Quaderni Anno IX - N 1/2009

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QUADERNI

Sommario

RIVISTA QUADRIMESTRALE DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI • EDITORIALE DI BRINDISI di Augusto Conte

Anno IX - N. 1-2009

Autorizzazione Tribunale di Brindisi n. 10 del 16 maggio 2001 • ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO - Terremoto Abruzzo Testata associata all' A.STA.F. - Solidarietà Terremoto Abruzzo ISSN 1972-8956 - C.O.F.A. - Terremoto nel distretto di L'Aquila - C.N.F. - Coordinamento iniziative

Direttore Responsabile Augusto CONTE Comitato di redazione

Redazione e pubblicità EDIZIONI DEL GRIFO via V. Monti, 18 - Lecce tel. 0832/394346 - fax 0832/394982 edizionidelgrifo@gmail.com Stampa Locopress Industria Grafica (Mesagne) Tutti gli iscritti all'Ordine possono collaborare alla rivista del Consiglio con articoli su problemi di interesse generale: la Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli che pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti.

Tiratura n. 1.500 copie

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• EVENTI - Cerimonia celebrativa dell'80° anniversario della istituzione del Tribunale di Brindisi 13 - Cerimonia di commiato del Presidente del Tribunale di Brindisi dott. Vincenzo Fedele 26 - Rinnovati i vertici della Cassa di Previdenza e Assistenza forense 34 - TAR: Inaugurazione dell'Anno Giudiziario 36

Pasquale ANNICCHIARICO, Giacomo COFANO, Claudio CONSALES, Giustina GIORDANO, Mario LAVENEZIANA, Dario LOLLI, Mauro MASIELLO, Antonio MAURINO, Emanuele MILONE, Elisa MINERVA, Carmelo MOLFETTA, Carlo PANZUTI, Alessandra PORTALURI, • ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE Paolo VADACCA. - Il filtro in Cassazione. La voce Direzione dell'Avvocatura unita ORDINE DEGLI AVVOCATI presso di Claudio Consales IL TRIBUNALE DI BRINDISI Palazzo di Giustizia Viale Liguria, 1 - Tel. 0831/586993 72100 BRINDISI www.ordineavvocati.br.it presidente@ordineavvocati.br.it consiglio@ordineavvocati.br.it

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• CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE - Relazione sull'attività del Consiglio nazionale forense svolta nell'anno 2008 di Guido Alpa

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• CASSA DI PREVIDENZA E ASSISTENZA - Deontologia e Cassa Forense. Centralità e rilievo della Cassa di Marcello Colloca

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IN COPERTINA Sant’Alfonso Maria dé Liguori, Dottore Universale della Chiesa (Marianella di Napoli, 27.9.1696 - Pagani, 2.8.1787). Da: Il Santo del Secolo dei Lumi. Thè fodule Rey-Mermet. Grafica di Copertina di Gyorgy Szokoly. Città Nuova Editrice. Roma 1983 (Seconda Edizione 1990). Il busto di Sant’Alfonso, l’unico in oro, è insieme a quello dei numerosi illustri Avvocati napoletani, nel Salone dei Busti del Palazzo di Giustizia di Castelcapuano, in Napoli.


• CONVEGNI E CONGRESSI - Il Ruolo del Giudice nelle crisi delle fonti di Enrico Greco - Il patto di famiglia. Incontro di diritto civile di Alessandra Galetta - Verso il Nuovo Ordinamento Professionale Forense. Le Specializzazioni di Claudio Consales - Processo a Medea di Caterina Intiglietta

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• OPINIONI E DOCUMENTI - Remotizzazione delle intercettazioni e nuove tecnologie di Gianmichele Pavone - Indagine sulle scritture contabili: art. 492 cpc ottavo comma. Aspetti pratici a cura di Giuliana Corbascio e Amerigo Cozzi

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• NOTE DI STORIA FORENSE - L'arresto personale per debiti negli ordinamenti pre-unitari e post-unitari. Prima Parte a cura di Augusto Conte • SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE - L'immoralità necessaria di Ettore Randazzo - Appunti di Lettura di Carlo Panzuti

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRINDISI Presidente Cons. Segr. Cons. Tesor.

Avv. Augusto CONTE Avv. Carlo PANZUTI Avv. Antonio MAURINO

Consiglieri

Avv. Pasquale ANNICCHIARICO Avv. Giacomo COFANO Avv. Claudio CONSALES Avv. Giustina GIORDANO Avv. Mario LAVENEZIANA Avv. Dario LOLLI Avv. Mauro MASIELLO Avv. Emanuele MILONE Avv. Elisa MINERVA Avv. Carmelo MOLFETTA Avv. Alessandra PORTALURI Avv. Paolo VADACCA

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EDITORIALE

EDITORIALE di AUGUSTO CONTE

L’Avvocatura periodicamente è chiamata a confrontarsi con il numero degli iscritti agli Albi. Probabilmente nel periodo storico attuale, più che in passato (anche considerando i trentamila Avvocati nel Regno di Napoli, Sicilia esclusa, tra la fine del 1700 e primi anni dell’800, e il segnale lanciato nel 1921 da Piero Calamandrei – forse allarmistico, ma certamente significativo nel denunciare la degenerazione in senso mercantilistico della professione – ricordato nel numero 2/2004 di questa Rivista con tre interventi di riflessione sull’argomento), la questione numero pone maggiori problemi e sollecita ogni genere di interventi, da più parti, anche contrapposti, considerato che da un lato le aperture liberalizzatrici chiedono di escludere ogni freno o barriera all’accesso alla professione (con quel che ne consegue sulla concorrenza, sulla apertura alla pubblicità e all’accaparramento di clientela), dall’altro le spinte riformatrici dell’accesso e della formazione prospettano maggiore rigore selettivo sia per l’ingresso alla professione (attraverso un percorso qualificante diverso dell’aleatorio esame) che per la permanenza negli Albi (attraverso la formazione continua obbligatoria). Il confronto con il numero degli iscritti è una costante in ogni aspetto e manifestazione della Avvocatura, che va dal divario tra iscritti agli Albi e iscritti alla Cassa di Quaderni

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EDITORIALE

Previdenza (con il connesso problema della effettività dell’esercizio della professione forense), al numero dei candidati agli esami di Avvocato, alla partecipazione ai corsi di aggiornamento (per gli Ordini più affollati, impossibili da svolgere, con conseguente disagio e ricaduta anche del peso economico sugli iscritti). L’impegno della Avvocatura, per la valorizzazione dei rapporti interni e per l’elevazione morale della immagine all’esterno, sia nei rapporti con i clienti che nell’ambito della società quale categoria professionale componente essenziale del corpo sociale, è di trasformare quella che, per il numero può costituire una debolezza, in una forza che renda la collettività consapevole del fondamentale ruolo della categoria forense. Questa trasformazione richiede un metodo che l’Avvocatura deve ricercare soprattutto in se stessa per configurare e stabilire una propria identità, proiettabile nel futuro, con la sensibilizzazione di ciascun iscritto a ritrovare criteri che valgano a enfatizzare lo spirito di categoria e la coscienza della appartenenza a una componente essenziale dello stato costituzionale che, passando attraverso la tutela, professionalmente avveduta e deontologicamente prestata, a favore del proprio assistito, consegna il fine, anche quale partecipe della funzione giurisdizionale, di attuare gli scopi di giustizia in osservanza dei principi dell’ordinamento giuridico. Se la conoscenza è ritenuta un “avvenimento”, è necessario che ogni avvenimento costituisca fonte di conoscenza; occasione di riflessione metodologica e di crescita 4

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EDITORIALE

della sensibilità è fornita dai corsi di aggiornamento che, pur obbligatori, e dovunque e comunque seguiti, non costituiscono una sovrastruttura da sovrapporsi o sostituirsi alla volontà e capacità di ciascuno di aggiornarsi, ma un momento di stimolo, di condivisione culturale, contenente anche un significativo messaggio alla collettività, che consente ai partecipanti di “guardarsi negli occhi”, di qualificarsi con e nel confronto, di fornire “all’esterno” l’idea concreta della imprescindibilità del ruolo della difesa affidato all’Avvocato, che va protetto da qualsiasi turbativa al libero e responsabile esercizio della professione. In conclusione il numero, ormai ineludibile, non ci deve spaventare se riusciremo con l’impegno di tutti quanti a trasformare l’Avvocatura in una forza, e solo se questa forza sarà fondata sulla qualità etico-professionale di ciascuno di noi, che costituisca elemento indispensabile su cui fondare il prestigio e il decoro della intera categoria.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Terremoto Abruzzo COMUNICATO

Cari Colleghi, come ho riferito ai Colleghi Consiglieri nel corso della adunanza di ieri, dopo avere invano tentato di mettermi in contatto con l’Ordine degli Avvocati presso la Corte di Appello di L’Aquila, ho telefonato all’avv. Lucio Del Paggio, Consigliere Nazionale Forense per il Distretto di quella Corte, per conoscere l’incidenza del terremoto, che ha colpito la Regione Abruzzo, sulla categoria forense ed esprimere la solidale vicinanza dei Colleghi del Circondario di Brindisi. L’avv. Lucio Del Paggio mi ha informato degli effetti catastrofici sulle persone degli avvocati (con decessi e eventi lesivi), sui loro beni, sulle famiglie, con riflessi sulla attività professionale, paralizzata dal crollo degli Studi, che ha travolto attrezzature e pratiche, e dalla inagibilità del Palazzo di Giustizia. Mi sono quindi collegato telefonicamente con l’avv. Antonello Carbonara, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di L’Aquila al quale ho espresso gli stessi sentimenti, e che mi ha passato l’avv. Lucio De Benedictis, Presidente dell’Unione Regionale degli Avvocati di Abruzzo, con il quale era in riunione. Ho così appreso che sono in corso iniziative attraverso le quali, indipendentemente dagli interventi delle Istituzioni o di Associazioni, di carattere generale, manifestare un concreto intervento in favore dei Colleghi duramente colpiti dalla calamità che ha stravolto la esistenza di Colleghi.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Vi terrò, quindi, informati delle indicazioni che verranno fornite onde, eventualmente anche d’intesa con i Colleghi del Distretto di Lecce e con l’Unione Regionale degli Ordini di Puglia, dare avvio, tutti quanti insieme, alle manifestazioni di solidarietà. Brindisi, 9 aprile 2009

Avv. Augusto Conte

Solidarietà Terremoto Abruzzo COMUNICATO

Cari Colleghi, faccio seguito alla mia nota del 9.4.2009 per comunicare l’avvenuta istituzione di un Fondo di solidarietà per gli Avvocati aquilani, e l’apertura di un conto intestato a C.O.F.A. (Consiglio degli Ordini Forensi d’Abruzzo) codice IBAN: IT36F010051540000000000015 3 presso la BNL di Pescara, attraverso il quale tutti quanti possiamo far pervenire contributi, per le prime necessità, dei Colleghi colpiti dal terremoto. Allego alla presente le comunicazioni del Presidente del C.N.F. Prof. Avv. Guido Alpa e del Presidente del C.O.F.A. Avv. Lucio Stenio de Benedictis. Il Consiglio ha provveduto a deliberare l’invio di un contributo di sostegno. Brindisi, 20.4.2009

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Il Presidente Avv. Augusto Conte

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

C.O.F.A.

CONSIGLIO DEGLI ORDINI FORENSI D’ABRUZZO Il Presidente Ill.mi Sig.ri Avv.ti Presidenti: Consiglio Nazionale Forense Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense Organismo Unitario dell’Avvocatura Consigli dell’Ordine degli Avvocati LORO SEDI

Pescara, 8 aprile 2009 Prot. 1691/09 OGGETTO: Terremoto nel distretto di L’Aquila I resoconti della stampa ed i filmati trasmessi dalle reti televisive non rappresentano appieno la drammaticità e la gravità della situazione in cui si trovano le popolazioni colpite dal terremoto. Ieri ho sentito telefonicamente alcuni Colleghi aquilani e ne ho incontrati altri accolti provvisoriamente in strutture alberghiere della costa adriatica. Ho colto la disperazione nelle loro parole ed il terrore nei loro occhi. Sono deceduti, a causa del sisma, alcuni Colleghi, mentre altri hanno perso familiari prossimi (mogli e figli). Le abitazioni e gli uffici (questi ultimi situati nel centro storico della città) sono andati distrutti o sono rimasti gravemente lesionati, tanto da risultare assolutamente inagibili.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Per dare un senso concreto all’amicizia ed alla solidarietà, i COA abruzzesi hanno immediatamente messo a disposizione dell’Ordine di L’Aquila fondi per affrontare le più urgenti esigenze. I colleghi aquilani, sono stati, per la maggior parte, accolti in strutture ricettive della costa adriatica, che hanno raggiunto a bordo di pullman messi a disposizione dalla Protezione Civile, senza avere avuto la possibilità di prelevare dalle loro abitazioni quanto necessario per le più stringenti necessità (indumenti, denaro, ecc.). Peraltro, è difficile anche raggiungerli telefonicamente perché non tutti hanno avuto la possibilità di portare con se i telefoni cellulari. In considerazione della gravità della situazione, il Consiglio degli Ordini Forensi d’Abruzzo, riunitosi d’urgenza, ha ritenuto di invitare le istituzioni forensi e gli altri COA italiani a farsi promotori di iniziative, anche presso gli iscritti, volte a reperire fondi da destinare ai Colleghi aquilani per alleviare le difficoltà dei prossimi giorni. A tal fine, è stato aperto un c/c (codice IBAN: IT36F010051540 0000000000153) così intestato: C.O.F.A. – FONDO SOLIDARIETA’ AVVOCATI AQUILANI. I fondi saranno gestiti da una Commissione presieduta dall’Avv. Lucio Del Paggio, Tesoriere del C.N.F., e composta dai Presidenti dei COA abruzzesi. Sono sicuro che lo spirito di amicizia e solidarietà che lega gli Avvocati italiani saprà manifestarsi in modo concreto anche in questa occasione. Nell’augurare a tutti Voi ed alle Vostre famiglie una serena Pasqua, Vi saluto con amicizia. Lucio Stenio de Benedictis

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

Roma, 9 aprile 2009 Il Presidente Avv. Prof. Guido Alpa N. 11-C-2009

Ill.mi Signori Avvocati

PRESIDENTI DEI CONSIGLI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI e, per conoscenza: Componenti il Consiglio Nazionale Forense LORO SEDI Oggetto: TERREMOTO NEL DISTRETTO DE L’AQUILA – COORDINAMENTO INIZIATIVE

Cari Presidenti e Cari Amici,

con riferimento alle molteplici iniziative che numerosi Consigli dell’Ordine stanno attuando in segno di concreta solidarietà nei confronti dei Colleghi aquilani, questo Consiglio ritiene utile segnalarVi l’opportunità che tutti i contributi confluiscano su un unico conto intestato al COFA (Consiglio degli Ordini Forensi d’Abruzzo) FONDO SOLIDARIETÀ AVVOCATI AQUILANI Codice IBAN: IT36F0100515400000000000153 aperto presso la BNL di Pescara.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Gli importi versati sul conto suindicato verranno gestiti da una Commissione presieduta dall’avv. Lucio Del Paggio, tesoriere del CNF, e composta dai Presidenti dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati d’Abruzzo. Vi ringrazio, come sempre, per la collaborazione e Vi invio i migliori saluti Avv. Prof. Guido Alpa

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EVENTI

EVENTI

Cerimonia celebrativa dell’80° Anniversario della istituzione del Tribunale di Brindisi Alla presenza dell’On. Avv. Angelino Alfano Ministro della Giustizia Brindisi - Biblioteca dell’Ordine 22 maggio 2009

Nell’Ordine del Giorno della Adunanza del 19.2.2008 del Consiglio dell’Ordine, al n. 2, veniva inserita la “Proposta di indizione di una Cerimonia celebrativa dell’80° anniversario dell’istituzione del Tribunale di Brindisi (1928-2008)”; con delibera assunta nel corso della seduta il Consiglio, alla unanimità delegava il Presidente e la Segreteria a promuovere l’iniziativa per festeggiare l’80° anniversario, organizzando una cerimonia per ricordare l’evento, interessando anche la Presidenza del Tribunale che veniva informata della ricorrenza e riservando in seguito i criteri e le modalità di svolgimento; la cerimonia aveva il fine non solo di ricordare lo storico evento, ma anche di prospettare e discutere le esigenze degli Uffici Giudiziari del Circondario, ponendole alla attenzione della collettività e delle istituzioni. Con R.D. 2.1.1927, n. 1, pubblicato sulla G.U. n. 7 dell’11.1.1927 fu istituita la Provincia di Brindisi. L’art. 12 del Decreto delegava anche il Governo del Re a reviQuaderni

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L’On. Angelino Alfano, Ministro della Giustizia.

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sionare le circoscrizioni giudiziarie per raccordarle a quelle provinciali. Il R.D. 31.5.1928, n. 1320, pubblicato sulla G.U. 26.6.1928, n. 148, istituì la sede del Tribunale di Brindisi, che insieme ai Tribunali di Bari, Foggia, Lecce, Lucera, Taranto e Trani formava il Distretto della Corte di Appello di Bari, unico per tutta la Puglia. Lecce fu successivamente costituita in Sezione Autonoma di Corte di Appello, prima di diventare sede di Distretto di Corte di Appello, ricomprendente i Tribunali di Lecce, Brindisi e Taranto. Il R.D. 21.1.1929, n. 74, pubblicato sulla G.U. 2.2.1929, n. 28 dispose l’entrata in funzione del Tribunale di Brindisi a partire dell’1.3.1929 fu emessa la prima sentenza penale. La prima sede fu ubicata in un’ala dell’Edificio Scolastico Femminile in Piazza Angeli, con ingresso da via San Lorenzo da Brindisi; nel 1930 il Municipio di Brindisi acquistò Palazzo Nervegna che fu adibito oltre che a sede di Tribunale, anche della Corte di Assise di Lecce, sedente in Brindisi, e della Pretura, fino al 1976, anno di trasferimento nella nuova attuale sede di via Aldo Moro, appositamente costruita, e integrata nel 2002 con la nuova sede di Procura e Uffici del G.I.P., con attuale ingresso da via Lanzellotti, n. 3. Con l’istituzione del Tribunale nel 1930 si insediarono la Commissione Reale per l’Ordine degli Avvocati, composta dagli Avvocati Ugo Bono, Presidente; Francesco Lazzaro, Commissario Segretario; Giuseppe Alessano, Commissario Tesoriere; Avv. Giuseppe Lucarini e Francesco Tamburini, Commissari; e la Commissione Reale per l’Ordine dei Procuratori, composta da Corradino Panico Sarcinella, Presidente; Giuseppe Tatulli, Consigliere Segretario-Tesoriere; Vincenzo Bianchi e Giuseppe Iaia, Commissari. Per entrambi gli Ordini il Sindacato Forense era rappresentato dal Segretario Vincenzo Fiori. Nell’anno 1930 furono pubblicati i primi due distinti Albi degli Avvocati, con 48 iscritti, e dei procuratori, in numero di 68 (che Quaderni

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costituiva il numero complessivo degli iscritti in quanto nell’albo dei Procuratori erano iscritti anche gli Avvocati e i patrocinatori, abilitati all’esercizio sprovvisti di laurea). Particolare significato di solennità e prestigio alla Cerimonia ha conferito la presenza del Ministro della Giustizia On. Avv. Angelino Alfano; la manifestazione si è tenuta nella sala della Biblioteca dell’Ordine con gli interventi del Presidente dell’Ordine degli Avvocati Augusto Conte, del Presidente facente funzioni del Tribunale Gabriele Perna e del Procuratore della Repubblica facente funzioni Cosimo Bottazzi, e la partecipazione del Primo Presidente della Corte di Appello di Lecce Mario Buffa, del Procuratore Generale Luigi Gennaro, del Sindaco di Brindisi Domenico Mennitti, dei dirigenti della Prefettura e della Questura, di S.E. Monsignor Rocco Talucci Arcivescovo di Brindisi, dei Comandanti Provinciali dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Marina, dei Parlamentari della Provincia, di tantissimi Colleghi e Colleghe, molti giovanissimi, e di Magistrati, operatori giudiziari, cittadini. Il Ministro era accompagnato dal suo staff e dal Capo di Gabinetto Settembrino Nebbioso. Nella sua relazione introduttiva e di presentazione il Presidente dell’Ordine ha spiegato il significato della cerimonia celebrativa che non costituisce soltanto un momento commemorativo, di riflessione sulla storia giuridico-forense del Circondario, che tutti quanti insieme, avvocati, magistrati, operatori del settore contribuiscono a costruire con passione e orgoglio, ma anche di verifica dei nostri compiti e delle nostre funzioni come proiezione del futuro, per l’adeguamento, di tutti e soprattutto della categoria forense, ai notevoli impegni e alle nuove applicazioni che richiede la amministrazione della giustizia, su un piano tecnologico, metodologico e deontologico. Il Presidente, invitando il Ministro a proseguire sulla strada delle riforme, cui ha posto mano perseguendo un alto profilo e riscuotendo

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Il Ministro durante il suo intervento. Da sinistra: il Procuratore della Repubblica F. F. dott. Bottazzi, il Presidente del Tribunale F. F. dott. Perna e il Presidente dell’Ordine avv. Conte.

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il consenso della categoria forense, ha indicato alcuni prevalenti e significativi aspetti della modernizzazione del settore della giustizia, che passa anche attraverso la informatizzazione, ricordando che la efficienza del sistema, specie nel campo penale, non può mai limitare le garanzie, ricordando in maniera esemplificativa il principio della motivazione di tutti i provvedimenti, non solo come obbligo costituzionale, ma come fatto culturale e, nel campo civile la necessità della unificazione dei riti, che mettono a dura prova non solo le capacità tecniche ma anche la pazienza di avvocati e magistrati; la attenta misura nell’introduzione del filtro di ammissibilità nei ricorsi per cassazione, non potendo essere limitata la capacità interpretativa e innovativa della funzione forense che, con la magistratura, nel campo del diritto vivente, ha preceduto la stessa introduzione normativa di istituti giuridici; la importanza di evitare una estrema sommarietà nello svolgimento del processo e la limitazione a pochi e residuali casi della testimonianza scritta. In riferimento alla riforma della professione forense, nelle stesse ore in fase finale di definizione in seno alla Commissione ristretta, il Presidente dell’Ordine, dato atto al Ministro della credibilità riposta negli Avvocati per la predisposizione dell’elaborato inviato alla Commissione Giustizia, e della fiducia dal Ministro stesso riscossa in occasione del Congresso Nazionale Forense di Bologna del novembre 2008, ha invitato il Ministro a proseguire sulla strada della riforma dell’Ordinamento Professionale, insistendo in particolare modo sulla necessità di mantenere l’alto significato del decoro che non costituisce un orpello ma una categoria giuridica che si rinviene in tutte le norme poste a fondamento dell’esercizio della professione, anche riguardo ai compensi, che, comunque disciplinati, e contemperando le esigenze della categoria con gli interessi della collettività, non possono livellare verso il basso la soglia deontologica. Ha ricordato, proprio a proposito delle modifiche ordinamentali che le innovazioni nella libera professione forense che si fondano su

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principi che non ne offendano o limitino l’esercizio, non aggravino lo stato di disagio economico, non favoriscano comportamenti al limite della correttezza deontologica, non dequalificando la professione, non incrinino le garanzie di indipendenza e hanno, al contrario, la finalità di rafforzare e migliorare le modalità di svolgimento della professione o di sostenere in favore della clientela, sono considerate dalla categoria forense non come freni o vincoli alle espressioni delle potenzialità e capacità nelle prestazioni intellettuali, ma come criteri di sviluppo e di miglioramento delle qualità espressive. Il Presidente, come è nella prassi, e fuori dal “protocollo”, ha formulato anche richieste migliorative per il Tribunale, tra le quali, preminenti, il completamento dell’organico dei magistrati, la necessità di personale operativo, la costruzione della nuova sede già progettata dell’Ufficio del Giudice di Pace nelle adiacenze del Tribunale. Il Presidente del Tribunale Gabriele Perna ha ricordato al Ministro le precedenti occasioni di incontro di precedenti illustri Ministri della Giustizia presso il Tribunale di Brindisi, tra i quali l’On. Mino Martinazzoli, il Prof. Avv. Giuliano Vassalli, l’On. Roberto Castelli, ha illustrato le esigenze del nostro Tribunale, in relazione sia alle strutture che al personale, che, soprattutto, al completamento degli organici dei magistrati, ha riferito al Ministro sugli ottimi rapporti, improntati a reciproco rispetto delle funzioni, esistenti nel territorio tra Avvocatura e Magistratura, ha sottolineato l’importanza della giornata celebrativa per la storia del Circondario del Tribunale di Brindisi, ha dato atto dell’impegno di magistrati e personale ad assolvere ai propri compiti con spirito di sacrificio. Il Procuratore della Repubblica Cosimo Bottazzi, nel richiamarsi al principio della effettività della pena, che attribuisce significato sostanziale e sociale alla attività volta all’accertamento dei reati, ha riferito sulle notevoli capacità e iniziative investigative svolte dagli Uffici di Procura, con interventi sulla criminalità organizzata, sui reati ambientali, a tutela della intera collettività e della salvaguardia del territorio. Quaderni

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Il Ministro Alfano, ha cordialmente salutato tutti gli intervenuti, e gli Avvocati giovani e meno giovani, ha rivolto apprezzamenti per l’iniziativa dell’Ordine di Brindisi celebrativa dello storico evento, e ha manifestato la sua determinazione nell’intento di alleggerire le rilevanti pendenze di procedimenti penali e di cause civili, spiegando di essersi informato, fin dai primi giorni del suo insediamento, sullo stato dell’amministrazione della giustizia al fine di compiere un intervento volto alla soluzione dei problemi e soprattutto a sconfiggere la la lentezza dei processi. Ha riferito sulle attività volte alla introduzione di norme necessarie a sostenere la lotta alla criminalità organizzata, oltre che alla diffusa microcriminalità, meno organizzata ma non meno pericolosa per i cittadini, e alla necessità che Governo, Parlamento, Ministro della Giustizia, Magistrati, Forze dell’Ordine, Avvocati, tutti componenti di una grande squadra che si chiama Stato debbano svolgere le proprie funzioni secondo i rispettivi ruoli, in conformità delle

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proprie capacità e professionalità, al fine di raggiungere il grande obiettivo di riformare la giustizia. Il Ministro ha anche annunciato iniziative per la edilizia penitenziaria, la approvazione e la prossima pubblicazione della riforma del processo civile che dovrebbe dare impulso alla sollecita definizione della cause, con il ricordato lavoro di squadra. Il Ministro Alfano ha anche dato la sua disponibilità a seguire tutte le problematiche, in riferimento sia alle strutture che al personale, connesse alla gestione dell’amministrazione della Giustizia nel territorio.

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Cerimonia di commiato del Presidente del Tribunale di Brindisi dott. Vincenzo Fedele Tribunale di Brindisi 31 marzo 2009

Il Presidente del Tribunale di Brindisi dott. Vincenzo Fedele ha lasciato il Tribunale di Brindisi al termine del suo impegno cinquantennale nella Magistratura. Magistrati dell’intero Distretto di Corte di Appello di Lecce, Avvocati di tutto il Circondario, Personale del Tribunale e della Procura di Brindisi, Autorità governative, civili e militari della Provincia, l’Arcivescovo di Brindisi Monsignor Rocco Talucci, il sindaco di Brindisi On. Domenico Mennitti, il Primo Presidente della Corte di Appello di Lecce, dott. Mario Buffa e il Procuratore Generale dott. Luigi Gennaro, il Presidente del Tribunale di Taranto dott. Antonio Morelli, nella sala della Biblioteca dell’Ordine degli Avvocati hanno salutato il Presidente Fedele che per dieci anni ha retto il Tribunale di Brindisi. Il dott. Gabriele Perna, facente funzioni di Presidente, ha salutato tutti i presenti ringraziandoli per la loro presenza, “testimonianza concreta della stima e dell’affetto per il nostro Presidente”. Il dott. Perna ha ricordato l’impegno svolto nella Magistratura dal dott. Fedele nelle diverse funzioni giudicanti, civili e penali, quale Pretore di Molfetta, Giudice del Tribunale di Lecce, Giudice presso il Tribunale per i Minorenni di Lecce, Consigliere presso la Corte di Appello di Lecce, Presidente di Sezione presso la Corte di Appello di Lecce-sezione Distaccata di Taranto, e, infine, quale Presidente

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Il dott. Vincenzo Fedele, Presidente del Tribunale di Brindisi.

Il tavolo della Presidenza, da sinistra: il dirigente di Cancelleria dott. Montanaro, il Presidente dell’Ordine Avv. Conte, il Presidente della Corte d’Appello dott. Buffa, il Presidente dott. Fedele, il Procuratore della Repubblica F. F. dott. Bottazzi e il Presidente del Tribunale F. F. dott. Perna.

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del Tribunale di Brindisi, raggiungendo traguardi importanti di grande prestigio, “profondo conoscitore e fedele interprete del diritto, con quella dose di umanità che un buon giudice non deve mai tralasciare”. Il Presidente Perna ha in particolare così continuato: “il giudizio sullo svolgimento dell’attività giurisdizionale del Presidente Fedele è un giudizio estremamente elogiativo, di un modo di concepire la funzione giudiziaria che può essere indicato ad esempio per i magistrati più giovani. Non c’è ramo della giurisdizione che egli non abbia praticato; tutto il percorso professionale del Presidente Fedele delinea la figura di un giudice disponibile, cortese, signorile, dalla impronta carismatica, di alta caratura professionale, di non comuni qualità personali garante del sistema, dall’alto senso di responsabilità, con la modestia delle persone di grande livello intellettuale e culturale, capace di instaurare con tutti i suoi collaboratori una familiarità che non è mai andata a discapito del senso di attaccamento al dovere e dello spirito di servizio; queste le doti da tutti conosciute unanimamente al Presidente Fedele. Non penso che il nostro Presidente, dopo tanti anni di esercizio della giurisdizione, riuscirà più a togliersi di dosso quella toga, che con onore e con amore ha indossato per tanti anni. Sono certo che continuerà ad indossarla per sempre come un qualcosa del suo DNA, un qualcosa che rimarrà all’interno della sua persona, del suo modo di essere, un qualcosa che è un tutt’uno con la la sua anima… Per tutti noi rimane fermo il sentimento di ringraziamento per quello che ha dato al nostro Tribunale unitamente ad un sentimento di stima e di amicizia, di quell’amicizia che rimane ferma nel tempo!”. Il Procuratore della Repubblica facente funzioni dott. Cosimo Bottazzi ha portato il saluto suo e della Procura di Brindisi, esaltando le doti organizzative e di equilibrio del Presidente Fedele e dell’impegno a mantenere nei rapporti tra Magistrati e Avvocati un clima di assoluta serenità che consente, a tutti quanti, di operare nel-

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Da sinistra: il Procuratore Generale dott. Gennaro, la signora Fedele, il Presidente dott. Fedele, la signora Antelmi e il dott. Buffa.

Il Presidente dott. Fedele con i familiari.

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l’interesse della collettività. Il Presidente dell’Ordine, Avvocato Augusto Conte, ha ricordato il percorso comune quasi decennale, ringraziando il Presidente Fedele dell’attività spiegata a favore dell’amministrazione della giustizia e, in particolare, della intesa partecipativa della Avvocatura alla attività giudiziaria, e della “confidenza” istituzionale, che ha consentito per un decennio una serena e proficua gestione del settore giustizia nel territorio; ha ricordato che Magistrati e Avvocati sono momenti distinti della unitaria funzione del rendere giustizia e che a tal fine essi contribuiscono da posizioni con ruoli diversi, che non devono essere confusi, ma che sono inseparabili. In tale spirito, gli eventi che si sono succeduti nel corso della “Presidenza Fedele” hanno visto insieme, con una condivisione assoluta, Magistratura e Avvocatura nel corso della visita del Ministro della Giustizia Castelli per l’inaugurazione della sede degli Uffici di Procura e G.I.P.; in occasione della intestazione dell’Aula del Tribunale all’Avv. Giuseppe Armando Attolini, in occasione delle Cerimonie di conferimento delle Toghe d’Oro e Toghe d’Onore, in occasione del giuramento dei praticanti al momento dell’assunzione del patrocinio; oltre alle circostanze solenni, il rapporto con l’Avvocatura è stato continuo per la soluzione dei tanti quotidiani problemi, che senza avere la pretesa di risolverli tutti, sono stati comunque affrontati nello spirito di una comune sensibilità volta a soddisfare le aspettative e gli interessi della collettività. Particolare impegno il Presidente Fedele ha anche speso nel seguire l’iter di approvazione del progetto della nuova sede per i Giudici di Pace. Il Presidente dell’Ordine ha salutato la famiglia del dott. Fedele, presente all’incontro e ha consegnato, a nome di tutti gli Avvocati del Circondario, una targa ricorso nella quale è stato inciso che il Presidente Fedele ha tenuto alto il prestigio della Magistratura, esaltando e valorizzando la funzione della Avvocatura. Quaderni

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Il Presidente con Magistrati e personale.

Il Presidente con Magistrati, personale, il Presidente del Tribunale f. f. dott. Perna, il Presidente della Corte d’Appello dott. Buffa e il Procuratore Generale dott. Gennaro.

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A nome del personale ha portato il saluto il Dirigente dott. Sergio Montanaro, ringraziando il Presidente Fedele per avere operato per la tempestiva soluzione dei problemi tenendo conto delle esigenze del personale. Il Primo Presidente della Corte di Appello di Lecce dott. Mario Buffa ha concluso gli interventi confermando e sottolineando gli apprezzamenti rivolti a Enzo Fedele, e le sue qualità manifestate fin dai comuni trascorsi universitari. Un saluto è stato rivolto anche da Monsignor Rocco Talucci e dal Sindaco di Brindisi Domenico Mennitti. Il Presidente Fedele ha ringraziato tutti gli intervenuti rivolgendo significative espressioni di apprezzamento per i Magistrati del Circondario, per gli Avvocati e per i Dirigenti amministrativi e per tutto il personale, per avergli consentito di esercitare le funzioni di Presidente del Tribunale in un clima sereno e costruttivo. Ha ricordato rilevanti momenti del suo prestigioso cammino di magistrato, l’importanza della collaborazione del personale, la necessità che le funzioni di magistrato e avvocato, componenti indispensabili per la amministrazione della giustizia, sia pure da posizioni diverse, convergano verso l’unico fine di rendere il servizio utile alle aspettative della collettività. Al Presidente Fedele la Rivista “Quaderni”, della quale egli stesso ha autorizzato la pubblicazione con provvedimento 16.5.2001 e della quale è stato e continuerà ad essere lettore, rivolge un cordiale saluto con gli auguri di ogni benessere e serenità.

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Rinnovati i vertici della Cassa di Previdenza e Assistenza forense

Il Comitato dei Delegati, in data 5 giugno 2009, ha eletto il nuovo Presidente della Cassa Forense nella persona dell’Avv. Marco Ubertini del Foro di Verbania. Nella stessa seduta il Comitato ha proceduto all’elezione di n. 5 Consiglieri di Amministrazione in sostituzione di quelli uscenti. Sono risultati eletti: - Avv. Dario Lolli del Foro di Brindisi - Avv. Nunzio Luciano del Foro di Campobasso - Avv. Vittorio Minervini del Foro di Brescia - Avv. Giulio Nevi del Foro di Latina - Avv. Beniamino Palamone del Foro di Potenza. Per effetto di tale elezione il Consiglio di Amministrazione risulta così composto: - Avv. Marco Ubertini Presidente - Avv. Alberto Bagnoli Componente - Avv. Marcello Colloca Componente - Avv. Giuseppe Della Casa Componente - Avv. Salvatore Di Cristofalo Componente - Avv. Vincenzo La Russa Componente - Avv. Dario Lolli Componente - Avv. Nunzio Luciano Componente - Avv. Vittorio Minervini Componente - Avv. Giulio Nevi Componente - Avv. Beniamino Palamone Componente

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L’Ordine degli Avvocati di Brindisi esprime tutto il compiacimento, e l’orgoglio, per la elezione di Dario Lolli nel Consiglio di Amministrazione della Cassa Forense, incarico per la prima volta assegnato a un Avvocato del Foro di Brindisi. L’elezione premia l’impegno, la competenza, la disponibilità di Dario Lolli che ha assunto e espletato l’incarico di Delegato del Distretto di Lecce con spirito di servizio ponendosi a disposizione di tutti i Colleghi, e la fiducia in lui riposta da tutti i Colleghi che lo hanno sostenuto. A Dario formuliamo tutti insieme gli auguri per l’alto riconoscimento e per un ottimo lavoro. Quaderni invia gli auguri del Foro di Brindisi al Presidente eletto, Avv. Marco Ubertini, e a tutto il nuovo Consiglio di Amministrazione.

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Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Inaugurazione dell’Anno Giudiziaio Lecce 27 febbraio 2009

I – Anche nel 2008 il T.A.R. del Salento è riuscito a migliorare la propria tempestività nella risposta di giustizia. E ciò nonostante che tutto l’anno sia trascorso con due magistrati in meno rispetto all’anno precedente (13 magistrati in luogo di 15). Quando altri TT.AA.RR., piccoli e grandi aumentano la loro giacenza, qui continuiamo a diminuirla, insieme ad altri, beninteso, ma questo significa costante e superiore impegno. Non c’è altra via, né consideriamo l’arretrato “drammatico” (come si è detto in questi giorni) della giustizia un male inguaribile e, ancor meno, accettabile. I ricorsi pervenuti nell’anno sono lievemente aumentati rispetto al 2007 (n. 1.960); le sentenze pubblicate sono state 3.833 e la giacenza ha avuto una apprezzabile ulteriore diminuzione (7.001 ricorsi giacenti, in luogo degli 8.841 pendenti a fine 2007). E rammentiamo sempre che ad inizio 2001 ci trovavamo di fronte ad un arretrato di quasi 42.000 ricorsi. Se si esaminano i grafici allegati si può notare che, quanto al numero di ricorsi depositati, il T.A.R. del Salento si colloca al 10° posto in Italia su 29 TT.AA.RR.; quanto a numero di ricorsi definiti (sentenze e decreti decisori) si colloca all’8° posto, mentre giustamente naviga in fondo alla classifica quanto all’arretrato da smaltire. Tutto ciò consente a tutti noi, magistrati e collaboratori, di aspet-

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tare e vivere questa ricorrenza annuale col compiacimento di poter esporre risultati positivi ai cittadini, agli operatori economici ed alle istituzioni. Ma sono risultati che vanno ancora migliorati, ritenendosi raggiungibile in un periodo di medio termine (a fine dei prossimi tre anni) sostanzialmente l’obiettivo di portare a decisione nell’anno tutti i ricorsi correnti, cioè quelli presentati via via nell’anno stesso. L’efficienza – ricordava lo scorso anno nel suo intervento in quest’Aula il Magnifico Rettore dell’Università del Salento Domenico Laforgia apprezzando l’attività del T.A.R. – è base per lo sviluppo. “Per migliorare la competitività di un territorio, il suo appel, occorre dare certezza del diritto in tempi brevi”. Osservava il Sen. Giovanni Pellegrino, evidentemente nella sua duplice veste di avvocato e di presidente della Provincia di Lecce: “Sapere che c’è un giudice che può dare risposta in termini celeri, dà maggiore tranquillità anche nell’amministrare”. Aggiungeva, poi, l’Avvocato Distrettuale dello Stato Giovanni Gustapane che “L’esigenza della decisione delle controversie in tempi ragionevoli non è più soltanto una questione di etica del processo; dopo le numerosissime condanne dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo… è diventata una questione di tenuta del bilancio dello Stato…”. Notava a quest’ultimo proposito il Presidente della Corte d’Appello di Lecce Mario Buffa nel corso della recente Inaugurazione dell’anno giudiziario, che vi è un debito dell’Amministrazione della giustizia per indennizzi per l’eccessiva durata dei processi di notevole dimensione, ed indicando la cifra per i distretti di Bari e Potenza, commentava: “Una cifra enorme che, se diversamente utilizzata, basterebbe a risolvere molti problemi operativi dell’amministrazione giudiziaria”. Quindi, i ritardi della giustizia, oltre a frenare lo sviluppo ed a creare sfiducia nei cittadini, non ripagando affatto l’indennizzo la Quaderni

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delusione di anni di attesa per una sentenza, sono essi stessi fonte di aumento del lavoro delle Corti e di notevole spesa improduttiva dello Stato. II – Ma dobbiamo guardare oltre l’acquisita ordinaria tempestività. Il ruolo del giudice amministrativo – osservava lo scorso anno l’avv. Pietro Quinto – è profondamente cambiato, come è cambiata la domanda del cittadino che non si accontenta più della semplice legittimità formale dell’agire dei pubblici poteri. L’attività giurisdizionale ormai da tempo non è più controllo della mera legalità dell’Amministrazione, ma tutela completa, effettiva e sostanziale del cittadino nelle sue pretese individuali, economiche-imprenditoriali o di assetto sociale. Il prof. Sticchi Damiani, nella stessa occasione, ha parlato di “crescente pervasività del diritto amministrativo”: “materia senza confini – diceva – anzi, materia i cui confini si spostano di giorno in giorno”. Che il giudice amministrativo si interessi di antimafia, è normale, come pure di usura, o di armi ed esplosivi o di truffe a danno dell’Unione Europea, o di riciclaggio in attività economiche svolte tramite prestanomi, o di confisca dei beni e della loro sorte. Ma è pervasivo anche quando si occupa dell’orario degli esercizi commerciali o delle disposizioni in materia di traffico, per non parlare della tutela contro le varie forme di inquinamento, di discariche e di smaltimento di rifiuti, o dell’uso dei beni demaniali. Gli è che, come osserva Natalino Irti rileggendo C.A. Jemolo (“La crisi dello Stato moderno”), lo Stato contemporaneo “è soltanto macchina produttrice di norme, congegno che converte in diritto ogni materiale immesso nel suo apparato”. Da ciò un eccesso di produzione normativa (“…caos legislativo che si traduce in una vera e propria schizofrenia legislativa”, così l’avv. Quinto) e l’ampliarsi

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delle vicende che approdano avanti al giudice amministrativo. Con una conseguenza ulteriore: al giudice amministrativo non si chiede più solo di decidere “presto”, ma sempre più frequentemente di decidere “immediatamente”. Il vero è che i giudizi avanti al T.A.R. sono sempre più fattore determinante della politica economica dei poteri pubblici e delle scelte e attività imprenditoriali dei privati, qualunque sia il ruolo che assumono nel processo, se attori o resistenti. Oggi si potrebbe dire “più che mai”, considerato che la congiuntura economica difficile quale è quella che viviamo, anche nella prospettiva di medio termine, accelera l’esigenza che le iniziative divengano quanto prima operative, essendo l’incertezza ed il tempo fattori di costo e di rischio. Ulteriore motivo di sicuro interesse pubblico alla immediatezza del giudizio è che ogni iniziativa economica in una fase di ristagno innesca quegli effetti che gli economisti classici definivano di moltiplicatore. Per tutte queste ragioni si comprende e si condividono, pur nell’esigenza del rispetto del contraddittorio, le richieste delle parti, sia pubbliche che private, a decisioni immediate (c.d. “sentenze brevi”), in pratica nel giro di 10/15 giorni dal deposito del ricorso, a decreti monocratici cautelari ante causam, in pratica ad horas, e delle richieste di abbreviazione dei termini minimi processuali stabiliti dalla legge, sia per la fissazione dei giudizi in camera di consiglio per la fase cautelare, che nelle udienze pubbliche conclusive nel merito. A queste esigenze il T.A.R. non si è sottratto, ed intende farvi fronte ancor più. Indice di tale orientamento operativo è che del 2008 sono state emesse n. 207 “sentenze brevi”; sono state pronunciate n. 766 ordinanze cautelari e n. 186 decreti ante causam, nei brevisimi termini appena detti. Ma ancor più indicativo, in quanto corrisponde alla definizione della controversia nel merito, con statuizione nella sostanza sull’assetto degli interessi, è che oltre il 24% dei ricorsi pervenuti nel 2008 Quaderni

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(in cifra assoluta: n. 473 ricorsi) sono stati definiti nel corso dello stesso anno. Quindi, come programma operativo per il 2009, contando a tal fine sulle indicazioni collaborative degli avvocati, il T.A.R. darà precedenza, con immediata fissazione, ai ricorsi che hanno ricadute sull’occupazione e l’attività economica. Entrano, poi, senz’altro nell’ordine delle priorità i ricorsi in materia di smaltimento di rifiuti, ivi compresi quelli riguardanti l’approntamento delle discariche e gli impianti di lavorazione, selezione e trasformazione dei rifiuti. Il T.A.R. ben conosce le difficoltà di vario ordine che hanno le Amministrazioni che con vario livello di competenza operano in tale settore, come pure gli allarmi che si creano nella popolazione. Il principio prioritario della tutela della salute, l’attenta valutazione dell’interesse pubblico ed il rispetto della trasparenza sono guida per il risolvere i conflitti, ben prima che si creino situazioni di emergenza difficilmente controllabili e, comunque, dannose e costose per tutti. I ricorsi in materia di inquinamento e di recupero dei siti inquinati costituiscono un altro filone di priorità, dovendosi dare il giusto rilievo al diritto alla qualità della vita, il cui rispetto è giustamente sempre più preteso dalla collettività. Nell’ordine delle priorità entrano, poi, ma non da ultimo, i ricorsi a rilevanza sociale, individuale o collettiva. L’individuo, infatti, non può cedere di fronte ad una graduatoria ordinata secondo la rilevanza economica della lite. Ma detto tutto ciò, viene in evidenza come via ben difficile considerare di livello cedevole categorie di ricorsi portati avanti al giudice amministrativo. Un equo indennizzo, la pretesa ad indennità o il trasferimento di un militare, un posteggio per il commercio ambulante o il trasferimento di una edicola sono situazioni vitali per chi le affronta e che il tempo può rendere irrecuperabili. La prospettiva in cui, più giustamente, dobbiamo porci è che non

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vi siano richieste di giustizia che cadano in letargo e non possiamo non sentirci responsabili, anche se incolpevoli, per i tanti diritti traditi per i ritardi del sistema giustizia. III – Si vogliono rammentare, in rapida esposizione, talune categorie di ricorsi indicativi non tanto esclusivamente per la loro frequenza, quanto per il significato che da essi può trarsi nel contesto del territorio. Innanzi tutto si può notare un notevole numero di ricorsi contro ordinanze di demolizione di abusi edilizi (oltre 130), ai quali può affiancarsi un consistente numero (oltre 60) di ricorsi contro il diniego di sanatoria. Da tale fenomeno pare possa trarsi la considerazione che i Comuni hanno posto in essere un controllo più puntuale e diffuso contro la pratica di costruire senza previa concessione edilizia. Il che consente di verificare anche un certo abbandono della inclinazione a considerare conveniente e poco rischioso il costruire abusivamente, tanto più che i Comuni, col provvedere tempestivamente sulle richieste di permesso di costruzione, eliminano alla base l’alibi talora addotto dai costruttori abusivi di essere a ciò indotti dai ritardi delle Amministrazioni. Ove tale fenomeno dovesse confermarsi in futuro, oltre che indice di un maggior rispetto civile, indicherebbe una accresciuta sensibilità per la tutela del territorio, sia spontanea che indotta dalla sempre più certa (e costosa) sanzione. Notevole è, poi, il numero dei ricorsi (oltre 80) in materia di tutela paesaggistica, sostanzialmente proposti contro il diniego di autorizzazione a costruire o realizzare strutture in zone vincolate. Da tali ricorsi emerge una pressione sulle aree più pregiate del territorio, limitativa o esclusiva del godimento da parte della generalità di beni o valori unici e non riproducibili. Ben oltre cinquanta sono i ricorsi in materia di realizzazione di Quaderni

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impianti eolici o fotovoltaici pervenuti negli ultimi mesi del 2008. Per lo più sono ricorsi contro atti dei Comuni tesi ad impedire il formarsi della autorizzazione edilizia per silenzio attivata con denuncia di inizio di attività, che evidenziano il ritardo con il quale le Amministrazioni sono intervenute a pianificare le aree compatibili con altri valori, nelle quali potesse darsi prevalenza al valore dato dalla produzione di energia pulita e rinnovabile. Oltre quaranta sono stati i ricorsi in materia di detenzione di armi (da difesa personale e da caccia) e di esplosivi. L’operato preventivo posto in essere dalle Autorità di polizia appare espressione di un principio di precauzione. Il T.A.R. ha affermato, in relazione all’uso di armi da parte di familiari del soggetto autorizzato (familiari in qualche caso anche minorenni che hanno rivolto l’arma contro se stessi), che le severe cautele per impedire a terzi estranei l’apprensione dell’arma devono essere poste in essere anche nei confronti di indebita apprensione da parte di familiari conviventi, e forse anche di più e comunque adeguate alle possibilità di abuso che proprio la convivenza agevola. Sono una decina i ricorsi contro il divieto di accesso agli stadi quale effetto di comportamenti delinquenziali fra tifoserie opposte e di danneggiamenti. Il T.A.R., nel respingere domande di tutela cautelare ha esplicitamente utilizzato il concetto di “branco”, ritenendo ugualmente responsabili alla stregua dei soggetti più attivi anche quelli solidali nel gruppo, considerando il “branco” un insieme idoneo (e responsabile) di una potenzialità delinquenziale maggiore e specifica in sé e di per sé. Da tale logica, ha ritenuto il T.A.R., il singolo può uscire solo in presenza di evidente e tempestivo allontanamento o in presenza di evidente comportamento attivamente dissuasivo nei confronti degli eversori. Merita di essere segnalato il fenomeno, del tutto specifico, delle varie decine di ricorsi diretta conseguenza dei provvedimenti con i

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quali la P.A. ha dato attuazione alle leggi finanziarie volte al contenimento della spesa pubblica. Al riguardo vale la pena sottolineare che, a sostegno delle proprie ragioni gli interessati sempre più spesso invocano i principi generali dell’ordinamento richiamando ad esempio (come a proposito dei tetti di spesa in materia sanitaria) gli artt. 35 e 82 del Trattato U.E. per affermare il principio di parità tra imprese pubbliche e private e per contestare i limiti che contingentano il numero dei soggetti che tramite l’accreditamento sono ammessi a operare. Ugualmente richiamati sono gli artt. 32 e 34 della nostra Costituzione a tutela del diritto alla salute e allo studio quando, ad esempio, per i limiti di spesa normativamente imposti, l’alunno diversamente abile o portatore di handicap vede dimezzarsi le ore di sostegno previste in suo favore. Va segnalato, inoltre, che le recenti norme sulla stabilizzazione del personale precario degli Enti pubblici provocano un contenzioso che fatalmente si allarga e coinvolge gli interessi di più categorie di persone in reciproca contrapposizione nel far valere il diritto al lavoro che pur li accomuna. Sicchè, per esempio, quando gli idonei di un concorso pretendono di essere assunti a preferenza dei lavoratori a tempo determinato o ad altro titolo precario, la controversia non è più circoscritta alla definizione di un rapporto tra il singolo cittadino e la P.A., ma implica la soluzione di un contrasto che si determina fra categorie di soggetti, cioè tra una moltitudine di soggetti evidentemente collocati in posizioni contrastanti di interesse, tutti vantanti un valore poziore riferibile, come detto, al diritto al lavoro costituzionalmente protetto. Lo stesso fenomeno si registra, peraltro, in materia scolastica quando, in relazione alla nuova configurazione assunta dalle graduatorie degli insegnanti ex L. 296/06, categorie di insegnanti pretendono una diversa e più favorevole collocazione nelle graduatorie medesime rispetto ad altre categorie di colleghi. Va da sé che in tali ipotesi il giudizio inevitabilmente si estende, Quaderni

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coinvolgendo la posizione di un numero rilevantissimo di soggetti controinteressati e, naturalmente, il compito dell’interprete diventa di particolare responsabilità e particolarmente delicato coinvolgendo modi e livelli di vita a valenza definitiva. IV – Non possiamo non ritornare, come già si è fatto lo scorso anno, sul livello delle spese di giustizia. Tenuto conto dei ricorsi non esenti dal pagamento del contributo unificato, il valore medio per ricorso nel 2008 è ancora aumentato rispetto a quello registrato nell’anno precedente, raggiungendo quota 646 euro, con un totale di contributo versato pari a euro 986.328. Pare giusto ripetere ancora una volta le osservazioni registrate negli anni precedenti. L’aumento dei costi per il mero accesso alla giustizia amministrativa indurrà in non poche occasioni i cittadini a rinunciare in partenza ad adire il giudice. Il che non può non comportare sia un danno per il cittadino che rinuncia a far riconoscere un proprio diritto o una propria giusta pretesa, sia per la collettività che vedrà ridursi le occasioni di controllo dell’attività della pubblica Amministrazione. A tale situazione in qualche misura soccorre la possibilità di richiedere di essere ammessi al patrocinio a carico dello Stato. In effetti, l’apposita Commissione in funzione presso il T.A.R. ha riconosciuto il diritto al patrocinio a carico dello Stato in 70 casi circa. Resta però il fatto che vi è l’esigenza perché l’istituto del c.d. gratuito patrocinio venga maggiormente fatto conoscere, come pure resta l’esigenza dell’affermazione più in concreto di un ruolo maggiormente riconosciuto ed ampliato del Difensore civico per quegli interventi compositivi giustiziali più vicini e di limitata importanza certo, ma pur sempre eliminativi di torti. V – Nel 2009 entra in funzione anche al T.A.R. di Lecce un nuovo

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e complesso sistema informatico della giustizia amministrativa. L’obiettivo è di continuare ad assicurare agli avvocati un accesso completo e tempestivo sull’andamento dei ricorsi e sulle decisioni emesse. La prospettiva è di sveltire e semplificare i contatti con il T.A.R., consentendo che avvisi e comunicazioni possano essere recapitati agli avvocati in via informatica e che gli stessi possano depositare al T.A.R. in pari modo ricorsi, memorie e documenti. Ci sarà un cambio di abitudini e di adattamento ai nuovi strumenti. Fin d’ora mi fa piacere anticipare che a Lecce presso la sede del T.A.R. si svolgerà nel prossimo aprile il primo convegno regionale di diritto amministrativo elettronico, che consentirà al Salento di inserirsi nel futuro della giustizia telematica. Nel prossimo maggio poi saremo tutti impegnati nell’annuale Convegno dell’A.I.G.A., nel quale è prevista la consueta e prestigiosa presenza del primo Presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone. VI – È giusto dover concludere. Innanzi tutto con il saluto ai colleghi che con il prossimo primo marzo raggiungeranno per trasferimento altri TT.AA.RR.. Si rinnova così una peculiarità del T.A.R. di Lecce, ove grazie alla presenza di un Foro di eccellenza, giovani colleghi si formano e portano altrove un profondo imprinting umano e professionale. Poi il saluto ai nuovi giovani colleghi già presentati in occasione del loro giuramento, promettendo loro un impegnativo percorso formativo, ma chiedendo contestualmente l’apporto delle loro conosciute capacità ed il loro totale impegno. All’Avvocatura dello Stato, agli avvocati del libero Foro, ai professori universitari che frequentano quest’Aula, ai giovani avvocati il più forte ringraziamento del T.A.R. per il loro encomiabile contriQuaderni

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buto per la comune ricerca dei segni ed i modi di giustizia. A tutti i mezzi di informazione, ai loro operatori, ai giornalisti che con il loro lavoro corretto ed accurato creano un coinvolgimento nella legalità per tutti i cittadini, i nostri ringraziamenti e la nostra sentita considerazione. Con affetto ringrazio tutto il personale, sempre disponibile, autonomo e responsabile. Rappresenta una struttura sicura ed affidabile per il nostro lavoro. Alle persone costrette a subirmi più da vicino, la mia gratitudine ed un particolare pensiero. I colleghi presidenti Antonio Cavallari e Luigi Costantini, quanto e più di me costruiscono il livello di questo T.A.R.; sono loro riconoscente per il privilegio di un lavoro comune e per la loro amicizia. Un ringraziamento affettuoso a tutti i magistrati per l’impegno e la dedizione, specie agli “anziani”, ai quali si chiede sempre qualcosa in più. Un saluto, infine, a tutti i cittadini per la loro fiducia a sentirci giudici attenti e vicini ai loro problemi, nei confronti dei quali forte sentiamo la nostra responsabilità ogni volta che “Nel nome del Popolo Italiano” pronunciamo le nostre sentenze. Lecce, 27 febbraio 2009 Aldo Ravalli

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Il filtro in Cassazione. La voce dell’Avvocatura unita di Claudio Consales* Saluto cordialmente i presenti anche a nome del Consiglio dell’Ordine di Brindisi e del suo Presidente, Avv. Augusto Conte. Ringrazio il Consiglio dell’Ordine di Roma per l’opportunità offerta di soffermarci in questo incontro su un aspetto fondamentale della riforma della procedura civile già approvata in seconda lettura dall’Aula del Senato il 4 marzo 2009 ed in attesa di approvazione da parte della Camera dei Deputati. L’oggetto dell’esame è la norma contenuta nell’art. 29 della riforma che inserisce dopo l’art. 360 c.p.c., l’art. 360 bis c.p.c. il cui contenuto è il seguente: “Il ricorso è dichiarato ammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della corte; 2) quando il ricorso ha per oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte; 3) quando appare fondata la censura relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo; 4) quando ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi dell’art. 363. * Delegato OUA per il distretto di Lecce. Intervento programmato nel corso dell’Incontro Dibattito del 13-3-2008, organizzato presso la Corte di Cassazione di Roma del COA di Roma e dall’OUA.

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Se il collegio ritiene inammissibile il ricorso, anche a norma dell’art. 375, primo comma, numeri 1) e 5), seconda parte, il relatore deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che giustificano la dichiarazione di inammissibilità. Si applica l’art. 380 bis, commi secondo, terzo e quarto. L’ordinanza che dichiara l’inammissibilità è comunicata alle parti costituite con biglietto di cancelleria, ovvero mediante telefax o posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolarmente, relativa a tali forme di comunicazione degli atti giudiziari. Il ricorso dichiarato ammissibile è assegnato a una sezione della Corte di cassazione per la sua trattazione. Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il provvedimento impugnato passa in giudicato. L’ordinanza provvede sulle spese a norma dell’articolo 96, terzo comma”. L’articolo così approvato dal Senato è il chiaro frutto di un disegno politico legislativo diretto a scoraggiare i ricorsi in Cassazione al fine di diminuirne il numero, in nome di una giustizia più celere. La prima osservazione di carattere generale che intendo portare alla Vostra attenzione è che l’esigenza di una giustizia civile più celere non deve conseguirsi attraverso un’evidente compressione dei diritti del cittadino che si esprimono attraverso la difesa professionale offerta solo ed esclusivamente dall’avvocatura. L’effettiva difesa del cittadino non può conseguirsi se non conservando gelosamente la struttura processuale consolidatasi storicamente e costituita dai tre gradi della giurisdizione: due di merito ed uno di legittimità. Qualsiasi intervento legislativo diretto ad intaccare il sistema delle impugnazioni così come storicamente consolidatosi si traduce inevitabilmente in una sopravalutazione del potere giudiziario ai danni dei diritti di difesa del cittadino. La forza della difesa, che si identifica con le garanzie che il cittadino deve avere nel momento in cui si relaziona con il potere giudi-

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ziario, trova il suo fondamento proprio nel sistema delle impugnazioni. L’avvocato, a cui venisse sottratto o notevolmente ridimensionato il diritto di impugnare il provvedimento giurisdizionale, si ridurrebbe a mera comparsa processuale totalmente sottomessa al potere giudiziario. Nel dialettico ed a volte costruttivamente rapporto tra difesa e potere giudiziario è proprio il diritto all’impugnazione che conferisce dignità alla tesi difensiva; togliere al difensore lo strumento dell’impugnazione significa disarmare lo stesso e lasciarlo in balia di decisioni che potranno essere corrette e giuste, ma anche arbitrarie o inique. Ed è chiaro che lo strumento dell’impugnazione è l’unica possibilità che ha il cittadino per emendare una decisione arbitraria o iniqua. L’art. 360 bis pone delle norme che vanificano sostanzialmente il diritto della difesa a ricorrere alla Corte di Cassazione per i vizi di legittimità della decisione. La stessa impostazione letterale della norma avvalora la tesi di un chiaro disfavore del legislatore in ordine alla possibilità di adire il Giudice Supremo sulla legittimità della decisione. Ed infatti enucleare i casi di ammissibilità, anziché quelli di inammissibilità, lascia intravedere che la regola sarà l’inammissibilità di fronte alla quale l’ammissibilità sarà l’eccezione. La tecnica legislativa adottata è simile a quella prevista per la concessione dell’ingiunzione di pagamento ex art. 633 c.p.c., laddove il procedimento monitorio si pone come procedimento speciale e sommario e quindi come eccezione rispetto al procedimento ordinario. Con la riforma proposta dal Senato, quindi, il Giudizio di Cassazione assumerà una valenza eccezionale rispetto alla regola che sarà quella della definizione del giudizio solo nell’ambito dei Giudici del merito. Se è quindi chiara la decisione del Senato di optare per la soQuaderni

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stanziale rarefazione dei giudizi di legittimità, altrettanto chiara è l’inconsistenza dei criteri adottati per perseguire la finalità, le scelte operate infatti si traducono in grave danno per i diritti della difesa ed in una grave attenuazione dei valori più generali della Giustizia. L’ammissibilità del ricorso viene infatti prevista quando il provvedimento impugnato abbia deciso questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della Corte. In tal modo il Senato ha ritenuto evidentemente che i principi di diritto siano cristallizzabili, fissi ed immutabili. L’aberrazione della scelta operata dal Senato è evidente in quanto si fonda sull’errata convinzione che possano esistere principi di diritto come entità astratte sganciate dal caso concreto e quindi statiche nel tempo. Il diritto regolamenta i rapporti, ma nasce dagli stessi rapporti. Il Giudice quale interprete qualificato della norma giuridica così come deve approfondire la norma per trarne tutto ciò che essa anche virtualmente contiene, così deve approfondire il caso concreto cui la norma è da applicare. Dal rapporto tra la norma ed il caso concreto di volta in volta può esprimersi un principio di diritto, che pertanto, come si è già osservato, non è mai un’entità astratta e statica nel tempo. Per di più la scelta operata dal Senato sembra orientata non solo ad impedire all’avvocatura di ricorrere in Cassazione quando si vuole sostenere un principio difforme da quelli in precedenza espressi dalla stessa Corte, ma sottilmente o indirettamente pone dei vincoli anche ai giudici di merito che, per effetto della riforma saranno essi stessi costretti ad attenersi ai principi di diritto affermati in precedenza dalla Suprema Corte. Ciò sembra in contrasto con la norma costituzionale contenuta nel secondo comma dell’art. 101 che prevede che i Giudici sono soggetti soltanto alla legge. Con la riforma i Giudici di merito sarebbero soggetti non più alla

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legge, ma ai principi di diritto affermati dalla Suprema Corte ed in tal modo si realizzerebbe una gerarchia tra Giudici non voluta dalla nostra Costituzione. Ancora l’ammissibilità al punto 2) dell’art. 360-bis viene condizionata a queste ipotesi: “quando il ricorso ha per oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte”. Se dovessimo attenerci al dato letterale di questa norma dovremmo concludere che tutti i ricorsi in cassazione dovranno ritenersi ammissibili e che pertanto il ruolo del filtro che la Corte andrà ad assumere, pronunciandosi in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile resa da un collegio di tre magistrati sull’ammissibilità o meno del ricorso, si tradurrà in una nefasta fucina di ordinanze non impugnabili frutto di scelte arbitrarie basate, nella migliore delle ipotesi, sugli umori del Giudicante di turno. Ed infatti affermare che il ricorso è ammissibile quando “Ha per oggetto una questione nuova”, significa affermare che ogni ricorso è ammissibile, in quanto ogni questione è nuova rispetto alla precedente. Affermare che il ricorso è ammissibile quando “la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento”, significa che in ogni caso si potrà ricorrere in Cassazione per richiedere alla Corte una conferma o un mutamento di indirizzo, quindi la declaratoria di inammissibilità sarebbe in ogni caso preclusa in quanto non troverebbe alcun supporto normativo, ma si fonderebbe solo sull’arbitrio. Affermare che il ricorso è ammissibile “quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte”, significa ammettere, contraddicendo il punto 1) che si potranno portare in cassazione anche provvedimenti che hanno deciso in modo difforme rispetto a precedenti decisioni della Corte, perché solo in tal modo si Quaderni

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potranno creare contrastanti orientamenti; a meno che quest’ultima norma non debba essere interpretata come norma transitoria in vigore sino a quando non si formerà il “vocabolario” dei principi di diritto. In quest’ultima ipotesi si ritornerebbe all’anno 426 D.C. quando l’Imperatore Teodosio II promulgò la Costituzione conosciuta anche come la “legge delle citazioni”, aprendo un periodo di grande decadenza del diritto e della giurisprudenza. I punti 3) e 4) dell’art. 360-bis sono così generici e sganciati dalla reale dinamica processuale da potersi ritenere pleonastici ed inutilizzabili. Il filtro così costituito non può che provocare danni gravissimi alla giustizia, al diritto ed alla sua evoluzione e l’avvocatura unita ha il dovere di mobilitarsi per bloccare questa perniciosa riforma. Nella consapevolezza che si rende necessario ridurre il numero dei ricorsi in Cassazione, gli interventi del legislatore devono indirizzarsi verso scelte più oculate e tali da non stravolgere la tradizione giuridica del nostro Paese.

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Relazione sull’attività del Consiglio nazionale forense svolta nell’anno 2008 Roma, 25 marzo 2009 di Guido Alpa* “...è qualcosa la giustizia giuridica, che si può far vivere nella realtà colla nostra opera quotidiana di giuristi, e colla quale possiamo contribuire anche noi, se abbiamo la consapevolezza della importanza sociale del nostro ufficio, a render meno aspre le miserie umane, e a difendere la civiltà” Piero Calamadrei, Fede nel diritto

Autorità, care Colleghe e cari Colleghi, desidero innanzitutto rivolgere un grato pensiero al Presidente della Repubblica, che ha sempre mostrato apprezzamento per il ruolo e le funzioni istituzionali dell’Avvocatura: il suo alto esempio, le sue parole, il suo mònito ci sono di conforto e di sostegno in questi momenti difficili; desidero ringraziare il Ministro Guardasigilli per la proficua collaborazione che si è instaurata tra il Consiglio e il Ministero della Giustizia, per l’attenzione che ci ha riservato al XXIX Congresso forense, e per l’attenzione che riserverà al progetto di riforma della nostra professione, progetto, come dirò, di formazione unitaria, trasmessogli il 27 febbraio, giorno della approvazione de*Presidente del Consiglio Nazionale Forense.

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finitiva del testo da parte del Consiglio. Ringrazio insieme con lui tutto il Gabinetto, i Sottosegretari, i direttori generali, i funzionari e il personale del Ministero. Ringrazio il Presidente del Consiglio e il Sottosegretario dott. Gianni Letta, per la sempre squisita sensibilità manifestata per i problemi della professione e della giustizia; ringrazio le Autorità presenti, gli alti Magistrati, la Corte di Cassazione, anche per la preziosa collaborazione prestata nei procedimenti disciplinari dai Sostituti Procuratori Generali, per la cooperazione svolta nell’ambito del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, per le occasioni di dialogo e di confronto franco, costruttivo e anche critico, riguardante la disciplina deontologica della professione forense e la soluzione dei problemi della giustizia. La partecipazione del Consiglio nazionale forense alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario e al Consiglio direttivo sono il suggello di una concezione duale della amministrazione della giustizia, che vede la Magistratura e 1’Avvocatura assolvere uno dei compiti essenziali dello Stato, in linea con una tradizione che è connaturata con la civiltà occidentale e risale ad epoche ben anteriori allo stesso “stato di diritto”. Ringrazio i rappresentanti delle diverse componenti dell’Avvocatura, per il contributo fattivo che, per proprio conto o in collaborazione con il Consiglio, ogni centro di interessi a base associativa ha saputo offrire a difesa della categoria forense. L’esposizione che porgerò riassume la più ampia ed analitica relazione, predisposta con un corredo dei documenti più rilevanti, con le statistiche e le altre relazioni tenute nelle cerimonie che hanno riguardato 1’Avvocatura; alla relazione scritta comunque faccio rinvio. 1. Un anno memorabile Quello appena trascorso sarà ricordato come un anno particolar-

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mente significativo; eventi memorabili si sono registrati per tutto il corso del 2008: la ritrovata unità di tutte le componenti dell’Avvocatura mosse dall’intento di rinnovare e ammodernare risolutivamente la disciplina della nostra professione; la redazione di un testo organico, nel quale l’ordinamento forense si è modellato secondo le attese di tutta la categoria ma rispecchiando gli interessi del Paese; la partecipazione al progetto di riforma della giustizia, con la predisposizione di organismi di conciliazione e mediazione gestiti dagli Ordini forensi presso i Tribunali; la elevazione della qualità della prestazione professionale mediante l’applicazione del regolamento di formazione permanente; la celebrazione di un congresso – il XXIX – in sintonia con le istituzioni. Ciononostante non dobbiamo abdicare alla nostra essenziale funzione, di difensori della legalità, di custodi dei diritti, di coscienza critica della società in cui svolgiamo il nostro lavoro. La funzione insopprimibile dell’Avvocatura è stato il leit motiv di tutte le occasioni di riflessioni offerte dagli argomenti discussi al Congresso. Le mozioni finali, nel ribadire l’impegno della categoria per la ripresa economica del Paese e per una più efficiente amministrazione della giustizia, hanno sottolineato l’esigenza di introdurre riforme non parziali, non frammentarie, non marginali, e la interdipendenza della riforma della giustizia e della riforma della professione forense. Con 1’esame dei caratteri delle due riforme vorrei quindi avviare – in poche battute – la relazione odierna. 2. La riforma della professione forense Come accennavo poc’anzi si è aperta una fase complessa per l’Avvocatura: non solo per la congiuntura economica, ma anche per le due riforme che si annunciano dense di novità: la riforma della Quaderni

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professione forense e la “riforma della giustizia”. La legge forense risale al 1933; l’esigenza di adeguarla al nuovo ordinamento costituzionale si era già delineata nel dopoguerra, ma le attese sono state sempre frustrate. Di una riforma complessiva si era già cominciato a discutere al primo congresso nazionale, organizzato a Firenze nel 1947, i cui atti sono stati da poco pubblicati nella collana della Storia dell’Avvocatura: anche in quella occasione, riforma della giustizia e riforma della professione forense erano state affrontate simultaneamente. Si provvide a riformare la giustizia, con la Novella del 1950, ma non la professione. All’inizio degli anni Sessanta il Ministro Guardasigilli del tempo, il prof. Guido Gonella, aveva provveduto a redigere un progetto, con il concorso del Consiglio nazionale forense; anche quel progetto non ebbe esito felice. Di poi varie piccole modifiche si sono apportate ad un complesso normativo che con il passare del tempo è diventato sempre più obsoleto. Nel frattempo 1’Avvocatura, oltre a rammentare al legislatore l’esigenza di una adeguata riforma, ha provveduto ad autodisciplinarsi in modo rigoroso: il codice deontologico, redatto nel 1997 e poi modificato più volte, da ultimo per effetto del decreto sulla liberalizzazione e poi accogliendo alcuni suggerimenti dell’Autorità di controllo della concorrenza e del mercato, costituisce uno dei complessi normativi (con regole di rango primario) più moderni che si possano riscontrare in Europa. Tuttavia vi sono modificazioni, regole di natura generale e non solo di dettaglio, che non si possono introdurre solo sul piano deontologico; d’altra parte, a distanza di quasi ottanta anni, sia per il decorso del tempo, sia per le nuove esigenze di una società moderna e tecnologicamente avanzata, sia per l’adeguamento della fisionomia della professione forense alle attese del mercato, sia per la concorrenza con le Avvocature degli altri Paesi sia con le altre professioni – con le quali, come oggi si dice – condividiamo il “mercato dei servizi legali”, era necessario ripensare integralmente la professione.

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Era necessario farlo nel contesto costituzionale, che non appare utile modificare, perché la Carta fondamentale riconosce alla nostra professione un rilievo determinante, nell’ambito della difesa dei diritti e della amministrazione della giustizia; era necessario farlo per confermare il ruolo e l’impegno dell’Avvocatura nell’apparato istituzionale, nel sistema economico e nella risoluzione delle controversie. 3. La riforma della giustizia La “riforma della giustizia” riguarda più aspetti della macchina, dell’apparato, delle regole, del sistema in generale. Il Ministro Guardasigilli ha proposto misure di snellimento del processo civile, oggetto di un’ampia rivisitazione delle fasi processuali, dei modelli processuali, del ruolo del giudice e dell’avvocato. Anche la “riforma della giustizia” è un leit motiv che “scandisce” i lavori congressuali, e si identifica con la stessa storia dell’Avvocatura moderna. Non c’è stata assise dell’Avvocatura, istituzionale e associativa, che non abbia dato rilievo alle esigenze di snellimento dei processi, di efficienza dell’apparato, di più corretta e qualificata prestazione del servizio. La riforma dell’ordinamento professionale e della disciplina di amministrazione della giustizia sono due obiettivi prioritari, tra loro indissolubili. Tuttavia, mentre siamo soddisfatti dei risultati raggiunti con la proposta unitaria che rinnova il ruolo dell’avvocato e ne proietta l’attività in un futuro di leale competizione e adeguata qualificazione, dobbiamo esprimere molte riserve sull’esito attuale (speriamo modificabile) del programma di riforma della giustizia. Le perplessità espresse in forma di “protesta collaborativa” sono state raccolte in tre documenti, l’11 luglio, il 28 febbraio e il 17 marzo scorso, nella relazione conclusiva del congresso di aggiornamento professionale, nella memoria depositata nel corso della auQuaderni

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dizione richiesta dalla Commissione Giustizia della Camera, in un comunicato stampa. Crediamo che sia innanzitutto necessario provvedere le risorse finanziarie per migliorare le strutture, gli impianti, l’organizzazione nel suo complesso; per assicurare lo sviluppo del processo telematico; per completare la pianta organica; per dotare gli uffici delle primarie forniture. Crediamo sia necessario risolvere il problema dei giudici onorari, per evitare che si abbiano a perpetuare o a iterare le sezioni stralcio. Crediamo che sia necessario ripartire il carico in modo ottimale, non con criteri geografici ma con criteri funzionali. Il Consiglio aveva chiesto la soppressione della disposizione che prevedeva l’inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di appello confermativa di quella di primo grado e la soppressione della disposizione che introduceva il quesito di diritto. Questi due obiettivi sono stati raggiunti, perché entrambe le previsioni sono state cassate nell’iter di approvazione conclusosi al Senato. È rimasta invece disegnata una disciplina del ricorso per cassazione che ha suscitato le critiche di tutti gli addetti ai lavori, e giudizi non positivi del Consiglio Superiore della Magistratura e dell’Associazione Nazionale Magistrati. Siamo consapevoli del carico di lavoro della Corte, così come dell’enorme flusso di ricorsi; riteniamo però che questo sia solo uno spicchio di una risolutiva riforma che dovrebbe avere un impianto complesso, sistematico, davvero rivolto ad imprimere una nuova svolta nel modo di amministrare questo servizio essenziale. Non condividiamo i criteri con i quali si è disegnato il cosiddetto “filtro” dei ricorsi. Ciò perché: l’inammissibilità dei ricorsi avverso le sentenze conformi a precedenti decisioni della Cassazione implica una uniformità di orientamenti giurisprudenziali; il riferimento alle “precedenti decisioni” implica l’assegnazione di autonomo rilievo a ciascuna pronuncia, che potrebbe anche essere difforme da altre rese dalla stessa Corte, potendosi quindi formare il giudizio di inammis-

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sibilità sulla base di un singolo precedente; la previsione dell’inammissibilità del ricorso quando non coinvolga una questione “nuova” implica l’impossibilità di adire il giudice di legittimità per invocare un mutamento di orientamenti. Infine, si introduce la sanzione per l’inammissibilità. Si limita il principio dispositivo, laddove sottrae alle parti le facoltà, ora concesse, per lo spiegamento della necessaria attività istruttoria, rimettendola alla sola valutazione del giudice, tra l’altro senza ricadute positive sui tempi del processo. Di fronte ad una soluzione che non vede d’accordo gli operatori del settore e che rischia di produrre effetti negativi maggiori di quanti non voglia evitarne, la soluzione del CNF è di stralciare il “filtro” dal disegno di legge per poi studiare un meccanismo più adeguato e soprattutto rispettoso della Costituzione. Posizione che ho avuto modo di rappresentare alla Commissione Giustizia della Camera e al Ministro Guardasigilli in precedenti occasioni d’incontro. Ma non si tratta solo di questo. L’intera concezione sembra fondarsi solo sulla necessità di modificare il testo del codice di procedura civile e di apportare “tagli” alle fasi processuali per ridurre i tempi di emissione della pronuncia. In realtà, appare del tutto inutile abbreviare i tempi dei diversi adempimenti se poi non si correla ad essi i tempi di decisione del magistrato. Il CNF ha già segnalato che non si può snellire il processo restringendo i tempi per l’esercizio dei diritti, o introducendo preclusioni che impediscono, o rendono più difficile l’accesso alla giustizia. Anche la semplificazione dei riti – pure invocata dall’Avvocatura – può essere utile, ma la scelta tra un processo sommario ed un processo ordinario così come formulata rischia di annullare i benefici dell’innovazione. Posso dilungarmi oltre sulle questioni tecniche, che sono affidate alla documentazione allegata alla relazione. Voglio però assicurare che il Consiglio, ove, come auspicato da molti, il Parlamento decidesse di “stralciare” le disposizioni che danno adito a queste inconQuaderni

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gruenze, si metterà a disposizione per redigere un testo più consono alle aspettative riformatrici. Non vi è necessità di aggregare altre categorie, destinate, per la loro origine e per la loro esperienza, a svolgere altre attività: 1’Avvocatura, per il suo ruolo istituzionale, e per l’attività di supplenza che fino ad oggi ha svolto, sarà in grado di cooperare nel modo più fattivo: ma occorrono mezzi, persone, capitali, ed una coerente volontà. 4. I consigli giudiziari Occorre anche provvedere al completamento della riforma dell’ordinamento giudiziario. L’ingresso di una componente non togata nei consigli giudiziari è stata motivata dall’acquisizione di «apporti conoscitivi dell’avvocatura»: un compito circoscritto, che il Consiglio ha sempre considerato troppo angusto perché fosse possibile, attraverso la nuova composizione di questi organi, avviare quel proficuo lavoro di cooperazione che appariva necessario per amalgamare le due componenti della amministrazione della giustizia e dare un maggior impulso alla efficienza della macchina giudiziaria. L’emanazione della l. 150/2005 ha posto in risalto anche simbolico e di principio la presenza del Presidente del Consiglio dell’Ordine distrettuale come membro di diritto, specularmente alla posizione del Presidente del CNF in seno al Consiglio direttivo della Cassazione e nell’ambito della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Tuttavia gli avvocati sono esclusi dall’attività del consiglio giudiziario relativa alle valutazioni sulla professionalità dei magistrati. La formulazione scelta prevede sì un numero di avvocati superiore rispetto al testo precedente, ma ciò non apporta miglioramenti in termini di pluralismo e democraticità in quanto è la componente laica

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nel suo complesso ad essere ridotta nella proporzione con i magistrati, mentre la presenza di altre categorie esterne alla magistratura è, come detto, fattore di arricchimento e non di perdita. La valutazione della professionalità dei magistrati che introduce la procedura concorsuale con valutazioni di professionalità da redigersi in sede locale e da sottoporre al C.S.M. lascia adito a molti dubbi. È stato accolto tuttavia l’emendamento del C.N.F., integrando la norma con la formulazione che è poi divenuta definitiva, che permette al Consiglio dell’Ordine di trasmettere le sue segnalazioni al Consiglio giudiziario e poi, in ogni caso, al C.S.M. Il vero punctum dolens, dunque, è la partecipazione non paritaria dei componenti avvocati, rispetto ai magistrati. Non si dovrebbe avere timore di consentire la partecipazione degli avvocati nei Consigli giudiziari nella pienezza delle funzioni, pur con le cautele che si possono adottare quando si tratta di esprimere valutazioni sui singoli magistrati. E si segnala l’opportunità di uniformare i regolamenti distrettuali, che presentano notevoli varianti l’uno dall’altro, quasi che l’amministrazione della giustizia potesse variare anche sotto il profilo delle norme applicabili da un distretto all’altro. 5. L’attuazione del regolamento per la formazione permanente La fase sperimentale dell’attuazione del regolamento per la formazione permanente ha dato risultati eccezionali, che sono andati assai al di là di quanto si sarebbe sperato quando si concepì questa grande operazione di aggiornamento, miglioramento e perfezionamento della attività professionale. Tutti gli Ordini di sono prodigati, con notevoli sforzi, con le modeste risorse a disposizione, con la dedizione di una categoria che voleva dare a se stessa prima che all’esterno il segnale della ripresa e del cambiamento. Le statistiche Quaderni

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riportate sono eloquenti. E il Consiglio ha agevolato l’attuazione del regolamento, l’acquisizione dei crediti, l’insegnamento a distanza, la circolazione delle idee e delle esperienze, valutando centinaia di iniziative, e approvandone la quasi totalità. 6. L’attività disciplinare Con estrema dedizione il Consigliere Segretario ha organizzato, con il concorso di altri Colleghi l’attività disciplinare, la preparazione delle ricerche legislative e giurisprudenziali, l’uniformazione delle pronunce. Nell’insieme, possiamo ritenere che sia aumentata quantitativamente la capacità decisoria del Consiglio. Si sono tenute 43 udienze disciplinari (32 nel 2007), esaminando 408 ricorsi, decidendone 295, con un aumento dunque di quasi un quarto (24%), e rinviandone 113. Ben 148 le sanzioni disciplinari erogate comprendenti sanzioni gravi, quali la radiazione e la cancellazione e la sospensione, e sanzioni più lievi. L’attività è illustrata dalle tabelle e dai documenti allegati a questa relazione. In termini generali possiamo segnalare con soddisfazione che solo in quattro casi la Cassazione ha rinviato gli atti al Consiglio, segno che le due giurisdizioni si muovono lungo coordinate in gran parte convergenti. Da ultimo abbiamo dovuto registrare una innovazione assai significativa proveniente da un mutamento di indirizzo delle Sezioni Unite: mi riferisco alla recente pronunzia che ha stabilito la impugnabilità anche della mera delibera di apertura del procedimento. Gli esiti di tale pronunzia sono ancora allo studio del CNF. Per un verso essa rischia di moltiplicare i casi portati alla cognizione del Consiglio nazionale; per altro verso potrà probabilmente comportare una maggiore analiticità e completezza nella formulazione dei capi di incolpazione da parte degli ordini locali.

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7. L’attività delle Commissioni In appendice si possono riscontrare i risultati dell’attività delle Commissioni, a cui in questa sede posso dedicare solo un breve cenno. Alla Commissione legislativa si deve 1’apporto principale per l’elaborazione del progetto di riforma dell’ordinamento professionale, che ha richiesto una costante attenta calibrata formulazione, in costante contatto e rapporto dialettico con gli Ordini e con le altre componenti dell’Avvocatura. Su questo punto mi sono già soffermato, ma tenevo a rimarcarlo ancora. La Commissione consultiva ha compiuto nel corso dell’anno 2008 un intensa attività, riunendosi costantemente e svolgendo ampi dibattiti sui temi oggetto di quesiti. A fronte della sopravvenienza di 60 nuovi quesiti nel totale dell’anno, la Commissione ha emesso 48 pareri, cui vanno aggiunti i casi di archiviazione ed inoltro dei quesiti, ossia nei quali la Commissione non ha potuto dare risposta in quanto non competente. In relazione a quanto svolto nell’anno 2008, quindi, l’arretrato può dirsi sostanzialmente assente. Tra le tematiche più interessanti affrontate dalla Commissione si segnalano qui di seguito: il parere n. 6/2008, circa i diritti di accesso di terzi agli atti del procedimento disciplinare; il parere n. 9/2008, recante un orientamento sul complesso problema della durata complessiva del periodo di abilitazione al patrocinio provvisorio; il parere n. 10/2008, sull’incompatibilità dell’iscrizione nell’albo degli agenti di calciatori con la professione forense; il parere n. 14/2008, circa gli effetti dell’assenza del segretario nelle adunanze dei COA; il parere n. 24/2008, sulla valenza di schede elettorali con un numero di nominativi inferiore al numero dei seggi consiliari; il parere n. 46/2008, sull’ipotesi che consiglieri uscenti non intendano sottoscrivere le decisioni disciplinari assunte dal COA durante il loro mandato. La Commissione che si occupa della deontologia ha svolto un riQuaderni

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levante lavoro dedicato innanzitutto alle problematiche sollevate dalla Autorità antitrust; ha predisposto una analisi del processo disciplinare, evidenziandone alcuni aspetti che richiedono un intervento migliorativo; ha predisposto un testo di codice comune alle Avvocature dell’Europa mediterranea, che dovrebbe essere approvato prossimamente. Nel corso dell’ultimo anno la Commissione tariffe si è dedicata principalmente allo studio dell’elaborazione delle nuove tariffe professionali, non senza essersi occupata altresì di alcune richieste di parere nel frattempo pervenute da alcuni Consigli dell’ordine. La elaborazione di una nuova proposta tariffaria largamente ispirata ad esigenze di snellimento e semplificazione, di chiarezza della prestazione, di tutela del cliente; ed è correlata alla richiesta della reintroduzione delle tariffe minime obbligatorie, dal momento che la riforma di liberalizzazione si è risolta nella penalizzazione di quegli interessi – gli interessi dei consumatori – che invece si proponeva, almeno labilmente, di proteggere. Le proposte sono all’esame del Ministero della Giustizia, e ci auguriamo che esse possano essere rapidamente discusse per modo che non sia ostacolata la nuova disciplina, richiesta peraltro anche dalla direttiva comunitaria sui servizi, che deve essere attuata entro la fine di questo anno. La Commissione tributaria si è occupata prevalentemente degli studi di settore, anche sotto il profilo della considerazione delle differenze di genere, ed in particolare ha partecipato al lavoro della Commissione di esperti per la revisione straordinaria congiunturale col connesso questionario da diffondere tra gli iscritti. Ha dato contributi sul tema della giustizia tributaria ed ha promosso approfondimenti in ordine agli incentivi tributari alle categorie professionali ritenuti opportuni nell’attuale tempo di crisi, in relazione al quale i percorsi semplificati e gli automatismi di accertamento sviluppati negli ultimi tempi appaiono strumenti di misurazione del reddito effettivo sempre meno coerenti.

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Il gruppo di lavoro sull’antiriciclaggio ha svolto ampia attività interpretativa e divulgativa della materia ed ha mantenuto fruttuosi contatti con 1’UIF in vista dell’emanazione degli “indicatori di anomalia”. La Commissione sull’accesso e la formazione ha cooperato alla elaborazione delle disposizioni della riforma su questi temi, ed ha avviato i contatti con altre istituzioni – CSM, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato – per la organizzazione di corsi e seminari comuni, nell’intento di ampliare la formazione degli avvocati ed aprirla ad esperienze professionali che possano arricchire il bagaglio delle conoscenze. Rilevante il lavoro della Commissione per la procedura civile, che si arricchisce dell’apporto di autorevoli colleghi accademici, e che ci consente la sequela di una legislazione processuale sempre più erratica e di difficile comprensione. Grazie a questa Commissione il Consiglio ha potuto dibattere con ampiezza e con un franco scambio di opinioni tutti i testi che hanno contrassegnato il faticoso iter della riforma; contiamo sulla Commissione anche per elaborare le ulteriori proposte che si renderanno opportune. Fervente anche l’attività della Commissione per la Storia dell’Avvocatura che ha tenuto regolari riunioni nel corso dell’anno 2008, l’ultima delle quali presso Villa Carmignani di Collesalvetti, patrimonio dell’Avvocatura e sede della Fondazione Giuliana Carmignani che annovera tra i suoi soci anche il Consiglio Nazionale Forense. Nella Collana del Mulino sono apparsi due significativi volumi: quello di Meuccio Ruini, Luigi Corvetto genovese, Ministro e restauratore delle finanze di Francia (1756-1821); e gli Atti del primo Congresso nazionale giuridico forense del secondo dopoguerra (settembrenovembre 1947). Altri volumi sono in procinto di essere stampati. Particolarmente significativa è stata la proposta della Commissione, fatta propria dal Consiglio nazionale, di istituire tre borse di studio, per l’importo di euro 6.000,00 ciascuna, da conferire e collegare a Quaderni

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tesi di dottorato dedicate e riservate alla storia dell’avvocatura. Il Gruppo di lavoro per le politiche giovanili sta predisponendo una proposta di ricerca diretta a conoscere meglio le condizioni di crescita professionale dei giovani avvocati e le dinamiche di incontro con l’utenza, per cogliere le ipotesi e di percorsi di cambiamento. In questo contesto di attenzione al mondo giovanile dell’avvocatura, il C.N.F. ha organizzato due importanti eventi diretti a informare, sensibilizzare e “formare” i giovani – i più pronti al cambiamento – all’associazionismo professionale, quale strumento di opportunità di crescita in cui credere per l’inserimento nel mondo professionale. Il riferimento è ai convegni di Cervia del maggio 2008 e di Milano dell’ottobre 2008. La Commissione pari opportunità si è distinta per organicità e sistematicità nella conduzione dei propri lavori, culminati nel rinnovo del Protocollo con il Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (sottoscritto in forma solenne lo scorso 29 gennaio), e in molti convegni che hanno inteso portare la questione di genere al centro dell’attenzione dell’Avvocatura, e si propongono di alimentare una rete di commissioni pari opportunità sul territorio in modo capillare. La Commissione per l’informatica ha predisposto un ampio programma di rinnovamento che vede nel Consiglio Nazionale Forense il punto di riferimento della trasformazione tecnologica destinata agli avvocati. La Commissione cultura ha predisposto un protocollo per la costituzione dell’Osservatorio sui diritti umani, in collaborazione con 1’Università Kore di Enna. Dell’attività della Commissione Affari internazionali dirò tra proco, nell’esposizione delle problematiche relative alla Avvocatura europea.

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8. L’attività delle Fondazioni Il 2008 è stato un anno contrassegnato da grande vitalità nelle attività delle tre Fondazioni che sorreggono il Consiglio nazionale forense nelle sue attività istituzionali. La Scuola superiore dell’avvocatura. La Fondazione, che segue le attività delle numerose e pregiate Scuole forensi attivate presso gli Ordini, ha proseguito nell’anno passato l’attività di formazione dei formatori, tramite l’organizzazione di seminari, a Roma e in molte sedi di Scuole forensi, anche in collegamento con le Università, per un totale di 37 eventi sparsi nel territorio. Ma soprattutto si segnalano due iniziative di particolare rilievo. La Scuola superiore dell’avvocatura, nell’aprile 2008, ha costituito un gruppo di studio per la redazione delle Linee guida per la scuole forensi, Linee guida che sono state poi presentate a Roma il 22 settembre scorso. Le Linee guida propongono un metodo e contenuti minimi per la formazione iniziale dell’aspirante avvocato per garantire una omogeneizzazione di corsi di formazione organizzati presso le singole Scuole, pur rispettandone l’autonomia e le esigenze specifiche. Nella medesima occasione si è insediato il Coordinamento centrale delle Scuole, un organismo destinato ad agevolare un collegamento sistematico tra le scuole forensi e tra queste e la Scuola superiore. Sempre nella direzione di creare un collegamento ideale tra i sistemi di formazione al fine del loro potenziamento, ma questa volta a livello europeo, va un’altra importante iniziativa che si è tenuta lo scorso 6 novembre a Roma. Per la prima volta tutte le avvocature aderenti al CCBE si sono confrontate sui modelli formativi, per individuarne le diversità e focalizzare best practice da mutuare nei vari ordinamenti. Il seminario si è concluso con l’approvazione di una Dichiarazione sulla formazione comune europea dell’avvocato. Anche sul piano della uniformazione del diritto, in particolare del diritto privato, la Scuola si è segnalata per i risultati di un seminario Quaderni

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internazionale, a cui hanno partecipato avvocati ed accademici tra i più prestigiosi d’Europa, ed i cui atti sono in corso di pubblicazione. La Fondazione dell’avvocatura. Nell’anno 2008 l’operatività della Fondazione si è caratterizzata per l’intesa collaborazione con l’attività del Cnf. Infatti, fin dall’inizio del 2008, la Fondazione ha svolto e svolge per conto della Commissione crediti formativi del Cnf, l’istruttoria preliminare sulle istanze di accreditamento relative alla formazione professionale continua. Dall’aprile 2008 la Fondazione, nell’ambito del suo scopo statutario di promuovere l’immagine dell’avvocatura, gestisce l’ufficio stampa del Cnf e pubblica la rivista Attualità forensi sia in forma cartacea bimestrale sia in forma telematica quindicinale, in collaborazione con Wolters Kluwer. Nel corso dell’anno si è completato il lavoro preparatorio per la pubblicazione del Commentario sui regolamenti comunitari concernenti l’assunzione della prova e le notificazioni all’estero. Inoltre, nel 2008 sono proseguiti i seminari decentrati su “La normativa antiriciclaggio”, in collaborazione con l’Ufficio legale della Banca d’Italia e il Comando generale della Guardia di Finanza. Nel febbraio 2008, in sinergia con l’AIGA, è stata commessa al Censis un’indagine sociologica sul tema “L’avvocatura italiana ripensa al sistema giustizia” che ha portato alla pubblicazione a stampa di un rapporto organico che è stato presentato in una specifica manifestazione tenuta a Palazzo Giustiniani il 23 luglio 2008 con l’intervento del Presidente del Senato, del Ministro della Giustizia e del Presidente del Consiglio Nazionale Forense. La Fondazione per l’innovazione e l’informatica forense. Il compito di agevolare la conoscenza dell’innovazione forense resta obiettivo che il C.N.F. ha inteso perseguire attraverso lo strumento della Fondazione, che viene messo a disposizione di tutti gli Ordini forensi. Dalla sua istituzione, avvenuta nel 2006, La Fondazione ha attivato una rete di referenti informatici nominati da ciascun Ordine

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forense territoriale; ha proseguito l’impegno del C.N.F. di sollecitare ed incrementare lo sviluppo dei rapporti con gli Organi giudiziari per l’accesso degli avvocati agli uffici stessi; è stata data ulteriore esecuzione al Protocollo con il Consiglio di Stato e con i Tribunali Amministrativi Regionali; si è provveduto ad attivare interventi presso la Corte di Cassazione per ripristinare l’accesso al C.E.D. La Fondazione ha attualmente in corso di perfezionamento la rete intranet con i Consigli degli Ordini Forensi territoriali e tra i Componenti del Consiglio. L’attività di e-learning è stata avviata con alcuni prodotti di agevole utilizzazione. Sono stati creati rapporti con il CASPUR che è un Organismo di gestione dati di natura consortile con le Università romane, il MIUR e il Ministero di Giustizia. Tale contatto ha permesso di avviare la trasmissione degli eventi C.N.F. in modalità “streaming”: il nuovo sistema è stato inaugurato in occasione della seduta di apertura del IV Congresso di aggiornamento professionale, che si è tenuta a Roma la scorsa settimana ed è stato attivato anche oggi, in modo da consentire la visione in diretta tramite il proprio pc di questa Cerimonia. Si apre, con queste iniziative, una stagione innovativa nell’attività forense che potrà percorrere nuove vie di valorizzazione del ruolo professionale di ogni avvocato utilizzando, con prospettive vantaggiose, i nuovi mezzi tecnologici la cui conoscenza non è sempre molto diffusa nell’ambito forense. 9. Le iniziative culturali Nella convinzione che la crescita professionale dell’avvocatura e la sua qualificazione appartengano ai fondamenti della deontologia professionale e integrino anche un fattore di sviluppo delle potenzialità e di espansione dei settori di attività, il Consiglio ha profuso anche quest’anno molte energie nell’attività culturale direttamente organizzata. A partire dal IV Congresso di aggiornamento che si è Quaderni

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chiuso proprio qualche giorno fa a Roma e che si va affermando di anno in anno quale evento di grande successo, come confermano i dati sulla partecipazione, che in questa edizione ha contato 2.300 avvocati iscritti che hanno seguito le varie sessioni, e gli interventi di alcuni tra i più prestigiosi avvocati italiani impegnati su temi nuovi e controversi (dalla riforma del processo civile, al testamento biologico, alla class action), oltre alle problematiche afferenti alla deontologia professionale, ai temi riguardanti il diritto e la procedura penale, l’ambiente, le pronunce più interessanti della materia civilistica, il diritto privato regionale, la conciliazione e la mediazione, e molti altri argomenti. Intensa è stata 1’attività seminariale del CNF, con l’assegnazione dei relativi crediti formativi. Cito solo alcuni degli eventi: il ciclo dedicato ai grandi codici di settore, in collaborazione con cinque Università (Genova, La Sapienza di Roma, Firenze, Macerata e del Molise), i seminari organizzati in collaborazione con la Corte di cassazione, il convegno sul Draft Common Frame of reference del diritto privato europeo. È proseguita la collaborazione con la Law Society e il General Bar Council che ha consentito di svolgere come di consueto sia il corso estivo sulla negoziazione e la redazione dei contratti e la cui nuova edizione in fase di organizzazione; sia il corso di inglese giuridico. L’impegno internazionale ha visto quest’anno il Cnf organizzare a Lipari, nell’ottobre scorso, la Conferenza dei presidenti delle avvocature del Mediteranno; partecipare alla costituzione a Enna dell’Osservatorio sui diritti umani nei paesi del Mediterraneo; firmare a Parigi, nel dicembre scorso, la Convenzione degli avvocati nel mondo. Le riviste del CNF, Rassegna forense e Attualità forensi, sono state oggetto di un progetto di rivitalizzazione (tra cui la nuova convenzione con Wolters Kluver per la pubblicazione di Attualità forensi) nella convinzione della loro insopprimibile funzione di ana-

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lisi e comunicazione sui temi più sensibili per la professione legale. Pubblicazioni a cui si accompagna la rivista della Scuola superiore dell’Avvocatura, Diritto & Formazione. Inoltre quest’anno il CNF, in occasione del XXIX Congresso forense che si è tenuto a Bologna nel novembre scorso, ha pubblicato un volume (dal titolo II Consiglio nazionale forense) con l’idea che potesse servire come strumento di informazione e di aggiornamento sulle funzioni istituzionali del Consiglio e sulle iniziative più rilevanti promosse nel corso degli ultimi anni dal Consiglio stesso e dalla sue Fondazioni. Con la stessa tipografia (Antezza di Matera), questa volta in occasione del IV Congresso di aggiornamento professionale, si è pubblicato un volume che contiene i risultati di due ricerche commissionate dal Consiglio al Censis (Comunicare il Futuro. Il ruolo sociale dell’avvocato) e al Dipartimento di Scienze dell’educazione – facoltà di scienza della formazione, Università Roma Tre (L’avvocato “visto” dai media. L’immagine dell’avvocato nella stampa e nella televisione), risultati che erano stati anticipati nel corso di una tavola rotonda organizzata in occasione del Congresso forense di Bologna. 10. Gli avvocati italiani nel Paese e in ambito europeo Il 2008 è stato un anno di intensa attività per l’avvocatura sul piano internazionale. La Commissione ed il Parlamento europeo hanno adottato numerose iniziative in materia di accesso alla giustizia (libro verde sui rimedi collettivi, libro bianco sulla tutela giurisdizionale contro le violazioni del diritto della concorrenza, risoluzione parlamentare sull’atto autentico europeo, libro verde sulla società europea). L’OECD ha prodotto un rapporto sulla concorrenza nei servizi giuridici, mentre la Commissione europea ha pubblicato uno studio sulla concorrenza nei servizi di trasferimento della proprietà immobiliare. Il 2008 ha visto anche l’avvio del Forum europeo della Quaderni

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Giustizia, nel quale l’avvocatura è rappresentata dal CCBE. Gli impegni dell’avvocatura a livello internazionale resteranno intensi anche nel corso del 2009. Il CCBE si sta preparando al rinnovo delle Istituzioni comunitarie (Parlamento europeo a giugno e Commissione europea ad ottobre) ed ha definito un “Manifesto per l’avvocatura” nel quale sono elencate le priorità politiche della professione da perseguirsi nel corso della prossima legislatura europea. Nel corso della prossima legislatura, peraltro, potrebbe essere avviata la revisione della direttiva 98/5/CE sull’esercizio del diritto di stabilimento da parte degli avvocati. Il CCBE ha costituito un apposito gruppo di lavoro, del quale fanno parte i coordinatori delle commissioni su libera circolazione degli avvocati, deontologia e concorrenza, al fine di cooperare costruttivamente con la Commissione nell’identificazione di eventuali aree della direttiva che possano essere oggetto di modifica. Occorre considerare, a tale riguardo, che la Commissione considera la direttiva sullo stabilimento degli avvocati come uno dei migliori atti legislativi di diritto comunitario derivato, alla luce dei risultati che tale direttiva ha prodotto e dell’assenza di problemi in fase di trasposizione. Non sono pertanto attese modifiche particolarmente incisive del quadro giuridico ad oggi applicabile a livello europeo. Sempre sul fronte delle regole professionali, il CCBE ha avviato – tramite la commissione per la deontologia – i lavori preparatori per la definizione di un codice deontologico comune, la cui portata andrà oltre quella dell’attuale codice del CCBE, che trova applicazione nei soli casi di natura transfrontaliera. A tale riguardo un questionario è stato predisposto e diffuso dal CCBE per effettuare una ricognizione del principio del segreto professionale nei 27 stati membri dell’UE e negli altri paesi dell’EFTA le cui avvocature sono parte del CCBE. Il lavoro della sottocommissione per la predisposizione di un codice deontologico comune sarà presumibilmente lungo ed intenso, come richiede l’obiettivo che la stessa deve raggiungere. A tale riguardo, è opportuno ricordare che le avvocature di Italia, Francia e Spagna

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stanno collaborando da tempo all’armonizzazione dei propri codici deontologici e che il lavoro da esse svolto è stato stimolo ed ispirazione per quanto fatto dal CCBE. Il lavoro del CCBE resta intenso anche sul piano del diritto sostanziale e processuale europeo. Il gruppo di lavoro sul diritto contrattuale europeo ha condotto un’analisi approfondita del “Draft Common Frame of Reference” del 2008, producendo numerosi memoranda e position paper su temi. La commissione del CCBE sul diritto societario si è soffermata, nel corso del 2008, sull’iniziativa della Commissione europea volta a definire i principi per il funzionamento di una “Società Privata Europea”. Il lavoro della commissione del CCBE è stato approvato dallo Standing Committee di ottobre 2008 e le osservazioni sono state trasmesse alla Commissione europea. In particolare, sono stati individuati alcuni punti critici nella proposta comunitaria quali: la necessità (e le caratteristiche) di un elemento tranfrontaliero per consentire la costituzione della società europea. I requisiti di capitale necessari alla costituzione dell’anzidetta società. La possibilità per le imprese extra-comunitarie di ricorrere al modello europeo di società. La commissione di diritto societario ha inoltre prodotto una risposta alla consultazione della Commissione europea sullo “Small Business Act”, iniziativa comunitaria volta a semplificare gli oneri per le piccole imprese. Tale risposta è stata approvata dallo Standing Committee di marzo 2008. Hanno contribuito ai lavori, per la Delegazione italiana, gli esperti Avv.ti Marco Weigmann e Erica Senini. La commissione del CCBE sull’accesso alla giustizia sta conducendo un lavoro di monitoraggio e commento delle attività della Commissione europea in materia di rimedi collettivi a favore dei consumatori. Nel marzo del 2008, è stata predisposta una risposta del CCBE ad una consultazione avviata dalla Commissione europea in materia Quaderni

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di rimedi collettivi. Nella seconda parte del 2008, la commissione sull’accesso alla giustizia è ritornata sul tema, a seguito della pubblicazione, da parte della Commissione europea, di un Libro Verde sui rimedi collettivi. La posizione del CCBE è stata predisposta nel corso degli ultimi mesi del 2008 ed è stata approvata a Vienna nello scorso mese di febbraio. Le attività della commissione del CCBE sulla concorrenza sono state particolarmente intense nel corso del 2008, e continueranno ad esserlo nel 2009. La commissione è stata impegnata nell’esame dello studio della Commissione sui servizi di trasferimento della proprietà immobiliare: pur rilevando carenze nella metodologia seguita dallo studio, il CCBE ha chiarito nella propria posizione che è essenziale che la sicurezza nei trasferimenti della proprietà immobiliare sia assicurata da professionisti del diritto che siano membri di professioni regolamentate, sostenendo che tali servizi possano essere efficacemente forniti dagli avvocati, come già avviene in alcuni paesi dell’UE. La stessa commissione ha inoltre preso posizione sul libro bianco della Commissione europea sui rimedi giurisdizionali contro la violazione del diritto comunitario della concorrenza, evidenziando la necessità che tali rimedi siano coerenti con i principi fondamentali dei sistemi giurisdizionali nazionali e mettendo in guardia la Commissione contro il rischio di una frammentazione eccessiva del sistema dei rimedi che deriverebbe dall’introduzione di azioni collettive ad hoc per il diritto della concorrenza. Le commissioni del CCBE sulla libera prestazione dei servizi e sulla libera circolazione degli avvocati si stanno occupando, rispettivamente, della trasposizione della c.d. Direttiva Servizi negli ordinamenti nazionali e della prossima revisione della Direttiva 98/5/CE sulla libera circolazione degli avvocati. Sul piano della deontologia, il CCBE ha svolto tre ordini di attività: in primo luogo è stato proseguito il lavoro sui principi fondamen-

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tali dell’avvocatura; in secondo luogo, sono stati seguiti i lavori della Commissione europea nel quadro dell’iniziativa sulla trasparenza; infine, sono state poste le basi per lo studio e l’elaborazione di un codice deontologico comune. La task force del CCBE sul riciclaggio ha predisposto un commentario sul documento del GAFI relativo all’approccio basato sul rischio nell’adempimento, per i professionisti, degli obblighi che discendono dalle normative anti-riciclaggio. Il documento, sul quale hanno lavorato per l’Italia gli Avv.ti Colavitti e Cocuzza, è stato elaborato dal CCBE in collaborazione con l’IBA. Il CCBE ha inoltre definito ed approvato una raccomandazione per gli Stati membri sul segreto professionale alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale belga, del Consiglio di Stato francese e della Corte di Giustizia CE. Tali sentenze riconoscono che gli obblighi anti-riciclaggio non possono interferire con il diritto/dovere dell’avvocato di rendere assistenza e consulenza giuridica nel rispetto del segreto professionale. Per concludere, è opportuno ricordare l’attività svolta dal CCBE nei confronti dei paesi dell’Europa centro-orientale. I due Stati membri divenuti parte dell’UE nel 2008, Bulgaria e Romania, sono stati accolti dal CNF, a nome di tutte le avvocature europee, in un incontro svoltosi a Roma. Il 2008 si è concluso con un evento memorabile: la sottoscrizione a Parigi della “Carta degli avvocati nel mondo”, un evento collocato nell’ambito delle celebrazioni dei sessanta anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e della Convenzione europea dei diritti umani. Per tutto l’anno il Consiglio ha partecipato alle iniziative promosse per la celebrazione dei sessanta anni della Costituzione repubblicana, la tavola di valori sui quali si forma la coscienza, prima ancora che la competenza e la professionalità, di ogni avvocato.

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11. Congedo La definizione di un nuovo statuto della professione forense implica la riaffermazione del ruolo indefettibile della difesa, per l’attività contenziosa, e della consulenza, per l’attività stragiudiziale. Anche se nei progetti di riforma costituzionale si è prospettata l’ipotesi di inserire l’Avvocatura come secondo pilastro della amministrazione della giustizia – riconoscimento esplicito che avrebbe il significato di raffigurare testualmente una organica distribuzione dei ruoli istituzionali nel testo costituzionale – il ruolo costituzionale della difesa e della consulenza per la tutela dei diritti sono già contenute nel dettato della Carta fondamentale, sia nel disposto dell’art. 24 sia nel disposto dell’art.111. Ma là dove gli avvocati svolgono le funzioni supplenti, si può trovare un riferimento anche nell’art. 101. La giustizia è funzione condivisa e ripartita tra Magistratura e Avvocatura, e come la Magistratura ha bisogno di guarentigie perché siano assicurate la sua autonomia e la sua indipendenza, così 1’Avvocatura richiede altrettante garanzie perché possa svolgere il suo ufficio in libertà e dignità. Nessuna professione può sostituirsi a quella forense nell’esplicazione di questo ufficio: 1’Avvocatura ha le sue peculiarità, che non possono essere confuse con quelle di altre professioni, né possono essere scolorite fino a renderle omologabili ad una tanto vaga quanto pericolosa professione “economico-giuridica”. L’attività stragiudiziale ha due componenti essenziali: l’attività consultiva inerente alla difesa in giudizio, e l’attività contrattuale e di assistenza nei rapporti familiari, nei rapporti imprenditoriali, nel settore delle attività non profit. È un’attività professionale che non si confonde con l’attività d’impresa: di qui l’incompatibilità dell’esercizio della professione, che è personale, con gli schermi societari tipici delle imprese commerciali. Ovviamente è utile verificare se la STP introdotta con il d.lgs. n. 96 del 2001 abbia risposto alle attese, e se sia opportuno modifi-

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carla; è utile verificare se un diverso schermo societario, modellato sui requisiti della attività professionale, possa essere concepito senza peraltro dare ingresso a soci non professionisti, che, con qualsiasi limite alla partecipazione, potrebbero mettere a repentaglio l’esercizio dell’attività intellettuale così come verificata dall’esame di Stato e dalla formazione permanente, consentirebbe l’ingresso di interessi economici conflittuali con quelli della difesa o della consulenza, implicherebbe l’erosione del segreto professionale, si sottrarrebbe al controllo deontologico. È un’attività professionale che, in quanto espressione del lavoro indipendente, è svolta a proprio rischio da ciascuno dei suoi appartenenti, i quali non possono fare affidamento né su agevolazioni né su sostegni di natura finanziaria, tecnologica, assistenziale. La riforma della previdenza forense, che si è compiuta proprio pochi mesi fa, indica come tutto l’impianto si regga sul contributo esclusivo della categoria e sui sacrifici che ciascun iscritto compie diuturnamente. È un privilegio essere lavoratori autonomi e distinguersi dalle imprese, ma fino a che punto deve spingersi il sacrificio? Possiamo continuare ad applicare i criteri presuntivi degli “studi di settore” senza badare alla situazione critica in atto e senza colmare il discrimen tra professionisti e PMI? Come si vede, gli interrogativi che si affollano alla mente quando si pensa a come migliorare la posizione dell’Avvocatura nel nostro Paese sono pressanti e talvolta inquietanti. Resta la soddisfazione di aver servito con tutte le forze questa nostra categoria ed insieme il nostro Paese, non avendo mai perso, come ci esortava Piero Calamandrei, la fede nel diritto. Vi sono grato per l’attenzione.

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Deontologia e Cassa Forense. Centralità e rilievo della Cassa di Marcello Colloca* Se le libere professioni attraversano oggi un momento di crisi, soprattutto nell’immagine rivolta alla società, è perché ormai è tramontata la figura del professionista che sia in grado di assurgere a punto di riferimento della comunità in cui opera. E ciò anche nei modelli più recenti di professionista-tecnico o di professionista-manager, pur se in grado di affrontare e risolvere, con specifica competenza, le scelte economiche e gestionali del cliente; di quel cliente che, di contro, è ormai diventato ogni giorno più dominus e, come tale, sempre più esigente. Tutto con l’ovvia conseguenza che le professioni – e fra queste prima fra tutte l’avvocatura – non possono ritrovare spazio soltanto nella tecnica e nell’efficienza, anche se tecnica ed efficienza sono requisiti necessari ma pur sempre non sufficienti. È quindi necessario e indispensabile che il libero professionista riacquisti quel prestigio che da sempre ha caratterizzato e che, nel contempo, valga a garantire al cliente “qualcosa in più”, non soltanto in termini tecnici, ma, soprattutto in termini qualitativi e umani. Un “qualcosa in più” che sia rappresentato dal quel tocco di “sapienza”, che nell’accezione classica del termine, deriva dal solco di quella tradizione che manca ai manager e, ancor più, è ignota al tec* Avvocato del Foro di Vibo Valentia. Vice Presidente della Cassa di Previdenza e Assistenza Forense.

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nico, ma che oggi non può mancare e, soprattutto, non deve essere ignoto dall’avvocato. L’avvocato nella società di oggi fa certamente parte di una categoria molto differenziata, e ciò non soltanto per ragioni di età o di anzianità professionale, ma principalmente per appartenenza ad aree geografiche distinte da sensibili variazioni nel tenore di vita, per diverse modalità di esercizio della professione, per settori di attività, per organizzazione del lavoro, per aggiornamento culturale e professionale. Ed è proprio in questo quadro così diversificato, e per la sua visibilità professionale, che diventa essenziale e determinante per l’avvocato “sapiens” la conoscenza delle problematiche previdenziali imprescindibili come è quella tenutezza contributiva che, nel contesto della centralità di Cassa Forense, consente di realizzare quelle finalità solidaristiche cui è improntato il sistema assistenziale e previdenziale di categoria. Ecco come, a questo punto, diventa forte il richiamo alla deontologia e ai doveri da questa imposti, come obblighi che acquistano per il mondo forense significati che vanno oltre l’analisi di quanto e dovuto sul piano comportamentale verso lo Stato, verso i clienti, verso i colleghi, verso i collaboratori, investendo direttamente il ruolo che l’avvocato deve svolgere, se vuole essere – o forse diventare, se non lo è ancora – autentico professionista e soprattutto libero professionista. Da qui il dovere di lealtà contributiva che si estrinseca soprattutto verso i colleghi e che, nel richiamo del tema solidaristico appena indicato, si traduce nella esattezza e nella completezza delle dichiarazioni fiscali, per gli incontestabili riflessi che esse hanno sulla congruità del sistema previdenziale. Si sa che il rapporto tra le professioni libere e il fisco è da sempre caratterizzato da incomprensioni e conflittualità. Ma la redditività è il parametro e dal parametro non è possibile prescindere. Quaderni

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Sono riflessioni queste che possono apparire destinate ai giovani, ma in realtà esse non escludono chi ha accumulato vasta esperienza. E se le norme deontologiche creano vincoli ed obblighi di natura propriamente giuridica, non va comunque sottaciuta come alla base debba essere sentita una adesione a un criterio etico oggettivo, che costituisce il principio movente, che, di fatto, induce alla osservanza delle norme stesse, senza voler sminuire la loro cogenza, indipendentemente dalle valutazioni di quanti devono metterle in pratica. Deontologia e fisco, quindi, deontologia e Cassa Forense, come dovere di adempiere con lealtà, che nel contempo legittima anche il diritto di rivendicare e, se del caso, di protestare. E se la violazione dei doveri previdenziali può aver trovato in passato fondamento nei ritardi e nelle inadempienze della struttura previdenziale di categoria improntata come era alle regole del parastato, la ragione di fondo che può aver determinato atteggiamenti negativi non può che ritrovarsi nel giudizio altrettanto negativo che gli avvocati hanno avuto nel tempo dell’apparato previdenziale forense prima della privatizzazione. Oggi non è più tempo di evocare la regola codificata che legittima l’inadempimento dell’avvocato verso una Cassa Forense inadempiente. Il sottrarsi agli obblighi previdenziali non ha ragion d’essere, infatti, proprio per quella centralità che la Cassa Forense ha assunto nell’affrontare e nel risolvere le problematiche dell’avvocatura, in via più sostanziale che formale, soprattutto coagulando gli iscritti, al di fuori e al di sopra di quel diversificato associazionismo che molto spesso è stato ed è motivo di divisione e di danno; e ciò per la presenza attiva di Cassa Forense in ogni momento cruciale per il mondo dell’avvocatura, pronta ad agire e a reagire in tutte le occasioni nelle quali si è tentato di porre in discussione l’autonomia e la libertà dell’avvocato.

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In tale contesto sottrarsi agli obblighi previdenziali oggi costituisce non soltanto violazione di un obbligo normativamente imposto a tutela di un interesse garantito dall’art. 38 della Costituzione, ma soprattutto è violazione di un dovere di solidarietà morale ed economica all’interno della categoria. Da qui la legittimazione di Cassa Forense a pretendere sincerità dichiarativa e tenutezza alla contribuzione da parte di tutti gli iscritti agli albi, perché verso tutti presta trattamenti assistenziali nel senso più lato del termine e congrui trattamenti previdenziali: gli uni e gli altri improntati a tempestività e ad adeguatezza, tempo per tempo, in un impegno infra ed intergenerazione di assoluta sostenibilità di lungo periodo. Ne è prova da ultimo, soltanto in ordine temporale, la riforma del sistema previdenziale appena approvata dal Comitato dei Delegati e alla verifica e all’approvazione dei Ministeri vigilanti, dopo lungo e approfondito dibattito sul futuro previdenziale: il tema era se mantenere il sistema reddituale a ripartizione o innovare adottando il sistema contributivo. Si è deciso di mantenere l’attuale sistema previdenziale, seppur con alcune correzioni da attuarsi gradualmente nel tempo, in nome di una rinnovata equità contributiva per gli iscritti. Ma soprattutto si è dovuto operare in ossequio a quanto disposto dall’art. 1 comma 763 della legge finanziaria 2006 e nella direttiva della Commissione di vigilanza sulle casse previdenziali private presso il Ministero del Welfare, garantendo le volute previsioni attuariali di lunga sostenibilità, adeguate al termine trentennale richiesto. E a questo punto si impone, per completezza, la individuazione in concreto dei soggetti cui compete promuovere e far rispettare i doveri deontologici e gli adempimenti previdenziali. Sono gli organi forensi, i Consigli dell’Ordine e il Consiglio Nazionale Forense naturalmente, con le loro funzioni formative e informative e con il loro potere disciplinare, non prevedendo l’ordiQuaderni

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namento poteri disciplinari per Cassa Forense, ma soltanto doveri di segnalazione e di informazione che vengono puntualmente assolti a mezzo stampa e a mezzo corsi di formazione. Il riferimento specifico è da due dati incontestabili: uno in essere e uno in divenire. Il dato in essere è costituito dall’applicazione dell’art. 17 c. 5 della legge 576/80, in virtù del quale disattendere ai doveri previdenziali di categoria, con l’omissione, il ritardo o l’infedeltà delle comunicazioni reddituali annuali, non seguiti da “ravvedimento” nei termini fissati dal Regolamento sull’applicazione delle sanzioni, costituisce infrazione disciplinare “tipica” da segnalare ai Consigli dell’Ordine; saranno i Consigli dell’Ordine a quel punto, e se del caso il Consiglio Nazionale Forense, a dover applicare ed eventualmente a confermare le sanzioni, graduandole in assoluta autonomia, nell’ambito della previsione dell’art. 40 del Regio D.L. n. 1578/1993, non avendo la norma fissata alcuna predeterminazione. Il dato in divenire è quella “pulizia degli albi” ormai divenuta motivo determinante per una nuova legge professionale, per come è dato leggere nel progetto predisposto dal Consiglio Nazionale Forense. Vi è necessità, infatti, che i Consigli dell’Ordine liberino gli albi dalle posizioni di quanti iscritti non svolgono l’attività professionale con continuità da individuarsi con parametri reddituali individuali che non siano al di sotto dei minimi previsti per l’obbligatorietà di iscrizione alla Cassa, dal momento che il mantenimento di tali iscrizioni costituisce un potenziale peso economico della fondazione, per la possibilità sempre di una futura iscrizione c/o di una richiesta di prestazione quantomeno sul piano assistenziale. È giunta l’ora di richiamare la frase cara a Dario Donella: “tutti agli albi, tutti alla Cassa”, nel senso che debbono essere iscritti agli albi soltanto quanti possiedono i requisiti per essere iscritti alla Cassa secondo un univoco criterio di verifica di continuità professionale: diversamente cancellazione dagli uni e dall’altra.

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Vi è necessità ancora che i Consigli dell’Ordine liberino gli albi dalle posizioni di quanti vivono ed operano in condizioni di assoluta incompatibilità, perché quella incompatibilità viene comunque e sempre rilevata da Cassa Forense; sol che la rilevazione e la contestazione avviene soltanto al momento del pensionamento e a quel punto la tardività giunge a sorpresa e diventa motivo di danno per l’iscritto e, conseguentemente, di contenzioso. Da qui il fermo convincimento che il non adempiere al dovere di lealtà previdenziale si traduce in una violazione deontologica, perché in danno della posizione di tutti, mentre l’adempimento realizza coagulo e vincolo solidaristico per tutta la calasse forense, mantenendo per tutti una previdenza a misura d’uomo, a misura di soggetti leali, improntata com’è ad un’ottica di solidarietà endocategoriale e soprattutto di etica professionale.

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CONVEGNI E CONGRESSI

Il Ruolo del Giudice nelle crisi delle fonti Roma “Sala Zuccari” Senato della Repubblica di Enrico Greco* Lo scorso 22 febbraio si è tenuto a Roma, nella prestigiosa “Sala Zuccari” del Senato della Repubblica, un convegno organizzato dalla Fondazione Nuove Proposte Culturali, sul tema “Il Ruolo del Giudice nelle crisi delle fonti”. Alla presenza del Presidente del Senato Renato Schifani, del Presidente Emerito della Corte Costituzionale Franco Bile, del Presidente Emerito del Consiglio di Stato Mario Egidio Schinaia, aveva luogo il convegno con la relazione principale tenuta dal Prof. Nicolò Lipari. Mi è stato assegnato l’onore di introdurre gli interventi del Presidente del Senato, del Presidente della Corte Costituzionale e del Presidente del Consiglio di Stato e concludeva il Prof. Lipari con la sua Lectio Magistralis. Il Presidente Renato Schifani svolgeva un intervento richiamando l’importanza del ruolo della Magistratura oggi, e di seguito riportato integralmente. Presidenti e Giudici Emeriti della Corte, Signori Rappresentanti degli Organi costituzionali, Autorità, Signore e Signori. * Avvocato del Foro di Brindisi.

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È motivo di particolare soddisfazione ospitare in Senato la 28a edizione del Premio Giuseppe Chiarelli e la 25a edizione del Premio Eugenio Selvaggi. Ad essere premiato in questa circostanza, insieme con la Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile, è il prof. Nicolò Lipari, al quale rivolgo un cordiale saluto da parte dei Colleghi Senatori e mio personale. Nicolò Lipari è stato Senatore della Repubblica nella IX e nella X Legislatura, consigliere della RAI dal 1976 al 1983, medaglia d’oro per i benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte nel 1973. La sua brillante carriera accademica è iniziata con l’incontro con Rosario Nicolò e Francesco Santoro Passarelli ed è proseguita con la libera docenza dal 1963 e con la titolarità della cattedra di istituzioni di diritto privato nell’Università di Bari, dal 1966, ed infine nell’Università “La Sapienza” di Roma, dal 1973. Sarebbe impossibile ripercorrere la sua vastissima attività scientifica, con una pubblicazione pressoché sterminata e costante nel tempo di opere monografiche, collettanee ed articoli sulle più prestigiose riviste giuridiche. I temi trattati spaziano dal diritto civile, alla filosofia del diritto e alla sociologia giuridica. Solo scorrendo fugacemente i titoli dei suoi ultimi contributi ci si sente immediatamente immersi nella concretezza di un’esperienza giuridica, per i risvolti direttamente incidenti nelle relazioni tra cittadini e tra cittadini ed Istituzioni: il diritto privato europeo; il rapporto tra concorrenza, economia e diritto; la dignità della persona; la giurisprudenza costituzionale nella dialettica con le fonti del diritto. Proprio le “Fonti del diritto” sono il suo ultimo contributo pubblicato, ma già si attende la stampa di un nuovo manuale di diritto civile, da lui diretto, assieme a Pietro Rescigno, con l’intervento delle voci più autorevoli della civilistica italiana. “Le Fonti del diritto” rappresentano una sfida innanzitutto accademica: non siamo abituati infatti a contributi esaustivi su questo tema, se non dal fronte del diritto costituzionale. Ed è allo stesso Quaderni

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tempo una sfida intellettuale e culturale inedita se letta attraverso la lente di ingrandimento di un testimone intellettualmente onesto del nostro tempo. Per Nicolò Lipari infatti il diritto è innanzitutto “esperienza”, non enunciazione astratta di regole fine a se stesse. Interpretare il diritto come esperienza diventa per lui una testimonianza di vita, la traduzione sul piano delle relazioni intersoggettive dei valori sociali che costruiscono una cittadinanza e formano una comunità. Mi sembra di cogliere in questa prospettiva il senso del tema trattato nella sua Lettura Magistrale: “Il ruolo del giudice nella crisi delle fonti del diritto”. Lettura alla quale non potrò assistere, mio malgrado, per la concomitanza dei lavori dell’Aula. Un tema – quello del raccordo tra sistema delle fonti e ruolo del giudice – di assoluta attualità e centralità nel dibattito politico italiano e nella stessa vita dei cittadini. Di fronte infatti alla frastagliata ed articolata composizione di norme, sia in ambito nazionale sia di derivazione europea, il legislatore ha iniziato con apprezzabile sensibilità a percorrere la via della “semplificazione”, ma certamente questo impegno fondamentale non regge se non opportunamente recepito e valorizzato da un attento esercizio della giurisdizione. La riforma della giustizia è un banco di prova decisivo per riannodare un dialogo fruttuoso tra le diverse forze politiche e indicare con credibilità a tutti i cittadini i principi della legalità e della giustizia. Interpretare la legge è compito alto, di responsabilità e richiede autonomia, indipendenza, imparzialità e ragionevolezza. È maturo il tempo di una nuova e piena consapevolezza: la giustizia deve diventare, da fattore di scontro un luogo di incontro e convergenza. La giustizia rappresenta il punto di saldatura tra legge e pratica giudiziaria. Forse per troppo tempo si è voluto, o comunque si è permesso, che una sorta di “competizione giudiziaria” divenisse motivo di opposizione con la politica e addirittura dentro la politica, tra i diversi partiti. Confido che alla vigilia del dibattito sulla

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riforma della giustizia il confronto sia costruttivo, in un clima di reale collaborazione tra le diverse forze politiche. Il Paese ha infatti bisogno di voltare pagina. Ha bisogno di una giustizia efficiente, rapida, dove accusa e difesa possano correttamente confrontarsi su un piano di parità. Il Paese chiede con forza un processo civile che dia risposte nel minor tempo possibile, affinché i cittadini possano tornare a credere nella giustizia come fonte di risoluzione celere delle proprie aspettative. L’equilibrio tra i poteri richiede innanzitutto un esercizio equilibrato di ciascun potere. Perché la giustizia possa essere autorevole e godere della fiducia dei cittadini, è auspicabile che non abbiano a ripetersi scontri tra procure o singoli magistrati, che hanno il sapore della “tentazione dell’eccesso”. Il Paese deve riappropriarsi di un sano orgoglio di appartenenza a tradizioni alte e nobili, sia nella politica sia nella cultura giuridica, di cui la giurisprudenza resta uno dei fattori essenziali. I valori della buona giustizia devono essere riscontrabili dagli stessi cittadini nella pratica quotidiana. La sobrietà, l’equilibrio, l’intelligenza nel saper comunicare attraverso il proprio lavoro, senza la necessità di lasciarsi conquistare dalle forme più appariscenti del clamore o del sensazionalismo, restano per ogni servitore dello Stato un patrimonio destinato a dare frutto duraturo per le future generazioni. Ancora una volta vale l’insegnamento di chi si fece portatore di questa testimonianza fino al sacrificio della vita. Rosario Livatino in una rara occasione pubblica, se ne contano solo due, pronunciò parole che meglio di ogni altra possono dare il senso di una testimonianza e di una vita autenticamente vissuta e con le quali desidero concludere il mio saluto, augurando a tutti Voi un buon proseguimento dei lavori. “Il giudice, oltre che essere deve apparire indipendente [...] è importante che egli offra di se stesso l’immagine non di una persona Quaderni

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austera o severa o compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di una persona seria, sì, di persona equilibrata, sì, di persona responsabile pure; potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire. Soltanto se il giudice realizza in se stesso queste condizioni, la società può accettare ch’egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha.” Vi ringrazio per l’attenzione e rinnovo gli auguri sinceri di buon proseguimento a tutti i presenti. Interveniva quindi il Presidente Franco Bile tracciando un profilo della attività prestigiosa del prof. Nicolò Lipari che qui di seguito si riporta integralmente. Dalla multiforme attività svolta da Nicolò Lipari non solo da prestigiose cattedre di diritto privato ma nelle istituzioni e nella società civile emerge chiaramente un filo conduttore che la percorre in ogni direzione. È il convincimento per cui l’opera del giurista non può esaurirsi nel proporre modelli teorici o schemi dogmatici continuamente contraddetti dall’esperienza, ma deve verificare come il diritto si inserisca nello sviluppo sociale e contribuisca alle trasformazioni del paese. La convinzione che il discorso del giurista in genere (e del privatista in particolare) non può continuare a proporre modelli teorici o schemi dogmatici continuamente contraddetti dall’esperienza – che per certi aspetti già traspare dai suoi scritti giovanili su temi tipici del diritto privato e dalla nota monografia sul negozio fiduciario – diviene centrale ed è enunciata in formulazioni sempre più articolate e raffinate nelle opere della piena maturità nate negli anni dell’insegnamento barese e romano. Essa acquista poi ai suoi occhi un’assoluta evidenza alla luce

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degli sviluppi del diritto europeo, che gli sembra avere posto in discussione i più tradizionali modelli della nostra cultura giuridica. Insomma per lui il diritto è per sua natura processo, evoluzione, storia. E se stiamo assistendo alla morte di alcune idee su cui avevamo costruito le nostre certezze, dobbiamo considerare che la scienza esiste proprio per adattare le idee ai fatti. Da ultimo proprio a partire da questa riflessione Lipari ha voluto rivisitare il tema delle fonti del diritto, sottolineando con particolare vigore come oggi, mentre emergono sempre nuovi soggetti creatori di regole giuridiche, la vita di una comunità giuridica si esprime sempre più in chiave di prassi interpretativa. Si completa così la sua riflessione sul modo corretto di concepire il diritto, che è per lui quello di porlo in un serrato rapporto con una realtà in divenire. Pertanto Nicolò Lipari ha ampiamente meritato il riconoscimento odierno. Il Prof. Nicolò Lipari rappresenta un punto fermo del diritto del nostro tempo, un vero e proprio “gigante” dei tempi moderni in quel settore. Il tema del Ruolo del Giudice nelle crisi delle fonti è un tema profondamente attuale, tanto da poter parafrasare il titolo modificandolo in quello del “Ruolo del Giudice oggi”. Mi è sembrato immediatamente significativo e di una certa rilevanza, l’avere utilizzato il termine di Ruolo riferito alla attività del Giudice, piuttosto che un altro (Funzione, Compito, Veste, ecc.). Significativo perché il termine Ruolo implica e lascia pensare ad una impostazione dinamica della discussione che si vuole stimolare sull’argomento, ad uno spazio operativo più ampio, ad una certa discrezionalità dell’opera del Giudice. Credo non vi sia alcun dubbio, naturalmente, che il Ruolo del Giudice non cambi a seconda del buono o cattivo stato di salute in cui versano le fonti di diritto in quel momento storico. Si tratta di un Ruolo complesso evidentemente. Quaderni

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Se si dovesse rispondere, semplicemente, che il ruolo del giudice è quello di applicare la legge, la norma insomma, indubbiamente si direbbe una verità, anche se non tutta la verità. È sufficiente pensare che, l’entrata in vigore di una nuova legge, non rappresenta la nascita di una nova regola che attende solo di essere semplicemente “incastonata” in quella sorta di “puzzle” che è costituito dal nostro ordinamento, in attesa che al momento opportuno il giudice la vada a recuperare per attuarla, ossia per applicarla. Viceversa essa è un nuovo punto di partenza per la semplificazione di quella nuova regola. In altre parole, il giudice che è chiamato ad applicare una legge, non potrà farlo semplicemente limitandosi ad una attività quasi meccanica, di riproduzione di uno schema prefissato, quasi ad una certificazione di tipo notarile di quella regola (norma). Egli dovrà farlo attraverso una elaborazione, ossia attraverso un procedimento interpretativo. Ecco, il momento della interpretazione da parte del giudice, di una norma o di una legge, rappresenta l’elemento di discussione saliente, un elemento che acquisisce maggiore significato quando si è in presenza di un momento di crisi delle fonti del diritto. Naturalmente non mi riferisco a quel tipo di interpretazione tecnicamente necessaria quando il testo della legge appaia impreciso, ovvero intenzionalmente indeterminato, e neppure ai casi delle c.d. Lacune (su questo punto delle Lacune, secondo me, si dovrebbe aprire una parentesi in quanto la lacuna in sé, praticamente non esiste, è un vero e proprio non senso in quanto, qualsiasi fattispecie può essere sempre decisa alla luce delle norme vigenti, se poi quelle norme vigenti non si attagliano alla perfezione a quella determinata fattispecie suggerendo norme più idonee, allora si entrerebbe in un campo estraneo al ruolo del giudice, certamente più di competenza legislativa. Mi riferisco invece ad un tipo di interpretazione di più pregnante significato, almeno per il tema odierno, un tipo di interpretazione cui

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si arriva attraverso un ragionamento di tipo logico-deduttivo, che a me pare corretto. E cioè. La Legge che il giudice deve andare ad interpretare non può risentire di quella naturale contrapposizione di vedute connaturata alla dialettica parlamentare e delle diverse forme in esso espresse. In una vita parlamentare connotata da continua ebollizione, dove a formare le leggi è quello, tra due fronti contrapposti, che risulta vincitore in quel dato momento storico, salvo poi a divenire successivamente soccombente in una alternanza che non è solo politica, ma anche di produzione legislativa, è evidente che il ruolo del giudice nella interpretazione di quelle leggi non è semplice. Quelle leggi, così “partorite”, vedrà il giudice da una parte in posizione di soggezione ad essa, come dice la Costituzione, e dall’altra nella posizione di doverla interpretare, ed a farlo nell’ambito di quella prerogativa di indipendenza garantitagli anch’essa costituzionalmente. Ergo, qualche volta, a doverla disattendere. A questo punto allora, forse, bisognerebbe interrogarsi sulle ragioni di tali importanti e, apparentemente, contraddittori poteri del giudice, da dove derivano tali poteri, che poi sono quelli che delineano il suo ruolo. Anche in questo caso, si potrebbe semplicemente rispondere che tali poteri gli derivano dalla Costituzione, ma anche in questo caso, probabilmente si affermerebbe una verità parziale. Forse la risposta vera ha radici nella storia, e forse tali poteri sono attribuiti al giudice in forza di una legittimazione che affonda le radici in un momento ancora precedente alla nascita del diritto razionale e codificato (quello dei primi dell’800 per intenderci), riferibile invece ad un segno di fiducia ad esso tributato dalla società, dalla collettività, e perciò riferibile ad un valore sociale profondo che vuole il “Giudice Custode del Diritto”, non solo di quello espresso nelle leggi, ma di quello a fondamento di quel “Pactum societatis” di cui Quaderni

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ancora oggi vi è richiesta e che aspira ad una produzione del diritto non politicizzata. Non deve indurre in errore il dibattito sulle richieste di aggiornamento della Costituzione “Pactum Societatis”, perché queste non sminuiscono la richiesta di Costituzione da parte della collettività che, mi pare, assolutamente trasversale e davvero sentita. Giudice che, in fase di crisi delle fonti del diritto, potrebbe recuperare al suo ruolo l’antica consapevolezza delle ragioni della sua legittimazione la quale, non gli deriva da un dono divino, ma da un sentimento di fiducia e di apprezzamento sociale tributatogli quale custode del diritto. Ma non di quel diritto che non di rado oggi funge da elemento di mediazione, ma di quel diritto che resta l’elemento con cui confrontare sempre ogni atto o norma e che miri ad evitare la tentazione di politicizzare la produzione di esso. La lectio magistratis del Prof. Nicolò Lipari sarà pubblicato non appena il Professore me lo spedirà, e sarà quindi pubblicato in un altro numero della Rivista.

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Il patto di famiglia Incontro di diritto civile Nuova Sezione A.I.G.A. Brindisi di Alessandra Galetta* L’A.I.G.A. (Associazione Italiana Giovani Avvocati), attiva dal 1966 come associazione apartitica e senza scopo di lucro, è presente sul territorio italiano presso ogni circondario di Tribunale ove esiste un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati attraverso le “sezioni” e, a livello internazionale, aderisce all’A.I.J.A. (Association International des Jeunes Avocats). Anche a Brindisi, per iniziativa di un gruppo di giovani professionisti iscritti all’Ordine degli avvocati e dei praticanti di Brindisi, dal 21 febbraio 2009, ha ricostituito la sua sezione A.I.G.A.: la stessa, oggi, conta centoquarantasette aderenti e due consiglieri nazionali A.I.G.A., rispettivamente nelle persone dell’avv. Stefano Morgese, e dell’avv. Ladislao Massari, eletti all’unanimità dei soci, nel corso delle due assemblee straordinarie tenutesi il 15 aprile e il 27 maggio scorso. Entrambi gli eletti, insieme al presidente di sezione avv. Domenico Attanasi, già componente di diritto, saranno punto di riferimento professionale nonché rappresentanti della sezione di Brindisi all’interno del Consiglio Direttivo Nazionale A.I.G.A.. L’associazione, si propone, come obiettivo principale, in sintonia con quanto previsto dallo statuto nazionale A.I.G.A., quello di tutelare i diritti dell’avvocatura, garantendo un’idonea formazione professionale e agevolando l’accesso all’esercizio della professione * Consigliere A.I.G.A. sezione Brindisi.

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forense; proprio in questa ottica si pone il primo convegno di diritto civile riguardante, nello specifico, il “patto di famiglia”. Questo argomento, caro a imprenditori, avvocati, commercialisti e notai, è stato, infatti, oggetto dell’incontro di studio tenutosi, il 30 aprile scorso, presso il Salone Nautico SNIM (Porticciolo Turistico di Brindisi) a cura dei Giovani Imprenditori di Confindustria Brindisi, dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati di Brindisi (A.I.G.A. Brindisi) e dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili. Due brillanti professioniste hanno relazionato sul tema: Amalia Menna, avvocato del Foro di Brindisi, ed Elena Calice, notaio e docente di Diritto Privato presso la Luiss “G. Carli” di Roma; le stesse sono state affiancate, con interventi, dal presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Brindisi, dr. Paolo Ghelardoni, dal presidente dell’A.I.G.A. Brindisi, avv. Domenico Attanasi e dal presidente dell’U.G.D.C.E.C., dr. Massimo Mangiameli. Valido ai fini della formazione professionale continua degli avvocati e praticanti e dei dottori commercialisti ed esperti contabili, il convegno si è proposto come motivo di incontro-dibattito sul tema in oggetto alla luce delle “modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia” (G.U. n. 50 del 1-3-2006 – Legge del 14 febbraio 2006, n. 55): il legislatore, infatti, ha rimesso mano al codice di diritto comune introducendo, nel libro II, titolo IV, il nuovo capo V-bis, contenente le nuove disposizioni normative, artt. 768 bis – 768 octies c.c.. La ratio legis che ha ispirato l’introduzione delle norme succitate è la possibilità per gli imprenditori di garantire una successione certa nell’interesse dell’azienda, attraverso accordi diretti a regolarmente la successione dell’imprenditore o di chi è titolare di partecipazioni societarie. Trattasi, quindi, di una trasmissione tra stretti famigliari delle attività economiche appartenenti a uno di essi. La nuova legislazione sul patto di famiglia, quindi, oggi, dispone la liceità del contratto con cui “l’imprenditore trasferisce, in tutto o

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in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie, in tutto o in parte, le proprie quote, a uno o più discendenti”. È previsto, altresì, che l’attributario dell’azienda (per ipotesi: il figlio dell’imprenditore) o delle partecipazioni, “compensi” gli altri legittimari partecipanti alla stipula del patto (come ad esempio: i fratelli del donatario e il coniuge del donante), a meno che, a detta “compensazione”, provveda direttamente colui che dona l’azienda, trasmettendo altri beni ai famigliari non beneficiari della donazione dell’azienda. Il “patto di famiglia” si presenta, dunque, come un contratto, che deve rivestire, a pena di nullità, la forma solenne dell’atto pubblico a garanzia degli interessi coinvolti, ragion per cui, non essendo un negozio testamentario, non è mortis causa, ma di fatto, una convenzione inter vivos traslativa a efficacia reale, la cui peculiarità è quella di andare a incidere sulla successione del disponente. Il tema, in tutte le sue articolazioni, è stato affrontato con dovizia di competenza sia sotto l’aspetto più propriamente legislativo, che puramente tecnico e pratico dalle sue relatrici le quali hanno saputo offrire una panoramica chiara e dettagliata delle varie questioni e fattispecie analizzate. Il “patto di famiglia”, argomento complesso, ma di ampia ricezione tenuto conto che nel nostro Paese è piuttosto alta la presenza di imprese, dalle grandi alle piccole, a carattere “famigliare”, rappresenta una novità importante nel sistema del diritto successorio soprattutto per aver introdotto una deroga al generale divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c. A tal proposito, assume rilevanza il nuovo testo del succitato articolo, rubricato “divieto dei patti successori”, all’interno del quale è stata aggiunta una deroga che richiama, appunto, i “patti di famiglia” secondo cui “fatto salvo quanto disposto dagli artt. 768 bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”. Quaderni

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Fare un “patto di famiglia” significa prendere delle decisioni; scegliere di fare un patto significa individuare il tipo di patto più consono alla propria situazione tra i vari tipi possibili. In conclusione, si può affermare che il “patto di famiglia” si presenta come una forma di autoregolamentazione della compagine proprietaria rappresentando la decisione delle famiglie proprietarie di condividere principi, valori e regole di funzionamento allo scopo di preservare l’unità del bene produttivo, di favorire l’univocità del controllo (evitando la frammentazione che si determina con la successione ereditaria) e permettendo, altresì, di anticipare in vita il trasferimento dell’impresa e, dunque, l’investitura della leadership nel complesso produttivo.

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Verso il Nuovo Ordinamento Professionale Forense Le Specializzazioni Convegno su iniziativa dell’Ordine degli Avvocati di Bari e dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura 26 Maggio 2009 Sala Consiliare del Palazzo di Giustizia di Bari di Claudio Consales* Da molti anni numerosi settori dell’avvocatura auspicano un riconoscimento delle specializzazioni nel nostro ordinamento. Per lo più tali istanze sono collegate e sono una diretta conseguenza della specialità e moltiplicazione dei riti; conseguentemente, gli avvocati che per scelta professionale o per reiterati incarichi della stessa specie hanno acquisito una forma di specializzazione sul campo in determinate discipline, ambiscono a vedersi riconoscere lo “status” di specialista per poter evidentemente esercitare una forza di maggiore penetrazione sul mercato degli incarichi professionali. Il collegamento tra specializzazione e particolarità del rito sembra evidente ove si consideri che puntano al riconoscimento specialistico soprattutto i settori dell’avvocatura che operano del penale, nel diritto del lavoro, nel diritto di famiglia, nel diritto societario, nel diritto tributario, nel diritto amministrativo. Risulta all’evidenza che ciascuno dei settori sopra richiamati è caratterizzato da un rito specifico. * Avvocato del Foro di Brindisi. Delegato OUA Distretto di Lecce.

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La problematica delle specializzazioni nell’avvocatura rappresenta un argomento quindi ineludibile che va affrontato con la massima attenzione per evitare che le specializzazioni si trasformino in uno strumento indesiderato di egoismi professionali dirette a creare delle isole impenetrabili per chi non può fregiarsi del titolo di specialista. Quando si parla di specializzazioni si pensa inevitabilmente all’area medico-sanitaria, dove le specializzazioni rappresentano la regola ormai da moltissimi anni. Ma sarebbe un gravissimo errore omologare le due professioni quella del medico e quella dell’avvocato per l’assoluta diversità con cui le stesse si esplicano. La sanità infatti è organizzata per lo più attraverso strutture ospedaliere divise in reparti specialistici, dove però è sempre possibile ed immediata la consulenza o l’intervento di altri specialisti senza che ciò incida economicamente sul paziente in quanto i costi sono a carico della comunità. È vero quindi che nella medicina le specializzazioni sono ormai la norma, ma è anche vero che il consulto e l’intervento di più specialisti sullo stesso caso è possibile in tempi rapidi. La professione forense è organizzata attraverso una miriade di piccoli studi professionali, che rappresentano il riferimento dell’utenza, dove il professionista o i pochi professionisti che operano in quella struttura devono inevitabilmente avere una conoscenza delle varie articolazioni del diritto per non uscire dal mercato, tenuto conto che gli avvocati vengono remunerati direttamente dai propri clienti. È chiaro quindi che la specializzazione nel campo forense non possa avere quell’articolazione così diffusa come nel campo medico tanto da rappresentare la regola, perché ciò significherebbe porre fuori mercato un’enorme quantità di professionisti con conseguenze gravissime sotto il profilo economico. Per di più questa esclusione sarebbe anche profondamente ingiu-

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sta, perché tantissimi avvocati, a costo di enormi sacrifici e tantissime rinunce, riescono ad essere dei bravi “generalisti” con possibilità di competere senza alcun timore riverenziale con qualsiasi specialista. L’avvocatura, a mio parere, non può rinunciare a questo grandissimo patrimonio di cultura generalista che nasce anche dall’indiscutibile stretta connessione tra i vari rami del diritto. Se è vero che nelle grosse città è ormai possibile trovare studi professionali con figure specialistiche in ogni ramo del diritto, ed anche studi dove è possibile trovare professionisti iscritti ad albi differenti, non può ritenersi tuttavia questo dato determinante o assorbente nella riforma dell’ordinamento professionale, considerato che in grandissima maggioranza l’organizzazione dell’avvocatura è ancora su base cellulare o quasi cellulare. Si aggiunga che si pone anche un problema di coerenza da parte dell’avvocatura che ormai da molti anni si sta battendo per una riduzione dei riti processuali, quasi a voler salvaguardare quel patrimonio di cultura professionale generalista che viene minato proprio dalla molteplicità dei riti. Tali valutazioni tuttavia non stridono con l’esigenza di una regolamentazione delle specializzazioni nell’avvocatura. Ciò anche perché esiste una legge dello Stato che l’avvocatura nel suo ordinamento professionale non può ignorare, per evitare che l’uso scriteriato ed incontrollato dei titoli specialistici si traduca in una concorrenza sleale a favore degli avvocati più spregiudicati e meno sensibili alle regole deontologiche. L’art. 2 del D.L. n. 223/06, meglio conosciuto come decreto Bersani, al primo comma prevede infatti che: “In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislatiQuaderni

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ve e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l’obbligarietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine; c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità”. L’espresso riferimento di una legge dello Stato ai titoli ed alle specializzazioni come garanzia di libera concorrenza ed a tutela dell’effettiva facoltà di scelta dell’utente, accompagnato dal riconoscimento agli Ordini Professionali di svolgere attività di controllo, ha reso quindi inevitabile la regolamentazione delle specializzazioni nell’Avvocatura. L’argomento è stato affrontato nel testo approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 27.02.2009 con l’art. 8. L’art. 8 riconosce quindi espressamente la possibilità per gli avvocati di ottenere e indicare il titolo di specialista. Una prima valutazione positiva può farsi sulla terminologia utilizzata dal testo: il titolo di specialista prima di essere indicato deve ottenersi. L’articolo, dopo aver riconosciuto la possibilità della specializzazione, pone una riserva regolamentare a favore dello stesso CNF

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nella determinazione delle modalità per il conseguimento e l’uso del titolo. In tal modo si è inteso privilegiare un adattamento più rapido della norma rispetto ai mutamenti della realtà effettuale che solo il regolamento può offrire. L’articolo in esame pone i principi e le norme di carattere generale a cui il regolamento deve ispirarsi. Il regolamento dovrà prevedere la tipizzazione delle specializzazioni riconosciute, che tengano conto dei diversi riti processuali. L’elenco delle specializzazioni riconosciute deve aggiornarsi almeno ogni tre anni. In tal modo ed opportunamente si impedirà che un avvocato possa fregiarsi del titolo di specialista al di fuori delle specializzazioni preventivamente riconosciute. Il regolamento dovrà prevedere i percorsi formativi e professionali necessari per il conseguimento del titolo di specialista. Tali corsi formativi e professionali dovranno avere una durata non inferiore a due anni, per un totale di almeno 400 ore di formazione complessiva, ed a tali corsi potranno iscriversi solo gli avvocati che abbiano maturato un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno due anni ininterrotti. Tale preoccupazione sottolinea opportunamente la salvaguardia di una competenza generalista da affiancare a quella specialistica. Ed inoltre sempre opportunamente predetermina, tipizzandoli, i percorsi che danno diritto al titolo di specialista. Il regolamento fornirà direttive agli ordini territoriali, alle associazioni forensi e ad altri enti ed istituzioni pubbliche e private per l’organizzazione di scuole e corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo. Il regolamento ancora indicherà le sanzioni disciplinari per chi indebitamente farà uso di un titolo specialistico senza averlo conseguito nelle forme e nei modi previsti dal regolamento. Al termine del corso l’Avvocato dovrà sostenere l’esame di specializzazione presso il CNF e solo l’esito dell’esame sarà positivo Quaderni

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potrà utilizzare il titolo. Ciò significa che la specializzazione non conseguirà automaticamente dalla frequenza della scuola, ma si otterrà solamente superando l’apposito esame da affrontare presso il CNF. La Commissione di esame sarà designata dal CNF e composta da membri dello stesso CNF, da avvocati indicati dagli Ordini distrettuali, da docenti universitari, da magistrati e da componenti indicati dalle associazioni forensi. Il conseguimento del titolo specialistico non comporterà riserva di attività professionale. Infine l’articolo in esame riconosce la possibilità di associazionismo tra avvocati specialisti. In conclusione si può senz’altro sostenere che la normativa sulle specializzazioni proposta dal CNF è improntata al massimo equilibrio, eviterà gli usi non consentiti del titolo e soprattutto non mortificherà la cultura generalista che è un dato caratterizzante e positivo della nostra Avvocatura.

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Processo a Medea Siracusa - Teatro Greco - 15 giugno 2009 di Caterina Intiglietta* Nell’ambito dell’edizione AGON 2009, con il patrocinio dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, dell’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali, dell’Università di Palermo nonché dell’Associazione Amici dell’INDA Siracusa, il 15.06.2009 nella splendida cornice del teatro greco di Siracusa è stato celebrato il processo a Medea. Traendo spunto dal dramma Euripideo, messo in scena per la prima volta nel 431 a.c. e riproposto quest’anno a Siracusa con la magistrale e toccante interpretazione di Elisabetta Pozzi nei panni dell’”eroina” barbara, è stato affrontato il tema della responsabilità penale di Medea per l’omicidio di Glauce e Creonte e l’infanticidio dei due figli avuti con lo sposo Giàsone. Dopo l’introduzione della professoressa Margherita Rubino che ha evidenziato come i truci delitti commessi dalla maga colchidea trovano giustificazione nella esigenza di ribellarsi ad una giustizia che giusta non è poiché consente e appoggia un uomo, Giàsone, che tradisce i giuramenti e i patti suggellati e senza scrupoli è pronto ad abbandonare la sposa e i suoi figli per garantirsi fama e potere, innanzi ad una Corte presieduta dall’illustre Severino Santiapichi è stato aperto il dibattimento. Per la pubblica accusa, rappresentata da due meritevoli studenti della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo supportati da Carlo Nordio, nell’azione di Medea non solo è incontestabile * Avvocato del Foro di Brindisi

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l’elemento oggettivo, uccisione di Glauce e Creonte prima e dei figli di Giàsone poi, ma non può nemmanco essere messo in discussione l’elemento soggettivo. Ed infatti l’imputata è lucida e razionale nella programmazione del delitto e forte è la sua volontà di uccidere. Secondo la tesi dell’accusa il gesto di Medea è calcolato, meditato e fortemente voluto al fine di soddisfare l’irrefrenabile sete di vendetta nei confronti dello sposo traditore. La maga non solo preordina razionalmente le modalità della sua azione punitiva ma per di più programma anche la sua fuga sotto la protezione dell’alleato Egeo, così dimostrando di essere sempre rimasta capace di intendere e di volere. Ergastolo con tre anni di isolamento diurno per omicidio plurimo aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione nonché dalla circostanza di averlo commesso contro propri discendenti è stata pertanto la condanna richiesta.

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Duplice è stata la linea seguita dalla difesa che in primis ha sostenuto l’incapacità e la non colpevolezza per totale vizio di mente, in subordine la seminfermità mentale con le attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p.. Secondo la tesi sostenuta da Titta Madia e i suoi due giovani collaboratori Medea è affetta da un chiaro disturbo di personalità di tipo borderline. Lo stress e la gelosia hanno determinato nell’imputata una netta alterazione della visione della realtà rendendola incapace di intendere e di volere. A ciò va aggiunta l’ulteriore circostanza della provenienza di Medea da un paese “barbaro” che da un lato, senza dubbio, giustifica una percezione dell’idea di giustizia molto distante da quella di “dike” e “nomos” della civile e moderna Grecia, dall’altro determina quella condizione di emarginazione e arretratezza che inevitabilmente porta dietro di sé il comune, diffuso e purtroppo attuale pregiudizio nei confronti degli stranieri. Suggestiva è stata la chiusa finale di Titta Madia che, affermando che “la passione è più forte della volontà” e dunque della capacità di scegliere tra bene e male, ha chiesto l’assoluzione piena perché “Medea è un’opera d’arte con la quale è stato elevato un grido di liberazione delle donne dagli uomini”. Il verdetto finale, pronunciato dopo un breve intervento dell’avv. Ettore Randazzo, è stato di improcedibilità per comportamento schizofrenico dell’imputata. Il mito di Medea secondo Euripide La Medea di Euripide è ambientata nella città di Corinto dove Giàsone e Medea si sono rifugiati con i loro due figli dopo che la maga, per aiutare l’innamorato e gli altri Argonauti nella conquista del Vello d’oro, aveva ucciso il proprio fratello Absirto. Trascorsi dieci anni, Giàsone per poter succedere al trono di

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Creonte, re della città, ne accetta in sposa la figlia Glauce così abbandonando sua moglie Medea. Tremenda sarà la vendetta della sposa rifiutata. E infatti, fingendosi rassegnata Medea manda in dono alla giovane Glauce un peplo ed una corona intrisi di veleno che, dopo averli indossati, procurano all’ignara e al padre Creonte, giunto in suo soccorso, una morte dolorosissima. Successivamente, per assicurarsi che Giàsone non abbia discendenza, uccide anche i figli avuti con lui fuggendo poi ad Atene a bordo del carro del dio Apollo.

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Remotizzazione delle intercettazioni e nuove tecnologie di Gianmichele Pavone1 L’attenzione della giurisprudenza si è indirizzata verso tecniche di “remotizzazione” solo pochi anni addietro. La motivazione si rinviene nel fatto che solo nel recente passato l’evoluzione tecnologica ha consentito la fisica separazione dell’ascolto dalla registrazione delle intercettazioni. È opportuno, pertanto, ripercorre in sintesi l’iter storico che ha portato all’elaborazione della normativa attuale. La disciplina del codice del 1930 (artt. 226 ult. c. e 339) prevedeva che le intercettazioni venissero effettuate “presso impianti telefonici di pubblico servizio”. L’operazione captazione registrazione d’ascolto delle conversazioni venivano perciò svolte unitariamente attraverso registratori collocati presso l’operatore telefonico e presidiati da personale di polizia giudiziaria. Questa metodologia si prestava ad evidenti abusi, consentendo agevolmente ascolti illeciti. La corte costituzionale pertanto, nel 19732, intervenne dettando le condizioni di compatibilità delle intercettazioni con i principi fondamentali in materia di riservatezza delle comunicazioni, dovendo assicurare che si procedesse soltanto alle intercettazioni autorizzate. Un anno dopo il Legislatore3 ha riPraticante Abilitato. C. Cost., 6 aprile 1973, n. 34. 3 L. 8 aprile 1974, n. 98. 1 2

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formato la disciplina, introducendo nel codice abrogato l’obbligo di concentrare le operazioni di intercettazione esclusivamente presso impianti installati nelle procure (art. 226 quater) al fine di garantire un diretto controllo del pubblico ministero sull’esecuzione delle operazioni. Dal punto di vista tecnico si è reso necessario utilizzare un dispositivo (il c.d. “traslatore”) in grado di deviare la comunicazione dal punto di “captazione”, che necessariamente rimaneva presso l’operatore telefonico, agli uffici della Procura. Il codice del 1988 ha recepito questo assetto con una variazione in melius soltanto relativamente all’evoluzione tecnologica dei dispositivi impiegati. L’articolo 268, quindi, non fa che ribadire i contenuti del precedente art. 226 quater, eccezione fatta per la previsione del secondo comma dell’obbligo di trascrizione sommaria nel verbale del contenuto delle intercettazioni e per la descrizione degli ulteriori requisiti contenutici dello stesso verbale che si rinviene nell’art. 89 disp. att.. Nonostante l’origine recente della problematica, nella giurisprudenza della Suprema Corte si era consolidato un orientamento secondo il quale la tecnica dell’instradamento dei flussi sonori captati nei locali della Procura, verso punti di ascolto collocati negli uffici della Polizia Giudiziaria, costituiva una modalità di esecuzione dell’intercettazione pienamente compatibile con lo statuto normativo della medesima, con la conseguente piena utilizzabilità a fini di prova degli esiti della stessa intercettazione, pur in assenza di specifica autorizzazione del Pubblico Ministero alla delocalizzazione dell’ascolto. L’orientamento ha avuto origine con la sentenza n. 20140 del 20054 la quale – fermo restante, come presupposto di validità, l’esecuzione della registrazione attraverso gli apparati collocati all’interno della Procura – legittimava la possibilità di ascolto delle comunicazioni intercettate all’esterno, evidenziando, per avvalorare questa tesi, come

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Cass., Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera.

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la tecnica della “remotizzazione” non potesse essere sussunta in una delle fattispecie di inutilizzabilità tassativamente descritte nell’art. 271 c.p.p., e riferibili a oltre che alle invalidità oggettive, ex art. 266 c.p.p., e soggettive, ex art. 103 c.p.p., esclusivamente all’ipotesi di omessa registrazione mediante gli impianti in dotazione alla Procura ovvero di omessa redazione del verbale. Numerose sentenze successive5 si sono conformate a tale interpretazione, affermando come non fosse necessaria l’autorizzazione di cui all’art. 268 c. 3, poiché tale articolo non contiene alcun divieto di ascolto alle conversazioni, ove gli strumenti tecnici lo consentano, anche in luoghi diversi dei locali della Procura, risultando essenziale che solo le procedure di intercettazione fossero compiute attraverso i suddetti impianti collocati nell’ufficio giudiziario al fine di garantire regolarità e riservatezza. A fronte della rapida evoluzione tecnologica che ha interessato sia la telefonia che le apparecchiature di registrazione, si pongono alcuni problemi. Di recente le Sezioni Unite6 si sono espresse in ordine ad un contrasto interpretativo relativamente alle condizioni legittimanti la prassi della remotizzazione. In particolare, si rilevava come, in base ad un primo orientamento della Cassazione7 sarebbe stato possibile ricorrere a tale tecnica senza necessità di un provvedimento del Pubblico Ministero solo se la registrazione delle conversazioni intercettate fosse 5 In tal senso si vedano le sentenze: Cass., Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 30002, Valeri; Cass., Sez. IV, 27 settembre 2007, n. 41253, Rizza; Cass., Sez. III, 20 novembre 2007, n. 4111, Musso; Cass., Sez. II, 5 marzo 2008, n. 14030, Bruno. In senso difforme: Cass., Sez. VI, 16 gennaio 2008, n. 30002, Sinesi, secondo cui la procedura di remotizzazione deve comunque prevedere che “tutte le operazioni di registrazione avvengano in Procura, comprese quelle realizzate alla fine dell’intercettazione, che solitamente consistono nello scarico dei dati contenuti nell’apparecchio di registrazione in un supporto magnetico (CD o DVD)”. 6 Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 17, Carli. Si vedano inoltre, in senso conforme: Cass., Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 30002; Cass. Sez. II, 24 aprile 2007, n. 35299; Cass., Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 20130. 7 Cass., Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera.

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stata effettivamente compiuta nei locali della Procura della Repubblica; una successiva pronuncia8, invece, riteneva “legittimamente eseguite dalla Polizia Giudiziaria, con i propri impianti, la registrazione e la redazione del verbale [...] senza che occorra autorizzazione”. Entrambe le sentenze consideravano legittima la remotizzazione, ma erano ravvisabili divergenze interpretative quanto al luogo in cui si sarebbe dovuto procedere all’esecuzione delle operazioni di registrazione ed alla redazione del relativo verbale. In particolare i Giudici delle Sezioni Unite, evidenziano come sia possibile operare una segmentazione dell’attività di intercettazione in frammenti che assumono autonoma rilevanza sul piano giuridico: captazione, registrazione, ascolto, verbalizzazione. Il primo segmento rappresenta l’intercettazione in senso stretto e non può che essere effettuata presso l’operatore telefonico il quale “devia” la comunicazione verso gli uffici della Procura, dove il segnale viene registrato per l’ascolto. In particolare, va precisato che al momento della stesura del codice di procedura penale vigente l’attività di ascolto non poteva essere separata da quella di registrazione, poiché entrambe le operazioni venivano effettuate per mezzo del medesimo apparato: un registratore monolinea a nastri magnetici9 sui quali venivano impressi i flussi vocali captati. La rivoluzione tecnologica che ha interessato la telefonia negli ultimi tempi ha determinato il progressivo passaggio dalla trasmissione di segnali in forma analogica a quella di dati in forma digitale, includendo, di conseguenza, il servizio telefonico in un sistema informatico o telematico. È stato necessario, pertanto, ricorrere all’utilizzazione di sistemi di registrazione digitale computerizzata che hanno sostituito gli apparati meccanici. Ad oggi, per la registrazione vengono utilizzati Cass., Sez. II, 24 aprile 2007, n. 35299, Galasso. Infatti l’art. 89 c. 2 disp. att. tuttora fa anacronisticamente riferimento ai “nastri contenenti le registrazioni”. 8 9

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apparati multilinea, collegati cioè a più linee telefoniche, che registrano dati trasmessi in forma digitale, successivamente decodificati in file vocali, immagazzinati in memorie informatiche centralizzate. I dati memorizzati vengono poi di regola trasferiti su supporti informatici (CD-ROM o DVD) per renderli fruibili all’interno dei singoli procedimenti. Questo è in sostanza quello che viene definito “scaricamento” dei dati sui supporti, attività autonoma rispetto alla registrazione e tecnicamente diversa. Le operazioni di “registrazione” di cui parla l’art. 268, comma 3, consistono dunque nella immissione dei dati, captati presso la centrale dell’operatore telefonico, nella memoria centralizzata (c.d. server) che si trova nei locali della Procura della Repubblica. Tali apparati, tuttavia, permettono di “remotizzare” l’ascolto attraverso il sistema c.d. client/server, deviando i flussi in entrata anche verso molteplici punti di ricezione collegati con il sistema centrale verso cui l’operatore telefonico ha trasmesso il flusso di dati captati. L’impianto presente in procura, di conseguenza, rischia di trasformarsi in un mero ripetitore, utilizzato esclusivamente per l’instradamento del flusso di dati, senza l’inserimento della registrazione degli stessi nel server. Un’intercettazione così effettuata sarebbe certamente illegittima con conseguente inutilizzabilità del materiale probatorio raccolto. È allo specifico segmento registrazione, pertanto, nell’ambito della complessiva attività di intercettazione che l’art. 268 c.p.p. si riferisce laddove dispone che le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica. Per qualsiasi altra operazione, in quanto estranea alla nozione di registrazione così definita, non assume alcun rilievo, ai fini dell’utilizzabilità, il luogo dove la stessa è avvenuta (discorso che vale, dunque, anche per quell’operazione che consiste nello scaricamento dei dati su supporti informatici quali CD-Rom e DVD, e che, pertanto, ben può essere compiuta eventualmente presso gli uffici di Polizia Giudiziaria).

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Per quanto riguarda la verbalizzazione delle operazioni, la sentenza Littera10 non aveva precisato se, oltre alla registrazione, anche la verbalizzazione dovesse obbligatoriamente avvenire negli uffici della procura, ancorché la stessa abbia posto l’accento sul fatto che nel caso portato all’attenzione della Corte, nei suddetti locali si svolgeva anche tale attività; la sentenza Galasso11, invece, ha sostenuto che alla redazione del verbale, con contestuale sommaria trascrizione del contenuto delle conversazioni intercettate, può procedersi presso gli uffici dove si è svolto l’ascolto remoto. Le Sezioni Unite12, sul punto, ritengono di dover privilegiare l’orientamento maggioritario favorevole alla irrilevanza del luogo di verbalizzazione ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni. La sanzione di inutilizzabilità, infatti, è prevista solo per i casi tassativamente previsti dall’art. 271 c.p.p.13, atteso che tale articolo fa esclusivo rinvio solamente al primo e terzo comma del citato art. 268 c.p.p. e non anche alle disposizioni di cui all’art. 89 disp. att. c.p.p.14. Inoltre, agli adempimenti successivi alla registrazione (tra cui rientra la verbalizzazione) non sarebbe riferibile il termine “operazioni”, utilizzato nel medesimo articolo 26815. Una più recente giurisprudenza sul punto, si è spinta ad affermare che tale principio vale non 10 Cass., Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera. In precedenza, la giurisprudenza aveva già sostenuto che “l’art. 268 c.p.p., comma 3, non impone affatto che presso detti uffici debba necessariamente procedersi anche alla trascrizione”. Si vedano, in proposito: Cass., Sez. V, 4 giugno 2008, n. 36944; Cass., Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 30002. 11 Cass., Sez. II, 24 aprile 2007, n. 35299, Galasso. 12 Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 17, Carli. 13 In tal senso: Cass., Sez. fer., 02 settembre 2008, n. 38370; Cass., Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 20130, Littera bis (emessa lo stesso giorno della pronuncia Littera già menzionata, ma con riguardo all’impugnazione di diverso provvedimento, ancorché emesso nell’ambito del medesimo procedimento penale); Cass., Sez. IV, 14 gennaio 2004, n. 17574, Vatinno; Cass., Sez. I, 6 dicembre 2000, n. 11241, Ammutinato; Cass., Sez. VI, 26 ottobre 1993, n. 11421, Carapucchi. 14 Cass., Sez. IV, 14 gennaio 2004, Vatinno. 15 Sul punto: Cass., Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 30002, Valeri; Cass., Sez. VI, 14 gennaio 2005, n. 7245, Saardi.

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solo per l’attività di trascrizione sommaria del verbale, ma riguarda l’attività di verbalizzazione nella sua globalità, ben potendosi redigere negli uffici della polizia giudiziaria, in tutte le sue componenti, il verbale di un’intercettazione eseguita presso i locali da Procura16. La Cassazione17 sottolinea come non sussista alcun contrasto interpretativo tra le due decisioni (Littera e Galasso) evocate nell’ordinanza di rimessione circa l’utilizzabilità delle intercettazioni captate con la tecnica della cosiddetta “remotizzazione”, giacché la questione sottoposta attiene piuttosto al caso in cui, oltre all’ascolto, siano state eseguite presso gli uffici della Polizia Giudiziaria delegata anche talune tecniche. In effetti il ricorrente aveva rilevato che l’effettiva registrazione era stata eseguita, avvalendosi di CD-Rom, presso gli uffici dei Carabinieri di Comacchio, sostanziandosi, tale condotta nella violazione della disposizione di cui al comma 3 dell’art. 268 c.p.p.. Le Sezioni Unite18 precisano, infatti, il contenuto letterale delle citate sentenze in situazione di presunto contrasto. Infatti la sentenza n. 35299 del 200719 era stata massimata nel modo seguente: “L’ascolto cosiddetto remotizzato, ovvero da luogo diverso rispetto a quello nel quale siano legittimamente eseguite le operazioni captative di conversazioni o comunicazioni, è del tutto legittimo e non richiede l’autorizzazione del Pubblico Ministero”. Pertanto, nemmeno implicitamente lasciava intendere che anche la registrazione potesse avvenire al di fuori della Procura della Repubblica. Di conseguenza entrambe le sentenze Littera e Galasso – tutt’altro che in contrasto – intendevano affermare la necessità che la registrazione delle conversazioni avvenisse nei locali della Procura della Repubblica a ciò destinati. In tal senso: Cass., Sez. III, 20 novembre 2007, n. 4111, Musso; Cass., Sez. IV, 27 settembre 2007, n. 41253, Rizza. 17 Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 17, Carli. 18 Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 17, Carli. 19 Cass., Sez. II, 24 aprile 2007, n. 35299, Galasso. 16

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In conclusione: condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che la registrazione – che consiste nell’immissione nella memoria informatica centralizzata (server), dei dati captati nella centrale dell’operatore telefonico – sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di Polizia Giudiziaria. Ne deriva che l’attività di registrazione cui (implicitamente) si riferisce l’art. 268 co. 3 c.p.p. è costituita esclusivamente da quello specifico segmento della immissione nel server (memoria informatica centralizzata) dell’impianto della Procura della Repubblica dei dati captati tramite la centrale dell’operatore telefonico. Tutte le altre operazioni – compresa quella dello scaricamento dei dati su CD-Rom o su DVD, poiché estranee alla “nuova” nozione di registrazione, non sono soggette al regime di utilizzabilità sancito da tale previsione normativa. Per esse, quindi, è irrilevante il luogo nel quale vengono effettuate, così come l’esistenza di un’autorizzazione da parte del Pubblico Ministero. Inoltre, non ha fondamento l’eventuale eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche, per difetto del decreto del Pubblico Ministero di autorizzazione (ex art. 268 c.p.p., comma 3), poiché le modalità esecutive dell’attività captativa, mediante impianti per la remotizzazione da installarsi presso la Procura della Repubblica, non integrano un’ipotesi di ricorso ad “impianti esterni alla Procura”20. D’altra parte, il legislatore ha previsto specifici mezzi di tutela per l’ipotesi in cui possano sorgere dubbi circa la regolarità della registrazione o sospetti di manipolazione ed invero, in forza del sesto comma dell’art. 268 c.p.p., “ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso, che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, 20

Cass., Sez. IV, 08 luglio 2008, n. 33151.

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hanno facoltà di esaminare gli atti ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche”, dal momento che è proprio attraverso l’integrale registrazione delle conversazioni che viene evitato il rischio di possibili manipolazioni della prova, assicurando, invece, la piena corrispondenza tra quanto detto, quanto ascoltato e quanto verbalizzato21. Di recente, peraltro, sul punto si è pronunciata la Corte Costituzionale22, dichiarando l’art. 268 c.p.p. illegittimo nella parte in cui, a seguito di provvedimento applicativo di una misura cautelare, fondato su trascrizioni sommarie di registrazioni di comunicazioni telefoniche o ambientali, non prevede il diritto del difensore di accedere direttamente alle registrazioni in possesso del pubblico ministero, ottenendone copia mediante trasposizione su nastro magnetico. Non possiamo tuttavia, esimerci dall’esprimere un giudizio critico circa la posizione assunta dalla giurisprudenza nei confronti dell’evoluzione tecnologica che ha caratterizzato fortemente l’ultimo decennio. Al momento della stesura del codice vigente, come abbiamo già detto, l’attività di “ascolto” non poteva essere separata da quella di “registrazione”, poiché entrambe le operazioni venivano effettuate per mezzo del medesimo apparato (un registratore monolinea a nastri magnetici sui quali venivano impressi i flussi vocali captati). Per questo motivo si richiedeva che tale attività – unitariamente considerata – venisse effettuata nei locali delle Procure. Se, invece, oggi è possibile operare una segmentazione dell’attività di intercettazione in “frammenti autonomi” da un punto di vista tecnico e temporale (captazione, registrazione, ascolto, verbalizzazione) non per questo gli stessi devono assumere “autonoma rilevanza” sul piano giuriCass., Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera. C. Cost., 10 ottobre 2008, n. 336. Per un commento, si veda: Pavone, Incostituzionalità dell’art. 268 c.p.p. per violazione del diritto di difesa, in Osservatorio del processo Penale, Utet Giuridica, Anno III, n. 1 (Gennaio-Febbraio 2009), pp. 27-34. 21 22

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dico, invitando gli operatori del diritto a curarsi unicamente delle operazioni di “registrazione”, consistenti nella immissione dei dati, captati presso la centrale dell’operatore telefonico, nei server collocati nei locali delle Procure della Repubblica. Eppure, alla luce dell’interpretazione data dalla recente sentenza Carli23, le operazioni di ascolto e verbalizzazione, pur costituendo la fase più delicata delle intercettazioni possono essere effettuate tranquillamente fuori dai quei locali delle Procure che un tempo ne garantivano la genuinità. Fortunatamente il difensore dell’intercettato, dopo la pronuncia di incostituzionalità poc’anzi richiamata, ha diritto ad accedere direttamente alle registrazioni verificandone la corrispondenza con quanto verbalizzato.

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Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 17, Carli.

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Indagine sulle scritture contabili: art. 492 cpc ottavo comma. Aspetti pratici a cura della dott.ssa Giuliana Corbascio e del dott. Amerigo Cozzi* Rappresenta sicuramente una novità di rilievo e di interesse l’introduzione con la L. 52/2006 della possibilità per l’ufficiale giudiziario di approfondire le indagini sul patrimonio del debitore attraverso l’esame delle scritture contabili. L’ottavo comma dell’art. 492 cpc, prevede che in presenza di un debitore “impreditore commerciale”, previa istanza del creditore procedente e con l’accollo delle relative spese, l’ufficiale giudiziario inviti il debitore stesso ad indicare il luogo ove vengono tenute le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. e nomini un commercialista o un avvocato ovvero un notaio – iscritti nell’elenco di cui all’art. 179 ter delle disposizioni per l’attuazione del codice – per il loro esame al fine dell’individuazione di cose e crediti utilmente pignorabili. Tale intervento di modifica risponde all’esigenza di ricercare mezzi più incisivi rispetto alla precedente normativa rivelatasi in molti casi inadeguata ed ampliarne per tale motivo la portata. L’introduzione di una procedura caratterizzata dalla presenza di aspetti particolarmente innovativi ha creato difficoltà e problematiche nell’ambito applicativo, a cui si è immediatamente cercato di dare delle possibili soluzioni ed interpretazioni. Innanzitutto occorre estrarre dalla normativa i requisiti ed i pre* Ufficiali Giudiziari Tribunale di Brindisi

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supposti necessari, ricorrendo i quali è possibile attivare tale procedura, e precisamente: • La qualifica di imprenditore commerciale; • L’insufficienza dei beni pignorati; • L’istanza del creditore procedente. Questo significa che se l’ufficiale giudiziario ritiene che i beni pignorati sono sufficienti a garantire il credito o sono facilmente vendibili e tali da recuperare la somma precettata entro breve termine la legge non lo autorizza a prendere in considerazione la richiesta del creditore. Per quanto riguarda il momento in cui il creditore può presentare l’istanza occorre distinguere diverse ipotesi: • Immediatamente se il creditore è presente nel luogo di esecuzione ed il debitore ha provveduto ad effettuare la dichiarazione patrimoniale; • Decorso il termine dei quindici giorni se il debitore omette di rendere la dichiarazione; • Immediatamente dopo aver preso visione della dichiarazione se effettuata successivamente al pignoramento ed entro i quindici giorni. La richiesta del creditore deve essere formale in quanto necessaria per le diverse conseguenze legate in termini di spese all’esito dell’indagine. La stessa deve essere formulata con istanza scritta o, nell’ipotesi in cui il creditore è presente nel luogo dell’esecuzione, sottoscritta dal creditore nel verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario. Nell’eventualità che sia stato eseguito un verbale di pignoramento incapiente ed i titoli risultino depositati in Cancelleria, potrebbe essere sufficiente allegare all’istanza una copia conforme del verbale di pignoramento e dei titoli. Tali copie sono necessarie all’ufficiale giudiziario per gli adempimenti successivi nonché per l’emissione del provvedimento di liquidazione. A questo punto l’ufficiale giudiQuaderni

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ziario, ricevuta la formale istanza del creditore – quando la richiesta non è contestuale al pignoramento – si reca presso la sede dell’impresa ed invita l’imprenditore ad indicare dove sono tenute le scritture contabili e contemporaneamente o successivamente redige processo verbale con la nomina del professionista incaricato a tale scopo. Si precisa che nel caso in cui venga presentata dal creditore procedente istanza per l’esame delle scritture contabili non contestualmente al pignoramento e l’ufficiale giudiziario nonostante più accessi non riesca a reperire l’imprenditore o quest’ultimo si rifiuti di indicare dove sono tenute le scritture contabili, comunque si può proceder alla nomina del professionista, senza alcun onere di comunicazione all’impreditore. Il consulente nominato, in questo caso, può richiedere informazioni agli uffici finanziari sul luogo di tenuta delle scritture contabili nonché sulle modalità di conservazione, anche informatiche o telematiche, a cui può accedere ovunque si trovino. Lo stesso, terminata l’indagine, provvede a relazionare sia il creditore procedente che l’ufficiale giudiziario. Se dalla relazione depositata risultano beni utilmente pignorabili che non sono stati oggetto della precedente dichiarazione rilasciata dal debitore-imprenditore, le spese dell’accesso alle scritture contabili e della relazione sono liquidate direttamente dall’ufficiale giudiziario con provvedimento che costituisce titolo esecutivo contro il debitore, nel quale si indicherà tale circostanza. È opportuno, quindi, distinguere tra la liquidazione delle spese e del compenso a favore del professionista, le quali saranno a carico del creditore procedente qualora dalle indagini non risultino ulteriori beni utilmente pignorabili oltre quelli già dichiarati dal debitore-imprenditore, e la liquidazione degli stessi oneri, che costituirà titolo esecutivo contro il debitore allorquando dalle predette indagini siano individuati ulteriori beni. In entrambi i casi, comunque, il provvedimento è emesso direttamente dall’ufficiale giudiziario.

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Tale interpretazione trova riscontro anche in espressi orientamenti ministeriali. In particolare, si osserva che il provvedimento di liquidazione delle spese e del compenso in danno del debitore-imprenditore viene dichiarato espressamente titolo esecutivo dal citato art. 492 comma 8 cpc, e la sua disciplina segue quella della generalità dei titoli esecutivi di cui all’art. 474 cpc. Pertanto, copia del provvedimento, in quanto inerente l’esecuzione mobiliare in corso, deve essere depositato in Cancelleria nel relativo fascicolo, insieme con la relazione rilasciata dal professionista, a cura dell’ufficiale giudiziario competente, per i successivi adempimenti previsti dagli artt. 475 cpc e 153 disp. att. cpc.. Si evidenzia, inoltre, come la stessa nota ministeriale prot. 6/121/03-1/2008/CA del 27/01/09, rilevi che il “creditore procedente non è tenuto ad anticipare le spese ed il compenso da corrispondere al professionista, in quanto solo all’esito delle indagini sulle scritture contabili è possibile individuare il soggetto tenuto al pagamento degli oneri che si sono prodotti. Si rammenta, inoltre, che il provvedimento di liquidazione delle spese e della parcella, sia quando è a carico del creditore procedente sia quando grava sul debitore-imprenditore, non va notificato a quest’ultimo, in quanto non previsto dalla norma in esame, per cui sarà incombenza del professionista richiedere alla parte obbligata il pagamento delle spese e della parcella”. Relativamente all’entità della parcella i parametri di riferimento sono rinvenibili in via analogica nelle Tabelle DPR 352/88, contenenti le tariffe degli onorari fissi e variabili dei periti e consulenti tecnici per le operazioni eseguite su disposizione dell’Autorità Giudiziaria. Tanto premesso sarà compito del professsionista indicare, sulla base di tali Tabelle, la misura del compenso corrispondente alla prestazione resa nella propria richiesta di pagamento, e l’ufficiale giudiziario si limiterà a controllarla e valutarne la relativa congruità nei limiti dei minimi e dei massimi previsti. In merito alla misura di Quaderni

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questi onorari, occorre aggiungere che gli stessi sono stati rideterminati con decreto del Ministero della Giustizia del 30 maggio 2002. Naturalmente, se dalla relazione risultano altri beni pignorabili, il creditore potrà fare istanza al giudice per ritirare i titoli dal fascicolo e provvedere ad una nuova richiesta di pignoramento mobiliare, immobiliare o presso terzi. Si ritiene che l’indicazione di un “modus procedendi” più dettagliato circa l’applicabilità di tale procedura possa risultare utile agli operatori stessi e permetterne un utilizzo più consapevole in considerazione delle possibili conseguenze e valutazioni positive e/o negative.

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L’arresto personale per debiti negli ordinamenti pre-unitari e post-unitari Prima parte a cura di Augusto Conte La discussione intorno a misure sanzionatorie alternative alla detenzione in materia penale per reati minori, affrontata dal legislatore in riferimento alle pene sostitutive di quelle coercitive detentive di competenza del Tribunale per i Minorenni e del Giudice di Pace, e alle misure alternative alla detenzione previste dall’Ordinamento Penitenziario, richiamano quella, che coinvolse i legislatori moderni, italiani ed europei, sull’asservimento del debitore alla coercizione per debiti nell’ambito di quello che fu definito il “Delitto Civile”. I torti civili ordinariamente costituiscono lesioni meramente patrimoniali e le sanzioni di diritto privato, proporzionabili al danno, sono rappresentate dalle restituzioni di diritti, da decadenze, revocatorie e indegnità, che costituiscono coercizioni indirette; il diritto civile consente la coercizione diretta privata giurisdizionalmente garantita, in via eccezionale, come quella di attribuire al possessore la facoltà di difendere il possesso o recuperarlo incontinenti1. 1 A proposito di “coercizioni indirette” (la definizione è proprio quella della Relazione) per gli obblighi di natura civilistica, il recente Disegno di Legge di riforma del processo civile (Atti Parlamentari-XVI^ Legislatura-Senato della Repubblica, n. 1004 del 2008) con l’art. 63 (nuovo articolo 614bis Cpc) introduce, “per l’adempimento degli obblighi di fare infungibile e per gli obblighi di non fare, l’obbligo, applicato con la sentenza di condanna all’adempimento di tali obblighi, della “determinazione di una somma di denaro spettante al creditore per ogni violazione o inosservanza successiva alla pronuncia”, “successiva-

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In passato era ammessa la coercizione diretta pubblica con la previsione dell’istituto dell’arresto personale per debiti, che veniva definito come “la privazione, inflitta al debitore, della libertà personale, per cagione dell’inadempimento delle obbligazioni civili o commerciali dal medesimo assunte”2 e aveva origine nei sistemi di coazione personale nei quali l’esecuzione forzata aveva come oggetto non soltanto il patrimonio del debitore, ma la sua stessa persona, ed era nato nel diritto romano che conosceva il “nexum” definito da Varrone come esempio di asservimento convenzionale del debitore alla persona del creditore3. L’evoluzione del diritto romano in materia è segnata dalla “lex Poetelia de nexis” (prima metà del V° secolo) che, pur senza abolire l’arresto del debitore che non avesse eseguito la condanna e che non avesse beni sui quali il creditore potesse soddisfarsi, determinava la trasformazione del processo esecutivo da aggressione alla persona a quella sul patrimonio. Controversa è la natura giuridica dell’arresto per debiti venendo considerato da alcuni Autori come una pena, quale forma di coercizione pubblica, da altri, almeno in alcuni dei casi che la autorizzavano, come pena civile4. Altro Autore lo riteneva per alcuni casi un “tertium genus” fra esecuzione e pena e altri un genere intermedio fra misure repressive e misure preventive5. mente constatata”, senza che il creditore sia tenuto a promuovere un autonomo giudizio per accertare la violazione, in quanto la sentenza costituisce titolo esecutivo per la riscossione delle ulteriori somme, già liquidate dal giudice; la contestazione di inadempienza può essere fatta valere con l’opposizione alla esecuzione. 2 Cesare Grassetti. Nuovissimo Digesto – UTET 1957. Voce Debiti (arresto personale per) che richiama L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano. Torino 1932. Vol. VI°. 3 M. Terenzio Varrone, De lingua latina, VII°, 105: “Liber, qui suas operas in servitutem pro pecunia quam debebat dum solveret, nexum vocatur, ut ad aere obaeratus”, citato da C. Grassetti (v. nota 1). 4 Vincenzo Manzini. Trattato di diritto penale italiano – UTET 1961, lo qualifica come coercizione diretta pubblica, avente natura di sanzione civile. 5 Francesco Carnelutti. Sistema di diritto processuale civile. Padova, 1936, Vol. I°, pag. 183, secondo il quale l’arresto per debiti non sarebbe pena, data la finalità satisfattiva an-

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La natura giuridica di pena risulta confermata dalle norme codificate che saranno in seguito analizzate (tra le quali quelle contenute nei Codici per lo Regno delle Due Sicilie, nel Codice Sardo di procedura civile del 1859, nel Codice Civile post-unitario del Regno d’Italia del 1865). Considerato che la legislazione francese venne introdotta in Italia attraverso i Codici Napoleonici, va ricordato che in Francia, pur essendo vista con disfavore, era previsto l’arresto personale, applicato soprattutto per contenere gli accessi del “contrainte par corps”, l’arresto convenzionale, con la previsione tassativa dei casi di arresto personale; l’abolizione fu proclamata dalla Convenzione Nazionale, in ossequio al principio di rispetto della personalità umana e della libertà individuale6. In limiti più contenuti l’arresto per debiti fu reintrodotto dai Codici Napoleonici costituendo modello per i codici italiani, fino ad essere soppresso con la Legge 6.12.1877, n. 41667, con due eccezioni: il giudice penale su istanza di parte doveva applicarlo con la stessa sentenza per l’esecuzione di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alle riparazioni nei confronti di autori e complici di delitti (ad eccezione della condanna alla rifusione delle spese e onorari della parte civile), esclusi i civilmente responsabili; il giudice civile poteva applicarlo per le restituzioni, i risarcimenti dei danni e le riparazioni dovuti da un fatto illecito derivante da reato. Il limite massimo era di un anno per illeciti derivanti da crimini (delitti che comportavano la pena di morte, l’ergastolo o la reclusio-

ziché afflittiva, anche se quanto alla struttura è simile alle misure penali, imponendo una afflizione. 6 Cesare Grassetti. Cit. (v. nota 1). 7 In Inghilterra fu cancellata, non senza opposizione, con uno Statuto del 1869 (Debtor’s Act, 1869, 32 e 33) la “prigionia per debiti”, rimanendo in vigore nel caso di insolvenza fraudolenta del debitore che si trovi in stato di solvibilità; in Francia l’arresto in materia civile e commerciale fu abolito dalla Legge 22.7.1867.

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ne nel minimo di tre anni), sei mesi per quelli connessi a delitti, e da tre giorni a tre mesi per quelli nascenti da contravvenzioni. In mancanza di una specifica norma si è a lungo discusso, anche dai giudici di legittimità8 e di merito se la Legge 6.12.1877, n. 4166 fosse ancora applicabile fino alla introduzione dei codici attualmente vigenti e specificatamente fino al 1942, con la promulgazione del nuovo Codice di Procedura Civile. L’orientamento della abrogazione per desuetudine era contrastato dalla supremazia del diritto legale su quello consuetudinario; quello della abrogazione per incompatibilità con il Codice di Procedura Penale del 1913 non era desumibile da specifiche norme; secondo la Cassazione l’abrogazione era stata determinata dal Codice Penale del 1930 che aveva regolato la materia delle sanzioni per i reati (ma ordinariamente la sanzione dell’arresto per debiti era ritenuta di natura civile); in definitiva deve ritenersi che la abolizione dell’arresto personale per debiti è avvenuta con la promulgazione del Codice Civile e del Codice di Procedura civile del 19429. L’arresto personale, in materia civile e commerciale, quale mezzo coercitivo di esecuzione era ammessa in tutte le legislazioni preunitarie e rispondeva a esigenze sociali, anche se confliggeva con principi del diritto naturale; ciascuna legislazione aveva norme diverse e diverse erano le conseguenze e il trattamento per il debitore inadempiente alle obbligazioni, in relazione ai Tribunali nei quali veniva giudicato in applicazione delle legislazioni di riferimento. Uno degli Ordinamenti con regole di maggior rigore era il Regno delle Due Sicilie dove l’arresto per debiti era lasciato all’arbitrio dei Negativamente si espresse la Cass. 24.11.1924 sulla tesi della abrogazione a seguito dell’entrata in vigore del Codice di Procedura Penale del 1913; L. Mortara, Manuale di Procedura Civile. Torino 1929, sosteneva, con Carnelutti, che la lunga desuetudine doveva far considerare abrogate le disposizioni di legge. 9 Vincenzo Manzini. Trattato, cit., il quale ritiene che “la sanzione, che si era rivelata praticamente inutile, non è più ammessa dal Codice di Procedura Civile del 1940, il quale regola interamente la materia dell’esecuzione coattiva”. 8

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privati, ed era permesso in larga misura, con il limite dell’età di settanta anni e con il paradosso che il debitore poteva concludere la sua vita in carcere ove poteva rimanere per oltre trenta anni perché non si poteva mai trovare in condizione di pagare i debiti. I Codici Napoleonici, introdotti nel Regno delle Due Sicilie nel 1806 e resi operativi anche attraverso un rinnovamento dell’Ordinamento Giudiziario (anche con l’introduzione nel 1808, ed entrato in vigore nel 1809, del Giudice di Pace e del procedimento civile e correzionale dinanzi allo stesso), introdotto da Gioacchino Murat, succeduto sul Regno al cognato Giuseppe Bonaparte, disciplinavano l’arresto per debiti. Il Capo VIII del Trattato di Analisi sul Codice di Procedura Civile, nella rubrica “Della condanna all’arresto personale” a commento del Codice di Procedura Civile10 al § 1 stabilisce: “Quando una persona obbligata a forma valida alla presentazione di qualche cosa o all’adempimento di qualche fatto si trovi renitente, vi è il mezzo di ricorrere all’arresto personale (in Francia “contrainte par corps”) onde costringerla all’eseguimento della propria obbligazione”. La disposizione chiarisce che: “generalmente questo rigore non ha luogo nelle materie civili”, e prosegue: “L’arresto dunque di un debitore non può accordarsi da’ Tribunali ordinarj che né soli casi espressamente previsti dalle leggi civili”. Uno degli esempi offerti dal Codice di Procedura Civile11 riguarda “il patrocinatore che si ostinasse a non restituire i documenti prodotti dall’avversario e da lui asportati dalla Cancelleria” potendovi essere costretto anche con l’arresto personale: la previsione normativa è riportata come esempio di pena dell’arresto personale disciplinato in

10 Analisi del Codice di Procedura Civile per servire di guida alla Pratica Forense corredata di formole per qualunque atto. Tomo Primo. Napoli 1809 presso Luigi, e Raffaele Nobile. Nel Chiostro di S. Pietro a Majella, pag. 73. 11 Art. 107 del Codice di Procedura Civile Napoleonico.

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materia civili nei casi previsti dalla legge12. La pena dell’arresto personale può essere pronunciata dal Tribunale 1) “per danni ed interessi in materia civile” eccedenti la somma di lire 300; 2) “per residuo di debito dipendente da rendimento di conti di tutele, cure, amministrazioni di corporazioni o comunità, o di stabilimenti pubblici”; 3) “per il residuo di debito di conti dipendenti da amministrazioni destinate per ordine del giudice”; 4) “per qualunque restituzione che dovesse farsi dipendere da’ conti negli anzidetti casi”13. Il giudice ha la discrezionalità, con obbligo di motivazione, di ordinare che l’arresto non sia eseguito fino a un certo termine indicato nella sentenza; spirato il termine il creditore aveva il diritto di far eseguire la condanna senza un ulteriore intervento del Tribunale “a fine di evitare le inutili procedure”. Ordinariamente, oltre ai casi in cui il Tribunale poteva applicarlo, la sottoposizione all’arresto personale era una scelta volontaria contrattualmente convenuta dalle parti con atto formale in virtù del quale all’inadempimento conseguiva la misura detentiva. Il codice di rito disciplinava in maniera puntuale il procedimento dell’arresto che doveva essere preceduto dal “precetto preliminare”, e da una istanza per la designazione dell’“usciere” che doveva eseguire la misura; venivano disciplinati tempo e luoghi nei quali il debitore poteva essere arrestato, le formalità da eseguire, la redazione del processo verbale, le nullità, il reclamo, la scarcerazione. Il 31.3.1819 Ferdinando I° per la Grazia di Dio Re delle Due Sicilie, di Gerusalemme, ecc., Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacen12 Il Volume “Analisi..” di cui alla nota 10, con tale termine indica la misura dell’arresto personale; il Volume (che costituisce sostanzialmente una sintesi dell’omologa opera francese, come indicato nell’”Avviso degli Editori Italiani” dell’Autore, il Lagage, antico Avvocato del Foro di Parigi, che aveva pubblicato in Francia l’opera “Nouveau Style de la procedure civile”) si definisce come “un corso pratico di giurisprudenza forense”. 13 Art. 126 Codice di Procedura Civile.

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za, Castro, ecc. ecc., Gran Principe Ereditario di Toscana ecc. ecc. ecc., pubblicava in Napoli il Codice per lo Regno delle Due Sicilie, “sanzionato” in Napoli il 26.3.1819, ripartito in cinque parti, Leggi Civili, Leggi Penali, Leggi della Procedura né giudizi civili; Leggi della Procedura né giudizi penali, Leggi di eccezione per gli affari di Commercio, di sedici Titoli. Il Libro VI° della Parte Terza (Leggi della Procedura né giudizi civili), disciplinava la esecuzione delle sentenze. L’arresto personale per debiti era disciplinato nel titolo XV° dall’art. 863 all’art. 888. L’art. 863 stabiliva che l’arresto poteva mandarsi a esecuzione solo se pronunciato con sentenza e previa notifica, il giorno prima, dell’atto di precetto, e mezzo dell’“usciere” “destinato” nella sentenza; l’arresto non poteva essere eseguito prima del levare e dopo il tramonto del sole; nei giorni di festa “di doppio precetto”; nella vigilia di Natale e durante la Settimana Santa; nelle chiese durante le cerimonie religiose; nei luoghi di adunanza e durante tutta la seduta delle “Autorità costituite”; in una qualunque casa e in quella propria del debitore, salva diversa previsione (e in tal caso il giudice del circondario14 doveva personalmente recarsi presso la casa “in compagnia dell’Ufficiale Ministeriale”. Non poteva essere arrestato, nel giorno fissato per la comparizione e nel periodo di andata e ritorno, il debitore chiamato a deporre come teste, in possesso di salvacondotto accordatogli dal Presidente dell’organo giudiziario dinanzi al quale era chiamato, su parere del Pubblico Ministero. Dell’arresto veniva redatto processo verbale contenente il precetto a pagare, l’elezione di domicilio del creditore nel Comune ove il debitore sarà detenuto, il nominativo di due testi che dovevano 14 Il giudice del Circondario, dopo la Restaurazione, fu introdotto in luogo del Giudice di Pace.

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presenziare all’atto; il precetto aveva validità di un anno, decorso il quale doveva essere rinnovato. Le Leggi Penali si applicavano in caso di resistenza e comunque l’“usciere” poteva ricorrere alla forza armata. Era prevista una specie di incidente di esecuzione dinanzi al Presidente del Tribunale civile o al Giudice del Circondario ove il debitore chiedeva di essere sentito; se l’arresto era eseguito fuori dalle ore destinate alle udienze, il debitore era condotto nella casa del Presidente e del Giudice del Circondario; il procedimento sommario era deciso con ordinanza trascritta nel processo verbale. Il debitore veniva condotto nelle carceri del luogo o in quello più vicino; in caso contrario l’“usciere” e agli altri partecipi sarebbero stati ritenuti responsabili di arbitraria detenzione. Il creditore era tenuto ad anticipare la somma di ducati tre per ogni mese a titolo di alimenti. Nell’atto di carcerazione venivano indicati la sentenza; i dati anagrafici, domicilio e professione del creditore e del debitore; il deposito per gli alimenti; la menzione del rilascio di copia, firmata dall’“usciere”, di processo verbale e atto di carcerazione. Il custode delle carceri trascriveva sul registro il giudicato posto a fondamento dell’arresto. Ovviamente era prevista l’istanza “di intervento” di altri creditori per ottenere l’arresto; in tal caso il creditore che aveva proceduto poteva obbligare il nuovo creditore istante a contribuire in porzione uguale per gli alimenti. L’arresto era nullo senza le predette formalità e veniva dichiarato dal Tribunale del luogo ove il debitore reclamante era detenuto e, in caso di ragioni attinenti al merito della sentenza, dal Tribunale dell’esecuzione. In caso di accoglimento un nuovo arresto non poteva essere eseguito se non trascorso almeno un giorno. Il pagamento del debito e delle spese di cattura comportava la rimessione in libertà; ragioni della rimessione in libertà erano: 1)

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consenso del creditore e intervenuti15; 2) pagamento di capitale, interessi e spese, e restituzione degli alimenti; 3) mancanza di creditori disposti a versare le somme per gli alimenti, attestata dal carceriere; 4) l’età di anni settanta16. L’art. 193 delle Leggi Civili consentiva al debitore di sottoporsi all’arresto personale volontariamente, con Atto di Brevetto, stipulato da Notaio; per rafforzare l’adempimento all’obbligo assunto con l’Atto di Brevetto, il debitore si sottometteva, in caso di inadempimento, alla “coazione personale”. L’inadempimento veniva accertato con sentenza che conteneva la condanna, oltre che al pagamento del debito contratto, anche all’arresto personale (ed anche in caso che il reo fosse dichiarato contumace)17.

Il consenso, ai sensi dell’art. 884 doveva essere formato con atto per Notaio e trascritto nel registro degli atti di carcerazione. 16 Il rilasciato per mancato deposito di alimenti non poteva essere nuovamente arrestato se non previo rimborso da parte del creditore delle spese sostenute per ottenere il rilascio, ai sensi dell’art. 887. 17 Sentenza contumaciale 13.9.1824 del Giudice del Circondario di Ceglie, Nacher Lilli. 15

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L’immoralità necessaria di Ettore Randazzo*

L’immoralità necessaria è quella del processo, nella cui moralità concreta, e quindi correttezza, a contrario rispetto al titolo, l’Autore non crede, anzi lascia intendere di non credere, limitandosi a concedergli soltanto il riconoscimento, democraticamente e logicamente innegabile, della sua necessità. Innamorato – benché deluso – della Giustizia e della Difesa, e solido emblema della procedura penale italiana, Massimo Nobili ci regala pagine e immagini eterne, scovate grazie a una raffinata, lunga, rigorosa perlustrazione culturale. E ancor più le sue chiose. Garbate, in punta di piedi, discrete quasi. Almeno apparentemente. Ché invece i tumulti delle sue energie interiori erompono irresistibili, conquistando il lettore e trasformando quelle che volevano rimanere ammirate didascalie nel vero tesoro di que-

* Scuola di Formazione dell’Unione delle Camere Penali Italiane

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sto affascinante breviario. Il quale non può affatto ritenersi una, pur ineguagliabile, selezione antologica. Lo è anche, e seduttivamente, insuperabilmente. Ma peccherebbe di superficialità chi vi cogliesse solo questo profilo: c’è ben altro nell’Immoralità Necessaria, il cui sottotitolo, appunto, è “Citazioni e percorsi nei mondi della giustizia” (Il Mulino, 2009). C’è l’attrazione poderosa di quanti soffrano della stessa malia per la funzione difensiva. E c’è soprattutto, vanamente mascherata dietro le parole eterne di altri grandi, la storia personale di un amore. Tormentato, esigente, contrastato, tradito. Insofferente alla contaminazione irredimibile di una sacralità alla quale non riesce a rinunciare, l’Autore ha abbandonato anzitempo l’agone giudiziario e lo stesso prestigioso scranno accademico, sui quali avrebbe potuto continuare a regnare magnificamente a lungo. Ne sentiamo tutti la mancanza, quanto gli siamo grati di averci ammesso a questa generosa condivisione. L’esordio del volume è la migliore anticipazione della sua dimensione culturale. “Sono pagine, queste, nate dalla convinzione che la materia della giustizia s’intenda meglio esplorando i processi penali considerati da Schiller, Rabelais, Stendhal, o – le questioni del pubblico ministero – frequentando il procuratore Kirìllpvic di Dostoevskij e Kurt Zorn di Durrenmatt. ... Per apprendere poi ex novo la nobiltà e la generosità della funzione difensiva, possono divenire insostituibili un brevissimo racconto di Kafka (1922) e uno splendido di Giovenale”. In effetti, Surgis tu pallidus, dicturus dubia (Giovenale, Satire, VII, 115. Ti alzi pallido – avvocato – per avanzare in giudizio argomenti incerti) è una definizione, un’immagine della nostra funzione, mirabile, per dirla con l’Autore. Già, l’Autore. Che campeggia e domina, nonostante il suo tentativo di nascondersi dietro l’incanto dei frammenti di storia artistica della giustizia. Massimo Nobili non è solo un Maestro indiscusso e venerato della procedura penale, e un altro magistrato, e un avvocato Quaderni

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di rango. È un uomo, forte di altre passioni, che ha abdicato in silenzio a tutto ciò. Malinconicamente, credo. L’Autore si dichiara irremovibile nel considerare in tutt’uno due temi dall’apparenza digressiva: l’uso della parola e, ancor più, l’insegnamento. Idea preziosa, anche quest’ultima, e non riferita all’insegnamento accademico o tecnico per i professionisti. Gli spunti, ancora una volta, sono tratti da lontano: da Concorcet a Nietzsche, da Montaigne a Sepúlveda e a Sándor Márai, che tuttavia assumono attualità rispetto alla situazione odierna. I titoli dei capitoli, a loro volta densi di una serie di paragrafi, scandiscono i percorsi tracciati: Le Erinni, il castigo; Sonde nel processo penale; Prove, accertamento, errori; Specchi della storia; Giustizia, parole, insegnamento; Sproporzioni. Consapevolezze. Ma ancor meglio si coglie il respiro del libro spigolando nell’Indice dei nomi e degli argomenti. Lì si rinvengono alcuni rivelatori attraenti ed eloquenti: Profezie; torture nuove; efferatezze ignote: non previste e non punibili; giudici naives; metamorfosi tra procedura e pena (l’atto giudiziario usato come pena; la pena; la pena che ingloba in sé il processo); sfide al processo, umori, violenza intrinseca dei processi; bagliori, fiamme, scintille, ecc.; silenzi, rumori, urla, applausi, folla. L’opera contiene anche intriganti bozzetti (una ventina) di vicende giudiziarie vissute da Massimo Nobili, come giudice o come avvocato, in entrambi i casi con sincera partecipazione. Il lettore ne coglie il messaggio, puntuale ed esperto, e beneficia del suo pregevole contenuto. L’impegno a trarre linfa dalle aree limitrofe è dichiarato come un azzardo consapevole per “smuovere le acque”. Qui i percorsi si snodano in materie solitamente inesplorate dai giuristi. Non ultima, l’iconologia, dalla quale esce un patrimonio nuovo ed immenso (sono utilizzate decine e decine di opere, per estrarre in esse questioni quotidiane, dei nostri anni): dai codici miniati del medioevo,

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a Max Beckmann; da Rembrandt a Delacroix, a Otto Dix e così via. Fino a intendere, per esempio, la questione circa l’accorpamento o la separazione fra giudici e pubblici ministeri dentro una tela celebre durante l’Ottocento, ma oggi pressoché ignorata (Pierre Prud’hon, 1808: La Justice e la Vengeance). La ricercata più che voluta simbiosi con aree di solito reputate estranee (che denota quasi il bisogno di un approvvigionamento) a volte conduce a esiti imprevisti: l’occhio del penalista, essendo diverso, può scoprire profili e interpretazioni inedite anche sui temi più dibattuti dagli esperti delle varie discipline. Così accade per il pensiero di Kafka: Der Prozess è rivisitato nell’ottica di rapporti rovesciati fra diritto sostanziale e processo. Così accade per l’itinerario della “Lotta di san Michele contro il Male” (senza interruzioni, dall’anno mille sino a primi del secolo attuale): esso viene ora riletto sulle categorie giuridiche del dolo, della responsabilità individuale (il libero arbitrio), del nesso di causa. Con abbondanza di argomenti e di testi, anche temi che apparivano sistemati da tempo incontrano smentite e revisioni radicali: così il modello inquisitorio non solo adottò mezzi barbarici (tuttavia tesi a ottenere la verità), ma fu anche usato consapevolmente (come l’Autore ci mostra nel capitolo IV), per “l’alterazione dei fatti e la falsificazione nell’acquisire i dati”. Il capitolo VI, l’ultimo (Sproporzioni. Consapevolezze), conferma lo stato d’animo dell’Autore. “... Alcuni gruppi di citazioni ... sembrano volerci accompagnare ancora, dopo i molti percorsi; quelli che intendono replicare alle sollecitazioni d’ampia fiducia verso chi amministra la ‘giustizia’. Serve e sgomenta – invece – constatare quali e quante atrocità portarono e portano tale nome. Gli apparati e la loro storia mostrano miserie, falsità, sproporzioni. Certe ‘immoralità’ sono endemiche: non emergono in momenti lontani e isolati; o per sbagli occasionali di qualche operatore; o solo per la scelta di un modello procedurale invece d’uno diverso (anche se queste alterQuaderni

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native restano imprescindibili). Dunque, è la ‘giustizia penale’ in sé che infine ci coglie con un sapore amaro, molto amaro.” Con un banale gioco di parole, e giusto per lasciare accesa almeno una fiammella di speranza, vorrei poter dire che il processo, sebbene bisognoso di rianimazioni sapienti (ormai, ai limiti dell’accanimento terapeutico) e di poderose terapie costituzionali, si alimenta di una necessaria immortalità, che quanto meno abbiamo il dovere di auspicare, confidando nel dogma di una giustizia autentica e di una difesa senza aggettivi. Tale da neutralizzare, o almeno offuscarne l’immoralità. Lui scuoterà la testa, ma in quest’atto di fede mi conforta e mi emoziona la riluttante e inconfessata contiguità di un gigante del pensiero giuridico, il quale a quel mondo giudiziario che suo malgrado continua ad amare ha dedicato quest’opera straordinaria, unica. Che è anche una porta socchiusa. In tanti tenteremo volentieri di spalancarla.

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Appunti di lettura di Carlo Panzuti*

PAOLO BORGNA, Difesa degli Avvocati scritta da un pubblico accusatore, Editori Laterza, 2008, pp.119 La forma del dialogo tra il pubblico ministero narrante – l’Autore – e il tirocinante Francesco è il mezzo espressivo scelto da Paolo Borgna per affrontare il tema dei rapporti tra i magistrati e gli avvocati, o meglio il ruolo degli avvocati nella società e nel processo visto da un appartenente all’ordine giudiziario. La struttura del lavoro è molto interessante, perché trae le mosse dalla contestazione dei luoghi comuni correnti sulla figura dell’avvocato – la “vulgata” nel primo capitolo – per passare al ricordo di due tappe della storia moderna dell’avvocatura: i simboli Fulvio Croce e Giorgio Ambrosoli (capitolo secondo, “eroi”). Il primo era presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino nel 1977 all’epoca del processo storico alla Brigate Rosse, in uno dei periodi più critici e travagliati della giovane democrazia italiana. L’Autore descrive benissimo il ruolo principale dell’avvocato, * Consigliere Segretario Ordine Forense di Brindisi

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sempre diviso tra la strenue difesa dell’assistito e il rispetto delle norme e delle regole sostanziali e processuali. Tutti noi ricordiamo che furono proprio le Brigate Rosse ad esaltare l’importanza sociale della figura dell’avvocato perché, rifiutando la difesa di fiducia e quella di ufficio, ma dichiarando di voler personalmente assumerla, centrarono perfettamente il fulcro del nostro sistema, fondato sull’avvocato quale soggetto costituzionale necessario che tutela gli interessi di una parte nel pieno rispetto, e dunque all’interno, di un quadro normativo di riferimento (salvo discutere oggi quale esso sia alla luce di una visione allargata dei diritti fondamentali della persona). Da pochi giorni, l’11 luglio scorso, sono trascorsi vent’anni dalla tragica uccisione del secondo eroe borghese, l’Avv. Ambrosoli. Egli, nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, noto istituto di credito facente capo al finanziere Sindona intorno al quale ruotavano oltre trecento società matrioske, assunse la funzione e la condusse con lo scrupolo, la meticolosità e l’intransigenza propri di un servitore della legalità, rigido osservante delle regole e inflessibile su ogni aspetto della vicenda a lui affidata. Quelli che oggi sogliono chiamarsi i poteri forti, gli enormi interessi economici e politici che gravitano intorno agli affari di Sindona, non ultimi rapporti con la mafia, condurranno il giurista Ambrosoli a un destino predestinato. Egli, infatti, scoprì che la banca di cui era commissario deteneva la maggioranza di azioni al portatore di un noto gruppo; trovò, in altri termini, il tesoro nascosto di Sindona, al quale facevano capo i consorti del finanziere; colpì in sostanza il ventre pasciuto dell’impero economico del discusso siciliano e, sempre più consapevolmente, si avvicinò al giorno finale da cui, con lucida visione, sapeva di non poter fuggire. Già nel febbraio 1975, quattro anni prima del fatidico 11 luglio, Ambrosoli scrive una lettera testamento alla moglie in cui prima ri-

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corda i tempi della gioventù e degli ideali politici, poi ironizza che a quarantanni sta facendo politica per lo Stato assumendo quell’incarico gravoso di liquidatore e infine aggiunge: “qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare e sono certo che saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europea”. Nel terzo capitolo, “La dialettica”, l’Autore vuole smentire il luogo comune dell’avvocato antitesi del magistrato (giudice o pubblico ministero), come contrapposizione tra interessi privati e interessi pubblici. Entrambi partecipano alla funzione sociale di fare giustizia nel rispetto dei diritti e degli interessi molteplici che gravitano intorno a questo “nostro” mondo. “Il processo senza avvocato ci appare, oggi, come la testimonianza di un passato che non potrà più tornare”. Il Borgna affida a una simile convinzione il compito di contrastare il larvato pensiero di quelli, anche magistrati, che vedono come un peso, quasi inutile, la presenza dell’avvocato nel processo, come se esso potesse essere risolto e affidato direttamente alle cure della tutela pubblica. È il riconoscimento della centralità del sistema democratico basato sul bilanciamento degli interessi, equilibrio che giammai può reggersi credibilmente su di un solo ago della bilancia. Immaginiamo un grande occhio sul mondo che tutto scruta e assorbe, traendo energia vitale di scambio dalla società: è il nostro avvocato, quello di cui ci parla l’Autore nel quarto capitolo. L’avvocato vive nella società e la vive dinamicamente, cogliendo gli elementi di raccordo con il mondo giudiziario: egli è dunque il mediatore sociale; aggiungerei, per antonomasia. In questa sua funzione “l’avvocato è il miglior amico del pubblico ministero: lo aiuta a difendere la sua salute mentale”. Quaderni

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Il rapporto diretto dell’avvocato con i clienti e i soggetti sociali nel loro complesso e la umanità che essi esprimono sono l’antidoto verso il naturale rischio di un irrigidimento del lavoro del magistrato, sempre più invischiato in pastoie burocratiche e spersonalizzanti. Il Borgna ci sollecita a considerare la preziosità di ogni elemento che l’avvocato sottopone inevitabilmente nell’esercizio della sua attività, perché lì si cela il seme dell’attaccamento alla vita e ai beni che gli individui chiedono che siano rispettati, pur nel naturale e doveroso esercizio del “fare giustizia”. Interessante è scoprire, leggendo, come noi avvocati siamo osservati da una parte del mondo di cui siamo protagonisti, dai magistrati appunto. Ancora più interessante è apprezzare la sensibilità dell’Autore che si sforza di smentire un altro luogo comune: è semplice il compito degli avvocati che non sono tenuti a perseguire la verità per difendere i clienti. Alla domanda: “è così vero che il non essere tenuti a ricercare la verità rende più facile il mestiere del difensore?” risponde spiegando il ruolo del giudice e del pubblico ministero e dimostrando come sia certamente più complicato quello dell’avvocato, obbligato a informare il proprio cliente sulle varie possibilità della difesa, ma, alla fine, solo nella scelta concreta anche perché le questioni tecniche spesso non sono facilmente apprezzabili e assimilabili dagli assistiti. L’Autore esorta noi avvocati a non preoccuparci di vedere minata la nostra immagine dalla naturale partigianeria nella difesa del cliente e dalla frequente apparente contraddizione nel sostenere tesi contrapposte, perché tutte queste caratteristiche, necessarie nel concreto svolgimento della professione, “rifulgono come scintillanti virtù del proprio avvocato di fiducia non appena ciascun cittadino si trovi a essere trascinato e coinvolto come parte in un processo penale o in una causa civile”.

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La complessità della funzione obbliga allora a considerare i numerosi problemi della professione forense che, sempre ricorrenti, oggi si manifestano con aspetti più marcatamente nuovi, come l’eccessivo numero degli iscritti che mette in luce il fatto che una gran parte dei giovani professionisti si affida alla difesa di ufficio o al patrocinio per i non abbienti per trarre sostentamento. E il numero va a discapito della qualità delle prestazioni, cui sempre deve mirare l’esercizio di una funzione sì delicata per le profonde ripercussioni sociali. Grave è allora sostenere – rimarca l’Autore – la necessità di una liberalizzazione dell’offerta che crei maggiore concorrenza e dia al cittadino una più vasta possibilità di scelta. Infatti, “il servizio offerto dagli avvocati consiste nell’aiutare il cittadino a tutelare i propri diritti: non può essere trattato come la merce di un supermercato. Bisogna curare la qualità, non aumentare la quantità. E l’eccesso di offerta va a scapito della qualità”. L’altro atavico problema è, conseguentemente, la selezione meritocratica di chi accede alla professione forense. Un serio tentativo di intervento lo ha operato la stessa categoria degli avvocati nel testo di riforma della professione licenziato recentemente e sottoposto all’esame del Parlamento. L’ultimo capitolo, “Indipendenti e responsabili”, tratta l’argomento sotto il punto di vista dei giudici e dei pubblici ministeri e, soffermandosi sulla legittimazione o delegittimazione della funzione giurisdizionale scorrendo gli ultimi interventi normativi e quelli ulteriormente preannunciati, sembra abbandonare il tema generale del libro sulla difesa degli avvocati. È solo apparenza perché, discorrendo sui giudici, vuole sottolineare la necessità di ogni superamento di contrapposizione con gli avvocati, ed anzi sollecita i propri colleghi a trovare la legittimazione proprio nell’accettazione delle critiche e della partecipazione fattiva della categoria forense alla vita della magistratura, come semQuaderni

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bra aprire – seppure in maniera limitata – l’inserimento di essa nei consigli giudiziari. Proprio la funzione mediatrice dell’avvocato è necessaria e indispensabile perché la società riconosca appieno il lavoro e la funzione della giurisdizione, attribuendole effettivamente l’indipendenza che merita, a patto però che i giudici dimostrino concretamente di essere soggetti responsabili e capaci di non eccedere i limiti della discrezionalità che il potere esercitato gli attribuisce. L’avvocato è una figura centrale del sistema giudiziario, va difeso nel suo essere e dover essere indipendente, autonomo e soprattutto responsabile delle proprie azioni. E ANCORA

NINO AMADORE, La zona grigia - Professionisti al servizio della mafia, La Zisa editore, Palermo, 2007, pp.143 Giornalista del “Sole 24 ore”, attento e scrupoloso alle dinamiche della mafia, Amadore indaga sul rapporto tra l’organizzazione criminale e i professionisti ad essa prestati. Traccia così le linee di una “borghesia mafiosa” intesa come la compagine di soggetti in possesso di quel sapere che serve ed è funzionale alla criminalità per gestire e organizzare l’enorme flusso di danaro, ma ancor più per legalizzare il mondo sommerso del malaffare. L’indagine è difficile perché ancora non si è stratificata una giu-

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risprudenza che abbia accertato con costanza e puntualità i gangli di tale rapporto e perché non esiste tuttora una presa di posizione corale delle diverse forze sociali sane sul fenomeno denunciato. Ciò nonostante, partendo dal materiale giudiziario esistente, dai frequenti rapporti della direzione nazionale antimafia e dalle informazioni circostanziate a lui note, l’Autore mette il lettore di fronte ad un enorme problema sociale e soprattutto, in modo originale, tira in ballo i “corpi sociali intermedi”, quegli Ordini professionali che rappresentano le categorie dei lavoratori intellettuali, di cui egli denuncia la collusione (s’intende, di una minima parte di essi). È noto che per questo libro l’Amadore ha già ricevuto serie minacce dagli ambienti malavitosi, come è noto che ha ricevuto attacchi dalle istituzioni ordinistiche. Eppure mi piace sottolineare che oggi più che nel passato si assiste all’accentuazione del valore sociale delle professioni, e in particolare di quella dell’Avvocatura, con l’attribuzione di funzioni pubbliche esplicate in vece dello Stato, a supporto dell’apparato della giustizia e come servizio alla collettività e agli utenti del mondo giudiziario. A una simile accentuazione corrisponde, però, un peso sociale che grava maggiormente sulla categoria forense (preferisco, infatti, rimanere nell’ambito del mondo professionale che è proprio della rivista che mi ospita) e che la obbliga a farsi carico non solo dei compiti strettamente aderenti all’istituzione, bensì anche di interventi diretti e chiari a sostegno della legalità e del rispetto della funzione professionale quale mediazione tra gli interessi dell’assistito e il massimo e assoluto rispetto delle regole. Trovo allora che l’Autore abbia centrato uno dei problemi di cui l’Ordine professionale deve farsi carico: una rigorosa ricerca e un immediato controllo dei comportamenti di quegli iscritti che prestano la loro attività al servizio della criminalità o che con essa sono collusi nelle forme più disparate. L’esercizio, in altri termini, di una funzione disciplinare effettiva, efficace e risolutiva. Quaderni

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Ma Amadore richiama anche la necessità, che a mio avviso costituisce un dovere sociale, che l’Ordine sia portavoce dei valori sani della professione e nella loro continua riaffermazione sia l’artefice della messa al bando di quella parte del corpo sociale rappresentato, che nega l’esistenza stessa della funzione e dei doveri sociali del professionista. Lo stimolo che viene dalla lettura non bisogna, dunque, prenderlo come un attacco alla categoria e all’ordine che la rappresenta, bensì come una sollecitazione a partecipare attivamente alla lotta contro una parte criminale della società, in ciò riconoscendo a noi professionisti tutta l’importanza e il peso che abbiamo nell’aggregazione e nella difesa di valori portanti della civile convivenza. E ANCORA

PIERO CALAMANDREI, Fede nel diritto, a cura di Silvia Calamandrei, Editori Laterza, 2008, pp.142 Viene dato alle stampe un discorso che Piero Calamandrei fece nel gennaio del 1940 alla FUCI di Firenze al cospetto di un “pubblico strano: cattolici, ebrei, antifascisti, magistrati, professori”. Non si può in questa sede nemmeno tentare la stesura di una minima recensione, quando nel libro sono presenti un appendice della figlia Silvia, che inquadra in maniera impagabile il clima storico e intellettuale in

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cui avviene la lezione del padre, e ben tre saggi scritti nell’ordine da Gustavo Zagrebelsky, Pietro Rescigno e Guido Alpa. L’unica possibilità che rimane è di riportare brevi passi di tali saggi, perché voi che leggete troviate subito interesse a gustare direttamente lo scritto del Calamandrei: se così dovesse accadere, questa mia indicazione avrà avuto senso. 1. «La conferenza è un’apologia della legalità. Ma se la leggiamo solo così, probabilmente vi troviamo poco che non sia già contenuto in altri scritti, anteriori e successivi… Ciò che più interessa è la giustificazione di quell’apologia. La legalità non è solo un elemento della forma mentis del giurista, o di quel tipo di giurista (legalitario, appunto) nel quale Calamandrei si riconosceva. È per lui un elemento morale, che corrisponde esso stesso a un’idea di giustizia: nella legge e nel suo rigoroso rispetto sta la giustizia di giuristi, giudici, avvocati, studiosi del diritto. E non perché egli creda in un legislatore giusto, che è tale perché e in quanto da lui promanino leggi giuste, come possono ritenere i giusnaturalisti di ogni specie; e nemmeno perché creda in un giusto legislatore, dal quale, per qualche qualità sua propria, provengano leggi giuste per definizione, come ritengono i giuspositivisti ideologici; ma perché crede che la legge in se stessa, in quanto cosa diversa dall’ordine particolare o dalla decisione caso per caso, contenga un elemento morale di importanza tale – agli occhi dei giuristi – da sopravanzare addirittura l’ingiustizia eventuale del suo contenuto. Questo elemento morale risiede nella forma-legge in quanto tale, cioè nella forma generale e astratta in forza della quale si esprime, poiché questa è la “forma logica” della solidarietà e della reciprocità tra gli esseri umani, su cui soltanto società e civiltà possono edificarsi» [GUSTAVO ZAGREBELSKY, Una travagliata apologia della legge, pp. 5-7]. 2. «In breve, dalla riflessione sul diritto propria della tradizione cristiana Calamandrei non è disposto a ricevere e a far proprie le suggestioni del diritto naturale; ne condivide la premessa dell’eguaQuaderni

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le dignità degli uomini e vede garantita la parità nella misura più alta dai principi di legalità e di certezza. Si deve dunque confermare l’immagine di Calamandrei giurista rigorosamente laico, che peraltro non dichiara clausure e negligenza rispetto a un patrimonio spirituale che si è formato e arricchito anche in virtù degli apporti della Chiesa. ... Certezza e legalità appaiono, come si è detto e ripetuto, strettamente e in modo indissolubile funzionali al rispetto dell’eguaglianza, e dunque garanzie della libertà individuale che necessariamente presuppone la parità dei soggetti rispetto alla previsione delle leggi e all’applicazione che ne verrà fatta dal giudice. Da un giurista che conosce la storia, le finalità e la coerenza di istituti pur diversi per origine e scopo, sono menzionati quelli più significativi che il sistema giuridico ha escogitato e mantiene al servizio della certezza e della legalità e quindi dell’eguaglianza dei destinatari delle norme nate dalla formulazione legislativa (e perciò da una diagnosi politica esercitata dal legislatore, e soltanto da esso)» [PIETRO RESCIGNO, Il rifiuto del sistema normativo dei totalitarismi, pp. 33, 36-37]. 3. «Torniamo alla tecnica. Calamandrei non la intende come arida composizione di testi né come statica applicazione di leggi: il diritto è inteso come “forza della coscienza morale”, “fede in certi insopprimibili valori umani, la aspirazione verso la bontà e la pietà”. Le parole usate sono pietre, smentiscono sia la retorica del ventennio, che esaltava la forza e l’audacia, valori antitetici alla bontà e alla pietà, sia la concezione di un diritto “puro”; quel diritto che lo stesso Kelsen dichiarava essere fondato su una base metagiuridica, “come un occhio – dice Calamandrei – in cima alla cupola da cui penetra il sole a illuminare il tempio, può penetrare a dar luce e calore alla fredda opera dei giuristi, la luce della morale e della fede”. Di più: il diritto “tecnico” non è un diritto meccanicamente applicato, perché contiene le clausole generali, i principi generali, che,

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come “valvole di sicurezza”, consentono al giudice di far “ringiovanire ininterrottamente il diritto positivo e di mantenerlo, attraverso la interpretazione cosiddetta evolutiva, in comunicazione colle esigenze della società a cui esso deve servire”. Tutto ciò nel segno della legalità e nella dimensione della protezione dell’interesse pubblico, come Giuseppe Chiovenda ha insegnato nei Principi di diritto costituzionale. Il diritto “tecnico” è un diritto praticato: qui vien fuori l’avvocato che, messo a contatto con le vicende della vita reale, fatta di aspirazioni e di persone, di soprusi e di difese trova nelle regole giuridiche la risposta della giustizia: “in questo suo ufficio essenzialmente pratico di applicazione delle leggi astratte ai casi concreti consiste l’utilità sociale del giurista”, che “diventa un politico quando con queste leggi egli discende nella realtà sociale e al lume di esse interviene nelle miserie e nelle risse degli uomini, e serve ad essi in concreto di guida e di garanzia”» [GUIDO ALPA, Un atto di “fede nel diritto”, pp. 57-58]. È una lettura che aiuta a comprendere la grandezza dell’Uomo e del Giurista, ma soprattutto ci fa riflettere sulla necessità che il pratico del diritto ha bisogno di governare le regole astratte per svolgere quell’insopprimibile funzione di garanzia della difesa egualitaria dei cittadini. Una simile padronanza si può ottenere solo attraverso una continua azione di aggiornamento, la quale presuppone una curiosità di fondo, la consapevolezza dei propri doveri e obblighi e una capacità di applicazione costante.

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