Ciò che la nostra Generazione aveva in comune era la voglia di essere protagonisti attivi dell’epoca. C’era un comune denominatore che si chiamava leggerezza, ironia, autoironia e soprattutto speranza. Anche di cambiare il mondo. Contemporaneamente studiosi, hippy, impegnati, infantili, ribelli, incasinati, amici veri e non solo virtuali. Liberi. Soprattutto di sognare. Era molto più di quanto avessimo bisogno. Per alzarci al mattino, studiare, lavorare, viaggiare. E pensare in positivo, ameno io, “oggi può succedermi di tutto”. Ma come eravamo, alla fine? Ragazzi con jeans a zampa d’elefante o gonnellone a fiori, e perennemente tra le mani una pila di libri trattenuta a stento da una cinghia elastica, sia che si andasse al liceo che all’università. Questa la fotografia esteriore. Dentro, un guazzabuglio composito di gioia, rabbia, contestazione, impegno e disimpegno assieme, creatività. La cosa più incredibile da raccontare oggi? Eravamo giovani con la meravigliosa consapevelezza di esserlo.