











Via XXV Aprile n. 1/a – 25035 Ospitaletto (BS) - Tel. 030.7282736 – Fax 030.7282788 Responsabile: Paolo Corradi - Cell. 335.1865690 - E-mail: paolo.corradi@fraternita.coop
Via Sardello n. 19 – 25079 Nozza di Vestone (BS) - Tel. 030.7282762 – Fax 030.7282798 Responsabile: Enrica Bertini - Cell. 334.6810859 - E-mail: enrica.bertini@fraternita.coop
Via Trepola n. 197 – 25035 Ospitaletto (BS) - Tel. 030.7282731 – Fax 030.7282786 Responsabile: Antonio De Pani- Cell. 335.1408782 - E-mail: antonio.depani@fraternita.coop
Viale Italia n. 26 - 25126 Brescia Responsabile: Ilaria Pasinelli - Cell. 388.5765174 - E-mail: ilaria.pasinelli@fraternita.coop
Via Trepola n. 195 – 25035 Ospitaletto (BS) - Tel. 030.7282728 – Fax 030.7282785 Responsabile: Ivana Carini - Cell. 334.6810809 - E-mail: Ivana.Carini@fraternita.coop
Via Trepola n. 195 – 25035 Ospitaletto (BS) - Tel. 030.7282728 – Fax 030.7282785 Responsabile: Elena Romano - Cell. 334.6810809 - E-mail: elena.romano@fraternita.coop
Via Della Tecnica n. 36 – 25039 Travagliato (BS) - Tel. 030.7282756 – Fax 030.7282799 Responsabile: Giovanna Lobba Cell. 335.6194556 - E-mail: giovanna.lobba@fraternita.coop
Viale Italia n. 26 - 25126 Brescia - Tel. 030.7282726 Responsabile: Ilaria Pasinelli - Cell. 388.5765174 - E-mail: ilaria.pasinelli@fraternita.coop
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Via della Tecnica n. 38 – 25039 Travagliato (BS)Responsabile: Giulia Foccoli - Cell. 349.5907803 - E-mail: giulia.foccoli@fraternita.coop
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Via della Tecnica n. 38 – 25039 Travagliato (BS)
Responsabile: Giulia Foccoli - Cell. 349.5907803 - E-mail: giulia.foccoli@fraternita.coop
Via Negri n. 2/a – 25050 Ome(BS) - Tel. 030.7282765-766 – Fax 030.7282795
Coordinatrice: Laura Piemonti - E-mail: laura.piemonti@fraternita.coop
Via Bettinzoli n. 5 – 25125 Brescia - Tel. 030.7282746-748 – Fax 030.7282792
Coordinatore: Emanuele Frugoni- E-mail: emanuele.frugoni@fraternita.coop
Via Quarena n. 10 – 25081 loc. Macesina Bedizzole (BS) - Tel. 030.7282775-6 – Fax 030.7282777
Coordinatore: Mauro Ghilardi - E-mail: mauro.ghilardi@fraternita.coop
Via Antica strada Mantovana n. 110 - 25124 Brescia
Coordinatore: Enrico Fregoni - E-mail: enrico.fregoni@fraternita.coop
Via J.Fitzgerald Kennedy n. 67/a - 25010 Visano (BS) - Tel. 030.9523984
Coordinatore: Stefania Guerini - E-mail: stefania.guerini@fraternita.coop
Via I Maggio n. 3 – 25035 Ospitaletto (BS) - Tel. 030.7282743 – Fax 030.7282785
Coordinatore: Simona Duina - Cell. 335 1865685 - E-mail: simona.duina@fraternita.coop
Partiti quasi per caso, perché le regole regionali lo richiedevano, ci siamo affacciati al mondo della psichiatria così come la si definiva allora, per ritrovarci 22 anni dopo a fare i conti con la Salute Mentale, così come vengono definiti i servizi che il sistema Fraternità gestisce oggi.
Se è vero, come è vero, che le parole sono importanti, vorrei utilizzarne alcune per fissare i momenti e gli eventi che hanno contraddistinto il nostro percorso e per individuare verso quali scenari stiamo evolvendo.
Accreditamento, parola quasi sconosciuta nel 2000, è stata quella che per prima ha trasformato i nostri servizi. Non potevamo più inserire nelle stesse strutture persone con problematiche diverse, (tossicodipendenti, pazienti psichiatrici, detenuti, senza fissa dimora). In virtù di questa nuova formula magica tutte le persone dovevano essere incasellate al proprio posto, all’interno di servizi ad hoc. Altro cambiamento fondamentale è stato dover entrare nel mondo sanitario, visto fino ad allora come quell’ambito all’interno del quale venivano somministrati farmaci che intontivano le persone.
Questa evoluzione del sistema ha previsto inoltre l’acquisizione da parte degli operatori di competenze professionali specifiche (educatori professionali), non bastava più l’essere persone con grandi motivazioni ideali, aperte al prossimo e a chi si trova in difficoltà. Stavamo acquisendo nuove Professionalità.
Questa fase di adattamento è durata circa 10 anni, affinché Comunità Fraternità si assestasse nella propria azione e creasse una Filiera di servizi residenziali e semi-residenziali riconosciuti all’interno di un Unico Ente erogatore di una pluralità di servizi sanitari. Nel frattempo Fraternità Giovani si affacciava al mondo della Salute Mentale dei minori, attivando servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza intraprendendo la medesima strada percorsa da Comunità qualche anno prima, in un campo molto complesso e per nulla strutturato, se paragonato ai servizi di Salute Mentale per gli adulti.
L’ulteriore evoluzione del sistema si è poi orientata verso l’attivazione di servizi più vicini al territorio e connotati da una presa in carico di carattere domiciliare. Servizi che non si rifanno solo al Sistema Sanitario Nazionale ma che entrano in relazione con il Territorio, iniziando un dialogo anche con i comuni, uscendo dalla logica dei budget regionali. Nascono così per Fraternità Giovani il servizio “Piccole Pesti” e le progettualità degli sportelli di ascolto “Mind.Net”, “Origami” e “Ti Ascolto” mentre per Comunità Fraternità il Servizio “Spazio Off”, il laboratorio “Tecnica 38” e da ultimo il servizio “Tok Toc”.
A sconvolgere e complicare il tutto nel 2020 è arrivata la pandemia da Covid-19
Per le nostre cooperative questo periodo ha comportato un ulteriore carico gestionale, vuoi per le persone accolte presso le nostre strutture, vuoi per i loro familiari, vuoi per il nostro personale e vuoi per la sostenibilità delle nostre attività. Da questa situazione si è tentato di uscire contando sulla capacità del privato sociale di inventarsi soluzioni impensate, con la grande flessibilità di tutte le figure coinvolte nei vari processi.
Arrivati oggi alla gestione di una rete molto ampia di servizi, è necessario porci alcune riflessioni sul futuro, che sempre di più ci deve far sentire e pensare come un’Impresa Sociale.
Da un lato la consapevolezza del sistema all’interno del quale ci troviamo ad operare e dall’altro la necessità di lavorare per la sostenibilità economica dei nostri servizi, impongono un’attenta valutazione rispetto agli scenari futuri
verso i quali aprirci. Risulta ormai chiaro che la sostenibilità delle nostre realtà non può essere più garantita esclusivamente attraverso la copertura delle rette per l’accoglienza degli ospiti, da qui la necessità di pensare altre modalità di intervento da affiancare ai servizi primari che gestiamo. E’ necessario pensare ad un’evoluzione dei servizi residenziali, che sono da sempre i più onerosi per l’ente pubblico e di conseguenza, in un periodo di crisi come quello attuale, quelli più soggetti ad eventuali trasformazioni. Il cambiamento riguarda anche i servizi semiresidenziali, diversificando la tipologia degli interventi già presenti, ma anche ampliando la loro logica di azione (vedi interventi domiciliari, percorsi di sola psicoterapia, ecc…), integrandoli con tutte le attività da remoto che sono state pensate in questi mesi di pandemia.
Nella Sperimentazione di nuove modalità di intervento risultano ormai imprescindibili i finanziamenti da parte degli Enti Filantropici rivolti allo start-up di nuove progettualità, che inizialmente non sono in grado, da sole, di sostenersi economicamente, richiedendo un contributo fin tanto che non riescono a prendere piede. Il nostro obiettivo è integrarci con i servizi gestiti dagli Enti pubblici, al fine di abbattere le liste di attesa e attivare interventi tempestivi, nel rispetto del nostro ruolo e del nostro ambito di intervento.
Direttamente collegate alla sperimentazione entrano in gioco anche la Comunicazione, per dare evidenza di ciò che viene fatto e per formare e informare l’opinione pubblica relativamente a quella tipologia di disagio che rimane nell’ombra, fino a quando non diventa evidente a tutti (attraverso fatti di cronaca eclatanti) e la Digitalizzazione per velocizzare i processi e rendere tutto maggiormente fruibile in tempi brevi.
Tutto ciò è però possibile solo grazie, soprattutto nel Privato Sociale, alle Risorse Umane, capitale indispensabile, spesso dato per scontato. La strada da percorrere è quella dell’integrazione delle professionalità e dei valori, favorendo il ricambio generazionale e cercando di coniugare il più possibile la soddisfazione personale derivante dal lavoro quotidiano, con il benessere nei luoghi di lavoro.
In conclusione penso che ogni realtà del privato sociale debba fare un’evoluzione che la porti a vedersi e sentirsi non solo come un’emanazione del singolo servizio, ma come un sistema ampio, al cui interno interagiscono vari elementi connessi tra loro, nei quali la sostenibilità trova ragion d’essere nella solidità a vari livelli della Cooperativa stessa.
Da qui la necessità di infrastrutturare al meglio l’organizzazione, per avere un controllo puntuale e preciso delle proprie azioni, per programmare e finalizzare gli obiettivi che ci si pone.
Questo anche nella consapevolezza del ruolo esercitato dai nostri servizi, all’interno dei vari ambiti specifici in cui ci troviamo ad operare, nel tentativo di farci riconoscere come partner affidabili nell’espletamento di una Funzione Pubblica.
Buona fortuna FRATERNITA’ penso che il compito non sarà facile, ma partiamo da una buona base!
(Massimo Belandi)“
Fin dalla nascita del primo gruppo di amici, attorno a Giovanni e Beppe, si era soliti frequentare alcuni senza fissa dimora nel buio della stazione ferroviaria o superando la soglia dei manicomi, dei dormitori e del carcere della città…” (liberamente tratto da “Fraternità…una storia che continua”)
E nella prima comunità di via Trepola, si cominciano ad accogliere stabilmente gli “ultimi tra gli ultimi”, finché le normative lo hanno consentito.
Dal 2001 la cooperativa sceglie così di aprire la prima comunità dedicata interamente alla Salute Mentale. L’impresa è affidata ad alcuni operatori che hanno poi costruito la storia dei servizi della nostra cooperativa: Massimo Belandi come responsabile, Paolo Corradi, Antonio De Pani e Renzo Taglietti come educatori, Raffaella Marchetti come operatrice di supporto, Bruno Pelamatti come psicologo (lavorerà con noi solo qualche anno) e la dott.ssa Silvia Zanetti come formatrice e supervisore dell’equipe e il dott. Giacomo Filippini come Direttore Sanitario. Nasce così la cosiddetta “CPM”, comunità a media protezione psichiatrica ospitata, all’inizio, nell’attuale struttura del Frassino a Travagliato.
Anni intensi, difficili, alle prese con una materia complessa e con persone particolarmente fragili e sofferenti. L’equipe necessita di rinforzi nel tempo, anche perché pian piano si delinea la possibilità di aprire nuovi servizi per rispondere ai bisogni del territorio e, nel 2004, si avvia l’esperienza del Centro Diurno di Ospitaletto, intitolato a Giovanni Borghetti ed affidato alle mani sapienti di Antonio De Pani che lascia così la CPM. Ma non è ancora terminata l’evoluzione dei servizi che Comunità Fraternità vuole mettere a disposi-
zione della Salute Mentale e nel 2005 viene aperta la Bassa Protezione Psichiatrica, detta CPB, e viene affidata a Renzo. C’è posto per 7 persone e l’obiettivo è quello di ospitare i pazienti in appartamenti dove si possa sperimentare una quasi totale autonomia fuori dalle strutture solite.
A questo punto si delinea una filiera di servizi che è necessario presidiare e coordinare in maniera armonica, rispondendo anche alle mille questioni burocratiche previste dagli accreditamenti e viene chiesto a Massimo Belandi di prenderne la responsabilità e la CPM passa, allora, nelle mani di Paolo Corradi.
Nel 2006 la cooperativa inizierà anche l’avventura del Centro Diurno di Nozza, acquisendo l’accreditamento dalla “cooperativa sorella” Valle Trompia Solidale che l’aveva avviato a Marmentino.
Oggi l’intera area è accreditata per 60 ospiti, avendo dovuto chiudere la struttura a bassa protezione nel 2018 a causa di alcune modifiche legislative che non ne hanno più permesso la sostenibilità.
Gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2021, raccontano di un’area di tutto rispetto, fortemente impegnata sul territorio a dare risposte al disagio psichico e che conta al suo interno 37 figure professionali (tra dipendenti e collaboratori) divise in 3 equipe multi-disciplinari al servizio di 109 persone ospitate.
Ma è dal 2008 che, oltre a questi servizi interni, la cooperativa gestisce un cosiddetto progetto innovativo di cui siamo capofila, centrato sulla dimensione domiciliare, in stretta sinergia coi CPS della
provincia di Brescia ed in partnership con due importanti cooperative che si occupano di Salute Mentale: La Rondine e La Rete. Con i colleghi di queste cooperative, gestiamo un budget annuale che dà la possibilità di seguire al domicilio circa 30 persone l’anno. La bontà del progetto è testimoniata dal rinnovo annuale fino ad oggi e dall’aumento di budget avuto in questi ultimi due anni che dà la possibilità di seguire più persone.
In questo breve excursus, abbiamo potuto osservare come sia da oltre 20 anni che la nostra cooperativa si occupa stabilmente di persone adulte con disagi legati alla Salute Mentale. E non approfondiamo tutta l’evoluzione dei servizi legati al mondo della neuropsichiatria di cui si è fatta carico “Fraternità Giovani”, dal momento del suo distacco da Comunità Fraternità e grazie, ancora una volta, alla tenacia e alla determinazione di Massimo Belandi che è diventato nel tempo amministratore delegato e artefice di nuove progettualità sul territorio bresciano fino alla recentissima “Cittadella della Salute Mentale”.
Dal 2021 siamo tra i fondatori della Rete “Coontatto” che, dietro l’impulso di Confcooperative, ha dato vita alla prima Rete formalizzata in provincia di Brescia, tra le cooperative che gestiscono servizi per la Salute Mentale, con lo scopo di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria capacità competitiva in un mercato complesso ed in espansione al servizio delle persone con disagio psichico.
E, grazie al nostro Presidente, sediamo da anni al tavolo dell’Organismo di Coordinamento della Salute Mentale e delle Dipendenze (OCSMD) coordinato da ATS e volto a programmare e verificare le attività del settore. Inoltre, sempre il nostro presidente, ci rappresenta in Federsanità nazionale, federazione all’interno di Confcooperative
che rappresenta le cooperative che si occupano di sanità.
Insomma, c’è molto lavoro da fare e credo che, ripensando ai nostri fondatori, non potrebbero dirci altro che “Andate avanti che c’è ancora tanta gente che soffre e non ce la fa!” ed è con questo auspicio che chiudo queste poche riflessioni ringraziando sentitamente tutti coloro che fino ad oggi hanno cooperato affinché tutto quanto ricordato in queste righe si sia potuto realizzare e continui nella sua più efficace evoluzione a servizio degli “ultimi tra gli ultimi”.
(Renzo Taglietti)

La CPM Arcobaleno, servizio residenziale per pazienti psichiatrici adulti tra i 18 e i 65 anni, ospita circa 20 persone, di cui 3 nell’appartamento confinante.
L’ equipe è formata da diverse figure:
2 medici psichiatri,
1 psicologa,
4 educatori professionali,
1 tecnico della riabilitazione psichiatrica,

4 oss,
1 operatore generico,
1 cuoca.
L’equipe inoltre collabora strettamente con il corpo infermieristico, che si fa carico di tutta la parte sanitaria della cura del paziente, dalla preparazione della terapia, alle medicazioni quando necessario, fino all’accompagnamento alle visite sanitarie.
Il percorso è di massimo 36 mesi, durante i quali viene impostato un progetto personalizzato per ogni ospite, tramite sia da colloqui con lo psichiatra che con l’educatore, ma anche attraverso tante altre attività. Obiettivo di ogni nostro progetto è quello di restituire, in condivisione con i servizi invianti , alle persone accolte una vita sociale dignitosa e con le competenze necessarie ad un positivo ricollocamento sul territorio. Le attività sono varie e numerose, alcune organizzate e gestite all’interno di gruppo uditori voci, il laboratorio teatrale, la scrittura creativa, ma anche interventi volti all ne delle capacità lavorative quali il Laboratorio occupazionale
All’interno della comunità sulle capacità individuali di ogni singolo ospite, con biettivo di renderlo il più autonomo possibile in tutti gli ambiti della vita quotidiana zienti selezionati svolgono un affiancamento alla cuoca, fino alla pulizia dei propri spazi di vita.
Ma ci sono anche la pet terapy, presso un centro di addestramento cinofilo con sede vicino alla comunità, o l’attività del verde.
Ove possibile affianchiamo gli ospiti in un percorso lavorativo, dalla ricerca di un posto di lavoro, avvalendoci del supporto di agenzie per il collocamento, alla formazione, fino al supporto durante il periodo di lavoro vero e proprio, interfacciandoci con le aziende per monitorarne l’andamento.
Durante il giorno e nei fine settimana vengono concessi permessi di uscita, giornalieri o con pernottamenti, affinché gli ospiti possano muoversi liberamente sul territorio e/o tornare a casa dalla famiglia.
Per chi non può usufruire dei permessi vengono organizzate uscite di gruppo con l’operatore.
Quando invece non ci sono attività né uscite in programma, si cerca di affiancare i pazienti nella gestione della quotidianità, anche solo passando qualche momento con loro, condividendo un caffè.
(Gabriele Pasotti)Antonio De Pani ci racconta le motivazioni che hanno mosso la Cooperativa ad aprire nel 2004 un servizio semiresidenziale come il Centro Diurno Psichiatrico Borghetti.
L’idea è nata dal bisogno di accogliere persone con problematiche psichiatriche nelle fasce orarie diurne. Esistevano all’epoca dei Centri Diurni pubblici, ma potendo accogliere un numero limitato di persone ed essendo afferenti al territorio della città di Brescia restava totalmente scoperta la provincia.
In stretta collaborazione con Massimo Belandi, Antonio inizia a progettare come dovrebbe essere un centro diurno sia dal punto di vista strutturale, che della proposta educativa.
Questa fase è durata un anno, tra carte da produrre e autorizzazioni da ottenere e il Centro Diurno viene inaugurato a febbraio 2005.
In principio il servizio accoglieva persone da tutta la provincia, negli anni si è poi capito che era una dispersione di energie enorme andare tutti i giorni a prendere i pazienti residenti in Comuni troppo lontani da Ospitaletto, veniva infatti tolto tempo alle attività educative svolte.
Tutte le persone che vogliono frequentare il Centro Diurno devono essere segnalate dal CPS di appartenenza, attualmente la maggior parte dei pazienti ha residenza nei paesi limitrofi ad Ospitaletto (Travagliato, Castegnato, Paderno). Per Comunità Fraternità, che fino ad allora aveva gestito principalmente servizi per adulti maschi, l’aspetto maggiormente innovativo è stato accogliere anche le donne.
Il centro diurno è aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 8.30 alle ore 20.30 e il sabato dalle ore 9.00 alle 13.30, ma se fossimo aperti anche la domenica le persone continuerebbero a frequentare il servizio, perché il Centro è punto di riferimento e in caso di solitudine o malessere, le persone, vengono al Borghetti anche se non è il loro giorno stabilito. Non ci piace
essere rigidi di conseguenza accogliamo e ascoltiamo la persona.
Ricorda Antonio che le attività proposte, in principio, erano centrate sui laboratori occupazionali, come mezzo per riportare l’individuo un po' al concetto di normalità.
Li portavamo in serra a lavorare, ma il risultato era che “io lavoravo e loro dormivano sui bancali”.
Attualmente le attività proposte sono: - counseling (in epoca COVID da remoto); - attività interne di piccolo gruppo; - attività esterne individuali o di piccolo gruppo; - collaborazione con enti e organizzazioni di volontariato, associazioni.
Il Counseling risulta uno strumento efficace per mantenere l’aggancio terapeutico e la fiducia in termini di continuità nella relazione educativo-terapeutica. L’equipe utilizza questo strumento anche per il triage preingresso, nel caso in cui non sia possibile una partecipazione vis a vis.
Le attività interne invece rispondono ad esigenze diverse: di risocializzazione, espressive, informative, consulenziali e psicologiche. Vengono effettuate all’interno del Centro Diurno, con un setting a cadenza settimanale e condotte da educatori professionali, dall’assistente sanitaria e/o dallo psicologo. Comprendono: il cineforum, il forum sportivo, il gruppo psicologico-relazionale, l’attività di musica, il pasto insieme, le riunioni generali.
Le attività territoriali rispondono ad esigenze motorie, risocializzanti, riabilitative, occupazionali, antistigma, educative ed informative e si espletano all’esterno della sede di Ospitaletto. Comprendono le uscite sul territorio sia individuali sia di piccolo gruppo, la montagnaterapia, l’arteterapia, il laboratorio occupazionale, il teatro, il gruppo uditori di voci.
L’equipe collabora da diversi anni con un gruppo di mutuo aiuto per i familiari di utenti con problemi di Salute Mentale.
I familiari si trovano con cadenza mensile nella sede del Centro Diurno per sostenersi e guidarsi. Collaboriamo inoltre con un gruppo di volontariato concordando interventi e modalità.
Un’attività molto richiesta, obbligatoriamente sospesa durante il Covid, è la vacanza al mare, pensata per unire maggiormente il gruppo sia degli ospiti, che degli operatori. Inoltre quando sei in un altro ambiente e non al Centro Diurno dietro la scrivania, entri in una dimensione di parità come quando si va in montagna, in salita, ho il fiatone io come loro.
Mancano molto i momenti conviviali che organizzavamo due volte all’anno (Natale e Pasqua) in cui venivano invitati i parenti dei pazienti e si pranzava tutti insieme o anche i momenti di scambio con le altre strutture di Comunità Fraternità.
Riesci a coinvolgere le persone se credi in quello che fai, se una cosa non ti interessa difficilmente le persone ti seguono.

Eccomi qui, sono il Centro Diurno Psichiatrico di Nozza e mi chiamo “Stella del Mattino”, nome che mi piace molto perché spero sempre che la mia luce possa aiutare a prendere la strada migliore.
In una quindicina d’anni ho accolto più di cento pazienti, persone con il loro passato, con le loro fragilità e i loro punti di forza, con le loro paure e le loro particolarità…di sicuro ognuno UNICO!!!
L’equipe che si occupa di me e dei miei ospiti è composta da 6 educatori professionali, uno psicologo e un medico psichiatra e lavorano in sinergia cercando di rendere il progetto il più completo possibile.

La giornata al centro diurno inizia con il momento dell’accoglienza e un buon caffè…spesso accompagnato da un dolcetto. Durante la mattina viene svolta un’attività riabilitativa, si va a pranzo al ristorante (momento molto importante per tutti!!!) e nel pomeriggio gli ospiti partecipano a un’altra attività fino a quando vengono riaccompagnati a casa dagli operatori. Le attività svolte sono numerose, alcune fisse che si svolgono tutto l’anno come l’attività di cucina, il gruppo relazionale, il beauty, l’attività di musica, la gita, l’attività culturale, l’eduplay, le varie attività ludiche, le uscite sul territorio e le passeggiate. Altre attività sono periodiche e/o vengono svolte saltuariamente: il gruppo montagna, il laboratorio di scrittura, l’arteterapia, varie attività didattiche con gli animali, ginnastica dolce, Nordic Walking, gruppo corale, bocce, Tai chi…se non ne menziono alcune è perché la mia memoria storica comincia a vacillare.
Agli operatori piace molto sperimentare nuove attività, accogliere le proposte degli ospiti in base alle loro attitudini e far sì che possano favorire il progetto riabilitativo individuale. Infatti, più volte sono state inserite attività ad hoc per la singola persona. Dopo tanti anni osservo ancora con interesse e passione il percorso che ogni paziente vive, qualcuno che, purtroppo, si arrende velocemente, prima ancora di capire che potrebbe essere aiutato, qualcuno che viene affiancato per un periodo e poi continua con le proprie
gambe, altri che sono qui dalla mia nascita e che ormai fanno affettuosamente parte del patrimonio del centro diurno… “i nostri pilastri”!!!
Negli anni ho visto nascere anche delle belle amicizie, più o meno durature, ma che hanno di sicuro aiutato a sentirsi meno soli e hanno contribuito al raggiungimento di obiettivi molto importanti.
Quante emozioni vengono vissute qua dentro, consapevoli o meno, alcune analizzate, descritte, raccontate, altre rappresentate da silenzi eloquenti.
I giorni non sono tutti uguali, a volte la sofferenza di un ospite contagia un po’ tutti ed è qui che gli operatori cercano in vari modi di accogliere questo malessere e di confortare gli ospiti attraverso varie modalità: un colloquio, una chiacchierata in compagnia, proponendo un’attività che possa distrarre, scaricare o rilassare a volte anche solo una pacca sulla spalla, un abbraccio o semplicemente cercando e riuscendo a fare una risata. Ecco proprio con queste vorrei concludere ci sono giorni sereni e leggeri in cui l’ilarità prende il sopravvento e sono proprio quei momenti fatti di sorrisi e di complicità che danno la forza di andare avanti e la voglia di prendersi cura dell’altro e di sé stessi.
Camminando tra le nuvole “Da soli si cammina veloci, ma insieme si va lontani” Nel mezzo del cammin di nostra vita ci ritrovammo a camminar tutti insieme lungo un sentiero di montagna, tra una risata, un po' di fatica e della buona compagnia. È iniziata così, quasi per scherzo per sfuggire alla frustrazione che le limitazioni del Covid-19 hanno portato con sé, fino a diventare poi un piacevole appuntamento fisso. L’amore e la passione per la montagna, insieme a tutti i benefici che essa porta con sé, hanno favorito così la strutturazione di un Gruppo di Montagnaterapia all’interno del Centro Diurno Borghetti di Ospitaletto.

Se inizialmente gli effetti di tale tipologia di intervento emergevano in primis dalla pratica clinica, oggigiorno, le direttive di buona pratica spingono sempre di più verso l’individuazione di effetti positivi e concreti, motivabili tramite ricerche ed evidenze scientifiche chiare. Ed è grazie a tali evidenze quindi che oggi possiamo sottolineare come la montagnaterapia incida su diverse aree di vita della persona:
Salute fisica apporta benefici allo stato di salute in quanto l’attività fisica permette di contrastare l’aumento di peso, le patologie croniche come il diabete, le malattie cardiovascolari e la sindrome metabolica, patologie maggiormente diffuse nei soggetti con un disturbo psichiatrico rispetto alla popolazione generale .
Il termine “Montagnaterapia”, coniato in primis dallo psicologo Giulio Scoppola nel 1999, indica un approccio a carattere terapeutico-riabilitativo, finalizzato alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, siano esse psichiatriche, fisiche, emotive e cognitive. Ad oggi, con il passare di un paio di decenni, la montagnaterapia è diventata una pratica presente e attuale che si pone come obiettivo globale quello di migliorare il benessere psico-fisico delle persone affette da questo tipo di patologie.
Salute psicologica Agisce positivamente sullo stato di Salute Mentale in quanto l’attività fisica svolta e lo sforzo fisico riferito favoriscono la riduzione di tensioni emotive, ansie specifiche o stati depressivi presenti. A tal proposito le neuroscienze hanno dimostrato che gli effetti psicologici benefici apportati dal movimento sono dati attraverso due meccanismi: neuroplasticità (si può rigenerare il collegamento tra i vari neuroni), e il sistema della ricompensa (liberazione di endorfine e endocannabinoidi). In tal senso quindi, l’attività fisica può favorire un decorso della malattia più favorevole, riducendo i sintomi psichiatrici e le disfunzioni cognitive associate a tale condizione .
Consapevolezza sul sé Favorisce la promozione di uno stile di vita sano e una maggiore attenzione alla cura di sé e all’ascolto del proprio corpo e dei propri limiti. Consente di confrontarsi con i propri limiti in un ambiente inusuale: la fatica, il timore dell’esposizione, il freddo – senza
che questo comporti un reale pericolo. Ciò permette delle importanti acquisizioni in termini di autostima e autoefficacia.
Reinserimento nell’ambiente naturale Favorisce la ripresa di contatto con l’ambiente naturale, relativamente incontaminato, in contrasto alle condizioni di isolamento o limitato contatto con l’ambiente esterno delle persone con tali problematicità
Sfera sociale Consente, tramite il contesto della montagna, di sviluppare un’esperienza “diversa”, sia nel gruppo degli utenti sia nella relazione con gli operatori, aspetto che favorisce il supporto reciproco e la condivisione di gruppo, agendo indirettamente sulla sfera sociale della persona. Alla luce di tali effetti, il gruppo di montagnaterapia si colloca quindi come intervento volto a migliorare l’area della cura di sé, le reti sociali e l’autostima, affiancando i trattamenti farmacologici, psicologici e/o educativi in atto.

Caldoline, Monte Guglielmo, Vaghezza e il Lago Moro sono solo alcune delle mete che abbiamo percorso. Passo dopo passo si procede entrando in sintonia con la natura: dai funghi nella stagione autunnale ai fiori in quella primaverile, dall’acqua delle fresche sorgenti alla neve incontaminata. Ognuno va alla ricerca di quell’inconfondibile sensazione di leggerezza e intensità che solo quei particolari odori e profumi, sfumature di colori e suoni, riescono a donare.
Ecco quindi che il contatto con la natura diventa man mano parte integrante del percorso e tappa fondamentale per avere piena consapevolezza del proprio corpo e delle proprie emozioni, elementi che spesso vengono compromessi dalla presenza di un disturbo psichiatrico.
Il gruppo di Montagnaterapia si svolge settimanalmente, senza interruzioni durante l’anno. Ad oggi infatti, le temperature stagionali non hanno rappresentato un limite alla voglia di andare: cambiano le mete, l’altitudine e il tragitto, ma che sia in maniche corte per il torrido caldo estivo o con cuffia e giacca-vento per il freddo invernale, siamo sempre pronti a camminare. Santa Maria del Giogo, Colle di San Zeno, Cima
Ed è così che si parte. Ritrovo, ogni settimana, il giovedì mattina. Zaini in spalla, contenenti i panini per il pranzo, a volte tanta voglia di camminare e altre un po’ di stanchezza. Ma in ogni caso si parte. Un colpo d’occhio al meteo e insieme si sceglie la meta. Arrivati, all’inizio del nostro sentiero, carichiamo gli zaini in spalla, fumiamo l’ultima sigaretta prima di riempire i polmoni di aria e ci incamminiamo. Ognuno ha il suo passo, ognuno la sua andatura: c’è chi ingrana la marcia e cammina a passo lesto, chi va piano piano ma non si ferma mai e chi si ferma ogni tanto per guardare alle spalle quanta strada ha già percorso. Poco importa, perché alla fine ci si ritrova sempre, non ci si sente soli, non ci si sente più lenti rispetto agli altri perché il supporto del gruppo non manca mai. Camminando nel silenzio della montagna i discorsi assumono un valore diverso, i pensieri ansiogeni di ognuno occupano uno spazio definito e camminando vengono “lasciati indietro”. Si va oltre, la testa è più leggera e le spalle si rilassano, nonostante il peso degli zaini. Si ride, si canta, si scherza e si ascolta, ma pian piano si arriva alla meta. In montagna si abbattono muri, differenze di pensiero, si riducono pregiudizi e si migliora la socialità. E questo avviene in maniera naturale senza alcun tipo di forzatura.
La fatica c’è e a volte è più pesante, ma è condivisa:
salire non è solo un’ascesa fisica ma anche progresso nel percorso di salute e benessere. È così quindi che si affrontano insieme ogni passo e ogni salita, ripida o meno che sia, si cammina per arrivare in cima, per gustarsi il sapore dell’arrivo e cercare una sensazione di benessere migliore.
Arrivati quindi in cima ci concediamo una pausa pranzo: a volte c’è un tavolo e qualche panchina a disposizione, altre volte si improvvisa e ci si accontenta di una modalità un po' più spartana.
Poco importa il luogo: tra un racconto e una barzelletta si imbottiscono i panini, si mangia un frutto e ci si gusta un caffè caldo. Si condivide il momento in compagnia, di fronte al panorama che lo sforzo ha permesso di poter ammirare. Alla fine di un momento di pausa, tra una sconfitta e una rivincita a briscola, si caricano gli zaini in spalla e si riparte. Pian piano quindi ci si rimette in cammino, si riprende il sentiero.
Al ritorno gli zaini sono più leggeri e senza rendercene conto lo siamo un po' anche noi. Alle spalle le orme della strada fatta e le angosce quotidiane scivolate via, davanti l’arrivo: per qualcuno è il momento più sperato, per altri è la fine di una giornata di leggerezza e spensieratezza. Anche oggi quello che sembrava irraggiungibile è stato raggiunto, anche oggi un piccolo ostacolo è stato superato ed è un passo in più verso la ricerca di uno stato di benessere migliore.
rivo, ma acquista un valore metaforico: diventa il successo, il raggiungimento di un obiettivo, ma anche la fatica, la sofferenza e il sacrificio per raggiungerla. Nonostante la montagna possa rappresentare un ambiente duro e privo di comodità, viene qui sfruttato a fini terapeutici per migliorare la qualità di vita delle persone più deboli. È forse in questo suo contrasto apparente che si può leggere questo particolare approccio di vivere la montagna: ogni cambiamento, interno o esterno che sia, richiede fatica, impegno e dedizione e la montagna da questo punto di vista è un’ottima palestra per allenarsi a tener duro e a non mollare di fronte alle difficoltà della vita.
Si torna al Centro Diurno: stanchi, affaticati e assonati ma con la testa un po' più libera ed il cuore un po' più pieno. Abbiamo maledetto tutti la fatica, le salite e colui che ha scelto la meta, ma siamo anche consapevoli che, nonostante tutto, ci ritroveremo tra una settimana allo stesso posto e alla stessa ora, pronti a ripartire. Perché infondo non esiste montagna più alta da scalare che non sia quella dentro di noi…
Un doveroso ringraziamento a tutti quelli che hanno percorso qualche passo della loro vita cercando di scalare le proprie montagne insieme a noi. Grazie a: Renato, Francesco, Luigi, Marco, Mauro, Alberto, Graziano, Erghin, Fiorenzo, Roberto, Renato, Alessandro, Davide, Francis, Roberto, Paolo, Federica, Francesco e Antonio
(Federica Zanotti)

FRANCESCO
Dell

prattutto, che posso trascorrere la giornata in compagnia e posso scoprire nuovi posti e luoghi. La sfida di raggiungere la vetta, e faticare camminando in salita, mi piace.
Il bello della montagna è proprio stancarsi. Consiglierei l scorrendo il tempo all sti nuovi, ho la possibilità di distruggere la monotonia della quotidianità, e sentirmi meglio. Partecipando al gruppo di montagnaterapia, mi sono reso conto di aver cambiato il modo di relazionarmi con gli altri, parlo di più e sono più spontaneo, anche grazie all
MAURO
L tempo in compagnia e non rimanere mai da solo. La consiglierei perché quest bene. Si cammina in compagnia, si mangia in compagnia, e si scherza molto. Ho notato che, camminando e parlando dei problemi di tutti i giorni, mi sento meglio. Nonostante la fatica, quando torno a casa dopo la montagna, mi sento più leggero e la testa è più rilassata.

La musicoterapia è un'arte antica. Possiamo addirittura ipotizzare che sia antica quanto la musica.
La musica infatti è un elemento imprescindibile e molto potente che ha accompagnato l'essere umano per tutto il corso della sua esistenza, dall'uomo primitivo fino ai giorni nostri.
Questa meravigliosa forma di linguaggio ha scandito, durante tutte le epoche, riti, cerimonie, abitudini, usi e costumi, momenti sacri oppure ricreativi, memorie, magia e cura di tutti i popoli della terra.
La musicoterapia allora, non è altro che la consapevolezza di questa dimensione così profonda, di questa energia così connaturata all'essere umano, tanto da essere parte di esso; consapevolezza che ha permesso ad alcune figure che da sempre sono esistite, di saperla sapientemente utilizzare al fine di creare un cambiamento fisico, mentale e spirituale nell'altro, in modo intenzionale e non solo spontaneo.
Il potere del suono, nelle sue varie forme e organizzazioni, di per sé, trasforma la materia. L'intuizione dell'essere umano, dei grandi benefici che la musica ha in tutti gli aspetti della vita, unita ad un continuo studio ed evoluzione della capacità di padroneggiare questo elemento ha permesso a questo percorso millenario di trovare infinite applicazioni.
Nel campo della Salute Mentale, che è il tema trattato in questo specifico numero del giornalino, per esempio possiamo riconoscerne l’importanza e la coerenza.
L’approccio musicoterapico è per sua natura delicato e non giudicante, aperto alla scoperta dell’altro come portatore di luci ed ombre, percepite entrambe come risorsa da cui attingere creatività ed energia vitale.
Sul piano psichico la possibilità di dare voce a parti di sé che possono essere considerate bizzarre o addirittura paurose con attenzione cura e ascolto profondo ha un valore terapeutico straordinario.
Questo percorso ci porta oggi ad avere basi molto solide su cui si poggia il nostro sapere in materia di musicoterapia e nel contempo l'umiltà, ma anche il piacere, di riconoscere ancora il fascino del suo mistero.
In attesa di scoprire, sempre che questo possa avere un
senso e un interesse, cosa ne penso io della musica e della musicoterapia e come ho tradotto questo pensiero nel mio lavoro e nelle mie esperienze umane (ci vediamo nel prossimo numero del giornalino?), condivido alcuni degli esponenti di maggior importanza del '900 e la definizione di ciò che la federazione mondiale di musicoterapia, dà della materia.
World federation of music therapy:
"La musicoterapia è l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono ritmo melodia armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive.
La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l'integrazione Intra e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della vita grazie ad un processo preventivo, riabilitativo, o terapeutico."
Cito solo:
Juliette Alvin, Rolando Benenzon, Helen Bonny, Edith Hillman Boxill.
Principali modelli musicoterapici definiti dal IX Congresso di Washington 1999:
Modello Benenzon.
Modello Nordoff-Robbins
Modello AOM M.T. orientata analiticamente
Modello GIM immaginario guidato e musica
Metodo Orff, Jaques-Dalcroze, Kodàly
Cito inoltre tre musicoterapisti italiani che ho avuto la fortuna di conoscere:
Giulia Cremaschi, Mauro Scardovelli e Roberto Ghiozzi padre dell'approccio umanistico trasformativo e mio Maestro.

“
Musica è guardare più lontano e perdersi in sé stessi. La luce che rinasce e coglierne i riflessi. Su pianure azzurre si aprono. Su, più su, i miei pensieri spaziano, ed io mi accorgo che ...che tutto intorno a me, a me … musica è!”
Se leggiamo queste parole ci possono venire in mente davvero una moltitudine di pensieri, avvenimenti, persone legate alla nostra vita. La nostra mente spazia, ed in ognuno di noi emerge un pensiero diverso. Per chi conosce la canzone forse è più facile idealizzare il contenuto, ma se oltre alle parole ascoltiamo la melodia ed il susseguirsi di accordi riusciamo a “sentirci”.
Il laboratorio karaoke è nato con l’obiettivo di ritrovarci in un gruppo in cui i protagonisti sono gli utenti e la musica e tutto ciò che essa ci vuole comunicare. Ognuno di noi ascolta musica, anche in maniera inconsapevole, alla radio, in tv, al supermercato, sul treno ma ci siamo mai chiesti perché è così speciale?
Facciamo musica quando cantiamo, quando fischiamo, quando suoniamo uno strumento, essa è una scienza, che è in grado di arrivare al cuore di tutti, grazie alla sua molteplicità di utilizzi e ai diversi generi musicali esistenti.
Parliamo di musica quando ci riferiamo a quell'insieme di suoni organizzati nel tempo che ci fanno battere i piedi a ritmo, ma anche quando vogliamo trattare di rabbia, dolore, gioia, tristezza... in poche parole quando ci si interroga sul significato della musica, la risposta non è mai univoca.
A tal proposito vorrei riportarvi alcune celebri citazioni frasi rispetto al senso della musica, e che personalmente condivido:
“Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime.”
(Victor Hugo)
“Il bello della musica è che quando ti colpisce non senti dolore.”

(Bob Marley)
“La musica è di tutti. Solo gli editori pensano che appartenga a loro”.
(John Lennon)
E’ interessante sapere che l’invenzione del karaoke risale ad un’espressione giapponese che significa letteralmente “orchestra vuota” ed è legata alla nascita dei primi strumenti sviluppati in Giappone tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta.
Il musicista giapponese Daisuke Inoue è comunemente citato come l’inventore del karaoke, per un’attrezzatura da lui prodotta a Kobe nel 1969 – il Juke 8 – e commercializzata nel 1971.
L’idea gli venne quando il cliente di un locale in cui si esibiva gli chiese di suonare le basi di alcune canzoni famose, ma con accordi che si adattassero all’estensione della sua voce.
Concludendo possiamo affermare che la musica è un potente strumento per l’espressione di emozioni in “USCITA” ma è anche uno strumento altrettanto importante in “ENTRATA”, ovvero quale supporto e ausilio nella riabilitazione generale del portatore di uno o più deficit.
Il progetto del laboratorio Karaoke/Comunicando
Il laboratorio karaoke originariamente era stato pensato e progettato per passare un’ora e mezza cantando delle canzoni scelte dai pazienti.
Al laboratorio partecipano gli utenti inseriti in un percorso di riabilitazione; l’attività è aperta a tutti gli ospiti del centro diurno e degli appartamenti sociali.
L ‘attività è svolta in gruppo, in modo tale da ridurre le resistenze, rinforzare la socializzazione e l’alleanza tra gli utenti. Il beneficio prodotto è però visibile anche a livello individuale.
Durante il Karaoke è fondamentale divertirsi, creare un clima che incoraggi visibilmente l’attività generale e che aumenti la considerazione di sé stessi e l’autostima. Viene valorizzato l’aspetto ludico come fonte di godimento, di gioia, di divertimento puro: infatti la musica dà un piacere che non richiede sforzo di apprendimento, né implica preparazione. Non da meno è un importante stimolo per la memoria, fa rivivere i momenti del passato, rendendo presenti situazioni connotate in senso emotivo, soprattutto i periodi felici della vita. L’attività di karaoke inoltre agevola un maggior contatto con la realtà, la musica aiuta a stabilire e mantenere durante gli incontri, brevi momenti con la realtà di tutti i giorni. Durante il laboratorio avevo spesso la sensazione che mancasse qualcosa che potesse aiutare i pazienti ad essere più protagonisti, che li potesse aiutare a far “uscire” loro stessi, le loro emozioni, paure, gioie, carattere, personalità, progettualità. Diversi anni fa durante il mio percorso di studio ebbi
l’occasione di leggere un libro di “Duccio Demetrio” dal titolo “Raccontarsi, l’autobiografia come cura di sé”.
Ciò che più mi ha colpito era la chiarezza nella descrizione del libro: “arriva un momento nell’età adulta in cui si avverte il desiderio di raccontare la propria storia di vita, per ritrovare emozioni perdute e sapere come si è diventati, chi dobbiamo ringraziare o dimenticare”.
Potevo inserire questo lavoro all’interno del karaoke, inteso come momento per esprimere personalità ed emozioni? Si! E così ho condiviso in equipe la mia idea e ho ritagliato uno spazio antecedente al karaoke che ho chiamato “Comunicando”. Di conseguenza il Karaoke è inteso come un tempo per cantare dando un senso a ciò che ognuno di noi vuole esternare.
L’organizzazione di questo momento prevede un tempo di preparazione: di volta in volta viene concordato con i pazienti chi vuole presentare e proporre un argomento attraverso un video, una poesia, una canzone, l’utilizzo della lavagna, ecc….
Capita che i pazienti siano in coppia tra di loro, o che vogliano preparare gli incontri con l’educatore o le volontarie.
È sorprendente osservare quante risorse abbiano e di quanta bellezza siano i contenuti che emergono all’interno del gruppo.
In questo gruppo non si danno soluzioni, si ascolta e ci si confronta.
Alla fine del laboratorio mi porto appresso un grande bagaglio pieno di parole, contenuti, storie, Emozioni, che vengono tutte condivise e regalate ad ognuno di noi.
(Miriam Bino)
RENATO

Ho scelto di partecipare all’attività di Karaoke perché piuttosto che rimane a casa da solo preferisco stare con gli altri condividendo una cosa che mi piace: la musica ed il cantare insieme. Dopo gli incontri mi sento più arricchito perché riesco a conoscere meglio le altre persone che mi permettono di non rimanere a casa da solo. La prima parte dell’attività mi piace perché mi stimola a tirare fuori ciò che sono ed a condividere alcuni momenti della mia vita; la seconda parte è più allegra perché c' è molta musica che mi piace.
MAURO
L’attività di karaoke per me è una buona alternativa per conoscere gli altri e stare in loro compagnia. Sono contento perché mi piace cantare in compagnia, ed è una cosa che mi mette allegria e serenità, sono meno ansioso del solito. Durante la prima parte fatico ad aprirmi e ad esprimere quello che penso, mentre la seconda parte è più bello perché sono spensierato e mi piace cantare.
Il centro diurno “Stella del Mattino” di Nozza propone una vasta gamma di attività terapeutiche e riabilitative all’interno ed all’esterno del servizio, che promuovono lo sviluppo e/ o il mantenimento di capacità individuali e sociali.
Il Gruppo relazionale è una delle attività più significative svolte all’interno del servizio. È condotto da uno psicologo, affiancato da un educatore professionale ed ai partecipanti viene richiesto di garantire una presenza quanto più costante e continuativa, mantenendo un setting comunque elastico, per cui l’adesione alle attività viene valutata a seconda anche delle condizioni fisiche e psicologiche dei partecipanti.
L’attività viene suddivisa in quattro momenti principali:
- confronto iniziale sull’andamento della settimana appena trascorsa e sull’umore percepito;
- risveglio muscolare con l’esecuzione di alcuni esercizi fisici scelti in gruppo;
- lavoro individuale e di gruppo su un argomento prescelto dal conduttore attraverso diverse metodologie (ludica, corporea, creativa, scrittura, lettura) e strumenti, i quali hanno lo scopo di far esprimere emozioni e vissuti;
- elaborazione in gruppo dell’attività svolta attraverso il confronto dei vissuti e delle riflessioni individuali.
Gli obiettivi generali del gruppo relazionale sono orientati a favorire la coesione tra gli ospiti, la conoscenza reciproca e fornire un tempo condiviso per elaborare e esporre i propri vissuti emotivi.
All’interno dell’attività si cerca di lavorare su alcune competenze quali l’attenzione, l’osservazione, l’ascolto, la disponibilità e la comprensione verso l’altro, la consapevolezza di sé e in generale le capacità relazionali.
Abbiamo chiesto ad alcuni ospiti quali sono secondo loro gli obiettivi del gruppo relazionale e quali sentono maggiormente:
- comprendere sé stessi e gli altri;
- svolgere un lavoro di accettazione di sé e degli altri;
- non giudicare e cercare di comprendere ciò che accade;
- stimolare il pensiero e ragionare, essere più riflessivi;
- lavorare in gruppo e promuovere la risocializzazione;
- essere accompagnati in un percorso di promozione delle autonomie nella quotidianità con l’aiuto di stimoli e strategie comportamentali;
- esternare i propri vissuti ed avere uno spazio per sfogarsi. Gli ospiti hanno inoltre espresso un loro pensiero su come vedono il gruppo relazionale: è interessante, divertente, accogliente, stimolante, soddisfacente, risocializzante, bello, ricco, utile e mirato.
ROBERTO
“L’attività ha portato nella mia vita dei benefici perché riesco a gestire meglio l’ansia, apprendo strategie comportamentali da utilizzare nei momenti di difficoltà, mi aiuta a rilassarmi e a sfogarmi.”
STEFANO
“Il gruppo relazionale mi ha aiutato ad acquisire fiducia in me stesso e ad avere speranza per il futuro.”
LUIGI
“Il gruppo mi fornisce aiuto per uscire dalle dipendenze e migliorarmi.”
ALESSANDRO
“Grazie all’attività riesco a dare una lucidità maggiore a ciò che accade e a vedere le cose che viviamo in modo chiaro, sostenuto dallo psicologo e dal gruppo.”
STEFANO
“Per me il gruppo relazionale è un gruppo nel quale si parla delle proprie esperienze e dei propri vissuti. Grazie all’ascolto delle esperienze e dei vissuti anche degli altri si riesce a fare un piccolo tesoro per la propria vita.”
ROBERTO
“È un contesto protetto in cui si può parlare in tranquillità liberamente senza giudizi.”
Dai commenti degli ospiti è emerso il beneficio di condividere i propri vissuti e le proprie impressioni, di promuovere l’autostima e di riscoprirsi, di raccontarsi, ascoltarsi, confrontarsi ed avere rispetto reciproco.
Abbiamo chiesto inoltre di esprimere la propria opinione allo psicologo che conduce il gruppo, ecco cosa ci ha raccontato:
“Come psicologo e conduttore del gruppo sento il piacere e la responsabilità della gestione del gruppo. Piacere derivante dal poter creare un rapporto con gli utenti del centro e, in modo più allargato, con persone che confidano in te e nelle tue competenze professionali e umane. D’altro canto, la responsabilità significa farsi carico sia degli aspetti organizzativi e processuali dell’attività, sia di tutto un bagaglio emotivo e umano, che spesso coincide con la persona che si cela dietro alla figura del professionista. In tal senso, il lavoro del gruppo relazionale, ma non solo, implica un equilibrio costante tra il dentro e il fuori, tra l’utente e le dinamiche attive nella mente e all’interno della sfera emotiva dell’operatore. Quindi una frustrazione del singolo può assorbire l’intero gruppo e diventare anche la frustrazione e la fatica del professionista.
Il primo passo, all’interno del gruppo relazionale, vuole essere proprio l’accoglimento delle parti affaticate, in sofferenza e distruttive degli utenti. Allo scopo, in seguito, di poterle elaborare e lavorare insieme, attraverso lo strumento del gruppo. Personalmente credo che uno degli elementi più utili e soddisfacenti dell’attività sia l’interazione tra i partecipanti del gruppo, piuttosto che una comunicazione, seppur bidirezionale e interattiva, tra utenti e operatori. Perché è attraverso la relazionefra i partecipanti che emergono i contenuti maggiormente nutrienti e su cui poter effettivamente svolgere un lavoro più significativo. Anche se tali contenuti possono sfociare in vissuti ed emotività intensi e faticosi. I momenti in cui nasce la relazione tra utenti, infatti, sono quelli in cui vige una maggiore spontaneità e trasparenza e in cui emergono le problematiche e le tematiche più sentite e attuali. Le fatiche personali maggiori invece sono circoscrivibili al tentativo di connettersi, sintonizzarsi e comprendere le emozioni, i pensieri e le intenzioni altrui, sia positive che negative. Oltre al fatto che a tali elementi deve essere aggiunto un pezzo di lavoro, che vuole essere trasformativo per l’utente. L’elemento umano e relazionale costituisce l’ingrediente imprescindibile nello svolgimento di tale mestiere e all’interno del gruppo relazionale. In questo senso le fatiche, le frustrazioni e le difficoltà vengono compensate e arricchite.”
Per concludere possiamo dire che il gruppo ci gratifica e ci rende orgogliosi di svolgere il nostro lavoro, sicuri di poter essere d aiuto fornendo un supporto emotivo e concreto ai nostri ospiti.


Il verde comprende 2 attività, l’orto e la cura del giardino.
L’attività del verde permette di coinvolgere molti ospiti, fornendo loro utili nozioni di base sull’orticoltura, ma anche ottime soddisfazioni, perché i pazienti vedono i frutti del proprio lavoro nei pasti e nel giardino, molto utilizzato da tutti nel periodo primaverile/estivo.
L’attività dell’orto è nata circa 2 anni fa, grazie alla passione di un operatore, che tutt’ora la segue con dedizione e attenzione.
L’attività si suddivide in 2 fasi principali:
La preparazione
La coltura
La preparazione
Questa prima fase viene eseguita nel primo periodo dell’anno e si protrae fino alle porte della primavera. Seguita direttamente da Goffredo, con affiancati Augusto e Paolo, consiste nella preparazione del terreno e delle “celle” in cui l’orto sorgerà.
Rappresenta un lavoro molto duro in cui bisogna preparare le “ceste” unendo le assi in forma rettangolare e versando al loro interno il terreno trattato.
Una volta pronte è necessario posizionare le varie sementi.
Questa fase perdura poi per tutto il periodo primaverile ed estivo, infatti mentre gli altri ospiti annaffiano e raccolgono gli ortaggi, Paolo Augusto e Goffredo si prendono cura dell’orto, installando sostegni, estirpando erbacce e sostituendo eventuali parti danneggiate.
La coltura
E’ la seconda fase, quella più lunga, non coinvolge solamente due utenti, ma diverse persone della comunità, che vengano sollecitate affinché si prendano cura dell’orto, avendo premura di annaffiarlo almeno 1 – 2 volte al giorno.
A primavera quando nascono i primi frutti dell’orto e
gli ospiti, supervisionati dall’operatore, li colgono, li portano alla cuoca che li utilizza nei pasti della giornata.
Per la cura del giardino invece prendono parte esclusivamente Paolo e Augusto che, collaborando con Goffredo si assicurano che tutto il giardino che circonda la comunità sia in ordine.
Si alternano quindi nella tosatura del prato e nella raccolta del fogliame, svolgendo questo compito in totale autonomia, seppur supervisionati dagli operatori.
Affiancati da Goffredo invece si occupano della potatura di piante e siepi.
(Gabriele Pasotti)
PAOLO
Buongiorno, io sono Paolo e nell’ultimo anno ho avuto la possibilità di fare l’orto in comunità.
Per me è stata una grande soddisfazione poter mangiare i prodotti da noi coltivati: fagiolini, porro, cornetti, insalata, radicchi, zucchine, carote, ecc..
Ho notato che i prodotti che abbiamo coltivato erano molto pIù saporiti di quelli che compriamo. Purtroppo quest’anno c’è stato troppo sole, il caldo era eccessivo sebbene abbia avuto la costanza di tenerlo bagnato. Inoltre, data l’inflazione che c’è stata abbiamo risparmiato parecchio sulle spese.

Un famoso detto cita: “Si cucina sempre pensando a qualcuno, altrimenti stai solo preparando da mangiare”. Nella cucina della CPM Arcobaleno, mentre si mangia, si percepisce l’attenzione e il pensiero all’altro.
Il cibo non è solo nutrimento per il corpo ma è anche coccola, è ricordo di casa, di vecchie esperienze e di legami lontani, e questo lo sa bene la nostra cuoca che trasmette in ogni piatto amore, dolcezza, e attenzione per una dieta sana. Ciò è possibile grazie ad un lavoro fatto qualche anno fa con una nutrizionista, che ha coinvolto operatori, infermieri e ospiti.
Sono molte le ricerche e gli studi che hanno evidenziato come il cibo e la mente siano strettamente interconnessi, il cibo non solo nutre il nostro corpo influenzando la nostra salute fisica ma determina anche il nostro stato d’animo, i nostri pensieri, la nostra parte emotiva. La cucina quindi diventa un fulcro dell’attività educativa da sfruttare con i nostri ospiti ed intorno ad essa abbiamo strutturato diverse attività.
Da una parte abbiamo uno stage che coinvolge quattro ragazzi due dei quali affiancano tutti i giorni la cuoca durante il servizio, mentre altri due si dedicano alla pulizia della cucina e della sala mensa dopo il pranzo.
Tutti i giorni, Cristian e Roberto si presentano in cucina alle 9:00 del mattino e con impegno aiutano Eleonora. Non solo contribuiscono alla preparazione dei pasti ma imparano soprattutto la costanza, il rispetto verso la puntualità e il lavoro. Apprendono l’importanza dell’ordine e dell’igiene, trovano spazio per sentirsi utili e per aumentare l’autostima. È bellissimo vedere la soddisfazione sul volto di Roberto quando serve il caffè da lui preparato e l’orgoglio di quando riceve un complimento.
Dopo pranzo è il turno di Lorenzo e Dario che puntuali e con impegno si dedicano a pulire la sala e la cucina affiancati dagli operatori.
Un’altra attività legata alla cucina sono i turni di pulizia che coinvolgono tutti i ragazzi, a turno, su diverse man-
sioni. Dopo la cena aiutano gli operatori a pulire e ordinare la cucina, in questo modo tutti vengono ingaggiati nel rispetto degli spazi comuni, favorendo la collaborazione e la consapevolezza dell’importanza di tenere pulito lo spazio in cui si vive.
Questi momenti sono spesso accompagnati da musica e balli improvvisati, c’è coinvolgimento, convivialità, leggerezza e la possibilità di avere scambi preziosi che rafforzano i legami.

ROBERTO Buongiorno, sono Roberto e faccio l cuoco in comunità. Questa scelta è stata ben pensata perché trovo che il cibo sia molto importante nella vita quotidiana in quanto ci serve per vivere e ci fa stare bene. Vivere l ambiente della cucina accanto alla cuoca mi fa pensare che se fai quello che ti piace non lavori per tutta la vita. La possibilità di poter servire agli altri il caffè è molto importante per me perché mi fa sentire di essere attento alle necessità altrui ed ho il piacere di vedere le persone che sorseggiano quello che preparo.
Il Centro Diurno Raggio di Sole apre tutti i giorni il suo cancellino alle 8.30, accogliendo ragazzi, operatori e tirocinanti.
Una piccola casetta in mezzo a grandi condomini di edilizia popolare, ai margini della ricca e produttiva Brescia due, un punto di incontro e di accoglienza, un luogo di passaggio per affrontare un cammino di trasformazione, a volte, purtroppo, difficoltoso.
Per meglio capire il significato di questo particolare percorso, abbiamo raccolto alcune testimonianze di chi il nostro Centro lo vive quotidianamente.
Pazienti, operatori e tirocinanti ci raccontano, in modo ragionato, un percorso di crescita giocato tra fatiche e soddisfazioni, risultati ottenuti e cadute possibili.
I ragazzi in particolare descrivono il proprio cammino, orientandosi sulla complessa mappa delle attività individuate, dall’equipe, in funzione dei loro bisogni.
“Parte fondamentale del progetto terapeutico presso il centro diurno Raggio di Sole, sono le attività abilitative articolate nel programma quotidiano del centro. Le attività si propongono di raggiungere gli obiettivi “possibili” di ciascun ragazzo e si intrecciano tra loro nell’ottica della multifunzionalità. Grazie alla formazione, all’esperienza e alle conoscenze degli operatori, viene proposta una vasta gamma di attività divise in varie tipologie (dalla cucina allo sport passando da varie forme d’arte e al gioco) ciascuna vista come un percorso nel quale il ragazzo oltre a sperimentarsi in qualcosa di nuovo o di già affine ai propri interessi, ha la possibilità di interagire coi pari e con gli operatori stessi instaurando pian piano relazioni. Ed è proprio la relazione che si crea durante l’attività, la condivisione di un tempo e di uno spazio strutturato, che diventa strumento di cura e l’attività un “posto sicuro” dove poter affrontare problemi, paure, mettersi in gioco e sperimentare successi o imparare a fare i conti con la frustrazione.”
(Daniele TeRP)
Le attività proposte vengono individuate in funzione del progetto terapeutico, in particolare in base ai bisogni di ogni singolo ragazzo o per meglio strutturare i loro punti di forza.
“Equilibrio, consapevolezza, creatività. Tre elementi che sicuramente sono determinanti per l’autonomia di ogni persona. Le numerose attività che si svolgono presso il centro diurno portano gli utenti a migliorare le loro abilità. La creatività viene molto stimolata. Il disegno ti permette di esprimere sentimenti ed emozioni senza verbalizzarle. Un foglio bianco resta bianco finché una matita, un pennarello, una macchia di colore non lo rende unico come chi l’ha realizzato. In cucina con un po’ di fantasia e creatività è possibile preparare un pranzo o una cena con pochi ingredienti e una minima spesa. Ricostruire, riutilizzare, riparare oggetti di uso quotidiano dandogli nuova vita ci permette di aumentare la nostra capacità di utilizzare strumenti. Uscire in strada, incontrare gente, guardare palazzi, monumenti e parchi non in modo distratto ma come momenti preziosi di un’esperienza comune ci rende consapevoli di essere parte del mondo. Affrontando la giornata in modo creativo, consapevoli delle sfide che ci aspettano, raggiungeremo quell’equilibrio che ci rende liberi e indipendenti.” (Luigi Operatore)
In questo viaggio ogni Operatore, ogni volontario o tirocinante porta la propria storia e le proprie passioni, mettendo questo bagaglio culturale al servizio del gruppo, contribuendo in questo modo alla crescita della persona.
” Le attività proposte sono molto varie, ciò permette di trovare quella giusta e trarne i benefici” (C. 16 anni)
”
L’esperienza Centro Diurno per me è stata ed è tutt’ora un’esperienza complicata ma attiva. Complicata perché sto affrontando le mie paure e questo mi spaventa moltissimo; attiva perché sto facendo tantissime attivi-
tà e mi sto divertendo un sacco. Ho conosciuto tante persone simpaticissime anche gli educatori sono super simpatici.” ( A. 15 anni)
Ansie e aspettative segnano le tappe di chi inizia il percorso e, uscendo dalla propria zona di confort, si approccia alla complessità di questo progetto.
“Guardo e osservo. Primo giorno. Aspettative, paure, emozioni. Ma tutto sta nel momento presente e quindi vivere anche un punto di domanda. Cosa sarà? Adesso è questa domanda. E me la vivo tutta” (Giulia Tirocinante)
“Sono arrivato da pochi giorni al Centro Diurno ed ho trovato un posto accogliente grazie ai ragazzi ed educatori del Centro. E’ un po' faticoso venire al Centro dopo aver passato giorni a vivere solo con me stesso, ma qui sto con persone che sanno aiutarmi.” (D. 16 anni)
Uscire di casa, percorrere le strade della città o della provincia, attendere nel traffico che la macchina del genitore raggiunga il piccolo parcheggio, suonare il campanello, muovere i passi sul porfido del cortile e poi il triage, manovra obbligatoria che sancisce l’inizio della giornata.
Azioni queste che si ripetono quotidianamente, rituali che a lungo andare rendono il Centro Diurno un ambiente conosciuto e rassicurante.
“Il centro, è un posto che all’inizio può spaventare, destabilizzare, confondere ma allo stesso tempo, almeno per me, rassicurare. Può sembrare strano come un posto possa farti provare emozioni così contrastanti, ma è questo che mi ha incuriosito e mi ha permesso di capirlo, in qualche modo. Io sono all’interno di esso da febbraio 2022 e ogni volta che arrivano nuovi ragazzi mi affascina sapere il loro punto di vista, mi piace sapere la loro prima impressione perché mi ricorda il mio primo giorno. Ero spaventata ma contenta, so che vi sorgerà la domanda “come puoi essere contenta di frequentare un centro diurno?”, beh!, a parer mio non è neanche così strana come cosa, amo le nuove esperien-
ze, amo conoscere nuove persone e amo imparare cose nuove, e qua ne ho imparate tante. Mi è stato permesso grazie alle attività, che sono diverse, di vario genere. Passiamo dalla lettura, alla cucina, al calcio, e io ho avuto l’opportunità di provarle tutte, e tutte mi hanno formata in qualche modo. Per esempio, le attività di gruppo mi hanno insegnato a lavorare con altre persone, cosa che prima non sarei riuscita a fare. Le attività creative, mi hanno permesso di scoprire miei nuovi talenti, chiamiamoli così, e mi hanno permesso di scoprire meglio me stessa e a trasformare le mie emozione in arte, e a buttarle fuori in tanti modi. Le riesco a esternare anche durante le attività sportive, come la montagna terapia. La montagna terapia è un’attività che più o meno tutti amano e odiano, richiede sforzo e forza di volontà cose che nella vita prima impari, prima potrai metterle in atto. Questo per dire che possono sembrare banali ma che se osservate bene possono aiutarti a scoprire cose che possono aiutare sia te sia relazionarti con gli altri.
Il centro è questo, a parer mio, una scuola di vita che se vuoi, solo se te lo permetti, ti aiuterà e ti formerà per molte esperienza che vivrai nella tua vita.” (M. 17 anni)
Le attività sono la mappa che aiuta a tracciare un percorso di crescita, un planning fitto di impegni dove ogni ragazzo si unisce ad altri in piccoli gruppi, sperimentando con l’aiuto di adulti disponibili le strategie necessarie per traghettare la propria persona da una condizione di assistito ad una di attore della propria vita.
“il mio interesse per questo Centro Diurno nasce per la curiosità rispetto alla psicopatologia dell’adolescenza e, più in generale (e più rilevante), per l’adolescenza inoltre la mia scelta è stata influenzata dall’ampio spettro delle attività fornite dal Centro alle quali ho poi partecipato anche se non sempre con continuità. L’intervallo ricreativo tra un’attività e l’altra è stato il momento più bello, nel senso che è stato occasione per entrare in contatto diretto e spontaneo con i ragazzi. Nel complesso mi ritengo molto soddisfatta di questa
mia esperienza perché, se da un lato è stata un entrare con la punta dei piedi nel mare dell’adolescenza, dall’altro mi sono sentita partecipe di un gruppo di ragazzi e operatori che con spontaneità e autenticità mi hanno accolta e accompagnata in questo mio percorso (e la cosa non è scontata!) (Viola Tirocinante)
gliorare costantemente l’intervento sulla persona che per scelta o per destino si trova a percorrere un cammino con noi; dice bene uno dei nostri ragazzi con una parola inventata, forse un po’ folle, ma che lascia il lavoro educativo su un piano di umanità, accettando anche l’errore: “il Centro Diurno è noribitivo, in quanto in certi momenti è riabilitativo, mentre in altri non è riabilitativo” (P. 17 anni)

Spontaneità e autenticità sono valori importanti per imparare a relazionarsi, riuscire ad entrare in punta di piedi nello spazio dell’altro, imparando a conoscere chi si ha di fronte, non è sempre semplice. Le attività diventano uno strumento sicuro, un mezzo per gestire la relazione, ma anche uno spazio che definisce alcune differenze. Il Centro Diurno obbliga le parti ad entrare in relazione anche nella spontaneità dei momenti liberi, non organizzati da un’agenda, dove solo la fantasia può aiutare la relazione. La progettualità deve sempre tenere conto della cen-
Il Centro Diurno, con il suo potenziale umano, il suo bagaglio di attività e la sua storia, è bello immaginarlo come una grande carovana; come quei circhi di una volta, semplici, colorati, dove ognuno aveva un ruolo funzionale allo spettacolo. La carovana passando in ogni paese accoglie le persone particolari dando loro un ruolo importante, ognuno, entrando in relazione con la carovana stessa, diventa protagonista e attore dello spettacolo, la carovana nel suo peregrinare sulle strade del mondo permette ad ogni suo membro di trovare la propria strada.
L’attività in montagna assume un ruolo importante nella crescita di una persona, la porta a vivere un’esperienza in sintonia con un ecosistema naturale, dove anche l’essere umano può tornare a giocare il proprio ruolo, non in un’ottica di conquista, ma in una condizione di reciprocità.
La montagna terapia, in particolare, aiuta la persona, soprattutto se giovane, a rapportarsi in modo leale con l’ambiente, riuscendo così poi a sentirsi parte attiva di un sistema.
Potendosi muovere in montagna, il ragazzo ha l’occasione di sperimentare esperienze che lo portano a conoscere un mondo altro, diventa parte del paesaggio, diventando non più spettatore, ma attore della propria vita, e quindi artefice del proprio cambiamento. Per potere raggiungere questo obiettivo il ragazzo deve infatti confrontare con la fatica di vivere il paesaggio stesso.
Il Centro Diurno Raggio di sole da anni propone ai propri pazienti progetti di Montagna Terapia, declinati, in funzione del progetto terapeutico individualizzato, nell’attività escursionistica o alpinistica.
Anche quest’anno, nei mesi estivi, un gruppetto di 8 pazienti accompagnati da due operatori e alcuni accompagnatori del CAI di Brescia hanno camminato lungo i sentieri della Resistenza Bresciana.
I percorsi hanno permesso al gruppo di avventurarsi sulle nostre Prealpi, scoprendo sentieri e tracce in luoghi non molto distanti da Brescia, ma selvaggi e spesso carichi di quella magia che ancora la natura riesce a creare.
La montagna stimola la curiosità, proprio perché cela sempre qualcosa agli occhi di chi cammina; nasconde e presenta realtà improvvise, piccole scoperte dietro un tronco o un sasso, panorami nascosti dietro una serie di creste. Il camminatore attento viene coinvolto da queste realtà, subendo continue trasformazioni e trasformando a sua volta il paesaggio grazie al proprio
passaggio.
Il ragazzo che cammina su queste stradine, nei piccoli borghi di montagna, entra in contatto con ambienti genuini, che nei secoli hanno subito poche trasformazioni.
In questi luoghi, il paziente non è più legato ad un’etichetta, non è più un paziente, ma un’escursionista, una persona curiosa di conoscere, ponendosi nella condizione di osservare e di apprendere esperienze diverse.
Camminando si incontrano persone, riuscendo così a fare esperienza di solidarietà e di gratuità: un bicchiere d’acqua fresca quando si ha sete o un riparo dalla pioggia, quando l’acquazzone arriva improvviso. Camminare in gruppo, con persone che condividono lo stesso percorso di vita, come nel caso della Montagna terapia, struttura un sistema virtuoso basato sulla solidarietà, non sul buonismo o sul mutualismo, ma sull’attenzione all’altro, a colui che mi cammina a fianco. Si costruisce un rapporto di aiuto reciproco senza bisogno di definirlo, è l’ambiente stesso a stabilire questo tipo di contratto naturale.
Il giovedì i pazienti dei Centri Diurni di Brescia, Visano e delle Piccole Pesti si danno appuntamento in una delle falesie di Brescia per arrampicare, accompagnati da un’equipe di istruttori della sezione del CAI di Brescia.
L’arrampicata diventa un ulteriore modo di approcciarsi alla montagna, scegliendo, in questo caso, la strada più complessa per raggiungere una meta.
Ognuno di fronte alla parete cerca la propria strada, in funzione delle proprie possibilità e di come conosce sé stesso; l’arrampicata diventa una sfida con sé stessi, prima che con la roccia. Allo stesso tempo, la presenza degli altri diventa uno stimolo a vincere paure e resistenze che naturalmente emergono nell’approcciarsi al mondo verticale.
La figura dell’istruttore assume un ruolo fondamentale
in quanto fa da mediatore tra il ragazzo e la montagna, la competenza tecnica alpinistica del maestro pone il paziente in una logica di normalizzazione dell
L’arrampica diventa quindi un gioco, come per tutti coloro che scelgono di farlo; l’atto terapeutico diviene sublimato nella naturale azione gestuale della progressione verticale.
“… come ogni giovedì siamo andati ad arrampicare e oggi abbiamo fatto una cosa diversa dal solito, la discesa a corda doppia, cosa che all’ ché per doverlo fare bisogna avere fiducia in sé stessi, cosa che io non ho, ma ce l’ho fatta e a dire la verità sono molto fiera di me.” (I. 17 anni)
Ammirare il medesimo panorama non significa osservare la stessa immagine, vuol dire aver camminato insieme nello stesso ambiente, aver condiviso l la salita, significa essersi dati la mano per superare gli ostacoli del cammino. Aspettarsi per godere della meta è la naturale azione di coloro che hanno imparato a condividere.
Si dice “Ad ognuno il suo Everest l’escursionismo permette a tutti, ognuno con le proprie possibilità, di raggiungere una piccolo delle Piccole Pesti, il preadolescente che gioca a gara con il mondo mostrando a tutti quanto è il ragazzo che per mesi non è più uscito da casa se non per essere ricoverato; ognuno trova il proprio spazio nell’abbraccio severo e accogliente della montagna.
L’escursionismo e l’arrampicata nella pratica della montagna terapia non sono un qualcosa di puramente adrenalinico o di estremo, anzi rappresentano un procedere lento al passo di chi vuol capire e scoprire, come fa il pellegrino che senza fretta sceglie di intraprendere un percorso verso una meta di ricerca del sé più che del dove.

Il progetto di intervento si propone di realizzare presso lo stabile ex Arici a Brescia un Centro Polifunzionale per l’Età Evolutiva di Servizi per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (NPIA), costituito da strutture sanitarie residenziali e semi-residenziali accreditate e a contratto con l’Ente Pubblico, attività sociosanitaria semiresidenziale privata in forma convenzionata e/o privata.
Dai risultati emersi da un recente studio, in Lombardia il problema dell’utenza neuropsichiatrica dell’infanzia e dell’adolescenza è pressante: da un lato si registra una forte espansione del bisogno, dall’altro si constata che le risposte realizzate sono insufficienti e parziali al punto che utenza e famiglie restano in lista d’attesa per mesi o addirittura anni, in particolare per quanto riguarda i percorsi terapeutici e riabilitativi.
“In Lombardia tra il 2008 e il 2016, gli utenti con disturbi neuropsichici seguiti sono passati da circa 65.000 (il 4% della popolazione tra 0 e 18 anni) a più di 114.000 (7% della popolazione), con un aumento del 75% in 8 anni e un aumento medio del 5-6% all’anno. Se si uniscono anche gli utenti seguiti esclusivamente in riabilitazione accreditata ex art 26, si arriva a più di 130.000 utenti e ad una prevalenza trattata dell’8,2%. Si tratta di un aumento che non ha pari in nessun’altra area della medicina. In particolare, gli utenti e le famiglie ricevono risposte insufficienti per i propri bisogni. Nonostante il rilevante aumento del numero di pazienti che annualmente riescono ad accedere alle UONPIA e il significativo supporto dei progetti di NPIA, la prevalenza trattata è solo all’8% contro un atteso di almeno il 12%, ed il numero medio di prestazioni ricevute da ciascun utente è diminuito del 10% tra il 2010 e il 2016, con 11 prestazioni medie all’anno per utente contro un atteso di almeno 15. Le risorse oggi presenti nel sistema dei servizi di NPIA, inclusi i progetti, sono sufficienti per dare risposte appropriate a 1 utente su 3 che ne avrebbe necessità, ed in alcuni servizi scendono al di sotto di 1 utente su 4”.
A livello Regionale la distribuzione dei servizi di NPIA è estremamente disomogenea con province sovradimensionate, rispetto al potenziale bacino d’utenza (Cremona, Como) ed altre totalmente prive di risposte (Mantova, Sondrio).
Per quanto concerne il bacino della provincia di Brescia l’attuale dotazione è sufficiente a coprire meno della metà dello standard minimo richiesto dalla Regione: in provincia sussistono N.2 comunità residenziali terapeutiche per 19 posti contrattualizzati (di cui il 74% gestiti dalla proponente), a fronte di uno standard minimo previsto da Regione Lombardia di 21 posti / 100.000 ab 0 – 17 anni e N.3 Centri Diurni per 30 posti contrattualizzati (di cui il 100% gestiti dal proponente), a fronte di uno standard minimo previsto da Regione Lombardia pari a 35 posti per 100.000 ab 0 – 17 anni. Secondo un recente rapporto SINPIA se quasi il 90% dei minori alla fine riesce ad avere una diagnosi, solo il 25% accede al percorso terapeutico-riabilitativo. Un dato significativo, se consideriamo che il 50% dei disturbi psichiatrici dell’adulto hanno origine nell’infanzia e nell’adolescenza e che la presa in carico precoce delle situazioni è fondamentale per prevenire e ridurre il rischio di cronicità.
Il primo obiettivo del progetto è, dunque, quello di incrementare i posti disponibili. In particolare, sul territorio del Comune di Brescia Fraternità Giovani già gestisce il Centro Semi-Residenziale Terapeutico CSRTA “Raggio di Sole” ed il progetto “Piccole Pesti” servizio rivolto a bambini dai 5 agli 11 anni. Entrambi i servizi saranno allocati presso il lotto 1 di prima realizzazione, ampliando i posti contrattualizzabili a garanzia di un ulteriore passo, verso il conseguimento degli standard minimi previsti da Regione Lombardia.
Obiettivi del progetto:
- incrementare la capacità di accoglienza dei servizi; - offrire alle famiglie la possibilità di trovare risposte diversificate ai bisogni terapeutico-riabilitativi dei propri figli all’interno di un polo clinico unico; - integrare nuove figure professionali implementando i posti di lavoro disponibili sul territorio.
- sviluppare un centro che possa diventare, in collaborazione con l’ASST “Spedali Civili” di Brescia, un punto di riferimento specialistico sulla cura e presa in carico dei disturbi della Salute Mentale in adolescenza in Lombardia.


Dopo l'emergenza nazionale provocata dal covid-19, le Prefetture hanno svolto un'indagine per individuare gli operatori sanitari che per l’impegno profuso avrebbero potuto essere candidati al conferimento dell'onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”.
I requisiti fondamentali erano i seguenti:
Aver operato con abnegazione nelle attività connesse alla gestione dell’emergenza con particolare attenzione ai primi mesi (Marzo-Aprile 2020); Età minima 35 anni compiuti; Nessun carico pendente o sanzioni giuridiche;
Iscrizione all’Ordine Professionale; Rispetto normativo dei requisiti di esercizio professionale.
Il nostro collega Paolo Corradi è stato inserito nella rosa dei candidati in quanto aveva tutte le caratteristiche sopracitate perché di fatto è stato in prima linea durante tutto il periodo pandemico per il covid 19. In particolare ha gestito personalmente situazioni di altissima gravità ed emergenza all’interno di una comunità psichiatrica, fatti, conseguenti all’effetto che la pandemia ha provocato sui soggetti più fragili, che avrebbero potuto scatenare una pericolosa reazione a catena tra gli ospiti e crolli emotivi tra il personale con conseguenze nefaste per l’intero servizio. Paolo, in quanto prima di tutto educatore, ha svolto la funzione di supporto per i pazienti e come coordinatore, per i colleghi, con una presenza costante e marcata. Inoltre, in qualità di responsabile della sicurezza durante i primi mesi della pandemia, ha agito costantemente per fermare l’espansione della pandemia all’interno delle strutture di Comunità Fraternità.
Il 2 Giugno 2022, con Decreto del Presidente della Repubblica, il Dottor Paolo Corradi è stato insignito dell'onorificenza “Al Merito della Repubblica Italiana”. Il 15 Dicembre 2022, nell’ambito di una cerimonia ufficiale, gli verrà assegnato il titolo di Cavaliere.
Paolo Corradi è stato assunto all’interno della nostra cooperativa l’ 08 Giugno del 1998. E’ diventato socio l’ 08 Aprile del 1999.
Viene eletto consigliere di amministrazione per la prima volta il 15 Maggio 2002, il 25 Maggio 2011 viene nominato Presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa, rimanendo in carica fino al 04 Maggio 2017.
Diventa poi Vicepresidente dal 05 Maggio 2017 al 23 Luglio 2020.

