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Rigenerare lo sguardo. Rigenerare la creazione. Un progetto itinerante di creazione per la scena.

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Pronto, sono io; scusa ma dovevo farne verbo

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Rigenerare lo sguardo. Rigenerare la creazione. Un progetto itinerante di creazione per la scena.


Anno Accademico 2014/2015 Autore: Gianluca De Petris Progetto Grafico: Gianluca De Petris Relatrice: Prof.ssa Alessandra Fagioli Co-relatore: Prof. Francesco Mazzenga Coordinatore Dipartimento di Grafica Editoriale: Prof. Enrico Pusceddu Revisori testi: Prof. ssa Alessandra Fagioli, Andrea Ciommiento Progetto di tesi in Grafica Editoriale Accademia di Belle Arti di Roma Finito di stampare nel Marzo 2015

Š Gianluca De Petris


Rigenerare lo sguardo. Rigenerare la creazione. Un progetto itinerante di creazione per la scena.



Introduzione

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PRIMA PARTE 1. Input

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2. Per un attore presente

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3. Maestri Jerzy Grotowsky Eugenio Barba Peter Brook Living Theatre

pag pag pag pag pag

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SECONDA PARTE 4. EduScé LAB

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5. Approccio

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6. Habitat necessario Esempi di creazione

pag 72 pag 86

7. Drammaturgia Nell’oceano il mondo Senza stelle

pag 120 pag 122 pag 130

8. Conclusioni

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Collaborazioni al progetto

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Bibliografia

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Ringraziamenti

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Da un’idea di Gianluca De Petris su EduScé LAB, Interazione Scenica.




l concept di questo volume editoriale nasce dalla lettura di “Critica portatile al Visual design” (Riccardo Falcinelli, Einaudi Editore, 2014). In quelle pagine si racconta di un grafico e tipografo francese, Robert Massin, che nel 1964 viene incaricato di riportare graficamente l’opera teatrale “Cantatrice Chauve” (Cantatrice Calva, trad. francese) di Eugène Ionesco, scritta nel 1950 e appartenente alla corrente del teatro dell’assurdo. Massin non si preoccupa solo di trascrivere il testo ma lo fa “vivere”; gli attori nel suo libro si “muovono” sulla pagina proprio come se fossero in teatro. Attraverso l’utilizzo delle immagini e dei caratteri Massin compie un esperimen12


to che pochi altri nella storia dell’editoria hanno compiuto.

Il prodotto editoriale è diviso in due macro parti:

La “Cantatrice Calva” è il pretesto e il punto di partenza. L’obiettivo è quello di raccontare, con lo stesso concept editoriale di Massin, l’esperienza di EduScé LAB, il laboratorio itinerante di creazione scenica ideato e condotto dal regista Andrea Ciommiento insieme a diversi artisti italiani dal 2012 ad oggi, ospitato in città italiane ed europee, tra cui Milano, Pisa, Udine, Venezia, Bari, Torino, Bruxelles e Roma all’interno del progetto permanente Interazione Scenica. Un laboratorio aperto alla pratica di ascolto e relazione dell’attore in scena, e alla scrittura di testi drammaturgici costruiti attraverso la formula del devised theatre in cui gli attori sono creatori insieme al regista della propria partitura scenica.

La prima tratta il teatro in senso ampio, racconta le esperienze più significative del Novecento e i “maestri” che hanno fatto da guida al percorso di EduScé LAB.

La seconda focalizza l’attenzione su alcuni aspetti tematici e metodologici del fare teatro attraverso un breve manuale pratico sull’approccio di creazione utilizzato nell’allenamento della consapevolezza dell’attore e nella scrittura di storie per la scena EduScé LAB che è nato all’interno di Interazione Scenica, e che dal 2014 è tassello progettuale della piattaforma CO.H con sede a Torino, promuove la progettazione di laboratori, spettacoli e percorsi di rigenerazione urbana e culturale guardando all’esperienza artiIn questo volume la “scena” stica come fonte di sviluppo viene rappresentata attraverso sociale (art co.housing). il design grafico e la tipografia, tramite un percorso che vuole raccontare un’esperienza formativa di alto livello inserita, tra l’altro, dall’a.a. 2014/2015 all’interno della didattica laboratoriale del Master di Teatro Sociale dell’Università La Sapienza di Roma. 13




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Capitolo_1.


"Non ho mai creduto in un'unica verità, né in quella mia né in quella degli altri; sono convinto che tutte le scuole, tutte le teorie possono essere utili in un dato luogo e in una data epoca; ma ho scoperto che è possibile vivere soltanto se si ha un'ardente e assoluta identificazione con un punto di vista. A mano a mano che il tempo passa, che noi cambiamo, che il mondo cambia, tuttavia, gli obiettivi si modificano e il punto di vista muta. Rivedendo i saggi scritti nell'arco di molti anni e le idee esposte in tante occasioni e nelle più disparate, qui riuniti, mi colpisce ciò che in essi rimane costante. Se vogliamo, infatti, che un punto di vista sia di qualche aiuto, bisogna dedicarvisi con tutte le nostre forze, difenderlo fino alla morte. Nello stesso tempo, però, una voce interiore sussurra: - Non prenderti troppo sul serio. Tienti forte e lasciati andare con dolcezza”. (Peter Brook, Il punto in movimento)

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-.-.-.inea, punto, linea. Meno, cerchio, meno. Una emoticon o un errore. Non esiste una interpretazione sbagliata. Sono tutte corrette. Tutte riconoscibili. Il contesto ci fornisce la soluzione nella maggioranza dei casi.

Ora, dovremmo fare una distinzione: chi guarda il punto semplice, immobile, e chi lo vede come punto di inizio, come un punto in movimento (vedi “Il punto in movimentoâ€? di Peter Brook) appartenente a qualcosa di piĂš grande di lui, un punto fondamentale ma che ne precede tanti altri in un percorso che a piccoli passi porta 19


sempre più inesorabilmente a un punto di arrivo, magari simile, forse con la stessa forma, di sicuro un punto più avanzato, non per forza più nobile o tecnologico, ma un altro, diverso, perché diverso è chi lo traccia, è cambiato, evoluto, maturato durante il percorso che lo ha portato a scrivere quell’ultimo, fondamentale punto. Ognuno vede quel che vuole in quel segno grafico che altro non è che un espediente, un esercizio, un pretesto, una provocazione, un segno. Quali caratteristiche può avere un segno di questo tipo? “Input”, così potremmo chiamarlo. Significa “immettere”, utilizzato solitamente nel campo informatico ma applicabile a differenti aspetti della vita. È un input lo strabordare dell’acqua dalla vasca di Archimede? È un input la mela di Newton? È forse un input guardare un punto vicino a un altro punto e vedere una retta? Nel linguaggio corrente è divenuto sinonimo di “impulso”, direttiva che consente l’avvio di qualche azione. O ancora meglio, azione uguale reazione.

essere utilizzato anche nel campo artistico e autoriale. Si ricercano continuamente imput, anche solo per iniziare un gioco o una nuova creazione artistica. Darsi un obiettivo e cercare di raggiungerlo creando materia artistica e reagendo a imput e impulsi creativi. Prendiamo esempio dalla storia dell’arte. Alberto Giacometti, scultore italiano del Novecento ha tratto la sua fortuna da un imput casuale e semplice: era ossessionato da una scultura e non riusciva a terminarla, per quanto lui si sforzasse restava senza volto. Amico di Breton un giorno si trova in un mercato delle pulci e acquista una maschera a spigoli acuminati, simile a quella di un guerriero di cui né lui né Breton potevano stabilire l’uso originario. Secondo Breton in quel momento, guardando quella maschera, Giacometti riesce a “connettere i punti”, a mettere a fuoco le parti, e soprattutto la testa del suo Object Invisible. Giacometti reagisce agli imput della realtà che osserva ed ottiene i frutti del suo lavoro. Nella creazione di Giacometti l’Object invisible è diventato poi un punto di partenza per sviluppare la sua poetica.

Prendiamo a esempio Input, o nella forma anche dalla scrittura e da un italianizzata “imput”, può esercizio, “la Piramide”, un 20


Esco di casa

Mi lavo

Mi alzo dal letto Apro gli occhi.

Mi sveglio Mi accorgo che il suono è quello della sveglia.

Sento un suono insistente.

supporto alla gestione di plot: l’esercizio consiste nella scrittura di quattro semplici frasi da scomporre ognuna in tre parti:

scorporiamo l’azione che genera reazione, frammentando a loro volta ciascuna delle quattro frasi in tre, come per esempio: “Mi sveglio” che diMi sveglio. venterà: Mi alzo dal letto. Sento un suono insistente. Mi lavo. Mi accorgo che il suono è quello Esco di casa. della sveglia. Da questo semplice imput, Apro gli occhi. 21


Questo per tutte e quattro le frasi, non appena ultimato l’esercizio si possono cancellare le quattro frasi iniziali e scriverne altre tre per ognuna delle dodici scritte in precedenza, questo ripetuto fino a quante volte si vuole. Si hanno prima delle frasi singole, magari scollegate tra loro, poi man mano che si progredisce nella scrittura si hanno scene sempre più definite e dettagliate fino ad avere una breve storia. L’imput è una causa esterna, una reazione. Sta al creatore saperla cogliere e valorizzare. Una concatenazione di azioni, stati d’animo ed esperienze gli hanno permesso di cogliere quell’imput.

1. Palco vuoto, Teatro dell’Orologio, Roma e pianta ti “improvvisazione base” con attori in movimento. 22

Grandi autori del cinema e della letteratura raccontano di essere sempre provvisti, quando vagano per la città di un registratore o di una penna e un taccuino su cui annotano le loro impressioni, i loro pensieri, i loro impulsi esterni a cui reagire. Michelangelo Antonioni raccontava che per tirare fuori le sue immagini cinematografiche passeggiando cercava persone stravaganti, non appena riusciva a trovarne qualcuna iniziava di soppiatto a seguirla e nel frattempo si divertiva a fantasticare sulla vita di quella persona, così induceva

il processo creativo, dandosi degli imput. Nel teatro vale la stessa regola, ricreando la vita in scena, gli attori attraversano l’improvvisazione, tentando di cogliere impulsi e di reagire ad essi in modo incisivo. Sul dizionario di lingua italiana di Salvatore Battaglia l’intuizione è: “visione, concezione del mondo e della vita. Disposizione naturale a comprendere con prontezza e perspicacia un fatto, una situazione. In senso concreto: idea nuova e geniale, trovata, scoperta, rappresentazione mentale improvvisa, repentina, brillante, opinione, convinzione istintiva e personale”. Sempre sul dizionario, la voce <<idea>> occupa nove colonne in corpo sei. Si può formalizzare un approccio metodologico a partire da impulsi e reazioni? In questo volume parleremo di come canalizzare qualcosa che nasce da impulsi esterni dati all’attore: parleremo di teatro, di un’esperienza di scrittura e metodo di creazione teatrale che nasce dall’improvvisazione degli attori attraverso imput, segnali e convenzioni, di cui parleremo e racconteremo durante la lettura. Imput che via via durante il percorso vengono canalizzati per arrivare poi alla drammaturgia vera e propria.


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Capitolo_2.



2.

a luce del riflettore si accende. Il pubblico è in platea e l’attore sul palco. Silenzio, tocca a lui. Le possibilità sono tante, le premesse ci sono tutte: c’è un attore, un pubblico e un palcoscenico.

Non serve nient’altro. Dopo anni di studio è il protagonista in scena. Deve farsi carico della riuscita dello spettacolo grazie al suo interpretare il ruolo che gli è stato assegnato. Lo spettatore si affida a lui facendosi trasportare in un mondo finzionale, sconosciuto e affascinante, e allo stesso tempo vero. Sta a lui decidere

se e quanto immedesimarsi con il suo personaggio, riconoscerlo come parte di lui o, al contrario, distaccarsene, per mantenere un brechtiano contatto con esso. Le doti le ha tutte: la profondità di sguardo e ascolto, il linguaggio del corpo, la concentrazione con cui entra nella vita del personaggio e delle sue azioni. 27


3.

Intorno la “scenografia” o “allestimento”: luci, costruzioni e oggetti di scena funzionali all’attore e al regista. Quest’arte di organizzare la scena si può declinare nei modi più svariati: nell’impianto greco la scenografia era un mezzo per adornare lo spazio scenico, nell’idea rinascimentale i fondali impreziositi dalla maestria degli artisti riuscivano a rendersi efficaci tramite l’uso della prospettiva, nel teatro shakespeariano il nudo palcoscenico invitava gli spettatori a immaginare l’am28

bientazione suggerita o, ancora, la scenografia ottocentesca che, tramite i materiali di scena, riconduceva ad una rappresentazione realistica.

spazio vuoto, come insegna il regista Peter Brook, in cui la scena si determina essenzialmente grazie alla presenza dell’attore che attraversa uno spazio e di uno spettatore che Ma il nostro attore oggi, fa osserva compierlo. parte di quel teatro contemporaneo nel quale l’uso della Gli approcci metodologici scenografia si apre a nuove con i quali il nostro protaprospettive, in cui il biso- gonista si sia potuto formare gno di liberarsi dagli schemi sono molteplici. tradizionali porta con sé la La grande differenza che necessità di rendere essen- aiuta a classificare queste meziale ogni elemento scenico e todologie deriva dal modo in dove lo spazio prende forma cui l’attore viene considerato, attraverso le azioni, i silenzi se è: “oggetto”, che si fa carico e le parole degli attori in uno di interpretare un personag-


gio uscendo da sé ed entrando in un nuovo mondo lontano da sé, se invece è: “soggetto”, in cui l’attore mette a disposizione la propria autonomia e consapevolezza iniziando uno scambio reciproco in cui la memoria dei suoi vissuti personali può intrecciarsi al personaggio e da quest’ultimo rivelare sfumature nuove. L’attenzione alla soggettività dell’attore è un tema caro a molti registi e pedagoghi. Tra i primi Stanislavskij che tra fine Ottocento e inizio Novecento, mette in pratica un “metodo delle azioni fisiche” basato sull’analisi personale dell’attore definendo il pensare emotivo prima del suo agire. Ripreso

e rivalutato da Mejerchold, suo allievo, il nuovo approccio metodologico ribalta il senso ridefinendo l’azione come iniziale spinta capace di trasportare nel “pensare emotivo”. In altri termini, l’allievo inventore della “biomeccanica teatrale” ribalta il Metodo del Maestro in favore di una nuova educazione alla scena in cui portare al centro l’organicità del corpo da allenare quotidianamente attraverso i sette princìpi che compongono l’azione teatrale. Lo stesso Stanislavskij, nella sua ultima parte di vita, assimila l’esperienza pedagogica di Mejerchold rimettendo in discussione i suoi princìpi in favore di

una nuova spinta “dinamica” e non “psicologica”. Il nostro giovane attore è ancora lì, sul palco. Ha dovuto affrontare ore di prova che lo hanno aiutato a trovare una presenza necessaria. Sotto l’insegnamento del regista polacco Grotowski, che ha sempre tramandato l’idea di un “teatro necessario”, si prepara con rigorosi esercizi fisici, un vero e proprio allenamento che lo porta ad avere una perfetta padronanza del proprio corpo e della propria mente. Cerca di fare in modo che ogni sua azione sia “pura”, priva di blocchi o artifici. Come questo tanti altri esercizi lo aiuteranno ad essere un professionista “compiuto” e “organico”.

Ora è pronto. La luce si accende e l’attenzione si fa alta. Ormai non si può tornare indietro. Potrà solo rimanere

“presente al presente”.

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“Nella vita quotidiana non ci rendiamo conto della logica delle nostre azioni, ma quando andate in scena, dovete imparare quella logica, sebbene nella vita ve ne serviate a ogni passo. L’attore dovrebbe abituarsi a prestare attenzione alla logica delle azioni e saperla osservare nella vita. Dovrebbe amare quella consequenzialità, quella logica, quella sensazioni di verità” -K.S. Stanislavskij

“Faccio Teatro perché voglio preservare la mia libertà di rifiutare alcune delle regole e dei valori del mondo che mi circonda” - Eugenio Barba

“Il teatro non è indispensabile. Serve ad attraversare le frontiere fra te e me.” - Jerzy Grotowski

“Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti.” - William Shakespeare 2. pag. 27 Eduscé Milano. 3. pag. 28 Eduscé Potenza. 4. Eduscé Roma, attore e attenzione. 30


4. 31


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Capitolo_3.


“Vi è qualcosa di incomparabilmente intimo e fruttuoso nel lavoro che svolgo con l’attore che mi è affidato. Egli deve essere attento, confidente e libero, poiché il nostro lavoro consiste nell’esplorazione delle sue possibilità estreme. La sua evoluzione è seguita con attenzione, stupore e desiderio di collaborazione: la mia evoluzione è proiettata in lui, o meglio, è scoperta in lui, e la nostra comune evoluzione diventa rivelazione [...]. Un attore nasce di nuovo - non solo come attore ma come uomo - e con lui io rinasco. E’ un modo goffo di esprimerlo ma quello che si ottiene è l’accettazione totale di un essere umano da parte di un altro.” (Per un teatro povero, Jerzy Grotowski)

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uali sono le componenti essenziali da assecondare perché in uno spazio si compia il “teatro”? Basta un’attore e uno spettatore. La relazione diretta che si instaura tra gli attori e gli spettatori è infatti una componente fondamentale dell’esperienza di spettacolo che ad oggi solamente il teatro può offrirci. Per il regista polacco Grotowski, in questa società mediata dagli schermi, il teatro rimane uno dei pochi modi per fare un’esperienza viva intendendo la visione e la partecipazione senza medium unitamente all’unicità dell’avvenimento scenico, unica nel tempo. Grotowski, e successivamente Barba, hanno formalizzato la rigenerazione dello sguardo teatrale degli ultimi decenni attraverso il “terzo teatro”, un universo costituito da gruppi portatori di un’etica sociale. Distinto dal teatro tradizionale e allo stesso tempo dal teatro d’avanguardia, questa corrente riserva grande importanza al training (allenamento) e alla ricerca di tecniche che portino a una profonda sincerità nella scena. Per far sì che ci sia teatro c’è bisogno di almeno due componenti fontamentali: un attore ed uno spettatore.

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erzy Grotowski nasce a Rzeszow in Polonia nel 1933. È stato una delle figure più importanti nel campo teatrale del ‘900. Si interroga principalmente su quale sia il ruolo del teatro, in contrapposizione a quello del cinema, intuendo che la componente che il cinema non avrebbe mai potuto avere negli spettacoli era il rapporto tra l’attore e lo spettatore, la presenza fisica nel “qui e ora” dei due, ha inoltre lavorato “sull’eliminazione del superfluo”. È stata l’elaborazione del training, come allenamento continuativo, quotidiano e personale per l’attore; è sua la prima sperimentazione sistematica e concreta della relazione at36


5.

tore-spettatore in uno spazio scenico unitario, la definizione del gruppo teatrale come luogo di esplorazione di ricerca artistica, in un lavoro continuativo protetto, solo in parte finalizzato ai singoli spettacoli. Sua la proposta di un’etica dell’attore come soggetto di esperienze autentiche, perfezionando e sviluppando le intuizioni di Stanislavskij. Il “Laboratorium” è caratterizzato da un silenzio assoluto. Al suo interno si svolge il training quotidiano, durante il quale gli allievi provano esercizi fisici ideati espressamente dal maestro con il fine di aiutare gli attori a liberare le capacità espressive; grazie a questo gli allievi scoprono le possibilità del corpo, la sola cosa di cui, secondo il regista, il teatro non può fare a meno. Mediante tali esercizi, l’attore, vincendo gli ostacoli fisici, impara ad isolare le diverse parti del corpo e a dare loro vita propria, in modo che queste non reagiscano automaticamente ma siano in grado di produrre, ciascuno nello stesso tempo, movimenti autonomi e perfino contrari e comunicare immagini. Durante tali esercitazioni nella stanza nuda e silenziosa la concentrazione è massima, questo implica fatica e impegno costante. La sua lezione ha influenzato gran parte del teatro italiano contemporaneo, soprattutto la cosiddetta area della ricerca. 37


Il regime di allenamento di Grotowski è designato per: 1 2 3 4 5

Eliminare, non insegnare qualcosa. Intensificare ciò che già esiste. Creare tutto ciò che è necessario per la rappresentazione teatrale nel corpo dell'attore, con il minimo utilizzo di materiale scenico. Promuovere un rigoroso allenamento fisico e vocale degli attori. Evitare il magnifico se non favorisce la verità. (per un teatro povero, J. Grotowski, 1970 Bulzoni)

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onosciuto ai più come “ultimo maestro” teatrale vivente e come allievo di Grotowski, Barba ha avuto un ruolo determinante nella ricerca teatrale, nel 1964, a partire da un gruppo di attori rifiutati dalle scuole di teatro fonda e dirige l’Odin Teatret. Promuove il superamento dell’ovvietà e della prevedibilità di cui era vittima il teatro contemporaneo e lo fa attraverso la ricerca e l’allenamento. L’allenamento è un lavoro giornaliero che inizia con l’esercizio fisico obbligatorio di due ore ogni mattino per ritrovare la propria voce, il proprio corpo, il proprio centro. Non tanto un teatro, una forma, un’estetica, ma una vera e propria filosofia di vita che ha uno dei suoi possibili sbocchi nella forma artistica del teatro. 39


Gli allievi devono essere consapevoli della missione che vanno ad intraprendere e considerare un onore l’esperienza di partecipare a questa avventura teatrale, tanto da rendersi disponibili a finanziarla per proprio conto se necessario. Anche per Barba, come per gli altri maestri del Novecento, il training rappresenta l’elemento cardine intorno al quale ruota la sua concezione teatrale. Secondo il regista non è una tecnica che insegna a recitare, che rende gli attori bravi attori, non è neppure un insieme di movimenti ginnici stereotipati che preparano in modo meccanico alla creazione; il training è piuttosto un processo di autodefinizione personale che si manifesta attraverso delle reazioni fisiche, è l’attore e l’attrice in quanto uomo e donna con i loro bisogni interiori a dare significato al training e a superare la pura e semplice fisicità del movimento. All’inizio il training è collettivo: tutti eseguono i medesimi esercizi contemporaneamente e allo stesso modo. Poi, man mano che il lavoro procede, il regista si rende conto che ciascuno ha un ritmo particolare (mentale e fisico) diverso nei vari componenti del gruppo. Così il training diventa individuale e gli esercizi, pur rimanendo identici, cambiano di valore e di significato. L’attore si autodisciplina, cerca cioè di eseguire le esercitazioni nella maniera più consona alla propria persona e al proprio corpo. L’allenamento si basa su azioni elementari che stimolano la reazione del corpo degli attori e impegnano tutto il gruppo ad “aprirsi” reciprocamente con stima e spirito di collaborazione. Una particolarità dell’Odin consiste nel fatto che non ci siano maestri e pedagoghi, ma che gli allievi stessi elaborino il loro training, da eseguire con assiduità e costanza, pur seguendo le indicazioni

“Cosa farne del teatro? La mia risposta, se debbo tradurla in parole, è: un’isola galleggiante, un’isola di libertà. Derisoria, perché è un granello di sabbia nel vortice della storia e non cambia il mondo. Sacra, perché cambia noi.” - Eugenio Barba

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di Barba, il quale funge da guida per tutti: i più anziani mettono la loro esperienza a disposizione dei giovani, e li aiutano, dando loro consigli per superare le difficoltà: Se non faccio training per un giorno, solo la mia coscienza lo sa; se non lo faccio per tre giorni, solo i miei compagni lo notano; se non lo faccio per una settimana, tutti gli spettatori lo vedono. In fondo si tratta solo di un delicato gioco di energia. Ancor prima di recitare, l’attore, cioè, è chiamato alla mobilitazione di tutte le sue forze fisiche, psichiche e intellettuali. Questo impegno energetico avviene in modo invisibile a livello pre-espressivo, prima cioè dell’espressione compiuta, e diventa poi visibile nella fase espressiva che per l’attore è il momento della “rappresentazione”; fondamentale è l’aiuto di tutti i membri del gruppo. Barba ed il suo gruppo perseguono il loro cammino sganciati dalle strutture pubbliche e distanti da qualsiasi legge di mercato; essi cercano di superare i limiti sia fisici che psichici individuali, di costruire un nucleo di valori, cioè un’identità personale, in relazione alle proprie radici culturali, ad una tradizione in cui si riconoscono, e per questi motivi si confrontano con realtà diverse per lingua, ideologia, religione, modo di vita nel tentativo di ritrovare se stessi e la possibilità dello scambio proprio nella diversità. 41


egista teatrale e cinematografico, nato a Londra il 21 marzo 1925. L’attività di Brook, noto soprattutto come regista teatrale, rientra in quel contesto sperimentale delle neoavanguardie del secondo dopoguerra che ha oltrepassato le barriere fra le arti, praticando una interazione tra cinema, teatro e televisione. Dalla metà degli anni ’60 la ricerca teatrale di Peter Brook si fa ancora più radicale, aumenta il lavoro sul corpo, sulla voce e sull’improvvisazione; l’amicizia e gli scambi artistici con Jerzy Grotowski contribuiscono a rafforzare questa tendenza. 42


In Brook è radicata la convinzione che il teatro sia essenzialmente uno scambio vivo tra chi agisce e chi guarda; entrambe le parti partecipano ad un “coro telepatico” all’interno del quale si trasmette una forte energia creativa che circola e viene condivisa. Affinché tale congiunzione comunicativa possa verificarsi ogni volta ci sia un incontro tra un pubblico e un attore, quest’ultimo impara attraverso un training quotidiano ad interagire con se stesso, con i componenti del gruppo e con il pubblico che ha di fronte.

Questi tre livelli di interazione sono definiti dal maestro le ”tre fedeltà”: la fedeltà della concentrazione, sorgente profonda dell’ispirazione; la fedeltà al compagno in scena a cui bisogna adattarsi costantemente; la fedeltà allo spettatore, in rapporto al quale l’interprete deve essere aperto e disponibile. Tali affermazioni si avvicinano fortemente al concetto in cui può essere sintetizzata la concezione del teatro di Brook: l’arte come relazione, anzi come una rete di relazioni in movimento, viva, che si costituisce ogni volta che interagiscono tra loro le parti descritte in precedenza.

“Il Teatro per essere davvero pregnante deve mostrarsi un acido, una lente di ingrandimento, un riflettore o un luogo di confronto”. P. Brook

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L’attore che si forma con Brook è fondamentalmente un attore-narratore. Questo genere di recitazione ha cominciato a ispirare il regista fin dal suo viaggio in Africa, durante il quale ha potuto constatare come le culture africane e quelle orientali hanno da sempre praticato l’arte del narrare, piuttosto che possedere un vero e proprio teatro. Il regista inglese pensa a un attore che, mettendosi in relazione con il pubblico, è in grado di mantenersi a metà tra l’immedesimazione nella storia, nel personaggio e una totale estraneità.

Doctor Faustus Londra The Fighting Cock New York Le Balcon Parigi Oh les beaux jours Losanna Un Flauto Magico Milano Mahabharata Parigi

Alcuni degli spettacoli realizzati da Brook nelle varie città

5. pag. 37 Fondazione Pontedera, allestimento “Opere e Sentieri”. 6. pag. 41 Fondazione Pontedera prove e allestimento. 7. Peter Brook, I 5 sensi del teatro, Rai 1992. 8. pag. 46 Attore in “Laboratorium” 9. pag. 50 Living Theatre allo space, al centro Julian Back. 44


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ruppo teatrale d’avanguardia fondato a New York nel 1947 da Julian Beck, scenografo, pittore e poeta e dall’attrice e regista Judith Malina. Il Living Theatre si colloca inizialmente nel panorama dell’Off Broadway proponendo un innovativo repertorio di matrice europea novecentesca e collaborando con giovani autori americani. La sua ricerca s’indirizza verso un teatro mirato a provocare lo spettatore. Per questo viene eliminata ogni soluzione di continuità fra palcoscenico e platea. Durante l’esilio europeo della compagnia, “esilio” perché interdetti in America per un loro spettacolo contro la crudeltà nella carceri, è anche il momento in cui il Living Theatre pone le basi 48


programmatiche del proprio lavoro teatrale come il rifiuto della finzione del palcoscenico, l’eliminazione dei confini tra arte e vita e, di conseguenza, tra attori e pubblico. Il linguaggio scenico del gruppo si àncora soprattutto sugli aspetti gestuali e corporei, mettendo a frutto una rigorosa ricerca ginnico-acrobatica mirata alla creazione di effetti scenografici e volta al coinvolgimento fisico ed emotivo della platea. Negli anni Settanta il gruppo si concentra quasi esclusivamente sul teatro di strada creando spettacoli di fortissimo impatto, mettendo in scena senza recitare la vita ma “vivendola”, furono tra i primi a portare gli spettacoli in luoghi come: manicomi, carceri, ospedali. Dal 1970 al 1978 si aprono alla strada rinunciando agli spazi del teatro, si interrogano continuamente sul rapporto tra attore e spettatore rinnegando sempre, a ogni fase del loro lavoro, quello che avevano fatto precedentemente, realizzano improvvisazioni “programmate” ovvero studiano ogni possibilità che gli si può presentare davanti nel corso dello spettacolo. Nel 1969 il gruppo si scioglie, ma la rottura della compagnia non rappresenta la fine del suo teatro, bensì il suo vero inizio, i Beck ottengono il diritto di utilizzare il nome storico del gruppo da loro fondato, soggiornano a Parigi e attuano azioni di “teatro di guerriglia”, generando scompiglio e agitazione.

“Arte=Vita” ( Julian Beck)

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Capitolo_4.


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n attore o un’attrice interpretano una parte in uno spettacolo teatrale, cinematografico, televisivo. L’attore è uno degli elementi fondanti dello spettacolo. È l’opera d’arte viva. Al contempo soggetto e oggetto della creazione, nonché medium tra la creazione (di cui fa parte o di cui può essere esclusivo artefice) e il suo fruitore, l’attore instaura una particolare, triplice identità non facile da circoscrivere. Molti autori teatrali e cinematografici hanno provato a definire la “teorizzazione dell’attore”, cercando di inquadrare con una definizione questo ruolo. Il Living Theatre per esempio scrive: 56


Non recitare. Agisci. Non ricreare. Crea. Non imitare la vita. Vivi. Non scolpire immagini. Sii. Se non ti piace, cambialo. Con queste parole la compagnia voleva sottolineare l’importanza dell’attore e della performance dando enfasi a quelli che sono solitamente i problemi “quotidiani” che gli attori/creatori dovevano affrontare. Nel precedente capitolo si è parlato di approcci metodologici, citando alcuni tra i più grandi maestri che hanno formalizzato “scuole di pensiero”. I maestri sono ancora oggi fari-guida nell’agire e nell’essere di molte realtà teatrali indipendenti degli ultimi anni in Italia. Tra questi il regista e autore Andrea Ciommiento, insieme ai suoi collaboratori, all’interno del progetto permanente Interazione Scenica hanno provato a rigenerare la pratica scenica attraverso la proposta di un ciclo di laboratori di creazione chiamati EduScé LAB. Utilizzeremo ora alcuni “termini-chiave” per raccontare l’approccio metodologico esplorato tentando di dare un senso più profondo alle parole comunemente utilizzate.

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arte dello stare e del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta. In psicologia l’ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L'ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo che serve a comunicare e a tradurre in emozioni e nozioni i suoni che sente. Parte fondamentale per un attore è l’ascolto, eppure questa pratica viene di frequente trascurata. L’entusiasmo dell’attore prende il sopravvento, studia la parte, conosce l’espressione di ciò che interpreterà lanciando battute imparate a memoria, generando il “falso” intorno alla scena. Certamente lo spettatore è disposto, secondo la convenzione, al racconto di “finzioni” ma la sua soglia diffidenza si alzerà davanti a un “imbroglio” degli attori in scena che riproducono la vita abbozzando la vita stessa. Recitare la battuta è l’azione manifestata che rivela un attore e un’attrice in ascolto. L’attore in questa proposta laboratoriale si allena ad “ascoltare chi ascolta”, spettatori e compagni in scena. 59


ViSUALE

l campo visivo è composto da zone in cui si originano due tipi di visione, quella centrale quella e la periferica. La visione centrale percepisce un punto preciso, focalizza, mette a fuoco l’immagine con nitidezza, osservando colori e dettagli. La visione periferica, invece, rappresenta il resto del campo visivo; è la visione che permette di percepire ciò che sta intorno all’immagine fissata. Fa comprendere una visione più ampia al di fuori del dettaglio focalizzato. Se la visione centrale è allenata alla percezione dei particolari e dei colori; la periferica è legata alla retina e consente la visione in bianco e nero o con poca luce e permette di percepire la presenza, il movimento, o il colore degli oggetti al di fuori della linea diretta di visione. Colori e luce sono percepiti grazie a delle cellule presenti sulla retina, bastoncelli e coni, che si comportano da fotorecettori. Queste cellule sono concentrate al centro e si diradano gradualmente nelle zone periferiche. La diversa distribuzione dei coni e dei bastoncelli sull’intera retina spiega per quale motivo non è possibile vedere distintamente forme e colori al di fuori di un certo angolo, mentre è possibile osservare con sottigliezza ogni oggetto posto al centro del campo visivo. Nel teatro, la visione periferica è di fondamentale importanza. Allena il cervello e lo sensibilizza per catturare tutti i movimenti che gli capitano attorno. Aiuta l’attore a stare sul palco, a muoversi, a controllare la scena. Potrebbe sembrare di poco conto ma non è così, sapere in ogni momento dove si trova l’altro attore, cosa succede alle entrate delle quinte e contemporaneamente percepire quelle che sono le reazioni del pubblico non è un’impresa facile, richiede molta energia. Mantenere un così alto livello di concentrazione e consapevolezza per periodi prolungati nel tempo è certamente impegnativo oltre a controllare quello che gli capita intorno l’attore deve anche mantenere l’ascolto, dire le battute, credere in ciò che sta accadendo nella scena.

PERIFERICA 60


SCENOGRAFIA

ESSENZIALE

i fondamentale importanza nel teatro sono gli oggetti di scena, anche se in questa proposta metodologica si fa riferimento all’essenzialità del teatro shakespeariano e di conseguenza al teatro dallo “spazio vuoto” di Peter Brook. Si utilizzano pochissimi oggetti di scena e le scenografie in senso convenzionale sono inesistenti. Questa scelta genera delle conseguenze: si riducono i costi di produzione e si possono realizzare spettacoli anche in spazi non convenzionali. A questo punto ci rimane il potenziamento di quel legame e della qualità di relazione tra attore, spettatore e testo. Lo spettatore non è distratto dagli “effetti tecnici” e presta tutta la sua attenzione al soggetto sul palco.

61


improvvisazione 62

ell'improvvisazione teatrale gli attori non seguono un copione definito, ma inventano il testo seguendo codici e alfabeti interni allo schema improvvisato. Questa tecnica comporta un grado di interazione con il pubblico commisurato alla perizia tecnica degli attori in scena. Nell'arte della recitazione, le improvvisazioni costituiscono le varianti al copione non contenute nel testo. È nella reazione alla richiesta di controllo preventivo dei testi da mettere in scena, che si può situare il vortice originario della Commedia dell'Arte con la quale i comici italiani assunsero il primato in Europa. Fin da Aristofane, commediografo greco, abbiamo tracce di questa tecnica, al tempo legata principalmente alla commedia ed al teatro popolare. Nell’approccio metodologico di EduScé LAB si utilizza l’improvvisazione ad un livello più embrionale, come pretesto di creazione, si cerca di canalizzarla offrendo strumenti agli attori per “dire” e “agire” in ore di laboratorio da cui poi viene trascritto un testo di creazione collettiva e successivamente un testo drammaturgico definito dall’inizio alla fine senza menzionare più canovacci e improvvisazioni.

Saul Steinberg, la consapevolezza della linea


drammaturgia

l’arte dello “scrivere drammi“. Il termine drammaturgia deriva dalla parola drammaturgo che può essere di due tipi: commediografo o tragediografo. Seguendo il significato originario del termine, la parola drammaturgia ha assunto un significato più ampio, non limitandosi unicamente ad indicare l’atto dello scrivere per il teatro identificabile con un testo teatrale come prodotto, ma anche la serie di connessioni interne che esistono tra i diversi elementi che compongono lo spettacolo. Parlando di drammaturgia riferendoci al teatro, cercheremo in queste pagine di creare drammaturgia, creare testo, creare spettacolo e lo faremo attraverso il metodo EduScè, l’improvvisazione giocherà un ruolo fondamentale alla creazione della drammaturgia teatrale che questo approccio propone, attraverso laboratorio di improvvisazione l’autore coglierà quelli che sono i suoi imput e li tradurrà in testo, partendo sempre da quello che gli attori e le attrici hanno proposto nel laboratorio. 63


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Capitolo_5.


66

12.


duScé LAB è un laboratorio pratico di educazione alla scena, creazione scenica e creazione drammaturgica. Un percorso esperienziale (metodologia di tipo attivo) per esprimere scenicamente il tratto identitario di un attore e di un’attrice. È inoltre una proposta teatrale che invita a prendersi cura della relazione scenica (modellamento paritetico) attraverso l’esperienza dell’ascolto, del gioco e della creazione collettiva partendo dall’azione pratica. EduScé LAB è un termine coniato che porta due anime; una educativa e l’altra scenica. Questo laboratorio ha come fine quello di comunicare maggiormente agli attori un approccio metodologico ovvero una consapevolezza maggiore di “apertura” attraverso l’ampliamento del proprio sguardo e del proprio ascolto. Vuole ribaltare in qualche modo quello che è il modello già dato, ricercando “antimodelli” laboratoriali all’interno del contesto culturale presente in Italia e che in genere si frammenta in “tribù artistiche” in cui si presenta l’immagine deviata di un maestro e del suo metodo rimanendo ancorati a quello che è la forma già chiusa e non aderente ai tempi che cambiano. Questo approccio autoreferenziale genera rare contaminazioni fino alla creazione di piccole famiglie che provengono da quell’ambiente univoco. In EduScé gli attori non devono aderire a un metodo, né tantomeno appartenere a un unico ambiente accademico, indipendente, sperimentale o di tradizione. Il valore aggiunto è la “contaminazione” per cui un attore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” (Roma) incontra il performer autodidatta o nel migliore dei casi partecipanti senza alcuna formazione perché ancora giovanissimi. Oggi in Italia c’è un momento interessante dove tutti i presupposti della recitazione e i dogmi delle tradizioni passate sono crollati. Rimangono soltanto le nuove poetiche dove il tratto scenico e drammaturgico costruiscono la pluralità artistica ovvero la propria “micropoetica”. In altre parole per sopravvivere oggi nella scena teatrale è necessario coltivare un pezzo di terra irripetibile, singolare e proprio. EduScé allena l’attore e i gruppi artistici a questo tipo di approccio. Allena alla presenza scenica attraverso la consapevolezza e l’autonoma dell’attore non visto come marionetta nelle mani della mente di un regista ma libero da paradigmi. 67


Azione; dove gli attori sono invitati - attraverso esercizi fisici e funzionali – ad allenare un “respiro comune” e il “costruire insieme perdendo le false inibizioni nell’incontro con l’altro. Raggiunto questo livello di consapevolezza e affinità elettiva, si potrà procedere nell’improvvisazione e nella creazione collettiva. Gioco teatrale; vengono proposte agli attori strutture teatrali in cui improvvisare attraverso la dimensione ludica al fine di contribuire all’abbassamento delle difese e della diffidenza nei confronti di chi ancora non si conosce come compagno e compagna in scena. Inizia così una fase laboratoriale di alcune ore in cui l’improvvisazione è al centro che, attraverso gli imput dati, potrà portare a frammenti di storie scritte simultaneamente dai conduttori in sala, o anche a dialoghi definiti che determinano il materiale della creazione collettiva. Questa è una fase interessante in cui tutti devono dare un contributo sincero e incisivo nella relazione con il gruppo. Liberato e canalizzato il tratto creativo di ogni attore si potrà iniziare a dare tematiche da approfondire nella creazione di storie per la scena.

13.

Creazione scenica e creazione drammaturgica, questa è la fase ultima che si potrà attivare solo con l’assimilazione delle prime due fasi. L’ultimo livello di azione è l’anello tra la proposta laboratoriale EduScé e la creazione di spettacoli al di fuori del progetto laboratoriale. Nell’approccio tradizionale la drammaturgia nasce a “tavolino” dalla mente dell’autore che prefigura ambientazioni, temi, personaggi, sviluppi e tesi. Qui la figura di una mente esterna, regista e autore, si relaziona all’attore avviando un processo di creazione di personaggi che si adatta all’interprete, senza cedere alla personalità di quest’ultimo ma piuttosto avviando uno sviluppo tra tematiche da esplorare e relazioni tra i personaggi aderenti al gruppo con cui si lavora.

68


Questa pratica di relazione con l’attore viene definitiva nei paesi anglosassoni “devised theatre” in cui l’attore è creatore insieme al regista della propria partitura scenica, e che vede tra i maggiori esponenti il regista Peter Brook (già approfondito nelle pagine precedenti) e in Italia il regista Gabriele Vacis con l’esperienza del Laboratorio Teatro Settimo e la storica collaborazione con professionisti come Marco Paolini, Laura Curino, Eugenio Allegri, Lella Costa, Emma Dante, Serena Sinigaglia. Con EduScé LAB scopriamo come creare drammaturgia partendo dalla creazione in scena, utilizzando gli imput dati durante l’improvvisazione e determinando aspetti emersi durante le ore di laboratorio/prove che in seguito sarà il materiale al servizio di uno spettacolo da costruire. Prenderemo successivamente a esempio due spettacoli scritti e diretti da Andrea Ciommiento, “Nell’oceano il mondo” e “Senza stelle” nati da questo approccio metodologico.

14. 69


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15.

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Capitolo_6.


16.

zione! Parola utilizzata nel cinema subito dopo il ciak, in questo volume, però, con la parola “azione” intendiamo il movimento dell’attore in scena.

10. pag. 56 Eduscé Potenza, visuale di scorcio. 11. pag. 57 Eduscé Potenza, discussioni sul tema. 12. pag. 66 Eduscé Roma, Affiatamento e movimento. 13. pag. 68 Teatro dell’Orologio Roma, poltrone. 14. pag. 69 Tavolo e sedia, scenografia base per improvvisazioni. 15. pag. 71 Eduscé Roma, attori in movimento. 16. Eduscé Roma, scelta del capocoro e affiatamento. 17. Eduscé Roma, attori in movimento sul palco. 74

Per riuscire a liberare ogni tipo di inibizione e creare quello che possiamo definire l’ “habitat necessario” per le improvvisazioni e i diversi imput creativi, necessitiamo di una condizione imprescindibile: la sincerità e la piena disponibilità della situazione proposta agli interpreti.

per volta si dovrà decidere di attraversare il cerchio raggiungendo una delle altre persone del gruppo e pronunciando il proprio nome in relazione alla persona scelta. Quest’ultima lascerà il suo posto al nuovo arrivato e attraverserà nuovamente la scena facendo lo stesso: sceglie una persona da cui andare e dedica il proprio sguardo diretto al suo obiettivo centrale prendendo il nuovo posto e, così in avanti si risveglia l’ascolto e la relazione.

Sintonizzati in uno “sguardo comune” e “visione d’insieme”, l’esercizio si inverte pronunciando il nome della persona da cui si va e non più il proprio evidenziando nel tempo dell’esercizio e nel setting predisposto le affinità Si inizia disposti in cerchio, e possibili tra i partecipanti e le ci si apre allo sguardo diretto e loro possibili interazioni durante periferico della situazione, uno quello che sarà il laboratorio.


17.

75


18. 76

Questo esercizio porta a naturali evoluzioni senza sospendere con pause il contesto creato. Il conduttore esterno sceglie un capocoro che avrà il ruolo di condurre il gruppo liberando il setting iniziale del cerchio e disponendo di tutte le possibilità dello spazio scenico. Chiudere il cerchio, allargarlo, trasformare il coro in una linea unica. Successivamente ognuno potrà divenire capocoro senza le indicazioni del conduttore, facendo “proposte” che vengano accettate e comprese dal coro ovvero il gruppo.

scena suggerendo le possibili direttive a seconda di quale situazione vorrebbe coltivare, inserendo in un determinato momento altri imput per sempio: “da adesso in poi ci saranno due capocoro interni al gruppi e due cori”. Questo implicherà due gruppi sul palco, quelli che hanno deciso di “accettare” il Capocoro 1 e quelli che invece saranno condotti dal Capocoro 2, non c’è limite a queste variazioni, da qui si possono evincere già dei movimenti di scena “spendibili” e situazioni che potranno essere approfondite nelle improvvisazioni future.

Si possono creare così situazioni che possono essere ancora più articolate, il regista/conduttore controlla quello che accade in

L’intento è quello di “allontanare” gli attori da stereotipi e pregiudizi mettendoli tutti su uno stesso piano. Ogni proposta deve


19.

essere “chiara” cioè l’interprete deve proporre azioni e variazioni in maniera decisa e chiara agli altri, senza allarmismi, nella direzione della continuità dell’azione e dell’organicità.

L’evoluzione di questo esercizio vede la presenza di un piccolo oggetto, una pallina da tennis, che rivela concretamente se è attiva lo sguardo diretto e periferico in ogni partecipante. Questo aggiunge maggiore imprevedibi-

lità alla situazione potenziando ancor di più i riflessi reattivi. L’esercizio diviene sempre più articolato inserendo, su indicazione del regista, una persona al centro del cerchio che di volta in volta lancerà la pallina agli altri, in cerchio iniziale o in forme libere. La pallina dovrà essere presa e rilanciata alla persona al centro, proseguendo gli attraversamenti iniziali e la conduzione capocoro/coro. Si potrebbe ad esempio venire a creare questa situazione: tutti in cerchio che battono le 18. e 19. Eduscé Roma, attori che mani a ritmo di due e poi fanno seguono il capocoro. 77


20.

un salto mentre una persona al centro lancia una pallina e l’altra attraversa. Imput che generano una reazione di linee simultanee composte dalle azioni degli attori e delle attrici. Da fuori la parte difficoltosa per chi osserva è quella di comprendere cosa sta accadendo all’interno del gruppo perché lo sguardo e la presenza dei partecipanti è intensa; per chi invece si trova all’interno del gruppo è ora tutto chiaro, quella della comprensione degli intenti dell’altro e della fiducia che ripone nel seguirlo, 78

si possono creare situazioni interessanti che possono portare anche a risvolti narrativi, inoltre si posso aggiungere altri elementi come “materiale scenico” su cui lavorare e che può dare ulteriori stimoli creativi agli interpreti, per esempio un tavolo, una sedia, o anche un’altra pallina colorata, magari dando nuove regole, nuove convenzioni comuni. Supponiamo per esempio che ci siano due palline, una colorata da lanciare alla persona al centro del cerchio e una gialla che va lanciata tra gli altri attori in cerchio,


21.

ovviamente proseguendo con tutti gli imput precedenti. Per entrare nell’ottica e nel “clima” c’è bisogno di ripetere questi esercizi per ore in modo che vengano assimilati dagli esecutori. Un vero allenamento alla presenza in ascolto e in azione.

Un altro degli esercizi che può essere fatto in questo modo è quello della caduta: un attore, mentre tutti gli altri fanno delle “proposte” di reazione (attraversamenti, capocoro/coro, palline)

cade all’indietro con “consapevolezza” e non come peso morto. Ogni partecipante può provare la caduta e dovrà essere preso dal gruppo non per forza collettivamente ma in base a ciò che serve realmente in quell’istante. A questo punto tutti potranno fare variazioni e proposte con quest’ultimo imput dedicato alle cadute in laboratorio. Allenare a tutto ciò non è una facile soluzione aiuta a rendersi autonomi come attori. Si utilizzano questi imput ma le variabili 20. e 21. Eduscé Roma, attenzione potranno essere infinite. La re- massima dell’attore. 79


22.

gola fondamentale è creare delle strutture comunemente accettate, assimilarle collettivamente e partire da una base di esperienza e linguaggio comune con poche regole da ampliare nel tempo.

Un altro esempio di esercizio comprende la presenza di oggetti e materiali per ampliare la scena. Possono essere presenti sul palco sedie, tavoli, altri oggetti che determinano gli spazi. Chi si siede, ad esempio, può cadere con lo stesso obiettivo 80

delle “cadute” in piedi. Allo stop del regista tutti rimangono immobili e dovranno ricordare chi hanno intorno. Le posizioni e i nomi di ognuno accanto ma soprattutto dietro a sé. Il conduttore da fuori chiede a uno dei partecipanti chi c’è dietro (in gruppi sopra le sei persone l’incisività è maggiore) e se non sanno la risposta vengono allontanati dallo spazio scenico finché non ne restano due o tre. Non ci sono altre regole oltre a quelle proposte dall’inizio e in questa occasione sfruttabili.


23.

te passando per la pratica registica di Peter Brook e arrivando al drammaturgo e pedagogo spagnolo José Sanchis Sinisterra che ne fa una vera e propria teoria di creazione con il suo “teatro della frammentazione”.

Come presentato nel paragrafo precedente le strutture e gli imput proposti sono di fondamentale importanza per tutta la parte dedicata alla presenza e all’azione. Da questo momento in poi si potrà passare alla parola e al Le indicazioni per creare racconto di storie con lo stes- racconto in scena attraverso so taglio metodologico. l’improvvisazione riguardano la presenza di due attori, due Sono codici interni all’im- sedie e un tavolino. Uno dei provvisazione che trovano i due dovrà parlare partendo suoi primi segni nei canovac- da un proprio ricordo au- 22. e 23. Eduscé Roma, esercizi e ci della Commedia dell’Ar- tentico raccontandolo con la “giochi teatrali”. 81


seconda persona singolare. Non per forza vissuto realmente ma comunque dettagliato e autentico. Questo impedisce il “raccontarsi” e aiutare a proiettare fuori da sé. Non c’è bisogno di altro (es. Tu hai cambiato casa molte volte).

24.

24. Eduscé Roma, creare Racconto.

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L’altro dovrà ascoltare seduto vicino al tavolino con la possibilità di utilizzo di quattro imput che veicolino il racconto del compagno o della compagna in scena: Un battito – inteso come pugno sul tavolo con la mano - si indica una ripetizione della frase o della parola appena pronunciata

(es. Tu hai cambiato casa molte volte – un battito – Molte volte – un battito – Sì, molte volte. Tu hai cambiato casa molte volte). Due battiti indicano il ribaltamento della frase appena pronunciata (es. Tu hai cambiato casa molte volte – due battiti – No. In effetti no. Hai cambiato casa solo due volte, ma per te è stato così faticoso da sembrarne infinite - un battito - infinite). Silenzio scenico. L’attore si alza in piedi, senza guardare chi sta parlando si presuppone il silenzio scenico. Dialogo. Se l’attore si alza in piedi e guarda chi è in piedi potrà avere parola.


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25. L’attore cade e gli altri devono prenderlo mentre fanno e “accettano� proposte.


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e sessioni di laboratorio sono intense e possono durare ore senza pausa al fine di mantenere la concentrazione raggiunta; riescono a far intravedere l’attore in una relazione vera. Tutte le improvvisazioni partendo da ricordi autentici vengono trascritte su taccuini o computer e da ciò si ricava e si canalizza il lavoro verso tematiche da approfondire. È estremamente interessante notare come si entra subito nella dimensione del “teatro” creandosi così un interesse verso il fatto che si sta raccontando e che in fin dei conti non è conosciuto nemmeno dagli interpreti fino in fondo. Così si creano personaggi, luoghi, ampiezze e l’osservatore sarà testimone di qualcosa che solo in un secondo momento diventerà testo drammaturgico. Si crea una dimensione di spettacolo in cui il regista nel caso l’improvvisazione ristagni o sia poco interessante per gli argomenti proposti – decide cosa esplorare, dando nuovi imput, tracce musicali che evocano atmosfere, informazioni sulla durata della scena per terminare la sessione. Successivamente a questa fase il regista rielabora tutto quello che è stato trascritto e redige un testo di creazione collettiva che non è il vero e proprio testo definitivo. Questo approccio nasce dal laboratorio per divenire poi creazione scenica, generare un testo di creazione collettiva e solo all’ultimo un testo drammaturgico scritto dal creatore/regista dello spettacolo che si vuole realizzare. Si arriva al testo drammaturgico con un lavoro generato dalla mente dell’autore ma condizionato dall’esperienza vissuta in prova con gli attori e dalle loro storie e relazioni vissute. Un percorso inverso in cui si intensificano le possibili storie da sviluppare mettendo a fuoco solo le più interessanti. Così scopriamo un nuovo approccio per la scrittura di drammaturgie originali nate da un lavoro pratico di gruppo in stretta alleanza tra attori e regista nella creazione di una partitura scenica condivisa in tutti i suoi processi. 87


Sei tornato in treno da

P rigi

Sì, da Parigi. Eri piccolo. E stavi cambiando paese un’altra volta con tutta la tua famiglia.

la notte.

In realtà non stavi cambiando paese con tutta la tua famiglia, ma solo con tua madre. Perché per te quella era tutta la tua famiglia.

sì.

g

rché mi e P u

88

c

Per te quella era tutta la tua famiglia. Tu e tua madre.

a rdi

osì?


Os ses sio ne!

I SĂŹ n t n c o e l, i n r e n pe n v t o r i ag re ? do po o n rmst ne o ir i e.

Era diventata una tua

vagone E rni ntel coa v i utao rmnaadnrdeoe st P a r ig i in t r en o . da

Pe r do rm ir e! 89


A un certo punto una grande fre-na-

ta.

NON

Non proprio grande, ma eri piccolo e ti era sembrata una frenata violenta.

nque forte.

mu proprio violenta, ma co

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Una frenata cosĂŹ forte che hai sbattuto la faccia sul finestrino.

Non proprio la faccia ma la spalla. 91


(si alza e dice:)

La spalla.

SĂŹ.

No

Tipo?

(e si siede)

SĂŹ,

con la frenata la spalla ha sbattuto sul finestrino.

SĂŹ.

Sul finestrino.

92

sen


Un minuto! (si alza e dice:)

Sul finestrino?

S N No o ĂŹ

to vu ia ha a? E ur pa

SĂŹ, fi a av ne ll ut ho a op au r

a

(e si siede)

(tempo dato dal regista indicativo che avverte gli attori di iniziare a pensare ad una conclusione)

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Un’ossessione. SI, hai capito bene: OSSESSIONE!

Ossessionato ero ossessionato.

Sei riuscito a dormire altre notti, quella notte lì sul treno non hai più dormito fino all’arrivo in Italia

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È successo tanto tempo fa? È successo tanto tempo fa?

mpo e t o t

fa?

Tan

Forse non è proprio successo?

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98


99


Non è successo. Lo hai raccontato solo perchÊ ti piace inventare storie per il cinema.

Non solo per il cinema. Ti piace inventare anche storie nella vita.

on ti n a ce realt Ă inventa re

pi

la vita, s nel

h e non r i e s

fa r

100

rie sto

ci a

ne a

olo c

in

. o men


sĂŹ, riesci non prio pro rne a meno a fa Lo fai in continuazione. Ăˆ una filosofia di vita.

propriiloosofia una f a. di vit iesci Non re a meno. a far ti storie Invenutti. con t quando Fin dambino. eri ba

b a m bino. 101


re p o m d e n s quiano hai a d n Fi i bambre erembini. d n r e a e vent r pr ri ba in orie peli alt utto st giro g no a t evi. in edeva he dic Cr ello c qu An

che i tu

oi genit

No.

Solo tua madre. tuo padre non ti ascoltava mai.

102

ori?


tuo padre non ti ascoltava

mai.

103


Mai. Non ti ascoltava mai Fin da

quando

eri bambino hai sempre fatto cosĂŹ con tutti

ma non con lui

104


uesto è un esempio di improvvisazione dove due attori, attenendosi soltanto alle convenzioni base danno vita ad un piccolo laboratorio che viene ripreso e esaminato dal regista che, a sua volta, ricrea una lista di argomenti venuti fuori da sviscerare, possono essere i più disparati. Qui torniamo a parlare di imput, quali imput hanno colpito l’autore e quali no? Prendiamo per esempio che il regista abbia notato quando si è parlato di inventare storie, fin da bambino l’attore B inventa storie, questo potrebbe essere elemento di scrittura. Possiamo supporre allora che in una fase successiva di laboratorio tra le convenzioni iniziali verrà aggiunta la regola di partire da un ricordo legato alle storie o ai cantastorie, questa è solo un’ipotesi, l’autore avrebbe anche potuto scegliere qualche altro spunto come il treno o il rapporto tra l’uomo e il padre. Nella prossima fase di laboratorio gli attori interagiranno a vicenda, tutti e due in piedi, restano però le vecchie regole, quindi se uno di loro ad un certo punto decide di bussare da qualche parte per due volte l’altro dovrà invertire il senso e così via.

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Eri a casa mia, ricordi? Ti avevo invitato giĂ dal giorno prima. No che non ricordo, non mi avevi invitato,

mi hai chiamato, era tutto a posto

No, forse no.

Non

era tutto a posto, per questo mi avevi chiamato, volevi che ti dessi una mano.

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Forse

non ricordi bene, non era che volessi una mano io, è che ne avevo assoluto bisogno

se

Ma ivi ti senitmo! beniss

Ttuavi s ale m

NO

giust o, sta vi ma

le.

vedi

non ho intenzione di mettermi a discriminare su chi stava male o meno è che sei sempre stato cosÏ.

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n o n e h c i Ved ? e n e b i a t s a t s e t a l l e N . i Non ti sentiv m e l i bene, b o sentivi di no hai pr n poter riuscire a re stare li dentro pe r pi첫 di due minuti, eri ancora a ttiva

NO,

itata. a e ag do c n a t s di ra nca, eri sta ne che estire io z a u g it as cita a Era un eri rius ragmatica, he iera p in man tutti i costi c e a ialista volevi o spec n u e s desso? s ti vede mato me, e a i qua! m hai chia desso ecco A

110


Ecc om

qua i ! Ho detto: Eccomi qua! Sono qua per te, dimmi cosa è successo.

Sei sicuro che debba dire

e non il contrario?

Certo che ne sono sicuro… Beh ripensandoci bene forse non ne sono sicuro, forse si, devo dirti qualcosa.

io a te cosa è successo

111


iarti ngue? iti. a r d s sied Vuoia chaise lo , o d o sull ttiti com Me eglio m è i c o d n a Ripens in piedi. che staii dirmi che succede? Ma vuo ricordo be In realtà non che succene, secondo te de? Sei sic ura che sia io confessar a doverti e qualcos a?

Si!

in

o, N . no ti

t fe

ef

Vorresti spiegarmi perché io dovrei ascoltarti quando tu continui ad alzare un muro in questa conversazione 112


113


114


115


Che f

ai? N o

Quindi n

n risp

ondi

piĂš a

de

sso? on volev i rispond ere e con con la tu tinuavi a i d ea di cam con la tu biare tut a decisio to, ne di lasc iar perde re.

ecisoe sono d o ndo H NO! sarĂ cosĂŹ ricordi qua che movibile, ato, to irre ai chiam arei arriveatu mi h etto che sizione ch ho d to a cond continui qui pressi meglio,uoi sprolo stes ce con i t do n e e v c in di o l o sti o sv e a t s Ti e do rciaretue ch ominre le ric ende ne pr edici m

116


Te no

n sai

di co sa ho bisog io ti solo no h perc hĂŠ av o chiama , evo b to i s o uscir che mi f gno e da a qui, t cessi i preg o

e r i c s arò u

f i t , k o

No invec non sei ne, mentali elle condizion i uscire, mdi poter i dispiac e

117


Mi lascerai qui dentro quindi, a fare cosa? Con chi potrò parlare una volta che tu sarai andato via?

Come?

Non lo so ma adesso devo andare, mi è arrivata una nuova chiamata! Alla prossima

seduta!

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n questo secondo esempio possiamo già notare un’evoluzione nel racconto. Assistendo dal vivo a questa fase ci si rende subito conto che a differenza dell’altra si entra molto di più nelle “scene”. Nell’altro esempio si raccontavano fatti, in questo invece si “vivono”, l’immediatezza della “scena” obbliga l’attore ad avere continuamente un’attenzione massima, ad utilizzare la visuale periferica per controllare l’ambiente circostante, lo rende permeabile a tutti gli impulsi, come quelli musicali o di tempo dati dal regista, e a prevedere le azioni e i gesti degli altri attori in scena, così da avere l’empatia necessaria ad avere come risultato una messa in scena sempre fluida e “veritiera”. Il mezzo grafico nella messa in pagina è quello di utilizzare due caratteri tipografici differenti a seconda del personaggio; si è scelto di usare caratteri che in qualche modo rispecchino il carattere dell’attore per rendere riconoscibile quello che dice. A questa fase ne segue un’altra di “rielaborazione autoriale”, da parte del regista, che sceglie i caratteri da mettere in evidenza nei laboratori successivi che andranno via via costruendo lo spettacolo finale che avrà un testo al massimo di venticinque cartelle.

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Capitolo_7.



Interprete: Enoch Marrella Drammaturgia e regia: Andrea Ciommiento Prima presentazione: Casa dei teatri e della drammaturgia contemporanea, progetto finalista Premio Tuttoteatro.com Dante Cappelletti. Villa Torlonia - Roma (2013) 123


austo è il protagonista di un viaggio oltreoceano. Dialoga con i vizi che lo abitano e si diverte, sedotto dalle persone e dalle fantasie di un intero continente: abitudini alimentari e spirituali, college party e scoperte web offerti dagli USA fino a rivelare un’ossessione che il giovane italiano nasconde tra i versi di Dante e l’Inferno insegnato a scuola.

26. pag. 125 Il regista Andrea Ciommiento e l’attore Enoch Marrella. 27. pag. 126 Enoch Marrella impegnato in una intervista. 28. pag. 127 Scena di “Nell’Oceano il Mondo” 29. 129 Nell’Ocano il Mondo a Parigi 124


26.

o spettacolo, interpretato da Enoch Marrella per la drammaturgia e regia di Andrea Ciommiento, racconta del suo bizzarro viaggio nella cultura americana e affronta i nostri anni attraverso la voce e il punto di vista delle nuove generazioni travolte da internet come in un oceano senza confini. Lo stand up drama traghetta in “un immaginario carico di codici riconoscibili e di urgenze oggi non più trascurabili” scrive SuccedeOggi di Nicola Fano, “Fausto è innanzitutto un navigatore della Rete, un marinaio del mondo illimitato di Internet e dei social network, un viaggiatore contemporaneo consumato dalle illusioni digitali di una realtà

mai e poi mai tale. Persino le sue infatuazioni amorose e i suoi sogni erotici posseggono la vacua ambiguità dell’inganno mediatico. E se alla fine Fausto vincerà, sarà solo grazie alla poesia, alla letteratura, alla concretezza di una parola che non confonderà l’Inferno (dantesco e non solo) con quello virtuale”. Un allestimento in cui l’attore in scena “conquista la parte necessaria a tenere l’attenzione del pubblico usando il corpo in maniera composita, attenta, precisa” (Teatro e Critica). Il progetto ha attraversato le principali città italiane ed europee tra cui Roma, Milano, Torino, Bologna, Venezia, Parigi, ricevendo inoltre dall’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles la credenzialità di

“lavoro asciutto ed efficace in cui si presenta l’effetto disorientante dello spazio virtuale di internet su una personalità in formazione, mentre un eco della più grande tradizione letteraria italiana affiora in questo clima di stretta contemporaneità”. “L’allestimento nasce dal desiderio di un controcanto costruttivo sulle nuove devianze che stanno cambiando il nostro vivere quotidiano”, racconta Andrea Ciommiento, “proprio per questo affrontiamo attraverso un registro parodico di senso tematiche calde, tra tutti la sovraesposizione d’immagini che il web propone costruendo un’altra realtà in un luogo virtuale (“oceano”) senza confini.” 125


27.

l mio incontro con Andrea Ciommiento avviene per la prima volta nel 2012 all’interno del Teatro Valle Occupato di Roma, nell’anno gestito dal basso per la prima volta grazie a un gruppo di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo ogni mese era prevista una residenza artistica in cui venivano ospitati maestri della scena italiana ed estera e nella residenza “Schiera” curata dal regista torinese Gabrie126

le Vacis, ho conosciuto anche laboratorio di creazione e Andrea, assistente e curatore non di formazione dove il di quella permanenza. principale conduttore era lui insieme alla co-conduzione Da quel momento in poi di Gabriele Capilli (attore iniziamo un confronto felice e danzatore) e ai Maniaci sui nostri mondi e sui nostri d’Amore (attori e autori). Da desideri fino all’invito che Roma parto per Milano e Andrea mi fa a partecipare a scopro che EduScé era proEduScé LAB. Un nome che prio quello di cui avevo bisonon avevo mai sentito prima gno e che cercavo da anni. proprio perché inventato da La cosa interessante era che lui stesso e che avrebbe tro- Andrea non si poneva come vato la sua prima ospitalità maestro o insegnante (consialle Officine Creative An- derata anche la sua età sotto saldo di Milano. Tre giorni i trent’anni), non si creavain cui avremmo vissuto un no equivoci sul ruolo o altri


meccanismi perversi tipici del mondo teatrale. Ho avuto subito la sensazione che ci fosse un atteggiamento nuovo, una rigenerazione nel vero senso della parola. Era presente un gruppo eterogeneo di una ventina di partecipanti, alcuni diplomati in accademie riconosciute come la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano o Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” di Roma, come nel mio caso, altri ancora da percorsi autodidattici e da ambienti indipendenti.

Al termine del laboratorio Andrea mi propone di lavorare a un monologo su alcune tematiche centrali: i vizi contemporanei e l’uso quotidiano che facciamo del web. Non me lo aspettavo, l’idea era allettante ma non avevo mai preso in considerazione la costruzione di un monologo soprattutto con questo nuovo approccio. Allora decido, ancora prima di iniziare le sessioni di prova sullo spettacolo, di comprendere ancor di più l’approccio

EduScé seguendo altre due tappe, quella di Torino e l’altra di Udine scoprendo un numero ancora più elevato di partecipanti, arrivando quasi a venticinque-trenta in ognuna delle città. Un vero e proprio vivaio artistico composto da persone di tutte le età ed esperienze. Ancora una volta mi ricarico pronto per la creazione del nostro monologo. È l’estate del 2013. Iniziamo a ritagliarci alcuni spazi in Friuli, ospiti di Arci Udine, come primo tempo di creazione specifica per la scrittura del

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monologo per poi proseguire nelle Marche ospiti del Centro Giovani del Comune di L’esercizio che Andrea mi proSan Benedetto del Tronto. pone è quello che lui chiama “stanze della memoria”. Si Ancora altre residenze a To- suddivide lo spazio in tre e rino e a Verona fino alla pre- quello che cambia in ognuna sentazione del nostro primo è il punto di vista in prima, studio grazie alle selezione tra seconda e terza persona. Si i progetti finalisti del Premio parte sempre da un ricordo Giovani Realtà (Udine) e del autentico a cui non bisogna Premio Tuttoteatro.com Dan- però far troppa fede. Possono te Cappelletti (Roma). essere autentici anche ricordi Da qui in poi il debutto e le non nostri e possiamo decirepliche in teatri, spazi per- dere di modificarli a patto che formativi, festival e rassegne nessuno se ne accorga. Inizio nelle principali città italiane a raccontare e Andrea da fuori dal nord al sud, tra cui Milano, può scegliere la stanza in cui Torino, Roma, Bologna, Ve- farmi transitare e di fatto può nezia, e anche all’estero in città scegliere il punto di vista con come Parigi e Bruxelles. cui racconto la storia proposta.

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Tutto il materiale che esce a un certo punto va a convergere in una mia reale esperienza di vita, che è stata quella di exchange student per un anno negli Stati Uniti a sedici anni. Si delineano quindi i filoni che vanno a costruire il monologo. Indaghiamo poi la tematica del web, perché lui arriva negli Stati Uniti non in un momento qualsiasi, ma in un’epoca storicizzata in cui esplode internet, le prime mail e le prime chat proprio in quell’anno. Un altro tema è l’attraversamento del personaggio da due vizi capitali: la gola e la lussuria cioè il cibo e il sesso legati tra di loro da sempre.


29. 129



Interpreti: Fatima Corinna Bernardi, Lara Brucci, Enoch Marrella, Daniele Parisi, Anna Elena Pepe, Dario Eros Tacconelli Drammaturgia e regia: Andrea Ciommiento Assistente alla regia: Daria Di Lernia Ascolto e visione: Laurent Trezegnies Prima presentazione: Teatro dei Conciatori, Roma (2014) 131


ue fratelli si rincontrano dopo anni a causa della morte di un padre conosciuto pubblicamente e politicamente da tutti. Insieme a loro il rituale del ritorno si estenderà alle persone più vicine. Un’occasione per osservare chi a distanza di tempo avrà tradito o mantenuto i propri sogni di giovinezza.

30. Il cast di “Senza Stelle” al completo. 31. pag. 134 Attrice Fatima Bernardi. 32 pag. 135 Attore Dario Tacconelli. 33. pag. 136 Daio Tacconelli in un scena di Senza Stelle, Teatro dei Conciatori, Roma 2014. 34. pag. 137 Scena di Senza Stelle, Teatro dei Conciatori, Roma 2014. 132


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enza stelle è la storia di sei sognatori. Tre ragazze e tre ragazzi che non dormono mai. Vivono la notte per non morire dei propri sogni immaginando una vita da un’altra parte senza storia già scritta. Oggi le città hanno paura della notte tanto da illuminarla a giorno. Se le luci artificiali sono impegnate a coprire le stelle e la realtà, i sognatori continuano a resistere coltivando il pezzo di terra che sono venuti a raccontare con la propria vita. Di contro alle città i sei protagonisti abi-

teranno queste notti cercando una rivoluzione dello sguardo. Daniele Parisi, Anna Elena Un rovesciamento nel modo Pepe, Dario Eros Tacconelli. Il lavoro inizia benissimo, con di guardare al mondo. una cifra stralunata, sospesa, “Senza Stelle” è uno spetta- di una bidimensionalità degna colo sul desiderio e sulla lotta delle migliori graphic novel. instancabile tra chi siamo e chi I personaggi si intuiscono, si mescolano, si scambiano nella vorremmo essere. Raccontato così dal critico pressochè totale immobilità Andrea Porcheddu sulla rivi- degli attori. Si aprono squarci di vite (tardo adolescenziali) sta Linkiesta: alle prese con esami e calcio, “È il caso di Senza Stelle, con fughe rivoluzionarie e scritto e diretto da Andrea blande aspirazioni di sopravCiommiento, e interpretato vivenza umana. E sono bravi da un valido gruppo di atto- gli attori a tenere questo ritmo ri: Fatima Corinna Bernardi, sospeso, questo vagare in un Lara Brucci, Enoch Marrella, nulla cosmico e sentimentale”. 133


avorare con questo approccio è stata una scoperta. Ho lavorato anche con altri registi e compagnie teatrali ma non sono mai riuscita a sentirmi a mio agio in ciò che facevo. È frequente negli ambienti teatrali farsi incastrare in ruoli pensati da registi abitando scene che non ti appartengono fino in fondo. L’approccio di Andrea ribalta questo senso di disagio perché lavora sulla consapevolezza e conoscenza dell’attore e sulla sua intimità ma senza cedere a esistenzialismi. Per me tutto questo è formativo.

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31.

L’approccio alle prove di “Senza stelle” è stato totalmente diverso rispetto alla maggior parte del teatro che vivo e che vedo. Non abbiamo iniziato da un testo ma dalla relazione e dalle affinità tra gli attori, dal rapporto scenico tra noi che abbiamo scelto di lavorare con lui. Andrea sviluppa la pratica di ascolto e quello che ho imparato da lui è stato il “saper ricevere” in scena invece che “dare” e “aggiungere” qualcosa alla scena, mi ha insegnato a riceverla, a saper essere

“un’attrice silenziosa” eppure Durante le improvvisazioni presente in relazione agli altri. Andrea scrive quello che “esce” e ci fornisce il materiale, pagiSiamo partiti da un lavoro sul ne e pagine di “scene” nate dalcorpo, non inteso come lavoro le improvvisazioni, dopodiché prettamente fisico ma come prima della messa in scena ci presenza sul palco e resistenza. ha portato il copione. Inizialmente siamo partiti da improvvisazioni aperte, col passare del tempo sono state indirizzate dal regista circa il tema del “desiderio” e dei “sogni”, da qui “Senza Stelle”.

Inizialmente il gruppo è rimasto piacevolmente sorpreso, era come se fosse già qualcosa di nostro ma non lo sapevamo ancora fino in fondo, quindi abbiamo letto i


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insieme a Enoch Marrella. Il percorso che abbiamo fatto per arrivare allo spettacolo è un percorso aperto che lascia molto spazio all’attore di creare e tirar fuori sensazioni rispetto ad un argomento. La cosa che porto casa da questo progetto è che Andrea ci ha insegnato a esplorare senza preoccupazioni.

copioni, letti e riletti, poi ne abbiamo parlato e facendolo in scena il resto è stato naturale. Solo leggendolo qualche volta abbiamo fatto “memoria”, questo è stata la cosa più incredibile, non ho avuto bisogno di mettermi nella mia stanza a “fare memoria”, era la prima volta che mi capitava una cosa del genere nella mia vita, perché era qualcosa che già faceva parte di me. Un’esperienza già vissuta.

enza stelle” nasce dopo settimane di intensissimo lavoro. Non è un metodo nel senso tradizionale ma piuttosto un approccio metodologico, un percorso di lavoro. La parola “metodo” appare sempre claustrofobico. Anche Andrea lo condivide. Io ero uno dei protagonisti in questa storia

L’approccio metodologico dell’attore è stato spesso al centro del mio percorso attraverso insegnanti, scuole di pensiero e masterclass, ma incontrare EduScé è stata una fortuna, perché non ci sono imposizioni dall’alto ed è stimolante, seguiamo un percorso delineato che riesce però a vedere Andrea da fuori, e a seguirci in maniera indotta. Mi sono sentito libero di fare ciò che avevo voglia di fare, unico vincolo era che fosse una cosa vera, attraverso il forte contatto che si creava tra di noi. Per me EduScé ora è chiaro: è l’operazione semplice del portare l’attenzione da dentro a fuori. Qua si parte da noi, non da un testo, da noi e da quello che abbiamo in qualche modo bisogno di dire attraverso le linee guida che ci propone 135


33.

Andrea. Questa è una liberazione. C’è chi dice che l’attore deve stare lì ad eseguire; con lui è un’altra cosa, un dialogo tra chi è sul palco e chi sta fuori a condurre, è molto bello e liberatorio. L’impressione che si ha davanti al pubblico non è molto diversa dall’impressione che si ha in prova, l’attenzione è sempre altissima. È ovvio che col pubblico si ha paura di sbagliare ma è contemplato, ogni volta si rinnova il motivo per cui sei quel personaggio che dovrà dire le stesse battute ogni sera eppure in maniera differente. 136

Si parla sempre di replicare, provare la replica, qui è diverso, hai persone di cui ti fidi, c’è un dialogo reale al di fuori della parola e se c’è uno sbaglio insieme si va verso una risoluzione condivisa. Ultimo spunto è il testo di “Senza stelle”, perché quello che scrive Andrea è un copione senza il nome dei personaggi correlati a ogni battuta. Chi dice questa battuta? Ce lo siamo chiesti ma così sei obbligato tu come attore a

capire che succede, e capendo che succede riesci a far venire la memoria, in modo naturale “La memoria è un finto ostacolo”, ci ha sempre detto Andrea, “è importante capire quello che succede attraverso quello che provi tu. L’importante è essere lì presenti al presente, insieme alla memoria, certo, ma prima di tutto insieme agli spettatori e ai tuoi compagni in scena”.


34.

-“Senza stelle” è la limpida dimostrazione che quando c’è feeling tra gli attori le cose possono solo che favorire le loro virtù interpretative. Ciò si respira sin dall’inizio e in fattispecie nella parte centrale dove il ritmo sale e si fa più concitato per poi accomiatarsi nella quiete del finale, a pochi istanti dal riposo. Anche quello, infine, concerta la scena di un’aura di luminosità e di serenità, lì più che mai, raggiunta. Federico Mattioni (Four Magazine)

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Capitolo_8.


Eduscé LAB: 140


9/11/12 26-27-28/04/13 10-11/05/13 7-8-9/06/13 5-6-7/07/13 17-18-19/01/14 22-23/02/14 8-9-10-11-12/04/14 30-31/05/14 21-22/11/14

PISA Milano Potenza Torino Udine Bari Pavia Bruxelles Roma Venezia 141


l percorso per la realizzazione di uno spettacolo è lungo, a volte anche insidioso. Quello che si propone in questo volume è un metodo di creazione per la scena, utilizzando quello che poi è il materiale primo perché ci sia teatro: gli attori. In Eduscé gli attori sono al centro del processo creativo, ne sono parte integrante e unica, collaborano in modo attivo alla realizzazione del progetto e alla sua messa in scena, ogni attore andrà ad interpretare un ruolo scritto per lui, come una muta si adatterà alle caratteristiche professionali e umane del performer, lui e solo lui potrà interpretare quel ruolo nel modo giusto, perché in qualche modo ha partecipato alla sua creazione, ne è stato parte fondamentale. In queste pagine si è cercato di spiegare come riuscire a replicare questa esperienza, che nasce da un lungo e attento lavoro di un regista giovane e promettente come Andrea Ciommiento. Si lavora quindi, a livello laboratoriale, con la componente più intima e unica degli attori, la componente umana. Le ore e ore di laboratorio fanno sì che tra gli attori nasca una complicità tale che anche a livello fisico riescano ad amalgamarsi, creando gruppo. Nel corso di queste pagine si è parlato di due esperienze labo142

ratoriali che hanno portato ad altrettanti spettacoli: il monologo “Nell’Ocano il Mondo” e lo spettacolo corale: “Senza Stelle”, si è raccontato degli attori e delle loro reazioni da professionisti verso questo approccio. Non sono però le uniche creazioni figlie di questo metodo, possiamo infatti citare: “Scarica di Nubi”, 2014. Miriam ha diciott’anni e intorno a lei tutti i suoi coetanei sembrano aver già scelto per il loro futuro. È confusa nel vortice di incontri contrastanti in un mondo che stenta a capire. Vive a Nord Est, ma parte della sua famiglia viene dal Sud, da un’isola piena di sole, frutta rossa e racconti sulle stragi di Mafia. Ascolta attraverso i suoi famigliari le storie sanguinose dell’isola e sente che non la riguardano. Sono qualcosa di lontano: stragi di giudici e soldati che fanno da scorta. A Nord Est invece sembrano altre le forme d’illegalità: dalla speculazione edilizia al consumismo senza frontiere. Ad un certo punto, Miriam e l’intera famiglia saranno coinvolti indirettamente in un attentato di criminalità organizzata. Solo partendo dalla propria storia la ragazza comincerà a guardare veramente le cose del mondo cercando di capirne il senso e le radici. Interpretato da Serena Di Blasio per la creazione scenica di Andrea

Ciommiento, presentato a Udine nel 2013 nell’ambito del progetto “Radio Aut”, percorso di educazione alla legalità costruito dal coordinamento provinciale formato da Cooperativa Damatrà, Arci Territoriale di Udine (nel ruolo di capofila) e Libera Associazione contro le mafie di Udine. “Altre Storie del Genere”, 2014. Un progetto di narrazione 2.0 finanziato da Arci Udine con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia. La piattaforma web si compone di reportage scritti e video sulla “violenza di genere” attraverso la voce di chi accompagna quotidianamente vittime maltrattate e autori di violenza. Figure professionali attive nei campi della psicoterapia, medicina, giurisprudenza, counselling, diritti delle donne e politiche di genere incontrate all’interno dei centri antiviolenza di Trieste, Udine, Torino, Gorizia, Milano, Firenze, Parigi e Roma. “Scrivi tu la Fine”, 2015. La storia di una “convivenza generazionale”. I tre protagonisti vivono senza rinunciare alla vita e alle proprie passioni. Abitano insieme ricercando ripetutamente una visione comune di casa in un rivelarsi di abitudini personali in contrasto.


Fuori dalle proprie mura, per le vie di quella che un tempo era una città viva, sentono il frastuono delle contestazioni giovanili unite dallo slogan “non ci interessa il futuro, ci riprendiamo il presente”. Incapaci di comprendere osserveranno da lontano le rivolte sociali dei loro coetanei e le proteste contro un Paese nel suo punto di non ritorno. Questo è uno spettacolo sugli “smarriti”, sulle nuove generazioni che sospendono il legame con la società, specchio di un disagio invisibile e segno di quella mutazione antropologica che lo stesso Pasolini prefigura da decenni. Un disagio che si manifesta nell’assenza di un agire politico in cui tutto si alleggerisce in favore di un consumo spensierato della vita privata. 143


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Gabriele Capilli (attore e danzatore) Maniaci d’Amore (Luciana Maniàci e Francesco d’Amore, autori e interpreti) Renzo Francabandera (live painter e critico teatrale per Hystrio, KlpTeatro, PAC Culture) Gommalacca Teatro (compagnia teatrale) Enoch Marrella (attore) Roberto Zibetti (attore) T.R.A. Teatro Rossi Aperto - PISA O.C.A. Officine Creative Ansaldo - MILANO Barley Arts - MILANO Zorba Officine Creative - MILANO C.A.P. 10100 Centro Cultura Arte Performance - TORINO KlpTeatro - webzine giornalistica di critica teatrale - TORINO GreenBox Incubatore di idee – TORINO CO.H Piattaforma Artistica - TORINO Teatro dell’Orologio - ROMA PAC Culture - rivista di arte e culture – ROMA Master Teatro Sociale Università La Sapienza - ROMA GiovaniFvg | portale politiche giovanili – REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA Teatro Stabile - POTENZA U-Platz | Spazio civico e teatrale - POTENZA Fibre parallele – BARI Arci Territoriale - UDINE Arci MetriCubi – VENEZIA Istituto di Cultura Italiana – BRUXELLES Collectif Au Quai - BRUXELLES

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Non ho mai pensato che i ringraziamenti fossero un problema, finora, adesso? Adesso ci provo, questo è un progetto nato quasi per caso, da un insieme di esperienze che ne hanno permesso, in maniera naturale, la nascita. “OK ci provo, fasi primordiali di qualcosa di bello” (cit.), così il primo giorno di lavoro avevo commentato l’evento. Senza le persone che ne hanno permesso la nascita tutto questo volume non sarebbe mai potuto esistere, vorrei avere il potere e la capacità di scrivere parole importanti, che colpiscano, che riescano veramente a spiegare quello che è il mio sentimento, non ne sono capace, per cui mi limiterò ad un: semplicemente grazie. Grazie a te che allieti le mie giornate e le rendi uniche, che mi sei sempre vicina e mi sostieni in tutte le mie manie, in tutti i miei sproloqui e i miei nervosismi, sei importante quanto l’aria che respiro, a te: Laura. Grazie ad un mentore, un uomo che è riuscito a guidarmi in questi anni rendendomi una persona migliore, più attenta, saggia ed equilibrata, senza di te non avrei potuto affrontare questo percorso, in tutti i sensi. Non potrò mai riuscire a parole a spiegare quanto sei importante e quindi GRAZIE a te, Antonio Speziale. Un ringraziamento speciale va ai due professionisti che mi hanno guidato, saggiamente e in modo lungimirante prima nel perscorso accademico e poi nel progetto di tesi, posso ritenermi fortunato di avervi avuto come insegnanti e come relatori, per le conoscenze che mi avete trasmesso e i consigli che hanno reso questo volume quello che è oggi. Grazie Alessandra Fagioli e Francesco Mazzenga. Un pensiero lo devo ad un uomo che ho avuto la fortuna di conoscere proprio in occasione di questo progetto, un uomo che definisco: “La rockstar nel campo” spero il mio campo professionale in futuro, un uomo di cui ho prima apprezzato le pubblicazioni e poi incontrato in Accademia prima di conoscerlo in un pomeriggio, dove emozionato avevo raccontato il progetto che nelle fasi iniziali cominciava a prendere forma nella mia testa, lui, gentilissimo mi ha mostrato la strada, lo ringrazio per la persona che è e per il professionista, un uomo da seguire e prendere da esempio, grazie Riccardo Falcinelli. Nel campo didattico ho avuto la fortuna di incontrare persone così preparate da prenderli da esempio, ma anche nel campo personale qualche ringraziamento va fatto a tutti quegli amici che hanno reso i giorni in Accademia più lieti, migliori: un fotografo eccezionale oltre che mia prima detrattrice, resterà alla storia ogni lavoro che lei, con tre parole mi smontava, grazie per essere così semplicemente Ornella. Una ragazza eccezionale, la prima persona che ho conosciuto, gentile e buona: Marta. La mia vecchia compagna di classe alle superiori, sempre in mezzo ai piedi, senza di lei non so: Alessia. Oltre a coloro che hanno reso possibili le improvvisazione, il cuore del mio progetto, grazie a un musicista eccezzionale che ho la fortuna di poter chiamare amico, Pietro e un compagno, un uomo che conosco da molti, troppi anni Andrea, oltre ai già citati Stefano e Laura, grazie, senza di voi non avrei realizzato nulla. Per ultimo, ma non in ordine di importanza vorrei ringraziare le cinque persone che rendono la vita di tutti i giorni semplice, bella e unica: Angela, Mario, Stefano, Vincenzo ed Irma, grazie per tutto, pasti compresi, ultima mensione, perchè la merita va a Graziella, Francesco, Eleonora e Fabio, nove persone, famiglia. Grazie. Consapevole del fatto che un solo grazie su un volume non può essere sufficiente, ma è un inizio, ancora una volta:

GRAZIE A TUTTI, DI CUORE. 148

Gianluca


Š Gianluca De Petris


EduScé propone un’esperienza di Educazione alla Scena. Mettersi nella condizione di totale disponibilità a quel che potrebbe accadere. Serve una presenza ricettiva per comprendere meglio cosa necessita realmente al gruppo che abbiamo di fronte. Uno strumento per la creazione di drammaturgia partendo da un laboratorio di improvvisazione. Si racconta un’esperienza teatrale con cui creare spettacolo, e lo si fa attraverso un lavoro longitudinale che abbraccia Fotografia, Grafica, tipografia e illustrazione, oltre al teatro. Un’esperienza traslata su carta.

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