RiSoluzioni - Storie di Artisti

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Risoluzioni



“Rotolando, come continuare a rotolare�



Risoluzioni


Accademia di Belle Arti di Roma Dipartimento di Grafica e Fotografia Anno Accademico 2016/2017 Progetto di tesi in Grafica e Fotografia Autore: Gianluca De Petris Progetto Grafico: Gianluca De Petris Relatore: Prof. Salvatore Barba Finito di stampare nel Marzo 2018 Š 2018 Gianluca De Petris


Risoluzioni


Indice

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SUB-CAPITOLO 2.1 Capitolo 4

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Introduzione

STORIA DELLA THELIST e curiosità sul RISOLUZIONE Storia gruppo di lavoro che ha Descrizione del concetto di pixel moderno messo in relazione con il “pixel” della storia dell’arte.

Capitolo 1

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COMUNICAZIONE Capitolo 2 L’obiettivo di queste pagine è di fornire gli strumenti utili alla comprensione degli argomenti trattati nei capitoli successivi.

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Capitolo 3

25 37 RISOLUZIONE

INPUT

Introduzione e spiegazione del concetto generale di risoluzione e come esso viene sviluppato all’interno di questo lavoro.

Definizione e articolazione del concetto di input creativo partendo da esempi relativi alla scrittura, parte integrante del progetto.

partecipato a questo progetto: come nasce, da chi è composto, e quali sono le sue prospettive future.


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Capitolo 5

Capitolo 8

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RISOLUZIONI, RACCONTI D’ARTISTI Motivi e idee che hanno portato alla nascita del progetto e come questo è maturato nel corso dei mesi dopo la prima stesura.

Capitolo 6

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PUNTATA1: SYMBOLS Descrizione e sceneggiatura della puntata che ha come protagonista il fotografo Matteo Contessi.

TECNICA

Capitolo 7

BIBLIOGRAFIA

Analisi degli strumenti e delle tecnologie che hanno permesso la realizzazione tecnica delle due puntate.

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PUNTATA 2: A MODO MIO Descrizione e sceneggiatura della puntata che ha come protagonista il regista Angelo Bozzolini.

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RINGRAZIAMENTI

CONCLUSIONI

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Introduzione


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Risoluzioni, racconti d’artisti nasce da un’idea quasi casuale, di quelle idee che vengono, a volte, senza sapere il perché. Quelle volte che presi dai nostri pensieri inconsciamente facciamo uno più uno. La scintilla, e di scintilla parleremo anche in questo libro, è arrivata una sera, casualmente, come molte cose che succedono in una giornata, durante una delle tante riunioni con i compagni di TheList, l’idea era lì in attesa di essere raccolta, è stato fatto, questo è il progetto che ne è venuto fuori. In quella riunione, parlando di progetti e di produzioni, entrammo per la prima volta in contatto con Abstract a, una serie di documentari che parlavano di artisti. Cosa succederebbe se fosse chiesto agli artisti di ragionare sul loro processo creativo?

che potesse mettere in condizione l’autore di indagare e scoprire l’arte, gli artisti e il loro modo di affrontare la professionalità. Prima di fare questo però dobbiamo fare un passo indietro nel tempo. Tra le piattaforme web di video in streaming, YouTube, proprietà di Google, è sicuramente quella più utilizzata. In poco tempo, dal 2005 ad oggi, essa è diventata la prima piattaforma per la fruizione di contenuti video sul web. Nel corso degli anni si è creata una vera e propria community di persone che ruotano intorno a questa realtà. E ormai quello dello “Youtuber” è diventato un lavoro vero e proprio. Questa enorme popolarità deriva anche da una modalità d’accesso ai contenuti da parte degli utenti decisamente “user frien-

Quella fu la scintilla che, con il passare dei giorni, si è trasformata in fuoco. Cosa succederebbe se fossero spinti a scomporre il loro modo di lavorare per trovare linee comuni e intrecci culturali tra creativi di diverso genere? Queste curiosità hanno rappresentato le basi su cui è stato ideato un progetto video

dly” b , permettendo, tra l’altro, di entrare su un canale e restarci ascoltando le playlist dello stesso. YouTube, inoltre, a differenza di Vimeo (altra piattaforma per la fruizione di video sul web) si pone come piattaforma commerciale: i creatori di contenuti sono

a. Abstract: The Art of Design 2017, Netflix b. User Friendly: in informatica, di facile utilizzo anche per chi non è esperto

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remunerati da YouTube stesso che quindi si riserva il diritto di stringere accordi con alcuni di essi. Nel 2014 tra i vari canali presenti “sul tubo” ne nasce uno nuovo: TheList. Ideato e lanciato dai videomaker Matteo Contessi e Damiano Stizza con l’obiettivo di imparare a gestire il mezzo e capirne le dinamiche. Il canale inizialmente è stato usato come piattaforma per sperimentare format e contenuti. Nel 2017 TheList inizia un percorso diverso, si trasforma, con l’inserimento nel team di altri due elementi: Roberta Donati e Gianluca De Petris. Il canale si è così evoluto, è cresciuto e ha iniziato un percorso di rinnovamento che gli ha permesso, durante l’anno appena trascorso, di produrre e pubblicare un’offerta di contenuti diversificata che comprende, ad esempio, documentari, cortometraggi o racconti di viaggio. Tra le produzioni più importanti si possono citare i cortometraggi: La Promessa e PaperBlue; i documentari Monks, Sanctae Crucis 14

e Com’eravamo; i videoclip delle canzoni di artisti emergenti come Notturno di Leonardo Gallato e Non lasciatemi Morire di Fabio Ippoliti e racconti di viaggio come Palermo – Take a wish, Virgin Eyes, Light Me, Montelago, Life Ahed e Freedom way. In questo contesto, Risoluzioni, racconti d’artisti è un progetto pensato per essere fruito dal pubblico di TheList, una rubrica di brevi docufilm (sette minuti circa) dove si raccontano storie di artisti, partendo sempre da una stessa domanda: “Se dovessi astrarre la tua arte a una forma geometrica, quale sarebbe? “. Questo input provocatorio, posto all’inizio di ogni puntata, vuole essere l’innesco di un percorso stimolante per agli artisti, permettendo loro di analizzare e scomporre il proprio percorso lavorativo, astraendolo alla massima espressione per poi ricostruirlo. In questo lavoro tale concetto sarà definito come “aumento o diminuzione di risoluzione”.


2 1. Logo di YouTube 2. Team di TheList nel gennaio 2017

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3. Post del 6.12.2016 per la proclamazione dei finalisti al festival del cortometraggio indipendente organizzato dalla UniversitĂ di Roma La Sapienza

4. Il canale TheList su Youtube: youtube.com/thelistita

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L’idea della realizzazione di un progetto di questo tipo arriva da poche, semplici parole pronunciate da un famoso illustratore che ha cercato di definire “l’idea” e di dargli forma: “Le idee hanno bisogno di specifiche quantità di informazioni. A volte sono molti, molti dettagli, molto realismo altre volte è sufficiente una sola linea, un solo pixel ma ogni

un cuore, ma nessuno ne capirebbe il significato perché troppo astratto, d’altra parte volendo essere iperrealistici disegnando un vero cuore pulsante fatto di carne e pieno di sangue l’effetto sarebbe disgustoso tanto che guardandolo nessuno penserebbe all’amore ma da qualche parte tra il quadrato astratto e il vero cuore anatomico esiste la forma grafica che

Se dovessi rappresentare la tua arte con una forma geometrica, quale sarebbe? idea ha il suo posto su questa scala. Immaginiamo di voler rappresentare l’idea di un cuore quale simbolo dell’amore, per poterlo fare potremmo utilizzare un semplice quadrato rosso, la massima astrazione per

rappresenta sia uno che l’altro e che è perfetta per comunicare alla gente l’idea di amore”. Così, Christoph Niemann ha descritto l’idea di aggiungere dettaglio a un’opera in Abstract, serie di documentari prodotti da Netflix nel 2017 a cui questo lavoro si ispira.

THE ABSTRACT-O-METER

5. Il misuratore di astrazione di Christoph Niemann

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Capitolo 1

Comunicazione


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Prima di iniziare a raccontare le diverse fasi che hanno portato alla realizzazione di questa serie di docufilm è necessaria una riflessione analitica sulla strutturazione del processo comunicativo, sul percorso, cioè, che gli artisti intraprendono quando applicano le conoscenze, la sensibilità e la professionalità che li contraddistinguono. Nel nostro tentativo di dare forma alla comunicazione è doveroso citare gli studi di Roman Jakobson c che ha individuato sei elementi essenziali ricorrenti in qualsiasi forma di comunicazione: mittente, destinatario, messaggio, referente e codice.

Mittente

Colui che esprime il codice, colui che lo crea, lo pensa e lo “sponsorizza” al mondo.

DESTINATARIO

Colui che lo riceve.

MESSAGGIO

Il contenuto stesso della comunicazione.

REFERENTE

Il tema contenuto nel messaggio.

CODICE

Il linguaggio in cui il messaggio passa dal mittente al destinatario.

c. Roman Jacobson (1896—1982) è stato un linguista e semiologo russo naturalizzato statunitense; studioso della letteratura slava e uno dei principali iniziatori della scuola del formalismo e dello strutturalismo è considerato uno dei maggiori linguisti del XX secolo. A lui si deve lo studio della teoria della comunicazione linguistica basata sulle sei funzioni comunicative che si associano alla dimensione dei processi comunicativi.

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Con tutti questi fattori in campo prende particolare rilievo nella comunicazione il contesto, che è imprescindibile durante la creazione del messaggio. Per contesto si intende il quadro d’insieme delle informazioni e conoscenze che, essendo comuni sia al mittente che al destinatario consentono l’esatta comprensione del messaggio dallo stesso. Possiamo, a questo proposito, proporre qualche esempio. In un contesto situazionale, se dicessimo: “Occorre un buon taglio” mentre siamo dal barbiere il ricevente capirebbe che gli stiamo chiedendo un taglio di capelli ma se fossimo da un sarto il ricevente capirebbe tutt’altro, che magari, cioè, potremmo volere un taglio ai pantaloni, o alla camicia. In un contesto linguistico, se dicessimo: “Sono impazzito” indurremmo preoccupazione nel nostro referente, se aggiungessimo però: “Sono impazzito d’amore per te” il referente recepirebbe il messaggio in altro modo. Nel contesto culturale invece se dicessimo: “La mia Sony a7s ha una resistenza agli alti ISO che le competitor se la sognano”, per fare in 22


modo che il mio referente capti e decodifichi il messaggio ci sono varie situazioni culturali che influiscono, occorre sapere cos’è una Sony a7s, e conoscere il concetto di ISO. Mettendo in relazione la comunicazione con i diversi contesti nella quale essa viene posta in essere possiamo dire che un’idea, a seconda di chi la sviluppa, dove, come e in che momento può avere vari livelli di dettaglio. L’obiettivo di Risoluzioni, racconti d’artisti è quello di analizzare i fattori che influenzano il processo comunicativo, interpellando direttamente quei professionisti che devono impegnarsi ogni giorno per coniugare le loro esigenze artistiche pur rispettando quelle del committente e come sia possibile applicare una logica commerciale all’interno di un percorso creativo e personale. Conoscendoli direttamente e poi intervistandoli, abbiamo quindi cercato di capire come questi “eroi contemporanei” realizzano sé stessi nei loro progetti.

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Capitolo 2

Risoluzione


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Se immaginassimo un’immagine composta da quattro pixel per quattro pixel e la visualizzassimo alla dimensione di dieci centimetri per dieci centimetri vedremmo in sostanza quattro quadrati. Potremmo quindi affermare che qualsiasi immagine presente all’interno dei quadrati avrà una risoluzione talmente bassa da impedirci, nonostante sia stata prodotta rispettando i nostri stessi “canoni culturali”, di carpirne il significato. L’immagine sarebbe quindi ineffabile, solo chi l’ha prodotta saprebbe cosa rappresenta; se fosse un’idea sarebbe lo stesso discorso, qualcuno pensa qualcosa e poi per spiegarla e produrla, oltre che distribuirla, si dovrà servire di una serie di percorsi comunicativi definiti dalla società come ad esempio il linguaggio se volesse spiegarla o l’illustrazione se volesse disegnarla. Traslare il concetto di risoluzione da quantità di pixel contenuti in un’immagine a quantità di dettaglio contenuta in un’idea. Risoluzioni, racconti d’artisti vuole, nel titolo e nel sottotitolo, illustrare le peculiarità di ogni particolare percorso artistico, creativo e professionale. Come già detto si parte dal concetto di risoluzione, spiegando al protagonista che la minima risoluzione è intesa come “l’idea alla base di…” Quindi, la domanda: “Se dovessi astrarre la tua arte a una forma geometrica, quale sarebbe?” Non è altro che la massima astrazione, l’idea non ancora realizzata. Da lì l’artista parte per illustrarci il percorso che affronta ogni volta per la creazione di un suo progetto. La forma geometrica rappresenta la decostruzione della struttura che le puntate di “Risoluzioni” si prefiggono di fare, come a dire che la risoluzione non ha più il senso comune che diamo al termine ma questo viene rielaborato per dire qualcos’altro, qualcosa che l’artista stesso sceglie di raccontare davanti alla videocamera. 27


Risoluzioni, racconti d’artisti vuole raccontare come ogni artista affronta l’arrivo dell’idea alla sua massima astrazione, da quale input è stato stimolato e poi come lavora per aggiungere dettaglio in modo da elaborare e organizzare i contenuti della comunicazione. La domanda posta all’inizio di ogni puntata (Se dovessi astrarre la tua arte a una forma geometrica, quale sarebbe?) non è altro che il pretesto per far avvicinare l’artista all’idea da veicolare; si prenderà un’opera di ognuno e si chiederà di raccontare quale è stato, a livello di ragionamento il percorso che ha fatto per la realizzazione della stessa. Si cercherà inoltre di seguirlo durante la lavorazione per raccontare le fasi salienti della produzione dello stesso. Risoluzioni, racconti d’artisti non è un vero e proprio format ma vuole essere piuttosto una serie di docufilm che raccontano storie d’artisti. Essa presenta però alcuni elementi formattizzanti che hanno il preciso scopo di far capire allo spettatore di trovarsi all’interno dello stesso ecosistema senza confonderlo. Ad esempio: ogni intervista parte sempre con la stessa ripresa dello stesso oggetto, uno Spekular (serie di lampade a led per fotografia componibili), la cui peculiarità è tuttavia quella di assumere, di volta in volta, la forma simbolo scelta dall’artista. Si prosegue poi con la scelta dell’artista per quanto riguarda la forma geometrica e una

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introduzione che partirà sempre da una scrivania dove “simbolicamente” una carrellata veloce verso un computer acceso farà entrare lo spettatore all’interno del “mondo” di “Risoluzioni”. La struttura interna è ovviamente la stessa ma, si cercherà di adattare su misura il montaggio al carattere e all’estetica del protagonista della puntata, quindi di volta in volta potrà essere modificato il mood del racconto in modo da rendere al meglio il concetto e valorizzare il materiale prodotto, su cui spesso non si ha il completo controllo durante le riprese.

6. Matteo Contessi, fotografo, protagonista della prima puntata 7. Angelo Bozzolini, regista, protagonista della seconda puntata

Particolare interessante da notare è che mettendo un’artista davanti a qualcosa di così impersonale come il concetto di risoluzione si otterranno sempre definizioni diverse, basate sulle caratteristiche personali e sul background dell’intervistato stesso. Partendo dal medesimo input si innescheranno traiettorie sempre diverse, portando la comunicazione su dimensioni particolari dove l’autore potrà raccontarsi e raccontare il suo pensiero.

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2.1 Storia della “risoluzione” Secondo il principio di economia delle energie enunciato dal linguista George Kingsley Zipf nel 1949 è insito nella natura dell’uomo il “principio di minimo sforzo” ossia: l’attività dell’uomo tende sempre a ricercare, in tutte le sfere della sua esistenza, il massimo risultato possibile con il minimo sforzo. Nel campo dell’arte questo concetto è vero ma non così semplice da esprimere. Si potrebbero, per esempio, citare tutte quelle forme d’arte estremamente stilizzate e realizzate con pochi essenziali tratti.

8 8. George Kingsley Zipf (1902—1950), linguista e filologo statunitense 9. I celebri tagli sulla tela di Lucio Fontana (1899—1968)

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Molti artisti hanno cercato, nella storia dell’arte, la forma di espressione più possibile sintetica, un modo di guardare il mondo andando per sottrazione, cercare la sostanza eliminando il superfluo. In opposizione per esempio alla pittura fiamminga, quella che osserva il mondo con il microscopio e che va per addizione, per precisazione progressiva dei dettagli. La quantità di pixel contenuti in un’immagine all’interno della storia dell’arte potremmo trovarla per esempio tra i mosaici, scene raffigurate con tessere quadrangolari in pietra, terracotta o pasta vitrea. Un mosaico visto da lontano può apparire quasi un’immagine dipin-


ta dato che le unità cromatiche che lo compongono (cioè le tessere) appaiono fuse con quelle vicino. Prima di arrivare al pixel dobbiamo anche citare il puntinismo, evoluzione del mosaico. La differenza sta nel fatto che in quest’ultimo è applicata la teoria della ricomposizione retinica dei colori scoperta nella prima metà del XIX secolo. Si può dire che sia una questione di “risoluzione” come per le immagini sui monitor che non hanno una definizione infinita. 10. Paul Signac (1863—1935) Félix Fénéon, Museum of Modern Art, New York

Quelle di questo testo, ad esempio, hanno una risoluzione di settantadue ppi (una grandezza che indica la “densità” di informazioni cromatiche), visto che sono state reperite dal web e sui monitor la risoluzione è di settantadue ppi (a contrario della stampa che ha bisogno di trecento ppi). Se si ingrandiscono un paio di dettagli di una natura morta di Bruegel questi appaiono sgranati, si vedono i pixel! Naturalmente non è detto che vedere i pixel sia necessariamente un problema. C’è chi ne ha fatto addirittura una forma d’arte come Aldo Sergio con la sua Madonna dei Pixel , artista a cui sono ispirate 31


tutte le aperture dei capitoli di questo testo per esempio. Totalmente “pixellati” sono invece i dipinti di Yuri Yudaev. Ogni tassello ha un suo colore e le sue dimensioni fanno sì che per percepire meglio la figura occorra socchiudere gli occhi.

11. Jan Brueghel il vecchio (1568—1625) Fiori in un vaso di ceramica dipinta con falene, Museo del Prado, Madrid

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I pixel di Guy Whitby, invece, sono pezzi di tastiera, presine all’uncinetto, ciambelline e materiali di altro genere assemblati in digitale. Charis Tsevis, invece, utilizza delle delicate piastrelle azzurre scegliendone accuratamente l’accostamento. Mary Ellen Croteau ha sostituito i pixel con tappi di bottiglia: un’idea interessante che gioca tra l’ambiguità della risoluzione visiva e


il riuso creativo dei rifiuti. La varietà cromatica è tale da riuscire a ottenere degli effetti quasi pittorici.

12. Aldo Sergio (Salerno, 1982) Madonna dei pixel, 2013

Questi sono ovviamente solo pochi esempi esplicativi che dimostrano come, nella storia dell’arte, l’uomo ha spesso “avvicinato” due colori per vederne un terzo. 33


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13. Mary Ellen Croteau 14. 15. Aldo Sergio 16. 17. 18. 19. Guy Whitby 20. Charis Tsevis 21. 22. Yuri Yudaev



Capitolo 3

Input


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Un cerchio. Forse un punto, di certo un simbolo. Potrebbe essere un punto, ma si, sicuramente è un punto. Forse no! L’inizio di una retta, no no, un foro che trapassa la pagina da parte a parte, ah, no. Peccato, poteva essere interessante, almeno filosofico, ma poi che vuol dire tutto questo? Ognuno può vedere qualcosa, non esiste una giusta interpretazione, o meglio, non ne esiste una sbagliata. Qualcuno può vedere un punto, altri un punto di una retta che infinita taglia lo spazio, si potrebbe anche vedere un foro, sì, anche un foro. O un Abstract è stato l’input di questo lavoro, ma cos’è l’input per un artista? cerchio, perché un punto è anche un cerchio, dipende da quale prospettiva si guardi. Linea, punto, linea. Meno, cerchio, meno. Una emoticon. Un errore, non esiste una interpretazione sbagliata, sono tutte giuste, tutte corrette. Tutte riconoscibili. Il contesto ci fornisce la soluzione nella stragrande maggioranza dei casi.

-.-.-.Probabilmente ci sarà chi guardando il punto lo considererà un semplice, delicato, inutile punto (e non ci sarebbe in fondo nulla di male) e ci sarà forse chi lo vedrà diversamente, magari come punto di inizio, come un punto appartenente a qualcosa di più grande di lui, un punto fondamentale ma che ne precede tanti altri in un percorso che a piccoli passi porta inesorabilmente a un punto di arrivo, magari simile, forse con la stessa forma, di sicuro un punto più avanzato, non per forza più nobile o tecnologico, ma comunque altro, diverso, perché chi lo traccia è cambiato, cresciuto, maturato durante il per-

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corso che lo ha portato a scrivere quell’ultimo, fondamentale punto. Ognuno vede quel che vuole in quel segno grafico che altro non è che un espediente, un esercizio, un artificio, un pretesto, una provocazione, un segno, coi suoi pregi e i suoi difetti. Il bello è che si possono dare tutte le caratteristiche possibili a un segno di questo tipo, oppure di altro tipo, oppure che non sia un segno! Che sia qualcos’altro. Chi siamo noi per giudicare? Input. Si può chiamare input, si può utilizzare o lasciare lì, senza dare un seguito a questo discorso, oppure trasformarlo, coltivarlo, averne cura. Aiutarlo a crescere, maturare e chissà, magari arrivare a un giorno dove capiterà di vederlo andare da solo, con le sue gambe; ormai maturo e completo, romantico e audace, capace e autonomo. Ma sempre di un punto si parla. Il temine “Input” secondo il dizionario si riferisce all’atto di immettere, inserire e viene utilizzato solitamente in campo informatico. Eppure potremmo declinarlo a tutti gli aspetti della vita: non è un input immettere la chiave nel blocchetto dell’auto e girarla per procurare l’accensione del motore? Non è un input il traboccare dell’acqua dalla vasca di Archimede? Non è un input la mela di Newton? Non

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è forse un input guardare una serie di punti e vedere una retta? Nel linguaggio corrente esso è divenuto sinonimo di impulso, direttiva, stimolo che consenta l’avvio di un’opera, iniziativa o azione. Input come termine può essere quindi utilizzato anche nel campo artistico e autoriale. Si cercano continuamente input, anche solo per iniziare un gioco, un lavoro o altro da portare a termine. Darsi uno scopo e cercare di raggiungerlo creando, cogliendo o assecondando input e impulsi creativi diventa così la missione fondamentale. La storia dell’arte è piena di esempi in questo senso. Alberto Giacometti, scultore italiano del novecento per esempio ha tratto la sua fortuna da un input casuale e semplice: era ossessionato da una scultura e non riusciva a portarla a termine, per quanti sforzi facesse l’opera rimaneva misteriosamente senza volto. Trovandosi casualmente con un suo amico, il poeta André Breton, in un mercato delle pulci, fu incuriosito da un oggetto apparentemente inutile ed ebbe l’impulso di comprarlo, quasi contro la sua volontà. L’acquisto era una maschera a spigoli acuminati, simile a quella di un guerriero di cui né lui né Breton potevano stabilire l’uso originario. Secondo Breton in quel momento, guardando quella maschera, Giacometti riuscì a mettere a fuoco le parti, e soprattutto la testa del suo Object Invisible. Egli seppe trarre il meglio dal suo input, seppe riconoscerlo, farlo suo ed elaborarlo. Quello “dell’Object invisible” sarebbe diventato poi un elemento cardine del suo stile. Si potrebbe inoltre fare un gioco, chiamato “la Piramide” che è un esercizio che viene proposto nei corsi di scrittura creativa per stimolare la costruzione dei percorsi narrativi. Consiste nello scrivere quattro semplici frasi all’inizio e scomporre ognuna di esse in tre parti. Un esempio è: Mi sveglio. Mi alzo dal letto. Mi lavo. Esco di casa. 41


Da questo semplice input si parte per scomporre ciascuna delle quattro frasi in tre. Per esempio: “mi sveglio” diventerà: - Sento un suono insistente. - Mi accorgo che il suono è quello della sveglia. - Apro gli occhi. Questo per tutte e quattro le frasi. Mettendo da parte le quattro iniziali, se ne possono scriverne altre tre per ognuna delle dodici scritte in precedenza, ripetendo a piacere. Si avranno prima delle frasi singole, magari scollegate tra loro, poi man mano che si progredisce nella scrittura verranno elaborate scene sempre più definite, fino alla costruzione di una breve storia. Questo per dire quanto in realtà basti poco per creare qualcosa, l’importante è iniziare, riconoscere gli input e partire. Si è dato un punto e gli strumenti per assecondarlo, si sono date le regole e sta all’autore assecondarle o sovvertirle. Canalizzare l’input nella creazione artistica è una cosa, saperlo valorizzare in maniera impeccabile è un’arte, appunto. L’artista sa far tesoro degli input buoni, li riconosce, li coltiva, li valorizza e poi aspetta i frutti, dolci o acerbi che siano. Lo sceneggiatore Ugo Pirro racconta in un suo scritto che il soggetto del suo primo film non era suo, o meglio, non nasce completamente da lui. L’essenza era già lì, ma questa doveva essere sgrezzata e levigata, fatta uscire e palesata come per il blocco di pietra dal quale lo scultore tira fuori l’anima. Erano gli anni ‘50. Pirro e un suo amico stavano passeggiando su una strada deserta. L’ora crepuscolare, i lampioni fiochi e l’aria autunnale davano al paesaggio un tono di sommessa malinconia. A tratti si sentiva un buon odore proveniente dalle cucine dove le massaie erano intente a preparare la cena ai loro mariti, pioveva. Quell’Italia giovane, ancora ferita dalla guerra, provava a rialzarsi. L’amico inizia allora un racconto su di un uomo che da analfabeta era riuscito a diventare Segretario generale della confederazione generale del Lavoro. Da autodidatta aveva imparato a leggere e a scrivere in un periodo della sua vita in cui riusciva a malapena a guadagnarsi il pane. 42


Esco di casa

Mi lavo

Mi alzo dal letto Apro gli occhi.

Mi sveglio Mi accorgo che il suono è quello della sveglia.

Sento un suono insistente.

23. Schema del “gioco della piramide”, utilizzato in alcuni corsi di scrittura creativa

E il tempo per la scuola, se pure ne esistevano nella sua contrada, non lo aveva, ma voleva imparare a scrivere. Non poteva permettersi spese voluttuarie e nella sua miserabile condizione i quaderni, la penna, l’inchiostro rappresentavano non il superfluo ma il proibito. E naturalmente chi andava a scuola non poteva lavorare. Il lavoro lo si attendeva ogni ora dell’alba sulla piazza e spesso inutilmente. La giornata si comprava all’asta: otteneva il lavoro chi accettava il salario più basso; e si offriva per meno chi non poteva più tenere spenti i fornelli e vuoto lo stomaco dei figli. Esistevano allora miserie più estese che divoravano ogni umiliazione, ma vi erano giovani armati di una volontà irriducibile. Insomma, il nostro protagonista non andò a scuola e non comprò quaderno e penna, ma usò per quaderno i muri calcinati della sua unica stanza. Per imbrattare quei muri si servì di carbonella che sottraeva al braciere domestico, al fornello. Sporcando i muri, imbiancandoli con la calce che trafugava ai cantieri e sporcandoli di nuovo si impossessò di uno strumento di comunicazione e di lotta: di un linguaggio di cui avvertiva la neces43


sità e l’urgenza per sé stesso e per gli altri lavoratori con cui condivideva la condizione. Più che un processo di apprendimento la sua fu una lotta di emancipazione. Ed è difficile supporre che egli avrebbe sentito insorgere dentro di se con tanto accanimento e determinazione il bisogno di alfabetizzarsi se non fosse stato influenzato dalle prime lotte bracciantili alle quali aveva partecipato. Egli insomma possedeva una cultura non grafica, non ufficiale e aveva bisogno di uno strumento di comunicazione non verbale.

24. Ugo Pirro, sceneggiatore italiano, nominato a due premi Oscar nel 1972 per la migliore sceneggiatura originale per “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e per “Il giardino dei Finzi-Contini”

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Quale elemento attirò l’attenzione Pirro, che aveva sentito questa storia raccontata da un amico un pomeriggio d’autunno? Qual’è l’immagine che lo colpì, anche se custode ignaro di quell’immagine era il suo amico? Un muro bianco, un giovane che scrive lettere dell’alfabeto. Cerchi con carbonella, “O” grandi come piatti, “P” enormi come zappe. Sul muro lui fa i compiti che nessun maestro gli ha assegnato. La sete di sapere, la rabbia insorgente degli sfruttati dei primi decenni del secolo, tutta la condizione sociale di quegli anni unita alla spensieratezza di un giovane italiano rappresentarono gli stimoli che portarono alla sceneggiatura del film “Achtung! Banditi!” del 1951. Il punto di partenza della luminosa carriera di Pirro, il suo input originario, fu il semplice racconto di un amico in una umida sera d’autunno. La causa, quindi, può essere esterna, sta all’autore saperla cogliere e valorizzare. Nel caso appena citato l’evento scatenante è casuale,


ma forse solo Pirro con la sua personalità, le sua esperienza, la sua sensibilità poteva cogliere una scintilla e trasformarla in un fuoco, un incendio e infine in un’opera d’arte. Una concatenazione di eventi, stati d’animo e esperienze gli hanno permesso di cogliere quell’input. Ma ovviamente non c’è una regola per la ricerca di un input: ci si può sedere a tavolino con qualcuno, discutendo e confrontandosi, oppure si può essere soli e magari fare una salutare passeggiata nei boschi. Grandi autori affermano di essere sempre provvisti di un registratore o di una penna e un taccuino su cui annotano le loro impressioni, i loro pensieri, i loro stimoli. Antonioni raccontava che per tirare fuori le sue immagini cinematografiche passeggiando cercava persone stravaganti non appena riusciva a trovarne qualcuna iniziava di soppiatto a seguirla e nel frattempo si divertiva a fantasticare sulla vita di quella persona, inducendo così il processo creativo.

25. Manifesto del “Achtung! Banditi!”, primo film sceneggiato da Ugo Pirro nel 1951 per la regia di Carlo Lizzani

Sul dizionario di lingua italiana di Salvatore Battaglia l’intuizione è: “visione, concezione del mondo e della vita”. Disposizione naturale a comprendere con prontezza e perspicacia un fatto, una situazione. In senso concreto: idea nuova e geniale, trovata, scoperta, rappresentazione mentale improvvisa, repentina, brillante, opinione, convinzione istintiva e personale. Sempre sul dizionario, la voce “idea” occupa nove colonne in corpo sei. Indurre input, questo è il problema, o la soluzione. Si può teorizzare un metodo ed esportarlo e riproporlo per darsi degli input. 45


In questo libro parleremo di come canalizzare qualcosa di ineffabile e incerto, figlio del momento, dello stato d’animo e degli agenti che agiscono sull’esecutore; parleremo di artisti e di come loro, dopo aver avuto un input lavorano per valorizzarlo, perfezionarlo e rilascialo al mondo, come elaborano i problemi le loro menti e come li risolvono. Parleremo di come un professionista dell’arte non riposi mai e che a contrario qualsiasi esperienza visiva o umana può e deve essere immagazzinata nella mente dell’artista che si riserva il diritto di poter fruire a questa sua personalissima libreria in qualsiasi momento per realizzare opere, progetti e lavori. Parleremo degli artisti che per lavoro devono risolvere problematiche ogni giorno diverse e devono in qualche modo traslare la loro arte all’interno di un sistema industriale e produttivo che usano però a loro vantaggio, di cui hanno capito i meccanismi riservandosi a volte il diritto di cambiarli. Artisti che con coraggio applicano il loro metodo cercando di esprimere loro stessi all’interno di logiche molto lontane dal concetto di “Arte” comunemente percepito. Per questo esperimento si è avuto modo di lavorare con un regista documentarista e un fotografo/videomaker, entrambi Romani ma con background molto diversi che rappresentano due realtà lavorative e di produzione molto diverse tra loro ma sempre collegate alla sfera “artistica”.

26. Angelo Bozzolini, regista di “A modo mio”, controlla l’inquadratura prima di iniziare le riprese all’interno della Galleria Borghese di Roma

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Capitolo 4

Thelist


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TheList videomaking è il nome di un canale YouTube e di una pagina Facebook, oltre che Instagram e Vimeo. Nato dall’iniziativa di un collettivo di videomaker e fotografi attivi sul web per la realizzazione di cortometraggi, documentari e racconti di viaggio ha un team in questo momento composto da quattro unità: Matteo, Gianluca, Roberta e Damiano. Intorno a TheList si è inoltre sviluppata nel tempo una nicchia di persone che non si limitano ad essere fruitori passivi di contenuti ma in parte collaborano, interagiscono e propongono progetti al team ufficiale. Appoggiandosi a questa piccola realtà del videomaking a Roma è nata una vera e propria community. 51


Matteo Contessi

Nome: Matteo Cognome: Contessi Nato a Roma il 04/10/1991 Professione: Fotografo e videomaker Descrizione: Ex laureato in Biologia, oggi si occupa di tutta la parte di comunicazione di TheList che ha fondato nel 2014 Ruolo: Autore, regista, montatore per TheList e altre societĂ di produzione

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Gianluca De Petris

Nome: Gianluca Cognome: De Petris Nato a Roma il 31/03/1991 Professione: Videomaker e animatore Descrizione: Aspirante Vfx Artist. Si unisce a TheList nel 2017 collaborando al cortometraggio “Paper Blue” Ruolo: Regista, montatore, produttore per TheList e Motion Graphic Designer per società farmaceutiche

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Damiano Stizza

Nome: Damiano Cognome: Stizza Nato a Roma il 09/03/1992 Professione: Videomaker Descrizione: Fotografo per diletto e scrittore per passione, dopo gli studi al DAMS frequenta un master alla New York Film Academy Ruolo: Autore, regista, content manager, montatore per TheList dagli inizi della sua storia

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Roberta Donati

Nome: Roberta Cognome: Donati Nata a Roma il 03/08/1987 Professione: Erborista Descrizione: Attrice di formazione, collaboratrice di TheList dal 2017 Ruolo: Aiuto regista, segretaria di edizione, responsabile di produzione

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“TheList una volta, TheList per sempre”, questo è il motto che sui canali social viene talvolta utilizzato dai follower nei commenti. L’intento finale è quello di aggregare il maggior numero di persone accomunate dalla voglia di produrre video di qualità, di raccontare storie degne di essere narrate e di crescere insieme. TheList, insomma, nasce con il preciso scopo di sperimentare, divertirsi e cercare di proporre a un pubblico potenziale contenuti pensati per essere fruiti da un target molto specifico interessato principalmente alla tematica del viaggio, del reportage e del racconto narrativo nell’ottica di sviluppare competenze e sperimentare mezzi e tecnica. La “Lista” si va quindi allungando di proposta in proposta, di progetto in progetto, di lavoro in lavoro. Ed è questo concetto di comunità che è possibile ritrovare nella prima puntata di Risoluzioni, racconti d’artisti dove il fotografo Matteo Contessi racconta la nascita e la realizzazione di “Symbols” il suo ultimo progetto fotografico. La finalità ultima è quella di creare un team composto di persone che condividono le stesse esigenze creative, che siano versatili e preparate. Un team che possa affrontare progetti personali come commissioni esterne garantendo una buona qualità finale del prodotto e che riesca a inserire un’idea di produzione ben definita e riconoscibile nei propri progetti..

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Capitolo 5

Risoluzioni


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Primissimo piano della forma che l’artista sceglie

Risoluzioni, racconti d’artisti nasce come rubrica di video-documentari da pubblicare sul canale TheList di YouTube con il fine di raccontare, puntata dopo puntata, storie di persone, idee, progetti. La tematica fondamentale è quella dell’esplorazione e analisi dei principi fondamentali che sono alla base del lavoro dei professionisti dell’arte. In tale contesto ogni puntata rappresenta il tentativo di raccontare un determinato artista e il percorso attraverso il quale egli elabora, declina e realizza il suo lavoro. Presentazione del progetto Intro con breve Bio dell’artista Inizio del racconto Preproduzione dello stesso Produzione

In Abstract Christoph Niemann racconta la sensazione di insicurezza che ogni creativo vive quando gli arriva una commissione: “Immagina di avere avuto un’idea brillante tre anni fa e che il cliente te ne chieda un’altra, subentra l’angoscia. Mi dico che non sono abbastanza bravo, che ho finito le idee. Ci si misura con un momento fortunato e questo è straziante. Quando ho capito che quelle paure avrebbero potuto rovinare il lavoro ho deciso di affrontarle, bisogna esercitarsi e migliorarsi, tutti si esercitano. Perché per un artista dovrebbe essere diverso?”

Postproduzione Conclusioni

27. Struttura narrativa dei documentari Risoluzioni, racconti d’artisti

Niemann parla di esercizio, in una società che troppo spesso considera la creazione artistica come atto fine a sé stesso, figlio di qualcosa che nasce al momento e che l’artista “semplicemente fa”. Ma sappiamo che non è così; e che ogni opera non può prescin61


dere da alcuni componenti essenziali: il lavoro, il ragionamento, la progettualità, l’esperienza. Fotografi, registi, stilisti, scrittori, editorialisti, compositor, montatori video fanno tutti parte di un sistema collegato a una industria, quella che più generalmente definiremo “dell’arte” e ogni figura professionale dietro a questi ruoli ha una testa pensante che ad ogni nuovo progetto deve trovare soluzioni originali, rinnovarsi, crescere. Chiudere gli occhi e immaginare la realtà è qualcosa che non tutti riescono a fare, creare una visione che medi e raffiguri l’idea che l’artista stesso ha della realtà è forse oggi la chiave per realizzare progetti che godranno poi di fortuna. A questo proposito è doveroso citare un aneddoto su Pablo Picasso. Un giorno qualcuno gli chiese di realizzare un disegno su un tovagliolo. Quando gli venne chiesto quanto costasse lui rispose chiedendo una cifra esorbitante. All’esclamazione sbigottita dello sconosciuto: “ma ci ha messo solo cinque minuti” Picasso rispose: “No, ci ho messo tutta la vita”. Picasso intendeva rimarcare che tutta l’esperienza e la conoscenza che aveva accumulato nella sua vita gli avevano permesso di fare quell’opera in quel modo, in quel momento e con quella velocità. La morale è che i creativi, gli artisti non smettono mai di lavorare; ogni esperienza può rivelarsi proficua e accrescere il background del professionista. Ogni suono, ogni immagine, ogni parola o pensiero può entrare nel proprio bagaglio culturale e divenire una risorsa che può essere pescata e usata all’occorrenza. Qui nasce una della più grandi contraddizioni che vive un professionista dell’arte: il confronto con la committenza. Fino a che punto bisogna scendere a compromessi con se stessi? Occorre essere rigidi e inflessibili oppure mediare? In un gioco di sottile equilibrio tra le parti il compito più arduo rimane quello di portare avanti le proprie idee pur comprendendo le esigenze e le finalità del produttore, cliente o committente. In fondo ciò non è troppo diverso da quello che avviene per qualsiasi altro lavoro. 62


L’esperimento, visto il contesto universitario dentro cui il progetto nasce, è quello di riuscire a coprire ogni aspetto della produzione del video, per questa ragione è stato curato direttamente ed esclusivamente in ogni fase della produzione dal regista. Il lavoro del “film” è però un processo collettivo che per definizione non può essere affrontato in solitudine, si avrà in qualunque caso bisogno di un protagonista, oppure di attori o di assistenti. Alla realizzazione di questo progetto hanno partecipato due assistenti che insieme al regista hanno collaborato all’allestimento del set e alla realizzazione delle riprese. L’apporto di un gruppo di lavoro così ristretto è stato determinante per la riuscita finale perché ha permesso di confrontarsi con agilità sulle scelte tecniche e stilistiche da adottare di volta in volta. In via generale, il personale necessario all’impianto produttivo di un progetto filmico è composto da alcune figure professionali ricorrenti, che riteniamo utile elencare descrivendo, per ognuno, ruoli e mansioni principali. Regista: responsabile della direzione della sceneggiatura, dello storyboard, degli attori, controllo del budget e del set (budget e organizzazione del set possono essere, a seconda dei casi, demandati all’aiuto regista). Cura tutti i dettagli organizzativi ed è supervisore su tutto quello che accade in ogni fase della produzione. Direttore della fotografia: è responsabile dell’immagine. Decide e controlla l’illuminazione del set oltre che inquadratura, obiettivi, posizione e movimenti della macchina da presa. Addetto alla messa a fuoco o “fuochista”: si occupa del controllo della messa a fuoco degli oggetti inquadrati utilizzando di solito strumenti remoti per regolare l’obiettivo montato sulla camera.

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28. Il set presso la Galleria Borghese a Roma: intervista a Francesco Vezzoli 29. Il tecnico del suono durante le riprese 30. (Pagina seguente) Il regista e l’operatore controllano i movimenti della steadycam durante le riprese della serie “A modo mio”

Tecnico del suono: si occupa della parte audio durante le riprese. Il suo compito fondamentale è quello di assicurare una registrazione del sonoro della migliore qualità possibile. Montatore video e audio: è colui che si occupa di prendere in carico il materiale girato e montarlo secondo le direttive del regista. Per quanto riguarda la strutturazione delle fasi produttive, nel progetto Risoluzioni, racconti d’artisti si è lavorato in tre fasi. La prima fase è quella dell’approccio al protagonista della puntata. Questa fase comprende una prima riunione di presentazione del progetto all’artista e la verifica della disponibilità dello stesso. Si cerca inoltre di decidere gli argomenti chiave da trattare, nonché di predisporre il canovaccio di domande da fare e di immaginare quali saranno le riprese da effettuare per l’intervista predisponendo le eventuali “coperture”. Questo permette all’autore di sapere già a grandi linee che tipo di lavoro, immagini e montaggio realizzare.

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La seconda fase è quella che comprende la realizzazione tecnica dell’intervista e delle riprese alternative da utilizzare in fase di montaggio. Possiamo pensarla divisa in due parti, l’intervista vera e propria e la progettazione e realizzazione delle situazioni che erano emerse durante la prima. La terza fase è quella della post produzione, e comprende il montaggio, il mix audio, la scelta delle tracce musicali e gli effetti grafici. Partendo dal girato l’intervista è stata rimodulata su quello che era il concept del progetto e formattata in modo da creare un discorso logico e comprensibile sulla base dell’idea principale progettata in sede di scrittura. Dopo una prima sessione di premontaggio, che è servita a confrontarsi con il materiale a disposizione, si è iniziato a perfezionare i tagli, limare ancora l’audio e creare il racconto vero e proprio utilizzando, a seconda dei casi, anche contributi esterni.

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Capitolo 6

Puntata 1 - Symbols -


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Symbols – Matteo Contessi: fotografo

La puntata uno di Risoluzioni, racconti d’artisti è stata pensata come esperimento; la scelta di raccontare Symbols è nata come puro pretesto per poter sperimentare le potenzialità del prodotto. L’estrema disponibilità del protagonista è stata inoltre di grande aiuto durante le fasi di progettazione e realizzazione.

31. Pagina Instagram di TheList

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32. 33. 34. Alcune immagini realizzate da Matteo Contessi per il progetto “Symbols�

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“Symbols” è un progetto finalizzato alla realizzazione di una galleria di ritratti fotografici dove l’intenzione finale è quella di trovare un “simbolo” all’interno delle persone che ne raffiguri il preciso momento dello scatto. L’idea di base è quella di portare alla luce tratti di sconosciuti che ne rappresentino la personalità, in contrapposizione a quella del fotografo che dovrà poi riassumerla in simbolo. Tutto è nato da una call to action su Instagram dove Matteo chiedeva ai suoi follower la disponibilità a farsi fotografare. Nel mondo dei social media la call to action consiste principalmente nel proporre al proprio pubblico di fare qualcosa. Dopo qualche giorno già quaranta persone avevano risposto positivamente all’invito. La prima sessione fotografica è durata due giorni a Roma. Dodici persone provenivano dalla città e provincia, ma altre anche da Napoli, Empoli e da qualche paesino sperduto nelle Marche. Ogni giornata è stata divisa in sei sessioni da un’ora nelle quali il ruolo del fotografo era quello di connettersi di volta in volta a un diverso soggetto fotografato. Ne sono venute fuori sessioni molto intense e coinvolgenti a livello emotivo. Lo spunto narrativo di “conoscere uno sconosciuto” si è rivelato vincente: le immagini scaturite da tale sinergia rappresentano il simbolo che “racconta” il soggetto.

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Risoluzioni, racconti d’artisti 01 Symbols Sceneggiatura:

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Oggetto della forma scelta

- Se dovessi rappresentare la tua arte con una forma geometrica, quale sarebbe? “Il quadrato” //Titolo e intro |Interno Giorno, salotto, Corso Trieste 10. Frey sta sistemando le attrezzature per “Symbols”, le posiziona al centro della stanza, per terra, guarda le attrezzature e inizia a parlare di “Symbols”. “Symbols” è un progetto fotografico nato dall’esigenza che a un certo punto del mio lavoro ho avuto di rappresentare le persone, quelle persone che in qualche modo avessero un contatto con me” “Da circa un paio di mesi Lavoro a “Symbols”, giorno dopo giorno l’idea ha preso forma e oggi stiamo preparando le attrezzature per la prima sessione di shooting con i primi modelli” |Esterno Giorno, Roma. Frey scatta in giro per la città Giardino dei limoni, Piazza del popolo, Piazza di Spagna ecc

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“Stavo ragionando sul concetto di risoluzione e l’ho semplificato a “livello di dettaglio”, se dovessi togliere tutto il dettaglio di uno scatto, che sia anche un ritratto, come quelli di symbols, direi di vedere un quadrato” //Immagine che si scompone fino a diventare un quadrato, torna indietro velocemente, dettaglio di lui che tiene in mano un cartoncino dello stesso colore quadrato, lo alza all’orizzonte e dice. “Io e solo io potrò dire che questo è un ritratto, ma se dovessi comunicare con altre persone avrei bisogno di aumentare di risoluzione, questo implicherebbe il dover usare codici attraverso i quali poter comunicare con gli altri, ci serviamo di codici tutti i giorni. In questo momento stiamo parlando e lo facciamo attraverso un codice, guidiamo e usiamo un codice, leggiamo e riusciamo a farlo solo perché tra di noi in qualche modo nei secoli scorsi qualcuno ha creato un codice che oggi noi utilizziamo per scambiarci informazioni. Questo è quello che facciamo anche con la fotografia.” |Interno Giorno, Roma. Frey sta per iniziare a lavorare a computer, cerca riferimenti per il lavoro di “Symbols” (documentazione) “La consapevolezza dell’essere umano e la sua capacità di sapersi orientare nel mondo è data dalla sua percezione dello spazio e del tempo. La complessità rende qualcosa interessante l’aumento di risoluzione è esattamente la relazione

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che c’è tra l’artista, l’opera e lo spettatore, non per forza bisogna raggiungere il “massimo” della risoluzione possibile. Il livello di dettaglio è deciso da forze diverse come la cultura della persona e della società, il target a cui il lavoro è rivolto e il convivere di tutti i fattori esterni che influiscono sulla produzione come budget, tempo, cliente ecc..” |Interno Giorno, Roma. Frey sta scattando per “Symbols” Lascerei questa parte al live dell’azione, con l’audio delle cose che dici alla modella e come ti relazioni con l’assistente, gli scatti e i flash. Tutto ripreso con obiettivi fissi. Userei una serie di almeno tre modelle e una di queste la usiamo per lo scatto finale. “Quanto posso allontanarmi da un soggetto? Quanto posso avvicinarmi? Con “Symbols” voglio creare una connessione con i miei modelli, una connessione che vada oltre il singolo scatto. Vorrei arrivare ad imprimere la loro anima, quella che sta vivendo quel momento e rappresentarla attraverso un’immagine. La chiave di lettura è sempre la connessione, per questo nella preparazione del lavoro di “Symbols” ho deciso di eliminare quanto più possibile il superfluo per dedicarmi totalmente alla persona di fronte a me. Un semplice fondale e due Luci, io, la modella e la mia macchina. Il quadrato è il metro di giudizio della società moderna. E’ un simbolo culturale fortissimo, riconoscibile praticamente in ogni cultura, classe, società. Tutti possono ricollegare il quadrato ad una porzione di spazio specifica, chiusa all’interno di

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quattro linee. Tutti possono prendere questa forma e creare il proprio spazio, come una scatola, per poi riempirlo di ciò che ritengono più emozionante. Non è un caso che praticamente tutta l’arte conosciuta avviene all’interno di uno spazio delimitato da una quadrato. È l’astrazione massima della pittura, della danza, della fotografia; all’interno del concetto di composizione tutto è quadrato. È nostra abitudine vedere il mondo attraverso un quadrato, ci da sicurezza, ordine, precisione…bellezza. Allora mi sono chiesto: come posso applicare la “risoluzione minima” della fotografia ad una foto e renderla comunque interessante? |Interno Giorno, Roma. Frey sta post-producendo le foto Indicando lo schermo mentre lavora Quando scatto sono solo due le cose che tengo in considerazione: La distanza dal soggetto e la sua presenza nello spazio che lo circonda. La distanza mi piace misurarla con la storia che ogni persona decide di offrirmi durante la sessione fotografica. La storia è tutto, e ogni storia ha bisogno della giusta distanza per essere apprezzata al meglio. Alcune storie hanno bisogno di più spazio (Foto di un soggetto con un grandangolo) mentre altre necessitano una discreta cura per i dettagli (Macro estremamente ravvicinato di un dettaglio). Il mio metodo di lavoro si basa molto sul momento che voglio raccontare, mi piace pensare a me stesso come persona particolarmente ricettiva alle

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situazioni, spesso mi lascio trainare dall’intuito, provo, scatto, elaboro e cerco di curare ogni dettaglio di un mio scatto per realizzare la storia che ho in mente. |Interno Giorno, Roma. Frey sta preparando le attrezzature per un nuovo lavoro “Così che funziona: ti documenti, organizzi, produci, consegni e ricominci da capo. Oggi ho una sessione di set, andiamo a girare cose pazzesche. In questo mondo che corre velocissimo non si ha quasi mai il tempo, si rincorre un nuovo lavoro, un nuovo progetto. Questo è il bello. Questo è quello che ho scelto di fare.”

35. Timeline di montaggio della puntata “Symbols”

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Dalla lettura della sceneggiatura è subito evidente che la stesura del testo è leggermente diversa dal prodotto montato. Questo perché durante le fasi di lavorazione il prodotto prende forma, articolandosi in direzioni e ramificazioni spesso difficili da prevedere a priori. E questo passaggio da parole di carta a immagini, storie, persone ed emozioni è senza dubbio uno degli aspetti più affascinanti del processo di creazione del prodotto filmico. Indipendentemente dal progetto fotografico Symbols per me rappresenta la bellezza umana. Personalmente bisogna dire che raccontare la realtà di un progetto autofinanziato di un artista giovane che pian piano sta trovando la propria dimensione è stato formativo oltre che divertente. “Symbols” è stata un’esperienza di vita indescrivibile, estremamente coinvolgente a livello emotivo. Matteo ha strutturato una comunicazione con i propri modelli volta a far crollare le difese che hanno messo in piedi. “Due luci, uno sfondo, la modella e la mia macchina”, così definisce la situazione durante l’intervista. In effetti è quello, ma dietro c’è molto di più. Quelle persone in quella situazione si sono lasciate penetrare a fondo, tirando fuori quello che realmente sono. Parlando con uno sconosciuto sono state in grado di pensare a loro stesse e alla loro vita, raccontando chi erano a un livello molto più profondo di quanto si possa immaginare; spesso ci sono stati momenti di intensa commozione che hanno portato a “scoprirsi” anche il fotografo, che in quel momento è diventato parte integrante del progetto.

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Capitolo 7

Puntata 2 - A modo Mio -


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A modo mio – Angelo Bozzolini: regista

La produzione della puntata due, per le particolari caratteristiche dell’intervistato ha richiesto un certo grado di adattabilità: parte delle riprese e delle immagini sono state effettuate su un set televisivo mentre era in corso un sessione di ripresa e questo ha richiesto un notevole impegno tecnico e organizzativo. “A modo mio” è un progetto prodotto in partnership da Rai 3 e da Aut Aut srl, società che fa capo direttamente ad Angelo Bozzolini e Lorenzo Scurati. Entrambi creatori di contenuti televisivi, si occupano principalmente di documentari. Tra i loro lavori più importanti si possono citare: “Atlantide” in onda su La7; “Il carattere italiano”, documentario sul conservatorio Santa Cecilia; “Il congresso degli arguti” ,

36. Logo di Aut Aut srl società di produzione di Angelo Bozzolini

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documentario sul complesso di statue delle “pasquinate” realizzato per la Regione Lazio; “Io sono La Scala” per Sky Arte che racconta la storia del Teatro della Scala di Milano e molti altri. Bozzolini ha concepito la serie “A modo mio” partendo dal concetto di identità “queer” (termine inglese per diversità, eccentricità) investigando personalità di spicco come Francesco Vezzoli (artista di fama mondiale) tramite, tra gli altri, Anna Coliva (direttrice della Galleria Borghese di Roma) e suor Teresa Forcades (laureata in Teologia e Medicina, leader del movimento indipendentistico Catalano).

38. Angelo Bozzolini con il libro di Francesco Vezzoli “Ti amo” 37. 39. Angelo Bozzolini alla Galleria Borghese di Roma

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Il nostro intervento ha cercato, di invadere il meno possibile la quotidianità del regista. Durante l’ incontro abbiamo discusso il progetto, individuando quali fossero le finalità dello stesso, è stato concordato, inoltre, di girare per prima l’intervista e di realizzare, nei giorni successivi, le riprese sul set dove Bozzolini stava lavorando.


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40. 41. Francesco Vezzoli e Anna Coliva (direttrice della Galleria Borghese)

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Risoluzioni, racconti d’artisti 02 A modo Mio Sceneggiatura:

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Oggetto della forma scelta

- Se dovessi rappresentare la tua arte con una forma geometrica, quale sarebbe? |Interno Giorno, salotto, via Giulia 105. “Io penso che la figura la figura geometrica associata al mio lavoro o almeno come io lo concepisco sia il triangolo”. “Il triangolo” //Titolo e intro |Interno Giorno, salotto, via Giulia 105. Coperture case e intervista “Nella triangolazione io vedo l’elemento essenziale del rapporto che caratterizza il dialogo tra me, il protagonista dei miei lavori e il mio editore.” |Primo piano di mani che disegnano un triangolo

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“Come in un triangolo isoscele mettiamo che io parto da questo elemento verticale, devo raggiungere il vertice di questo triangolo e questo è il mio interlocutore, quest’altro è la rete”. Intervista e coperture “Quindi un dialogo si sviluppa nel tempo, una volta che questo progetto viene approvato io ne devo parlare con I miei protagonisti. Devo restituire a loro la mia visione, ma anche quello che la rete mi domanda”. “Questa triangolazione è a mio avviso la figura geometrica che sintetizza il mio approccio al lavoro”. |Interno Giorno, Studio, via Giulia 105. “Mi verrebbe da dire che per me la risoluzione è più che altro la messa a fuoco. Effettivamente studiando i protagonisti dei miei lavori io mi imbevo di storie, di brani di vita e quindi si creano nel muro delle loro esistenze delle crepe nelle quali cerco di inserirmi. La risoluzione dell’immagine aumenta e l’aumento della qualità di questa immagine è direttamente proporzionale alla quantità di informazioni che io riesco ad elaborare e a tradurre artisticamente”. |Interno, Biblioteca Francese, sera. “A MODO MIO” è una serie televisiva per Rai 3, una seconda serata ed è divisa in 5 puntate da un’ora. Ricopro la figura di regista, autore e anche produttore. Un’altra volta una triangolazione tra i miei desideri di esaurire l’interesse di un racconto, le

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mie pulsioni estetiche di avere una confezione quanto più possibile attraente, ma anche la necessità di fare I conti con il budget”. |Interno Giorno, mano al computer. PC che si apre sulla ricerca di Google e cerca una carrellata di immagini sulla parola Queer. “Siamo giunti a concepire un programma che parte dal concetto di identità queer, che in inglese significa diversità, eccentricità, negli ultimi anni è stato preso in prestito spesso anche con tono dispregiativo per il mondo omosessuale, io credo che la nostra cultura non sia una cultura che abbracci nel senso più ampio la cultura queer”. |Interno Giorno, salotto, via Giulia 105. “Nel mio concetto queer significa orientamento esistenziale, prende piede da un libro che ha scritto una monaca di clausura catalana che si chiama suor Teresa Forcades”. |Interno, Galleria Borghese e Biblioteca Francese, Qui saranno delle coperture sulle persone nominate all’interno del discorso che devono essere funzionali al racconto. “Questa monaca è una figura di grande spessore, non si pensi ad una monaca normale così come noi italiani possiamo pensare. Copertura da Youtube di Vezzoli che lavora. “Come la suora che chiede la depenalizzazione dell’aborto, ci sono dei personaggi come Francesco Vezzoli che è un’artista”.

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Copertura da Youtube di Carpenter che suona. “Cameron Carpenter che è un organista. Sono tutti guidati da un’urgenza con grande serenità, senza creare antagonismi, escono fuori dal coro dei rispettivi mondi di appartenenza”. Copertura da Youtube di Maxxi Galleria Vezzoli. Francesco Vezzoli entra in un ambiente, entra in un museo e come dico scherzosamente lo “Vezzolizza”. Entra al MAXXI di Roma, fa una mostra che si chiama galleria Vezzoli; reinventa lo spazio portandoci dentro tutti gli elementi della sua arte e lo trasforma”. |Interno, Galleria Borghese, sera. Coperture con immagini di Backstage della puntata di “A modo mio” girata a Galleria Borghese. “La galleria Borghese ad esempio, una delle location della puntata dedicata a Francesco Vezzoli è un luogo particolarmente complicato. Probabilmente è la casa che ospita la collezione di arte antica più importante al mondo, ti muovi In un negozio di cristalli con un equipaggiamento, se pur leggero delicato da maneggiare”. “Dove tu regista sai di essere dentro a un luogo, il migliore che tu possa desiderare; come autore sei nel dialogo tra una direttrice molto istituzionale e un’artista molto informale e in quanto produttore sei in un luogo molto difficile da illuminare con una troupe ridotta”. |Interno, Biblioteca Francese, sera. Coperture della conferenza fatta da Suor Teresa presso la Biblioteca Francese.

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“Suor Teresa va in un contenitore televisivo, a una conferenza, ed è invitata a tenere una lezione universitaria. Lei porta dentro quello che è il suo percorso esistenziale che è la somma dei suoi studi di medico e di teologa. Crea delle sintesi, delle sinergie tra questi ambiti, e anche lei porta dei discorsi di rottura, con delle tesi supportate in ambito scientifico”. |Interno Giorno, Studio, via Giulia 105. Conclusione dell’intervista. “Penso che l’artista debba prima di tutto fare “pace” con la componente ludica del proprio lavoro. Io faccio un lavoro che è veramente un gioco, e mi muovo manipolando un giocattolo, un giocattolo è il set, ma è anche l’oggetto della mia osservazione, quanto più io riesco a fare pace con questa parte ludica, quanto più riesco ad esprimere la componente del gioco, tanto più credo che da un lato il lavoro funzioni, dall’altro credo che riesca ad esprimere la mia libertà, l’artista deve essere libero, Più andrò avanti e più la mia vita, sebbene vada verso la senilità, paradossalmente andrà sempre di più verso l’elemento del gioco e della libertà, questo almeno è quello che io mi auguro”.

42. Timeline di montaggio della puntata “A modo mio”

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43. 44. 45. Il set all’interno della Galleria Borghese di Roma con Angelo Bozzolini, Francesco Vezzoli e l’autore Gianluca De Petris


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46. 48. Suor Teresa Forcades presenta il libro “A pope Francis Lexicon” presso la Città Vaticana

47. Suor Teresa Forcades presenta il suo libro “Per una ideologia Queer” alla Biblioteca De’ francesi a Roma



Capitolo 8

Tecnica


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Tecnica: strumenti video, audio, software

La produzione di Risoluzioni, racconti d’artisti, targata TheList, ha utilizzato come macchina principale una fotocamera Sony a7s. Prodotta a partire dal 2014 e famosa per la sua alta resistenza ad alti valori di ISO, la Sony a7s è la prima fotocamera “mirrorless“ ad aver contrastato la supremazia della Canon 5D nel comparto video. Alcune fasi di ripresa hanno richiesto l’utilizzo di una seconda Sony a7s equipaggiata con un obiettivo fisso 35mm. Un aspetto di fondamentale importanza, al fine di ottenere un prodotto di alta qualità, è quello della scelta delle ottiche. Trattandosi di una produzione “low budget” si è reso necessario ottimizzare al meglio gli obiettivi che erano già a disposizione: principalmente il 35mm Zeiss F 2.8 (vintage) o l’85mm Samyang F 1.4.

49. La Sony a7s utilizzata per realizzare le riprese

Le videocamere sono state generalmente montate su cavalletto o su slider con testa mobile. Nel caso di riprese in movimento queste sono state eseguite “a mano”, a volte con l’ausilio di uno spallaccio. Molte delle clip sono state poi stabilizzate in post produzione utilizzando gli applicativi dalla suite Adobe. Per le stabilizzazioni più complesse si è scelto invece di 103


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50. Spallaccio Filmcity 51. Obiettivo 85mm Samyang f 1.4 52. Microfono Røde Videomic Pro utilizzato durante le riprese della puntata uno 53. Radiomicrofono Sennheiser EW 100 G3 utilizzato durante le riprese della puntata due 54. Radiomicrofono Shure

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usare Nuke di TheFoundry, uno dei software di “compositing” e “vfx” più utilizzati dall’industria cinematografica. Le riprese compresse in XAVCS 4:2:0 50fps risultano piuttosto impegnative come quantità di calcolo. Per questa ragione alcune clip sono state convertite in ProRes 4.2.2., formato più facilmente gestibile dal software di montaggio. Tutte le riprese sono state realizzate utilizzando il profilo colore nativo S-Log2 che ha permesso di ottimizzare i successivi interventi di “color correction”. Per questa fase è stato utilizzato Da Vinci Resolve, prodotto dall’azienda Black Magic Design. Per le animazioni si è scelto di utilizzare Adobe After Effects e Nuke per gli effetti visivi. Il progetto in totale è composto da circa trecento Giga Byte di materiale. Il montaggio è stato realizzato con Adobe Premiere, software molto utilizzato per i progetti video che nascono per essere fruiti dal web e negli ultimi anni anche per qualche film. Una delle sue caratteristiche più interessanti è la capacità di lavorare bene anche in presenza di file che presentano caratteristiche diverse di compressione. La differenza tra Da Vinci Resolve e Adobe Premiere è che il primo utilizza algoritmi di compressione più

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avanzati, permettendo di mantenere alta la qualità del file iniziale a differenza di Premiere che nasce per il montaggio e usa algoritmi di color correction pesantemente “lossy d”. La registrazione dell’audio ha richiesto un certo grado di sperimentazione e la scelta di strumenti che potessero garantire la flessibilità necessaria a ottenere il miglior risultato possibile nonostante la variabilità delle condizioni di ripresa. In post produzione si è intervenuti digitalmente per ottimizzare la resa finale tramite Adobe Audition.

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La prima parte della puntata “Symbols” ha visto l’impiego di un radiomicrofono Røde Videomic Pro collegato a un registratore esterno Tascam. Nella seconda parte ci si è serviti invece di un microfono lavalier nascosto agli occhi della camera e collegato a un piccolo registratore Zoom. Nella puntata “A modo mio” è stato possibile utilizzare un radiomicrofono Sennheiser EW100 G3. Piccolo, portatile ed estremamente versatile, tale strumento si è rivelato eccellente per pulizia del suono e bassi livelli di rumore di fondo.

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Le giornate di ripresa per ogni singola puntata sono state almeno tre, il progetto è strutturato su un unico livello narrativo collegato al format principale con coperture che quanto più possibile cercano di rappresentare i concetti che l’artista sta esprimendo.

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Raccontando la storia della creazione del lavoro che l’artista sta realizzando in quel momento è indispensabile avere materiale che almeno copra le fasi di pre-produzione, produzione e post produzione oltre ad avere citazioni all’interno del lavoro inerenti alla vita dell’artista stesso. Una breve biografia ci presenta la persona raccontata nella introduzione animata all’inizio del video; viene visualizzato il nome e la professione con riprese dei lavori precedenti dell’artista Ogni introduzione è esplicativa della professione dell’artista raccontato. Il ritmo del montaggio è ispirato al carattere dell’artista stesso. Abbiamo scelto quindi di utilizzare uno stile di montaggio veloce e moderno per la puntata “Symbols” e uno più lento e descrittivo per “A modo mio”.

Adobe Premiére

Adobe After Effects

Adobe Audition

Da Vinci Resolve

Adobe Photoshop

The Foundry Nuke

d. La compressione dati con perdita, nel campo dell’informatica e delle telecomunicazioni, individua una classe di algoritmi di compressione dati che porta alla perdita di parte dell’informazione originale durante la fase di compressione/decompressione dei dati che la rappresentano.

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56 55. Lavorazione in Adobe After Effects dell’intro animata 56. Lavorazione in Nuke dell’effetto “triangolo”

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Capitolo 9

Conclusioni


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Costruzione e decostruzione della risoluzione Considerazioni finali

Mentre agli artisti è stato chiesto di fare il passo opposto e cioè di destrutturare il proprio lavoro, per questo progetto la risoluzione è aumentata col passare del tempo. Crescendo, col tempo, è maturato. Nelle fasi di pre-produzione e di stesura del testo questo lavoro aveva raggiunto una forma ben strutturata. Ma è durante la realizzazione sul campo che la natura stessa di un prodotto di questo tipo rende inevitabile fare i conti con agenti esterni, come per esempio: la personalità dei protagonisti, le location, le problematiche tecniche o altro. Per questo motivo si è scelto di lavorare “aumentando la risoluzione” del progetto, lasciando alle persone rappresentate l’onere e l’onore di essere protagonisti a tutto tondo della puntata a loro dedicata. In un primo momento si era pensato a un format immodificabile, con elementi comuni replicabili di puntata in puntata. In presenza però di condizionamenti esterni poco

controllabili, di diversità così profonde tra i vari artisti, e della peculiarità degli ambiti professionali di riferimento questo obiettivo sarebbe stato probabilmente difficile da raggiungere. Per questa ragione si è deciso di slegare le puntate accomunandole con solo alcuni elementi che creassero continuità. Si voleva inoltre raccontare l’artista intervistato, cercando di rappresentare il suo carattere e il suo lavoro attraverso la rappresentazione filmica e il ritmo del montaggio. Per queste ragioni il progetto ha progressivamente preso la forma di una serie di video racconti che parlando di artisti diversi non rinunciano però ad alcuni elementi formattizzanti. Ciò ha permesso di rappresentare le singole puntate come un “unicum” riconoscibile dallo spettatore che le osserva. La società in cui tutti noi siamo abituati a vivere ci obbliga ad essere sempre perfetti, disposti a tutto per vivere al meglio; nessuno però ci insegna a sbagliare. 111


L’errore è alla base dell’esistenza umana; se non avessimo modo di sbagliare non potremmo nemmeno sperimentare, scoprire, rischiare e imparare. Nel campo dell’arte questo vale soprattutto per i giovani. Dovremmo calcolare infatti quella che si potrebbe definire “variabile impazzita”. La fortuna, nessuno può prevederla, nessuno può aspettarla o pretenderla, per questa ragione semplicemente dovremmo svolgere il nostro lavoro, senza farci ingabbiare da presupposti o agenti esterni. Continuare a lavorare comunque, a qualsiasi costo, porta

su cui è stato pensato il prodotto sia il web il target di questo lavoro è molto ristretto e ben definito; non è un prodotto che punta alla “viralità”. Ragionando sulla “risoluzione” si è arrivati a progettare e realizzare una rubrica che si interroga su temi pratici sublimandoli a concetto, idea e ricostruendoli di conseguenza “vestendo” ogni puntata di significati e concetti che l’artista altrimenti non avrebbe avuto modo di esprimere. Il concetto di “risoluzione” è così diventato

Rivendico la possibilità di sbagliare, di fallire, di combattere con l’incertezza della vittoria. a risultati molto più attendibili della “variabile impazzita”, che poi però potrebbe comunque arrivare e scombinare tutti i piani. La natura umana non lo permette e la società moderna ne edulcora e modifica la percezione che, soprattutto con le nuove tecnologie fa divampare velocemente il fuoco per poi subito disperderne gli effetti. Sempre più facilmente, soprattutto sul web, si vedono i famigerati “hater” cioè coloro che si dilettano nell’arte di denigrare e offendere gli altri in rete. Risoluzioni, racconti d’artisti nasce per vivere sul web, questa riflessione non vuole far altro che mettere in conto questo genere di reazioni, nonostante il media 112

pretesto per la realizzazione della rubrica, da punto fondamentale a pretesto di racconto ed elemento formattizzante. La domanda a cui l’artista risponde: “Se dovessi astrarre la tua arte a una forma geometrica, quale sarebbe?” diventa punto di partenza per riflessioni e racconto, l’intervistato viene condotto dall’intervistatore verso l’interrogarsi sul proprio approccio al lavoro applicato al progetto che in quel momento sta realizzando. Il titolo di ogni puntata sarà infatti il nome del lavoro descritto all’interno. Mano a mano che la rubrica ha preso forma si è entrati a conoscenza di quelli che erano, sotto il punto di vista del racconto, le difficoltà nella realizzazione dello stesso. Si è così


cercato in fase di ripresa di reperire quanto più materiale possibile pensando già a quali situazioni si avrebbe avuto bisogno di avere per realizzare il montaggio che era stato progettato in sede di scrittura. Questo progetto ha una duplice valenza, l’idea iniziale, creare un “progetto di tesi” si è poi evoluta in un “work in progress” potenzialmente infinito: ogni puntata potrebbe raccontare un artista diverso, un lavoro diverso, una storia diversa. Questo potrebbe significare che non è escluso poter continuare questa esperienza anche al di fuori del progetto accademico e capitalizzare l’insieme delle competenze acquisite per creare un vero e proprio prodotto web o televisivo. Un ulteriore aspetto di questo percorso mi sembra importante rimarcare, al di là di questioni puramente tecniche o del grado di riuscita rispetto alle aspettative, ed è quello del “fattore umano”. Entrare in relazione con altre persone, lavorarci insieme, parlare, ascoltare e confrontarsi è stato probabilmente il lato più gratificante dell’intero processo. Nel mondo di oggi le connessioni sono importanti, fondamentali forse, e se Risoluzioni, racconti d’artisti ha agito da catalizzatore liberando energie e sinergie nuove questo può essere soltanto un fattore positivo. 113


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Ringraziamenti In fin dei conti è solo il lavoro che corona i miei studi. Un progetto lungo e complesso che ha visto la collaborazione di varie menti creative che si sono prestate alla realizzazione di quello che qualche mese fa era solo un’idea nella testa di uno studente che da parte sua aveva soltanto la voglia di sperimentare. Come ogni progetto si arriva a un punto in cui si tirano le somme e si ringraziano coloro che lo hanno reso possibile, questo breve testo non è altro che “i titoli di coda” del mio percorso accademico. Vorrei quindi iniziare citando IL TEAM, i ragazzi che in un momento buio mi hanno mostrato una strada, dato una speranza, fatto crescere come persona e come professionista. Con loro ho condiviso nell’ultimo anno alcuni tra i lavori più belli che abbia mai realizzato, per questo voglio nominarli uno a uno: GRAZIE Matteo che ti sei prestato alle mie fantasie, che mi hai incoraggiato e mostrato la strada, anche quando non ti sei reso conto che stava succedendo, con la tua energia mi hai trascinato e appassionato, grazie di ogni singolo istante. GRAZIE Roberta, LA donna di TheList, colei che instancabile e insostituibile ci supporta e sopporta durante le interminabili riunioni creative, colei che ha la forza di spostare il

mondo ma anche la fragilità di chi vorrebbe spostarsi un po’ più in là. GRAZIE Damiano, IL nostro Dami. Il punto di vista arguto e inconsueto, quello che ha la facoltà e l’abilità di capire il momento ed elaborarlo creativamente, colui che con un’intuizione può risollevare le sorti di un lavoro nato storto. Grazie TheList, non spesso vi ho detto quanto siete importanti, era arrivato il momento. Come nei programmi televisivi “di un certo livello” non posso esimermi dal ringraziare i miei genitori e i miei fratelli, che a modo loro hanno sempre ammirato il mio lavoro e mi hanno spinto a inseguire i miei desideri, in fondo se sono come sono a loro va una bella fetta di merito e anche questo non lo dico troppo spesso. Vorrei ringraziare il porfessor Barba, non solo però per il lavoro che ha svolto con me in questi mesi, vorrei ringraziarlo per avermi in qualche modo cambiato la vita, lo scorso anno non avrei mai pensato di potermi appassionare alla fotografia, solo un anno fa non sarei mai stato in grado di realizzare questo progetto. A te va il merito di aver creato questo piccolo, distratto videomaker che però ci crede tantissimo. Grazie Prof. Restando in tema “prof.” ce n’è un altro che


vorrei ringraziare, colui che mi ha aperto la mente in due e ci ha infilato dentro “strane idee”, colui che con professionalità e un pizzico di pazzia mi ha fatto capire chi, come e perché, colui che “Dobbiamo porci le giuste domande!” Colui che “Chiamami Luca.” Grazie prof. Della Grotta. Vorrei Ringraziare i miei protagonisti, oltre al già citato Matteo, Angelo regista talentuoso e appassionato, lui che ha creduto in me e proprio in mezzo alla produzione di un progetto importante come “A modo mio” si è prestato, senza risparmiarsi alla realizzazione di questa tesi. Spero ti sia divertito, Grazie Angelo. Un ringraziamento speciale ai miei “colleghi”, coloro che ogni mattina mi hanno accompagnato; ogni lezione, ogni esame, ogni progetto. Grazie ragazzi senza di voi non sarebbe stato lo stesso. Grazie Carla, Carolina, Sara, Masoud, Livio. Grazie alla donna che continua a sopportarmi, la donna che per prima crede in me, la roccia su cui si poggia ogni istante della mia giornata, lei con cui condivido tutto, il primo parere, quello più autorevole GRAZIE Laura, senza di te nulla sarebbe uguale. Un grazie a Fabio, sapere di poter contare su qualcuno come so che posso contare su di te è una fortuna inestimabile e rara. Ultima menzione di onore devo rivolger-

la al mio amico e mentore Antonio che ha permesso tutto, che prima di tutti ha visto qualcosa in quell’appena maggiorenne ragazzino che aveva sempre da ridire su tutto e non si accontentava mai. Il ringraziamento che non mi sarei mai aspettato di scrivere è forse il più importante, nel 2012 ho iniziato questo percorso, lungo, faticoso e pieno di ostacoli (anche se non esattamente quelli che avrei voluto) L’Accademia di Belle Arti mi ha preso ventunenne e mi lascia, oggi, uomo, mi ha preso studente e mi lascia professionista (almeno un po’) il mio unico rimpianto è quello di non averti capita subito, ti sei presentata diversa dalle aspettative, te ne ho dato le colpe, mi hai sopportato e insegnato la lezione più importante quella di non arrendersi alle difficoltà: mantenere la calma, respirare e cercare una soluzione (cavolo se mi hai sfidato a trovare soluzioni) grazie Accademia, anche per quelle giornate dove avrei voluto non conoscerti. Senza le persone che ne hanno permesso la nascita tutto questo volume non sarebbe mai potuto esistere, vorrei avere il potere e la capacità di scrivere parole importanti, che colpiscano, che riescano veramente a spiegare quello che è il mio sentimento, non ne sono capace, per cui mi limiterò ad un: semplicemente grazie. Grazie a tutti per avermi accompagnato in questo percorso.




Risoluzioni, racconti d’artisti nasce come rubrica di documentari da pubblicare sul canale TheList di YouTube con il fine di raccontare, puntata dopo puntata, storie di persone, idee, progetti. La tematica fondamentale è quella dell’esplorazione e analisi dei principi fondamentali che sono alla base del lavoro dei professionisti dell’arte. In tale contesto ogni puntata rappresenta il tentativo di raccontare un determinato artista e il percorso attraverso il quale egli elabora, declina e realizza il suo lavoro. Come un diario di produzione questo testo racconta l’ideazione, la nascita e le fasi di realizzazione del progetto.

Tesi in Grafica e Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma A.A. 2016/2017


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