisposizione di un regolamento amministrativo approvato con decreto del Presidente della Repubblica. Il vulnus evidente è rappresentato dall’esautorazione della discussione e approvazione parlamentare, delegando i contenuti ai Quaderni

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funzionari ministeriali ed evitando così il confronto con le categorie interessate. Nei due millenni trascorsi si è evoluta la figura dell’avvocato, tra tutti i professionisti intellettuali, in direzione di un soggetto dedito alla tutela dei diritti delle persone e dei cittadini e al dovere costituzionale della difesa sancito nell’art. 24, il quale deve garantire un’alta qualità delle prestazioni, essere scrupoloso alfiere degli interessi dell’assistito nel contemporaneo rispetto massimo della legge ma al quale, nello stesso tempo, devono essere garantiti la libertà di pensiero e di giudizio, di formazione, di scelta tecnica nell’esercizio professionale, di autonomia e indipendenza dai poteri pubblici e dai gruppi sociali privati, la dignità e il decoro della funzione e un compenso adeguato all’importanza dell’opera e al decoro stesso appena richiamato. Trovo grave allora che in una società complessa come l’italiana si voglia con un colpo di spugna, rappresentato dall’allarmante scelta della via regolamentare, eliminare il necessario dibattito e confronto sui temi e i contenuti della riforma degli ordinamenti professionali, al fine di perseguire logiche di mercato che nel resto dei paesi dell’Unione Europea ma anche di quella continentale intera non hanno diretti paragoni. Basti considerare che in Francia e in Germania, solo per citare le nazioni evolute più vicine a noi anche per struttura sociale e ordinamentale, non è consentito nelle società di professionisti l’ingresso di soci di capitale di maggioranza. E del resto è sotto gli occhi di tutti che in una società di capitali è possibile che il governo e il controllo effettivo di essa sia appannaggio della minoranza del capitale; figuriamoci cosa accadrà consentendo addirittura pacchetti azionari di maggioranza. È un regalo – ma forse una precisa volontà indifferenziata delle forze politiche che ha preso le mosse già dal noto decreto Bersani – ai gruppi economici, anche definiti “poteri forti” (banche, assicurazio-

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ni, multinazionali, grandi e medie industrie, lega delle cooperative) che da sempre spingono per avere la possibilità di professionisti legali interni. La previsione del socio di capitale di maggioranza costituisce una modalità per aggirare il divieto di esercitare la professione in via esclusiva, con vincolo di subordinazione per soggetti privati. Ma la giuridica facoltà che ora si vuole concedere ai potentati economici ha in sé due paradossi: per primo consentire al socio di capitale di lucrare nel settore dei “servizi legali” ricevendo utili da un lato ma risparmiando considerevolmente dall’altro – addirittura azzerando – le spese per le controversie gestite (si pensi alle banche e alle assicurazioni); per secondo accrescere il divario sostanziale con il privato che entra in conflitto con tali gruppi economici, perché la forte riduzione dei costi per i secondi diminuisce il rapporto paritario nella difesa. Determina, infine, una notevole erosione del lavoro degli avvocati, perché la strutturazione in società di capitali, con il controllo sostanziale del socio di capitale interessato direttamente al contenzioso e alla gestione delle sue pratiche stragiudiziali, consente l’apertura di limitate sedi secondarie con perdita del lavoro da parte dei professionisti che domiciliano nelle sedi periferiche. Il tema delle tariffe, poi, ha del grottesco affrontato oggi in un sistema economico in fase di recessione: il continuo riferimento al mercato come la panacea dei mali del mondo sviluppato sconta la carenza dello stesso presupposto, perché, quando esso è debole, fermo e in reflusso, non può esprimere appieno il sistema di una concorrenza che, nei servizi legali, deve principalmente guardare alla qualità delle prestazioni. In fase di depressione economica accade invece che la concorrenza determini un anomalo ribasso dei compensi, quasi che esso costituisca l’unica maniera di accaparrarsi clientela e guadagni, certamente non congruo e adeguato all’importanza dell’opera e alla sua complessità nella materia vastissima dei diritti. La storia ha insegnato, invero, che sotto i Borboni nel Regno di Quaderni

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Napoli v’erano troppi avvocati, i quali pretendevano compensi elevati favoriti dall’assenza di criteri ponderati di riferimento. Fu così che proprio i Borboni introdussero il sistema delle tariffe al fine di calmierare il c.d. mercato. E non pare dubitabile che in un’economia forte e rigogliosa l’assenza di punti di riferimento regolamentati favorisca la pratica di compensi generosi, come del resto dimostrano le due principali società anglosassoni dove i cittadini e le persone sono costretti a stipulare polizze assicurative per fare fronte alle spese legali e a quelle mediche. Mi meraviglio, allora, che in tutto questo tempo non si sia riusciti a far emergere i principi sanciti dal giudice europeo, che costituiscono diritto vivente, secondo cui una limitazione al principio di libera prestazione dei servizi professionali può essere consentita allorché ragioni imperative di interesse pubblico la giustifichino; ragioni che con riferimento alla inderogabilità dei minimi alla tariffa degli avvocati vengono individuate nell’esigenza di garantire la qualità della prestazione professionale a tutela dei consumatori e la buona amministrazione della giustizia. Sussistendo questi obiettivi, l’obbligatorietà dei minimi può essere giustificata allorché vi sia il rischio che, per le caratteristiche del mercato, la concorrenza al ribasso sull’offerta economica tra operatori possa pregiudicare la qualità della prestazione (sentenza n. 94 del 5.12.2006 nelle cause riunite C.04/04 e C.202/04). In una vicenda sorta prima dell’entrata in vigore del decreto Bersani la Cassazione Lavoro ha affermato che nel contesto italiano, caratterizzato da un’elevata presenza di avvocati, le tariffe che fissano onorari minimi consentono di evitare una concorrenza che si traduce nell’offerta di prestazioni “al ribasso”, tali da poter determinare un peggioramento della qualità del servizio (n. 20269 del 27.9.2010). È comune sentire che la pervicace volontà di perseguire l’abolizione delle tariffe rappresenta un favore per quei poteri forti cui sopra si è fatto cenno, ma non certamente per quelli che oggi vengono

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definiti “utenti” o “consumatori” nella legge di stabilità e nelle altre affini. Il provvisorio art. 7 del secondo decreto Monti prevede l’abrogazione delle tariffe minime e massime, la soppressione di esse come punto di riferimento per il giudice e la sostituzione dell’apporto consultivo dell’ordine professionale con una determinazione del compenso “secondo equità”. Rimane invariato, per ora, il secondo comma dell’art. 2233 del codice civile, e dunque bisogna approfondire il tema del giudizio secondo equità coordinato con i criteri di adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Si noterà facilmente che un simile articolato contrasta con i criteri dettati nella legge di stabilità, dove in effetti le tariffe rimangono in vigore come riferimento in caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi. E così nella stessa legge di stabilità la forma scritta costituisce più un enunciato che un obbligo, mentre nel decreto che circola si individua un apposito dovere deontologico, il cui mancato rispetto rappresenta illecito disciplinare. Si è in presenza, quantomeno, di una violenza regolamentare a concordare il “preventivo” (che sia il lapsus di un onere riservato agli artigiani) con il cliente. Questi eventi hanno posto all’ordine del giorno di tutte le componenti dell’Avvocatura il bisogno primario di rafforzare l’unità interna, riattivando e proseguendo un fitto dialogo costruttivo che proietti all’esterno, nella società civile e verso le autorità politiche e amministrative, un’immagine di coesione degli Avvocati che possa aiutare nel confronto su temi cruciali per il futuro della professione. Non un preconcetto rifiuto delle idee liberistiche ma un condiviso percorso che, prendendo in considerazione anche le riflessioni e le proposte della categoria, giunga ad una sintesi che contemperi le esigenze del Quaderni

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c.d. mercato e quelle di una peculiare funzione costituzionale, che non può soggiacere tout court al dio danaro ma che lo utilizza come mezzo per favorire l’effettiva difesa etica e giuridica del bene della vita dei cittadini e delle persone che vivono nelle nostre comunità. Verificato a più riprese che in effetti la parte politica tergiversa, quantomeno sull’offrire la possibilità di un dialogo, nel corso dell’ultimo anno sono state avviate diverse iniziative di contrasto e di sollecitazione al tempo stesso, sempre intervenendo sul merito delle questioni e dimostrando gli errori di prospettiva delle scelte compiute o da compiere. L’azione ha visto in prima linea gli organi istituzionali, nazionali e locali (Cnf, Ordini territoriali, Unioni regionali), e quelli politicamente rappresentativi come l’Oua e le associazioni maggiormente rappresentative. Tra le battaglie che continuano meritano di essere citate quelle per informare i cittadini e le persone sull’aumento ingiustificato dei costi per l’accesso alla giustizia, con un rilevante incremento del contributo unificato, l’ingresso di esso in materie tradizionalmente esenti (come il lavoro, le separazioni e divorzi e altri) nonché le indennità da corrispondere per la mediazione obbligatoria nelle materie contemplate, e l’altra per conseguire l’eliminazione dell’obbligatorietà nel nuovo sistema di media-conciliazione. La questione è nota a Voi tutti e posso evitare di soffermarmi sui particolari, ma ritengo importante sottolineare che tutta l’Avvocatura avversa le linee fondanti della disciplina perché snaturano l’essenza della vera mediazione di origine europea e anglosassone, basata sulla scelta volontaria delle parti, per perseguire una sbandierata deflazione del contenzioso gravando soprattutto sui bilanci delle famiglie e sconsigliando l’accesso alla giustizia per motivi economici dei costi e non già per lo sviluppo e la crescita dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie. Il nostro Ordine ha condiviso la posizione critica, ha partecipato e partecipa a tutte le iniziative che servano a favorire una giusta

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ed equilibrata diffusione della cultura della mediazione e al tempo stesso ha ritenuto doveroso impegnarsi in prima persona anche attraverso l’istituzione dell’Organismo Forense di Brindisi, sul quale mi soffermerò appresso. Nel breve periodo, e cioè entro la fine del mese di gennaio del nuovo anno 2012, si è deciso nella riunione del 14 scorso una protesta durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario così articolata: il Presidente Prof. Alpa parteciperà il 26 alla cerimonia in Cassazione tenendo una relazione forte, decisa e di contrasto, cui seguirà una conferenza stampa; nelle manifestazioni locali si presenteranno i soli presidenti dell’ordine distrettuale che, dopo la lettura di un comunicato concordato di protesta, abbandoneranno la sala. Il prossimo 20 gennaio è stata già indetta un’altra riunione presso l’Oua per deliberare sulle ulteriori iniziative di contrasto. Il Corriere della Sera di domenica 15 riportava la notizia che martedì 17 il Ministro Severino incontrerà i rappresentanti delle professioni. Tale disponibilità fa seguito al moltiplicarsi delle pressioni positive per l’apertura di un tavolo di confronto tra la categoria, rappresentata nei massimi vertici politici e istituzionali, e il Governo, il Parlamento e le forze politiche in generale, al fine di frenare la vorticosa impazienza di stravolgere in pochissimo tempo un mondo che merita migliore considerazione ma soprattutto richiede seri e meditati approfondimenti. Spaziando più in là nel tempo, la data del 13 agosto 2012 dovrebbe segnare il passaggio al nuovo ordinamento, perché con il primo decreto Monti si è modificato l’originario testo, in cui si prevedeva l’abrogazione degli ordinamenti professionali vigenti con l’entrata in vigore della riforma, stabilendo che quel giorno comunque, e cioè anche in assenza del regolamento delegato, si produrrà l’effetto della citata abrogazione. Gli strali di tutta l’Avvocatura si sono scagliati contro questa indiQuaderni

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cibile violenza verbale e intimidatoria, che fa scaturire l’effetto giuridico dell’abrogazione anche in presenza di un’inerzia degli organi amministrativi del Ministero della Giustizia. Nel medio e lungo periodo è necessario proseguire il cammino del cambiamento innanzitutto dall’interno, continuando a diffondere il dialogo e il confronto sui veri temi della professione, consapevoli che un arroccamento sul passato è destinato al fallimento ma che l’apertura costruttiva e propositiva sui bisogni concreti degli assistiti, soprattutto in termini di chiarezza e trasparenza del rapporto professionale sui costi, sulle garanzie di professionalità e sui nostri doveri, può giovare a traghettare l’Avvocato nel nuovo millennio rafforzando la sua preminente posizione nella società come soggetto costituzionale ineliminabile in una democrazia compiuta e viva, che non può rinunciare o arretrare sull’effettivo diritto di difesa e sul rapporto paritario delle parti nel sistema giustiziale. Il dialogo non significa buonismo; esso è lo strumento democratico che veicola le idee, le elabora e le concretizza; parallelamente occorre essere vigili, come sinora è accaduto con i vertici delle nostre rappresentanze, e continuare a mettere in campo le azioni positive per arginare l’unilaterale voglia di smantellare le professioni, che certamente alberga nel sottosegretario Catricalà, già famoso presidente dell’Antistrust a cui si deve l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Ordine Forense di Brescia per avere irrogato una sanzione disciplinare nella vicenda del c.d. “negozio giuridico”. In questi anni, e nell’ultimo biennio, l’Ordine di Brindisi ha partecipato attivamente fornendo agli organi nazionali apporti consultivi su ogni questione sorta o prospettata, discutendola sia tra gli iscritti che in Consiglio; ha preso ferme e dure prese di posizione condividendo le scelte scaturite nel dibattito generale ed anzi spesso proponendo le soluzioni anche con l’ausilio del nostro delegato all’Oua e con il consigliere nazionale forense, sempre vicino agli avvocati di Brindisi in prosecuzione di un rapporto di stima e di affetto che dura

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da anni. Posso dire che il nostro Ordine ha avuto in tutti questi anni positivi riconoscimenti a livello nazionale e locale.

2. L’attività regolamentare del Consiglio dell’Ordine. 2.a – La formazione continua. Il biennio trascorso è stato lo spartiacque tra la fine del primo triennio transitorio del sistema di formazione continua istituito dal Consiglio Nazionale Forense e l’inizio del nuovo ciclo. Non v’è dubbio che l’obbligatorietà dell’aggiornamento professionale non ha trovato entusiasti gli avvocati del circondario, in ciò accomunati nel sentire diffuso sull’intero territorio nazionale. Non si è trattato di un rifiuto aprioristico, giacchè la necessità di aggiornarsi e approfondire i temi delle questioni nuove o di quelle che interessano più direttamente l’attività è insita nella nostra professione e dunque nell’esercizio diuturno, piuttosto di un naturale fastidio collegato ad un senso quasi spontaneo di ribellione ad un sistema vissuto come imposizione. La mancanza di una fase preventiva di ascolto e di dibattito sull’importanza storica di offrire, da un lato, un’immagine positiva di un avvocato qualificato e di rendere, dall’altro, la prassi quotidiana dello studio un momento d’incontro e di condivisione degli iscritti ha scontato un malessere diffuso, che via via, nel corso dei primi tre anni, ha lasciato il passo a una maggiore consapevolezza di vivere l’aggiornamento come l’insieme di occasioni per confrontarsi sui temi di maggiore interesse per la propria attività. Attento ad ascoltare le esigenze motivate di tutti, il Consiglio si è posto doverosamente il problema del passaggio dal regime transitorio a quello ordinario con 90 crediti e – sia consentito il richiamo – su mia sollecitazione ha valutato di prorogare per un secondo triennio Quaderni

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la disciplina transitoria razionalizzando la distribuzione dei crediti. Ciò ha comportato l’approfondimento sul potere regolamentare di derogare al sistema nazionale e, anche sulla base di consultazioni con gli altri Ordini pugliesi (in specie quelli di Taranto e Bari, che poi hanno effettuato la nostra stessa scelta), si è proceduto a elaborare un regolamento organico della formazione continua, inglobando le linee guida già licenziate nella prima fase transitoria. Per il secondo triennio allora i 50 crediti totali sono stati suddivisi con un minimo di 10 per anno e i residui da conseguire a scelta, riservandone obbligatoriamente una quantità per la materia della deontologia e della previdenza forense. Per raccordare e rendere comprensibili le diverse ipotesi di suddivisione dei crediti nei trienni, in considerazione che la nascita dell’obbligo formativo avviene a decorrere dall’anno solare successivo all’iscrizione all’albo o all’acquisizione del patrocinio legale con la coeva compiuta pratica, è stata elaborata un tabella riepilogativa ed esplicativa, di facile lettura. Dopo la nostra decisione di prorogare il regime transitorio, il Consiglio Nazionale Forense ha stabilito la riduzione dei crediti al numero di 75 per triennio, rispondendo all’evidente richiesta proveniente dalla base di tutti gli iscritti. Ciò conferma che il nostro Consiglio ha intercettato prima e per tempo questa esigenza, riuscendo ad adattarla alle necessita locali. Un’importante aggiunta a regime è stata quella di prevedere l’attribuzione dei crediti per gli abbonamenti a riviste e a pubblicazioni collettanee, così come alla produzione e pubblicazione di lavori su riviste, anche on line, di larga diffusione. La scelta è nata dall’ovvio rilievo che attraverso l’acquisto di opere, che si interessano di diffondere le ultime novità giurisprudenziali e dottrinarie, l’avvocato compie periodicamente l’aggiornamento su temi e questioni attinenti alla sua area di maggiore o prevalente esercizio, mettendo dunque in pratica il sistema di formazione continua.

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2.b – La difesa d’ufficio. Sin dalla modifica normativa sulla difesa d’ufficio, dieci anni orsono, fortemente voluta dall’Avvocatura che partecipò attivamente alla stesura del testo, il Consiglio sentì l’esigenza di rafforzare il ruolo del difensore, elaborando un decalogo dei comportamenti da offrire ai Colleghi che si fossero impegnati in quell’esercizio professionale da caratterizzare con una presenza qualificata e partecipe nella tutela degli interessi dell’assistito a lui affidato dallo Stato, facendo così dimenticare lo stereotipo del difensore d’ufficio come semplice comparsa nel processo. Al lavoro allora licenziato, in cui una parte attiva ebbe il nostro Collega Marcello Falcone, si è sentita l’esigenza di mettere mano per aggiornarlo e adattarlo in conseguenza proprio dell’esperienza occorsa in tutti questi anni. Procedendo ad un’analisi dei diversi comportamenti riscontrati nel concreto esercizio della difesa, delle sollecitazioni pervenute da segnalazioni anche della magistratura durante la trattazione dei processi, del confronto con i colleghi nei corsi tenuti in questi anni, è stato predisposto un apposito regolamento grazie all’impegno in particolare del Consigliere Pasquale Annicchiarico e della Camera Penale “O. Melpignano” di Brindisi sotto la presidenza del Collega Giancarlo Camassa. L’organicità dell’elaborato, la completezza di ogni aspetto dei temi che riguardano la difesa d’ufficio, la specifica attenzione ai doveri e all’individuazione di prassi virtuose vuole essere la guida verso un consapevole esercizio dell’alta funzione assegnata all’avvocato quando s’impegna in un compito che risponde a primarie esigenze di pubblico interesse e che deve rappresentare al meglio la nostra professione come insostituibile anello democratico della giurisdizione. Quest’anno il Consiglio e la Camera Penale hanno organizzato Quaderni

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insieme, proseguendo la tradizione risalente agli impegni assunti tra Augusto Conte e l’indimenticato Giuseppe Attolini, un corso che ha visto una vasta partecipazione, al di là invero di ogni aspettativa. È stata l’occasione giusta per presentare a tutti il nuovo regolamento, commentarlo, discuterlo e diffonderlo per una condivisione partecipata dello spirito che lo anima.

3. L’attività amministrativa. 3.1- Gli avvocati iscritti nell’albo al 31 dicembre 2011 hanno raggiunto il numero di 1678 (le donne avvocato sono 759), di cui 305 patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori (le donne sono 51); in tale numero sono compresi gli iscritti nell’elenco speciale degli addetti agli enti pubblici (in numero di 18), nell’elenco dei professori universitari (in numero di 4) e nell’elenco degli avvocati stabiliti (in numero di 1, proveniente dalla Germania). I praticanti avvocati iscritti nel registro alla stessa data sono 548 (il numero delle donne è di 335, maggiore degli uomini), di cui 88 abilitati al patrocinio (il numero delle donne è di 53). Dal 1994, anno in cui il numero degli avvocati è diventato 558 determinando l’aumento dei consiglieri da 9 a 15, al dicembre dello scorso anno gli iscritti si sono dunque triplicati. Analizzando i flussi del periodo 2005-2011 si nota un rallentamento della crescita degli avvocati, in particolare dall’anno 2010; l’ultimo biennio infatti lascia intravedere un cambio tendenziale di diminuzione delle iscrizioni. Lo stesso fenomeno si osserva per i praticanti, che a partire dall’anno 2010 sono diminuiti in valore assoluto rispetto al 2009. Nell’anno 2009 si è avuto il pareggio di iscrizioni tra donne e uomini (658 le prime, 659 i secondi) e dal successivo 2010 le prime sono in numero maggiore (685 contro 671; 708 contro 665).

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Tra i praticanti le iscrizioni delle donne sono maggiori degli uomini già dall’anno 2005. Il divario rimane ancora intatto tra gli avvocati cassazionisti. 3.2- Il Consiglio nel corso del biennio ha tenuto 86 adunanze (40 nel 2010 e 46 nel 2011, comprese quelle aventi contenuto disciplinare) nel corso delle quali si è impegnato a valutare domande d’iscrizione e cancellazione, spesso comportanti approfondimenti valutativi di natura ordinamentale; a esaminare richieste d’iscrizioni per trasferimenti da altre sedi, con rilevante attenzione per quelle determinate dall’assunzione di funzioni giurisdizionali onorarie in riferimento alle quali il Consiglio procede all’ascolto degli interessati; a esprimere pareri di congruità sulle parcelle (anche queste spesso richiedenti soluzioni di particolari problemi); a valutare le domande di rilascio dei certificati di compiuta pratica, con la verifica sull’effettività e continuità; a controllare la riscossione delle quote d’iscrizione impostata a sistemi moderni in adempimento delle norme sulla contabilità finanziaria; a sostenere le iniziative volte all’aggiornamento professionale; a tenere sempre aggiornata la modulistica per agevolare la compilazione e la valutazione delle domande di ammissione al patrocinio per i non abbienti; a redigere richiesta di pareri al Consiglio Nazionale Forense e a fornire allo stesso i contributi di approfondimento ed esame richiesti su temi e questioni specifiche. Notevole è anche stata l’attività svolta per seguire e controllare la pratica forense, in particolare attraverso i colloqui. Il Consiglio ha indetto e tenuto Assemblee Straordinarie, significativamente in occasione di problematiche connesse alla serena gestione dell’amministrazione della giustizia nel territorio, così come sul progredire della riforma del nostro ordinamento professionale e nell’ultimo periodo per lo stato di agitazione conseguente alle manovre sulle professioni intellettuali.

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3.3- Il Consiglio ha implementato l’utilizzo del sito internet come strumento ordinario di contatto dell’Ordine con gli iscritti, attraverso il costante invio di e-mail su ogni singolo argomento riguardante l’organizzazione dell’attività, gli eventi formativi, le notizie sugli uffici giudiziari, aggiornamenti su temi giuridici rilevanti. Particolare cura è dedicata all’aggiornamento costante dell’albo e del registro e l’inserimento di tutti i dati degli iscritti, compresi (previo consenso) il cellulare, l’e-mail e la foto. Continua l’assegnazione gratuita a tutti i nuovi iscritti di una email istituzionale, strumento telematico indispensabile per colloquiare collettivamente e individualmente. 3.4- Il Consiglio è intervenuto moltissime volte collegialmente o con l’impiego delle funzioni a me spettanti, a volte delegate, per comporre questioni insorte fra Colleghi o con clienti, spesso determinate da difficoltà oggettive o da particolari situazioni dalle quali esula la correttezza e la competenza degli stessi Colleghi. Sono aumentate le istanze di conciliazione, i cui incontri vengono tenuti in tempi ristrettissimi; di particolare menzione quelli fra Colleghi volti a facilitare il dialogo e a riprendere rapporti personali e professionali, facendo sempre salvo l’esame dei comportamenti se di rilievo disciplinare. Il Consiglio ha dovuto, in sede disciplinare, occuparsi dei procedimenti sorti a seguito di segnalazioni o di ufficio: i fatti di rilevanza deontologica segnalati che sfociano in procedimenti sono fortunatamente limitati a cospetto del numero degli iscritti e del numero di doglianze, molte volte infondate o esagerate, o alimentate da una non corretta conoscenza dei compiti e degli obblighi, anche ordinamentali, sia degli iscritti che del Consiglio. In ogni caso il Consiglio ha svolto il suo non agevole compito con serenità e obbiettività, e sempre in vista della tutela della categoria, evitando ogni disagio per gli utenti.

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Nel biennio 2010-2011 sono stati trattati ben 114 procedimenti, di cui 98 definiti con archiviazione in via preliminare non sussistendo ragioni d’intervento o non rilevandosi prima facie violazioni deontologiche e 16 sfociati in veri e propri procedimenti disciplinari definiti. Dei 330 esposti relativi al periodo 2006-2011 ne sono stati definiti complessivamente 241, residuandone 89, tra cui alcuni procedimenti disciplinari in corso di svolgimento. 3.5- Una particolare attenzione è stata dedicata al recupero della morosità, che a dire il vero, dopo l’introduzione del sistema di avviso con mav, ha visto una progressiva riduzione. Dopo che negli anni precedenti si era più volte sollecitato il pagamento delle quote arretrate, anche attraverso l’invio di lettere raccomandate a.r., nell’anno 2010 è stata iniziata l’azione definitiva di recupero con il ricorso, occorrendo, all’apertura dei previsti procedimenti di sospensione dall’esercizio professionale a tempo indeterminato sino all’avvenuta sanatoria, come previsto espressamente dalla normativa di riferimento. Su di un totale di quote arretrate al 2009 per euro 169.793,31 (comprensive delle spese postali sostenute) sono stati incassati euro 105.351,99 dal 2009 al 2011; una percentuale dunque del 62,05%. Considerando il periodo dal 1992 al 2011 su di un arretrato di euro 438.249,85, sono stati incassati al 2011 euro 281.791,63 pari al 64,30%; residuano euro 156.458,22 pari al 35,70%. Si dovrà proseguire, quindi, nell’azione di recupero, anche attraverso l’apertura dello specifico procedimento di sospensione sopra richiamato. 3.6- Il Consiglio continua ad attivare e consegnare agli iscritti il tesserino di riconoscimento magnetico, che consente l’accesso e il riconoscimento ai corsi di formazione. Quaderni

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È sempre in essere con Lextel – Servizi Telematici per l’Avvocatura una convenzione utilizzando la quale gli iscritti possono attivare la casella di posta elettronica certificata, di cui tutti i professionisti iscritti in albi devono dotarsi, comunicandola all’Ordine di appartenenza, nonché possono acquisire la firma digitale per usufruire dei servizi telematici offerti dall’Ordine quali: ÿ Polisweb-pct attraverso cui si possono consultare i fascicoli dei giudizi in cui si è costituiti nel tribunale di Brindisi e sezioni distaccate e nella corte di appello di Lecce e sezione distaccata di Taranto, così come negli altri tribunali e corti della Repubblica censiti nel sistema; ÿ Pct (processo civile telematico) per i procedimenti d’ingiunzione e per le procedure esecutive mobiliari e immobiliari nei tribunali che ad oggi sono abilitati (come Milano, Napoli, Genova, Padova, Bologna e altri); ÿ Cassazione per consultare i fascicoli dei giudizi in cui si è costituiti innanzi alla corte suprema; ÿ Tar per consultare i fascicoli dei giudizi in cui si è costituiti innanzi ai tribunali amministrativi regionali; ÿ Consiglio di Stato per consultare i fascicoli dei giudizi in cui si è costituiti innanzi al consiglio di Stato; ÿ art. 335 c.p.p. per richiedere alla procura della repubblica notizie sull’iscrizione nel registro, degli indagati. È stata acquistata la banca dati on-line “Pluris Top Mobile triennale” CEDAM, la quale permette la consultazione aggiornata di tutta la legislazione nazionale, regionale, europea, della giurisprudenza civile, penale, amministrativa, delle altre giurisdizioni, della corte di giustizia e della corte europea dei diritti dell’uomo, di 34 riviste di diritto. Gli iscritti possono effettuare le ricerche nelle postazioni presenti in biblioteca, le quali saranno potenziate allorché, sistemati i lavori di manutenzione dei locali assegnati dal Presidente del Tribunale per la media-conciliazione, si ricaverà nuovo spazio.

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4. L’attività di etica forense. La progettualità per una cultura professionale e deontologica. L’obbligo formativo e i piani per l’aggiornamento predisposti dall’Ordine Forense e dalla Fondazione dell’Avvocatura della Provincia di Brindisi. 4.1- Il Consiglio ha adempiuto alla propria funzione di salvaguardia dei principi di autonomia e indipendenza dell’Avvocatura da ogni tipo di condizionamenti partecipando a incontri e dibattiti, di Consiglieri e mia personale, svolgendo il compito di orientamento professionale richiesto dagli istituti scolastici per le scolaresche dell’ultimo anno di studi, attivandosi come partner dell’istituto “Flacco” nel progetto Le(g)ali per il Sud per sensibilizzare e orientare gli alunni sul tema della legalità, presenziando alle Assemblee dei Presidenti di Ordine, ripetutamente indette dal Consiglio Nazionale Forense, curando la finalità di diffondere la presenza dell’Avvocatura del Circondario di Brindisi, nel territorio e in sede nazionale; la nostra Rivista QUADERNI, quale espressione di vita forense, ha contribuito a espandere la cultura della difesa e i principi di legalità insiti nella professione forense e a far conoscere su tutto il territorio, nazionale e locale, le nostre funzioni e la nostra vitalità. Al fine di richiamare fin dall’inizio i valori cui si ispira la nostra professione e l’alto significato dell’appartenenza all’Ordine, il Consiglio ha mantenuto e potenziato le Cerimonie della Consegna dei tesserini ai Praticanti, del giuramento degli Abilitati nelle mani del Presidente del Tribunale alla presenza del presidente dell’Ordine e dei Consiglieri, del giuramento degli Avvocati dinanzi al Tribunale Collegiale. Le cerimonie, tutte alla presenza di Consiglieri dell’Ordine e mia, e per la consegna dei tesserini del Presidente del Tribunale, costituiscono un momento essenziale all’interno di una cultura forense che, pur nell’ammodernamento della professione, voglia rispettare Quaderni

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la tradizione. Lo svolgimento delle cerimonie è seguito dalle famiglie degli iscritti, che svolgono un decisivo compito di sostegno, morale ed economico, nelle fasi iniziali della pratica e della professione forense, e dagli Avvocati che assumono i praticanti negli studi, il cui ruolo il Consiglio ritiene decisivo e imprescindibile per un corretto, consapevole e responsabile percorso formativo. La cerimonia storica della nostra Avvocatura, che si svolge ininterrottamente dal 1987, è la consegna della Toga d’Oro agli Avvocati con cinquant’anni di attività e della Toga d’Onore agli Avvocati che si sono distinti all’esame di abilitazione riportando le migliori votazioni; essa vuole rappresentare la libertà, l’autonomia e l’indipendenza della professione forense nella tutela dei diritti delle persone attraverso il simbolo della toga. Accogliendo una mia proposta, e di tanto ringrazio di cuore, il Consiglio ha istituito quest’anno la Toga di Platino per gli Avvocati con sessant’anni di professione. L’esigenza è sorta per festeggiare Coloro che tra di noi, superando già l’altro traguardo dei cinquant’anni, hanno proseguito l’attività dimostrando un eccezionale attaccamento alla professione forense e l’importanza di vivere la funzione difensiva come essenza stessa dell’Avvocato. Richiamarsi al “platino” consente di esaltare la preziosità del loro impegno a servizio dell’Avvocatura e la durevolezza di esso nel tempo e nelle qualità proprie dell’Avvocato. E poi il premio “Pietro Colucci” per coloro che hanno ottenuto, sempre nell’esame di abilitazione, la migliore votazione nelle materie civili; premio voluto dalla famiglia in ricordo del giovane Collega scomparso nel febbraio dello scorso per un male che lo ha divorato in pochi messi all’età di 35 anni, appena affacciatosi ad una professione che ha tanto amato. La Cerimonia per questo biennio si è svolta il 17 dicembre 2011 nella biblioteca gremita di avvocati, parenti e amici dei festeggiati, dove è stata ricordata la straordinaria figura della Collega Carmen

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Balestra che, allo stremo delle forze (ci lascerà appena due mesi dopo il superamento dell’esame), ha voluto gridare il suo attaccamento alla vita e alla nostra professione sostenendo una brillante prova orale – lei costretta immobile nel letto – al cospetto dei commissari attoniti e pieni di rispetto e ammirazione per tale incredibile atto di amore. 4.2- Il Consiglio ha posto grande cura nell’aggiornamento e nella formazione professionale attraverso la costante preparazione dei piani formativi suddivisi in semestri, così terminando nel 2010 il percorso del primo triennio transitorio e traghettando nel 2011 il nuovo periodo con l’intensificazione degli incontri. Pur essendo consapevoli che l’obbligo formativo è personale, e dunque ciascuno degli iscritti deve avere cura di seguire un programma in cui inserire i temi che maggiormente possano interessare le sue necessità di aggiornamento, e che appare naturale e giusto che i costi siano anch’essi sostenuti dal singolo obbligato, in via sperimentale si è ritenuto di verificare la compatibilità della spesa annuale a carico dell’Ordine e quindi di tutti gli iscritti, anche di quelli che non hanno voluto usufruire dei piani da noi predisposti. L’attività è stata portata avanti dalla Fondazione per l’Avvocatura della Provincia di Brindisi che per statuto ha il compito di predisporre e attuare tutte le iniziative culturali e professionalizzanti, tra cui in particolare quella relativa alla formazione continua; ad essa Fondazione è anche demandata l’assegnazione dei crediti per gli incontri organizzati. Il direttore, nella persona della Collega Giustina Giordano e gli altri componenti del consiglio di amministrazione, gli Avvocati Giacomo Cofano, Gianvito Lillo, Angelo Monopoli, Stefano Morgese e Alessandra Portaluri hanno profuso un impegno costante e assiduo che, unitamente al Comitato scientifico (nelle persone degli Avvocati Prof. Pasquale Annicchiarico, Giuliano Calabrese, Alessandro Carrino, Antonello De Nuzzo, Francesco Morgese, Quaderni

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Claudia Morini, Prof. Francesco Tuccari), ha consentito di proporre agli iscritti un’offerta completa, diversificata nelle materie e con soluzioni di front-office efficaci. Gli argomenti degli incontri, per i quali rimando ai grafici allegati e peraltro noti a Voi tutti, sono stati scelti anche d’intesa con i formatori (avvocati, professori universitari, magistrati, professionisti e professori di materie non giuridiche ma attinenti al tema) sempre su tematiche di strettissima attualità, di natura sostanziale e processuale, e su argomenti in trattazione dinanzi alla suprema Corte di Cassazione. L’Ordine di Brindisi è stato in diverse sedi portato a esempio per l’impegno nella formazione. Particolare attenzione merita la circostanza che il referente per la formazione decentrata del Consiglio Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Lecce ha voluto unire e condividere con Noi Avvocati una comune formazione. Esemplare l’evento organizzato su due giornate sulle “Colpe del medico”, di cui la seconda dedicata a una tavola rotonda, con il coinvolgimento anche dei medici e del loro Ordine professionale. Un successo che si deve all’impegno di tutti e all’altissima qualità degli intervenuti. Nel triennio 2008-2010 sono stati tenuti 41 incontri così suddivisi: 9 il primo anno, 20 il secondo e 12 il terzo, ai quali hanno partecipato complessivamente 18.034 avvocati iscritti al nostro Ordine e 539 di altri per un totale di 54.657 crediti assegnati ai primi e 1.628 ai secondi. In tale triennio gli incontri sono così suddivisi per materie: 6 deontologia, 2 diritto amministrativo, 1 diritto commerciale, 3 diritto comunitario, 2 diritto del lavoro, 11 diritto e procedura civile, 7 diritto e procedura penale, 2 diritto tributario, 2 ordinamento professionale, 5 altre materie. Nell’anno 2011 sono stati tenuti 34 incontri, ai quali hanno partecipato complessivamente 8.123 avvocati iscritti al nostro Ordine per un totale di 27.855. Gli incontri sono così suddivisi per materie: 3 deontologia, 1 diritto amministrativo, 1 diritto comunitario, 5 diritto

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del lavoro, 12 diritto e procedura civile, 6 diritto e procedura penale, 2 diritto tributario, 1 ordinamento professionale, 3 altre materie. Nell’ambito della propria competenza territoriale il Consiglio ha accreditato numerosi eventi e seminari su richiesta di altri enti e associazioni.

5. La media-conciliazione e l’Organismo di Mediazione Forense di Brindisi. È patrimonio comune il dibattito che è sorto sul nuovo istituto della mediazione a partire dalla fine dello scorso anno. Tutte le componenti dell’Avvocatura hanno assunto toni critici verso la scelta di rendere obbligatorio il percorso in materie sensibili che costituiscono una parte considerevole del contenzioso; di predisporre indennità esose a carico delle parti, tali da rappresentare un balzello che si aggiunge all’indiscriminato aumento del contributo unificato; di non prevedere la difesa tecnica quando gli accordi o le proposte intervengono su posizioni giuridico-soggettive che, se non adeguatamente tutelate, possono ricevere anche danni non più reversibili; di non prevedere la competenza territoriale, così aprendo il campo a mediazioni coltivate in zone scomode per i soggetti economicamente svantaggiati; di prevedere per la prima volta vere e proprie sanzioni per colui che non partecipa alla mediazione e anche per chi non aderisce alla proposta del mediatore, agendo sul carico economico per ottenere un effetto deflattivo del contenzioso. In assenza di un confronto preventivo non è rimasto che iniziare una lunga e aspra battaglia per cercare di ottenere una retromarcia su alcuni aspetti ritenuti irrinunciabili, come per l’appunto il carattere obbligatorio dell’istituto. L’Oua si è fatta carico di sollevare le questioni di costituzionalità, trovando accoglimento nel Tar per il Lazio che ha rimesso gli atti alla Consulta. Dovrebbe essere prossima la discussione. Quaderni

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Nel contempo la gran parte degli Ordini territoriali si è fatta carico di istituire gli organismi per non lasciare il campo alle società private e tentare di evitare una speculazione economica; si è cercato, in particolare di introdurre nei regolamenti la previsione che, non aderendo una delle parti alla mediazione, l’istante potesse corrispondere soltanto un’indennità fissa minima. La pressione è servita tanto che con il secondo decreto attuativo è stata introdotta una simile possibilità, lasciando però invariato il divieto per gli organismi degli enti pubblici di derogare alla indennità fissa; previsione che, con tutta evidenza, favorisce le società private. Il nostro Ordine ha seguito un percorso condiviso con quello di Taranto nella formazione dello statuto e del regolamento dell’organismo, così come nella creazione e utilizzazione di un programma informatico di gestione. Nonostante la normativa preveda che sia il consiglio direttivo dell’organismo a designare il mediatore in relazione alla materia e al tipo di domanda introdotta, si è voluta scegliere una soluzione che privilegiasse la gestione automatica e casuale del programma, non forzabile, il quale agisce sulla base di alcuni algoritmi predisposti. Quasi tutti gli Ordini hanno scelto di formare come mediatori i consiglieri dell’ordine per dare significato all’iniziativa e rafforzare l’immagine dell’organismo forense; addirittura in quello di Taranto sono stati tutti e quindici i consiglieri. Nel nostro alcuni si sono voluti impegnare nell’impresa, ma nel regolamento predisposto – e devo dire su mia esplicita richiesta molto discussa – si è previsto che i componenti del consiglio direttivo non percepiscono indennità né per il lavoro svolto né per gli incarichi di mediazione ricevuti su assegnazione automatica, rimanendo essa devoluta a favore dello stesso organismo. Il Ministero ha iscritto il nostro organismo il 31 maggio 2011 e da allora e sino al 31 dicembre sono state depositate 82 domande, di cui 44 concluse per mancata comparizione della controparte, 2 per

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assenza di entrambe le parti, 8 definite con accordo, 4 con comparizione delle parti ma senza accordo, 1 con accettazione della proposta formulata dal mediatore, 2 con mancata accettazione di quest’ultimo; 21 sono i procedimenti ancora non conclusi. Nel 2012 sono state presentate 2 domande, ancora pendenti. Per gli 82 procedimenti la situazione economica è la seguente: sono stati incassati euro 37.335,51, così suddivisi: euro 11.946,16 per compensi ai mediatori, euro 11.737,04 per indennità restante all’organismo, euro 9.305,35 per rimborsi alle parti, euro 3.977,80 per spese di esercizio ed euro 4.346,96 per incassi da definire. Tale ultima cifra si riferisce alle mediazioni non ancora concluse. I dati dimostrano che la stragrande maggioranza dei procedimenti non si conclude per mancata comparizione della parte evocata in mediazione, pochissimi sono quelli in cui si raggiunge l’accordo. L’attività, poi, si dimostra non remunerativa per i mediatori e anche per l’organismo; l’organizzazione può funzionare grazie all’attuale abnegazione del personale che lavora presso il nostro Ordine; le entrate non consentono, allo stato, l’incremento di personale dedicato. Devo dire che dagli incontri avuti con gli altri Ordini e dagli scambi di informazioni la situazione di Brindisi rispecchia a grandi linee quella nazionale, certificata del resto anche dal dirigente del Ministero che tempo addietro è venuto a tenere una relazione in un incontro formativo organizzato sul tema dall’Aiga - sezione di Brindisi. Si attende di verificare l’impatto dell’obbligo di mediazione anche per le materie dei sinistri stradali e del condominio, la cui entrata in vigore è fissata per il prossimo 17 marzo.

6. La Biblioteca Forense “Avv. Carlo Monticelli”. Dal 2002 al 2006 l’allora Consigliere Avv. Teodoro Selicato si è interessato di recuperare il posseduto della biblioteca sparso in ogni parte dei locali utilizzati dall’Ordine; dal giugno del 2006 al gennaio Quaderni

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del 2008 egli è stato affiancato dalle collaboratrici e dall’esperienza della direttrice della Biblioteca pubblica arcivescovile “A. De Leo”, dott.ssa Katiuscia Di Rocco; dal febbraio del 2008 è stata stipulata una convenzione con la suddetta Biblioteca “A. De Leo”, per ottenere l’affiancamento stabile di una collaboratrice, per aggiornare e collocare il posseduto. Con l’ausilio della direttrice si è inoltrata richiesta di contributi economici presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ad esempio la richiesta per biblioteche non statali in scadenza il 28 febbraio di ogni anno secondo la circolare 138/02 del Ministero suddetto). Pregresso All’inizio del progetto la biblioteca dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi si presentava con una serie di riviste collocate sui tavoli della biblioteca con una sorta di ordine per argomento e volumi ammassati negli armadi della stessa biblioteca e delle stanze nn. 35-39. Si è sentita l’esigenza di organizzare la suddetta struttura come una vera e propria biblioteca, rispettando l’ordine precostituito per esigenza degli avvocati stessi. Da qui il collegamento con la Fondazione Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” di Brindisi presente sul territorio ed ormai guida e riferimento di una serie di biblioteche pubbliche e statali della Regione Puglia. Lavoro svolto Archivio Collettivo Nazionale dei Periodici In primis si sono organizzate tutte le riviste dividendole per testata e schedandole in modo cartaceo su cosiddetti “schedoni”, quindi si è provveduto ad aderire all’Archivio Collettivo Nazionale dei Periodici (ACNP), nato negli anni ’70 per iniziativa dell’ISRDS-CNR. ACNP e fino al 2009 gratuito; a partire dal 2010 per l’adesione viene chiesto alle biblioteche un contributo alle spese di gestione (http:// acnp.cib.unibo.it). Il catalogo contiene le descrizioni bibliografiche delle pubblicazioni periodiche possedute da biblioteche dislocate su tutto il territorio nazionale e copre tutti i settori disciplinari. La bi-

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blioteca dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi “C. Monticelli” vi ha aderito nel 2008. Il catalogo è uno strumento fondamentale perché ad integrazione delle risorse informative interne e per completare la documentazione sui periodici è stato realizzato un archivio di spogli integrato con il catalogo ACNP all’interno di un unico applicativo. La procedura consente all’utente di passare in modo del tutto trasparente dalla ricerca sul catalogo dei periodici alla ricerca sugli spogli e viceversa. È possibile anche accedere direttamente alla maschera di consultazione degli spogli dal Repertorio articoli, di cui fanno parte, circa 9 milioni di articoli, anche provenienti da server stranieri come l’ERL di Boston. Per aderire al catalogo ACNP è necessario avere esperienza di catalogazione e aggiornarsi periodicamente; da qui la ragione per cui si è fatto riferimento ad una struttura, come la biblioteca “A. De Leo”, già agente sul campo. Il catalogo consente non solo di essere presenti sul territorio nazionale ed internazionale, ma anche di reperire articoli e riviste presenti in altre biblioteche e chiederne le copie. L’unica condizione che viene richiesta alle biblioteche per poter aderire ad Acnp è la disponibilità ad effettuare il servizio di document delivery per i documenti inseriti nel catalogo, cioè la disponibilità di fornire copie a pagamento, servizio che anche la biblioteca “C. Monticelli” dal 2008 fornisce ad altre biblioteche anche straniere, secondo il Regolamento della biblioteca stessa redatto nello stesso anno. In Italia aderiscono ad Acnp 4 biblioteche di Ordini di Avvocati di diverse città (Brescia, Lecco, Milano), ma solo Brindisi è attiva, funzionante con 138 periodici di cui 47 attivi. Ovviamente per un adatto funzionamento della biblioteca si è provveduto a collocare le riviste sui palchetti lasciando lo spazio libero per i periodici in corso e collocando le riviste dismesse nella stanza n. 32. Caso unico la Gazzetta Ufficiale che vista l’importanza, perché conservata in collezione storica, e soprattutto in considerazione del numero elevato di faldoni (461), è riposta nella stanza Quaderni

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n. 38 (anche se provvisoriamente) del primo piano del palazzo del Tribunale di Brindisi. Il Servizio Bibliotecario Nazionale Per le opere si è provveduto, dopo l’acquisto di armadi e schedari, ad aderire al Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) che è la rete delle biblioteche italiane promossa dal Ministero per i Beni Culturali (MiBAC), dalle Regioni e dalle Università, e coordinata dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, finalizzata all’erogazione di servizi agli utenti (www.sbn.it). Vi aderiscono attualmente quasi 4000 biblioteche, statali, di enti locali, universitarie, di istituzioni pubbliche e private, operanti in diversi settori disciplinari. Il catalogo collettivo prevede le descrizioni di documenti, libri, acquisiti dalle biblioteche SBN a partire dagli anni intorno al 1990 o dall’entrata in SBN delle singole biblioteche. Tramite la banca dati, OPAC SBN, è possibile: • identificare le opere di interesse; • individuare le biblioteche che possiedono tali documenti ed accedere alla scheda anagrafica della singola biblioteca; • accedere ai cataloghi locali per informazioni aggiuntive sulla disponibilità del documento; • accedere al servizio in linea di prestito da remoto o fornitura di documenti in riproduzione (ILL SBN) se la biblioteca partecipa a tale servizio. Le ricerche sull’intera banca dati di SBN sono di tre tipi: • Cerca (ricerca libera che recupera le notizie bibliografiche contenenti le parole digitate dall’utente in uno dei seguenti campi: autori, titoli, soggetti e descrizioni di classificazione); • Ricerca base; • Ricerca avanzata. Esistono 15 biblioteche di Ordini di Avvocati di diverse città (7 al Sud, 6 al Nord, 2 al Centro Italia). La biblioteca “C. Monticelli” ha aderito al Servizio Biblioteca Nazionale a livello cartaceo (al momento sono stati etichettati e schedati 2300 volumi su circa 2500).

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Dal 10 giugno 2011 è stata firmata la convenzione con la Provincia di Brindisi per consentire la catalogazione partecipata e la circolazione dei documenti tra le biblioteche del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) mediante l’Archivio Indice residente in Roma, tramite il Polo di Brindisi. La durata della convenzione ha validità quinquennale e l’Ordine dovrà versare alla Provincia un rimborso spese annuale di € 500,00. Per tale passo necessita l’utilizzo del software Sebina Open Library per il quale è necessaria esperienza di catalogazione; da qui il collegamento con la biblioteca “A. De Leo”. Servizi Oltre ai servizi già descritti, quali accedere ai cataloghi locali per informazioni aggiuntive sulla disponibilità delle opere o degli articoli e accedere al servizio in linea di prestito da remoto o fornitura di documenti in riproduzione, nella biblioteca “C. Monticelli” il personale della biblioteca “A. De Leo” affianca nella ricerca gli avvocati nei giorni previsti da convenzione stipulata nel 2008, registra la presenza giornaliera degli utenti che accedono liberamente e quotidianamente alla biblioteca stessa, etichetta e cataloga i libri e aggiorna il catalogo on-line e cartaceo delle riviste. Spese 2009 Rinnovo abbonamenti € 7.806,57 Nuovi abbonamenti e monografie € 9.790,65 Convenzione con Biblioteca Arcivescovile (per n. 2 giorni con totale 11 ore lavorative) € 3.500,00 Esigenze • Gli spazi per la collocazione sistematica e ordinata dei libri per la biblioteca “C. Monticelli”, come per qualsiasi altra biblioteca, risultano fondamentali. Si rende necessario aumentare il numero degli armadi nella sala della biblioteca, utilizzando dei sistemi di scaffalatura tali da gestire in modo adeguato lo spazio (esempio: armadi scorrevoli a doppio binario, creare dei soppalchi). Quaderni

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• Avviare la catalogazione informatizzata nella banca dati del Servizio Bibliotecario Nazionale con un costo annuo di € 500,00 per utilizzare il software Sebina Open Library della Provincia di Brindisi che fornisce anche l’assistenza informatica. • Aggiornare il catalogo on-line Acnp e cartaceo delle riviste, per il quale il canone annuo è di € 200,00. • Armadi nella sala biblioteca per il Foro Italiano. Devo porgere un sentito ringraziamento a nome di tutti gli Avvocati, dei Consiglieri e mio al Collega Selicato al quale dobbiamo l’opera eccezionale svolta e il vanto di essere una delle pochissime biblioteche di Ordini forensi ad essere nel circuito ufficiale nazionale e internazionale.

7. Rapporti con i magistrati e con le istituzioni civili, militari e religiose del territorio. Il Consiglio dell’Ordine, nel rispetto dei propri ruoli e delle proprie funzioni, ha mantenuto un continuo e serrato rapporto dialogante con tutte le Istituzioni del territorio e con gli altri Ordini e Collegi professionali. Il rispetto reciproco, dovuto e realizzato, ha consentito di risolvere, soprattutto nell’interesse della collettività, destinataria dei servizi della giustizia, ogni problema operativo, segnatamente con la Magistratura, consentendo il più possibile un operare sereno e fattivo; il Consiglio, nei casi di insorgenza di contrasti, di ordine e contenuto generale è andato alla ricerca, o è stato interpellato, per risolvere le questioni, senza ricercare privilegi per l’Avvocatura, ma per affermare le sue prerogative, nella convinzione, positivamente verificata, che gli incontri sereni e ragionevoli siano più produttivi e costruttivi di scontri sterili e dannosi. Concretamente la considerazione e la stima che l’Avvocatura del

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Circondario riscuote, sono rappresentate dalla partecipazione, che ha suscitato apprezzamenti da parte di ospiti, del Presidente del Tribunale, del Procuratore della Repubblica, dei Presidenti di Sezione e di Magistrati del Tribunale e della Procura della Repubblica, alle manifestazioni indette dalla Avvocatura, tra le quali, ultima in ordine di tempo, quella della Cerimonia della consegna delle Toghe di Platino, d’Oro e delle Toghe d’Onore. Le partecipazioni alle nostre manifestazioni da parte di Magistrati e Autorità costituiscono riconoscimento dell’appartenenza della Avvocatura all’amministrazione della giustizia, quale protagonista del sistema giuridico-forense, e considerazione per la imprescindibile funzione difensiva, oltre che approvazione del metodo con cui l’Avvocatura del Circondario, anche nella sua rappresentanza istituzionale, si è posta nel quotidiano confronto con i naturali interlocutori nella formazione del giudizio. In questi due anni ho intavolato un serrato dialogo per cercare di anticipare i tempi di entrata in funzione del processo civile telematico, sensibilizzando sia il Presidente del Tribunale, e oggi il Presidente Fracassi da lui delegato, sia il Procuratore della Repubblica per utilizzare lo spazio presente sul Polisweb, o altri da creare, per costituire il fascicolo virtuale e digitale con l’introduzione dei verbali e degli atti e documenti dei processi civili e per costituire il fascicolo delle indagini concluse, cui poter accedere per acquisire copia degli atti, previo pagamento dei diritti. Sono percorsi fattibili e, nonostante una certa e forse naturale ritrosia, che si riscontra peraltro anche in noi avvocati, auspico che l’intensificazione avvenuta negli ultimi tempi con i contatti frequenti con il Dott. Fracassi possano condurre a soluzioni condivise in tempi brevi, a prescindere dalla concreta entrata in vigore del pct. Potremo così dallo studio svolgere una serie di operazioni, che faciliteranno il nostro lavoro, specie quello che si svolge fuori dal nostro domicilio professionale. Quaderni

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Ho ricevuto una risposta positiva da parte del Presidente del Tribunale, e poi del Presidente Almiento a ciò delegato con l’ausilio del Dott. Sardiello, per lo studio e la predisposizione di tabelle dei compensi (diritti e onorari) nei procedimenti che consentono una definizione quanto più possibile concordata e salvo i casi specifici. Tali settori sono quelli degli sfratti per morosità e per finita locazione, le ingiunzioni di pagamento, le esecuzioni mobiliari e immobiliari, le separazioni consensuali, anche per quelle riferite alla difesa dei non abbienti. Analogo discorso vale per il patrocinio nel settore penale. Rivolgo un sentito ringraziamento, per la loro partecipazione ai più significativi eventi forensi, alle Autorità Civili, Militari e Religiose del territorio, e, in particolare a Mons. Rocco Talucci, Vescovo di Brindisi, per l’assistenza ai momenti di spiritualità in ricordo degli Avvocati scomparsi.

8. Rapporti con le istituzioni forensi e con le associazioni nazionali e territoriali. Il Consiglio dell’Ordine ha partecipato attivamente e operativamente a tutte le manifestazioni e incontri indetti dall’Avvocatura Nazionale Istituzionale e Associata. Ho partecipato, insieme a Colleghi Consiglieri alle Assemblee dei Presidenti degli Ordini indette dal Consiglio Nazionale Forense presso la sede di via del Governo Vecchio in Roma, nelle quali i problemi dell’Avvocatura richiedevano una presenza attenta e proficua; ho quindi seguito le problematiche sulla riforma ordinamentale, sulle modifiche al codice deontologico, sull’iniziativa delle liberalizzazioni con tutti gli innumerevoli passaggi e scontri con il Governo e le forze politiche, sulla vicenda della media-conciliazione, sul riordino delle sedi giudiziarie, anche dei giudici di pace, ultimo l’incontro del 14 gennaio sulla bozza del secondo decreto Monti.

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I collegamenti con le istituzioni nazionali sono stati mantenuti anche attraverso la nostra rappresentanza in seno al Consiglio Nazionale Forense, con l’Avv. Antonio De Giorgi, e alla Cassa di Previdenza Forense, con l’Avv. Dario Lolli. Altro momento significativo e “storico” per l’Ordine Forense di Brindisi è stato rappresentato dalla elezione, per la prima volta, di un nostro iscritto, l’Avv. Dario Lolli, a componente della Giunta esecutiva della Cassa. Il Consiglio ha assicurato la propria rappresentanza ai Convegni e Congressi Nazionali, alla Conferenza Nazionale dell’Avvocatura in Roma nel novembre 2011 e al Congresso Nazionale Forense di Genova. Intensi sono stati i rapporti con gli Ordini del Distretto e con l’Unione Regionale degli Ordini di Puglia, nella quale ho ricevuto la carica di Vice-Presidente, e in seno alla quale sono state discusse e formulate proposte confluite in mozioni sull’ordinamento professionale, trasferite nei congressi nazionali e, in particolare è stato redatto l’intervento dell’Avvocatura, uniforme per i sette Ordini regionali. Il rapporto con la Camera Penale di Brindisi è stato intenso con scambi culturali e professionali, specie in riferimento al miglioramento della attività degli Avvocati nello specifico campo del penale; il Consiglio ha anche intessuto ottimi rapporti con l’A.I.G.A. sezione di Brindisi, un cui rappresentante siede in Consiglio, come quelli della stessa Camera Penale. Il Consiglio ha potuto constatare con viva soddisfazione l’insorgere di una nuova vivacità associativa, essendosi costituite sul territorio di Fasano la Camera Minorile in Cammino e la Libera Associazione Forense, oltre alla ricostituita sezione locale dell’Associazione Nazionale Forense.

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9. Il Consiglio e l’Amministrazione della Giustizia nel territorio. Il Consiglio ha costantemente vigilato per una corretta amministrazione della giustizia nel territorio partecipando, informalmente o formalmente, a incontri e ottenendo attenzione e ascolto da parte dei Dirigenti degli Uffici Giudiziari per la soluzione di problematiche di carattere generale e diffuso. Uno dei problemi riguarda la questione degli organici del Personale, che non è limitato al nostro Tribunale. Se verso la fine del 2009 la situazione poteva considerarsi soddisfacente, dall’anno 2010 e anche oggi diversi magistrati hanno chiesto e ottenuto il trasferimento ad altri uffici; sono così in sofferenza due ruoli del civile nella sede centrale e almeno uno nella sezione di Francavilla Fontana, in cui il numero dei procedimenti contenziosi è pari a quello della sede centrale. Si attendono nuovi arrivi, che potranno alleviare il peso dell’arretrato. A proposito di tale ultimo problema il Consiglio ha fornito un motivato parere sulla proposta di programma per lo smaltimento di esso che il Presidente del Tribunale ha fatto pervenire dopo il 10 di agosto dello scorso anno; ho così convocato un’adunanza straordinaria per il successivo giorno 22 dovendosi licenziare detto programma entro e non oltre il 15 settembre. Il Consiglio ha sottolineato, in particolare, che lo smaltimento non può fondarsi quasi esclusivamente sulla magistratura onoraria, la quale non è credibile che possa mantenere un alto tasso di produzione delle decisioni. Pur condividendo il notevole carico di lavoro dei giudici togati, ho, hnmy, chiesto una migliore redistribuzione dei carichi con privilegio quasi prevalente dell’arretrato anche sui ruoli di questi ultimi. Sono pronti da tempo i protocolli per le udienze civili e del lavoro nonché quello per il settore penale, condiviso attivamente con la Camera Penale; ne è stata già sollecitata più volte la formale sotto-

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scrizione con l’Associazione Nazionale Magistrati, a cui si ritiene competa il compito di provvedere insieme con l’Avvocatura. Il Consiglio ha svolto il suo ruolo propositivo, secondo le proprie attribuzioni, vigilando nei Consigli Giudiziari, specie in riferimento alle nomine dei giudici onorari, incontrando, come è noto, spessissimo il Presidente del Tribunale e tenendolo costantemente informato delle problematiche che insorgevano ottenendo ove possibile che venisse posto rimedio. Nel complesso un bilancio positivo, che fa ben sperare nel prosieguo di un proficuo rinnovato rapporto. * * * Rassegno questo resoconto con un saluto speciale ad Augusto Conte, che ho proferito il 27 dicembre del 2010 quando egli decise di rassegnare le dimissioni: “Dirò dell’uomo assolutamente retto, buono, equilibrato e sempre conciliante. Dirò dell’Avvocato preparato e aggiornato nelle sue conoscenze poliedriche; profondo nell’analisi e capace di sintesi al tempo stesso (lo stile è quello dei migliori – forse un po’ persi – che hanno capito che porgere con garbo e semplicemente le tesi esposte è dimostrazione di rispetto per chi ci è di fronte e di raggiunta sopraffina capacità, non surrogabile con l’affermazione di tanti di essere l’eccellenza che offusca quella degli altri); massimo esempio di comportamenti probi e fermi nell’affermare la dignità, l’autonomia e l’indipendenza dell’uomo avvocato. Dirò del Presidente della nostra Avvocatura innovatore in tempi di profondo cambiamento e ampliamento dei compiti dell’istituzione ordinistica e della professione; capace di unire le varie anime, quelle perlomeno portatrici dei valori di servizio e animate dalla passione spassionata e non da primazie autorefenziali (perché coloro Quaderni

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non sono recuperabili dal momento che, tendendo ad affermare un io smodato, finiscono col volere, anche inconsapevolmente, il male per l’Avvocatura); fautore di un forte recupero dell’identità dell’Avvocato come uomo sociale portatore di cultura, non solo giuridica; infaticabile anche a detrimento dei suoi impegni professionali e familiari; una figura di sicuro affidamento per quanti – e sono stati numerosissimi – hanno cercato aiuto, conforto e risposte qualificate dall’istituzione che lui rappresenta. La qualità che, però, lo contraddistingue più di tutte è l’essersi sempre messo a servizio degli Avvocati e di tutti coloro che a noi guardano con speranza di ricevere tutela e giustizia; una dedizione assoluta che ci dimostra oggi, confermando di continuare a lavorare al nostro fianco. Augusto è l’umanità dell’Avvocato, è la professionalità dell’Avvocato, è l’essenzialità del Presidente”. Ringrazio i Consiglieri per l’impegno profuso a servizio di Noi tutti, sempre manifestato in ogni circostanza, e in particolar modo Tonino Maurino e Alessandra Portaluri, scrupolosi interpreti dei ruoli loro assegnati dal Consiglio, punto di riferimento costante e sicuro su di ogni questione. Alle “ragazze” che lavorano per noi esprimo un debito di riconoscenza per l’incessante e infaticabile abnegazione nel servire gli Avvocati, con gentilezza, pazienza e capacità, pronte a soddisfare i bisogni e le richieste di tutti, volenterose nell’apprendere e nell’approfondire le questioni, mai legate al formale orario di lavoro e disponibili oltre ogni limite nei casi di necessità; hanno così consentito di giovarci dei complimenti che i Colleghi degli altri fori esprimono quando ci ritroviamo a parlare dei nostri problemi. Un ricordo commosso ai Colleghi che ci hanno lasciato in questi due anni, perché il loro esempio possa guidare l’agire dei giovani e sostenerci nei momenti di debolezza e sconforto, che periodicamente ci assalgono.

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Ho seguito i consigli ricevuti, ascoltato ogni opinione e parere anche di dissenso, confrontandomi sempre sui contenuti; mi sono sforzato di essere presente quotidianamente, mettendomi a disposizione di chiunque avesse bisogno o potesse trovare giovamento dal mio servizio; mi scuso per gli inconvenienti che possono essersi verificati e che sono stati sempre affrontati con determinazione, senza mai lamentarsi. Mi sento onorato per il compito che mi avete voluto affidare ed esprimo i segni riconoscenti di un’indimenticabile esperienza umana e professionale, che mi ha maturato e temprato nell’animo. Spero di essere riuscito a trasmettere la passione e la voglia di servire. Auguro a tutti noi Avvocati di superare questi momenti di gravi trasformazioni con dignità, decoro, senso del dovere e forte impegno nell’esercizio di una professione che oggi si staglia tra tutte per essere libera e meravigliosamente intrigante.

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Cerimonia del conferimento delle Toghe di Platino, delle Toghe d’Oro e d’Onore, del Premio Pietro Colucci Sabato 17 Dicembre 2011, ore 10 di ALESSANDRA PORTALURI* L’appuntamento biennale per la consegna delle Toghe d’Oro ai Colleghi che hanno felicemente varcato il cinquantennio ed il sessantennio di professione e dei riconoscimenti ai neo Avvocati distintisi agli esami nelle due ultime sessioni, tra i candidati di Brindisi, rappresenta per il nostro ordine un importante momento celebrativo, patrimonio etico della Avvocatura del Circondario, ma soprattutto una preziosa occasione per condividere con gli invitati, gli ospiti e con l’intera collettività una riflessione più approfondita sulla professione forense, sul ruolo sociale ed istituzionale dell’Avvocatura ed in particolare, in tale ultima sessione, sulle problematiche che affliggono la libera professione forense in questi ultimi tempi. La Cerimonia delle Toghe celebrata sabato 17 dicembre 2011 presso la Biblioteca Forense “Avv. Carlo Monticelli”, nel solco di una consolidata tradizione per l’Ordine degli Avvocati di Brindisi, ha registrato la presenza di tutte le massime Autorità civili e militari, di Magistrati, rappresentanti di altre Istituzioni ordinistiche, del CNF, degli Avvocati già in passato insigniti del riconoscimento, di familiari ed estimatori della categoria. Particolarmente significativo, accorato ed efficace il saluto portato ai presenti dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati della Provincia * Avvocato del Foro di Brindisi, Consigliere Tesoriere dell’Ordine.

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di Brindisi, Avvocato Carlo Panzuti, il quale ha voluto fortemente la presenza al tavolo – oltre che del Presidente del Tribunale di Brindisi Dott. Francesco Giardino e del Procuratore della Repubblica, Dott. Marco Dinapoli – di tutti gli illustri Avvocati che si sono avvicendati alla Presidenza del COA dal 1987, anno in cui è stata per la prima volta istituita la Cerimonia delle Toghe: gli Avvocati Mario Pennetta, Carlo Tatarano, Francesco Morgese ed Augusto Conte. Il Presidente ha sin da subito introdotto le novità della Cerimonia delle Toghe 2011, ovvero il riconoscimento della Toga di Platino agli Avvocati che hanno avuto l’onore di esercitare la professione forense da 60 anni – idea quest’ultima già sorta nella consiliatura presieduta dall’Avv. Augusto Conte e realizzatasi per la prima volta in questa sessione – ed il conferimento al neo-avvocato che ha conseguito all’esame di abilitazione la miglior votazione nella materia civile del premio intestato all’Avv. Pietro Colucci, un giovanissimo collega che, affacciatosi appena alla professione forense, è venuto tristemente a mancare nel gennaio del 2011 a causa di un male incurabile. Nel corso della Cerimonia sono state proiettate le fotografie del giovane Avvocato Pietro Colucci e della collega Carmen Balestra. A quest’ultima è intestata la Toga D’Onore. La storia di Carmen Balestra è nota agli Avvocati della Provincia di Brindisi ed anche oltre, poiché racconta il coraggio di una ragazza che nel 1987 superò brillantemente gli esami di abilitazione, in una particolarissima sessione orale “a domicilio” richiesta dall’allora Presidente del COA, Avv. Mario Pennetta (il quale per primo istituì il conferimento della Toga d’Onore poi intestata alla giovane coraggiosa collega) al culmine di una gravissima malattia che la spense pochi mesi dopo la “meta”. Significativa la commozione di tutti i presenti dinanzi alle immagini dei due giovani avvocati ed alla profondità e suggestione del loro delicato ricordo. Questo – nelle parole del Presidente – il senso di un riconoscimento che accomuna la consegna delle toghe a quegli avvocati che per 50 o 60 anni hanno dato lustro e prestigio alla Avvocatura (traguardi

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certamente impossibili da raggiungere per le nuove generazioni) e nel contempo ai giovani colleghi che oggi intraprendono la professione forense: “la tenacia e il coraggio”, caratteristiche imprescindibili per gli illustri professionisti che con passione e competenza hanno esercitato per tantissimi anni una professione difficile, profondamente caratterizzata dalla responsabilità di chi svolge un fondamentale ruolo nell’esercizio della funzione giurisdizionale, dunque di rilievo costituzionale, e parimenti imprescindibile per chi come la giovane Carmen Balestra ha voluto con tutte le sue forze raggiungere il riconoscimento del titolo di avvocato o coloro che oggi si affacciano a questa professione in uno scenario repentinamente trasformatosi nell’ultimo ventennio, socialmente ed economicamente modificatosi, non certo in melius per la categoria forense. Sullo sfondo – ma senza dubbio emergenti con la prepotenza tipica dei tempi che corrono – i problemi cruciali e brucianti della Professione Forense da tempo bersagliata da tutte le forze politiche e sociali che in modo del tutto trasversale vedono nei numeri della Avvocatura, in un rapporto causa-effetto, le ragioni del rallentamento della crescita economica del Paese. Da qui, un chiaro e netto riferimento nelle parole del Presidente, Avv. Panzuti, ai criteri di riforma degli Ordinamenti Professionali introdotti dalla “legge di stabilità” nell’agosto del 2011, alla liberalizzazione “selvaggia” delle professioni intellettuali, alla scissione tra le funzioni amministrative e quelle disciplinari cui gli Ordini sono istituzionalmente preposti, al pericolo attuale della abolizione degli Ordini professionali in assenza di una imminente riforma degli Ordinamenti, alla radicale eliminazione delle tariffe, alla introduzione delle società di capitali tra professionisti in genere e tra avvocati con soci di maggioranza, alla abolizione dell’esame di abilitazione ed a tutte le altre imminenti novità preannunciate, ed in parte ormai realizzate, dalle forze politiche e di governo attraverso processi che escludono immotivatamente proprio l’Avvocatura, unico esperto interlocutore in grado di dare Quaderni

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soluzioni che contemperino il rispetto dei fondamentali principi sottesi all’esercizio della Professione Forense con le emergenti e pressanti esigenze sociali ed economiche del Paese. Infine, d’obbligo il richiamo del Presidente ancora una volta a quella “tenacia ed al coraggio” che più che mai oggi devono guidare ed animare l’Avvocatura in un cammino irto di fatica, ma sopratutto alla vera filosofia dell’avvocato che vuole vivere la professione pienamente, con passione, che non vuole unicamente pensare e ragionare; la cerimonia delle Toghe dunque festeggia l’esercizio “vero” della professione e la figura di un avvocato serio, corretto, che non si erga al di sopra degli altri in quanto “eccellenza”, ma opera “tra gli altri, modesto, equilibrato, sincero”, solidale. Dalle conclusioni del Presidente Avv. Panzuti è emerso chiaro e forte il messaggio rivolto a tutta la collettività: si tratta di un messaggio di “unità” cui deve ispirarsi oggi l’Avvocatura partendo dalla vera “essenza dell’avvocato”, ovvero “una persona che spende la propria attività professionale a favore di chi ha bisogno”. Particolarmente significativi i saluti rivolti con considerazioni di apprezzamento sia per gli avvocati anziani, quanto per i neo-avvocati dal Presidente del Tribunale Dott. Giardino ed a seguire dal Procuratore della Repubblica Dott. Dinapoli, i quali da tempo esprimono la loro sentita partecipazione alle iniziative culturali e professionali della Avvocatura ed anche alle occasioni cerimoniali, come quella delle Toghe, che rivestono un’importanza fondamentale per la nostra vita associativa. Densi di vita e storia della professione forense anche gli interventi dei Colleghi Cosimo Iacovazzi e Italo Gentile, rispettivamente insigniti della Toga di Platino e della Toga D’oro. Nelle loro parole è riecheggiato il cuore, la passione, ma anche la competenza esperta di tutti i Colleghi premiati per i lunghi anni di totale dedizione al servizio dei cittadini. Gli Avvocati insigniti della Toga di Platino in questa sessione sono stati gli Avvocati Tommaso Corsa, Giovanni Fumarola, Cosi-

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mo Iacovazzi, Emerico Marzano, Marzio Rosato. Per la Toga D’oro si annoverano gli Avvocati Fulvia Volpe, Italo Gentile, Cataldo Motta, Leonardo Antonio Musa, Livio Stefanelli. A tutti, come nelle precedenti edizioni, è stata consegnata una targa-ricordo. Sinceri e colmi di emozione, infine, i ringraziamenti manifestati alla platea dei presenti dalle due giovani Colleghe insignite della Toga d’Onore ed al contempo, per una felice coincidenza, del premio Pietro Colucci, gli Avvocati Francesca Perna e Stefania Colonna. Alle due giovani Colleghe è stata offerta una toga personalizzata per premiare l’inizio brillante di un percorso duro ed irto di sacrifici, con l’auspicio del Consiglio dell’Ordine, di tutta l’Avvocatura della Provincia di Brindisi e di quanti hanno partecipato alla cerimonia di una carriera illuminata dal senso del dovere, dalla comprensione, dal rispetto dei fondamentali principi di autonomia e indipendenza, dignità e decoro e dall’amore per la nostra Nobile Professione.

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Da sinistra Avv. Antonio De Giorgi Consigliere CNF ed i genitori dell’Avv. Pietro Colucci

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Il Presidente del Tribunale di Brindisi Dott. Francesco Giardino

Il Procuratore della Repubblica Dott. Marco Dinapoli

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IL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE

IL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE (Testo approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 17 aprile 1997 ed aggiornato con le modifiche introdotte il 16 ottobre 1999, il 26 ottobre 2002, il 27 gennaio 2006, 14 dicembre 2006, il 18 gennaio 2007, il 12 giugno 2008, il 15 luglio 2011 e il 16 dicembre 2011)

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PREAMBOLO L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia. Nell’esercizio della sua funzione, l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’Ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e l’inviolabilità della difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio. Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela di questi valori. TITOLO I PRINCIPI GENERALI ART. 1. - Ambito di applicazione. Le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati e praticanti nella loro attività, nei loro reciproci rapporti e nei confronti dei terzi. ART. 2. - Potestà disciplinare. Spetta agli organi disciplinari la potestà di infliggere le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione delle norme deontologiche. Le sanzioni devono essere adeguate alla gravità dei fatti e devono tener conto della reiterazione dei comportamenti nonché delle specifiche circostanze, soggettive e oggettive, che hanno concorso a determinare l’infrazione.

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ART. 3. - Volontarietà dell’azione. La responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri e dalla volontarietà della condotta, anche se omissiva. Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato. Quando siano mossi vari addebiti nell’ambito di uno stesso procedimento la sanzione deve essere unica. ART. 4. - Attività all’estero e attività in Italia dello straniero. Nell’esercizio di attività professionali all’estero, che siano consentite dalle disposizioni in vigore, l’avvocato italiano è tenuto al rispetto delle norme deontologiche del paese in cui viene svolta l’attività. Del pari l’avvocato straniero, nell’esercizio dell’attività professionale in Italia, quando questa sia consentita, è tenuto al rispetto delle norme deontologiche italiane. ART. 5. - Doveri di probità, dignità e decoro. L’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro. I. Deve essere sottoposto a procedimento disciplinare l’avvocato cui sia imputabile un comportamento non colposo che abbia violato la legge penale, salva ogni autonoma valutazione sul fatto commesso. II. L’avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l’attività forense quando si riflettano sulla sua reputazione professionale o compromettano l’immagine della classe forense. III. L’avvocato che sia indagato o imputato in un procedimento penale non può assumere o mantenere la difesa di altra parte nello stesso procedimento.

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ART. 6. - Doveri di lealtà e correttezza. L’avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza. I. L’avvocato non deve proporre azioni o assumere iniziative in giudizio con mala fede o colpa grave. ART. 7. - Dovere di fedeltà. È dovere dell’avvocato svolgere con fedeltà la propria attività professionale. I. Costituisce infrazione disciplinare il comportamento dell’avvocato che compia consapevolmente atti contrari all’interesse del proprio assistito. II. L’avvocato deve esercitare la sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone verso la collettività per la salvaguardia dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato e di ogni altro potere. ART. 8. - Dovere di diligenza. L’avvocato deve adempiere i propri doveri professionali con diligenza. ART. 9. - Dovere di segretezza e riservatezza. È dovere, oltre che diritto primario e fondamentale dell’avvocato, mantenere il segreto sull’attività prestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato. I. L’avvocato è tenuto al dovere di segretezza e riservatezza anche nei confronti degli ex-clienti, sia per l’attività giudiziale che per l’attività stragiudiziale. II. La segretezza deve essere rispettata anche nei confronti di colui che si rivolga all’avvocato per chiedere assistenza senza che il mandato sia accettato. Quaderni

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III. L’avvocato è tenuto a richiedere il rispetto del segreto professionale anche ai propri collaboratori e dipendenti e a tutte le persone che cooperano nello svolgimento dell’attività professionale. IV. Costituiscono eccezione alla regola generale i casi in cui la divulgazione di alcune informazioni relative alla parte assistita sia necessaria: a. per lo svolgimento delle attività di difesa; b. al fine di impedire la commissione da parte dello stesso assistito di un reato di particolare gravità; c. al fine di allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e assistito; d. in un procedimento concernente le modalità della difesa degli interessi dell’assistito. In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato. ART. 10. - Dovere di indipendenza. Nell’esercizio dell’attività professionale l’avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti esterni. I. L’avvocato non deve tener conto di interessi riguardanti la propria sfera personale. ART. 11. - Dovere di difesa. L’avvocato deve prestare la propria attività difensiva anche quando ne sia richiesto dagli organi giudiziari in base alle leggi vigenti. I. L’avvocato che venga nominato difensore d’ufficio deve, quando ciò sia possibile, comunicare all’assistito che ha facoltà di scegliersi un difensore di fiducia, e deve informarlo, ove intenda richiedere un compenso, che anche il difensore d’ufficio deve essere retribuito a norma di legge. II. Costituisce infrazione disciplinare il rifiuto ingiustificato di

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prestare attività di gratuito patrocinio o la richiesta all’assistito di un compenso per la prestazione di tale attività. ART. 12. - Dovere di competenza. L’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza. I. L’avvocato deve comunicare all’assistito le circostanze impeditive alla prestazione dell’attività richiesta, valutando, per il caso di controversie di particolare impegno e complessità, l’opportunità della integrazione della difesa con altro collega. II. L’accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell’incarico. ART. 13. - Dovere di aggiornamento professionale. È dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività. I. L’avvocato realizza la propria formazione permanente con lo studio individuale e la partecipazione a iniziative culturali in campo giuridico e forense. II. È dovere deontologico dell’avvocato quello di rispettare i regolamenti del Consiglio Nazionale Forense e del Consiglio dell’ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi. ART. 14. - Dovere di verità. Le dichiarazioni in giudizio relative alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi, che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato, e di cui l’avvocato abbia diretta conoscenza, devono essere vere e comunque tali da non indurre il giudice in errore. I. L’avvocato non può introdurre intenzionalmente nel processo prove false. In particolare, il difensore non può assumere a verbale Quaderni

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né introdurre dichiarazioni di persone informate sui fatti che sappia essere false. II. L’avvocato è tenuto a menzionare i provvedimenti già ottenuti o il rigetto dei provvedimenti richiesti, nella presentazione di istanze o richieste sul presupposto della medesima situazione di fatto. ART. 15. - Dovere di adempimento previdenziale e fiscale. L’avvocato deve provvedere regolarmente e tempestivamente agli adempimenti dovuti agli organi forensi nonché agli adempimenti previdenziali e fiscali a suo carico, secondo le norme vigenti. ART. 16. - Dovere di evitare incompatibilità. TESTO PRECEDENTE TESTO VIGENTE al 18 giugno 2008 Modifiche apportate dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 15 luglio 2011 È dovere dell’avvocato eviÈ dovere dell’avvocato evitare situazioni di incompatibili- tare situazioni di incompatibilità tà ostative alla permanenza nel- ostative alla permanenza nell’albo, e, comunque nel dubbio, l’albo, e, comunque nel dubbio, richiedere il parere del proprio richiedere il parere del proprio Consiglio dell’ordine. Consiglio dell’ordine. I. L’avvocato non deve porre in I. L’avvocato non deve porre essere attività commerciale o co- in essere attività commerciale o munque attività incompatibile di mediazione. II. Costituisce infrazione discicon i doveri di indipendenza e di decoro della professione forense. plinare l’avere richiesto l’iscrizioII. Costituisce infrazione disci- ne all’albo in pendenza di cause plinare l’avere richiesto l’iscrizio- di incompatibilità, non dichiarane all’albo in pendenza di cause di te, ancorché queste siano venute incompatibilità, non dichiarate, an- meno. corché queste siano venute meno.

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ART. 17. - Informazioni sull’attività professionale. L’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale. Il contenuto e la forma dell’informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e veridicità, il rispetto dei quali è verificato dal competente Consiglio dell’ordine. Quanto al contenuto, l’informazione deve essere conforme a verità e correttezza e non può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale. L’avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi vi consentano. Quanto alla forma e alle modalità, l’informazione deve rispettare la dignità e il decoro della professione. In ogni caso, l’informazione non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa. I. Sono consentite, a fini non lucrativi, l’organizzazione e la sponsorizzazione di seminari di studio, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline attinenti alla professione forense da parte di avvocati o di società o di associazioni di avvocati. II. È consentita l’indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei suoi eredi. ART. 17 bis. - Modalità dell’informazione. L’avvocato che intende dare informazione sulla propria attività professionale deve indicare: •) la denominazione dello studio, con la indicazione dei nominativi dei professionisti che lo compongono qualora l’esercizio della professione sia svolto in forma associata o societaria; •) il Consiglio dell’Ordine presso il quale è iscritto ciascuno dei componenti lo studio; •) la sede principale di esercizio, le eventuali sedi secondarie ed i Quaderni

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recapiti, con l’indicazione di indirizzo, numeri telefonici, fax, e-mail e del sito web, se attivato; •) il titolo professionale che consente all’avvocato straniero l’esercizio in Italia, o che consenta all’avvocato italiano l’esercizio all’estero, della professione di avvocato in conformità delle direttive comunitarie. Può indicare: •) i titoli accademici; •) i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari; •) l’abilitazione a esercitare avanti alle giurisdizioni superiori; •) i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente; •) le lingue conosciute; •) il logo dello studio; •) gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale; •) l’eventuale certificazione di qualità dello studio; l’avvocato che intenda fare menzione di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell’Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l’indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato. L’avvocato può utilizzare esclusivamente i siti web con domini propri e direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipa, previa tempestiva comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui è espresso. Il professionista è responsabile del contenuto del sito e in esso deve indicare i dati previsti dal primo comma. Il sito non può contenere riferimenti commerciali e/o pubblicitari mediante l’indicazione diretta o tramite banner o pop-up di alcun tipo.

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ART. 18. - Rapporti con la stampa. Nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione l’avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare interviste, per il rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza. I. Il difensore, con il consenso del proprio assistito e nell’esclusivo interesse dello stesso, può fornire agli organi di informazione e di stampa notizie che non siano coperte dal segreto di indagine. II. In ogni caso, nei rapporti con gli organi di informazione e con gli altri mezzi di diffusione, è fatto divieto all’avvocato di enfatizzare la propria capacità professionale, di spendere il nome dei propri clienti, di sollecitare articoli di stampa o interviste sia su organi di informazione sia su altri mezzi di diffusione; è fatto divieto altresì di convocare conferenze stampa fatte salve le esigenze di difesa del cliente. III. È consentito all’avvocato, previa comunicazione tempestiva al Consiglio dell’ordine di appartenenza, di tenere o curare rubriche fisse su organi di stampa con l’indicazione del proprio nome e di partecipare a rubriche fisse televisive o radiofoniche. ART. 19. - Divieto di accaparramento di clientela. È vietata ogni condotta diretta all’acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi alla correttezza e decoro. I. L’avvocato non deve corrispondere ad un collega, o ad un altro soggetto, un onorario, una provvigione o qualsiasi altro compenso quale corrispettivo per la presentazione di un cliente. II. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o di prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi. III. È vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Quaderni

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IV. È altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per un specifico affare. ART. 20. - Divieto di uso di espressioni sconvenienti od offensive. Indipendentemente dalle disposizioni civili e penali, l’avvocato deve evitare di usare espressioni sconvenienti od offensive negli scritti in giudizio e nell’attività professionale in genere, sia nei confronti dei colleghi che nei confronti dei magistrati, delle controparti e dei terzi. I. La ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono l’infrazione della regola deontologica. ART. 21. - Divieto di attività professionale senza titolo o di uso di titoli inesistenti. L’iscrizione all’albo costituisce presupposto per l’esercizio dell’attività giudiziale e stragiudiziale di assistenza e consulenza in materia legale e per l’utilizzo del relativo titolo. I. Costituisce illecito disciplinare l’uso di un titolo professionale non conseguito ovvero lo svolgimento di attività in mancanza di titolo o in periodo di sospensione. II. Costituisce altresì illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che agevoli, o, in qualsiasi altro modo diretto o indiretto, renda possibile a soggetti non abilitati o sospesi l’esercizio abusivo dell’attività di avvocato o consenta che tali soggetti ne possano ricavare benefici economici, anche se limitatamente al periodo di eventuale sospensione dall’esercizio. III. L’avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia docente universitario di materie giuridiche. In ogni caso dovrà specificare la qualifica, la materia di insegnamento e la facoltà. IV. L’iscritto nel registro dei praticanti avvocati può usare esclusivamente e per esteso il titolo di “praticante avvocato”, con l’even-

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tuale indicazione di “abilitato al patrocinio” qualora abbia conseguito tale abilitazione. TITOLO II RAPPORTI CON I COLLEGHI ART. 22. - Rapporto di colleganza. L’avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà. I. L’avvocato che collabori con altro collega è tenuto a rispondere con sollecitudine alle sue richieste di informativa. II. L’avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all’esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, tranne che l’avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare. III. L’avvocato non può registrare una conversazione telefonica con il collega. La registrazione, nel corso di una riunione, è consentita soltanto con il consenso di tutti i presenti. ART. 23. - Rapporto di colleganza e dovere di difesa nel processo. Nell’attività giudiziale l’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza del dovere di difesa, salvaguardando in quanto possibile il rapporto di colleganza. I. L’avvocato è tenuto a rispettare la puntualità alle udienze e in ogni altra occasione di incontro con i colleghi. II. L’avvocato deve opporsi a qualunque istanza, irrituale o ingiustificata, formulata nel processo dalle controparti che comporti pregiudizio per la parte assistita. III. Il difensore, che riceva l’incarico di fiducia dall’imputato, è tenuto a comunicare tempestivamente con mezzi idonei al collega, già nominato d’ufficio, il mandato ricevuto e, senza pregiudizio per Quaderni

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il diritto di difesa, deve raccomandare alla parte di provvedere al pagamento di quanto è dovuto al difensore d’ufficio per l’attività professionale eventualmente già svolta. IV. Nell’esercizio del mandato l’avvocato può collaborare con i difensori delle altre parti, anche scambiando informazioni, atti e documenti, nell’interesse della parte assistita e nel rispetto della legge. V. Nei casi di difesa congiunta, è dovere del difensore consultare il co-difensore in ordine ad ogni scelta processuale ed informarlo del contenuto dei colloqui con il comune assistito, al fine della effettiva condivisione della strategia processuale. VI. L’interruzione delle trattative stragiudiziali, nella prospettiva di dare inizio ad azioni giudiziarie, deve essere comunicata al collega avversario. ART. 24. - Rapporti con il Consiglio dell’ordine. L’avvocato ha il dovere di collaborare con il Consiglio dell’ordine di appartenenza, o con altro che ne faccia richiesta, per l’attuazione delle finalità istituzionali osservando scrupolosamente il dovere di verità. A tal fine ogni iscritto è tenuto a riferire al Consiglio fatti a sua conoscenza relativi alla vita forense o alla amministrazione della giustizia, che richiedano iniziative o interventi collegiali. I. Nell’ambito di un procedimento disciplinare, la mancata risposta dell’iscritto agli addebiti comunicatigli e la mancata presentazione di osservazioni e difese non costituisce autonomo illecito disciplinare, pur potendo tali comportamenti essere valutati dall’organo giudicante nella formazione del proprio libero convincimento. II. Qualora il Consiglio dell’ordine richieda all’iscritto chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione ad un esposto presentato da una parte o da un collega tendente ad ottenere notizie o adempimenti nell’interesse dello stesso reclamante, la mancata sollecita risposta dell’iscritto costituisce illecito disciplinare. III. L’avvocato chiamato a far parte del Consiglio dell’ordine

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deve adempiere l’incarico con diligenza, imparzialità e nell’interesse generale. IV. L’avvocato ha il dovere, ai fini della tenuta dell’albo, di comunicare senza ritardo al Consiglio dell’ordine di appartenenza ed eventualmente a quello competente per territorio, la costituzione di associazioni o società professionali e i successivi eventi modificativi, nonché l’apertura di studi principali, secondari e anche recapiti professionali. ART. 25. - Rapporti con i collaboratori dello studio. L’avvocato deve consentire ai propri collaboratori di migliorare la preparazione professionale, compensandone la collaborazione in proporzione all’apporto ricevuto. ART. 26. - Rapporti con i praticanti. L’avvocato è tenuto verso i praticanti ad assicurare la effettività ed a favorire la proficuità della pratica forense al fine di consentire un’adeguata formazione. I. L’avvocato deve fornire al praticante un adeguato ambiente di lavoro, riconoscendo allo stesso, dopo un periodo iniziale, un compenso proporzionato all’apporto professionale ricevuto. II. L’avvocato deve attestare la veridicità delle annotazioni contenute nel libretto di pratica solo in seguito ad un adeguato controllo e senza indulgere a motivi di favore o di amicizia. III. È responsabile disciplinarmente l’avvocato che dia incarico ai praticanti di svolgere attività difensiva non consentita. ART. 27. - Obbligo di corrispondere con il collega. L’avvocato non può mettersi in contatto diretto con la controparte che sia assistita da altro legale. I. Soltanto in casi particolari, per richiedere determinati comportamenti o intimare messe in mora od evitare prescrizioni o decadenze, Quaderni

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la corrispondenza può essere indirizzata direttamente alla controparte, sempre peraltro inviandone copia per conoscenza al legale avversario. II. Costituisce illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che accetti di ricevere la controparte, sapendo che essa è assistita da un collega, senza informare quest’ultimo e ottenerne il consenso. ART. 28. - Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega. Non possono essere prodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi. I. È producibile la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando sia stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione. II. È producibile la corrispondenza dell’avvocato che assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste. III. L’avvocato non deve consegnare all’assistito la corrispondenza riservata tra colleghi, ma può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al professionista che gli succede, il quale è tenuto ad osservare i medesimi criteri di riservatezza. ART. 29. - Notizie riguardanti il collega. L’esibizione in giudizio di documenti relativi alla posizione personale del collega avversario e l’utilizzazione di notizie relative alla sua persona sono vietate, salvo che egli sia parte di un giudizio e che l’uso di tali notizie sia necessario alla tutela di un diritto. I. L’avvocato deve astenersi dall’esprimere apprezzamenti denigratori sull’attività professionale di un collega. ART. 30. - Obbligo di soddisfare le prestazioni affidate ad altro collega. L’avvocato che scelga e incarichi direttamente altro collega di

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esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza deve provvedere a retribuirlo, ove non adempia la parte assistita, tranne che dimostri di essersi inutilmente attivato, anche postergando il proprio credito, per ottenere l’adempimento. ART. 31. - Obbligo di dare istruzioni al collega e obbligo di informativa. L’avvocato è tenuto a dare tempestive istruzioni al collega corrispondente. Quest’ultimo, del pari, è tenuto a dare tempestivamente al collega informazioni dettagliate sull’attività svolta e da svolgere. I. L’elezione di domicilio presso altro collega deve essere preventivamente comunicata e consentita. II. È fatto divieto all’avvocato corrispondente di definire direttamente una controversia, in via transattiva, senza informare il collega che gli ha affidato l’incarico. III. L’avvocato corrispondente, in difetto di istruzioni, deve adoperarsi nel modo più opportuno per la tutela degli interessi della parte, informando non appena possibile il collega che gli ha affidato l’incarico. ART. 32. - Divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collega. L’avvocato che abbia raggiunto con il patrono avversario un accordo transattivo accettato dalle parti deve astenersi dal proporre impugnativa giudiziale della transazione intervenuta, salvo che l’impugnazione sia giustificata da fatti particolari non conosciuti o sopravvenuti. ART. 33. - Sostituzione del collega nell’attività di difesa. Nel caso di sostituzione di un collega nel corso di un giudizio, per revoca dell’incarico o rinuncia, il nuovo legale dovrà rendere nota la propria nomina al collega sostituito, adoperandosi, senza pregiudizio per l’attività difensiva, perché siano soddisfatte le legittime richieste per le prestazioni svolte. Quaderni

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I. L’avvocato sostituito deve adoperarsi affinché la successione nel mandato avvenga senza danni per l’assistito, fornendo al nuovo difensore tutti gli elementi per facilitargli la prosecuzione della difesa. ART. 34. - Responsabilità dei collaboratori, sostituti e associati. Salvo che il fatto integri un’autonoma responsabilità, i collaboratori, sostituti e ausiliari non sono disciplinarmente responsabili per il compimento di atti per incarichi specifici ricevuti. I. Nel caso di associazione professionale, è disciplinarmente responsabile soltanto l’avvocato o gli avvocati a cui si riferiscano i fatti specifici commessi. TITOLO III RAPPORTI CON LA PARTE ASSISTITA ART. 35. - Rapporto di fiducia. Il rapporto con la parte assistita è fondato sulla fiducia. I. L’incarico deve essere conferito dalla parte assistita o da altro avvocato che la difenda. Qualora sia conferito da un terzo, che intenda tutelare l’interesse della parte assistita ovvero anche un proprio interesse, l’incarico può essere accettato soltanto con il consenso della parte assistita. II. L’avvocato deve astenersi, dopo il conferimento del mandato, dallo stabilire con l’assistito rapporti di natura economica, patrimoniale o commerciale che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale, salvo quanto previsto nell’art. 45. ART. 36. - Autonomia del rapporto. L’avvocato ha l’obbligo di difendere gli interessi della parte assistita nel miglior modo possibile nei limiti del mandato e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici.

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I. L’avvocato non deve consapevolmente consigliare azioni inutilmente gravose, né suggerire comportamenti, atti o negozi illeciti, fraudolenti o colpiti da nullità. II. L’avvocato, prima di accettare l’incarico, deve accertare l’identità del cliente e dell’eventuale suo rappresentante. III. In ogni caso, nel rispetto dei doveri professionali anche per quanto attiene al segreto, l’avvocato deve rifiutare di ricevere o gestire fondi che non siano riferibili a un cliente esattamente individuato. IV. L’avvocato deve rifiutare di prestare la propria attività quando dagli elementi conosciuti possa fondatamente desumere che essa sia finalizzata alla realizzazione di una operazione illecita. ART. 37. - Conflitto di interessi. L’avvocato ha l’obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale. I. Sussiste conflitto di interessi anche nel caso in cui l’espletamento di un nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altro assistito, ovvero quando la conoscenza degli affari di una parte possa avvantaggiare ingiustamente un altro assistito, ovvero quando lo svolgimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento di un nuovo incarico. II. L’obbligo di astensione opera altresì se le parti aventi interessi configgenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali. ART. 38. - Inadempimento al mandato. Costituisce violazione dei doveri professionali, il mancato, ritarQuaderni

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dato o negligente compimento di atti inerenti al mandato quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita. I. Il difensore d’ufficio deve assolvere l’incarico con diligenza e sollecitudine; ove sia impedito di partecipare a singole attività processuali deve darne tempestiva e motivata comunicazione all’autorità procedente ovvero incaricare della difesa un collega, il quale, ove accetti, è responsabile dell’adempimento dell’incarico. ART. 39. - Astensione dalle udienze. L’avvocato ha diritto di partecipare alla astensione dalle udienze proclamata dagli organi forensi in conformità con le disposizioni del codice di autoregolamentazione e delle norme in vigore. I. L’avvocato che eserciti il proprio diritto di non aderire alla astensione deve informare preventivamente gli altri difensori costituiti. II. Non è consentito aderire o dissociarsi dalla proclamata astensione a seconda delle proprie contingenti convenienze. L’avvocato che aderisca all’astensione non può dissociarsene con riferimento a singole giornate o a proprie specifiche attività, così come l’avvocato che se ne dissoci non può aderirvi parzialmente, in certi giorni o per particolari proprie attività professionali. ART. 40. - Obbligo di informazione. L’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili. L’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta. I. Se richiesto, è obbligo dell’avvocato informare la parte assistita

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sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo. II. È obbligo dell’avvocato comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinanti atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione. III. Il difensore ha l’obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi. ART. 41. - Gestione di denaro altrui. L’avvocato deve comportarsi con puntualità e diligenza nella gestione del denaro ricevuto dal proprio assistito o da terzi per determinati affari ovvero ricevuto per conto della parte assistita, ed ha l’obbligo di renderne sollecitamente conto. I. Costituisce infrazione disciplinare trattenere oltre il tempo strettamente necessario le somme ricevute per conto della parte assistita. II. In caso di deposito fiduciario l’avvocato è obbligato a richiedere istruzioni scritte e ad attenervisi. ART. 42. - Restituzione di documenti. L’avvocato è in ogni caso obbligato a restituire senza ritardo alla parte assistita la documentazione dalla stessa ricevuta per l’espletamento del mandato quando questa ne faccia richiesta. I. L’avvocato può trattenere copia della documentazione, senza il consenso della parte assistita, solo quando ciò sia necessario ai fini della liquidazione del compenso e non oltre l’avvenuto pagamento. ART. 43. - Richiesta di pagamento. Durante lo svolgimento del rapporto professionale l’avvocato può chiedere la corresponsione di anticipi ragguagliati alle spese sostenute ed a quelle prevedibili e di acconti sulle prestazioni proQuaderni

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fessionali, commisurati alla quantità e complessità delle prestazioni richieste per lo svolgimento dell’incarico. I. L’avvocato deve tenere la contabilità delle spese sostenute e degli acconti ricevuti ed è tenuto a consegnare, a richiesta del cliente, la nota dettagliata delle somme anticipate e delle spese sostenute per le prestazioni eseguite e degli onorari per le prestazioni svolte. II. L’avvocato non deve richiedere compensi manifestamente sproporzionati all’attività svolta. III. L’avvocato non può richiedere un compenso maggiore di quello già indicato, in caso di mancato spontaneo pagamento, salvo che ne abbia fatto espressa riserva. IV. L’avvocato non può condizionare al riconoscimento dei propri diritti o all’adempimento di prestazioni professionali il versamento alla parte assistita delle somme riscosse per conto di questa. ART. 44. - Compensazione. L’avvocato ha diritto di trattenere le somme che gli siano pervenute dalla parte assistita o da terzi a rimborso delle spese sostenute, dandone avviso al cliente; può anche trattenere le somme ricevute, a titolo di pagamento dei propri onorari, quando vi sia il consenso della parte assistita ovvero quando si tratti di somme liquidate in sentenza a carico della controparte a titolo di diritti e onorari ed egli non le abbia ancora ricevute dalla parte assistita, ovvero quando abbia già formulato una richiesta di pagamento espressamente accettata dalla parte assistita. I. In ogni altro caso, l’avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto di questa. ART. 45. - Accordi sulla definizione del compenso. È consentito all’avvocato pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’articolo 1261 c.c. e sempre che i compensi siano proporzionati

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all’attività svolta, fermo il principio disposto dall’art. 2233 del codice civile. ART. 46. - Azioni contro la parte assistita per il pagamento del compenso. L’avvocato può agire giudizialmente nei confronti della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, previa rinuncia al mandato. ART. 47. - Rinuncia al mandato. L’avvocato ha diritto di rinunciare al mandato. I. In caso di rinuncia al mandato l’avvocato deve dare alla parte assistita un preavviso adeguato alle circostanze, e deve informarla di quanto è necessario fare per non pregiudicare la difesa. II. Qualora la parte assistita non provveda in tempi ragionevoli alla nomina di un altro difensore, nel rispetto degli obblighi di legge l’avvocato non è responsabile per la mancata successiva assistenza, pur essendo tenuto ad informare la parte delle comunicazioni che dovessero pervenirgli. III. In caso di irreperibilità, l’avvocato deve comunicare la rinuncia al mandato con lettera raccomandata alla parte assistita all’indirizzo anagrafico e all’ultimo domicilio conosciuto. Con l’adempimento di tale formalità, fermi restando gli obblighi di legge, l’avvocato è esonerato da ogni altra attività, indipendentemente dal fatto che l’assistito abbia effettivamente ricevuto tale comunicazione. TITOLO IV RAPPORTO CON LA CONTROPARTE, I MAGISTRATI E I TERZI ART. 48. - Minaccia di azioni alla controparte. L’intimazione fatta dall’avvocato alla controparte tendente ad otQuaderni

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tenere particolari adempimenti sotto comminatoria di azioni, istanze fallimentari, denunce o altre sanzioni, è consentita quando tenda a rendere avvertita la controparte delle possibili iniziative giudiziarie in corso o da intraprendere; è deontologicamente scorretta, invece, tale intimazione quando siano minacciate azioni od iniziative sproporzionate o vessatorie. I. Qualora ritenga di invitare la controparte ad un colloquio nel proprio studio, prima di iniziare un giudizio, l’avvocato deve precisarle che può essere accompagnata da un legale di fiducia. II. L’addebito alla controparte di competenze e spese per l’attività prestata in sede stragiudiziale è ammesso, purché la richiesta di pagamento sia fatta a favore del proprio assistito. ART. 49. - Pluralità di azioni nei confronti della controparte. L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita. ART. 50. - Richiesta di compenso professionale alla controparte. È vietato richiedere alla controparte il pagamento del proprio compenso professionale, salvo che ciò sia oggetto di specifica pattuizione, con l’accordo del proprio assistito, e in ogni altro caso previsto dalla legge. I. In particolare è consentito all’avvocato chiedere alla controparte il pagamento del proprio compenso professionale nel caso di avvenuta transazione giudiziale e di inadempimento del proprio cliente. ART. 51. - Assunzione di incarichi contro ex-clienti. L’assunzione di un incarico professionale contro un ex-cliente è ammessa quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estra-

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neo a quello espletato in precedenza. In ogni caso è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito. I. L’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi. ART. 52. - Rapporti con i testimoni. L’avvocato deve evitare di intrattenersi con i testimoni sulle circostanze oggetto dei procedimenti con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti. I. Resta ferma la facoltà di investigazione difensiva nei modi e termini previsti dal codice di procedura penale, e nel rispetto delle disposizioni che seguono. 1. Il difensore di fiducia e il difensore d’ufficio sono tenuti ugualmente al rispetto delle disposizioni previste nello svolgimento delle investigazioni difensive. 2. In particolare il difensore ha il dovere di valutare la necessità o l’opportunità di svolgere investigazioni difensive in relazione alle esigenze e agli obiettivi della difesa in favore del proprio assistito. 3. La scelta sull’oggetto, sui modi e sulle forme delle investigazioni nonché sulla utilizzazione dei risultati compete al difensore. 4. Quando si avvale di sostituti, collaboratori di studio, investigatori privati autorizzati e consulenti tecnici, il difensore può fornire agli stessi tutte le informazioni e i documenti necessari per l’espletamento dell’incarico, anche nella ipotesi di intervenuta segretazione degli atti, raccomandando il vincolo del segreto e l’obbligo di comunicare i risultati esclusivamente al difensore. 5. Il difensore ha il dovere di mantenere il segreto professionale sugli atti delle investigazioni difensive e sul loro contenuto, finché non ne faccia uso nel procedimento, salva la rivelazione per giusta causa nell’interesse del proprio assistito. Quaderni

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6. Il difensore ha altresì l’obbligo di conservare scrupolosamente e riservatamente la documentazione delle investigazioni difensive per tutto il tempo ritenuto necessario o utile per l’esercizio della difesa. 7. È fatto divieto al difensore e ai vari soggetti interessati di corrispondere compensi o indennità sotto qualsiasi forma alle persone interpellate ai fini delle investigazioni difensive, salva la facoltà di provvedere al rimborso delle spese documentate. 8. Il difensore deve informare le persone interpellate ai fini delle investigazioni della propria qualità, senza obbligo di rivelare il nome dell’assistito. 9. Il difensore deve inoltre informare le persone interpellate che, se si avvarranno della facoltà di non rispondere, potranno essere chiamate ad una audizione davanti al pubblico ministero ovvero a rendere un esame testimoniale davanti al giudice, ove saranno tenute a rispondere anche alle domande del difensore. 10. Il difensore deve altresì informare le persone sottoposte a indagine o imputate nello stesso procedimento o in altro procedimento connesso o collegato che, se si avvarranno della facoltà di non rispondere, potranno essere chiamate a rendere esame davanti al giudice in incidente probatorio. 11. Il difensore, quando intende compiere un accesso in un luogo privato, deve richiedere il consenso di chi ne abbia la disponibilità, informandolo della propria qualità e della natura dell’atto da compiere, nonché della possibilità che, ove non sia prestato il consenso, l’atto sia autorizzato dal giudice. 12. Per conferire, chiedere dichiarazioni scritte o assumere informazioni dalla persona offesa dal reato il difensore procede con invito scritto, previo avviso al legale della stessa persona offesa, ove ne sia conosciuta l’esistenza. Se non risulta assistita, nell’invito è indicata l’opportunità che comunque un legale sia consultato e intervenga all’atto. Nel caso di persona minore, l’invito è comu-

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nicato anche a chi esercita la potestà dei genitori, con facoltà di intervenire all’atto. 13. Il difensore, anche quando non redige un verbale, deve documentare lo stato dei luoghi e delle cose, procurando che nulla sia mutato, alterato o disperso. 14. Il difensore ha il dovere di rispettare tutte le disposizioni fissate dalla legge e deve comunque porre in essere le cautele idonee ad assicurare la genuinità delle dichiarazioni. 15. Il difensore deve documentare in forma integrale le informazioni assunte. Quando è disposta la riproduzione anche fonografica le informazioni possono essere documentate in forma riassuntiva. 16. Il difensore non è tenuto a rilasciare copia del verbale alla persona che ha reso informazioni né al suo difensore. ART. 53. - Rapporti con i magistrati. I rapporti con i magistrati devono essere improntati alla dignità e al rispetto quali si convengono alle reciproche funzioni. I. Salvo casi particolari, l’avvocato non può discutere del giudizio civile in corso con il giudice incaricato del processo senza la presenza del legale avversario. II. L’avvocato chiamato a svolgere funzioni di magistrato onorario deve rispettare tutti gli obblighi inerenti a tali funzioni e le norme sulla incompatibilità. III. L’avvocato non deve approfittare di eventuali rapporti di amicizia, di familiarità o di confidenza con i magistrati per ottenere favori e preferenze. In ogni caso deve evitare di sottolineare la natura di tali rapporti nell’esercizio del suo ministero, nei confronti o alla presenza di terze persone.

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ART. 54. - Rapporti con arbitri, conciliatori, mediatori e consulenti tecnici. TESTO PRECEDENTE TESTO VIGENTE al 18 giugno 2008 Modifiche apportate dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 15 luglio 2011 L’avvocato deve ispirare il pro- L’avvocato deve ispirare il proprio rapporto con arbitri, conci- prio rapporto con arbitri e consuliatori, mediatori e consulenti lenti tecnici a correttezza e lealtà, tecnici a correttezza e lealtà, nel nel rispetto delle reciproche funrispetto delle reciproche funzio- zioni. ni. ART. 55. - Arbitrato. TESTO PRECEDENTE TESTO VIGENTE al 18 giugno 2008 Modifiche apportate dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 16 dicembre 2011 L’avvocato chiamato a svolL’avvocato chiamato a svolgere la funzione di arbitro è te- gere la funzione di arbitro è tenuto ad improntare il proprio nuto ad improntare il proprio comportamento a probità e cor- comportamento a probità e correttezza e a vigilare che il proce- rettezza e a vigilare che il procedimento si svolga con imparzia- dimento si svolga con imparzialità e indipendenza. lità e indipendenza. I. L’avvocato non può assuI. L’avvocato non può assumere la funzioni di arbitro quan- mere la funzioni di arbitro quando abbia in corso, o abbia avuto do abbia in corso rapporti pronegli ultimi due anni, rapporti fessionali con una delle parti. II. L’avvocato non può accetprofessionali con una delle parti né, comunque, se ricorre una tare la nomina ad arbitro se una

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delle ipotesi di cui all’art. 815, primo comma, del codice di procedura civile. II. L’avvocato non può accettare la nomina ad arbitro se una delle parti del procedimento sia assistita, o sia stata assistita negli ultimi due anni, da altro professionista di lui socio o con lui associato, ovvero che eserciti negli stessi locali. In ogni caso l’avvocato deve comunicare per iscritto alle parti ogni ulteriore circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori che possano incidere sulla sua indipendenza, al fine di ottenere il consenso delle parti stesse all’espletamento dell’incarico. III. L’avvocato che viene designato arbitro deve comportarsi nel corso del procedimento in modo da preservare la fiducia in lui riposta dalle parti e deve rimanere immune da influenze e condizionamenti esterni di qualunque tipo. Egli inoltre: - ha il dovere di mantenere la riservatezza sui fatti di cui venga a conoscenza in ragione del procedimento arbitrale: - non deve fornire notizie su Quaderni

delle parti del procedimento sia assistita da altro professionista di lui socio o con lui associato, ovvero che eserciti negli stessi locali. In ogni caso l’avvocato deve comunicare alle parti ogni circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori che possano incidere sulla sua indipendenza, al fine di ottenere il consenso delle parti stesse all’espletamento dell’incarico. III. L’avvocato che sia stato richiesto di svolgere la funzione di arbitro deve dichiarare per iscritto, nell’accettare l’incarico, l’inesistenza di ragioni ostative all’assunzione della veste di arbitro o comunque di relazioni di tipo professionale, commerciale, economico, familiare o personale con una delle parti. Diversamente, deve specificare dette ragioni ostative, la natura e il tipo di tali relazioni e può accettare l’incarico solo se le parti non si oppongano entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione. IV. L’avvocato che viene designato arbitro deve comportarsi nel corso del procedimento in

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questioni attinenti al procedimento; - non deve rendere nota la decisione prima che questa sia formalmente comunicata a tutte le parti. IV. L’avvocato che ha svolto l’incarico di arbitro non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti: a) - se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento; b) - se l’oggetto dell’attività non sia diverso da quello del procedimento stesso. Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali.

modo da preservare la fiducia in lui riposta dalle parti e deve rimanere immune da influenze e condizionamenti esterni di qualunque tipo. Egli inoltre: - ha il dovere di mantenere la riservatezza sui fatti di cui venga a conoscenza in ragione del procedimento arbitrale: - non deve fornire notizie su questioni attinenti al procedimento; - non deve rendere nota la decisione prima che questa sia formalmente comunicata a tutte le parti.

Articolo aggiunto dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 15 luglio 2011 ART. 55 bis – Mediazione L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice. I. L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza. II. Non può assumere la funzione di mediatore l’avvocato:

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a) che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti; b) quando una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali. In ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 815, primo comma, del codice di procedura civile. III. L’avvocato che ha svolto l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti: a) se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento; b) se l’oggetto dell’attività non sia diverso da quello del procedimento stesso. Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali. IV. È fatto divieto all’avvocato consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione. ART. 56. - Rapporti con i terzi. L’avvocato ha il dovere di rivolgersi con correttezza e con rispetto nei confronti del personale ausiliario di giustizia, del proprio personale dipendente e di tutte le persone in genere con cui venga in contatto nell’esercizio della professione. I. Anche al di fuori dell’esercizio della professione l’avvocato ha il dovere di comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la fiducia che i terzi debbono avere nella sua capacità di adempiere i doveri professionali e nella dignità della professione.

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ART. 57. - Elezioni forensi. L’avvocato che partecipi, quale candidato o quale sostenitore di candidati, ad elezioni ad organi rappresentativi dell’Avvocatura deve comportarsi con correttezza, evitando forme di propaganda ed iniziative non consone alla dignità delle funzioni. I. È vietata ogni forma di propaganda elettorale o di iniziativa nella sede di svolgimento delle elezioni e durante le operazioni di voto. II. Nelle sedi di svolgimento delle operazioni di voto è consentita la sola affissione delle liste elettorali e di manifesti contenenti le regole di svolgimento delle operazioni di voto. ART. 58. - La testimonianza dell’avvocato. Per quanto possibile, l’avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e inerenti al mandato ricevuto. I. L’avvocato non deve mai impegnare di fronte al giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio. II. Qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone dovrà rinunciare al mandato e non potrà riassumerlo. ART. 59. - Obbligo di provvedere all’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi. L’avvocato è tenuto a provvedere regolarmente all’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi. I. L’inadempimento ad obbligazioni estranee all’esercizio della professione assume carattere di illecito disciplinare, quando, per modalità o gravità, sia tale da compromettere la fiducia dei terzi nella capacità dell’avvocato di rispettare i propri doveri professionali.

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TITOLO V DISPOSIZIONE FINALE ART. 60. - Norma di chiusura. Le disposizioni specifiche di questo codice costituiscono esemplificazioni dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali espressi.

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2011 anno dell’avvocatura Una storia di libertà e diritti Osservazioni fatte dal Presidente Guido Alpa al Garante della Concorrenza e del Mercato S.E. il Presidente del Senato S.E. il Presidente della Camera S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri Eccellenze, nell’esercizio dei poteri assegnati al Consiglio nazionale forense dalla legge professionale forense mi permetto di sottoporre alla Loro attenzione alcune considerazioni sollecitate dalla lettera a Loro inviata ieri dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Ciò al fine di precisare alcune osservazioni contenute nella lettera, che meritano di essere lette nella prospettiva, più ampia, onnicomprensiva, e quindi più corretta, della disciplina delle professioni intellettuali, e in particolare della professione forense. La lettera incentra le sue osservazioni sulla opportunità della scelta legislativa di inserire nel provvedimento sulla manovra regole dirette a migliorare la libertà di impresa e di iniziativa economica, con particolare riguardo ai servizi privati e pubblici. Quanto ai servizi privati, l’Autorità include tra essi le attività professionali, e lamenta l’esistenza di “ingiustificate protezioni corporative” che si tradurrebbero in limiti alla concorrenza, alla crescita e allo sviluppo. Giustifica in questo modo il suo intervento, ricorrendo ad alcune semplificazioni che è d’uopo mettere in evidenza.

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Occorre perciò richiamare la Loro attenzione su alcuni aspetti che la lettera volutamente ignora forse per rendere più persuasive le sue sollecitazioni. Le professioni intellettuali sono bensì considerate servizi privati dalle direttive comunitarie, ma ciò non significa che esse siano equiparabili all’attività d’impresa, né che, trattandosi di attività di lavoro indipendente, esse siano ascrivibili all’area di applicazione dell’art. 41 Cost., dovendosi invece esse ascritte all’ambito di operatività delle regole costituzionali sul lavoro (art. 1, 4, 36 ss. Cost.). La lettera dimentica di sottolineare che la stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea distingue tra attività di lavoro e attività d’impresa, e che quindi le direttive comunitarie debbono essere lette alla luce della superiore normativa di livello costituzionale, tenendo conto di questo criterio interpretativo che impedisce l’estensione tout court di tutte le regole riguardanti i servizi anche alle attività professionali, o, se del caso, adattandole alla particolare natura che queste attività rivestono, essendo richiesta per esse una particolare competenza, a fine di tutela degli interessi pubblici e dei singoli cittadini, come è evidente per lo svolgimento delle attività dirette a tutelare gli interessi costituzionalmente garantiti, come il diritto di difesa e i diritti in generale per l’attività forense o la salute come per le attività sanitarie. La lettera dimentica che tra le direttive che riguardano le professioni vi sono quelle inerenti la libertà di stabilimento, l’attività di esercizio, le qualifiche professionali: tutte direttive che non “liberalizzano” le professioni e la professione forense in particolare, ma introducono alcuni principi comuni conservando tuttavia l’impianto, la disciplina e i valori che sono previsti dagli ordinamenti di ciascuno Stato Membro in questa materia. Tali direttive cercano di bilanciare le esigenze del mercato con le esigenze dei diritti dei cittadini, nella consapevolezza che non ogni limite deve considerarsi un ostacolo al mercato ma che al mercato si possono imporre regole che consentoQuaderni

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no di richiedere requisiti e controlli a chi esercita determinate attività producendole con l’intelletto e non con apparati industriali, sempre al fine di proteggere i diritti e gli interessi dei cittadini diversi da quelli squisitamente economici. La lettera dimentica ancora che la categoria dei servizi non è monolitica: in particolare lo ricorda la Raccomandazione del Parlamento europeo del 23 marzo 2006, ove si precisa che la disciplina del libero mercato non può incidere sui valori essenziali della professione forense, a cui si riconosce il ruolo fondamentale di assicurare la difesa dei diritti e quindi di essere costitutiva dello Stato di diritto. In tal modo si riconosce la possibilità, in ragione dell’interesse pubblico, di assegnare alle professioni e in particolare alla professione forense una disciplina appropriata e non confondibile con quella dei servizi in generale. Sorvolando quindi su queste distinzioni, e non tenendo conto neppure della giurisprudenza comunitaria che ha legittimato con tante decisioni le regole dell’ordinamento italiano in tema di tariffe professionali, la lettera dedica molto spazio delle sue osservazioni alla storia recente, al decreto legge del 4 luglio 2006, n. 223 (salutato a suo tempo con grande plauso da parte della stessa Autorità) e alle ragioni che avevano suggerito al legislatore dell’epoca di sopprimere le regole sulla vincolatività delle tariffe. Non si debbono seguire le eccessive semplificazioni che la lettera successivamente introduce nelle sue argomentazioni, peraltro così spontaneamente offerte alle Loro Eccellenze: la soppressione della vincolatività si è risolta nel peggioramento della situazione che si voleva invece migliorare, cioè la situazione dei consumatori (che peraltro l’Autorità dovrebbe istituzionalmente tutelare) e nell’agevolazione di quanti invece hanno saputo abusare del loro potere contrattuale per imporre compensi irrisori, deprimenti della qualità dell’attività svolta dai professionisti. Si aggiunga che il testo del decreto oggi alla attenzione del Parlamento non ripara affatto i mali del decreto del 2006, perché non ripristina la vincolatività delle tariffe,

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non ripristina il divieto del patto di quota lite, ma si limita a conservarle soltanto come indice di riferimento. Le parti ben possono derogarvi, come aveva già previsto il decreto del 2006 e come ribadisce il decreto attuale. Non si dovrebbe ignorare – né sottacere – che le tariffe di riferimento costituiscono una garanzia per i clienti e un indice di valutazione che il giudice ha a disposizione nel momento in cui è chiamato a liquidare il compenso del professionista. Esse innanzitutto operano in modo egalitario, poi escludono la discrezionalità eccessiva, e in ogni caso implicano una valutazione del pubblico interesse – proprio quell’interesse di cui si fa scudo l’Autorità per argomentare in senso contrario – valutazione che è riservata non all’Autorità di Garanzia della Concorrenza, bensì al Ministro della Giustizia. L’Autorità, indipendente politicamente e tecnicamente, si è voluta occupare di materie che sono di competenza del Ministro della Giustizia, al quale la legge riserva ogni decisione in materia di professioni civili e di tariffe professionali. L’Autorità si è voluta occupare anche di materie di competenza del Ministro della Istruzione e dell’Università, prodigando suggerimenti sul tirocinio anticipato. E neppure si è fatta scrupolo di dare direttive sulla disciplina degli Ordini, dei percorsi formativi e persino dei procedimenti disciplinari, ignorando ancora una volta che la materia è oggetto – in linea generale – del provvedimento in discussione alla Camera sulla disciplina delle professioni e del provvedimento approvato dal Senato ed ora alla Camera sul riordino della professione forense. La lettera imputa poi agli Ordini di riservare a sé i corsi di formazione professionale a cui riconosce i crediti, quasi che gli Ordini volessero monopolizzare il mercato, ma la realtà è tutt’altra: al contrario di quanto loro imputato, gli Ordini consentono che i corsi di formazione siano svolti da qualsiasi soggetto che offra affidamento di qualità del servizio, da

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associazioni professionali e da singoli privati; gli Ordini offrono corsi a titolo gratuito o chiedendo solo il rimborso spese, per agevolare gli iscritti e consentire loro di mantenersi in costante aggiornamento, come è richiesto dalla diligenza professionale e dal codice di deontologia professionale. La lettera ignora – volutamente – che in ogni Paese la professione forense ha le sue proprie regole; che l’incisione di membri esterni nei consigli di disciplina, introdotta dalla riforma inglese, ha dato esiti negativi, essendo solo una scelta di facciata ma non incidendo affatto – per carenza di competenze degli esterni – sulle decisioni disciplinari. Corre l’obbligo di segnalare anche che non tutte le professioni nel nostro ordinamento hanno le medesime regole in materia e che il Consiglio nazionale forense è organo di giurisdizione speciale, costituzionalmente tutelato, riconosciuto come tale da una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte Suprema di Cassazione, e come tale non può essere modificato nella sua composizione e nelle sue funzioni con provvedimenti contenuti nella manovra finanziaria. La sollecitudine con cui l’Autorità ha voluto interferire nell’attività parlamentare, senza esserne richiesta esplicitamente, esorbitando dalle competenze proprie per assumere posizioni in materia di disciplina delle professioni, dell’Università, dei procedimenti disciplinari non deve quindi fuorviare le Loro Eccellenze da una valutazione serena, bilanciata, obiettiva della situazione e soprattutto dall’assumere iniziative che siano conformi con la disciplina comunitaria interpretata correttamente. Altrimenti si tratterebbe di assumere provvedimenti punitivi, dannosi non soltanto politicamente, ma economicamente e socialmente: e soprattutto distonici rispetto al diritto costituzionale, al diritto comunitario e ai modelli degli altri Paesi dell’Unione europea. Il Consiglio Nazionale Forense nutre fiducia nelle Loro Eccel-

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lenze ed è a disposizione per illustrare in modo approfondito tutte le questioni sopra accennate con i necessari riferimenti normativi e giurisprudenziali che in queste brevi note sarebbero stati superflui. Con osservanza

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Il Presidente Guido Alpa

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Lettera del Presidente Alpa agli avvocati: concluso un anno difficile ma l’avvocatura non si piegherà agli interessi dei poteri forti 30/12/2011 - Il presidente Guido Alpa ha inviato agli avvocati una lettera di augurio per il nuovo anno e di impegno a continuare a contrastare le aggressioni contro l’avvocatura, che mettono a rischio l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini Cari Colleghi, cari Amici, si conclude in questi giorni un anno difficile. La crisi economica ha inciso profondamente la nostra professione, non solo con riguardo alle opportunità di lavoro, ma anche con riguardo alle possibilità di recuperare il corrispettivo del lavoro effettuato. Il mondo delle professioni ha subìto gli effetti della crisi in modo più sensibile e gravoso di quanto non sia avvenuto per altri comparti economici. Le professioni non hanno avuto riconoscimenti e sussidi, pur comportando la produzione dell’11% del PIL. E per quanto riguarda la professione forense, la crisi della giustizia, aggravata dalla crisi economica, si è rivelata un campo minato, in cui, da un lato, si è orchestrata una ignobile campagna, anche giornalistica, sulle caste che coinvolgerebbero gli avvocati, dall’altro lato si è voluto individuare anche nella organizzazione dell’avvocatura una delle cause del degrado del sistema giudiziario. Il Consiglio Nazionale Forense ha contrastato con ogni mezzo queste due aggressioni. Ed ha anche contrastato, con due incontri tenutisi alla Camera – e quindi di fronte agli interlocutori diretti deputati alla approvazione della riforma forense già passata al Senato – sia la connessione tra sviluppo economico e ruolo dell’ Avvocatura

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(un assunto del tutto infondato documentato da un dossier predisposto dall’Ufficio Studi e distribuito anche agli Ordini forensi) sia la connessione tra il numero degli Avvocati e il moltiplicarsi delle cause, posto che il contenzioso non è diffuso ad arte dagli avvocati ma è frutto delle difficoltà in cui si dibatte lo stesso sistema economico. Si è registrata anche una pericolosa continuità – nel corso dell’ultimo quinquennio – di provvedimenti approvati da diversi Parlamenti e da diversi Governi che hanno scelto il codice di procedura civile come palestra per alterare i principi del processo in nome della riduzione delle sue fasi e dei suoi tempi, della economia dei costi e della concentrazione delle sedi. Anche questo indirizzo è stato contestato dal Consiglio Nazionale Forense in quando causa di incertezza giuridica, di fastidiosi aggravi per i difensori e soprattutto perché lesivo dei diritti dei cittadini, la cui tutela è la stessa ragion d’essere dell’ Avvocatura. E l’insistenza di certi settori sulla introduzione di regole di liberalizzazione connesse ad una maggiore concorrenza ha provocato una giusta reazione da parte di tutti gli organismi rappresentativi forensi (posto che il mercato italiano dei “servizi legali” è già ora il più aperto e libero che vi sia in Europa) che è stata scambiata per una difesa corporativa. È intollerabile perciò sentire dichiarazioni di fonti autorevoli ma poco informate, o volutamente cieche, che insistono ancora sulla liberalizzazione delle professioni. Non arretreremo di fronte a nulla e non rinunceremo a nessuna iniziativa, anche estrema, per farci intendere, e far intendere a chi non vuole informarsi o non vuol capire che la professione forense non è fatta solo di tradizione e di sacrificio, ma è uno dei pilastri dell’economia, oltre che uno dei pilastri dello Stato di diritto. E quindi deprimere la professione forense è un danno sociale. Ma la grande storia dell’avvocatura non si fermerà qui, non si piegherà ai voleri e agli interessi dei poteri forti, dovremo stare uniti e militare insieme Quaderni

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per contrastare pregiudizi e aggressioni, in una continuità – questa sì giusta e utile – di difesa dei diritti dei cittadini che si riflette nella difesa dei diritti dei loro difensori, il diritto all’autonomia, all’indipendenza, alla libertà di esercizio della professione. Ai sacrifici imposti dalla crisi economica dobbiamo dunque aggiungere i sacrifici imposti dalla difesa del nostro ruolo sociale. A tutti Voi e alle Vostre famiglie giunga l’augurio più fervido del Consiglio e mio personale per il nuovo anno Guido Alpa

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Gestione di affari ex art. 2028 c.c. e Pubblica amministrazione

Commento su TAR Campania, sez. I, 4.11.2011, n. 5126 di OTTAVIO CARPARELLI* Tar Campania - Napoli, Sez. I - sentenza 4 novembre 2011 n. 5126 - Pres. Guida, Est. Buonauro - Ferrovia Alifana e Benevento - Napoli S.r.l. (Avv.ti G. Casertano e F. Casertano) c. Comune di Rotondi (Avv. Marenghi) - (respinge). Giustizia amministrativa - Actio negotiorum gestorum - Ex art. 2028 c.c. - Nei confronti di un ente locale - Da parte di una società di trasporti ferroviari - Per ottenere il rimborso delle spese sostenute per la realizzazione di opere ferroviarie di messa in sicurezza di un passaggio a livello esistente nel territorio comunale - Nel caso di difetto di preventiva autorizzazione del comune - Non può essere accolta. Non può essere accolta la domanda, avanzata ai sensi dell’art. 2028 c.c., da una società di trasporti ferroviari nei confronti di un ente locale, tendente ad ottenere il riconoscimento del diritto di rivalsa delle spese sostenute per il servizio pubblico di transennamento di un passaggio a livello di una linea ferroviaria, nonché per la sostituzione, in asserita attuazione degli articoli 44, co. 2, e 234, co. 4, del nuovo Codice della Strada, delle semibarriere ivi installate con barriere complete, nel caso in cui il Comune non solo non abbia preventivamente rilasciato alcuna autorizzazione al riguardo, ma si sia anche formalmente oppo* Avvocato del Foro di Brindisi, Avvocatura Comune di Fasano.

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sto alla realizzazione di tali interventi, motivando tale opposizione con riferimento, tra l’altro, al difetto dei presupposti di fatto espressamente previsti dal Codice della Strada per la legittima realizzazione delle barriere complete; in tal caso, infatti, difettano gli estremi per poter configurare l’esperibilità dell’actio negotiorum gestorum ex art. 2028 c.c. nei confronti dell’ente locale. * * * Merita di essere segnalata la sentenza del TAR Campania - Napoli, Sez. I, del 4 novembre 2011 n. 5126, con la quale è stata decisa una peculiare fattispecie di actio negotiorum gestorum, ex art. 2028 c.c., nei confronti della P.A., e, in particolare, nei confronti di un ente locale. * * * Nel caso sindacato dai Giudici amministrativi della Campania, vertente tra due soggetti pubblici, si era verificato che una società di trasporti ferroviari, sull’asserito presupposto della configurazione di rapporto giuridico in essere con l’ente locale territorialmente competente, formalmente intimato in termini di negotiorum gestio, aveva intrapreso nei confronti del medesimo comune azione giudiziaria ex art. 2028 c.c., per il riconoscimento del diritto di rivalsa delle spese sostenute per il servizio di transennamento del passaggio a livello Km 24+048 della linea ferroviaria Cancello - Benevento, nonché per la sostituzione delle semibarriere ivi installate con le barriere complete, effettuati in precedenza, in asserita attuazione degli articoli 44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice della Strada. Il Tar di Napoli, ritenuta sussistente la propria giurisdizione – trattandosi di rapporto prettamente pubblicistico attinente alla gestione di un servizio pubblico (trasporto) – ha osservato, innanzitutto, che, in forza di quanto previsto dall’art. 44 del Codice della strada, la sostituzione delle semibarriere con le barriere nei passaggi a livello

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sprovvisti di spartitraffico, così come l’apposizione di dispositivi di luce rossa fissa volta a segnalare l’arrivo dei treni, spetta ai gestori delle ferrovie. Ebbene, sia alla costruzione dello spartitraffico che all’attività di transennamento prescritta dal nuovo Codice della strada la società esercente la tratta ferroviaria controversa, aveva provveduto del tutto unilateralmente, in difetto di un preventivo atto della P.A. che l’autorizzasse, all’affidamento dell’appalto di lavori di potenziamento dei passaggi a livello a una società esterna. Dalle risultanze processuali emergeva, inoltre, chiaramente, che l’ente locale resistente, non solo non aveva mai rilasciato, in favore della società istante, un preventivo e valido atto autorizzativo tendente ad assentire la realizzazione delle suddette opere, ma si era anche formalmente opposto a detta realizzazione, motivando congruamente tale opposizione con ragioni tecniche, correlate alla necessità di tutelare il pubblico interesse sotteso alla sicurezza della circolazione stradale (nella specie, tali ragioni consistevano nella presenza, nelle vicinanze del passaggio a livello, di un incrocio, e nella insussistenza di una larghezza minima della carreggiata necessaria per l’apposizione di uno spartitraffico). In forza di tali quiete risultanze processuali, il TAR di Napoli ha escluso che, nel caso esaminato, potesse fondatamente configurarsi la possibilità di esperire l’actio negotiorum gestorum nei confronti dell’amministrazione locale resistente. Al riguardo, il Collegio, ha richiamato sia uno specifico precedente della medesima Sezione del TAR1 di rigetto della domanda, 1 Cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. I, sentenza n. 1630 del 6 febbraio 2006, secondo cui: “…Al riguardo, non appare sussistente nella fattispecie un’ipotesi di negotiorum gestio, così come prospettato dal ricorrente, vertendo la questione su di un rapporto prettamente pubblicistico che in termini generali attiene alla gestione del servizio pubblico e che, nella specie, ha ad oggetto l’assolvimento di un compito inerente, appunto, alla sicurezza del servizio che la norma primaria qualifica in termini di obbligo di natura pubblicistica. Trattasi, quindi, non già di un’ipotesi gestoria, configurabile unicamente con riferimento ad attività negoziali, ma di una vicenda che – in tesi – concreterebbe una sostituzione nell’adempimento di tale obbligo e, come tale, sicuramente rientrante nella giurisdizione amministrativa. Inoltre,

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confermato in appello2, che una pronuncia della Suprema Corte3, secondo cui, in tema di esperibilità dell’azione ex art. 2028 c.c. nei non vi è dubbio che l’adempimento imposto dal codice della strada, ossia l’adeguamento e la messa in sicurezza dei passaggi a livello con semibarriere, è qualificabile come attività di manutenzione delle strade pubbliche in funzione della salvaguardia della loro funzionalità e quindi come servizio pubblico; la controversia, avendo ad oggetto un rapporto tra soggetti pubblici, implicante sia una valutazione di legittimità della sostituzione operata dal ricorrente, sia la fondatezza di una pretesa di natura indennitaria presenta proprio quella situazione di intreccio tra posizione di diritto ed interesse che configura una ipotesi di giurisdizione esclusiva. Nel merito il ricorso è infondato. Va premesso che il ricorrente non si è affatto sostituita alla resistente Amministrazione Provinciale di Benevento nell’esercizio di una competenza propria ed esclusiva di quest’ultima, ma, al contrario, ha operato nell’ambito delle proprie competenze e su beni che rientrano nella sua tipica sfera di gestione. In sostanza, di fronte ad un atteggiamento di sostanziale inerzia della provincia, la società ricorrente invece di avvalersi dei rimedi di silenzio al fine di attivare l’ente proprietario ha preferito provvedere direttamente ad un intervento che è sostitutivo solo nella sostanza, ma che in alcun modo può essere imputato all’ente territoriale”. 2 Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24 agosto 2011 n. 5929, secondo cui: “In ordine alla vexataquaestio della esperibilità dell’azione ex art. 2028 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione, che, com’è noto, il problema va risolto tenendo conto della differenza fra attività di carattere pubblicistico, nello svolgimento delle quali non sono ammesse ingerenze da parte degli amministrati, ed attività di carattere privatistico, nell’espletamento delle quali la giurisprudenza tende, entro certi limiti, ad ammettere che il cittadino si possa sostituire all’amministrazione, acquisendo il diritto ad essere rimborsato delle spese sostenute. Nel primo caso deve ritenersi carente uno dei presupposti cardine della gestione d’affari altrui, costituito dall’assenza della prohibitiodomini. L’attività di carattere pubblicistico, infatti, è rigidamente riservata dall’ordinamento alla P.A. e deve pertanto riconoscersi un generale divieto, per i privati, di intraprendere qualsiasi affare in tali settori. Nel settore dell’attività di carattere privatistico della P.A., invece, non può ritenersi operante tale divieto generale e, infatti, si ritiene tendenzialmente ammissibile l’espletamento da parte di privati di attività di pertinenza dell’amministrazione. Affinché, tuttavia, sia configurabile il diritto del gestore al rimborso delle spese sostenute, così come l’obbligo della P.A. di adempiere alle obbligazioni assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato di quelle assunte in nome proprio, è necessario che ricorrano tutti i presupposti cui il codice civile subordina l’actionegotiorumgestorum, vale a dire: la mancanza di una prohibitiodomini specificamente espressa dall’amministrazione, l’utilitercoeptum, ossia il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione dell’affare sia stata utilmente iniziata e, infine, l’absentiadomini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari (la quale però non può essere considerata ricorrente solamente a causa dei modi e dei tempi di deliberare e di operare della P.A., anche se ciò può comportare ritardi e disfunzioni nello svolgimento di talune attività: cfr. Cass. Civ., 9 novembre 1993, n. 11061)”. 3 Cass. Civ. Sez. 1, sentenza 9 novembre 1993 n. 11061 (in CED Cass. Rv. 484237), secondo cui: “Non costituisce gestione di affari, ai fini dell’art. 2028 cod. civ., l’attività che un privato svolga per anticipare gli effetti di provvidenze economiche disposte in suo favore dalla

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confronti della P.A., mentre per l’attività di carattere pubblicistico non sono ammesse ingerenze da parte degli amministrati, e, quindi, sussiste un generale divieto di proposizione dell’azione in questione, per le attività della P.A. di carattere privatistico, entro certi limiti e/o in presenza di determinate condizioni, è affermato, in linea generale, il principio alla stregua del quale il cittadino, sempre al fine di perseguire preminenti interessi pubblici, possa sostituirsi alla P.A. nella realizzazione di opere, ed ottenere successivamente il riconoscimento del diritto ad essere rimborsato delle spese sostenute. Più in dettaglio, nell’ambito di attività di carattere privatistico della P.A., perché possa configurarsi il diritto del gestore ex art. 2028 c.c. al rimborso delle spese sostenute, così come l’obbligo della P.A. di adempiere alle obbligazioni assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato di quelle assunte in nome proprio, è necessaria, secondo il Giudice di legittimità, la sussistenza dei seguenti presupposti: a) la mancanza di una prohibitio domini specificamente espressa dall’amministrazione; b) l’utiliter coeptum, ossia il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione dell’affare sia stata utilmente iniziata; c) l’absentia domini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari (la quale però non può essere considerata ricorrente solamente a causa dei modi e dei tempi di deliberare e di operare della P.A., anche se ciò può comportare ritardi e disfunzioni nello svolgimento di talune attività: cfr. Cass. Civ., 9 novembre 1993, n. 11061). Ebbene, nel caso deciso dal TAR Campania, difettavano tutti i prepubblica amministrazione e non pervenute alla fase di attuazione (nella specie, lavori di sbancamento per l’ampliamento del Centro siderurgico di Taranto, da effettuarsi a totale carico della Cassa per il Mezzogiorno, ma iniziati dalla società ricorrente prima che la “Cassa” fosse autorizzata all’esecuzione delle opere), non essendo ancora eseguibile l’obbligo assunto dall’amministrazione e non potendosi considerare inerzia, né impedimento a provvedere (cosiddetto “absentia domini”), il particolare modo di deliberare e di operare delle persone giuridiche pubbliche, pur se suscettibile di causare ritardi contrastanti con le aspettative del beneficiario”.

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supposti sopra elencati, in quanto l’intimato Comune di Rotondi si era formalmente e tempestivamente opposto alla realizzazione delle opere, non aveva mai riconosciuto, nemmeno implicitamente (per facta concludentia), alcun utile inizio della gestione di affari, e, infine, aveva, con prontezza, anche chiaramente e formalmente evidenziato alla società istante la sussistenza di ragioni di pubblico interesse contrarie alla esecuzione delle opere controverse (presenza, nelle vicinanze del passaggio a livello, di un incrocio, e difetto di una larghezza minima della carreggiata per l’apposizione di uno spartitraffico). * * * La sentenza, congruamente motivata, offre validi e concreti elementi di giudizio alle PP.AA. per evitare di risultare soccombenti in fattispecie di actio negotiorum gestorum, ex art. 2028 c.c., ma anche, verosimilmente, di azioni di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., implicitamente evidenziando quanto sia opportuno, per l’Amministrazione, assumere una condotta connotata da tempestiva e formale contestazione di infondate pretese economiche avanzate da terzi con le medesime azioni. La pronuncia è, altresì, condivisibile in quanto del tutto in linea sia con la dottrina4 che con la giurisprudenza della Suprema Corte in materia – costante e risalente addirittura all’ormai lontanissimo 19505 – atteso che, come è noto, il giudice è privo del potere 4 “La fattispecie della negotiorum gestio non si applica alle attività di rilevanza pubblicistica esercitate dal privato per conto della P.A. – pur se nell’ambito ed in connessione con lo svolgimento materiale del servizio pubblico (attività di polizia, tributaria, ecc.) – dovendo la loro efficacia desumersi dall’applicazione esclusiva del principio del funzionario di fatto (CAPACCIOLI, La gestione di affari in diritto amministrativo, Padova, 1965, 35 e ss.)”. 5 Cass. Civ. Sez. 1, sentenza 23 febbraio 1950 n. 416 (in CED Cass. Rv. 880152), secondo cui: “Condizione essenziale per la proposizione dell’actio negotiorum gestorum e dell’azione di indebito arricchimento contro la pubblica amministrazione è il riconoscimento, esplicito od implicito, da parte di questa, rispettivamente o dell’utiliter gestum o della utilità ritratta dalla

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di effettuare apprezzamenti in merito alla effettiva sussistenza, per la P.A., della utilità iniziale della gestione ex art. 2058 c.c.; e ciò sul rilievo che la sussistenza di detta utilità può essere acclarata esclusivamente ex post, mediante una positiva valutazione discrezionale dell’Amministrazione, con l’adozione di appositi atti formali di “approvazione” della attività posta in essere dal gestore, oppure implicitamente dedotta dalla circostanza di fatto secondo la quale la P.A. ha utilizzato il risultato della attività altrui in quanto concretamente rispondente a suoi fini istituzionali pubblici. In conclusione, secondo il G.A. adito, deve escludersi in radice la possibilità che il privato cittadino possa ritenersi costretto, per ragioni di (asserita) sicurezza, a sostituirsi all’amministrazione silente e/o inerte. * * * N. 05126/2011 REG. PROV. COLL. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1668 del 2002, proposto da: Ferrovia Alifana e Benevento - Napoli S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Casertano, Francesco Casertano, con domicilio eletto presso E. Iacobelli in Napoli, via Giannone, n. 30; contro prestazione altrui, poiché altrimenti si verrebbe ad invadere, da parte del giudice ordinario il campo discrezionale dell’amministrazione medesima in merito ai criteri ed alle modalità che avrebbero informato la sua condotta nel provvedere a finalità di pubblico interesse”.

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Comune di Rotondi, rappresentato e difeso dall’avv. Enzo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso A. Palma in Napoli, via C. Poerio, n. 98; per il riconoscimento - del diritto di rivalsa delle spese sostenute per il servizio di transennamento del passaggio a livello Km 24+048 della linea ferroviaria Cancello - Benevento, nonché per la sostituzione delle semibarriere ivi installate con le barriere complete, intervenuti nell’anno 1996 in attuazione degli articoli 44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice della Strada e per la conseguente liquidazione degli importi erogati a tal titolo dalla società ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Rotondi; Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO MetroCampania NordEst s.r.l. (già Ferrovia Alifana e BeneventoNapoli s.r.l.) ha proposto ricorso ai fini del riconoscimento del diritto di rivalsa delle spese sostenute per il servizio di transennamento del passaggio a livello Km 24+048 della linea ferroviaria Cancello - Benevento, nonché per la sostituzione delle semibarriere ivi installate con le barriere complete, intervenuti nell’anno 1996 in attuazione degli articoli 44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice della Strada e per la conseguente liquidazione degli importi erogati a tal titolo dalla società ricorrente, il tutto sulla base del presupposto della configurazione del rapporto giuridico in essere tra ricorrente ed il Comune intimato in termini di negotiorum gestio.

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Secondo la tesi attorea, scaduto il termine del 31.12.1995 per l’adeguamento dei passaggi a livello alla nuova normativa, l’inadempimento da parte dell’amministrazione intimata rappresenta il titolo pubblicistico di dichiarare il diritto della società ricorrenteal rimborso delle somme, sostenute – in luogo dell’Ente proprietario della strada rimasto inoperoso – per il servizio di transennamento manuale dei passaggi a livello, nonché per la sostituzione delle semibarriere preesistenti con barriere automatiche ivi installate, con corrispondente condanna dell’Ente proprietario a corrispondere le somme sostenute a tale titolo per un importo complessivo pari ad euro 73.061,44, oltre interessi e rivalutazione come per legge dalla data dei pagamenti e fino all’effettivo soddisfo. Si è costituita il Comune di Rotondi, che ha chiesto il rigetto del ricorso. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie illustrative, ribadendo il contenuto delle proprie tesi difensive ed insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate nei rispettivi atti. Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO In punto di giurisdizione giova osservare che, vertendo la questione su di un rapporto prettamente pubblicistico che in termini generali attiene alla gestione del servizio pubblico, viene in rilievo l’assolvimento di un compito inerente, appunto, alla sicurezza del servizio che la norma primaria qualifica in termini di obbligo di natura pubblicistica. Si tratta, allora, non già di un’ipotesi gestoria, configurabile unicamente con riferimento ad attività negoziali, ma di una vicenda che – in tesi – concreterebbe una sostituzione nell’adempimento di tale obbligo Quaderni

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e, come tale, sicuramente rientrante nella giurisdizione amministrativa. Inoltre, non vi è dubbio che l’adempimento imposto dal codice della strada, ossia l’adeguamento e la messa in sicurezza dei passaggi a livello con semibarriere, è qualificabile come attività di manutenzione delle strade pubbliche in funzione della salvaguardia della loro funzionalità e quindi come servizio pubblico; la controversia, avendo ad oggetto un rapporto tra soggetti pubblici, implicante sia una valutazione di legittimità della sostituzione operata dal ricorrente, sia la fondatezza di una pretesa di natura indennitaria presenta proprio quella situazione di intreccio tra posizione di diritto ed interesse che configura una ipotesi di giurisdizione esclusiva. Nel merito, il ricorso è infondato. Sul punto non vi sono ragioni per discostarsi dall’orientamento espresso da questa Sezione (sentenza n. 1630 del 2006), integralmente confermato in sede di appello (C.d.S. n. 5929 del 2010). A norma dell’articolo 44 del Codice della strada, infatti, la sostituzione delle semibarriere con le barriere nei passaggi a livello sprovvisti di spartitraffico, così come l’apposizione di dispositivi di luce rossa fissa volta a segnalare l’arrivo dei treni, spetta ai gestori delle ferrovie. Tanto alla costruzione dello spartitraffico quanto all’attività di transennamento prescritta dal nuovo Codice della strada la società esercente la tratta ferroviaria in discorso ha provveduto, dunque, del tutto unilateralmente, in assenza di un atto dell’amministrazione provinciale che l’autorizzasse, appaltando a una società esterna i lavori di potenziamento dei passaggi a livello. A tale riguardo, occorre premettere in ordine alla vexata quaestio della esperibilità dell’azione ex art. 2028 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione, che, com’è noto, il problema va risolto tenendo conto della differenza fra attività di carattere pubblicistico, nello svolgimento delle quali non sono ammesse ingerenze da parte degli amministrati, ed attività di carattere privatistico, nell’espletamento

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delle quali la giurisprudenza tende, entro certi limiti, ad ammettere che il cittadino si possa sostituire all’amministrazione, acquisendo il diritto ad essere rimborsato delle spese sostenute. Nel primo caso deve ritenersi carente uno dei presupposti cardine della gestione d’affari altrui, costituito dall’assenza della prohibitio domini. L’attività di carattere pubblicistico, infatti, è rigidamente riservata dall’ordinamento alla P.A. e deve pertanto riconoscersi un generale divieto, per i privati, di intraprendere qualsiasi affare in tali settori. Nel settore dell’attività di carattere privatistico della P.A., invece, non può ritenersi operante tale divieto generale e, infatti, si ritiene tendenzialmente ammissibile l’espletamento da parte di privati di attività di pertinenza dell’amministrazione. Affinché, tuttavia, sia configurabile il diritto del gestore al rimborso delle spese sostenute, così come l’obbligo della P.A. di adempiere alle obbligazioni assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato di quelle assunte in nome proprio, è necessario che ricorrano tutti i presupposti cui il codice civile subordina l’actio negotiorum gestorum, vale a dire: la mancanza di una prohibitio domini specificamente espressa dall’amministrazione, l’utiliter coeptum, ossia il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione dell’affare sia stata utilmente iniziata e, infine, l’absentia domini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari (la quale però non può essere considerata ricorrente solamente a causa dei modi e dei tempi di deliberare e di operare della P.A., anche se ciò può comportare ritardi e disfunzioni nello svolgimento di talune attività: cfr. Cass. Civ., 9 novembre 1993, n. 11061). Nella specie, mancano gli estremi per poter configurare l’esperibilità dell’actio negotiorum gestorum nei confronti dell’amministrazione resistente. L’assenza di un valido titolo autorizzativo è provata dalle numerose note del Comune di Rotondi, il quale diverse volte ha fatto notare alla Gestione Ferrovie Alifane e di Benevento l’illegittimità dell’attività Quaderni

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compiuta per assenza di un atto che l’autorizzasse (prohibitio domini). Anche laddove si ammettesse l’obbligo dell’Amministrazione locale alla costruzione dello spartitraffico, in nessun caso può poi accogliersi la tesi, perorata dal ricorrente, secondo cui a fronte dell’inerzia della Amministrazione e per preminenti ragioni di sicurezza stradale, la società esercente la ferrovia sia stata costretta a sostituirsi all’amministrazione nel compiere l’attività di sua precisa competenza. Ed invero la cornice normativa, applicabile ratione materiae alla fattispecie che ne occupa, comprende anche una ulteriore parte dell’articolo 44 del codice della strada (evocato a sostegno della pretesa), secondo cui: «le semibarriere possono essere installate solo nel caso che la carreggiata sia divisa nei due sensi di marcia da spartitraffico invalicabile di adeguata lunghezza...». Non può revocarsi in dubbio, allora, che la mancanza di tale spartitraffico invalicabile, che separi il doppio senso di marcia della carreggiata della strada provinciale, non consente più, secondo il dettato normativo, la permanenza delle semibarriere già in precedenza installate dal medesimo gestore della ferrovia. Il Comune intimato, in sede di memoria difensiva, ha precisato che la sua netta posizione contraria agli interventi di adeguamento, così come intrapreso dall’ente gestore, deriva dalla presenza nelle vicinanze di un incrocio e dalla insussistenza di una larghezza minima della carreggiata nel caso di specie per l’apposizione di uno spartitraffico. In base alle considerazioni esposte il ricorso va rigettato. La peculiarità della controversia induce alla integrale compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione

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Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati: Antonio Guida, Presidente Fabio Donadono, Consigliere Michele Buonauro, Primo Referendario, Estensore Depositata in segreteria il 04/11/2011

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Illegittimo l’“opinamento” senza l’avvio del procedimento

Commento su TAR Lazio, sez. III, 10.01.2012, n. 196 di OTTAVIO CARPARELLI* TAR LAZIO - ROMA, SEZ. III QUATER - sentenza 10 gennaio 2012 n. 196 - Pres. Riggio, Est. De Leoni - Vicario (Avv. Naticchioni) c. Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri (Avv. Malinconico), Ferretti (n.c.) ed Ordine degli Avvocati di Latina e Ordine degli Avvocati di Rieti (Avv. Malinconico) - (accoglie). Atto amministrativo - Procedimento amministrativo - Comunicazione di avvio ex artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990 e s.m.i. - Nel caso di parere di congruità dell’Ordine degli Avvocati per la liquidazione di onorari professionali - Necessità - Sussiste - Mancanza - Illegittimità. È illegittimo il parere di congruità dell’Ordine degli avvocati, per la liquidazione di onorari professionali, nel caso in cui sia stato espresso senza che, alla parte nei confronti della quale il parere stesso è destinato a produrre effetti, sia stata preventivamente effettuata la comunicazione di avvio del relativo procedimento amministrativo, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990 e s.m.i. Infatti, la portata generale della citata disposizione normativa non tollera eccezioni alla sua applicazione, che non siano espressamente contemplate dalla legge, con la duplice conseguenza che, da una parte, i procedimenti sottratti alle regole sulla partecipazione al procedimento amministrativo sono solo quelli specificamente individuati in via * Avvocato del Foro di Brindisi, Avvocatura Comune di Fasano.

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normativa, e, dall’altra, ai sensi dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, la P.A. ha l’obbligo di dare comunicazione di avvio in ordine a qualsiasi procedimento non espressamente contemplato tra quelli esclusi dall’art. 13 legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i.1. * * * La sentenza in rassegna appare destinata a rivoluzionare il lavoro e/o l’attività degli Ordini professionali forensi che, in forza di quanto statuito dal TAR Lazio, Roma, Sez. III Quater, prima di esprimere il parere di congruità, ai fini della liquidazione degli onorari professionali degli iscritti, dovranno inoltrare alla parte nei cui confronti il parere stesso è destinato a produrre effetti, la formale comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ex artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990. Il Collegio romano, infatti, ha annullato il parere di congruità del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri relativo alla parcella professionale prodotta da un professionista iscritto all’Albo, in quanto espresso senza la preventiva comunicazione di avvio del procedimento nei confronti del cliente del professionista interessato. * * * Nel caso in esame, il TAR Lazio, Roma, pregiudizialmente, ha seguito e confermato l’orientamento del Massimo Organo di giustizia amministrativa, secondo il quale le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei pareri di congruità espressi dagli Ordini Professionali forensi, sulla liquidazione degli onorari professionali, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo.

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Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2000 n. 276; Cass., Sez. Un., 1° aprile 2000 n. 82.

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E ciò sul rilievo che, per vero: - sia secondo la Suprema Corte (Cass. Civ., SS. UU., sentenza 12 marzo 2008, n. 6534, ove si afferma, tra l’altro, testualmente “Occorre in proposito evidenziare che nessun dubbio può sussistere – come è pacifico e più volte affermato da questa Corte – in ordine alla natura di ente pubblico non economico del consiglio dell’ordine degli avvocati che svolge funzioni di amministrazione mediante attività procedimentale (tra le tante, sentenze 13/1/2005 n. 560; 10/12/2002 n. 17548; 26/6/2001 n. 8748; 6/8/1990 n. 7939) - che secondo il Consiglio di Stato (Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9352), il parere di congruità sulla liquidazione degli onorari espresso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati è un’attività esterna che si conclude con la formazione di un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo autoritativo, impugnabile, quindi, avanti al giudice amministrativo. * * * Entrando nel merito della questione, i Giudici capitolini hanno preso le mosse proprio dal presupposto secondo cui l’espressione del parere di congruità sulla parcella professionale, si sostanzia in una attività esterna dell’Ordine professionale, che si conclude con la formazione di un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo autoritativo – emesso nell’esercizio di un potere riconosciuto in via esclusiva dalla legge come espressione di potestà amministrativa per finalità di pubblico interesse – che modifica la situazione giuridica precedente avendo effetti costitutivi per il richiedente (consentendogli di promuovere la procedura monitoria ex articoli 633 e 636 c.p.c.) e quindi impugnabile avanti al giudice amministrativo. Consequenzialmente, trattandosi di un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo autoritativo, il parere di congruità relativo alla liquidazione degli onorari professionali, e, in partico-

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lare, la sua espressione, non può non essere preceduta, secondo il TAR Lazio, Roma, dalla comunicazione alla parte destinataria degli effetti del parere stesso, di avvio del relativo procedimento amministrativo ex artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990. A fondamento della motivazione della decisione in commento, il Collegio ha effettuato, in particolare, due rilevanti, logiche e consequenziali osservazioni: - la giurisprudenza ha da tempo chiarito che l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 ha innestato nell’attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell’introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, finalizzata ad un sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l’adeguatezza dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire (Cons. Stato, Sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5034); - la portata generale della disposizione, per la quale essa non tollera eccezioni alla sua applicazione che non siano espressamente contemplate dalla legge, è stata riconosciuta dalla stessa giurisprudenza, la quale ha avuto modo di affermare che «i procedimenti sottratti alle regole sulla partecipazione al procedimento amministrativo sono specificamente individuati in via normativa; pertanto, ai sensi dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di dare comunicazione di avvio in ordine a qualsiasi procedimento non espressamente contemplato tra quelli esclusi dall’art. 13 legge cit.» (cfr., ex multis, C. Stato, Sez. VI, 20.1.2000 n. 276; Cass., Sez. Un., 1.4.2000 n. 82). Il Collegio ha quindi specificamente individuato, quali profili determinanti, idonei a legittimare la necessità della comunicazione di avvio del procedimento prima del parere di congruità dell’Ordine forense, il fatto che si tratta di un provvedimento finale destinato ad incidere notevolmente nella sfera giuridica del destinatario, nonché Quaderni

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caratterizzato da spiccata discrezionalità; dunque la necessità di consentire al destinatario di contraddire; inoltre, ha osservato che i casi in cui non devono trovare applicazione le regole sulla partecipazione al procedimento amministrativo sono specificamente individuati in via normativa, e il parere di congruità dell’Ordine professionale forense non rientra tra questi. * * * Si ritiene che ulteriore naturale conseguenza di quanto statuito dal TAR Lazio Roma con la decisione che si annota, sia quella secondo cui, ove l’Ordine degli Avvocati dovesse ritenere di esprimere un diniego, ovvero avviso sfavorevole in merito alla richiesta del professionista tendente ad ottenere il parere di congruità sulla liquidazione degli onorari professionali, dovrà inoltrare al medesimo professionista il c.d. preavviso di rigetto ex art. 10 bis della legge n. 241 del 1990. Infatti, per un verso, anche tale ultima disposizione normativa sembra avere portata generale, essendo esclusa ex lege solo per le procedure concorsuali e per i procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali, e, per l’altro, sussiste notoriamente una sostanziale coincidenza tra le finalità cui tendono gli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990 (garanzie procedimentali, trasparenza dell’attività amministrativa, dialettica procedimentale) poste bene in evidenza nella sentenza in esame. * * * Per completezza va segnalato che sulla medesima questione, nella stessa controversia, si era espresso, in sede cautelare, il Massimo Consesso di Giustizia amministrativa (ordinanza Cons. Stato, VI

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Sez., 31 agosto 2011 n. 3677, in giustizia-amministrativa.it), affermando, sostanzialmente, che l’appello proposto contro la decisione di primo grado del TAR Lazio, Roma, che ha stabilito la necessità della comunicazione di avvio del procedimento nel caso di richiesta di rilascio del parere di congruità di una parcella professionale (nel caso di specie, di un avvocato) non è assistito da evidenti profili di fumus. * * * Secondo il TAR Lazio, Roma, dunque, la comunicazione di avvio del procedimento, ex artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990, in disparte la tipologia di attività forense svolta dal professionista (stragiudiziale o giudiziale), non può ormai essere omessa nel caso di espressione del parere di congruità sulla parcella professionale; tale comunicazione, pertanto, assume carattere di obbligo inderogabile, a tutela del cittadino avente titolo ad effettuare osservazioni prima che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati si esprima definitivamente sull’istanza c.d. di opinamento della parcella. Sotto il profilo squisitamente pratico, ancorché la sentenza in commento produca effetti sicuramente innovativi nell’attività degli Ordini forensi, determinando l’insorgenza di ulteriori adempimenti, non può non osservarsi che, in vero, in ragione degli interessi pubblici tutelati, tali adempimenti vanno visti con favore, anche perché agevoli e non gravosi, e finalizzati alla effettiva realizzazione, “…nell’attività amministrativa, di un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell’introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale…”. E ciò a maggior ragione se si considera che, a quanto risulta, in diversi regolamenti di Ordini professionali forensi, la comunicazione di avvio del procedimento connessa alla richiesta di parere di congruità, è già prevista per i casi nei quali l’attività svolta dal Quaderni

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professionista è di tipo stragiudiziale, ritenendo opportuno “sentire” il cliente quanto meno ai fini di ogni opportuno riscontro sulla effettiva sussistenza del conferimento dell’incarico professionale, mentre non risulta che sia mai stata sino ad oggi prevista per i casi di attività difensiva svolta in sede processuale e/o giurisdizionale, stante il necessario preventivo rilascio della procura, quale elemento certo della esistenza del conferimento dell’incarico. * * * N. 00196/2012 REG.PROV.COLL. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2419 del 2011, proposto da: Patrizia Vicario, rappresentata e difesa dall’avv. Gloria Naticchioni, con la stessa elettivamente domiciliata in Roma, via Capo Miseno, 21; contro Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Malinconico, con domicilio eletto in Roma, via Nizza 53, presso lo studio dell’avv. Federico Pernazza; nei confronti di Alfredo Ferretti, non costituito; e con l’intervento di ad opponendum: Ordine degli Avvocati di Latina e Ordine degli Avvocati di Rieti,

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rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Malinconico, con domicilio eletto in Roma, via Nizza, 53 presso lo studio dell’avv. Federico Pernazza; per l’annullamento del parere di congruità espresso il 14.4.2010 dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri per la liquidazione degli onorari in favore dell’avv. Alfredo Ferretti in riferimento alle prestazioni professionali svolte nel giudizio davanti al TAR Lazio iscritto al numero RG 14336/2001, promosso dalla sig.ra Patrizia Vicario contro il Comune di Terracina, nonché per la condanna al risarcimento dei danni; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri; Viste le memorie difensive; Visti gli atti di intervento ad opponendum dell’Ordine degli Avvocati di Latina e dell’Ordine degli Avvocati di Rieti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2011 il Cons. Maria Luisa De Leoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso notificato il 10 marzo 2011, la ricorrente impugna il parere di congruità espresso in data 14 aprile 2010 dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri per la liquidazione degli onorari in favore dell’avv. Alfredo Ferretti in riferimento alle prestazioni professionali svolte nel giudizio davanti al TAR Lazio iscritto al numero RG 14336/2001, promosso dalla sig.ra Patrizia Vicario contro il Comune di Terracina. La ricorrente ha avanzato, altresì, richiesta di risarcimento dei danni. Quaderni

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Riferisce l’interessata che, a seguito dell’accoglimento della domanda cautelare presentata nel predetto giudizio, già in data 30 aprile 2002 aveva versato all’avv. Ferretti la somma di euro 1.551,30. Successivamente, la questione ivi dedotta veniva risulta in sede stragiudiziale e di ciò veniva edotto lo stesso avv. Ferretti con comunicazione a mezzo fax in data 16 ottobre 2003. A distanza di oltre sette anni dal predetto provvedimento cautelare, l’avv. Ferretti ha notiziato la ricorrente dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di estinzione del reato per prescrizione, emessa dal Tribunale di Terracina per gli stessi fatti di cui al procedimento amministrativo e contestualmente ha chiesto il pagamento della parcella penale nella misura di euro 2.819,86, prontamente soddisfatto. Con successiva raccomandata il legale ha comunicato di aver presentato domanda di prelievo in data 25 giugno 2009 in relazione al ricorso davanti al TAR, presentando una ulteriore richiesta di compenso per euro 7.480,64. Seguiva, in relazione a tale ultimo invito di pagamento, richiesta di chiarimenti da parte dell’interessata con lettera del 9 novembre 2009, cui il professionista dava risposta formale, precisando che il primigenio pagamento doveva considerarsi acconto e, quindi, non esaustivo. Nel contesto delineato si inserisce la liquidazione effettuata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri, impugnata in questa sede, conosciuta dall’istante solo in data 10 gennaio 2011. Avverso il predetto provvedimento l’istante deduce: Sussistenza della giurisdizione amministrativa. Interesse all’azione di annullamento e di condanna. Tempestività dell’azione di annullamento. La ricorrente premette alcune osservazioni volte ad affermare la giurisdizione del Giudice amministrativo; Violazione degli artt. 24 e 97 Cost. nonché degli artt. 1, 3, 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990, nonché eccesso di potere sotto vari profili.

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Sussiste la violazione delle norme rubricate per mancato avviso dell’avvio del procedimento, con conseguente vanificazione dell’aspetto partecipativo del privato al procedimento amministrativo, non potendosi non riconoscere che gli effetti del provvedimento impugnato si riverberano nei confronti del privato se solo si tiene conto che il parere di congruità è presupposto legittimante l’emissione del decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c. e, qualora il giudice non rigetti il ricorso a norma dell’art. 640 c.p.c., è tenuto ad attenersi al parere nei limiti della somma ivi indicata. Né può essere invocato l’art. 21 octies, co. 2, della legge n. 241 del 1990, trattandosi di attività discrezionale e non vincolata né si è in presenza di una illegittimità di ordine meramente formale del provvedimento, in quanto sono state violate le norme sul contraddittorio. Il provvedimento impugnato è, altresì, carente di motivazione in ordine alle motivazioni che hanno condotto alla determinazione della liquidazione nella misura in concreto espressa. Ciò in quanto il parere interviene a regolare interessi contrapposti ed a risolvere le eventuali contestazioni connaturate a detta contrapposizione. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri, costituitosi in giudizio, eccepisce, preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Nel merito conclude per il rigetto del ricorso. Con distinti atti di intervento ad opponendum, notificati il 7 e l’8 novembre 2011, sono intervenuti i Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Latina e di Rieti. La domanda incidentale di sospensione è stata accolta con ordinanza collegiale n. 1434 del 2011.

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DIRITTO Come esposto in narrativa, oggetto della controversia è il parere di congruità ex art. 14, lett. d), R.D. n. 1578 del 1933, espresso in data 14 aprile 2010 dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri per la liquidazione degli onorari in favore dell’avv. Alfredo Ferretti in riferimento alle prestazioni professionali svolte nel giudizio davanti al TAR del Lazio iscritto al numero RG 14336/2001, promosso dalla sig.ra Patrizia Vicario contro il Comune di Terracina. Il Collegio deve farsi carico, in via preliminare, della eccezione sollevata dall’Ordine degli Avvocati resistente di difetto di giurisdizione di questo Giudice. L’eccezione è infondata. Il Giudice di appello si è espresso sul punto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9352), affermando che il parere di congruità sulle parcelle professionali reso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati è atto soggettivamente e oggettivamente amministrativo, poiché non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito alla tariffa professionale, bensì implica una valutazione di congruità della prestazione (Cass. Civ., Sez. Un., 24 giugno 2009, n. 14812 e, da ultimo, Cons. St., IV, 24 dicembre 2009, n. 8749), che trova inequivocabile presupposto nel rapporto di supremazia che intercorre tra l’Ordine od il Collegio professionale (soggetto, questo, indubitabilmente pubblico) ed i propri iscritti. Siffatta valutazione ha peraltro connotati di evidente discrezionalità e costituisce perciò frutto dell’esercizio di un potere conferito da una norma (almeno in parte qua) d’azione e non di relazione, che configura l’esercizio di un potere avente natura unilaterale e che costituisce espressione di potestà amministrativa riconosciuta per finalità di pubblico interesse. Il Collegio ritiene, contrariamente a quanto richiesto dalla ricorrente, di non tener conto del ritardo della notifica degli atti di inter-

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vento dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Latina e di Rieti. Invero, il Collegio ritiene di non rinviare l’esame del presente ricorso sia perché gli interventi non introducono nulla di nuovo se non l’insistenza sulle eccezioni difensive già dedotte sia soprattutto perché il ricorso è fondato, sicché nessuna lesione del diritto di difesa subisce la ricorrente. È fondata e necessariamente assorbente di ogni altra la censura quella relativa alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, che impone l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo. È sufficiente osservare che la finalità della regola procedimentale stabilita dalla invocata disposizione è stata individuata nella esigenza di assicurare piena visibilità all’azione amministrativa nel momento della sua formazione e di garantire, nel contempo, la partecipazione del destinatario dell’atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione. E ciò è tanto più necessario nella ipotesi in cui viene in rilievo un provvedimento che, come quello in esame, è destinato ad incidere notevolmente nella sfera giuridica del destinatario. La norma, quale espressione di un principio di carattere generale, è stata ritenuta applicabile anche ai procedimenti vincolati di tipo sanzionatorio (CdS sez. V, 23.2.2000, n. 948; 7.2.2002, n. 686) sul rilievo che la partecipazione dell’interessato anche durante gli accertamenti che precedono atti vincolati può far emergere circostanze ed elementi tali da indurre l’Amministrazione ad una diversa soluzione; tanto più in procedimenti, come quello in esame, il cui provvedimento è caratterizzato da spiccata discrezionalità. Non va sottaciuto che la giurisprudenza ha da tempo sottolineato che l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 ha innestato nell’attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell’introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, finalizzata ad un sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amQuaderni

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ministrativi, in cui l’adeguatezza dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire (Cons. Stato, Sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5034). La portata generale della disposizione, per la quale essa non tollera eccezioni alla sua applicazione che non siano espressamente contemplate dalla legge, è stata riconosciuta dalla stessa giurisprudenza, la quale ha avuto modo di affermare che «i procedimenti sottratti alle regole sulla partecipazione al procedimento amministrativo sono specificamente individuati in via normativa; pertanto, ai sensi dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di dare comunicazione di avvio in ordine a qualsiasi procedimento non espressamente contemplato tra quelli esclusi dall’art. 13 legge cit.» (cfr., ex multis, C. Stato, Sez. VI, 20.1.2000 n. 276; Cass., Sez. Un., 1.4.2000 n. 82). Nella specie, peraltro, non ricorre alcuna delle ragioni che propendono per la inutilità di tale comunicazione. Non è applicabile, infatti, l’art. 21 octies, co. 2, della legge n. 241 del 1990, secondo cui “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Per le suesposte ragioni il ricorso deve essere accolto. Di contro va disattesa la richiesta di risarcimento dei danni in quanto prospettata in termini ipotetici, attenendo alle spese che la ricorrente potrà sostenere “in particolare per l’ipotesi in cui sia costretta ad assumere la difesa giudiziale dinanzi al giudice ordinario per l’effetto della emanazione di un decreto ingiuntivo”. Invero, il tempestivo accoglimento della tutela cautelare disposta

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da questo Tribunale con l’ordinanza n. 1434 del 2011 ha soddisfatto l’interesse della istante, impedendo che il provvedimento impugnato potesse esplicare i propri effetti. Le spese vanno poste a carico delle parti soccombenti e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Respinge la domanda risarcitoria. Condanna il resistente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri, l’Ordine degli Avvocati di Latina e l’Ordine degli Avvocati di Rieti, intervenuti ad opponendum, al pagamento, in solido tra loro, in favore della ricorrente, delle spese e degli onorari di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2011, con l’intervento dei magistrati: Italo Riggio, Presidente Maria Luisa De Leoni, Consigliere, Estensore Giulia Ferrari, Consigliere Depositata in segreteria il 10/01/2012

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GIUSTIZIA CIVILE tra oscurantismo politico e legislazione liberticida di CLAUDIO CONSALES* La giustizia civile, intesa come la libertà del cittadino di ricorrere alla giurisdizione per affermare la sussistenza di un proprio diritto, presumibilmente leso, è espressione dello stato democratico. Difatti la libertà di pensiero, la libertà di impresa, la libertà di circolazione, la libertà di avere la proprietà di beni, la libertà di contrattare e tutte le altre libertà in cui si articola uno stato democratico hanno valenza sostanziale e non puramente formale solo quando viene data al cittadino la possibilità di ottenere in via giudiziaria l’affermazione di un proprio diritto leso. Senza questa possibilità, le varie libertà formalmente riconosciute sarebbero puramente teoriche, in quanto non ci sarebbe tutela in caso di ingiusta violazione o compressione. Ogni norma che ostacola il ricorso alla giustizia civile è una norma che restringe inevitabilmente la sfera di libertà del cittadino ed è facilmente intuibile che, quando ciò si verifica, il maggior danno ricada sui cittadini meno dotati economicamente a vantaggio dei poteri dominanti o forti sia in campo politico-burocratico che in campo economico-finanziario. L’avvocato, quale professionista abilitato a portare davanti alla giurisdizione le istanze dei cittadini che ritengono di aver subito una violazione delle proprie libertà, è quindi la figura che più simboleggia la sostanzialità di una democrazia. * Avvocato del Foro di Brindisi. Presidente Commissione Procedura Civile - Adr dell’OUA.

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Non è un caso che, nelle dittature politiche, gli avvocati non esistono o se esistono svolgono un ruolo puramente simbolico-formale, equiparabile a quelle di un funzionario dello Stato che disbriga una pratica amministrativa. Fatte queste premesse, non possono che essere visti con preoccupazione e con inquietudine tutti gli interventi legislativi, per lo più “governativi”, che ostacolano in modo sempre più appariscente l’accesso alla giustizia civile o che collegano alla giustizia civile esigenze di risanamento del bilancio dello Stato. Sono numerosi i provvedimenti legislativi, in quest’ultimo periodo, orientati ad ostacolare il ricorso alla giustizia civile e come tali oscurantisti e liberticidi. Tra questi indicherei sicuramente la mediaconciliazione obbligatoria. È sicuramente un grave vulnus alla libertà del cittadino costringerlo a passare attraverso le Camere di Mediazione, prima di potere ricorrere alla giurisdizione. Non è un sistema per deflazionare la giustizia, è solo un sistema per allungare ancora di più i tempi della giustizia e contestualmente creare canali di profitti indebiti a danno dei cittadini ed a favore di organismi privati, prevedendo un tariffario per la mediazione, anche in caso di fallimento della stessa, quando contestualmente la politica proclama a gran voce che le tariffe rappresentano un ostacolo alla concorrenza e che quindi vanno abrogate. È sconcertante dover rilevare che il potere politico, con scarsa coerenza e dubbia trasparenza, elimina il sistema tariffario per gli avvocati e lo introduce per i mediatori. È sicuramente un grave vulnus alla libertà l’aumento considerevole del contributo unificato disposto di recente con diversi interventi legislativi. In sostanza il cittadino che intenda fare valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale deve dapprima sobbarcarsi al costo conQuaderni

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siderevole della mediazione obbligatoria e poi sobbarcarsi al costo altrettanto ingente del contributo unificato a cui – per dirla tutta – si deve aggiungere l’IVA al 21% e la CPA al 4% sugli onorari dovuti al difensore. È evidente che si tratta di costi che rendono la giustizia civile sempre più inaccessibile e la cosa è ancora più grave ove si consideri che l’ingresso nel processo civile si traduce nell’ingresso in un tunnel in cui è difficile vedere la luce dell’uscita. Per completare il piano di distruzione della giustizia civile, il potere politico non si è limitato soltanto a costruire una diga all’accesso, attraverso i pesanti ostacoli e costi sopra descritti, ma in modo subdolo e sottile è intervenuto sulla stessa procedura per renderla sempre più rischiosa ai danni di chi intende farne uso, quasi che fosse un’attività criminale. Così, con la legge 12.11.2011, n. 183, in vigore dall’1.1.2012 è stato riformato l’art. 283 c.p.c. e l’art. 431 c.p.c., con la previsione che in caso di rigetto dell’istanza con la quale si chiede la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado per inammissibilità o per manifesta infondatezza “Il Giudice con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad € 250,00 e non superiore ad € 10.000,00”. È evidente l’intento del legislatore di scoraggiare il ricorso all’impugnazione, per circoscrivere il processo ad un unico grado. In questa prospettiva si colloca anche un progetto allo studio presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia, composto di soli Magistrati, che prevede la conclusione del giudizio di primo grado con l’emissione del dispositivo, senza motivazione, che potrà essere richiesta a pagamento, attraverso il versamento del contributo unificato previsto per l’appello entro quindici giorni dalla pubblicazione del dispositivo. Conseguentemente i magistrati verranno affrancati dall’obbligo

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di motivare la sentenza e l’avvocato non sarà in grado di comunicare al proprio cliente le ragioni della decisione se non richiedendo un ulteriore pagamento in favore dell’erario, come se fino a quel punto non avesse già pesantemente pagato la sentenza richiesta. Su tali premesse, ho inteso elaborare per l’OUA due documenti sulla giustizia civile, che qui di seguito si riportano, depositati presso la Commissione Giustizia del Senato nell’audizione del 4.1.2012. Nei documenti predisposti, ho ritenuto di proporre anche le linee guida per una riforma strutturale della procedura civile che preveda termini perentori per i magistrati ed un sistema di accelerazioni processuali che possono portare alla conclusione di una causa civile in primo grado nel termine non superiore di 18-24 mesi. ***

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DOCUMENTO N. 1 SULLA GIUSTIZIA CIVILE 1) Mobilitazione dell’avvocatura per l’immediata abrogazione del comma 2° dell’art. 283 c.p.c. e del comma 7° dell’art. 431 c.p.c., introdotti dalla legge 12.11.2011, n. 183 in vigore dall’1.1.2012 che prevedono che in caso di rigetto dell’istanza con la quale si chiede la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado per inammissibilità o per manifesta infondatezza “Il Giudice con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad € 250,00 e non superiore ad € 10.000”. La norma dilata oltre ogni misura accettabile il potere decisionale del giudice al di fuori di fonti normative certe di riferimento. In sostanza la norma tende a penalizzare chi esercita il diritto, sempre riconosciuto, di conseguire la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza, esponendo il richiedente a subire una pena che può arrivare ad € 10.000,00. 2) Mobilitazione dell’avvocatura per la salvaguardia del sistema Quaderni

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delle impugnazioni articolato su tre gradi di giudizio: il primo ed il secondo sul merito ed il terzo di legittimità; considerato che l’attuale governo, stando alle voci correnti, pare che voglia riprendere in esame la proposta della motivazione della sentenza a pagamento, con definitività della sentenza in assenza di richiesta di motivazione entro il termine di giorni quindici dalla pubblicazione. L’attività difensiva dell’avvocato senza il sistema delle impugnazioni si tradurrebbe in semplice e formale attività burocratica-amministrativa nella quale il Giudice diventerebbe il protagonista assoluto ed esclusivo del processo civile. È preoccupante la posizione assunta da ANM che si è detta favorevole a rivedere il sistema delle impugnazioni attraverso politiche legislative dissuasive. 3) Mobilitazione dell’avvocatura per una riforma radicale e totale del processo civile che si basi su regole chiare dirette all’accelerazione della decisione che in primo grado deve aversi entro massimo diciotto mesi dall’inizio dell’azione giudiziaria. PRINCIPI DELLA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE 1) Introduzione del giudizio attraverso deposito del ricorso completo di tutti i documenti utili per la decisione e di ogni richiesta istruttoria che si intende proporre. 2) Convocazione del convenuto o dei convenuti a cura della Cancelleria. 3) Termine per comparire non superiore a quaranta giorni. 4) Obbligo del convenuto di costituirsi dieci giorni prima dell’udienza di prima comparizione con memoria completa di tutti i documenti utili per la decisione e di ogni richiesta istruttoria che si intende proporre. 5) Tra la data del deposito del ricorso e l’udienza di prima comparizione non può decorrere un termine superiore a 60 giorni o di 90 giorni nell’ipotesi di convenuti residenti all’estero. 6) Nella prima udienza il giudice tenta la conciliazione della lite,

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formulando una proposta scritta su cui le parti si devono pronunciare immediatamente o nell’udienza successiva. Su richiesta anche di una sola parte processuale assegna un ulteriore termine perentorio di venti giorni per precisazione della domanda, per produzione documentale e per richieste istruttorie ed un ulteriore termine di giorni dieci per repliche sull’ammissibilità delle domande e delle prove. Tra la prima e la seconda udienza deve fissarsi un rinvio non superiore a quaranta giorni. Detto termine deve considerarsi perentorio. 7) Nella prima udienza o nella seconda in caso delle richieste di cui al punto 6), il Giudice si pronuncia con ordinanza in udienza sulla richiesta delle prove. In caso di ammissione di prove orali, il Giudice fissa un’udienza indicando una data non superiore a trenta giorni, termine perentorio, per la raccolta delle prove orali. Le prove orali devono raccogliersi tutte nella stessa udienza, senza soluzione di continuità e nel caso non si riesca ad esaurire la prova orale nell’udienza indicata, si procede nei giorni di udienza immediatamente successivi. In caso di indisponibilità del teste o dell’interrogando a comparire le domande dovranno essere formulate per iscritto ed inviate nei dieci giorni successivi al teste o all’interrogando non comparso, che a sua volta deve fornire le risposte per iscritto nei successivi dieci giorni. 8) Esaurita la prova orale il Giudice, se ritiene di dover fare ricorso ad uno o più CTU, formula nella stessa udienza i quesiti che trasmette al C.T.U. nominato, rinviando la causa ad un’udienza da tenersi non oltre i quindici giorni successivi (Termine perentorio), per il giuramento del C.T.U. e per la nomina in udienza dei CTP. 9) Il CTU deve espletare l’incarico nel termine perentorio non superiore a gg. 60 (sessanta). Esaurito l’incarico dovrà trasmettere la relazione tecnica ai CTP nominati dalle parti, o in mancanza, ai difensori, nei dieci giorni successivi. Le parti hanno quindici giorni tempo (termine perentorio) per trasmettere al C.T.U. le proprie osservazioni. Nei dieci giorni successivi (Termine perentorio) il CTU Quaderni

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deposita nella Cancelleria del Giudice, la propria relazione e le osservazioni delle parti. 10) Il Giudice una volta conferito l’incarico al CTU rinvia la causa ad altra udienza da tenersi in un termine perentorio non superiore a mesi quattro per consentire alle parti di precisare le conclusioni. 11) Il Giudice rinvia la causa ad altra udienza da tenersi in un termine perentorio non superiore a giorni 20 per la discussione orale della causa, autorizzando le parti a depositare memorie scritte nel termine perentorio di giorni dieci prima dell’udienza fissata per la discussione. 12) Al termine della discussione il Giudice pronuncia la sentenza, dando lettura del dispositivo. Se per la complessità delle questioni trattate non è in grado di pronunciare la sentenza nella stessa udienza, darà solo lettura del dispositivo, mentre la sentenza verrà depositata nel termine perentorio di trenta giorni dall’udienza di discussione. 13) Tra il deposito del ricorso introduttivo ed il deposito della sentenza deve intercorrere un termine da considerarsi perentorio non superiore a mesi 18. Il suddetto termine di mesi 18, può slittare di ulteriori mesi sei solo nell’ipotesi in cui si renda necessaria un supplemento di consulenza tecnica o un rinnovo della stessa. Il Giudice è comunque tenuto a motivare analiticamente con ordinanza la necessità del supplemento o del rinnovo della C.T.U. 14) L’appello si propone nel termine perentorio di mesi sei dalla pubblicazione della sentenza o nel termine breve di giorni trenta in caso di notifica. 15) L’appello si propone con ricorso con le stesse modalità previste per il giudizio di primo grado. 16) Nella prima udienza le parti precisano le conclusioni ed il Giudice di appello rinvia la causa ad una successiva udienza da tenersi nel termine perentorio di giorni trenta per la discussione orale, autorizzando le parti al deposito di memorie sino a dieci giorni prima della discussione orale.

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17) La sentenza viene pronunciata con le stesse modalità previste per il giudizio di primo grado. 18) In caso sia necessario procedere al rinnovo di alcuni mezzi istruttori o della C.T.U., si seguono le stesse modalità previste per il giudizio di primo grado. 19) Tra il deposito del ricorso in appello e la sentenza deve intercorrere un termine da considerarsi perentorio non superiore ad un anno che può slittare di ulteriori mesi sei solo nell’ipotesi in cui si renda necessario disporre un rinnovo della C.T.U. che sia stata già espletata in appello. 20) Il Giudice in primo grado decide sempre in composizione monocratica; in secondo grado sempre in composizione collegiale. ***

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Il mancato rispetto di un termine perentorio nel processo civile da parte di un giudice, potrebbe essere sanzionato in due modi alternativi o congiunti a scelta del legislatore: 1) Immediata sostituzione del Giudice che non rispetta il termine perentorio con altro giudice (Una sorta di Commissario ad acta del processo civile, figura già nota e consolidata nel processo amministrativo) 2) Previsione di un risarcimento del danno in favore dell’erario a carico del Giudice che non rispetta il termine perentorio.

DOCUMENTO N. 2 SULLA GIUSTIZIA CIVILE Documento per l’audizione prevista il 4 gennaio 2012 presso il Senato relativamente alle disposizioni recate dal decreto legge n. 212 del 22 dicembre 2011 in materia di composizione delle crisi di sovraindebitamento e in materia di intervento sulla procedura civile. Quaderni

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L’art. 12 prevede l’introduzione di un nuovo comma nell’art. 5, del D.Lgs. n. 28/2010. Più precisamente con il comma 6-bis si prevede che: “Il capo dell’Ufficio Giudiziario vigila sull’applicazione di quanto previsto dal comma 1 e adotta, anche nell’ambito dell’attività di pianificazione prevista dall’articolo 37, comma 1, del decreto – legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su invito del giudice ai sensi del comma 2, e ne riferisce, con frequenza annuale, al Consiglio superiore della Magistratura ed al Ministro della giustizia”. Prevede poi una modifica del comma 5 dell’articolo 8 della stessa legge, disponendo che: “Con ordinanza non impugnabile pronuncia d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui all’articolo 5, comma 1”. In seguito a quest’intervento il comma nella sua versione completa, anche per effetto della modifica apportata dal D.L. n. 138/2011 diventa il seguente: “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”. Come facilmente si evince sono norme che intendono favorire la mediaconciliazione obbligatoria e privata, in aperto contrasto con le valutazioni che l’avvocatura ha sempre fornito in materia di mediaconciliazione. L’Avvocatura ritiene che: “La mediaconciliazione cosi come attualmente disciplinata non favorisce l’accelerazione della giustizia civile, ma la rallenta vistosamente e la rende eccessivamente onerosa”.

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Questa valutazione, che l’Avvocatura ha formulato ancor prima che la normativa entrasse in vigore, ha trovato piena conferma di validità nei primi nove mesi di applicazione della medesima. I dati, anche recentemente enunciati dal Ministro della Giustizia, rendono evidente che la mediazione non funziona, non riduce il contenzioso, aggrava i costi del cittadino. La previsione di un controllo del capo dell’Ufficio Giudiziario sull’attività dei giudici in ordine all’applicazione della normativa posta dal D.Lgs 28/2010, come strumento per favorire l’accelerazione del processo civile è aberrante e mistificatoria. Il legislatore in tal modo intende dare alla mediaconciliazione una centralità nella giustizia civile che non esiste e non esisterà mai, essendo la stessa per lo più una perdita di tempo inutile e costosa ai danni del cittadino e della giustizia ed in favore dei profitti degli organismi privati e degli enti che provvedono alla formazione ed all’aggiornamento dei “mediatori”. Con l’intervento sull’art. 5 si prevede addirittura una condanna immediata pari al contributo unificato per la parte processuale costituita che non ha partecipato alla mediaconciliazione preventiva. Un’ipotesi di condanna immediata, che non è prevista in nessun ambito processuale. In sostanza si impone un pagamento, che può essere anche cospicuo, per la parte che non ha inteso, per sua scelta, partecipare alla mediaconciliazione e quindi pagare in ogni caso, anche in caso di fallimento, un organismo privato. Si tratta di norme illiberali, vessatorie e sicuramente contro il conclamato rispetto del mercato e delle scelte che in piena libertà ciascun cittadino o soggetto giuridico è chiamato a svolgere. Si coglie, tuttavia, l’occasione per proporre un modello di mediaconciliazione preventiva al processo secondo i seguenti principi: 1) Facoltatività assoluta della mediaconciliazione per ogni tipo di causa. Quaderni

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2) Abolizione immediata delle tariffe previste per gli Organismi di mediazione e per i mediatori. Il costo della mediazione deve essere soggetto ai principi del mercato e della libera concorrenza. ***

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Con l’articolo 13) il D.L. in esame prevede una modifica dell’art. 82 del c.p.c, statuendo la possibilità della parte di stare in giudizio senza l’assistenza del difensore per le cause davanti al Giudice di Pace il cui valore non ecceda la somma di € 1000,00, maggiorando così il precedente valore che era di € 516,46. La norma è sicuramente razionale ed è in linea con il modificato valore di acquisto dell’euro in questi ultimi anni. L’articolo 13) prevede anche una modifica dell’art. 91 c.p.c., statuendo che per le cause previste dall’art. 82 primo comma, le spese e competenze ed onorari liquidati dal giudice non possano superare il valore della domanda. Questa modifica apportata dall’art. 13) non è accettabile in quanto porterebbe ad una proliferazione delle piccole violazioni dei diritti, confidando nel fatto che chi viola il diritto, rischierebbe molto poco ed in ogni caso una somma non superiore rispetto al diritto violato. È sicuramente una norma che si pone contro la politica diretta a deflazionare le cause civili. È più saggio rimettere al Giudice di Pace la decisioni sulle spese, eventualmente con un controllo, su segnalazione o a campione, del Capo dell’Ufficio Giudiziario o del Procuratore della Repubblica al fine di evitare sordide e deprecabili collusioni tra le parti del processo. ***

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L’art. 14) del D.L. in esame modifica l’art. 26 della L. n. 183/2011.

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In particolare prevede che per le cause pendenti davanti alla Corte di Cassazione aventi ad oggetto pronunce pubblicate prime dell’entrata in vigore della legge n. 69/2009 e per le cause pendenti davanti alle Corti di Appello da oltre tre anni, “Le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle parti, con istanza sottoscritta personalmente dalla parte che ha conferito la procura alle liti e autenticata dal difensore, dichiara la persistenza dell’interesse alla loro trattazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”. L’Avvocatura contesta decisamente questa norma. Se la parte assistita dal difensore ha inteso proporre, esercitando un suo diritto, sempre più costoso, un’impugnazione, non si vede perché debba essere sottoposta ad un onere aggiuntivo, come quello della presentazione di un’altra istanza per conseguire ciò che ha già richiesto e pagato. Peraltro è una norma che espone gli avvocati a grosse ed involontarie responsabilità civili (oltre che a sanzioni disciplinari), perché starà a loro doversi attivare per evitare l’irreparabile perenzione del giudizio. È inaccettabile l’inversione – introdotta dalle disposizioni qui in esame – dell’onere di individuazione delle cause per le quali presentare istanza di prosecuzione. L’originaria previsione, secondo cui era compito delle cancellerie individuare i giudizi, stimolando, con biglietto di cancelleria o pec, le parti alla presentazione dell’istanza di prosecuzione, è stata capovolta, ancora una volta onerandosi il difensore di eseguire quest’esame preventivo, con seri rischi – in caso di sviste e/o di omissioni – di pregiudicare le ragioni del proprio assistito e di incorrere in responsabilità patrimoniale e in sanzioni disciplinari. Tale rischio appare particolarmente grave, laddove si tratti di procedimenti annosi, con numerosi assistiti, alcuni dei quali potrebbero nel tempo aver modificato il proprio domicilio. Quaderni

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La norma va quindi assolutamente abrogata, lasciando il testo previsto dalla L. n. 183/2011, modificato tuttavia sul punto che prevede che l’istanza debba essere firmata anche dalla parte. In ogni caso ove non si intenda raccogliere questa richiesta dell’Avvocatura, la norma posta del Decreto Legge va quanto meno modificata con la previsione che l’istanza possa essere firmata solo dal difensore e non anche dalla parte che ha conferito la procura. La richiesta della firma congiunta di parte e difensore da parte della norma evidenzia soltanto un ingiustificato ed intollerabile atteggiamento di sfiducia e di diffidenza nei confronti della Classe Forense.

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Il potere del G.A. di accogliere la domanda di annullamento del provvedimento amministrativo con effetti “ex tunc”, “ex nunc” o conformativi di GIANFRANCO SOMMA* In base ai principi fondanti la giustizia amministrativa l’accoglimento della domanda di annullamento da parte del giudice amministrativo comporta l’annullamento con effetti “ex tunc” del provvedimento impugnato risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa, che ben può, anche retroattivamente, disporre con un ulteriore atto amministrativo avente effetti “ora per allora”. Tale regola fondamentale è stata affermata “ab antiquo et antiquissimo tempore” come ineluttabile corollario del principio di effettività della tutela giurisdizionale, poiché la misura tipica dello stato di diritto non può essere che quella della eliminazione integrale degli effetti dell’atto lesivo per il ricorrente, risultato difforme dal principio di legalità. Tuttavia, l’applicazione di tale regola fondamentale può risultare incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto con il principio della effettività della tutela, soprattutto in caso di impugnazione di strumenti generali di programmazione o di regolamentazione di settore (quali sono ad esempio i piani generali di programmazione o di regolazione in materia ambientale), qualora in ipotesi di annullamento degli stessi non vi sia una regolamentazione o una discipli* Avvocato del Foro di Brindisi.

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na suppletiva di salvaguardia, così che risulterebbe privato di tutela l’interesse pubblico da esso presidiato. In tali ipotesi la regola dell’annullamento con effetti “ex tunc” dell’atto impugnato, deve trovare una deroga, a seconda delle circostanze, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti demolitori, o con la loro decorrenza “ex nunc” ovvero escludendo del tutto gli effetti caducatori e demolitori dell’annullamento e disponendo, esclusivamente, effetti conformativi tesi a far modificare o a far sostituire l’atto illegittimo da parte della p.a. con conservazione dei suoi effetti fino a quel momento. È quanto ha affermato la Sez. VI del Consiglio di Stato in una recente decisione del maggio 2011, e ciò sia in considerazione del fatto che la legislazione ordinaria non preclude al g.a. l’esercizio del potere di determinare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento, sia in ragione del medesimo principio di effettività della tutela giurisdizionale. Infatti, sia la normativa sostanziale, sia la normativa processuale, non dispongono la inevitabilità della retroattività degli effetti dell’annullamento di un provvedimento amministrativo (cfr. in tal senso l’art. 21 noni es della Legge n. 241 del 1990, nonché l’art. 34, comma 2, lett. a) del Codice del Processo amministrativo introdotto dal Decr. Leg.vo n. 104 del 2010). Così pure dagli artt. 121 e 122 del c.p.a. emerge che la rilevata fondatezza di un ricorso di annullamento può comportare l’esercizio di un potere valutativo del giudice amministrativo sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia. Tale potere valutativo, in effetti, è attribuito al g.a. dai predetti articoli del codice del processo amministrativo al fine di determinare la perduranza o meno degli effetti di un contratto di pubblico appalto in caso di annullamento giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione dello stesso, ma può riconoscersi al giudice amministrativo in termini generali quando si tratti di determinare la perduranza o meno degli effetti di un provvedimento amministrativo.

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Del resto, il giudice amministrativo nel determinare gli effetti delle proprie statuizioni deve ispirarsi al criterio per cui esse, anche le più innovative, devono produrre conseguenze coerenti con il sistema, e cioè armoniche con i principi generali dell’ordinamento, ed in particolare con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale. Il principio della “tutela piena ed effettiva della giurisdizione amministrativa” è sancito dall’art. 1 del c.p.a., che statuisce espressamente che esso deve essere assicurato “secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”. Tra i principi del diritto europeo, espressamente richiamati dal citato art. 1 del Codice del processo amministrativo, vi è quello sancito dall’art. 231 del Trattato istitutivo della Unione Europea, come modificato dal Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea, secondo cui la Corte di Giustizia della Comunità Europea, ove lo reputi necessario, può precisare gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi. In effetti, la giurisprudenza comunitaria aveva da tempo affermato che il principio dell’efficacia “ex tunc” dell’annullamento, seppur costituente la regola, non ha portata assoluta e che la Corte stessa può dichiarare che l’annullamento di un atto (sia esso parziale o totale) abbia effetto “ex nunc” o che, addirittura, l’atto medesimo conservi i propri effetti sino a che l’istituzione comunitaria modifichi o sostituisca l’atto impugnato (cfr. Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, Parlamento c. Consiglio, in C-164/97 e 165/97). Tale potere (valutativo), prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona era previsto espressamente per il caso di riscontrata invalidità di un Regolamento comunitario dall’art. 231 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, ma, ad avviso della Corte di Giustizia Europea, esso era esercitabile anche nei casi di impugnazione delle decisioni, delle direttive e di ogni altro atto generale (così Corte di Giustizia 12 maggio 1998, Regno Unito c/ Commissione C-106/96, Quaderni

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Corte di Giustizia 07 luglio 1992, Parlamento c/ Consiglio, in C295/90 e 05 luglio 1995, Parlamento c/ Consiglio, in C-21/94). La Corte in altre sue pronunce ha altresì ritenuto di essere titolare del potere di statuire la perduranza, in tutto o in parte, degli effetti dell’atto risultato illegittimo per un periodo di tempo che tenga conto, non soltanto del principio di certezza del diritto e della posizione di chi abbia vittoriosamente agito in giudizio, ma anche di ogni altra circostanza da considerare rilevante (cfr. Corte di Giustizia, 10 gennaio 2006, in C.-178/03). Tale orientamento della Corte di Giustizia ha, poi, trovato fondamento testuale nel 2° comma del citato art. 231 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, come modificato dal Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea, firmato in data 13 dicembre 2007, che non contiene più il riferimento delimitativo alla categoria dei regolamenti comunitari. Detta disposizione normativa stabilisce espressamente che “Se il ricorso è fondato, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”. Ebbene, alla luce di quanto innanzi, anche il g.a. nazionale, ad avviso del Consiglio di Stato, può definire gli effetti dell’annullamento degli atti impugnati risultati illegittimi ovvero non disporli affatto, statuendo soltanto “effetti conformativi” volti a far modificare o a far sostituire da parte della p.a. il provvedimento risultato illegittimo. E ciò soprattutto in quei settori e in quelle materie, quale ad esempio la materia ambientale, in cui vi è la competenza concorrente dell’Unione Europea e degli stati membri, per cui gli standard della tutela giurisdizionale non possono essere diversi a seconda che gli atti regolatori siano emessi in sede comunitaria o nazionale, e dunque a seconda che la controversia debba essere decisa o meno dal giudice dell’Unione.

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Infatti, il giudice nazionale, ove occorra, ben può applicare le collaudate regole applicate dal giudice dell’Unione, spesso basate sul semplice buon senso, così come lo stesso giudice dell’Unione, nell’esercizio delle sue altissime funzioni, assicura il rispetto dei principi generali comuni ai diritti degli stati membri “secondo quanto previsto dall’art. 340 del medesimo Trattato dell’Unione, nell’ambito di un continuo processo di osmosi tra i principi applicabili dal giudice dell’Unione e quelli desumibili dagli ordinamenti degli stati membri”. In conclusione, deve, quindi, affermarsi che il g.a., in caso di accoglimento della domanda giudiziale di annullamento, può, qualora ciò risponda al pubblico interesse, e non contrasti con l’interesse fatto valere con il ricorso, non disporre gli effetti caducatori del provvedimento impugnato risultato illegittimo, statuendo soltanto effetti conformativi della propria pronuncia, tesi a far modificare o a far sostituire da parte della p.a. il provvedimento con effetti “ex nunc” entro un determinato termine assegnato, disponendo che esso, pur essendo illegittimo, conservi i suoi effetti fino a quando l’amministrazione non lo modifichi o non lo sostituisca e che in caso di non ottemperanza da parte di quest’ultima entro il termine assegnato, il giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza alla sua pronuncia potrà esercitare tutti i poteri previsti dal codice del processo amministrativo, anche quelli riguardanti le misure dissuasive della eventuale inottemperanza.

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La rilevanza penale dell’ipercura di GIANMICHELE PAVONE* 1. La patologia delle cure I minori risentono spesso di gravi carenze nutrizionali o affettive, comunemente ed erroneamente inquadrate nella categoria dell’incuria (o trascuratezza), ma tecnicamente rientranti nel più vasto campo della patologia delle cure, al cui interno è possibile individuare diverse ipotesi di inadeguatezza patologica dei genitori rispetto ai bisogni fisici, psichici ed evolutivi dei bambini. Lo sviluppo dei minori avviene attraverso fasi diverse tra di loro, ciascuna delle quali ha caratteristiche e bisogni fisici e psichici specifici. Il genitore attento è sensibile a tali bisogni e regola in base ad essi il proprio comportamento e le proprie richieste. Talvolta ciò non avviene, perché inconsapevolmente i genitori non riescono a comprendere le necessità del bambino e, di conseguenza, ad adeguarsi1. La somministrazione patologica delle cure può essere, pertanto, distinta nelle tre seguenti ipotesi: a) incuria, quando le cure sono carenti; b) discuria, quando le cure sono distorte; c) ipercura, quando le cure sono eccessive2. Si parla di incuria quando i soggetti legalmente responsabili del * Avvocato del Foro di Brindisi. 1 Per una più approfondita disamina della funzione genitoriale, si veda GRECO - MANIGLIO, Genitorialità. Profili psicologici, aspetti patologici e criteri di valutazione, Milano, 2009. 2 La tematica può essere approfondita in: AMMANITI, Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Milano, 2001; MALACREA - LORENZINI, Bambini abusati, Milano, 2002; MONTECCHI, Prevenzione, rilevamento e trattamento dell’abuso all’infanzia, Roma, 1991; ID., Gli abusi all’infanzia: dalla ricerca all’intervento clinico, Roma, 1994; ID., Abuso sui bambini: l’intervento a scuola, Milano, 2002.

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minore (caregiver) non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni fisici (nutrizione, vestiario, cure mediche, protezione dai pericoli, etc.) e psichici (affetto, emozioni e socializzazione) rispetto all’età ed alla fase evolutiva. Tale abuso può essere variabilmente graduato dall’abbandono totale al disinteresse per i bisogni del bambino e determina un’alterazione della qualità di vita e delle modalità di relazione con il mondo esterno, con ripercussioni sullo stato fisico, mentale e comportamentale. Una diagnosi della patologia può essere effettuata con l’ausilio di “indicatori di rischio”, che possono essere suddivisi in: notizie sullo stato di salute, segni fisici e segni comportamentali. Le informazioni sullo stato di salute si possono rilevare nel corso del colloquio con i genitori, quando emerge una difficoltà a fornire notizie esatte e complete sulla nascita e sulle tappe evolutive del figlio (il genitore può avere difficoltà a contenere nella propria mente la storia del bambino, mostrando di non essere sensibile ai suoi bisogni) o in merito alle vaccinazioni obbligatorie. Da un punto di vista fisico, il minore trascurato spesso indossa vestiti inadeguati rispetto all’età, al sesso ed alla stagione. Si possono inoltre riscontrare scarsa igiene, carie, dermatiti (addirittura scabbia e pediculosi), denutrizione e ritardi nello sviluppo psico-motorio. Per quanto concerne, infine, i segni comportamentali, i bambini non curati appaiono tristi, pigri, demotivati, stanchi, mostrano scarso rendimento scolastico e disturbi dell’alimentazione. La discuria è la distorsione della prestazione delle cure, le quali vengono somministrate in maniera inadeguata rispetto al momento evolutivo. In questo caso i genitori (spesso in buona fede) riversano sul minore le proprie aspettative coincidenti con l’immagine che essi hanno di se stessi o dei propri modelli, ignorando di conseguenza i bisogni reali appropriati rispetto alla fase evolutiva. Gli atteggiamenti tipici sono: Quaderni

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- anacronismo delle cure, laddove i genitori pongano in essere condotte idonee ad uno stadio evolutivo diverso (ad esempio la somministrazione di latte o cibi frullati ad un bambino di sei anni); - imposizione di ritmi di acquisizione precoci, imponendo abitudini da adulti senza rispettare i bisogni del bambino (ad esempio riducendo le ore di sonno di cui ha bisogno o pretendendo autonomia nella motricità e nei ritmi alimentari); - aspettative irrazionali, quando i genitori richiedono ai propri figli delle prestazioni superiori alla norma o alle possibilità individuali, accumulando impegni (scuola, sport, inglese, pianoforte) e pretendendo competitività e successi che ostacolano la socializzazione con i coetanei. 2. segue - Ipercura Rientrano in tale categoria tutti i casi in cui i genitori offrono cure eccessive al proprio figlio e può trovare esplicazione in alcune forme cliniche. La forma più importante è la “sindrome di Münchhausen per procura” (MsbP)3, una variante della sindrome che prende il nome 3 AGOSTI - GENTILOMO - MERZAGORA BETSOS, La Sindrome di Munchausen per procura: un’indagine empirica, in Rass. it. di criminologia, 1, 2000; COLUCCIA - LORENZI, La sindrome di Munchausen per procura: aspetti medici e criminologici, in Cass. pen., 2005, X, 3157 ss.; GULOTTA - LIBERATORE, Ai confini della PAS: la sindrome da falso ricordo e la sindrome di Munchausen per procura, in Gulotta - Cavedon - Liberatore, La sindrome da alienazione parentale (PAS). Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano, 2008, 151-186; KARLIN, Munchausen syndrome by proxy, in Brattleboro Retreat Psychiatry Review, IV, 1, 1995; LASHER - SHERIDAN, Munchausen by proxy: identification, intervention, and case management, New York, 2004; LEVIN - SHERIDAN (a cura di), La sindrome di Munchausen per procura, Torino, 2001; MICHIELETTO, Madri pericolose e figli in ostaggio: la sindrome di Munchausen per procura, III Convegno di Criminologia Forense, I crimini in famiglia. Delitti Sessuali e Delitti di Sangue, Fondazione Ettore Majorana e Centro di Cultura Scientifica, Erice (TP), 2002; PERUSIA, La famiglia

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dal barone di Münchausen, vissuto in Germania nel XIX secolo, famoso per i suoi racconti di storie inverosimili: i soggetti che ne sono affetti esagerano o inventano sintomi fisici o psichici, richiedendo continui consulti medici, sottoponendosi ad accertamenti ed esami clinici anche molto invasivi e persino ad interventi chirurgici. Il DSM-IV-TR la riconosce nella categoria dei “Disturbi Fittizi con Segni e Sintomi fisici predominanti”4. La forma “per procura”, invece, è stata studiata per la prima volta nel 1977 dal pediatra inglese Roy Meadow5 ed è diagnosticabile laddove i genitori (nella maggior parte dei casi la madre) producano deliberatamente (forma attiva) oppure simulino (forma passiva) sintomi fisici o psichici, inducendo un’apparente malattia nei propri figli, i quali vengono in tal modo sottoposti a cure inopportune ed accertamenti clinici ingiustificati. I minori rischiano, di conseguenza, seri danni fisici e psicologici (danni ad organi interni, incubi notturni, difficoltà nell’apprendimento, assenza di relazioni sociali, sindrome ipercinetica, perdita della capacità di riconoscere le sensazioni interne, etc.) e, spesso, la vita6, pur non essendo questo nelle intenzioni dei genitori. La sindrome viene riconosciuta nella quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali7, includendola tra i “Disturbi fittizi con segni e sintomi fisici predominanti”, ma riconoscere e diagnosticare la MsbP è complesso sia poiché viene inficiata

distruttiva. Sindrome di Munchausen per procura, Milano, 2007; ROSENBERG, Dalla menzogna all’omicidio. Lo spettro della Sindrome di Munchausen per procura, in La Sindrome di Munchausen per procura, Milano, 1996. 4 American Psychiatric Association, DSM-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, 2006. 5 MEADOW, Munchausen Syndrome by Proxy: The Hinterlands of Child Abuse, in The Lancet, 13.08.1977, 343-5. 6 Circa il 10% delle vittime arriva alla morte (MICHIELETTO, cit.). 7 D.S.M. (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali)

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dall’inganno messo in atto dal caregiver nei confronti dei sanitari, i quali tendono in buona fede a colludere con esso (è difficile sospettare che una madre possa spingersi a tanto8), sia perché spesso i sintomi delle vittime non sono ascrivibili a nessuna malattia conosciuta ed i sanitari sono indotti ad approfondire il caso con ulteriori esami ed accertamenti. Per tali ragioni è fondamentale per la diagnosi l’osservazione del caregiver, valutando la presenza di un eventuale disturbo psichiatrico ascrivibile al quadro depressivo, oppure una patologia ipocondriaca grave che porti alla proiezione sul minore della parte deteriorata del proprio Io o, ancora, una personalità isterica o borderline, con atteggiamenti di distacco nei confronti del partner. Infatti, “talvolta il comportamento della madre evidenzia un attacco al marito che è un padre emotivamente distante o fisicamente assente; la crisi matrimoniale dà alla madre la giustificazione di vendicarsi dell’uomo che ha accanto e con il quale ha avuto un figlio proprio attaccando il bambino”9. È possibile distinguere tre tipologie di madri che inducono la MsbP10: help seekers, active inducers e doctors addicts. Le prime attraverso la preoccupazione per la salute del figlio esprimono la propria ansia e depressione e, soprattutto, la loro incapacità di prendersi cura del minore. A tale condizione, spesso sono associati conflitti coniugali, gravidanze inattese e madri sole. Le active inducers sono donne che inducono nei figli malattie con metodi violenti, tendono a controllare i medici che si occupano del bambino e desiderano apparire come madri perfette. Infine, le doctors addicts sono sospettose, diffidenti ed ossessio-

MERZAGORA BETSOS, Demoni del focolare, Torino, 2003, 166. MICHIELETTO, cit. 10 KARLIN, Munchausen sindrome by proxy, in Brattleboro Retreat Psychiatry Review, 1,1995, 4. 8 9

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nate dal bisogno di ottenere cure mediche per malattie inesistenti del proprio figlio. Proprio per la complessità delle manifestazioni e la difficoltà nel suo riconoscimento è estremamente importante attingere al contributo di diverse discipline, nel contesto medico, psicologico e legale. Per alcuni11 la sindrome di Münchausen per procura può essere dedotta dai seguenti indicatori: 1) la malattia del bambino è causata da un genitore o da qualcuno che è in loco parentis; 2) il bambino viene sottoposto a visite mediche prolungate e a trattamenti complessi; 3) colui che danneggia il bambino nega di conoscere la causa della malattia; 4) i sintomi acuti e i segni della malattia cessano quando il bambino viene allontanato da chi la causa. Altri propongono ulteriori criteri utili a rivelare la presenza di un abuso da simulazione12 basati sull’osservazione medica (presenza di sintomi bizzarri che non corrispondono ad alcuna patologia conosciuta o che risultano incongrui rispetto alle malattie note; i trattamenti non hanno efficacia; i sintomi compaiono solo quando il bambino è da solo con i genitori; nella famiglia vi sono precedenti di malattie o decessi insoliti) e sull’osservazione del soggetto agente (il genitore esibisce delle conoscenze di medicina, ha un comportamento eccessivamente controllato rispetto alla gravità del quadro clinico del figlio, stabilisce relazioni cordiali col personale medico, non lascia mai da solo il bambino durante la degenza in ospedale). La sindrome di Münchausen per procura fin qui esaminata deve essere distinta da altri comportamenti simili. Il “medical shopping per procura” consiste in un’esagerazio11 12

MICHIELETTO, cit. MERZAGORA BETSOS, cit.

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ne della malattia: i genitori di minori che hanno sofferto nei primi anni di vita di una grave patologia ricorrono continuamente all’aiuto medico, percependo lievi disturbi come gravi minacce e facendo in modo che essi vengano ricoverati in ospedale o sottoposti a continui accertamenti per ricevere rassicurazioni. A differenza dalla sindrome di Münchhausen per procura, il disturbo materno è di tipo nevroticoipocondriaco. Quando il bambino presenta dei sintomi fittizi indotti dalla madre si parla di “help seeker”, ma questa situazione si differenzia dalla sindrome di Münchhausen per procura per una minore frequenza degli episodi ed una maggiore disponibilità del genitore ad accettare un sostegno terapeutico. L’anomala somministrazione di sostanze farmacologiche o chimiche al bambino, allo scopo di ottenere un ricovero ospedaliero, invece, viene definita “abuso chimico/farmacologico” (chemical abuse)13. Le sostanze possono essere: a) qualitativamente prive di proprietà tossicologiche ma comunque nocive se somministrate in quantità o modalità eccessive (ad esempio l’acqua); b) dotate di scarsa tossicità e di comune impiego domestico (ad esempio il sale); c) ad azione farmacologica, dotate di media tossicità e di facile reperibilità (lassativi, diuretici, glucosio, insulina, etc.); d) farmaci dotati di spiccata tossicità ad azione sedativa e di non usuale disponibilità (ad esempio sonniferi). Spesso la madre continua a somministrare le sostanze anche in ambiente ospedaliero, cosicché la diagnosi può essere formulata solo dopo l’allontanamento della madre. Nella “sindrome da indennizzo per procura”, infine, la necessità dei genitori di avere un indennizzo (ad esempio in caso di un infortunio) viene indotta e porta il bambino ad assumere i sintomi riferiti dai genitori stessi, adeguandosi fedelmente. I sintomi famiBUZZI - BORTOLOTTI CARRARO, Chemical Abuse: una particolare forma di maltrattamento dell’infanzia, in Difesa sociale, vol. IV, 1986. 13

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glia (cefalea, vertigini, difficoltà di concentrazione, astenia, disturbi della memoria) variano a seconda delle conoscenze mediche della famiglia e la sindrome si risolve con totale e improvvisa guarigione una volta ottenuto il risarcimento. 3. La sentenza Cass. pen., sez. VI, 10 ottobre 2011, n. 36503 Una recentissima sentenza della Cassazione appare molto significativa per la disamina sin qui svolta. La pronuncia trae origine dal ricorso presentato da C. E., e G. G., rispettivamente madre e nonno materno del minore C. R., avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, del 19 ottobre 2010, che aveva confermato la pronuncia di condanna del G.U.P. del Tribunale di Ferrara del 17 maggio 2007 per il delitto di cui all’art. 572 c.p. Più precisamente gli imputati erano stati ritenuti responsabili del reato in questione per aver “maltrattato” il minore che viveva con loro mediante atteggiamenti iperprotettivi (qualificati come “eccesso di accudienza”), consistiti nell’impedirgli di frequentare con regolarità la scuola e di socializzare (il minore ha conosciuto suoi coetanei solo in prima elementare), nell’impartire regole di vita tali da incidere sul suo sviluppo psichico con conseguenti disturbi deambulatori, prospettandogli, inoltre, la figura paterna come negativa e violenta tanto da imporgli di farsi chiamare con il cognome materno, etc. La difesa degli imputati aveva fatto leva sulla connotazione “negativa” che accomuna gli esempi tipici delle condotte che integrano il reato di cui all’art. 572 c.p., come le percosse, le punizioni umilianti e gratuite, l’abbandono in strada a chiedere elemosina, etc., sostenendo che l’eccesso di cure (tecnicamente, ipercura), sebbene patologico, non avesse nulla a che vedere con le citate condotte. Gli atti di maltrattamento accertati dai giudici di merito, in ogni caso, appaiono di particolare gravità, essendosi concretizzati in: Quaderni

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a) atteggiamenti iperprotettivi qualificati come “eccesso di accudienza”, mantenuto e proseguito in età preadolescenziale, con imposizione di atti riservati all’età infantile, nonché nell’esclusione del minore da attività anche didattiche istituzionali, inerenti la motricità; b) deprivazioni sociali (impedimento di rapporti con coetanei) e psicologiche (rimozione della figura paterna). Tali condotte sono state ritenute concretamente idonee a ritardare gravemente nel minore sia lo sviluppo psicologico relazionale (con i coetanei e la figura paterna), sia l’acquisizione di abilità in attività materiali e fisiche, anche elementari (come la corretta deambulazione). La Sezione VI della Suprema Corte, pertanto, con la sentenza del 10 ottobre 2011, n. 36503, ha rigettato i motivi di impugnazione, confermando la sentenza impugnata ed ha affermato che i genitori che, per eccesso di cure, danneggiano lo sviluppo psichico e fisico del minore, commettono il reato di maltrattamenti in famiglia nonostante l’assenza di una evidente connotazione negativa dei comportamenti posti in essere. Nel reato in questione, infatti, l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla tutela dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma (si veda sul punto anche Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2003, n. 37019), interessate al rispetto integrale della loro personalità e delle loro potenzialità nello svolgimento di un rapporto, fondato su costruttivi e socializzanti vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno, a prescindere da condotte pacificamente negative.

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4. Conclusioni Attingendo al contributo della psicologia giuridica, è importante riconoscere che in ogni forma di maltrattamento minorile l’obiettivo primario è proteggere le vittime e per fare questo è molto importante un efficace intervento legale, che si integri a quello medico-psicologico14. A questo proposito la fattispecie di cui all’art. 572 c.p., che disciplina i reati di maltrattamento in famiglia, accorda un’ampia forma di tutela contro gli abusi subiti dalle piccole vittime e ben si presta a tutelarle anche nei confronti di condotte qualificabili come ipercura o “eccesso di accudienza”. Per non smarrire la retta via della giustizia occorre, tuttavia, tenere ben presenti gli aspetti patologici del fenomeno, compito reso arduo proprio dalla complessità delle manifestazioni concrete le quali, come già detto, ne rendono difficile il riconoscimento. Alcuni autori15, ad esempio, ritengono che i casi di false accuse di abuso sessuale su minore possano rappresentare una forma di MsbP, soprattutto quando queste abbiano origine in contesti familiari disgregati nei quali i genitori siano in contrasto per la custodia dei figli. In tali situazioni, infatti, è possibile che uno dei genitori arrivi ad odiare a tal punto l’ex partner da pensare anche che questo possa abusare del figlio e quindi, nell’estremo tentativo di proteggerlo e ottenerne la custodia, può spingersi fino ad inventare sintomi di un abuso. Non si intende porre in discussione la correttezza dell’interpretazione normativa che ha portato la giurisprudenza ad estendere sempre di più l’operatività della fattispecie di cui all’art. 572 c.p. Ben venga, invece, un controllo sempre vigile verso bisogni dei più deboli. È opportuno domandarsi, tuttavia, se questo sistema sia davvero la risposta migliore che l’ordinamento possa offrire ad un’evidente 14 15

LASHER - SHERIDAN, cit. GULOTTA - LIBERATORE, cit., 183.

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richiesta di aiuto da parte della famiglia, che sembra aver smarrito da tempo la propria identità a causa, soprattutto, della perdita di ruoli precisi a favore dell’affermazione di individualità isolate ed in aperto conflitto tra loro.

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Il sistema delle pene nei codici penali del Regno delle Due Sicilie e del Regno di Sardegna Quarta parte di AUGUSTO CONTE Il Trattato di Vienna del 9 giugno 1815, che stabilì il principio della restaurazione delle dinastìe pre-napoleoniche, cui aderì Ferdinando di Borbone stipulando il 12 giugno seguente una alleanza con l’Austria e unendosi il 26 settembre alla Santa Alleanza, istituì il Regno delle Due Sicilie1; nel 1817 il Re restaurato, che era Ferdinando III° di Sicilia e Ferdinando IV° di Napoli, “per affermare l’unione delle due corone”, come era stato riconosciuto dal congresso di Vienna, emanò un decreto con cui assumeva il titolo di «Ferdinando I° delle Due Sicilie»2; il Congresso dichiarò Gioacchino Murat decaduto dal trono di Napoli3. 1 “Che il principio di legittimità trionfi senza restrizioni: che … il Regno di Napoli sia restituito al suo legittimo Sovrano”. Da una lettera di Talleyrand a Lord Castelreagh, riportata da Pietro Colletta (Napoli 13.1.1775-Firenze 11.11.1831) a p. 26 della sua “Memoria Militare”, in Opere inedite o rare di Pietro Colletta. Napoli. Stamperia Nazionale 1862, raccolte e pubblicate dai suoi nipoti (designati per testamento) in due volumi. 2 H. ACTON, I Borboni di Napoli (1734-1925), Giunti Editore, Firenze 1985 e 1997 (titolo originale The Bourbons of Naples) p. 733. 3 “Tutti gli sguardi si fissarono allora sul Congresso di Vienna. Si accoglievano avidamente le nuove che ne derivavano: non mai un corriere è stato più attedo; non mai di un qualche inviato sono stati calcolati i giorni di viaggio, misurato il cammino, e numerati i passi; non mai i fogli stranieri sono stati letti con tanta avidità, né mai un falso articolo di

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A Murat l’Imperatore d’Austria l’1.9.1815 per il tramite del Principe di Metternich (animatore e ispiratore dei contenuti del Congresso di Vienna) propose di concedergli asilo a tre condizioni: assunzione di un nome privato, suggerendo quello di Lipàno, già assunto dalla ex regina Carolina; dimora in una città della Boemia, della Moravia o dell’Austria superiore, o in una zona di campagna; garanzia di non lasciare l’Austria senza il consenso dell’Imperatore e di vivere “qual uomo privato sottomesso alle leggi della monarchìa austriaca”. Murat rispose: “Or dunque, una prigione è il mio asilo! Prigione è come tomba, ed a Re caduto non rimane che morir da soldato”4. Alla restaurazione, avendo verificato che nel Reame tutto era cambiato, avendo Ferdinando riscontrato “leggi più vigorose, tasse più pesanti, meno religione, meno obbedienza, più licenza, più servitù”5 e dopo avere criticato sotto ogni aspetto i “guasti” compiuti nel periodo francese sul popolo, sul prestigio regio, sui funzionari di Stato, sul clero, proclamò, fra le altre decisioni programmatiche “la libertà individuale e civile, la sacralità della proprietà, la irrevocabilità delle avvenute vendite di beni dello Stato, la garanzia del debito pubblico, il mantenimento delle pensioni riconosciute, dei gradi, degli onori, il riconoscimento della antica e della nuova nobiltà, la possibilità per ogni Napolitano di accedere agli impieghi militari e civili, la piena amnistia e la non punibilità di precedenti opinioni politiche, la non processabilità di precedenti scritti, fatti ed opinioni, né davanti alla un giornalista ha fatto proseliti più numerosi”. Pietro Colletta. Opere inedite o rare. Napoli. Dalla Stamperia Nazionale. 1862, pag. 13. 4 P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli, Edizioni S.a.r.a., 1992, p. 507. 5 G. DE SIVO, Storia delle Due Sicilie, Edizioni del Grifo, 2004, p. 18. De Sivo era e rimase “borbonico”, tanto che per non avere giurato fedeltà al Regno d’Italia fu costretto all’esilio, dopo aver provato le patrie galere; l’opera citata fu da lui pubblicata a Trieste (fuori dal Regno d’Italia) nel 1867, quale sottile propaganda contro il governo savoiardo che aveva compiuto una “efferata aggressione, conquista, distruzione di quello che fino allora era stata la terza Nazione Europea per ricchezza e certo la prima per modernità ed industrializzazione” come Andrea Orlandi, curatore della pubblicazione, riportava dal contenuto della stessa.

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legge né davanti al paterno cuore del Re. Tutti i sudditi sarebbero stati considerati uguali: un velo impenetrabile doveva stendersi sul passato. Mantenne la parola. Pertanto poco fu cambiato degli ordini e degli uomini imposti dai vecchi occupanti, dovendosi necessariamente governare con elementi contrari al Sovrano: cambiato il Re, restava il decennio, che poteva comunque essere modificato e migliorato6. In verità, nonostante le critiche, giustificate dalla decennale occupazione francese, di fronte a una realtà nuova furono, oltre agli uomini, conservate molte innovazioni, tra le quali, per quello che interessa la nostra trattazione, la codificazione francese7. In precedenza, come si è visto innanzi nella trattazione, “reggevano la giustizia civile dodici legislazioni, dalla romana a quella di Ferdinando IV°, e reggevano la giustizia criminale le prammatiche antiche, le moderne, le nuovissime: per le quali era inquisitorio il processo, erano inquisitori gli scrivani; e i giudici abbietti nelle provincie, superbi nella capitale: stava in vigore la tortura, erano scritte le testimonianze, segreto il dibattimento”8. E sempre prima del periodo francese “il codice civile, che nel 1805 divagava in cento volumi, si trovò compreso nel Codice NapoG. DE SIVO, Ivi. Gli impegni programmatici di Ferdinando I° riproducevano in parte quelli assunti con il Trattato nel Congresso di Vienna. 7 Con correttivi, in penale, come vedremo e in materia civile, dove, per esempio, fu disposta la esclusione del divorzio, in considerazione della indissolubilità del matrimonio; si esaltò la patria potestà e si mitigarono le leggi di successione. 8 P. COLLETTA, Opere inedite o rare, Napoli, Dalla Stamperia Nazionale, 1861. L’osservazione sui caratteri del processo inquisitorio è declamata da Pietro Colletta. nell’“Elogio di Giuseppe De Thomasis” di Montenerodomo, nell’Abruzzo Chietino, nato nel 1767 e morto nel 1830 che, in Napoli, all’età di sedici anni “imprese gli studi della legge per addirsi alla curia” e che “non trovando pari a sé la curia, i curiali, i codici, sdegnoso del bugiardo mestiere, ne fuggì... proseguì gli studi delle leggi, della politica e della economia degli Stati; ed in ognuna di quelle parti dell’umano sapere fu eccellente”. Dopo la restaurazione il De Thomasis fu uno dei confermati negli incarichi del periodo francese che lo aveva visto Giudice del Supremo Tribunale di Cassazione, Relatore al Consiglio di Stato, Procuratore Generale della Gran Corte dei Conti. 6

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leone, monumento di civile sapienza. Il codice penale, che a stento si cercava nei dispacci o consuetudini del foro, fu raccolto in un corpo di leggi, come che imperfette per la disordinata misura dei delitti e la superchia severità delle pene. All’antico processo, oscuro, iniquo, era succeduto il dibattimento. Si trovò un codice sapientissimo di commercio9. Pertanto i codici, pur pubblicando i nuovi, furono mantenuti nel loro assetto “francese” anche se scomparvero i nomi di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat. A seguito dei lavori della Commissione nominata il 2 agosto 181510, con provvedimento 26 marzo 1819, pubblicato il 31 marzo, controfirmato dal Ministro di Grazia e Giustizia Marchese Tommasi, Ferdinando I° si risolse di “sanzionare” la legge con la quale, in sette articoli aboliva a partire dall’1 settembre 1819 “il codice civile, il codice penale, il codice di procedura civile, le disposizioni contenute nel decreto del 20 maggio 1808 intorno alla giustizia criminale, ed il codice di commercio, pubblicati durante l’occupazione militare, e per nostra sovrana disposizione provvisoriamente in vigore, saranno pienamente abiliti a contare dal primo giorno di settembre del corrente anno 1819”; introduceva dallo stesso giorno quale nuova legislazione “nè nostri dominj al di qua e al di là del Faro il Codice per lo Regno delle Due Sicilie ripartito nel seguente modo: Parte prima – Leggi civili. Parte seconda – Leggi penali. Parte terza – Leggi della Procedura nè giudizj civili. Parte quarta – Leggi della Procedura né giudizj penali. Parte quinta - Leggi di eccezione per gli affari di

P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli, Edizioni S.a.r.a. 1992, p. 493. A. MAZZACANE, Una scienza per due Regni: la penalistica napoletana della restaurazione, in Codice per lo Regno delle Due Sicilie. Parte Seconda, Leggi Penali, Cedam, Padova 1996. “Il decreto istitutivo della Commissione incaricata di redigere i codici le affidava il compito di affrontare <un intero corpo di diritto patrio> “ rivolto verso “il grande oggetto della sicurezza delle persone e delle proprietà”, e corrispondente “all’indole dei nostri popoli e all’odierno stato della civilizzazione”. 9

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commercio. Altre disposizioni contenute nella legge riguardavano le formalità della pubblicazione. Con successiva Legge del 21 maggio 1819 composta di cinque articoli, vista la precedente, “sanzionava”: “Le leggi romane, le costituzioni, i capitoli, le prammatiche, i reali dispacci, le consuetudini generali e locali, e generalmente tutte le altre disposizioni legislative non più osservate ne’ nostri dominj al di qua del Faro dal dì I° di gennaio dell’anno 1809 nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute ne’ codici provvisoriamente in vigore, continueranno dal giorno primo di settembre dell’anno 1819 a non aver forza di legge nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute nel Codice per lo Regno delle Due Sicilie”. L’art. 2 precisava che: “Le leggi ed i decreti pubblicati durante il periodo dell’occupazione militare, e le leggi ed i decreti pubblicati da Noi dopo il nostro ritorno in questa parte de’ nostri dominj, cesseranno dal giorno primo di settembre dell’anno 1819 di aver forza di legge nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute nel Codice del Regno delle Due Sicilie”; analogamente l’art. 3 stabiliva per i “dominj al di là del Faro”11 con l’aggiunta abolizione delle “sicule sanzioni”. Tralasciando i commenti agli altri codici, Pietro Colletta12, per quanto riguarda il codice penale, e in particolare il sistema delle pene, osservò: “Il codice penale serbò alcuni errori dell’antico, cioè la inesatta scala de’ delitti, la soperchia severità delle pene, il troppo uso del supplicio di morte; ed introdusse tre novelli errori. 1° Creò delitti di lesa maestà divina, e gli punì aspramente; quasi giungesse 11 Manca per i “dominj al di là del Faro” la indicazione delle leggi promulkgate durante “l’occupazione militare” perchè il dominio francese non raggiunse mai la Sicilia, dove i Borbone, spodestati da Napoli, si erano ritirati in attesa degli eventi che travolsero l’epoca napoleonica. 12 Pietro Colletta, generale dell’esercito di Gioacchino Murat, in genere “parteggiava” per il periodo francese, anche se con moderazione e a volte con obbiettività.

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a Dio l’umana bestemmia, e l’offendesse: chi oltraggia Iddio è preso di demenza, e gli è pena condegna andare tra forsennati. 2° Distinse in quattro gradi la pena di morte, segnandoli per le vesti. Era indizio di barbarie l’antica crudeltà sul condannato prima di ridurlo a morte, ma coll’accrescer il martirio, diveniva grado di pena: oggi è ridevole far diverso il dolore del morire, o il terrore dell’esempio per veste gialla o nera, a piedi nudi o calzati. Le quali diversità, insensibili al supplicio, nuove alle opinioni, non sono istrumenti di legge. 3° Tolse o scemò a’ giudici piccolo arbitrio che aveano, fra certi limiti, della pena; perciocchè il patire, e quindi la facoltà di variare in poca parte la durata, adegua le differenze di età, stato, sesso, capacità di sentire. Ma d’altra parte le affatto abolite confiscazioni tanto sopravanzano gli esposti errori, che rendono il codice delle pene di gran lunga migliore dell’antico. Non dirò altrettanto, e ne ho dolore, del procedimento criminale: fu peggiorato. L’antica speranza de’ giurì per questa volta restò delusa; la facoltà d’imprigionare per mandato di accompagnamento, confermata; il giudizio di accusa confidato a cinque o tre giudici, da sei o quattro che erano prima; il beneficio della parità, rivocato; i giudici dell’accusa, che già non lo erano del processo, lo furono per il novello codice; erano dunque giudici prevenuti contro l’accusato, pericolo alla giustizia ed intoppo alla ingenuità del dibattimento; i casi portati a cassazione furono ristretti; la condizione dell’incolpato, già trista, si fece tristissima. Il governo volle abbassare l’autorità del magistrato supremo, saldo sostegno di libertà, perchè delle leggi”13. Pur rifacendosi al modello francese e con i limiti derivanti dalla cultura dell’epoca14, furono adottate sanzioni originali che si ispira13 P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli, Edizioni S.a.r.a. 1992, pp. 538, 539. Le osservazioni di Colletta sono ancora attuali, dopo circa duecento anni e l’avvicendamento di nuovi codici penali e di procedura. 14 S. VINCIGUERRA, Una tecnica giuridica raffinata al servizio dell’assolutismo regio: Le “leggi penali” delle Due Sicilie, in Codice per lo Regno delle Due Sicilie. Parte Seconda – Le Leggi Penali, Cedam. Padova, 1996, p. XI.

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vano alle finalità politiche della Santa Alleanza cui dovevano adeguarsi anche le leggi penali. È affascinante la ricostruzione della disputa tra reazionari e riformisti nel codice penale francese e napoletano e sull’influenza esercitata sulle successive codificazioni, specie in riferimento a principi generali quali il tentativo, il concorso di persone, l’imputabilità, la graduazione delle pene e l’applicazione in concreto; ma ci porterebbe lontano dai confini della presente ricostruzione del sistema delle pene. Il codice ferdinandeo fu comunque considerato eccellente, frutto del genio italico, dai contemporanei e dagli studiosi successivi15, da Pessina16 a Nicolini, ad Autori più recenti, che hanno scritto sul progresso costituito dal metodo nello “scernere” i reati, con il quale erano stati elevati a legge i canoni della imputabilità, era stata definita la natura del reato, nell’aver trovato che la pena deve essere proporzionata al “misfatto”: principi che avevano “radici nell’opera degli illuministi napoletani che avevano costruito una teorica penalistica organica. La codificazione è, dunque, affermazione di una legalità che assicura garanzia individuale, eguaglianza formale e accentramento del potere. Come già riportato nella prima parte di questo lavoro la legislazione penale del Regno delle Due Sicilie era apprezzata e “specialmente per quel che riguarda le leggi penali propriamente dette, può benissimo aspirare alla primaria tra i codici d’Europa. La sua pubblicazione non data che al 1819, ma era questa un’opera che da lungo tempo si andava preparando, ed i cui principi si erano, potremmo quasi dire, insinuati nella giurisprudenza prima che fossero convertiti in leggi scritte … nel codice del 1819 … si raggiunge un grado di perfezione cui le legislazioni dopo tanti anni trascorsi non sono ancora dell’intutto pervenute”. (Teorica del Codice Penale di Adolfo Chauveau, Avvocato ai Consigli del Re ed alla Corte di Cassazione del Belgio. Trattato di diritto penale comparato. Edizione Italiana eseguita nello Studio dell’Avvocato Leopoldo Tarantini. Napoli. Dallo stabilimento dell’antologia legale di Domenico Capasso. Strada S. Sebastiano, n. 51, nel Cortile dei R.R.P.P. Gesuiti, I° Piano, 1853, vol. I°, p. 11, nota 3). 16 E. PESSINA, Il diritto penale in Italia da Cesare Beccaria sino alla promulgazione del codice penale vigente (1764-1890), in Enciclopedia del diritto penale italiano, vol. II, 1906, p. 580. Riferendo giudizi di studiosi stranieri, Pessina affermava: “Dei nostri codici quello che nel Regno delle Due Sicilie è stato oggetto a maggior cangiamento è il codice penale. E tutte le modificazioni fattevi si veggono dettate da uno spirito costante di filantropia e di umanità; e non vi ha miglioramento che si discuta qui alla Camera dei Pari, che non esista in Napoli fin dal 1819, e sovra fondamenti più estesi e più solidi”. 15

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Tali aspetti sono senz’altro primari nel codice del 1819”17. A conferma della esistenza di tali aspetti nel Codice Penale 1819 vi è la solenne affermazione secondo la quale “Niun reato può essere punito con pene che non erano pronunziate dalla legge prima che fosse commesso. Nondimeno se la pena stabilita nel tempo del giudizio, e quella che era fissata nel tempo del reato, fossero diverse tra loro, sarà sempre applicata la più mite”18. Altri principi sono rappresentati dalla definizione del sistema sanzionatorio, ispirato a criteri di proporzione con una articolata graduazione delle pene; dai presupposti della punibilità; dalla classificazione dei reati e la previsione di punizione “secondo la loro qualità”; dall’esclusione del carattere “infamante” della pena19. Il Codice delle Leggi Penali si divide in tre Libri: il primo riguarda le pene e le regole generali della loro applicazione; il secondo contiene il “catalogo de’ misfatti e de’ delitti” e della loro punizione; il terzo elenca le contravvenzioni e le relative sanzioni. Ai fini della presente trattazione rileva essenzialmente il Libro I° “Delle pene, e delle regole generali per la loro applicazione ed esecuzione”20. 17 V. PATALANO, Sulle leggi penali contenute nella Parte Seconda del Codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1819. In Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Cedam, Padova 1996. 18 Codice per lo Regno delle Due Sicilie, parte seconda - Leggi Penali, art. 60. 19 Codice per lo Regno delle Due Sicilie, parte seconda - Leggi Penali, art. 1. L’affermazione è indice, a differenza del giudizio peggiorativo di Pietro Colletta, della mitigazione, rispetto al codice francese, delle pene, più “personalizzate” e umanitarie (come attesta la abolizione della gogna, del marchio d’infamia, della morte civile, della “pubblicazione” dei beni dei condannati). Va ricordato, però, che il carcere sofferto dal condannato prima della sentenza non era computato nella pena irrogata per il reato; l’art. 52, del Capitolo VII del Libro I, Titolo I, Della esecuzione delle pene, stabiliva: “Ogni condanna s’intende cominciata ad espiare pe’ detenuti, dal giorno in cui è divenuta irrevocabile; pe’ non detenuti, dal momento della esecuzione effettiva”. 20 La fissità delle pene costituiva la reazione dell’illuminismo giuridico all’arbitrio dei giudici penali; come scrisse MONTESQUIEU, Esprit des lois, XI, 6, le sentenze “étaient une opinion particulière du juge, on vivrait dans la sociètè sans savoir prècisement les engagements que l’on y contracte” e i giudici “ne sont … que la bouche qui prononce les paroles de la loi, des ètre inanimés qui n’en peuvent modérer ni la force ni la rigueur”.

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Il Titolo I°, Delle pene, distingue le pene corrispondentemente al tipo di reato21: “Il reato soggetto a pene criminali chiamasi misfatto. Il reato soggetto a pene correzionali chiamasi delitto. Il reato soggetto a pene di polizia chiamasi contravvenzione”. Nel Capitolo I°, Delle pene criminali, il comma 3 nel ricordare che le “antiche” pene erano abolite, è spiegato che “le pene criminali sono soltanto le seguenti: 1° la morte; 2° l’ergastolo; 3° i ferri; 4° la reclusione; 5° la relegazione; 6° l’esilio dal Regno; 7° la interdizione da’ pubblici uffici22; 8° la interdizione patrimoniale”23. La pena di morte doveva essere eseguita in un luogo pubblico; ove non fosse “letteralmente” previsto dalla legge che la pena di morte dovesse essere eseguita “col laccio sulle forche”, doveva essere “espiata” con la decapitazione. La fucilazione era prevista quando la condanna veniva inflitta da una Commissione militare, o dai Consigli di guerra24 nei casi stabiliti dallo Statuto penale militare25. Codice per lo Regno delle Due Sicilie, parte seconda - Leggi Penali, art. 2. Di questa pena parleremo a proposito dei reati degli Avvocati (in particolare patto di quota lite e infedele patrocinio). 23 “La migliore legislazione è quella che permette di misurare la pena con la gravità del reato in ciascun caso particolare: senza di che non si perverrà a realizzare il principio dell’equità, poiché anche trattandosi di un reato identico, spesso i gradi di colpabilità sono diversi”. In Rivista di legislazione di Valouriske, vol. IV, p. 97 sgg. Citato in Trattato del Codice Penale di Adolfo Chauveau, Avvocato ai Consigli del Re ed alla Corte di Cassazione del Belgio, Trattato di diritto penale comparato, Edizione Italiana eseguita nello Studio dell’Avvocato Leopoldo Tarantini, Napoli. Dallo stabilimento dell’antologia legale di Domenico Capasso. Strada S. Sebastiano, n. 51, nel Cortile dei R.R.P.P. Gesuiti, I° Piano. 1853, vol. I°. Il criterio di tripartizione entrò nei sistemi penali italici permanendovi fino al Codice Zanardelli che opterà per il sistema bipartito. 24 Codice per lo Regno delle Due Sicilie, parte seconda - Leggi Penali, articoli 4 e 5. 25 Secondo P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli, Edizioni S.a.r.a. 1992, p. 539, il codice militare comprendeva molti pregi ma anche molti errori delle antiche istituzioni; tra i più gravi quello di non separare lo stato di guerra da quello di pace, e di ampliare la giurisdizione dei Tribunali Militari (le infrazioni ai doveri costituivano differenti delitti secondo che il soldato è in pace o in guerra e l’allargamento della giurisdizione militare separava la milizia dallo stato civile: “competono ai Tribunali Militari pochi giudizi nello stato di pace, tutti in quello di guerra, essendo carattere di competenza nella pace il delitto, nella guerra il delinquente”). 21 22

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Vi erano casi, normativamente previsti, nei quali la pena di morte doveva essere espiata con speciali modi di pubblico esempio, secondo i seguenti “gradi”: 1° esecuzione della pena nel luogo del commesso misfatto, o in un luogo vicino; 2° trasporto del condannato nel luogo della esecuzione a piedi nudi, vestito di giallo, con un cartello sul petto indicante, a lettere cubitali, il misfatto; 3° trasporto del condannato sul luogo della esecuzione a piedi nudi, vestito di nero, e con un velo nero che gli ricopra il volto; 4° trasporto del condannato sul luogo della esecuzione a piedi nudi, vestito di nero, con velo nero che gli ricopra il volto, e trascinato su di una tavola con piccole ruote al di sotto, e con cartello in petto in cui sia scritto a lettere cubitali: l’uomo empio26. Il codice francese, Legge su i delitti e sulle pene del 20 maggio 1808, n. 143, già commentato innanzi, all’art. 49 prescriveva per la esecuzione della pena di morte: “La morte si dà colla decapitazione. La morte esemplare si dà colla forca, si dà colla veste d’infamia, di cui si copre il reo prima dell’esecuzione, si dà col monumento dell’infamia perenne”. Quest’ultima modalità (di cui è rimasto esempio, in altra antica legislazione, la “colonna infame” come in precedenza pure ricordato) non venne riproposta nel codice napoletano. Per fare qualche riferimento alle nuove previsioni normative, era punito con la pena di morte e col terzo grado di pubblico esempio, costituendo “misfatto di lesa Maestà”, “l’attentato o la cospirazione che abbia per oggetto o di distruggere o di cambiare il Governo, o di eccitare i sudditi e gli abitanti del regno ad armarsi contro l’autorità reale”27; era punito con la morte, col terzo grado di pubblico esempio, il parricidio28; il furto accompagnato da omicidio consumato, o Codice per lo Regno delle Due Sicilie, parte seconda - Leggi Penali, art. 6. Libro II, Titolo II, Capitolo II – Dei reati contra la sicurezza interna dello Stato – Sezione I – De’ reati contro la sacra persona del Re, e la famiglia reale, art. 123. 28 Libro II, Titolo VIII – De’ reati contro i particolari - Capitolo I - De’ reati contro gl’individui – Sezione I – Degli omicidi volontari, art. 352. 26 27

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da ferita o percossa che costituisca l’omicidio mancato, era punito con la morte eseguita col laccio sulle forche29. La norma incriminatrice stabiliva la specie di pena e il suo grado; il giudice determinava in concreto la pena discrezionalmente, determinando lo scorrimento lungo uno o più gradi, anche in relazione al sistema delle circostanze cui facevano riferimento i gradi della pena. La graduazione delle pene, come vedremo in seguito era contenuta negli articoli da 55 a 59 delle Leggi Penali.

Libro II, Titolo VIII, Capitolo II – De’ reati contro alle proprietà – Sezione I, § II, De’ furti qualificati. 29

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Un’altra giustizia Approdo ineludibile di DANILO DI SERIO* Si è svolto a Rimini dal 14 al 16 ottobre 2011 il Congresso Straordinario organizzato dall’Unione delle Camere Penali Italiane. Il congresso ha rappresentato occasione di riflessione collettiva sullo stato in cui versa l’avvocatura penalistica in Italia. Mai un congresso delle Camere Penali è stato caratterizzato così tanto, come quello appena concluso, dalla particolare situazione storico-politica-economica che il nostro Paese sta vivendo. La delicatezza del momento storico ha trovato riscontro nella massiccia adesione delle Camere Penali territoriali le quali vi hanno partecipato in larga misura e con ampie rappresentanze (tra le quali è spiccata proprio quella brindisina che ha visto la partecipazione di ben 14 componenti cui si è aggiunto il presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi avv. Carlo Panzuti). In un contesto storico in cui la magistratura ha, in più occasioni, tracimato dai suoi confini invadendo in maniera imbarazzante il ruolo della difesa, la figura dell’avvocato penalista assume ancor più rilievo quale unica ed ultima forma di garanzia per l’imputato nel panorama giudiziario così tormentato. Tre sono stati gli argomenti che hanno caratterizzato il Congresso: 1) la situazione politica ed i rapporti avvocatura-magistratura nella prospettiva di una riforma costituzionale della Giustizia; 2) la specializzazione profesAvvocato del Foro di Brindisi. Componente del Direttivo della Camera Penale “O. Melpignano” di Brindisi. *

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sionale; 3) il problema delle carceri in Italia. Nel campo della Giustizia il lavoro della legislatura (al momento della stesura del presente è già in carica il nuovo governo) è apparsa a dir poco disomogenea, combattuta tra una pressante richiesta di legalità “tamponata” con il continuo ricorso a decretazione d’urgenza e da interventi legati alla riforma di istituti processuali rivolti più alla soluzione di specifiche vicende processuali che alla reale risoluzione di problematiche di carattere generale. Del resto, come è ampiamente noto, le continue polemiche politiche e parlamentari vedono la “questione giustizia” troppo spesso identificata, per via diretta o indiretta, nelle vicende giudiziarie del presidente del Consiglio. Quello che però sfugge alla politica è che la questione giustizia assume un significato assai diverso per chi, come gli avvocati penalisti, è quotidianamente a contatto con il vero volto del sistema penale italiano. Mentre il sistema giustizia avrebbe bisogno di un giudice veramente terzo e, contestualmente, di un riequilibrio del processo contrassegnato, oggi, da una preponderanza del potere del P.M., in Parlamento giacciono da tempo immemore proposte di riforma tese a ridisegnare le modalità di acquisizione probatoria e di circolazione della prova. Quello che è sicuramente peggiorato negli anni è il diritto di difesa inteso quale violazione delle libertà nell’esercizio dell’attività difensiva. Proprio a Rimini, dove si è svolto il Congresso, la locale Camera Penale ha segnalato l’apertura di alcuni procedimenti a carico di avvocati che “in alcuni casi appaiono inaccettabili forme di sindacato dell’attività professionale dell’Avvocato da parte della componente naturale” (delibera Camera Penale di Rimini del 29 giugno 2011), iscritti nel registro degli indagati per il reato di infedele patrocinio rei di aver patteggiato, in opposizione ad un decreto di condanna, una pena più alta rispetto a quella emessa dal Giudice nel decreto opposto (senza considerare il fatto che con l’atto di patteggiamento i colleghi avevano richiesto ed ottenuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, beneficio non concesso dal GIP). L’ingerenQuaderni

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za della magistratura inquirente nelle libertà di esercizio dell’attività difensiva è apparsa ancor più eclatante in altri casi giudiziari caratterizzati dalla prassi ormai consolidata delle procure di inserire stralci di conversazioni telefoniche intercettate tra gli avvocati ed i propri assistiti e di utilizzarne i contenuti ai fini indagatori in totale elusione del precetto legislativo della inviolabilità delle conversazioni tra difensore e difeso. Tale situazione è oramai divenuta insostenibile per l’avvocatura penalista la quale ha nuovamente concentrato l’attenzione su quello che è uno dei cavalli di battaglia dell’Unione ossia la separazione delle carriere, vale a dire la distinzione tra gli organi di governo autonomo della magistratura giudicante e requirente attraverso lo sdoppiamento del CSM, a garanzia dell’indipendenza dell’ufficio del P.M., con il mantenimento dell’obbligatorietà dell’azione penale e del controllo della p.g. La proposta di riforma, da sempre furoreggiata dall’Unione delle Camere Penali Italiane, si scontra con la perenne opposizione dell’ANM che la osteggia con il consueto refrain in ordine al pericolo di perdita della cultura della giurisdizione da parte del PM che passerebbe ineludibilmente sotto il controllo dell’esecutivo. In realtà, abbandonando le logiche di parte, la separazione delle carriere costituirebbe un serio passo in avanti verso il conseguimento del vero sistema accusatorio tanto declamato da tutti gli operatori del diritto ma mai realmente concretizzato. Desta ancor più sorpresa che il primo magistrato a sostenere la separazione delle carriere fu il P.M. Giovanni Falcone che, con una lungimiranza inconsueta, nel lontano 1991 così si esprimeva sul tema “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un Pubblico Ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si

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staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo. È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm con questioni istituzionali totalmente distinte”. La discussione su tale argomento ha avuto il suo “ineludibile approdo” nel convincimento che l’unica via per affrontare l’argomento è, allora, quella di porre seriamente mano ad una riforma che liberi la giurisdizione dal soffocante abbraccio della pretesa punitiva rappresentata dall’unicità delle carriere e che restituisca al Paese una magistratura finalmente libera dal potere politico. Altro argomento all’ordine del giorno è stato quello della specializzazione. La specializzazione rappresenta, per ogni categoria di avvocati e per quello penalista in particolare, una scelta irrinunciabile, perché la qualificazione del difensore è essenziale alla qualità del processo. Un avvocato forte, tecnicamente attrezzato e preparato è, al pari di un giudice terzo, presupposto necessario del giusto processo. L’Unione delle Camere Penali ha operato, sin dal Congresso di Genova del 2010 una scelta impopolare all’interno dell’avvocatura che, tuttavia, mira alla salvaguardia dell’avvocato penalista attraverso il contrasto del generale stato di degrado della qualità e dell’autorevolezza dell’avvocatura. Un avvocato specializzato è una garanzia per tutto il sistema giudiziario e, soprattutto, per chi potrebbe, senza rimedio alcuno, pagare le conseguenze dell’improvvisazione che troppo spesso caratterizzano la nostra professione garantendo, al contrario, attraverso una formazione continua e sempre più dettagliata, un’adeguata tutela alla libertà personale dei cittadini. Valido Quaderni

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alleato in questa battaglia è stato il CNF che approvando il regolamento sulla specializzazione ha introdotto un’innovazione ormai ineludibile. Anche su questo argomento l’Unione deve scontrarsi con forze intestine all’avvocatura contrarie a tale riforma che mirano alla conservazione di un avvocato generalista, tuttologo, dequalificato strizzando strumentalmente l’occhio ai giovani colleghi e fingendo di ignorare che la qualificazione e la specializzazione professionale sono, proprio per i più giovani, forse l’unica opportunità di ingresso e di affermazione nell’ormai sovraffollato mondo dell’avvocatura. Altro tema di grande rilevanza è stato quello delle carceri. In Italia oggi le carceri scoppiano e non solo in senso metaforico. La popolazione carceraria è, allo stato attuale, di oltre 66.000 detenuti, a fronte di una capacità di quasi 44.000. Di questi il 42% dei detenuti è sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, un dato di quasi tre volte superiore a quello francese e del Regno Unito. Persone che sono private della propria libertà personale senza un processo e senza una condanna, parcheggiate in attesa di una giusto (si spera) processo. Già dopo il Congresso di Palermo del settembre 2010 la Giunta UCPI aveva istituito una nuova commissione dedicata alla carcerazione speciale ed ai diritti umani. Tale scelta ha trovato riscontro nel convegno di Sarzana (SP) del 15-16 aprile 2011 su carcere e costituzione. L’aumento dei detenuti sottoposti al 41 bis, il numero impressionante delle morti in carcere ed il dramma del sovraffollamento impongono di elevare la quantità e la qualità delle iniziative volte al monitoraggio del problema carceri in Italia. E ciò anche alla luce delle numerose decisioni della Corte Europea per i diritti dell’Uomo che si è pronunciata più volte contro il trattamento inumano e degradante patito dai detenuti nella carceri italiane. Vanno stimolate ed elogiate le prime pronunce dei magistrati di sorveglianza italiani che cominciano a condannare l’amministrazione penitenziaria al risarcimento per i danni patiti dai detenuti come conseguenza del sovraffollamento (primo fra tutti il Tribunale di Sorve-

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glianza di Lecce). Ciò è importante proprio perché stabilisce che si può ottenere giustizia senza dover ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. A fronte di tale contesto l’UCPI ha confermato il suo impegno nella individuazione di specifiche iniziative contro il sovraffollamento che valorizzino il ricorso al Giudice di Sorveglianza quale garante dei diritti dei detenuti. Per dare maggiore pregnanza alle battaglie intraprese e da intraprendersi la Giunta dell’UCPI, con provvedimento del 24 ottobre 2011, ha deliberato l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per i giorni 14, 15, 16, 17 e 18 novembre 2011 nel rispetto della normativa di legge in materia e del codice di autoregolamentazione. Le motivazioni alla base di tale provvedimento derivano dai pesanti attacchi subiti dalla funzione difensiva con i quali si cerca di intimorire e di screditare i difensori e, con loro, il diritto di difesa previsto e garantito dalla Costituzione; tra le più gravi e frequenti si segnalano: la consuetudine di ritardare l’iscrizione nel registro degli indagati di persone sottoposte ad indagini e fortemente indiziate di reato, al fine di escutere la stessa senza l’ausilio del difensore; della distorta prassi di ascoltare, trascrivere, ed utilizzare anche ai fini di quella stessa indagine le conversazioni tra difensore e proprio assistito, giungendo, in alcuni casi, alla trascrizione di tali conversazioni negli atti di polizia giudiziaria; dalla mancata presa di posizione dell’ANM su tali comportamenti illeciti posti in essere dai pubblici ministeri prima ed avallati dai giudici per le indagini preliminari, dopo; dalla “sordità” della politica verso una più volte invocata riforma dell’art. 103 c.p.p. che, se approvata, porrebbe fine a tali prassi. Nella considerazione che da tempo l’avvocatura ha responsabilmente ed unitariamente proposto al Legislatore un disegno di legge di riforma, volto a modernizzare la professione forense, innalzando a pilastri della riforma il rinnovamento delle strutture ordinistiche, l’accesso alla professione fondato sul merito, l’effettività del controllo disciplinare e la sempre più indispensabile specializzazione. Quaderni

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A.I.G.A. Brindisi: il congresso di Catania XXI Congresso Nazionale Associazione Italiana Giovani Avvocati “Generazione legalità” di ALESSANDRA GALETTA* È a Catania che l’AIGA (Associazione Italiana Giovani Avvocati), si è data appuntamento, dal 20 al 23 ottobre 2011, per il suo XXI° Congresso Nazionale al fine di dibattere sui problemi del sistema giustizia in Italia e, contestualmente, per l’elezione del suo nuovo presidente. Il congresso, intitolato “Generazione Legalità”, ha visto le tre giornate di lavori focalizzarsi sui temi della legalità, della giustizia e del ruolo dell’Avvocatura,“cerniera tra Stato e cittadino”. Numerosi ed autorevoli sono stati i rappresentanti del mondo politico-istituzionale, della magistratura, dell’industria e delle professioni che hanno dato voce e forma a questa convention. L’attività congressuale della prima delle tre sessioni, intitolata “Un popolo che rinneghi i valori della Legalità, condanna se stesso al declino socio-economico”, ha fatto da spartiacque al tema nella convinzione che, nel nostro Paese, il rispetto delle regole giuridiche e morali, da tempo, attraversa una forte crisi. E questo, oltre a costituire una zavorra per lo sviluppo economico, sociale e civile, mina anche la semplice convivenza tra cittadini generando, per di più, uno stato di insicurezza e di continua emergenza. Dagli autorevoli interventi programmati – in questa prima sessione – dei prof. avv. Guido Alpa presidente CNF, avv. Ettore Randazzo, dott. Giuseppe Maria Berruti consigliere di Cassazione, Avvocato del Foro di Brindisi. Consigliere AIGA Brindisi.

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dott. Armando Spataro sostituto procuratore c/o Procura della Repubblica Tribunale di Milano, dott. Alfio Finocchiaro vice presidente della Corte Costituzionale, si è evinto che nessuna riforma potrà essere in grado di risolvere compiutamente il problema se, a questa, non si accompagnerà una rinascita valoriale. Commozione hanno suscitato, poi, le parole della prof.ssa Maria Falcone, che ha ricordato come per il fratello Giovanni e per Paolo Borsellino il valore della legalità fosse il solo per il quale valesse la pena non solo di vivere, ma anche di morire. L’Avvocatura, considerandosi soggetto essenziale della giurisdizione, chiede oggi di essere maggiormente coinvolta sia nelle scelte organizzative e valutative del sistema giudiziario, che nel percorso di realizzazione del “giusto processo” all’interno di uno Stato di diritto fondato sul principio di separazione dei poteri. “Un Paese senza una Giustizia efficiente, genera maggiore illegalità ed insicurezza”: su questa tematica è stata incentrata tutta la sessione pomeridiana del congresso e, precipuamente, su quel rapporto equilibrato tra la cultura della legalità ed il servizio giustizia. Molti gli interventi programmati, tra i quali quelli dei prof. avv. Modestino Acone ordinario di diritto processuale civile Università Federico II, sen. Filippo Berselli presidente Commissione Giustizia, dott. Michele Corradino consigliere di Stato, dott. Mariano Sciacca Consiglio Superiore della Magistratura, dott.ssa Silvia Giacomelli Area Ricerca Economica Banca d’Italia e dott. Luca Palamara presidente ANM, che, da ultimo, in sintonia con il dott. Armando Spataro, ha auspicato un “patto per la giustizia” tra magistrati e avvocati, operatori del diritto “accumunati dallo stesso avvilimento”. I giovani avvocati, pur non essendo responsabili dell’attuale condizione emergenziale in cui vive il Paese, sentono il peso di una sfida che richiede un radicale ripensamento degli standard qualitativi e morali necessari per l’esercizio di una professione forense orientata in una prospettiva europea. Da più parti, a questo proposito, si è alzaQuaderni

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to un monito volto a spronare i giovani a pensare un nuovo modello di governance della categoria. Sull’apporto dell’Avvocatura per una giurisdizione più efficiente e sul tema della riforma dell’ordinamento professionale forense hanno dibattuto, nella terza sessione intitolata appunto “Un Paese senza una Avvocatura consapevolmente responsabile della propria funzione di cerniera tra Stato e Cittadino, si emargina dal progresso civile”, gli avv. Alberto Bagnoli presidente Cassa di Previdenza e Assistenza Forense, avv. Maurizio Magnano di San Lio presidente Ordine Avvocati di Catania, avv. Milena Pini presidente AIAF, sen. Guido Calvi Consiglio Superiore della Magistratura, avv. Giuseppe Sileci presidente AIGA, avv. Maurizio De Tilla presidente OUA, avv. Renzo Menoni presidente UNCC, avv. Valerio Spigarelli presidente UCPI, avv. Filiberto Palumbo Consiglio Superiore della Magistratura, avv. Carlo Vermiglio vice presidente CNF. In ultimo, come da programma, la sessione congressuale interna dell’AIGA, con la discussione e approvazione delle modifiche statutarie e il focus previdenziale, è stata introdotta dal Presidente AIGA uscente, avv. Giuseppe Sileci, il quale, nel suo intervento di commiato, si rivolge commosso alla platea degli under quarantacinque con un monito ed un auspicio: “Alle giovani generazioni, a noi stessi, dobbiamo richiedere quella genuina passione civica che potrà metterci al riparo dagli errori dei nostri padri, ai quali rimproveriamo di averci consegnato una società diseguale ed iniqua, nella quale la fascia degli infra-quarantacinquenni vive il disagio della precarietà e l’insicurezza del proprio futuro. E il titolo del nostro congresso, “Generazione legalità” – aggiunge Sileci – nasce da questa consapevolezza, ma anche dalla certezza che è una comunità in cui regna la giustizia quella in cui ogni individuo sa quali sono i propri diritti, ma non ignora i corrispondenti doveri”. E l’occasione di questo congresso, potrebbe sembrare non solo un caso: il 7 giugno 2011, infatti, l’AIGA, che riunisce l’avvocatuQuaderni

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ra under 45, ha compiuto 45 anni: paradossalmente “l’Associazione dei giovani” è diventata adulta. Pur non volendo perdere le proprie caratteristiche di base, inizia, da ora, per l’AIGA, una seconda giovinezza con lo slancio dei giovani e la consapevolezza della maturità. Sostanzialmente ciò che è emerso da questo dibattito è la necessità di recuperare il ruolo, svilito negli anni, dell’Avvocatura che deve ritornare ad assumere rigore, prestigio, autorevolezza, serietà e dunque credibilità. All’avvocatura più giovane è affidato, il compito di spingere per un cambiamento radicale della politica forense e per fare ciò dovrà riprendere ad esprimere con vigore idee originali, passione ed etica. Una nuova “generazione”, quindi, quella stessa che domenica 23 ottobre ha eletto con il 75% di preferenze il suo nuovo presidente, l’avv. Dario Greco: quarant’anni, palermitano, iscritto al sindacato dei legali under quarantacinque dal 1995. Il nuovo presidente è iscritto al Foro di Palermo ed è già stato coordinatore dell’Area Sud dell’AIGA nello scorso mandato presidenziale. Lo stesso si è dichiarato pronto a cimentarsi con le sfide più urgenti per la categoria, dalle liberalizzazioni alla riforma dell’ordinamento forense, dalla conquista di più ampi spazi di mercato per l’Avvocatura all’impegno per sostenere la crescita economica dei professionisti, nell’attuale stagione di crisi finanziaria. I macro obiettivi che Greco intende perseguire sono, quindi, quelli di garantire un ricambio generazionale in tutti i settori della professione legale, favorendo anche l’affermazione delle donne avvocato; restituire centralità alla Giurisdizione entro la quale si esprime il ruolo imprescindibile dell’Avvocatura; guardare l’AIGA come nuovo soggetto della politica forense ponendo il problema della rappresentanza della categoria il cui leader, si auspica, sia realmente espressione della “base” e i vertici più “democratici”, ma anche più giovani.E per aspirare ad una Avvocatura nuova che sia protagonista del proprio futuro, occorrerà colloquiare anche con la Cassa Forense per eliminare l’attuale sbarramento anagrafico nell’elettorato passi-

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vo chiedendo la modifica del regolamento della stessa per la parte in cui prevede un’anzianità di almeno dieci anni per aspirare alla presidenza”. Nel programma di Greco non manca, poi, il “compromesso” con le liberalizzazioni che, secondo lui, non vanno demonizzate a priori. “È necessario confrontarsi con il mercato, accettando le società di capitali, ma senza il socio di capitale. Una maggiore apertura” – aggiunge – “ci consentirebbe di beneficiare anche degli ammortizzatori sociali e degli incentivi fiscali”. Definiti gli obiettivi, sarà quindi necessario stabilire le strategie per il loro perseguimento: coraggio e passione saranno, secondo Greco, le spinte propulsive per farcela perché, come gli piace ricordare, “l’AIGA ti entra nel sangue, circola nelle vene, passa dalla testa, ma alla fine si ferma nel cuore”. Il palermitano Greco succede, quindi, al catanese Sileci che lascia la presidenza dopo tre anni di un lavoro “matto e disperatissimo” che gli ha consentito di raggiungere traguardi importanti per i giovani legali, ma che gli ha lasciato l’amarezza per non essere riuscito a realizzare il nuovo Statuto. “Abbiamo vinto due battaglie importanti che si sono tradotte in altrettanti disegni di legge – dice Giuseppe Sileci – il primo riguarda la competenza sulle scritture private, l’altro contiene le modifiche dell’attuale legge sul gratuito patrocinio necessarie per correggere gli abusi che portano l’avvocato d’ufficio a incassare dopo anni il pagamento dello Stato. Il rimpianto” – aggiunge Sileci – “è per le tante energie spese su una riforma che non arriva. L’augurio per il futuro è quello di avere una “giunta rosa” e magari anche un presidente donna”. Per il momento, però, l’unica donna aspirante al ruolo in questa tornata elettorale, l’avv. Maria Paola Mastropieri, ha ritirato la sua candidatura a poche ore dal voto. Al congresso nazionale AIGA di Catania, molto partecipato e, in certi momenti, anche emozionante, ha preso parte anche una delegazione di dodici avvocati della sezione di Brindisi composta dagli avQuaderni

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vocati Domenico Attanasi (presidente di Sezione), Stefano Morgese (consigliere nazionale), Ladislao Massari (consigliere nazionale), Roberto Cavalera (consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi), Riccardo Mele (vice presidente di sezione), Nadia Albanese (consigliere segretario di sezione), Antonello Denuzzo (consigliere di sezione), Alessandra Galetta (consigliere di sezione), Stefania Ester Spina (consigliere di sezione), Maria Grazia Fasanella, Federico Balsamo e Piergiorgio Garganese. Al presidente uscente, l’avv. Giuseppe Sileci, l’AIGA di Brindisi rivolge il più sentito ringraziamento per il lavoro svolto con competenza, dedizione e passione alla guida dell’Associazione; al neoeletto presidente Dario Greco vanno, invece, le più vive congratulazioni e l’augurio di un proficuo lavoro alla guida del prestigioso sodalizio.

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Giuseppe Attolini di AUGUSTO CONTE

Nelle aule delle udienze penali del nostro Tribunale si avverte il vuoto lasciato da Pino Attolini, la cui quotidiana presenza costituiva il segno della continuità storica della migliore tradizione forense nei nostri Uffici Giudiziari. Pino era al centro di ogni discussione, punto di riferimento di tutta l’Avvocatura non solo per le Sue qualità ed esperienze professionali di Avvocato di lungo corso, ma anche per le Sue doti di simpatia, per la sua “verve”; la sua memoria costituiva una miniera di fatti legati alla vita forense, da cui si estraevano elementi di conoscenza non solo godibili e affascinanti, ma utili per l’esercizio, nel senso più ampio, della professione. Subito dopo l’iscrizione nel Registro dei Praticanti (Presidente del Consiglio dell’Ordine l’Avv. Antonio Caiulo) nel 1952, superato l’esame per procuratore legale e iscritto nell’Albo dell’Ordine di Brindisi alla fine dell’anno successivo, si avvicinò, assecondando la Sua natura, la Sua vocazione e la Sua inclinazione, al campo penale, invadendolo con la Sua esuberanza, agevolato da una naturale faQuaderni

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condia, dalla scioltezza del linguaggio, dalla profondità del pensiero, dalla preparazione giuridica. Si pose in breve tempo, suscitando la attenzione del pubblico, dei Colleghi e dei Magistrati, nel novero dei penalisti della Provincia, rivelando la sua natura di “penalista di razza”. Ogni Sua difesa, eccellente sotto l’aspetto dell’eloquenza, della tecnica e della logica giuridica, era il frutto dell’approfondito studio del processo, nei suoi aspetti di fatto e di diritto, e della “esplorazione” dell’animo e delle caratteristiche umane della persona assistita. Per la sua lunga esperienza di vita forense, per la quale mi onoro di averlo insignito della Toga d’Oro per i cinquanta anni di professione, Pino ha vissuto la evoluzione della attività penalistica, passando dalla difesa “passionale”, quando si avvertiva “il profumo dell’eloquio e dell’oratoria dell’Avvocato”, (sono Sue parole) specie nei processi indiziari (in occasione di delitti che in passato venivano definiti delitti “per giusto dolore”), al rigoroso approfondimento tecnico richiesto dalle nuove regole processuali specie nell’ambito della acquisizione della prova penale, e adeguando e modellando, per la Sua naturale predisposizione alla difesa, moderni criteri difensivi alle nuove esigenze processuali. Per molti anni, per l’indiscutibile prestigio che riscuoteva nel Foro, è stato Presidente della Camera Penale di Brindisi, dando lustro alla Associazione. Nell’ambito della formazione e aggiornamento professionale il Consiglio dell’Ordine inserì la trattazione del processo dinanzi alla Corte di Assise, come argomento di procedura penale e al contempo di deontologia del penalista. Pensai a due Maestri, un Magistrato e un Avvocato, come relatori, indicando il dott. Umberto Pagano, già Primo Presidente della Corte di Appello di Lecce, e per quindici anni Presidente di Corti di Assise di primo e di secondo grado, per cinque anni Presidente della Prima Sezione Penale del Tribunale di Brindisi, e, ovviamente, all’Avv.

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Giuseppe Attolini che per anni aveva affrontato processi dinanzi alle Corti di Assise del Distretto. Usai ogni forma di “pressione” per convincere Pino a partecipare all’incontro, al quale intendeva sottrarsi facendomi anche intendere che avvertiva stanchezza fisica per ragioni di salute; alla fine cedette a quella che nel corso dell’incontro definì la mia “garbata prepotenza” e l’evento formativo si tenne l’8 maggio 2009. Non mi pentii dell’insistenza usata, anche se ero preso da scrupolo e preoccupazione; soprattutto non si pentì l’Avv. Attolini che comprese il senso dell’invito dopo che io, velatamente prima a Pino e pubblicamente poi, spiegai ai Colleghi intervenuti che l’incontro, oltre ad avere un significato di aggiornamento tecnico (posi i quesiti: ha più senso oggi l’istituto della Corte di Assise, con il giudizio diretto del “Popolo Italiano”, potendo un solo giudice come il GUP infliggere, come è avvenuto, la pena dell’ergastolo? È possibile prescindere dalla motivazione delle sentenze, ragione per la quale furono abolite le giurie e introdotta la Corte di Assise in composizione mista come è attualmente, e costituente oltre a un obbligo costituzionale un fatto culturale?) oltre che deontologico, aveva la finalità di manifestazione “celebrativa” di due esistenze professionali dalle quali gli Avvocati, soprattutto i giovani, potevano trarre un insegnamento di etica di vita e di professione e della memoria storica non solo della istituzione di un organo giudicante, che per comune parere del Magistrato e dell’Avvocato costituisce il sogno dopo il primo esame universitario di penale e di procedura penale, ma anche della Corte di Assise nel nostro territorio. Disse Pino, come traggo dalla registrazione degli interventi, che la Corte di Assise rappresentava (rappresenta tuttora?) l’aspettativa perché da giovani studenti “avevamo bisogno, sentivamo la necessità perché sapevamo, ove avessimo avuto la ventura o la fortuna di trovare fiducia in un uomo che avesse a noi affidato la sua vita, di dover rispondere nel modo migliore e nel modo più aderente al momento”. Quaderni

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L’Avv. Attolini lasciò questo messaggio simbolico (non come vuota retorica, ma quale espressione della reale vita di un vero Avvocato): “Bisogna servirla con passione, con sacrificio la Toga. Col tempo non è ingrata, paga il suo debito. E nei momenti difficili della vita, nelle procelle dello spirito e dei sentimenti, è il tessuto morbido e caldo, come carezza di sposa, che ti asciuga le lacrime”. È toccato a me, con mio turbamento d’animo e sacrificio fisico, in rappresentanza dell’Avvocatura, dare l’ultimo saluto a Pino il 22 gennaio 2010.

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Umberto Pagano di AUGUSTO CONTE

QUADERNI compie una eccezione alla “regola” di questa rubrica, riservata alla memoria di Avvocati del foro di Brindisi, per ricordare Umberto Pagano, Magistrato, che per cinque anni, dal 1984 al 1989, è stato Presidente della Prima Sezione Penale del Tribunale di Brindisi, per poi assumere l’incarico di Primo Presidente della Corte di Appello di Lecce, il 10 gennaio 2000, mantenuto fino al pensionamento nel 2008, e svolto con equilibrio e saggezza. Pagano, prima ancora di essere un eccellente Magistrato, era un “signore” nel portamento e nell’animo, e riversava la Sua signorilità nella funzione di Magistrato. La competenza, la finezza giuridica, l’“arte” del giudicare erano la naturale espressione della ricchezza della Sua umanità. La sua capacità di applicazione al lavoro e la spontanea inclinazione all’esercizio della giurisdizione, gli consentirono di smaltire un pesante arretrato: in una sola udienza, oltre ad altri processi, trattò cinque procedimenti con imputazioni di omicidio colposo, portandone quattro a sentenza, e rinviando il quinto per soddisfare l’esigenza di un difensore di approfondimento e preparazione della discussione. Come Presidente della Corte di Appello di Lecce chiese l’impegno di Avvocati e Magistrati, di approntare per il Distretto le tabelle di liquidazione del danno biologico; lo studio prese l’avvìo presso l’Ordine degli Avvocati di Brindisi, con la partecipazione, a diverQuaderni

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se riunioni, di Colleghi e Magistrati del Distretto e la approvazione delle tabelle (ancora in uso nelle linee guida e nei parametri di valutazione, aggiornati) avvenne, sotto la Sua Presidenza, il 20 dicembre 2001, dopo avere preso visione degli elaborati e ascoltate le relazioni mie, dei delegati degli Ordini di Lecce e di Taranto, e dei Magistrati (tra questi avevano dato un notevole contributo il dott. Guida, la dott.ssa Palazzo, il dott. Cigna, il dott. Positano). Nel corso della Sua “carriera” di Magistrato aveva presieduto per quindici anni le Corti di Assise di primo e di secondo grado. Per cui mi parve naturale, nell’ambito della formazione e aggiornamento professionale, nel trattare il processo penale dinanzi alla Corte di Assise, come argomento di procedura penale e di deontologia del penalista, l’8 maggio 2009, di affiancare a un Avvocato penalista quale l’Avv. Giuseppe Attolini, un Magistrato, e invitai Umberto Pagano. Nell’introduzione alla relazione, arricchita da notizie storiche e da riferimenti a esperienze professionali, da Lui stesso integrata e corretta, come ho potuto rileggere nelle trascrizioni, mi ringraziò per la simpatia e l’affetto che, a nome dell’Avvocatura del Circondario, gli avevo manifestato e disse: “È sempre presente il mio ricordo per la Città di Brindisi ed alla perfezione ho memorizzato le parole che l’Avv. Augusto Conte ha scritto e voluto imprimere sulla targa-ricordo consegnatami l’anno scorso in occasione del mio pensionamento; essa fa parte del mio patrimonio personale cui tengo al di là degli stessi encomi professionali ricevuti lungo i cinquanta anni di servizio in Magistratura”. Avevo semplicemente scritto, d’intesa con i Colleghi del Consiglio, e specie di chi lo aveva incontrato nel corso dell’attività professionale, che Pagano, nell’esercizio delle Sue funzioni, non solo aveva onorato la Magistratura, mantenendone alto il prestigio, ma aveva esaltato e valorizzato, nobilitandola, la funzione difensiva e garantito i diritti della difesa.

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In realtà nel corso dei processi (ancora con il “vecchio rito”) ascoltava attentamente gli interventi dei difensori, di ogni parte, e il risultato della considerazione per il contributo fornito dagli Avvocati si rilevava non solo nella motivazione delle decisioni, ma si percepiva già dalla stesura del dispositivo delle sentenze. Il rispetto non era solo riservato alla funzione difensiva, ma si estendeva anche alla persona dei professionisti: più di una volta gli avevo “rimproverato” (lo feci anche al corso di formazione per meglio sottolineare a chi non lo aveva conosciuto le qualità del Presidente Pagano) di non avermi mai dato la possibilità, negli incontri casuali nelle scale o nei corridoi del Tribunale, di salutarlo per primo. Non posso celare una commossa nota di personale memoria per Umberto Pagano, che ci ha improvvisamente lasciato la scorsa estate, che mi ricordava di avere celebrato il primo processo come Presidente della Prima Sezione Penale del Tribunale di Brindisi quando ero impegnato come difensore in quel processo.

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE TIZIANA CARRUBBA, BRUNO CHERCHI, MICHELE CONSIGLIO, ANTONIO MURA, ETTORE RANDAZZO, VALERIO SPIGARELLI, Giudice, Difensore e P.M. in aula, Giuffré Editore, Milano 2010. di Augusto Conte Ettore Randazzo, per la Collana di DIRITTO E PROCEDURA PENALE OGGI, diretta da Fausto Giunta e Enrico Marzaduri ha curato un pregevole lavoro sulle “Strategie e tecniche del processo” al quale hanno collaborato, ciascuno in funzione della propria attività professionale, Magistrati, giudicanti e dell’Ufficio di Procura, e Avvocati. Il lavoro è diviso in tre parti, il Pubblico Ministero, il Difensore, il Giudice; della prima parte si sono occupati Bruno Cherchi, Sostituto Procuratore Generale di Corte di Appello (il Pubblico Ministero nel procedimento) e Antonio Mura, Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione (il Pubblico Ministero nel processo). Del difensore nel procedimento e nell’udienza preliminare e nei riti alternativi si occupa lo stesso Ettore Randazzo; all’Avv. Valerio Spigarelli è affidata la trattazione del difensore nel dibattimento.

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

La terza parte è divisa tra Tiziana Carrubba, GIP e GUP, che tratta le due funzioni nell’udienza preliminare e nei riti alternativi e Michele Consiglio Giudice di Tribunale Penale, che delinea il ruolo del giudice nel processo. L’opera costituisce uno “strumento” valido e indispensabile per il lavoro delle tre professioni legali e proprio per questo e per le figure professionali che vi hanno lavorato, indicando i comportamenti più corretti di ciascuna figura professionale, costituisce una pubblicazione che ha la dote della originalità. Come è chiarito nella “chiacchierata” iniziale sul processo di Ettore Randazzo, viene segnalato al lettore che l’iniziativa è il “frutto non soltanto di esperienze dirette e ben meditate, ma anche di un rigoroso confronto con i relativi canoni deontologici”. In realtà il valore tecnico e deontologico dell’opera nell’indicazione dei comportamenti strategici ed etici si coglie immediatamente anche solo sfogliando il testo ed è confermato dai richiami normativi e giurisprudenziali oltre che delle regole deontologiche attinenti alle funzioni di giudice, avvocato e P.M. La pubblicazione è corredata di una Appendice in cui sono pubblicati i Codici Deontologici di ciascun protagonista del processo.

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

VINCENZO GAROFOLI – GIANMICHELE PAVONE, La Tutela della sicurezza pubblica tra priorità italiane e rapporti internazionali, Giuffré Editore, Milano 2011. di Augusto Conte L’opera di Vincenzo Garofoli e Gianmichele Pavone, con finalità scientifiche di livello universitario, rappresenta un manuale che i professionisti legali che si occupano del campo penale, possono consultare per l’attività professionale, avendo anche un valore di utilità nella pratica forense. La tutela della sicurezza è analizzata in tutti gli aspetti. In dodici capitoli vengono trattati Il contrasto del cybercrime dopo la convenzione di Budapest, La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Il “pacchetto sicurezza”, La conservazione dei dati nell’ambito dei servizi di comunicazione, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori, Prelievi coattivi e genetica forense dopo il trattato di Prum, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, L’impugnazione delle sentenze contumaciali, La competenza per i reati di grave allarme sociale, Il legittimo impedimento, Il riconoscimento reciproco delle sentenze penali nell’unione europea, L’anamorfosi (visione deformata) del processo penale. Nell’ultimo Capitolo, dopo l’approfondita disamina normativa e giurisprudenziale degli argomenti trattati nei precedenti, gli Autori si

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

soffermano anche su tre disegni di leggi, sempre in materia di tutela della sicurezza del cittadino. Gli argomenti corredati dei riferimenti normativi, oltre che rilievo giuridico, hanno anche un valore di natura sociale, e sono tutti di grande attualità.

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