GenerazioneOver2025 Settembre

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Settembre 2025

Testata giornalistica registrata

presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 7, n.7

TRE AMICHE (Gabriel Portoles Ascaso, 1930)

Le rubriche

EDITORIALE

“Amoglianimali” Bellezza

Da leggere (o rileggere)

Da vedere/ascoltare

Di tutto e niente

Il desco dei Gourmet

Il personaggio

Il tempo della Grande Mela

Comandacolore

Incursioni

In forma

In movimento

Lavori in corso

Primo piano

Salute

Scienza

Sessualità

Stile Over

Volontariato & Associazioni

Generazione Over 60

DIRETTORE RESPONSABILE

Minnie Luongo

I NOSTRI COLLABORATORI

Marco Rossi

Alessandro Littara

Antonino Di Pietro

Mauro Cervia

Andrea Tomasini

Paola Emilia Cicerone

Flavia Caroppo

Marco Vittorio Ranzoni

Giovanni Paolo Magistri

Maria Teresa Ruta

DISEGNI DI

Attilio Ortolani

Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com

Issuu: https://issuu.com/generazioneover60

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Generazione Over 60

MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE

Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).

Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.

Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.

Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.

Foto Chiara Svilpo

Chi siamo

DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA

è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO

è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO

PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO

è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI GIORNALISTA SCIENTIFICO

giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.

Chi siamo

PAOLA EMILIA CICERONE GIORNALISTA SCIENTIFICA

classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione.

Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

FLAVIA CAROPPO GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA

CUCINA ITALIANA A NEW YORK

Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie

MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA

Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.

COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.

MONICA SANSONE VIDEOMAKER

operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.

Sommario

-10

Generazione F

Perché essere amici (non online)

Editoriale di Minnie Luongo

-15-

In primo piano

Per i bambini vittime innocenti di tutti i Paesi in guerra nel mondo

Di Rosa Mininno

-17Salute

Al 28° Congresso Nazionale SIGU tre giorni di approfondimento su molteplici aspetti della Genetica di Minnie Luongo

-23-

Foto d’autore

L’amicizia è anche un semplice stringersi le mani

Di Francesco Bellesia

-25-

Versi Di...versi Amicizia

Di Bruno Belletti

Sommario

-26-

Di tutto e niente

In piazza, tra la gente Di Andrea Tomasini

-28 Per ricordare

Riflessioni ai margini della morte di re Giorgio Armani di Minnie Luongo

-33-

Leone ascendente giornalista

Quel “6 orizzontale, 8 caselle” inseguito dal cervello che vuole rimanere giovane Di Luciano Ragno

-37MEDIcA

“Relic”, quando il mostro è l’oblio Di Edoardo Rosati

Generazione F

PERCHÉ ESSERE AMICI (NON ONLINE)

EDITORIALE

La farò breve . Con questo Editoriale ho voluto tentare una sorta di esperimento sociale, chiedendo a bruciapelo a due amiche e due amici di lunga data per quali motivi mi sono amici e per quali invece, alla luce dell’esperienza con la sottoscritta, metterebbero in guardia qualcuno dallo stringere una nuova amicizia con me .

Dico e scrivo sempre che al di sopra di tutto pongo questo sentimento, ma perché? Perché, per dirla come il mio amato Hermann Hesse: “ Molti credono che l’amicizia significhi accordarsi, ma il vero amico è colui che ti sfida a essere te stesso .”

Pericolosa affermazione, ma che mi vede decisamente d’accordo . A mio rischio e pericolo .

Prima di dare la parola agli amici, ho voluto dare un’occhiata alla definizione classica del termine “amicizia”, che sottoscrivo in pieno. Eccola:

L’amicizia vera è un legame basato su profondo rispetto, fiducia reciproca, comprensione e autentica partecipazione alle gioie e ai dolori dell’altro, volendo il bene della persona a prescindere da qualsiasi utilità personale È una relazione che richiede tempo, impegno costante, disponibilità e la volontà di essere se stessi senza timore di giudizio .

E adesso veniamo a noi. Sottolineo “noi” perché, per essere temeraria fino in fondo, ho creduto fosse il caso di rivolgere la stessa domanda a me stessa. Senza barare.

1) Perché è consigliato accettare di essere miei amici ?

Perché al primo posto, anche prima dell’amore, metto l’amicizia e per un amico faccio, e farei, di tutto per aiutarlo. E non dimentico mai di essere grata per ciò che ho ricevuto da parte di amiche/amici, specie nei momenti difficili.

2) Quali invece gli “effetti collaterali” da mettere in conto?

Abituatevi a temere il suono del telefono: pur non volendolo, io vi ‘stalkerizzerò’ spesso, e a lungo, per consigli, raccontare cose belle o brutte, sfogarmi. E ricordate che sono insopportabilmente ripetitiva: ribadisco lo stesso concetto non meno di tre volte (deformazione professionale da prof?) e ci vuole molta concentrazione per seguire i miei discorsi e racconti, che si intersecano in continuazione, con un susseguirsi di virtuali parentesi.

E adesso veniamo a loro Ai miei amici

Generazione F

Paola ( conoscente da oltre 20 anni, amica da 7).

Perché sì:

1) per il valore che Minnie dà all’amicizia;

2) perché ha un’incredibile capacità di socializzare con qualunque essere umano;

3) perché sa istintivamente quali sono le cose davvero importanti;

4) perché ama gli animali.

Però…

1) la fiducia nel genere umano è a volte mal riposta e la porta a sentirsi tradita o non ricambiata. Ed essere amici di Minnie vuol dire vederla star male, e ascoltarla, e cercare di consolarla quando qualcosa va storto; 2) ci sono delle cose che Minnie non “capisce” o meglio rifiuta a priori di capire, come la tecnologia (da come si inseriscono i punti nella cucitrice all’IA) o l’economia in tutti i possibili sensi del termine. E qualche volta cercare di spiegare o di trovare rimedi può essere lungo e frustrante, perché senza risultati. 3) in generale, è difficile poterle dedicare il tempo di cui avrebbe bisogno, e che lei comunque dedica ad amiche e amici e poi in effetti… a chiunque.

Generazione F

Marco ( amico da oltre 20 anni).

Conosco Minnie da tanto; con lei ho molta confidenza, quella che di solito (dicono) si ha tra maschi. Ma io difficilmente mi apro con gli XY.

Con lei posso parlarci di tutto e lei fa lo stesso con me. Non si nega mai (io spesso) ed è intelligente, cosa che non dà mai fastidio, o almeno non dovrebbe.

Tende però a infatuarsi facilmente di persone alle quali non darei mai neanche l’amicizia su Facebook e a spacciarteli per dei in terra; poi si prende la tranvata e devi raccoglierla col cucchiaino. Lì può diventare un po’ pesante e cocciuta come una bambina, tanto che a volte pensi sia meglio darle un po’ del lungo. Ma poi la bilancia torna sempre a pendere dalla parte giusta. Val la pena di tenerla da conto, insomma.

Generazione F

Chiara (amica da più di 15 anni).

Minnie: esserle amica o non esserlo?

A questa domanda così diretta mi viene in mente subito un lungo elenco dei suoi difetti ma poi non li scrivo. Perché? Perché è generosa, intelligente, coraggiosa, divertente, capace di entusiasmi fuori dal comune. Che sia pesante, cocciuta e sprovveduta al limite della ragionevolezza e a volte della sopportazione lo sappiamo tutti, lei per prima! Le sono amica perché c’è sempre e sempre a modo suo.

Generazione F

Edo (amico da 35 anni).

Vorrei scrivere che le voglio bene e basta, però devo stare alle regole. E quindi:

Perché accettare:

Minnie è animata da un fuoco sacro: la sua irrequietezza diventa semina continua di idee e scintille che accendono chi le sta vicino.

E ffetti collaterali:

E’ un autentico segugio: quando ha un’idea non molla l’osso e rischia di starti addosso con entusiasmo travolgente!

Ecco fatto. Da parte mia aggiungo solo una breve osservazione. Questa: se è vero che per Minnie è naturale spendersi al meglio per chi considera amica/o e non parlare mai alle spalle ma affrontare direttamente la persona in caso di problemi, è altrettanto vero che, forse già nata coraggiosa, il coraggio ha dovuto darselo da sé a mano a mano (ecco perché è molto grata a chi le riconosce tale qualità).

Però, però… ricordate sempre che la fragilità c’è (eccome!) sotto l’ironia e l’autoironia del soggetto, soprattutto ora che è molto Over. E pertanto: maneggiatemi con cura, please!!!

In primo piano

PER

I BAMBINI

VITTIME INNOCENTI DI TUTTI I PAESI IN GUERRA NEL MONDO

La speranza è (anche) nel loro perdono

Di Rosa Mininno – psicoterapeuta, presidente della Scuola Italiana di Biblioterapia

Hind Rajab, uccisa a 6 anni a Gaza mentre chiedeva aiuto al telefono.

Racconta la sua storia il film “The voice f Hind Rajab”, che alla 82a Mostra del Cinema di Venezia ha ricevuto 24 minuti di applausi

La speranza è un frutto proibito, il respiro vitale e necessario, il sapore di buono che appaga, quel profumo di muschio che annuncia la presenza del bosco.

La speranza è fragile, ma profondamente radicata in quel credo nella vita di chi, pur ferito e caduto in terra, continua a vivere, “vuole” vivere.

La speranza è nella solitudine positiva e nella compagnia calma e silenziosa o vivace e chiassosa di chi ci accompagna sui sentieri in pianura, in discesa o in salita.

È nell’ombra e nella luce, nei brividi di paura, nei lampi di gioia.

È in quell’anelito di libertà, di giudizio nostro e di chi ci comprende. È in quell’abbraccio che tiene e non tradisce, in quell’amore per se stessi che non esula dall’amore per l’altro.

In primo piano

La speranza è una luce soffusa nella camera oscura, un flebile suono in una stanza che sembra anecoica. È nel volto di un bambino, nella tenerezza di una carezza, ma anche nel pianto e nel grido di un essere umano caduto, ferito dalla vita.

La speranza è movimento. È tensione verso un’idea, un pensiero, un sentimento vivo.

La speranza è prismatica, abbracciata ai colori della vita come un arcobaleno all’aria e alle gocce di pioggia.

La speranza rifugia e sostiene, combatte e vive nel cuore e nella mente di chi non si arrende alla delusione, alla sconfitta, alla sofferenza, qualunque essa sia perché la vita a volte è madre amorosa, a volte amara e severa.

La speranza è una voce interiore che tace e parla nei momenti giusti. Un’apertura nel petto, nella mente, nel corpo percepito.

La speranza è in voi bambini che non avete colpe, la speranza è nel vostro perdono perché nessuno chiede di nascere, ma tutti chiediamo di vivere e vivere bene.

La vostra speranza è in noi adulti, la nostra è in voi bambini.

La speranza non ha tempo né luogo, esiste in noi per vivere, per vivere in pace. Esiste.

La standing ovation più lunga della Mostra del Cinema di Venezia dedicata alla piccola protagonista del film della regista Kaouther Ben Hania

AL 28° CONGRESSO NAZIONALE SIGU TRE GIORNI DI APPROFONDIMENTO SU MOLTEPLICI ASPETTI DELLA GENETICA

A

Rimini un incontro per far luce sullo scenario attuale e su quello futuro che ci riserva una materia ingiustamente non conosciuta e apprezzata come meriterebbe

Di Minnie Luongo – giornalista medico-scientifica

Di genetica ultimamente sentiamo parlare spesso in televisione per via dei fatti di cronaca nera . Ma che cosa conosciamo davvero del lavoro, e della preparazione, che hanno queste importanti figure professionali che sono i genetisti?

A Rimini dal 23 al 25 settembre si è svolto il 28° Congresso Nazionale della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU): un incontro tra scienza e società, che ha posto l’intelligenza artificiale al centro della “rivoluzione genetica ”. Tanti i temi trattati: si è parlato anche di genetica forense, che rivoluzionerà le indagini scientifiche, di terapie avanzate e di drug reporuposing che sono già realtà . Inoltre, sono state pubblicate e rese note le nuove linee guida sui test di farmacogenetica, di cui tratteremo ampiamente nel prossimo numero di “GenerAzione Over 60”, grazie all’intervista che ci ha concesso il professor Matteo Floris.

Questo mese riportiamo per l’intero l’intervista a Paolo Gasparini, quasi giunto al temine dei suoi tre anni di Presidenza SIGU, Professore Ordinario di Genetica Medica all’Università di Trieste, Direttore del Servizio di Genetica Medica e del Dipartimento per Diagnostica Avanzata e Sperimentazione Clinica presso l’IRCCS Burlo Garofolo a Trieste

Salute

Paolo Gasparini, presidente SIGU (Società Italiana di Genetica Umana)

Presidente, ci spiega che cosa si intende per “ terapie avanzate”?

“Con il termine di terapie avanzate (Advanced Therapy Medicinal Product o ATMP) si indicano quelle terapie o farmaci innovativi che si differenziano dai farmaci più “classici” perché non si basano su molecole prodotte per sintesi chimica, bensì su DNA o RNA, cellule e tessuti. Le terapie avanzate sono il frutto degli enormi progressi compiuti negli ultimi vent’anni nel campo delle biotecnologie: offrono nuove opportunità per la prevenzione o il trattamento di gravi patologie che hanno opzioni terapeutiche limitate o assenti, quali malattie genetiche, malattie croniche e tumori. Le terapie avanzate oggi possono essere suddivise principalmente in quattro tipologie: le terapie geniche, le terapie cellulari, i prodotti di ingegneria tissutale e le terapie avanzate combinate ai dispositivi medici. Per quanto riguarda le terapie geniche parliamo di farmaci che hanno l’obiettivo di trattare malattie causate da geni difettosi fornendo all’organismo una copia funzionante del gene difettoso”.

Salute

L’Italia ha un ruolo nell’ambito delle terapie avanzate?

“In questo ambito l’Italia ha una posizione di eccellenza a livello internazionale : basti pensare che la prima terapia cellulare approvata sul mercato europeo è italiana (Holoclar), e diverse sono le terapie geniche già approvate frutto di ricerche made in Italy, come Strimvelis, uno dei primi successi mondiali della terapia genica ex vivo, firmato da un consorzio guidato da scienziati italiani. Molte ancora sono le terapie in corso di sperimentazione clinica o in fase avanzata di approvazione, messe a punto da ricercatori italiani. Dietro questo successo dunque c’è una comunità nazionale di biologi cellulari e genetisti medici altamente qualificati, in larga parte rappresentati dalla SIGU, capaci di portare avanti studi pionieristici nonostante risorse limitate e percorsi burocratici complessi”.

Dallo sviluppo all’approvazione di una terapia avanzata oggi: quanto tempo è necessario e quali sono i passaggi?

“La strada per ottenere una terapia avanzata è lunga: dalla ricerca di base alla sperimentazione clinica, per arrivare al letto dei pazienti le fasi da superare sono tante. Parliamo di processi produttivi sofisticati e costosi, della necessità di centri clinici altamente specializzati, ma anche di questioni etiche e regolatorie in continua evoluzione. Sfide che riguardano la sostenibilità, ma anche la sicurezza e il benessere di quanti partecipano agli studi clinici. Sfide che devono essere affrontate sia a livello nazionale, che a livello di Comunità Europea”.

Lei è anche membro del Comitato Etico Nazionale per le sperimentazioni cliniche relative alle terapie avanzate (CEN-ATMP). Di che cosa si tratta esattamente?

“Il CEN ha la funzione di tutelare i diritti, la sicurezza e il benessere dei soggetti che partecipano in Italia ad una sperimentazione clinica con una terapia avanzata, esprimendo, dopo un’attenta ed approfondita valutazione di ciascun protocollo sperimentale, il proprio parere che può essere favorevole, favorevole condizionato o negativo. È per me un onore portare il contributo della genetica medica italiana nel CEN-ATMP, ricordando che il genetista medico è una figura essenziale non solo per quanto riguarda la ricerca in ambito terapie avanzate, ma anche e soprattutto nella sperimentazione clinica e nella pratica clinica. Le sfide etiche che oggi le terapie avanzate ci pongono devono essere affrontate con competenza e visione. Per questo desidero ringraziare il Ministro per la nomina, lieto di mettere la mia esperienza a disposizione della comunità medico-scientifica italiana”.

Professore, non dimentichiamo che Lei è inoltre rappresentante dell’Italia nel CHMP (Committee for Medicinal Products for Human Use) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ed è stato per 12 anni membro del CAT (Committee for Advanced Therapies) dell’EMA, che si occupa specificamente delle terapie avanzate.

“Il CHMP è il Comitato per i medicinali ad uso umano dell’Agenzia Europea per i Medicinali, l’EMA. È il grup -

Salute

po di esperti che valuta tutti i nuovi farmaci prima di una loro immissione sul mercato europeo. Quando viene sviluppato un nuovo medicinale, viene inviato all’EMA un dossier con tutti i dati su efficacia, sicurezza e qualità del prodotto. Il compito del CHMP è analizzare in profondità queste informazioni: dagli studi clinici ai risultati di laboratorio valutando ogni elemento che possa risultare utile a capire se il medicinale funziona davvero e se i suoi benefici superano i possibili rischi. Al termine di questa valutazione, il CHMP emette un parere: se è positivo, la Commissione Europea può autorizzare il medicinale in tutti i Paesi dell’Unione; se invece è negativo, il farmaco non può essere commercializzato. Inoltre, si continuano a monitorare i farmaci già in uso: se emergono nuovi dati di sicurezza, possiamo rivederne l’autorizzazione. In sostanza, il CHMP è un passaggio cruciale per garantire che ogni nuovo farmaco disponibile in Europa sia sicuro, efficace e di qualità”.

In questi ultimi anni una parte del lavoro del CHMP è stata destinata a valutare prodotti che rientrano in quella che definiamo “strategia del drug repurposing”; di che si tratta?

“La strategia del drug repurposing — o riposizionamento di farmaci — sta guadagnando terreno nel campo della ricerca biomedica. Si tratta di riutilizzare farmaci già approvati per altre indicazioni terapeutiche, studiandone l’efficacia contro patologie differenti, spesso rare e trascurate dall’industria farmaceutica. Questo approccio offre vantaggi decisivi: riduce tempi e costi di sviluppo, e sfrutta farmaci già noti per sicurezza e tollerabilità. Per le malattie rare, che colpiscono un numero limitato di pazienti e ricevono pochi investimenti, il drug repurposing rappresenta spesso l’unica via realistica verso nuove cure”.

Qualche esempio di casi di successo?

“La rapamicina, originariamente sviluppata come immunosoppressore nei trapianti, è stata riproposto nel trattamento della linfangioleiomiomatosi (LAM), una malattia rara polmonare. Studi clinici hanno dimostrato che rallenta la progressione della malattia e migliora la funzione respiratoria. L’eculizumab, nato come farmaco contro l’emoglobinuria parossistica notturna, è stato successivamente approvato anche per la sindrome emolitico-uremica atipica (aHUS), un’altra patologia rara a base autoimmune. Forse però l’esempio più eclatante è la talidomide: celebre per i gravi effetti teratogeni scoperti negli anni 60-80, è stata “riabilitata” come terapia per il mieloma multiplo. A Trieste stiamo portando avanti con successo una sperimentazione di drug-repurposing per una malattia genetica rara di nome Sindrome di White-Sutton”.

Che ruolo ha la genetica medica in tutto questo?

“Il riposizionamento dei farmaci potrebbe diventare il pilastro della medicina personalizzata, garantendo terapie sostenibili per chi oggi non dispone di alternative o difficilmente potrà accedere ad una terapia innovativa. La genetica medica è essenziale in questo percorso fornendo precise informazioni sulle cause biologiche delle patologie. La mole di dati che la genomica ha fornito e continua a fornire permette ogni giorno di più l’identificazione di corrispondenze tra target genetici e molecole (farmaci) note. Questo riduce

Salute

ovviamente tempi, costi e rischi per i pazienti rendendo il drug repurposing molto più mirato, aumentandone notevolmente la percentuale di successo. In questo contesto di approccio multidisciplinare alla medicina personalizzata il ruolo del genetista medico non piò che essere centrale e direi anche … cruciale”.

Professore, dopo tutte questa importanti informazioni e dettagliate spiegazioni, sorge spontaneo il sospetto, se non la certezza, che la genetica sia ancora una sorta di Cenerentola agli occhi dei non addetti al lavori…

“In effetti c’è un buco di conoscenza nella comunicazione a questo riguardo. Per questo fra gli obiettivi della SIGU rientra quello di far conoscere la genetica, in primo luogo aumentando il numero degli specializzandi.

Non nascondo che ciò non risulta facile perché molti colleghi ci vedono come chi ‘toglie spazio’ al loro lavoro di pediatri, neurologi, cardiologi… Purtroppo, non conoscendo a fondo la genetica, questo può portare a commettere errori (vedi per quanto riguarda le nuove terapie per combattere l’Alzheimer). Insomma, come in ogni ambito, ma soprattutto se si tratta di medicina, l’improvvisazione è la prima cosa da mettere al bando”.

SIGU – Società Italiana di Genetica Umana . Nata nel 1997 dalla fusione di ‘Associazione Italiana di Genetica Medica’ e ‘Associazione Italiana di Citogenetica Medica’, SIGU si propone come interlocutore principale per questioni di carattere scientifico e sanitario che riguardano la Genetica Umana in tutti i suoi aspetti applicativi all’uomo. Con all’interno più di 1.000 genetisti medici e biologi e 17 sezioni regionali, SIGU intende collaborare con coloro che in Italia sono interessati alla ricerca e ad ogni tipo di approfondimento relativo alle discipline Genetica Medica e Genetica Umana. Nello specifico, gli obiettivi sono: elaborare criteri di qualità per i laboratori di Genetica Medica operanti nell’ambito delle strutture sanitarie pubbliche e private; contribuire alla stesura di linee guida nel settore della ricerca Genetica Umana; promuovere con ogni mezzo la pubblica consapevolezza sulle funzioni, le potenzialità e i limiti delle tecniche diagnostiche di Genetica

Salute

Umana. SIGU, dotata di un Consiglio Direttivo, un Comitato Scientifico e un Comitato Editoriale, è strutturata in Commissioni e diversi Gruppi di Lavoro: tra questi Citogenomica Genetica Prenatale e Riproduttiva, Genetica Clinica, Epigenetica, Genetica Oncologica, Genetica Forense, Scienze Omiche, Farmacogenomica, SIGU Sanità, Specializzandi e Multifattoriali.

Foto d’autore

L’AMICIZIA È ANCHE UN SEMPLICE STRINGERSI LE MANI

“Intreccio” (2019) , di Francesco Bellesia

Foto d’autore

FRANCESCO BELLESIA

Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita.

Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt.

Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti.

Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.

Versi Di...versi

AMICIZIA

Come filo disteso tra isole sommerse, è un’onda che si espande e si ritira e lascia sulla battigia conchiglie lucenti e parlanti. Approdi senza programmi, sentirci e lasciarci, segreti e speranze e un’eco lontana che risponde al mio grido. Come ombra insistente che si muove al mio fianco quando il sole mi acceca e la notte mi oscura e non vedo più strade. Faro che non vacilla nella bruma, àncora gettata in burrasche improvvise . Come un soffio di vento, che mi sospinge oltre le secche della mia tristezza.

Di tutto e niente

IN PIAZZA, TRA LA GENTE

Si attende da soli, sperando di esser riconosciuti

Una delle cose che da Lisbona mi porto a casa è la bellezza esultante del cambio di espressione che prende forma nel viso di chi aspetta, quando la persona attesa compare a distanza e gli sguardi s’incontrano felici. Sono già soddisfatti del fatto che all’appuntamento si sono trovati. Ho provato a pensare come poter cogliere e raccontare fotografando quel viso – quello di chi è già giunto e attende. La questione si propone complessa.

Intanto occorre individuare chi sta aspettando – ma forse tutti aspettiamo qualcosa o qualcuno. Per cui, in una piazza è difficile capire “in anticipo” chi si è dato un appuntamento con un’altra persona.

Però, quando ti accorgi dal sorriso che s’allarga sul viso di chi attende, questa distensione soddisfatta riconoscibile all’appassionato delle cose degli altri svela un prima e un dopo che con un solo scatto fotografico non saprei come far affiorare, a meno di non inquadrarli entrambi. Si tratta però di intercettazioni casuali.

Orizzontali, ma poi ondulano (Foto dell’Autore)

Di tutto e niente

Servirebbe davvero esperire quello sforzo di esaurire un luogo che Georges Perec ha tentato con la scrittura. Per cui non ho fatto scatti. Ho tenuto tutto dentro, curiosando tra gli altri. Stando in solitaria curiosa contemplazione degli altri, ho riconosciuto quel sottile timore esausto di esser là da solo, in attesa, fugato finalmente dall’arrivo dell’altro, individuato e riconosciuto tra i tanti per strada. Cercavo anche io, senza costrutto né ingegno. Inutilmente. Non avevo nessun appuntamento, ma mi sono sentito felice per quelli osservati, quelli degli altri. Ho così rubato i ricordi degli altri sorridenti, tentando di ritrovarmici…

(Scatto dell’Autore)

Per ricordare

RIFLESSIONI

AI MARGINI DELLA MORTE DI RE GIORGIO ARMANI

Perché i funerali diventano sempre più motivo per porre al centro se stessi invece della persona scomparsa?

Di Minnie Luongo – giornalista medico- scientifica

Per ricordare

Èmorto Re Giorgio. Il 4 settembre, a 91 anni, è mancato un grande Over, famoso in tutto il mondo. Il NewYork Times gli ha immediatamente dedicato la copertina, con una sua foto di più anni fa.

Per ricordare

Di lui è stato detto tutto, ma a noi piace ricordare un’intervista del 1984, quando lo stesso Armani delineò le sue tre regole, sintesi di una filosofia duratura e raffinata

1) Conoscere profondamente se stessi e non camuffarsi , perché lo è stile autenticità, non maschera.

2) Saper scegliere il momento giusto per vestirsi in una certa maniera: il gusto è tanto questione di contesto quanto di gusto personale

3) Non farsi mai portare in giro dal vestito, ma portare in giro il vestito .. . Infatti, vestire è un atto di espressione, non di sottomissione.

Nel film del 1980 “American Gigolò” gli abiti firmati Armani indossati da Richard Gere hanno rappresentato una rivoluzione nel guardaroba maschile, soprattutto per le giacche destrutturate, i tessuti fluidi e i colori neutri.

Per ricordare

Julia Roberts al Golden Globe del 1990 con un completo da uomo grigio oversize di Armani.

Lo stesso giorno della morte di Giorgio Armani sui social avevo scritto alcune riflessioni che qui di seguito riassumo:

Sono perplessa. E amareggiata. Non ho mai capito gli applausi a un funerale (tutt’altra cosa i 24 minuti di applausi alla 82a Mostra del Cinema di Venezia per il cast del film dedicato alla bimba uccisa a Gaza), ma perché approfittare della scomparsa di Giorgio Armani per postare una foto CON lui? È esattamente ciò che si scontra con l’idea di sobrietà e di rigore propria di Armani. E invece tutti a cercare immagini scattate assieme, a riferire (per sentito dire) episodi della sua vita, a citare poesie, ricordi, addirittura brani- scritti o musicali- in cui si è fatto il suo nome. Mi chiedo: se il povero Rino Gaetano fosse sopravvissuto ai tantissimi personaggi famosi elencati nella sua celeberrima canzone, si sarebbe comportato così?

E allora un riconoscimento sincero alla classe di Mauro Cervia, il “veterinario dei vip”- come viene chiamatoper aver scritto sui social questo semplice post.

Per ricordare

Lui che per anni, assieme ad Armani a Pantelleria, ha dedicato le proprie vacanze a sterilizzare tanti cani randagi. Lui che con un collega ha fondato Amoglianimali Onlus. Ricordate la fortunata campagna pubblicitaria in cui Re Giorgio diceva “Abbandonare gli animali non è di moda”? Ecco, era sua, lanciata e promossa da Armani in primis. Onorata di averlo come amico (ci conosciamo da 40 anni) oltre che come Vet (pur essendo io tutto meno che una vip) e come collaboratore illustre di questa rivista (con la sua rubrica Amoglianimali, ndr). Armani avrebbe senz’altro apprezzato il commiato di Cervia. P.S. Luna è l’adorabile cagnolina del dott. Cervia, mancata meno di un mese fa.

Re Giorgio, oltre ad amarli, si prodigava concretamente per gli animali.

Davanti a una persona cara che muore sono sufficienti poche parole sentite e un breve inchino.

Leone ascendente giornalista

QUEL “6 ORIZZONTALE, 8 CASELLE” INSEGUITO DAL CERVELLO CHE VUOLE RIMANERE GIOVANE

Un

doveroso omaggio a una amica fedele da oltre 90 anni

Di Luciano Ragno – giornalista

Quei quadratini bianchi e neri che viaggiano assieme a una matita e una gomma. In gioventù l’attesa di un treno che non arriva e la compagnia in un pomeriggio pieno di noia.

E un giorno, quando i capelli imbiancano, diventano amici . Quelli che ti sono venuti a trovare ma non hanno suonato il campanello Che ti hanno parlato e tu hai risposto Questa volta nel silenzio E scopri che le ore sono andate via in un attimo . Ed è tempo di accendere la Tv perché c’è il TG . O di andare a tavola . Sono le parole incrociate che cancellano la solitudine . E mantengono giovane il cervello .

Sì, perché sono amiche della mente. Parola del prof. Renato Dulbecco, Nobel della Medicina per la mappatura del genoma umano.

Leone ascendente giornalista

Metà anni ’80 Una mattina nel salotto del Nobel, a La Jolla, in California, in riva a un Pacifico che brilla come il mare di casa nostra. Forse per questo alla via hanno imposto il nome Capri. Un lungo colloquio. L’intervista per il “ Messaggero” è sui progressi della Scienza, soprattutto nella cura della Salute. E la sua vita da scienziato.

Poi, quasi in chiusura, la domanda che ho sempre in mente e sempre in cerca di una risposta chiara, preoccupato di quando, vecchio, forse non potrò conservare la mia grande voglia di conoscere :

Professore, come si mantiene giovane il cervello? Ogni volta che ai suoi colleghi pongo la domanda mi rispondono: vita regolare, no al fumo, occhio all’alcol, senza eccessi. Ma c’è un segreto?

Renato Dulbecco non risponde. Si alza e va al pianoforte. Suona Chopin. “La musica, quella ricerca della melodia e quel riconcorre le note fanno fare al cervello una ginnastica che il resto del corpo raggiunge in

Renato Dulbecco, premio Nobel per la Medicina nel 1975

Leone ascendente giornalista

palestra. Sudando. E nello stesso tempo lo tranquillizza”.

Professore, è un mio sogno sedere davanti a quel pianoforte ma non ho avuto il tempo di studiare musica. E allora, il giorno che lascerò la professione di giornalista, come inviterò il mio cervello a fare ginnastica?

“Chieda aiuto ai quadratini bianchi e neri Una pagina al giorno delle parole incrociate La ricerca di una risposta, andando a cercarla in un ricordo di scuola, in una notizia di un giornale o sentita alla radio, in un libro letto tanto tempo fa . Il cervello insegue quella parola, l’afferra e la propone alla matita . Tante volte di seguito E’ la ginnastica dei neuroni Non è la risposta giusta? C’è la gomma in aiuto Altro tentativo, altro inseguimento del cervello alla risposta di quel’6 orizzontale, otto caselle’ ” .

Professore, poi c’è la soddisfazione di aver riempito ‘6 orizzontale, otto caselle… “Proprio così, l’appagamento, è un ‘farmaco’ che la mente gradisce molto . Ovviamente la persona avanti con gli anni non deve dimenticare altri grandi amici del cervello : vita regolare, sana alimentazione e movimento” .

Sono passati tanti anni. Renato Dulbecco aveva ragione. Studiosi dell’ “Albert Einstein College of Medicine“ di New York hanno condotto uno studio che conferma il ruolo dell’enigmistica nel mantenimento della giovinezza del cervello. Per cinque anni hanno seguito cinquecento anziani. La conclusione è veramente sorprendente: chi risolve quattro volte a settimana un cruciverba ha un rischio quasi dimezzato di ammalarsi di demenza senile rispetto a chi si dedica a questo tipo di attività una volta a settimana o più raramente.

Non è il solo studio . Ce ne sono diversi come quello dei ricercatori della “University of Exeter Medical School” e del “King’s College London”. Hanno sottoposto 17mila over 50 a dei test cognitivi, riscontrando migliori performance nelle persone che si dedicano regolarmente all’enigmistica, tanto che le loro funzioni cerebrali risultano 10 anni più giovani rispetto all’età anagrafica.

Quante conferme negli anni delle sagge parole del Nobel Dulbecco . Le ho sempre tenute a mente e un giorno, quando gli stimoli della professione del giornalista che racconta il mondo andando a vedere di persona sono diventati il passato, ho invitato il mio cervello all’inseguimento di quei quadratini in bianco e nero . E ancora li inseguo per dare la risposta al “6 orizzontale , 8 caselle” .

E la giornata trascorre . Come dice Paolo Conte in “Sotto le stelle del Jazz” : “ Nel tempo fatto di attimi e Settimane Enigmistiche”

Quando è nato il cruciverba

Dopo tanti elogi all’enigmistica, a chi dare il merito della scoperta? Un salto indietro: il cruciverba, che si chiamava crossword , fu inventato (anche se i pareri sono discordi) agli inizi del secolo scorso da Athur Wynne, curatore della sezione enigmistica del “Fun”, supplemento domenicale del “New York World”.

In Italia invece è il 1932, esattamente il 23 gennaio, quando in edicola arriva la “Settimana Enigmistica”fondata dall’ingegner Giorgio Sisini – composta da 16 pagine, al prezzo di 50 centesimi di lire e con in prima

Leone ascendente giornalista

pagina l’immagine dell’attrice messicana Lupe Vélez. Viene pertanto pubblicata da oltre 90 anni, con le sole interruzioni dei numeri 607 e 694, rispettivamente del 1943 e del 1945, entrambe a causa degli eventi bellici in corso.

Oggi la veste tipografica della rivista prevede 48 pagine. L’ultimo restyling risale al 1995, quando fu introdotto il colore per alcuni giochi. In copertina viene sempre ospitato un cruciverba con l’immagine di un personaggio appartenente al mondo dello spettacolo, della musica, del cinema, del teatro, dello sport. Attualmente la Settimana Enigmistica , che esce ogni giovedì, costa 2,80 € (l’abbonamento annuale è di 93 €).

Una curiosità: il personaggio raffigurato è di sesso maschile sui numeri pari, femminile invece sui numeri dispari. Altra curiosità: anche la frase di presentazione è legata all’alternanza tra numeri pari e dispari, e può quindi essere “La rivista che vanta innumerevoli tentativi d’imitazione!”, oppure “La rivista di enigmistica prima per fondazione e per diffusione”.

Il primo numero de La Settimana Enigmistica, 23 gennaio 1932

“RELIC”, QUANDO IL MOSTRO È L’OBLIO

Raccontare la malattia trasformandola in un’esperienza unica che la regista di questo film riesce a trasmettere agli spettatori

Di Edoardo Rosati – giornalista medico- scientifico

Le tre protagoniste di RELIC nella locandina del film

Edna è una signora anziana. Vive solitaria nella sua casa di campagna. E un giorno svanisce nel nulla. Quando la figlia Kay e la nipote Sam arrivano per cercarla, trovano una dimora punteggiata da indizi sinistri: bigliettini sparsi ovunque, incrostazioni marcescenti che si allargano come ferite sulle pareti, rumori che si insinuano nel buio… Poi, di punto in bianco, Edna ricompare, come se nulla fosse accaduto. Ma non è più lei: a volte non riconosce le persone che ama, oscilla tra brevi lampi di dolcezza e repentini scatti di rabbia feroce e parla di un’oscura presenza che, dice, l’avrebbe aggredita in casa, approfittando della sua fragilità e solitudine. Intanto l’abitazione stessa sembra trasformarsi, e imprigionare i suoi ospiti, tra corridoi che si allungano, pareti che si contraggono e stanze che si moltiplicano…

È a dir poco eccezionale che un film horror accenda emozioni così profonde da strapparti lacrime di commozione autentica . Eppure, ho pianto . Perché questa pellicola australiana, Relic (2020), debutto alla regia di Natalie Erika James, che all’apparenza maneggia i codici tipici del cinema dello spavento, è una parabola struggente sulla malattia, sull’Alzheimer che, come un parassita invisibile, corrode non solo la mente di chi ne è colpito, ma anche i legami che lo circondano . Ho pianto davanti alla lenta dissolvenza di una madre, alla fragilità dei legami che il tempo e la degenerazione sfilacciano .

Ci sono film che affrontano la malattia a viso aperto, altri invece scelgono di raccontarla attraverso metafore, simboli e visioni immaginifiche. Relic appartiene a questa seconda via, e ci riesce con un coraggio raro : trasfigura l’Alzheimer in una storia di fantasmi e labirinti, senza mai smarrire il cuore più lacerante, quello di una persona che, lentamente, si dissolve agli occhi di chi le vuole bene . Edna, la madre che mostra segni di smarrimento e comportamenti inquietanti, diventa il centro di un dramma che non riguarda solo lei, ma anche Kay e Sam, figlia e nipote. Attraverso i loro occhi lo spettatore osserva i segni della decadenza, ma ne sperimenta pure le conseguenze emotive: la paura, la rabbia, il senso di colpa, l’impossibilità di arrestare l’inevitabile.

La casa, nucleo pulsante della narrazione, è molto più di un semplice scenario. Con i suoi passaggi che si chiudono, le stanze che si deformano e le patine corrose sui muri, si trasfigura fino a farsi corpo tangibile della malattia. Un luogo sicuro e confidenziale si trasforma in incubo soffocante, specchio della mente che si deteriora. E della memoria che evapora. Ciò che era familiare diventa ostile, come accade nella percezione di chi non riconosce più i propri spazi, gli oggetti, i ricordi intimi. Perché il vero “male” che infesta quelle mura domestiche non è un’entità sovrannaturale: è la testa di Edna che si sta sbriciolando.

Così, Relic non si accontenta di narrare l’Alzheimer : lo trasforma in un’esperienza che lo spettatore sente sulla propria pelle .

Tuffiamoci, allora, per qualche secondo nei ricordi illuminanti e sofferti della regista. «Da bambina ero piuttosto paurosa», racconta la cineasta trentacinquenne. «Passavo le estati in Giappone, e ricordo con tenerezza quei giorni lenti e assolati: il ronzio incessante delle cicale, le corse in bicicletta lungo i fragili argini delle risaie con i miei cugini, le fette spesse di anguria che mia nonna ci porgeva con un sorriso. Ma di notte, quella grande casa antica mi incuteva un timore sottile. Immaginavo presenze disturbanti annidate nelle stanze inutilizzate al piano di sopra, tra mucchi di oggetti dimenticati e cimeli di famiglia. Ogni volta che, a mezzanotte, percorrevo il corridoio per andare in bagno, lo facevo con il cuore in gola e i piedi nudi che correvano rapidi, appiccicosi contro le assi di legno. Che quella bambina così timorosa sia poi cresciuta per diventare regista di un film horror sorprende persino me stessa! Più di dieci anni dopo, quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura di Relic proprio in quella casa, lo stesso senso di paura era lì ad aspettarmi . Ma stavolta affondava le sue radici in qualcosa di terribilmente reale : il lento declino di mia nonna, la sua memoria che La regista Natalie Erika James

sfumava con l’avanzare dell’Alzheimer . Era arrivata al punto di non ricordare più chi fossi, e in quegli occhi che per tutta la vita mi avevano guardato solo con amore, improvvisamente si accendeva uno sguardo estraneo, freddo, quasi ostile. Un dolore nudo e alieno. Sono rimasta profondamente toccata dal numero di persone che, dopo aver visto Relic , mi hanno scritto per raccontarmi la loro storia. Alcuni hanno detto che il film li ha fatti sentire “visti”, compresi nella loro esperienza. Per me questo è stato il segnale più forte: quanta sofferenza può amplificarsi dentro i confini solitari della nostra mente, e quanto può invece attenuarsi grazie alla comprensione e alla compassione degli altri».

La metamorfosi di Edna corre veloce verso il punto di non ritorno: come vuole la grammatica del cinema horror, il corpo si deforma, diventa “mostro”. L’angoscia esplode in quello sguardo spento, nell’erosione dell’identità, nel vuoto che separa madre e figlia, nel dolore di non riconoscere più chi si ha davanti. Ma è proprio qui che arriva la svolta inattesa, perché quando Edna, ormai irriconoscibile, smarrisce ogni residuo di umanità, Kay compie il gesto più radicale: non la respinge, la abbraccia. In quell’atto di contatto estremo, l’orrore si incrina. E lascia spazio all’amore. Non c’è più un nemico da ricacciare: solo una madre che ha perduto se stessa, ma non la sua dignità di essere accudita. La resa non è alla malattia, ma alla compassione. Un ribaltamento che trasforma il brivido d’angoscia in pura commozione.

«Non possiamo fuggire dall’invecchiamento e dalla morte : è il corso naturale delle cose», commenta la giovane regista «Le persone che amiamo diventeranno fragili e un giorno ci lasceranno E infine, accadrà anche a noi . Ma c’è un potere autentico nella connessione, nell’essere visti e riconosciuti dagli altri. Capire di non essere soli è uno dei modi più profondi per imparare a convivere con ciò che più ci spaventa».

Guardare Relic significa misurarsi con il volto più oscuro e straziante dell’Alzheimer, ma anche riconoscere che dentro quel buio c’è spazio per un amore diverso , trasformato, persino più puro. Questo film, che continua a seguirti anche dopo i titoli di coda, è, in definitiva, una delle opere più potenti sul dolore della memoria che appassisce e sul coraggio di restare accanto a chi amiamo mentre a poco a poco scivola via. Non un semplice horror, ma un canto cupo e luminoso insieme: la testimonianza che anche quando la mente crolla, il legame può resistere. A patto di di anteporre, fino all’ultimo, l’empatia alla paura.

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