Oltre il confine - Integramente n.2 del 2022 - Settembre

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Periodico INTEGRA MENTE della Comunità Fraternità S.C.S. ONLUS è iscritto al n. 21/2019 del 19/12/2019 e il direttore è Don Adriano Bianchi nato a BS il 13/12/67

Via XXV Aprile n. 1/a 25035 Ospitaletto (BS) Tel. 030.7282736 Fax 030.7282788

Responsabile: Paolo Corradi Cell. 335.1865690 E mail: paolo.corradi@fraternita.coop

Via Sardello n. 19 25079 Nozza di Vestone (BS) Tel. 030.7282762 Fax 030.7282798

Responsabile: Enrica Bertini Cell. 334.6810859 E mail: enrica.bertini@fraternita.coop

Via Trepola n. 197 25035 Ospitaletto (BS) Tel. 030.7282731 Fax 030.7282786

Responsabile: Antonio De Pani Cell. 335.1408782 E mail: antonio.depani@fraternita.coop

Viale Italia n. 26 25126 Brescia

Responsabile: Ilaria Pasinelli Cell. 388.5765174 E mail: ilaria.pasinelli@fraternita.coop

Via Trepola n. 195 25035 Ospitaletto (BS) Tel. 030.7282728 Fax 030.7282785

Responsabile: Ivana Carini Cell. 334.6810809 E mail: Ivana.Carini@fraternita.coop

Via Trepola n. 195 25035 Ospitaletto (BS) Tel. 030.7282728 Fax 030.7282785

Responsabile: Elena Romano Cell. 334.6810809 E mail: elena.romano@fraternita.coop

Via Della Tecnica n. 36 25039 Travagliato (BS) Tel. 030.7282756 Fax 030.7282799 Responsabile: Ovidio Formenti Cell. 335.6194556 E mail: ovidio.formenti@fraternita.coop

Viale Italia n. 26 25126 Brescia Tel. 030.7282726

Responsabile: Ilaria Pasinelli Cell. 388.5765174 E mail: ilaria.pasinelli@fraternita.coop

Via della Tecnica n. 38 25039 Travagliato(BS)

Responsabile: Giuseppe Pagani Cell. 349.8690603 E mail: giuseppe.pagani@fraternita.coop

Via della Tecnica n. 38 25039 Travagliato (BS)

Responsabile: Giulia Foccoli Cell. 349.5907803 E mail: giulia.foccoli@fraternita.coop

Via Trepola n. 195 25035 Ospitaletto (BS)

Responsabile: Nicola Naboni Cell. 375.5489387 E mail: nicola.naboni@fraternita.coop

Via Madonna del Convento n. 10 Vestone (fraz. Mocenigo)

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Via della Tecnica n. 38 25039 Travagliato (BS)

Responsabile: Elena Gallinari Cell. 335.7609630 E mail: elena.gallinari@fraternita.coop

Via della Tecnica n. 38 25039 Travagliato (BS)

Responsabile: Nadia Pedretti Cell. 342.9522315 E mail: nadia.pedretti@fraternita.coop

Via della Tecnica n. 38 25039 Travagliato (BS)

Responsabile: Giulia Foccoli Cell. 349.5907803 E mail: giulia.foccoli@fraternita.coop

Via Negri n. 2/a 25050 Ome(BS) Tel. 030.7282765 766 Fax 030.7282795 Coordinatrice: Laura Piemonti E mail: laura.piemonti@fraternita.coop

Via Bettinzoli n. 5 25125 Brescia Tel. 030.7282746 748 Fax 030.7282792 Coordinatore: Emanuele Frugoni E mail: emanuele.frugoni@fraternita.coop

Via Quarena n. 10 25081 loc. Macesina Bedizzole (BS) Tel. 030.7282775 6 Fax 030.7282777 Coordinatore: Mauro Ghilardi E mail: mauro.ghilardi@fraternita.coop

Via Antica strada Mantovana n. 110 25124 Brescia Coordinatore: Enrico Fregoni E mail: enrico.fregoni@fraternita.coop

Via J.Fitzgerald Kennedy n. 67/a 25010 Visano (BS) Tel. 030.9523984 Coordinatore: Stefania Guerini E mail: stefania.guerini@fraternita.coop

Via I Maggio n. 3 25035 Ospitaletto (BS) Tel. 030.7282743 Fax 030.7282785 Coordinatore: Simona Duina Cell. 335 1865685 E mail: simona.duina@fraternita.coop

Abbiamo deciso di iniziare questo numero monotematico sull’accoglienza di cittadini provenienti da paesi terzi, ripercorrendo la storia di Fraternità fin dalle sue origini, anche attraverso le parole di Antonio Bergamini uno dei fondatori della cooperativa

“…negli anni ’70 volevamo rispondere ai bisogni del momento, avevamo il desiderio di dare ad ognuno la possibilità di mettersi in gioco e riscattarsi socialmente a prescindere dalla propria storia personale; non c’era giudizio, per noi era importante che l’intenzione di cambiare e <rimettersi in pista> fosse reale e autentica. Avevamo a disposizione una casa da offrire a chi, per svariati motivi, si trovava in difficoltà. Eravamo animati da uno slancio umano, dal desiderio di renderci utili ma eravamo anche giovani e impreparati, ci sono voluti tempo ed esperienza per riuscire a creare una realtà in grado di agire con professionalità ed efficacia. Già allora il contatto con persone di culture diverse faceva capolino alla nostra porta; si trattava di un tipo di immigrazione diversa da quella di oggi nella modalità di raggiungimento del nostro Paese, ma alla base rimaneva la stessa necessità di scappare dalla guerra, dalla prevaricazione, dalla povertà, dalla persecuzione... Fin da subito abbiamo capito che creare connessioni col territorio soprattutto attraverso un’attività lavorativa avrebbe portato beneficio e agevolato l’integrazione”

Una casa, un lavoro, sono stati quindi i primi due elementi qualificanti l’azione della cooperativa nei confronti dei cittadini provenienti da paesi terzi. Con il tempo quest’idea di accoglienza si è evoluta e si è lavorato sempre più prestando attenzione agli aspetti culturali, all’apprendimento della lingua, all’integrazione nei luoghi di residenza e quindi, non solo attraverso il lavoro.

Le prime persone accolte erano giovani uomini provenienti prevalentemente dall’Africa sub sahariana per i quali il lavoro e quindi le rimesse nei paesi di provenienza erano l’obiettivo principale e vi era una forte aggregazione con i soli connazionali.

Comunità Fraternità nell’area del contrasto alle dipendenze e della salute mentale ha preso in carico prevalentemente adulti maschi e così è avvenuto in fase iniziale con i cittadini stranieri.

Dall’accoglienza per scelta spontanea della cooperativa si è passati a modalità più strutturate attraverso convenzioni con la Prefettura di Brescia a partire dal 2013 anno in cui si sono accolti i primi 7 richiedenti asilo che sono aumentati nel 2022 fino a 65. Nel 2016 abbiamo partecipato al bando ministeriale e realizzato il primo progetto SPRAR, oggi SAI, che ci ha visto passare da 10 a 25 persone accolte. La nostra utenza da esclusivamente maschile oggi è in prevalenza costituita da nuclei familiari e donne sole e/o con figli minori, oppure adulti maschi connotati da gravi fragilità personali. A fronte di ciò i progetti educativi, di integrazione, di accompagnamento all’autonomia, hanno dovuto essere rivisti, per far fronte ai bisogni diversi di cui essi sono portatori.

punti qualificanti il nostro stile di lavoro sono in sintesi:

micro accoglienza diffusa

accompagnamento al lavoro

apprendimento della lingua

accompagnamento alla rete dei servizi

formazione professionale

I
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 la

Ma anche la conoscenza del territorio, dei luoghi di incontro, delle occasioni di tempo libero …, vengono, nei limiti del possibile calibrati nei tempi e nei modi sulla singola persona o sul singolo nucleo.

Molti di noi hanno contribuito alla scelta di accoglienza della cooperativa anche perché hanno svolto e svolgono attività di volontariato in alcuni dei paesi di origine dei nostri ospiti, così è anche per Antonio che presta la sua opera in Etiopia e che ci accompagna in chiusura con quest’altra riflessione:

Io sono assolutamente a favore dell’accoglienza, ma mi piacerebbe molto anche creare possibilità di crescita e riscatto nei Paesi d’origine, proprio per garantire alle persone la possibilità di vivere con dignità e avere prospettive di un futuro adeguato nella loro terra.

Al momento questa possibilità è molto rara e difficilmente percorribile, quindi l’immigrazione è inevitabile. Credo però che sia necessario rendere la presenza di queste persone più contributiva nella nostra società e uscire, quindi, da un sistema di accoglienza che, al momento, risulta basato più sull’assistenzialismo che su una reale integrazione. In nome della loro sofferenza non si deve agire una presa in carico pietistica, ci vogliono comprensione e sensibilità, ma al tempo stesso è necessario riconoscere le loro potenzialità ed essere stimolo affinché le mettano in campo in maniera costruttiva e produttiva”.

Di fronte a quanto le cronache ogni giorno ci propongono sul fronte immigrazione è facile sentirsi obiettivamente spaesati. In tanti abbiamo una percezione chiara di quale sia l'atteggiamento giusto, umano, di fronte ad un fenomeno che ha spesso risvolti drammatici; eppure è difficile restituire a livello pubblico le ragioni di questo approccio "civile". È un momento in cui le ragioni del bene soffrono di assenza di parole. O meglio, è un momento in cui il bene non riesce a trovare e ad esprimere con chiarezza le proprie ragioni. Questo numero di “Integra-mente” vuole essere il nostro contribuito per ridare parole, conoscenza e corretta visibilità ad una realtà spesso distorta.

Il Polo Multiculturale così come è strutturato nasce a gennaio 2021 come prosecuzione di una riorganizzazione interna alla cooperativa avviata a metà 2019 ed inevitabilmente rallentata a causa della pandemia. L’idea del polo nasceva dalla volontà di creare collaborazioni tra servizi vicini, fisicamente o per tipologia di utenza, per poter da un lato migliorare la qualità dei servizi offerti e dall’altro favorire nuovi progetti di sviluppo. La nascita del polo ci ha permesso oltre che di riorganizzare e migliorare i nostri servizi “storici” CAS e SAI di aumentare i servizi offerti e le collaborazioni.

Abbiamo avviato il progetto Mimosa, rivolto all’occupazione delle donne, ci siamo aperti all’accoglienza dei profughi ucraini collaborando sia con Punto Missione che con il Comune di Castrezzato, oltre ai nostri partner storici Castegnato, Lograto e Ospitaletto. Grazie all’esperienza dei nostri operatori abbiamo supportato l’integrazione di adolescenti stranieri. Per il futuro i progetti sono tanti: stiamo continuando a collaborare con i Comuni per realizzare attività di integrazione per gli adolescenti stranieri, anche figli di seconda generazione, stiamo cercando di sviluppare progetti per favorire l’occupabilità femminile.

Ci piacerebbe molto poter riproporre il progetto “LIN” per favorire l’integrazione dei cittadini provenienti da paesi terzi nei diversi luoghi di lavoro.

La scelta del nome può apparire ovvia e banale ma la multiculturalità è il filo conduttore di tutti servizi, piccoli o grandi, che afferiscono a questo polo.

Approfondiamo ora i nostri servizi SAI e CAS attraverso un’intervista ai coordinatori Giulia Foccoli e Giuseppe Pagani.

CI RACCONTATE CHI SIETE, QUAL È IL VOSTRO RUOLO IN COOPERATIVA E COME CI SIETE ARRIVATI?

GIUSEPPE: Io sono Giuseppe Pagani, lavoro in Coope-

rativa da più di due anni; attualmente sono il Coordinatore del CAS che sta per Centro Accoglienza Straordinaria. Ho iniziato come operatore di questo Servizio e in un secondo momento ho sostituito la precedente responsabile che ha intrapreso un’altra esperienza professionale.

GIULIA: Io sono Giulia Foccoli, sono entrata in Comunità Fraternità ad aprile 2019, ma prima ho lavorato per qualche anno come operatrice sociale e legale nel Servizio di accoglienza di Fraternità Giovani; anche io ho iniziato come referente di appartamento e poi successivamente ho assunto il ruolo di Coordinatrice del Servizio SAI, ovvero Sistema di Accoglienza e Integrazione.

GIUSEPPE: Lo step iniziale dell’accoglienza è il CAS. Noi entriamo in azione subito dopo l’approdo in Italia e una breve permanenza negli HOTSPOT ossia i centri collettivi in cui vengono collocati i migranti nel momento in cui toccano il suolo italiano, per intenderci Lampedusa.

I CAS sono strutture individuate dalla Prefettura attraverso appositi bandi e gestite generalmente da Cooperative e/o Associazioni di varia natura nelle quali i migranti DOVREBBERO essere inseriti eccezionalmente in caso di saturazione del sistema principale.

Tuttavia, data la capienza insufficiente dei centri di accoglienza convenzionale, da situazione emergenziale i CAS sono divenuti ormai un passaggio all’ordine del giorno e una realtà in cui i migranti sostano anche per anni.

Lo scopo principale dei CAS non è solo quello di garantire una momentanea accoglienza e servizi primari quali vitto e alloggio, ma anche fornire supporto legale nel percorso di richiesta di protezione o asilo, mediazione culturale, assistenza sanitaria, sociale e psicologica, insegnamento della lingua italiana e orientamento al territorio e al lavoro.

Tecnicamente le persone accolte in CAS dovrebbero rimanervi fino all’ottenimento di un documento che eviti loro di entrare in condizione di clandestinità, ma non sempre è così perché, se nei SAI non ci sono posti liberi, il titolare di protezione rimane comunque nei nostri centri finché non si libera una posizione per lui.

GIULIA: In seguito all’ultimo cambio normativo anche noi siamo tornati ad accogliere richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale e altri tipi di protezione.

La presa in carico è però diversificata perché, per legge, non possiamo erogare a richiedenti e titolari di protezione gli stessi servizi.

Diciamo che ai richiedenti asilo possiamo fornire prestazioni “di base” quindi vitto, alloggio, assistenza sanitaria, legale, psicologica, insegnamento della lingua

italiana, ma non possiamo attivare quei percorsi più mirati all’autonomia e all’integrazione sul territorio come l’apertura di borse lavoro, il pagamento di corsi di formazione o della patente perché questi sono riservati esclusivamente a chi in qualche modo risulta più “legittimato” nella permanenza in Italia in quanto titolare di protezione.

QUALI SONO LE SOSTANZIALI DIFFERENZE TRA I VOSTRI SERVIZI?

GIULIA: I SAI ricevono in gestione il servizio da parte dell’ente locale, quindi dal Comune che è effettivamente il titolare del progetto avendo partecipato ad un bando di finanziamento del Ministero dell’interno. Anche le risorse economiche che abbiamo a disposizione sono diverse rispetto a quelle dei CAS; noi lavoriamo su un budget annuale già previsto sulla base di un

piano preventivo che nel concreto si quantifica in una retta di circa € 38 giornalieri a persona. Anticipiamo tutte le spese, le rendicontiamo e poi le stesse ci vengono rimborsate in un secondo momento.

La durata dei nostri percorsi è definita e strutturata in 6 mesi con la possibilità di una proroga di massimo altri 6 mesi per i titolari di protezione. Tendenzialmente questa “rigidità” riguarda adulti (maschi e femmine soli); di fronte a percorsi di accoglienza particolari (presenza di minori o di condizioni di fragilità personale conclamata) si acquisisce una maggiore elasticità e l’accoglienza può dilatarsi anche fino a 24/30 mesi. Ogni richiesta di proroga deve essere inviata al Servizio Centrale di Roma in maniera congiunta dall’ente gestore e dall’ente locale. Sulla base di una relazione descrittiva del percorso effettuato e delle prospettive future, l’ufficio competente sopra citato valuta se accogliere o meno la possibilità di procrastinare i percorsi. Per i richiedenti asilo l’accoglienza dura fino alla definizione della loro condizione giuridica.

GIUSEPPE: Noi lavoriamo invece su affidamento diretto della Prefettura che diventa così il nostro principale interlocutore negli invii degli utenti. La nostra retta è sensibilmente inferiore rispetto a quella che ricevono i SAI; tempo fa sotto il Ministro Minniti l’importo era di € 35 a persona, ridotto a € 18 da Salvini e ora aumentato a € 24,42, si evince da questo l’impossibilità da parte dei CAS di farsi carico di prestazioni più onerose date le ridotte risorse economiche a disposizione.

Un’altra sostanziale differenza tra i due servizi è rappresentata sicuramente dalla durata dei percorsi: in CAS non esiste una durata definita, perché è legata al tempo di ottenimento dei documenti che varia da caso a caso.

Un’altra differenza sostanziale è data proprio dalla natura dei percorsi.

Trovandosi in una condizione di maggiore incertezza data l’assenza del documento e l’impossibilità di pre-

vedere la durata della permanenza, la progettualità viene fortemente condizionata e limitata purtroppo ad un intervento emergenziale.

I SAI invece lavorano alla creazione di progetti mirati al raggiungimento dell’autonomia in vista di una reale uscita e integrazione sul territorio.

POTETE SPIEGARCI L’ITER LEGALE CHE I MIGRANTI DEVONO AFFRONTARE NELLA RICHIESTA DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE?

GIUSEPPE: I migranti che accogliamo sostanzialmente richiedono asilo politico in Italia e sono persone che temono di essere perseguitate nel loro Paese di provenienza per motivi di razza, religione, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche.

Il primo step è l’identificazione presso gli sportelli dedicati della Questura e la consegna di un attestato no-

minativo. Entro un mese dall’ingresso il beneficiario viene supportato dal Servizio nella compilazione del modello C3 indispensabile per la richiesta d’asilo. In seguito al deposito di questa domanda, la persona viene convocata in Commissione per sottoporsi ad un’audizione in cui raccontare la propria storia e giustificare così la richiesta di protezione. Il racconto viene valutato dai commissari interni che ne esaminano la veridicità e decidono se ritenerlo meritevole di protezione.

A questo punto si aprono due strade: se la Commissione si esprime in termini negativi, il richiedente viene “Diniegato” e ha 30 giorni per presentare ricorso, assistito da un gruppo di avvocati con cui collaboriamo. A questo punto il tribunale fissa un’udienza anche dopo un anno e più e nel frattempo l’avvocato cerca di evidenziare le parti più significative della storia o integrare la documentazione con relazioni che attestino il buon percorso dell’assistito. Se la richiesta viene respinta anche col ricorso si va direttamente in Cassazione, che è l’ultima possibilità per poter ottenere una qualsiasi forma di protezione. Se anche la Cassazione dovesse dare un esito negativo, la persona deve abbandonare l’accoglienza. Qualora il richiedente non avanzi questa richiesta entro i termini stabiliti, a tutti gli effetti si considera un clandestino e l’accoglienza viene revocata.

Se la Commissione invece riconosce la necessità di dover abbandonare il proprio Paese di origine si procede con il rilascio di una protezione che può avere diverse declinazioni.

GIULIA: Otre all’asilo politico descritto prima da Beppe, possono essere accordati altri tipi di protezione:

 SUSSIDIARIA: Dura 5 anni ed è concessa quando la Commissione ritiene che il richiedente rischi di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale) nel caso di rientro nel proprio paese.

la Commissione ritenga sussistano altri pregiudizi meritevoli di tutela, in caso di rimpatrio nel paese di origine. La protezione speciale esclude infatti la possibilità di allontanamento dal territorio nazionale del cittadino straniero, quando ciò implichi una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare: in particolare la Commissione tiene conto dei vincoli familiari, dell’integrazione nella società italiana, della durata del suo soggiorno nel nostro Paese e, infine, anche dei legami culturali o sociali con il Paese di provenienza.

Diciamo che questa casistica si avvicina molto, ampliandone il concetto, alla protezione UMANITARIA abrogata poi con il decreto Salvini.

Nel SAI noi possiamo accogliere anche migranti con altri tipi di permesso di soggiorno come il permesso per casi speciali (umanitari in regime transitorio, titolari di protezione sociale, vittime di violenza domestica, vittime di sfruttamento lavorativo), le vittime di calamità, i migranti cui è riconosciuto particolare valore civile, i titolari di permesso di soggiorno per cure mediche.

DA DOVE ARRIVANO PRINCIPALMENTE I MIGRANTI CHE OSPITATE? COME È CAMBIATA L’ACCOGLIENZA NEGLI ULTIMI ANNI?

GIULIA: Fino a qualche anno fa le persone provenivano principalmente dalla zona Sub Sahariana dell’Africa, quindi Mali, Nigeria, Ghana, Gambia, Camerun, Costa D’Avorio, Guinea, Senegal e qualcuno anche dalla Somalia e dal Pakistan.

Ad oggi assistiamo all’arrivo principalmente di Pakistani, Bengalesi, Afghani, Nord Africani e ultimamente Ucraini.

SPECIALE: Dura 2 anni e viene rilasciata quando

GIUSEPPE: Ai rifugiati Ucraini, trovandosi in una condizione di acclarato pericolo nel loro Paese, viene concessa immediatamente una forma di protezione temporanea che li svincola dall’iter giudiziario classico e

gli consente di evitare l’audizione in Commissione, devono solo dimostrare in Questura di essere Ucraini.

Il cambio dei Paesi di provenienza è probabilmente causato dalle delicate situazioni politico economiche locali; la presenza di conflitti interni, di regimi totalitari o di condizioni di particolare povertà che interessano le zone citate sono il motore di queste nuove ondate migratorie.

Ovviamente questa estrema varietà di provenienze complica ulteriormente l’accoglienza. Al momento ospitiamo un numero consistente di “etnie” e dobbiamo confrontarci spesso con persone che parlano solo la loro lingua e nemmeno una parola di inglese o francese. Ove necessario attiviamo mediazioni culturali mirate, per le comunicazioni più semplici invece usiamo traduttori automatici o ci facciamo capire a gesti o per immagini. Tolti gli Ucraini per i quali sono stati previsti dalla Convenzione posti dedicati, gli altri richiedenti asilo vengono collocati in appartamenti con persone con cultura affine nella speranza che questa vicinanza possa creare meno attriti e difficoltà.

GIULIA: Forse per il numero di posti di gran lunga inferiore, gli ospiti del SAI non sono così eterogenei. A differenza del CAS che mette a disposizione più di 70 posti, noi ne abbiamo solo 25 e già questo riduce le diversità culturali; anche il fatto di accogliere molti nuclei familiari in qualche modo contiene la varietà delle provenienze. Diciamo che l’eterogeneità la ritroviamo nei due appartamenti a disposizione di adulti maschi dove su 4 posti disponibili abbiamo 4 nazionalità diverse. Il nostro turn over sull’accoglienza dei singoli poi è molto più serrato e questo contribuisce a non creare convivenze troppo lunghe.

QUALI PUNTI DI FORZA RITROVATE NEL FATTO DI

ESSERE DUE SERVIZI INTEGRATI ALL’INTERNO DELLA STESSA COOPERATIVA?

GIUSEPPE: Sicuramente il confronto quotidiano con i colleghi che operano nei due diversi servizi. I nostri operatori si conoscono e si frequentano professionalmente, abbiamo inoltre un momento di supervisione condiviso e questo consente uno scambio molto produttivo anche rispetto a strategie operative e Know how nella gestione della quotidianità.

GIULIA: In qualche modo l’integrazione dei due Servizi in una Cooperativa (caso ormai più unico che raro nel panorama bresciano) consente l’organizzazione di eventi e momenti formativi condivisi con la possibilità di raggruppare tutti i nostri utenti in momenti di informazione di natura sanitaria (igiene, alimentazione, accudimento dei figli piccoli…) o scolastica Capita anche che alcuni richiedenti del CAS, una volta ottenuto il documento, siano collocati all’interno del SAI garantendo così una continuità nella presa in carico.

Maria, Giulia F., Giuseppe

dei territori, per misurare gli avanzamenti del processo di costruzione dei sistemi di inclusione locale e migliorare la qualità delle politiche dedicate all’inserimento inclusivo delle persone con vulnerabilità;

accompagnamento dei 5 Comuni (Roma, Torino, Trieste, Siracusa e Crotone) in un percorso di formazione on the job per individuare criticità e punti di forza del sistema locale di inclusione;

apertura di uno spazio di confronto per il rilevamento e l’analisi delle buone pratiche che hanno raggiunto risultati di successo in determinati ambiti, per trasformarle in procedure volte alla definizione di modelli di governance per l’inclusione;

la definizione del ruolo e l’aumento delle competenze alle figure professionali che nei diversi uffici si occupano di inclusione degli immigrati, centralizzando la funzione delle equipe multidisciplinari;

la redazione di un manuale per trasferire le sperimentazioni all’interno di un sistema procedurale uniforme e omogeneo e costruire e aggiornare le governance locali per l’inclusione dei cittadini dei Paesi terzi che comprenda sia la formazione dei quadri professionali, sia la regolamentazione delle responsabilità;

l’attualizzazione dello strumento “Piano personalizzato”, introducendo indicatori che tengano conto delle abilità e dei talenti degli immigrati con modalità compatibili con le direttrici di sviluppo del territorio;

la diffusione del modello e del manuale per l’inclusione degli immigrati nelle Regioni e negli ambiti locali attraverso i CROAS, favorendo l’introduzione degli Assistenti sociali/Coordinatori d’Area negli uffici sociali territoriali.

Infine l’avvio della promozione di uno spazio europeo dell’inclusione dei cittadini di Paesi terzi, per favorire Io scambio di buone pratiche e il mainstreaming.

Il nostro lavoro ha riguardato prevalentemente il tema delle “buone pratiche”. Ci siamo quindi impegnati nella produzione di un inquadramento teorico/ metodologico e ricerca sul campo di buone pratiche relative ad alcuni dei temi che in particolare sono emersi come temi comuni relativi all’abitare, al lavoro, all’inclusione in rete tra i servizi. Tali temi si sono ripresentati in tutto l’arco di svolgimento del progetto e si sono sempre più evidenziati nella loro complessità e pregnanza. Comunità Fraternità ha lavorato su due fronti: da un lato accanto ai referenti delle città per approfondire le conoscenze di aspetti peculiari ad ognuna, dall’altro sulla sistematizzazione degli aspetti caratterizzanti le buone pratiche, cosicché gli operatori ne ricavassero un quadro metodologico di riferimento utile per la costruzione e la successiva modellizzazione.

Le buone pratiche infatti possono fare la differenza nell’intervento con i cittadini stranieri e spesso per mancanza di progettazione e coordinamento adeguato costituiscono un freno e un limite ad un corretto agire degli operatori sociali. Avere come riferimento delle buone prassi e saper leggere, sulla base di indica-

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tori, quali sono le caratteristiche che le definiscono, può aiutare a rimuovere gli ostacoli che si incontrano nel percorso di presa in carico e che impediscono la possibilità di fornire risposte adeguate al cittadino straniero che si rivolge ai servizi.

Dal punto di vista operativo il nostro lavoro è stato all’inizio interno e volto alla costruzione di indicatori sulla scorta della ricerca e dello studio di buone pratiche presenti sia sul nostro territorio, che a livello nazionale, ma anche all’estero. Significativo è stato il lavoro iniziale svolto prevalentemente da operatori impegnati nei nostri servizi per immigrati e orientato ad approfondire da un lato le caratteristiche dei bisogni di inclusione presentati e dall’altro la ricerca di esperienze di prossimità in cui si sono realizzate “buone pratiche”. Ci si è anche sperimentati direttamente nella costruzione delle stesse. Questi ed altri interventi hanno consentito di riflettere sul proprio modo d’agire, ma, soprattutto di trasferire le esperienze di buone pratiche nella ricerca di situazioni emblematiche a livello regionale, nazionale ed europeo che agevolassero la trasmissione di forti esperienze concrete agli operatori sociali.

Alla prima fase di ricerca e sperimentazione all’interno ed a livello territoriale sono seguiti momenti formativi rivolti agli operatori delle cinque città.

A conclusione del nostro lavoro sulle buone prassi, sosteniamo con forza la loro estrema utilità in campo sociale. Infatti ogni buona pratica, oltre a facilitare l’azione di chi sta all’interno di un servizio, sia esso pubblico o privato, rappresenta uno strumento di lavoro e non è un oggetto di ricerca asettico. Metterla in atto significa misurarsi con l’esperienza concreta, confrontare quanto si è fatto, soprattutto trasformare le conoscenze acquisite nella quotidianità del servizio e quindi osare di più.

Né va dimenticato che nel quotidiano diventa rilevante il rapporto che si crea tra servizi e utenza, in cui si mescolano e si alternano conoscenze tecniche e rapporti

empatici, percorsi burocratici e vissuti personali. Questi anziché costituire un ostacolo nei processi di lavoro, rappresentano un arricchimento e connotano in maniera del tutto originale e particolarmente stimolante l’utilizzo di buone prassi.

Quasi sempre siamo stati destinatari di processi di ricerca e formazione. L’esperienza di Co efficienti ci ha visto dall’altra parte della barricata. Abbiamo avvertito tutta la responsabilità ed il dovere di lavorare con particolare impegno per poter fornire informazioni, dati e formazione corretti, per farlo abbiamo potuto contare sull’aiuto degli altri partners di progetto ed alla fine ne siamo usciti anche noi sicuramente più competenti e consapevoli. Elena, Giulia F.

I Partner:

PUOI RACCONTARCI CHI SEI, QUAL È IL TUO RUOLO NEL SERVIZIO DI ACCOGLIENZA E QUALE È STATO IL PERCORSO CHE TI HA PORTATA A SVOLGERE LA TUA ATTUALE OCCUPAZIONE DI INSEGNANTE DI ITALIANO PER STRANIERI?

Sono Cancilde, ho 30 anni e il mio ruolo è insegnare la lingua italiana a persone straniere. Lavoro in Cooperativa da quasi 8 anni. In un primo momento mi sono occupata di supportare nella quotidianità gli utenti da noi accolti in qualità di referente di appartamento. Successivamente mi è stato proposto di diventare insegnante, ho iniziato quindi a fare lezione di italiano ai ragazzi per qualche ora a settimana, via via che l’attività è diventata più strutturata ho scelto di dedicarmi in via esclusiva ad essa.

PER SVOLGERE L’ATTIVITÀ DI INSEGNAMENTO TI SEI DOVUTA ABILITARE SEGUENDO CORSI SPECIFICI?

Trattandosi della mia attività principale, ad un certo punto mi è stato consigliato di seguire un corso mirato, che mi consentisse di ottenere un’attestazione abilitante all’insegnamento della lingua italiana, che ho ottenuto nel 2017 e così ora posso definirmi a tutti gli effetti una maestra di italiano per persone straniere.

CHI SONO I TUOI ALUNNI ATTUALI E COME SONO CAMBIATI NEGLI ANNI?

Inizialmente il target era costituito prevalentemente da giovani uomini provenienti in particolar modo dall’Africa Subsahariana. In seguito abbiamo iniziato ad accogliere nuclei familiari, si sono quindi aggiunte anche le donne ed i bambini e ora le età e le provenienze sono molto variegate: mi trovo ad insegnare anche a persone adulte, provenienti dal Pakistan, dal Bangladesh e ultimamente dall’Ucraina.

Il numero degli studenti che seguo varia a seconda del numero di persone accolte e di quanto riescono a

frequentare corsi esterni. Mi trovo spesso a dover rivedere la composizione delle classi e l’organizzazione delle lezioni tenendo conto degli ingressi e delle uscite, dell’inizio di altri corsi di formazione o di attività lavorative. A tutto questo si aggiunge l’emergenza pandemica che, durante il periodo più cupo, ci ha costretto ad attivare lezioni online e che ora non consente di creare classi troppo numerose.

HAI ANCHE ALTRE MANSIONI OLTRE ALL’INSEGNAMENTO?

Si, tra le attività di cui mi occupo ci sono anche l’assistenza alla stesura e/o aggiornamento del curriculum vitae, alla ricerca di un lavoro, all’iscrizione a corsi di formazione sul territorio o ad altri corsi di italiano più strutturati e avanzati. Noi ci appoggiamo principalmente al Centro provinciale per l’istruzione degli adulti, ovvero una scuola pubblica che realizza corsi e attività per adulti e giovani che abbiano compiuto almeno 16 anni. In questa sede si può partecipare non solo a percorsi di alfabetizzazione, ma anche di accesso alla scuola media e al biennio iniziale di alcune scuole superiori.

La mia attività di insegnamento è spesso propedeutica all’accesso a percorsi formativi maggiormente elaborati. Questo tipo di ricerca si intensifica e si complica ulteriormente nel periodo estivo perché l’offerta diventa più rara non avendo l’appoggio delle scuole, chiuse per le vacanze.

Per quanto riguarda l’istruzione dei piccoli utenti presenti nelle famiglie accolte, il mio ruolo è di affiancare i genitori nell’iscrizione alle scuole dell’infanzia. Cerco di orientarli nei vari passaggi necessari al perfezionamento dell’iscrizione e poi li sprono ad essere partecipi al percorso di istruzione intrapreso dai loro figli attraverso la partecipazione ai colloqui con gli insegnanti e alle varie iniziative promosse dall’istituto scolastico.

QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFICOLTÀ CHE INCONTRI NELLA TUA ATTIVITÀ DI INSEGNANTE? COME LA SVOLGI NEL CONCRETO?

Sicuramente lo scoglio principale è la svalutazione dell’importanza della lingua italiana da parte delle persone straniere che accogliamo. La loro ambizione è da subito il lavoro; nella possibilità di trovare un’occupazione stabile ripongono tutte le loro energie credendo di poter gestire l’apprendimento della lingua in autonomia. In realtà non si rendono conto che una buona padronanza dell’italiano li agevolerebbe sicuramente nella ricerca e nell’ottenimento di un impiego.

Un altro elemento destabilizzante per lo svolgimento del programma didattico è l’incognita relativa all’effettiva durata del percorso; da un momento all’altro i ragazzi possono uscire dall’accoglienza e questo è spesso un ostacolo all’interno della progettazione ipotizzata.

Un’ulteriore criticità è la composizione estremamente eterogenea delle classi: il fatto di dover insegnare contemporaneamente a persone con livelli di istruzione spesso agli antipodi, età molto distanti tra loro e culture di provenienza diversificate, complica molto la mia attività e rende necessaria una personalizzazione dei programmi che tenga conto di tutte queste peculiarità.

Proprio per questo, prima di inserire la singola persona all’interno della classe, procedo con una valutazione individuale del suo livello di conoscenza per orientare al meglio il mio intervento.

Questo passaggio iniziale è funzionale alla stesura di obiettivi personalizzati per ogni utente che mi consentono di agire in maniera più consapevole ed efficace nel processo di insegnamento.

COME SI SVOLGONO NEL CONCRETO LE LEZIONI?

L’obiettivo primario, soprattutto per quanto riguarda le persone analfabete, è quello di renderle autonome nell’espressione dei loro bisogni principali, anche relativi al proprio stato di salute, in modo tale da riuscire a metterli in condizione di chiedere aiuto se dovessero averne bisogno. In un secondo momento mi concentro sulle necessità che possono esserci all’interno della struttura di accoglienza; è un tipo di insegnamento molto concreto e pragmatico, quindi ad esempio gli spiego i nomi degli oggetti comuni che si trovano all’interno di un appartamento e, col tempo, a segnalare eventuali problemi tecnici: il rubinetto che perde, la caldaia che si blocca, la luce che salta questa diventa la base della comunicazione con gli operatori, da lì poi ampliamo l’orizzonte e procediamo con l’insegnamento delle frasi principali da padroneggiare in autonomia sul territorio: chiedere informazioni stradali o segnalare al medico di base eventuali malanni e problemi di salute. A questa parte pratica si abbina ovviamente l’in-

segnamento della grammatica italiana anche per renderli più consapevoli della lingua stessa.

QUALI DIFFERENZE NOTI NELLA CAPACITÀ DI APPRENDIMENTO DI PERSONE PROVENIENTI DA CULTURE DIVERSE?

Sicuramente nella capacità di apprendimento dei singoli incidono la storia personale, l’estrazione sociale, l’appartenenza culturale e l’età. Le persone giovani, anche se gravemente analfabete, riescono ad assimilare più velocemente i concetti e ad interiorizzarli poi in maniera efficace a prescindere dai fattori sopra elencati. Gli utenti provenienti da zone molto deprivate a livello culturale hanno tempi più lunghi e difficoltà maggiori, penso a chi arriva dal Bangladesh, dal Pakistan, dal Mali o dalla Costa D’Avorio, paesi in cui spesso l struzione è subordinata e sacrificata in nome dell viamento precoce dei bambini al lavoro.

In questo momento stiamo accogliendo anche persone fuggite dalla guerra in Ucraina. Avendo un background culturale più vicino al nostro, l’insegnamento per me, e l’apprendimento per loro risulta sicuramente più facile. Molti hanno alle spalle cicli scolastici completi e una predisposizione allo studio più spiccata, che gli consente di approcciarsi alle mie lezioni con un interesse e un investimento diversi.

HAI VOGLIA DI CONDIVIDERE CON NOI UN PERCORSO DI INSEGNAMENTO ANDATO A BUON FINE?

Ricordo un ragazzo appena maggiorenne proveniente dal Mali. Arrivava da una zona poverissima del suo Paese, era completamente analfabeta e non sapeva leggere e scrivere nemmeno nel suo dialetto d ne. Aveva iniziato a lavorare da piccolissimo occupandosi delle poche bestie di proprietà della sua famiglia, culturalmente non aveva la minima percezione di quanto fosse importante l’istruzione.

Siamo partiti da zero, dalle basi più semplici e con molta pazienza siamo arrivati ad ottenere la capacità di comprendere ed esprimersi nella nostra lingua. La sua curiosità, il suo impegno e probabilmente anche la giovane età gli hanno consentito di migliorarsi fino ad arrivare all’iscrizione alla scuola media. Purtroppo

non ha concluso il ciclo di studi, ma è arrivato ad ottenere una padronanza della lingua davvero invidiabile considerando il suo punto di partenza. Questa è sicuramente la mia soddisfazione professionale più grande.

Cancilde, Maria

Il lavoro è sicuramente una delle componenti fondamentali nella vita di ognuno di noi e lo è ancor di più per chi arriva da solo in un paese straniero.

È proprio per questo motivo che una della attività nelle quali i nostri operatori sono maggiormente coinvolti è l’accompagnamento, di chi viene accolto dalla nostra cooperativa, all’acquisizione di competenze spendibili nel mondo del lavoro oggi in Italia e alla ricerca di un’occupazione.

Questa attività presenta delle differenze tra CAS e SAI principalmente dettate dal livello di conoscenza della lingua italiana, dal diverso status giuridico e da un diverso livello di integrazione da parte dei beneficiari.

Per i richiedenti asilo il primo passaggio è sempre la scuola di italiano, oltre alla spiegazione di come funziona il mercato del lavoro in Italia e di quali sono le regole da rispettare.

Per le situazioni più vulnerabili o con un livello basso di integrazione viene spesso utilizzato come primo step la partecipazione al nostro laboratorio occupazionale T38. Non si tratta di un’attività lavorativa ma di un “laboratorio ”, sorto per far fronte, nelle ore diurne, ai bisogni di risocializzazione e di reinserimento sia di persone ospitate nei servizi interni della cooperativa per la salute mentale, la dipendenza, il disagio grave e la fragilità, che di adolescenti ed adulti di ambo i sessi in stato di svantaggio sociale o vulnerabilità che non accedono ad alcun servizio e necessitano di ottenere i pre requisiti indispensabili per accostarsi al mondo del lavoro. In particolare per le persone richiedenti asilo che ospitiamo nei nostri servizi è un modo per sperimentarsi ed apprendere le competenze necessarie per potersi inserire con più facilità all’interno del mondo del lavoro.

Per la maggior parte si tratta di un trampolino per potersi poi muovere nella ricerca di un’occupazione in maniera più consapevole e professionale, per le situazioni di maggiori fragilità rappresenta un luogo sicuro e protetto nel quale potersi comunque vedere come “lavoratori”, ma potendo dare maggior attenzione alla cura di sé e del proprio disagio.

Diverso è il percorso per i beneficiari che accogliamo direttamente nel nostro SAI.

A seguito dell’ingresso all’interno dei nostri servizi di accoglienza viene svolto con i beneficiari un colloquio al fine di effettuare una prima analisi delle competenze, delle capacità, delle esperienze lavorative, dei corsi di formazione svolti e dei titoli di studio in loro possesso.

A seconda del bisogno, gli operatori si occupano poi di supportare ogni beneficiario nella produzione/ aggiornamento del loro Curriculum Vitae e nell’iscrizione presso le agenzie per il lavoro presenti sul territorio.

Successivamente, in base alla necessità di ciascuno, si organizzano colloqui settimanali per aiutare le persone da noi accolte nella ricerca del lavoro, permettendo loro di raggiungere gradualmente le capacità necessarie per poter procedere in autonomia. Ci occupiamo anche di prepararli al colloquio di lavoro e se necessario di accompagnarli allo stesso al fine di garantire loro una mediazione linguistica e un supporto nella lettura e sottoscrizione del contratto. Un operatore del servizio svolge inoltre una mappatura delle aziende/ditte presenti sul territorio al fine di scovare le opportunità disponibili.

Il servizio si occupa inoltre di attivare percorsi di tirocinio extracurriculare, finalizzati ad agevolare le scelte professionali e l’occupabilità dei beneficiari mediante una formazione a diretto contatto con il mondo del lavoro. Tale inserimento avviene previa stipula di una “Convenzione di tirocinio” con l’azienda ospitante.

Saltuariamente ci si avvale inoltre del supporto delle agenzie per il lavoro, ad esempio “Solco Brescia consorzio di cooperative sociali” e “Lavorando Srl” per il supporto nell’inserimento lavorativo attraverso strumenti tra cui Garanzia Giovani o la DUL (dote unica lavoro).

Tali percorsi hanno gli obiettivi di:

verificare la capacità di calarsi nel ruolo di lavoratore;

valutare la capacità di apprendimento delle mansioni e la qualità della loro esecuzione;

valutare il rapporto con le regole (lavorative e di comportamento);

osservare la capacità di instaurare rapporti con i colleghi di lavoro;

verificare l’impegno lavorativo e la costanza;

le cassette dei medicinali insieme ad altri e allora ho iniziato a capire cosa volesse dire “coordinarsi” in un gruppo.

Per me era una novità, ma questa diversa modalità di lavoro mi piaceva perché non mi faceva sentire solo e mi dava la possibilità di imparare a “muovermi” tra le persone; ho iniziato a capire come funzionava il lavoro qui in Italia e a rendermi conto che il confronto è molto importante per arrivare ad un buon risultato finale.

In Africa lavoravo sulle navi, nessuno ti spiegava cosa fare perché te lo dicevano solo la prima volta e poi dovevi cavartela da solo: ognuno aveva il suo compito e non si preoccupava delle mansioni degli altri.

consolidare l

apprendimento della lingua italiana in contesti extrascolastici.

I percorsi di tirocinio hanno solitamente la durata di 3 mesi rinnovabili e prevedono un impegno di circa 20 ore settimanali (part time) o di 38 ore settimanali (full time). Al tirocinante viene riconosciuta un’indennità di partecipazione e al termine del tirocinio viene rilasciata un’attestazione delle competenze acquisite. Al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei beneficiari, il servizio (SAI) talvolta si fa carico dell’indennità di partecipazione delle prime 3 mensilità.

Di seguito la testimonianza di una delle persone accolte dalla nostra cooperativa:

“Ho iniziato ad andare nei laboratori a luglio 2020; avevo già avuto un’esperienza simile in un’altra Cooperativa, ma li si facevano solo lavori di assemblaggio, invece qui ci sono anche altre mansioni più complesse. Nell’altra cooperativa poi svolgevo le attività sempre da solo perché non c’era bisogno della collaborazione di altri per terminare i passaggi.

All’inizio anche qui portavo avanti compiti come il controllo qualità o lo smistamento dei pezzi e quindi stavo per conto mio, poi mi hanno chiesto di iniziare a lavare

La cosa diversa del laboratorio di T38 è l’impostazione del lavoro: sono partito da lavorazioni semplici, poi mi sono state affidati compiti di gruppo e alla fine mi è stato proposto di confrontarmi con lavorazioni più complesse come il montaggio dei braccioli.

Mi avete insegnato i vari passaggi e ad usare strumenti come l’avvitatore che non avevo mai preso in mano; ora so svolgere lavorazioni complesse che sono fatte di diversi passaggi e che necessitano della collaborazione di più persone perché si effettuano “in catena”; ho imparato che io devo “essere gli occhi dell’altro e viceversa” perché tutti possiamo sbagliare e perché bisogna controllare una volta in più per essere certi di ottenere un risultato adeguato.

Questa esperienza per me è molto importante perché mi ha insegnato come si lavora in Italia e come ci si deve relazionale nell’ambito lavorativo e non solo. Mi porterò questa esperienza anche in futuro, quando lavorerò davvero… grazie a quello che ho imparato qui saprò rispettare gli orari, regole e ruoli e saprò entrare in relazione con gli altri per potermi integrare al meglio”.

Negli ultimi anni abbiamo collaborato con varie cooperative di tipo B e aziende del territorio, tra cui la Cooperativa “La Fiaccolata SCS Onlus” di Ospitaletto e l’a-

zienda “Rottami Padana SPA” di Castegnato, che hanno ospitato diversi beneficiari in qualità di tirocinanti, alcuni dei quali sono stati poi assunti con contratti di lavoro a tempo indeterminato.

S. dopo aver raggiunto gli obbiettivi di formazione ed integrazione che ci eravamo posti a T38 sta lavorando alla Fiaccolata.

Domenica Buffoli, responsabile sociale della cooperativa “La Fiaccolata scs onlus”, ci ha fornito una restituzione in merito a cosa pensa della collaborazione avuta con la nostra cooperativa e a come definirebbe il termine “integrazione”:

Abbiamo sempre trovato che il vostro servizio di accoglienza sia ben strutturato: le persone da voi seguite hanno sempre avuto un supporto da molteplici punti di vista (oltre che abitativo anche sanitario, c’è sempre stato un supporto di un mediatore culturale e linguistico). I percorsi di tirocinio erano monitorati da un vostro operatore che si è interfacciato periodicamente con noi per valutare l’andamento del tirocinio e per risolvere eventuali problemi.

Abbiamo avuto modo di avviare qualche percorso di tirocinio e le persone coinvolte hanno avuto modo di fare una bella esperienza. Qualcuno di loro è diventato nostro dipendente.

Parlare oggi di integrazione è difficile. Le notizie divulgate dai mass media trasmettono solo diffidenza e chiusura rispetto a chi viene da altri paesi. Le persone che abbiamo conosciuto sono sempre state molto collaborative e ci hanno trasmesso la necessità di allargare i nostri orizzonti, di non dare per scontate le nostre certezze. I loro sforzi per cercare di adattarsi al nostro modo di vivere e per cercare di ricostruirsi una vita lontano dal loro paese devono essere valorizzati. Per la nostra cooperativa questi tirocini sono stati un’occasione per aprirci a mondi diversi e per contribuire a creare una società multiculturale più giusta.”

All’interno del servizio sono attivi inoltre due sportelli,

dislocati nei Comuni di Lograto e Castegnato, aperti ai beneficiari dei servizi di accoglienza e ai cittadini esterni. L

operatrice dedicata accoglie le persone al fine di aiutarle a redigere e aggiornare il Curriculum Vitae, ricercare corsi di formazione, consultare gli annunci di lavoro e inviare la propria candidatura alle aziende o alle agenzie per il lavoro.

I servizi finora elencati hanno come obiettivo principale quello di rendere i beneficiari progressivamente autonomi:

nella gestione dei rapporti lavorativi (con superiori e colleghi);

nella stesura del Curriculum;

nella consultazione degli annunci sui quotidiani e sui bollettini settimanali;

nell

utilizzo degli strumenti informatici (internet, e mail).

In conclusione pensiamo che Il lavoro sia uno degli aspetti decisivi su cui puntare per favorire l’integrazione. Al di là del valore strettamente economico, legato alla sussistenza personale o prodotto dai lavoratori immigrati nel paese cosiddetto ospitante, il lavoro innesca dinamiche positive sia a livello individuale che di comunità. Fa sentire le persone attive e protagoniste del proprio percorso.

Essere inserite in un contesto lavorativo permette alle persone di apprendere più velocemente la lingua, le abitudini, le regole sia implicite che esplicite del luogo in cui si trovano. Fanno esperienza di ciò che nella migliore delle ipotesi apprenderebbero tra le mura di un’aula. Allo stesso tempo, il lavoro permette di rafforzare la fiducia in sé stessi, di costruire un legame con la comunità e il territorio in cui ci si trova a vivere.

Jessica

Con il termine "capitale sociale" si intende quel bagaglio relazionale e valoriale che un individuo costruisce nel corso della propria vita in una determinata società. Crescendo il soggetto inizierà ad ampliare la propria rete di conoscenze e a relazionarsi con individui dal bagaglio diverso dal proprio, accrescendo il proprio capitale e potendo perseguire fini altrimenti irraggiungibili a livello individuale.

L'unione di soggetti dal bagaglio valoriale ed esperienziale diverso rende infatti possibile risolvere problemi collettivi, facendo perno sulle reti relazionali, e permette di migliorare l'efficienza della società nel suo insieme.

Uno dei maggiori teorici del capitale sociale, Robert Putnam, sottolinea che le zone maggiormente dotate di cultura civica e capitale sociale sono caratterizzate da una forte cittadinanza attiva, fondata sui valori della fiducia e della cooperazione spontanea, che si ma-

nifestano nella presenza di una fitta rette di associazioni e volontariato.

Si capisce dunque quanto sia importante per i servizi dell’accoglienza poter contare su una rete di rapporti, informali anziché no, che aiuti gli ospiti ad integrarsi, a costruire relazioni, a raggiungere i propri obiettivi e che al tempo stesso migliori il funzionamento della società. Anche nella fredda Lombardia abbiamo incontrato diverse persone disponibili a supportare volontariamente rifugiati e richiedenti asilo.

Ad esempio Anna, insegnante presso la Scuola dell’infanzia di Lograto, che ha conosciuto S. ed è ben presto andata oltre il proprio ruolo professionale, aiutando la famiglia di S. a titolo personale.

“La situazione che stiamo affrontando da più di un anno e mezzo si sta rivelando un'esperienza ricca a livello culturale e affettivo da parte di entrambi i nuclei familiari. La collaborazione con la il SAI di Comunità Fraternità è stata

fondamentale nella gestione di questo progetto nato per rispondere ad una emergenza di breve durata trasformata poi in un rapporto continuativo grazie anche al legame affettivo instaurato. Posso ora affermare che, nonostante un’iniziale diffidenza da parte dei miei familiari verso l'impegno che ci stavamo assumendo, l'esperienza che stiamo vivendo ha portato a mettere in pratica quello in cui abbiamo sempre creduto: l'integrazione tra culture diverse.”

Anche Clara, volontaria di Ospitaletto, si è presa a cuore la situazione di D. "Il servizio SAI lo conoscevamo, ma non lo avevamo "toccato con mano". Solo tramite la segnalazione di un'amica di nostra figlia è iniziata la nostra esperienza. D. è un dolcissimo ragazzo che parla poco ma comunica con il sorriso; ci siamo conosciuti piano piano e il vero successo è aver conquistato la sua fiducia. L'appoggio degli operatori SAI è sempre presente e con interventi coordinati abbiamo permesso a D. di conquistare una vita serena, con le proprie autonomie.

Nella nostra esperienza integrare è vita quotidiana fatta di cene in famiglia, lezioni di italiano e prediche materne e paterne; più semplice di quel che potevamo immaginare."

Ci sono poi molti vicini di casa che collaborano attivamente per migliorare le condizioni di vita dei nostri ospiti, con gesti di solidarietà o semplicemente con la loro presenza quando per forza di cose la nostra non può essere totale. Il CAS può contare su persone affidabili che aiutano in modo disinteressato a Ospitaletto, Lograto, Rodengo e Castrezzato.

L’emergenza ucraina ha poi stimolato in modo straordinario lo sforzo solidaristico della popolazione, come purtroppo non è accaduto in passato in situazioni non così diverse. Il sostegno emozionale si è accompagnato a donazioni materiali di ovvia importanza.

Ci auguriamo che questa rete non smetta di crescere e che si rafforzi quindi sempre più quell’accoglienza informale di cui abbiamo e avremo incredibilmente bisogno.

Giuseppe

Comunità Fraternità ha iniziato ad occuparsi di accoglienza di persone provenienti da paesi terzi con servizi strutturati relativamente tardi rispetto all’inizio della sua storia e delle sue attività. Fin dall’inizio è stato chiaro che le persone accolte in alcuni casi manifestavano situazioni di disagio psichico o di abuso di sostanze significativo ed importante.

Il disagio mentale presentato dai richiedenti protezione internazionale e l’emersione delle conseguenze fisiche e psichiche causate dalle violenze subite nel Paese d’origine, costituiscono due possibili evenienze che sottopongono le strutture di accoglienza a particolari tensioni organizzative e professionali.

In queste circostanze si evidenzia un limite strutturale della loro azione che ne richiede l’integrazione nella rete territoriale dei servizi e che comporta una collaborazione costante e formalizzata con altri soggetti istituzionali.

Si tratta, infatti, di eventi che richiedono competenze tecniche e risorse umane e materiali che travalicano la funzione statutaria di accoglienza e supporto alle persone nel processo di ambientamento e ricostruzione di una vita nel contesto adottivo.

Data la sua storia e i suoi servizi “storici” che si occupano di salute mentale e dipendenze Comunità Fraternità ha cercato fin dall’inizio di trovare una risposta a questi bisogni mettendo in rete i servizi interni ed esterni con i quali la cooperativa collabora. Una prima risposta è stata data dedicando 6 posti a richiedenti asilo fragili all’interno della nostra comunità terapeutica Il Frassino, dall’inizio dell’attività nel 2016 sono stati accolti una ventina di richiedenti asilo. Non sono state poche le difficoltà che nel tempo abbiamo dovuto affrontare, già in fase di stesura del progetto. Le regole di una comunità terapeutica sono inevitabilmente, soprattutto in fase iniziale, rigide e restrittive e poco vengono accettate dai richiedenti asilo, che spesso non riconoscono il proprio problema. Si è quindi steso un regolamento ad hoc che potesse tenere insieme le indicazioni della Prefettura e il regolamento della comunità, ma che considerasse anche le esigenze specifiche dei richiedenti asilo, ad esempio l’utilizzo del telefono. Per gli operatori del Frassino è stata una sfida impegnativa accogliere persone con una forte barriera linguistica e culturale sia nel rapporto con loro che con gli altri ospiti. La collaborazione con l’equipe del CAS è stata fondamentale per unire le competenze e le conoscenze dei due gruppi di lavoro. Da un lato sono indispensabili le competenze di mediazione culturale, di assistenza legale e linguistiche che hanno gli operatori che si occupano di accoglienza, ma dall’altra parte l’esperienza nel campo delle dipendenze e della salute mentale ha permesso una risposta più competente e professionale ai bisogni delle persone accolte. All’interno del progetto di accoglienza ricopre

un ruolo importante anche lo SMI di Ospitaletto, che si occupa della presa in carico e della valutazione delle problematiche legate alle dipendenze. La presenza all’interno della nostra cooperativa di una comunità e la collaborazione con il CPS permettono la somministrazione di una terapia corretta e di un monitoraggio costante.

Nonostante le difficoltà e le incomprensioni possiamo raccontare di percorsi di accoglienza che si sono svolti con successo, di persone che grazie alla permanenza al Frassino hanno potuto affrontare e rielaborare in maniera positiva i propri traumi e le proprie difficoltà La convivenza all’interno del gruppo anche se in alcuni momenti ha portato a tensioni e discussioni ha arricchito entrambe le equipe e portato a reale integrazione e supporto reciproco. Per qualcuno dei richiedenti asilo accolti, il Frassino rimane una “famiglia”, all’interno della quale hanno ricevuto una calorosa ospitalità, nella quale hanno potuto ricostruirsi affrontando i “mostri” del passato, un porto sicuro in cui hanno avuto la possibilità di iniziare il loro percorso di accoglienza ed integrazione.

Non volendo fermarsi ad una struttura residenziale estremamente chiusa, la cooperativa ha poi pensato di dedicare prima uno, poi tre appartamenti adiacenti alla comunità di doppia diagnosi per un massimo di 11 uomini. La vicinanza ad una struttura residenziale permette un maggior controllo e supporto per la somministrazione della terapia.

La vicinanza di due servizi con livelli di controllo diversi, inevitabilmente genera difficoltà per gli operatori, che devono adattare il loro stile di lavoro. Anche in questo caso però, possiamo valutare l’esperienza in termini positivi.

Un esempio emblematico è la situazione di A. richiedente asilo guineano, accolto da noi da circa tre anni. Nell’estate del 2021 ha manifestato forti difficoltà sia dal punto di vista psicologico che relativamente all’uso di sostanze. Grazie alla presenza di una struttura residenziale adiacente all’appartamento, gli operatori

hanno potuto intervenire tempestivamente ogni qual volta A. ha manifestato comportamenti “sopra le righe”. Grazie alla presenza di uno psichiatra e di operatori dedicati anche alla somministrazione quotidiana della terapia, A. ha iniziato un percorso in collaborazione con il Cps competente. Parallelamente ha iniziato a frequentare il nostro laboratorio ergo-terapico T38.

L’avere del tempo occupato in un ambiente in cui apprendere competenze spendibili nel mondo del lavoro e la somministrazione regolare della terapia hanno avuto un effetto estremamente positivo all’interno del suo percorso di accoglienza. Oggi A. gestisce in autonomia sia rapporti con il CPS che la terapia farmacologica, lavora tramite un’agenzia con contratti a chiamata, ha un comportamento adeguato, si rapporta in maniera positiva e costruttiva con gli operatori e sa chiedere aiuto in caso di bisogno.

La storia di A. è l’esempio chiaro ed evidente di come una risposta condivisa e coordinata tra più servizi sia interni che esterni alla cooperativa, abbia prodotto un vero e proprio progetto di integrazione ed accoglienza. La storia e l’esperienza di Comunità Fraternità in ambiti diversi e la collaborazione messa in atto tra i servizi di accoglienza, le strutture residenziali e i servizi diurni ha permesso una risposta più professionale ai bisogni dei richiedenti asilo, evitando che situazioni di difficoltà e disagio degenerassero in maniera irrecuperabile. Non è sempre facile mettere insieme equipe diverse, approcci diversi, superare e considerare le barriere linguistiche e culturali, ma è la sfida che ci aspetta non solo nei servizi di accoglienza ma in tutti i servizi che la nostra cooperativa gestisce. Infatti i cittadini provenienti da paesi terzi o immigrati di seconda generazione, sono una presenza significativa ed importante, soprattutto nel nostro territorio bresciano. È quindi sempre più importante pensare che l’accoglienza e la presa in carico di queste persone debba essere svolta da tutti i servizi e non solo da quelli deputati per ruolo all’accoglienza ed integrazione.

Benedetta

Migrare non è mai facile. Oltre alla speranza e alle aspettative di una vita migliore, il percorso porta con sé anche avvenimenti traumatici sia fisici che psicologici. Spesso le persone che arrivano nel nostro servizio presentano condizioni di salute complesse che necessitano di una presa in carico multi professionale. Per questo motivo all’interno dell’équipe del polo multiculturale della nostra cooperativa sono presenti due figure che si occupano degli aspetti legati alla tutela della salute, un’assistente sanitaria e una operatrice socio sanitaria.

Uno dei nostri obiettivi è quello di supportare gli ospiti del servizio nella conoscenza del sistema sanitario, quali sono i professionisti di riferimento in caso di necessità (medico di base, pediatra di libera scelta, pronto soccorso, ecc…) e quali servizi territoriali hanno a disposizione per tutelare la propria salute. Insieme a questo è importante che i ragazzi e le ragazze si attivino in prima persona per rispondere ai propri bisogni e che imparino come muoversi in autonomia sul territorio. Questo perché il nostro è un servizio di accoglienza e integrazione e non è improntato al mero assistenzialismo.

Le nostre giornate non presentano una routine statica, anzi la maggior parte delle volte gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Quotidianamente ci occupiamo di tessere sanitarie da rinnovare, visite specialistiche, ricette, appuntamenti da programmare e colloqui con gli utenti.

Nell’ultimo periodo sono state diverse le persone arrivate nel nostro CAS subito dopo essere sbarcate in territorio italiano e questo ci ha posto nelle condizioni di prendere in carico persone che non parlano nessuna parola di italiano e spesso nemmeno inglese o francese, con tutte le conseguenze di un lungo viaggio, in cui le condizioni igieniche sono praticamente inesistenti. Sempre più spesso ci troviamo a dover

gestire situazioni in cui i nostri ospiti presentano problemi di infezioni e di infestazioni cutanee, per la gestione delle quali ci avvaliamo della presenza di uno specialista in malattie infettive come medico del polo multiculturale. Tutti i nuovi arrivati, privi di documenti e di assistenza sanitaria di base, vengono visitati dal medico del servizio, il quale prescrive eventuali terapie e fornisce agli operatori indicazioni su come gestire le diverse situazioni, eventualmente indirizzandoli ai servizi pubblici.

La tipologia di ospiti è varia e numerosa, attualmente il polo ospita 95 persone. Per questo motivo ognuna di noi è operatrice di riferimento per un determinato numero di utenti. Se entrambe dovessimo occuparci di tutti gli ospiti probabilmente non riusciremmo a garantire un supporto di qualità. Ciò non toglie che tra di noi ci sia un costante aggiornamento sulle varie situazioni sanitarie personali. Abbiamo inoltre l’abitudine di confrontarci per avere una visione più ampia su come approcciarci alle problematiche e alle richieste del singolo.

Sicuramente risulta più facile il lavoro con le donne e gli uomini soli, questo perché i nuclei famigliari, sia monoparentali che con entrambi i genitori, presentano una maggiore complessità di gestione. I nuclei monoparentali sono costituiti da madri sole con bambini, prive di una rete sociale che possa supportarle nella gestione dei figli. A livello lavorativo e d’istruzione, quindi, la gestione del loro tempo è più complessa. Nei nuclei composti da papà, mamma e bambini, il padre risulta essere la figura maggiormente integrata sul territorio: la maggior parte ha un’occupazione e conosce la lingua italiana. Le madri spesso sono meno integrate rispetto ai padri, poiché la maggior parte del tempo si occupano dei bambini, soprattutto quando sono troppo piccoli per frequentare la scuola dell’infanzia. Questo inevitabilmente non consente loro di

sperimentare un’attività lavorativa o di frequentare corsi di formazione. La situazione si ripercuote anche sull’integrazione dei figli; la maggior parte dei bambini è esposto nell’ambiente famigliare ad almeno due lingue madri e un dialetto del paese d’origine dei genitori. Di conseguenza può capitare che i bambini presentino difficoltà di comunicazione e linguaggio. In questi casi lavoriamo in collaborazione con il servizio di neuropsichiatria infantile per una eventuale presa in carico. Le donne, all’ingresso nel servizio, vengono prese in carico dal consultorio territoriale, all’interno del quale incontrano ostetriche e ginecologi che rappresenteranno per loro il punto di riferimento per tutto ciò che riguarda la tutela della salute al femminile.

Il consultorio ha la possibilità di attivare i mediatori culturali per i colloqui con le pazienti e questo risulta essere un punto di forza del servizio, perché spesso non è sufficiente una semplice traduzione dei concetti prettamente medici ma, è necessaria una conoscenza

anche del contesto culturale di provenienza.

La collaborazione con i consultori risulta essere molto preziosa poiché, oltre alle attività prettamente clinico sanitarie sono nati anche progetti legati alla consapevolezza e al potenziamento del ruolo genitoriale, volti a fornire alle mamme e ai papà ulteriori strumenti per crescere i bambini in un contesto socio culturale diverso da quello del paese d’origine.

Occuparsi della salute di così tante persone non risulta sempre facile; spesso ci scontriamo con tante situazioni che apparentemente non hanno una soluzione, ma grazie ad un’ottima sinergia e sostegno tra noi membri dell’equipe riusciamo a districarci tra più ardue difficoltà. Nonostante gli ostacoli quotidiani spesso influiscano inevitabilmente sulla nostra sfera emotiva, il lavoro a contatto con la diversità ci arricchisce non solo professionalmente, ma anche a livello umano.

Francesca e Roberta

Da più di 20 anni, per dare senso e valore alle persone

Punto Missione Onlus è stata fondata a Brescia nel 1999 per volontà di alcuni amici partecipi dell’esperienza del Movimento Ecclesiale Carmelitano, nella convinzione che l’esistenza umana, riconosciuta e accolta come dono, sia capace di generare nuova umanità e dare senso e valore ad ogni persona e alle sue relazioni.

Punto Missione Onlus ha operato e continua ad operare in diversi Paesi del mondo: Burkina Faso, Colombia, Iraq, Lettonia, Libano, Madagascar, Romania, oltre che in diverse città d’Italia.

Negli ultimi anni sono stati promossi e sviluppati diversi progetti in Burundi, Colombia, Libano, Romania e in Italia, dove nel 2017 è stata inaugurata a Rodengo Saiano (BS) l’opera di accoglienza “Casa Madeleine Delbrêl Dimensione Famiglia”.

A seguito della guerra in Ucraina che sta causando lo sfollamento di milioni di persone, primi fra tutti donne, bambini e anziani Punto Missione si è fin da subito attivata per attivare progetti di accoglienza sia in Italia che in Romania.

“Pensavamo che il Virus che ha colpito l’Europa e il mondo fosse il grande nemico da combattere, grazie alla collaborazione e allo scambio di informazioni di virologi e studiosi di tutto il mondo in breve tempo siamo riusciti a creare un vaccino e dei medicinali che hanno permesso di ridurre al minimo gli effetti della

pandemia. Non potevamo immaginare però che ci fosse un pericolo più grande cui nessun vaccino ha il potere di fermare, ed è la sete di potere e l’incapacità degli uomini al dialogo Abbiamo fortemente sperato e pregato che l’intelligenza delle relazioni diplomatiche potesse avere il sopravvento su una guerra che, ancora una volta si abbatterà su famiglie bambini e popolazione innocenti e che potrebbe avere conseguenze disastrose per il mondo intero.

Crediamo fermamente che le nostre energie debbano essere spese per la pace che ha come fine la “costruzione della civiltà della verità e dell’amore”.

Infatti nel 2008 in Romania presso il territorio di Niculesti, un comune di 4463 abitanti situato nell’area rurale di Ciocănari, a 30 km da Bucarest, per opera di Punto Missione e del partner locale Asociatia Mladita (“Germoglio”) nasce il Villaggio dei Ragazzi, un complesso di abitazioni e di spazi di incontro, che si propone di accogliere minori in stato di abbandono ed emarginazione sociale oltre a promuovere attività socioeducative e ricreative per i minori provenienti da situazioni di disagio e marginalità dei villaggi limitrofi. Punto missione e l’associazione Mladita hanno convertito la propria sede di progetto, Il Villaggio dei ragazzi,

per l’accoglienza di persone e famiglie provenienti dall’ Ucraina, per un totale di 55 persone al giorno. I volontari (italiani e rumeni) sono operativi sul posto 24 ore al giorno per rispondere a qualsiasi esigenza: cibo, cure, trasporti, viaggi per raggiungere altri paesi europei, attività ricreative per i bambini e didattica a distanza.

Il Villaggio dei ragazzi è immerso in un’area agricola di 10 ettari, al suo interno un parco giochi per bambini, un frutteto, e terreni dedicati alla coltivazione di ortaggi. Qui le famiglie ucraine trovano un’oasi di pace, alcune tra loro hanno deciso di restare, non hanno altri parenti in Europa da raggiungere e sperano di tornare in Ucraina non appena sarà possibile.

Le attività svolte durante questo periodo emergenziale sono:

 accoglienza e supporto tramite generi di prima necessità;

 assistenza sanitaria;

supporto logistico nel raggiungere altre destinazioni d’Europa e del mondo;

attività educative e ricreative per bambini e ragazzi;

supporto nel percorso di integrazione per chi decide di fermarsi in Romania.

Pranzare assieme e ritrovare altre persone che parlano la loro lingua e hanno vissuto le stesse cose per loro è molto importante. Infatti, dopo poche ore il clima si distende e riappaiono sui loro visi dei timidi intimoriti sorrisi.”

Il flusso purtroppo non si è arrestato. Dall’inizio del conflitto Punto Missione ha accolto più di 800 persone grazie al lavoro di più di 30 volontari sul campo.

Anche l’attività di accoglienza In Italia non si arresta, sono più di 30 le persone ospitate e, tra le famiglie che risiedono presso Casa Delbrêl, ci sono anche tre bambini di 10 anni: Vira, Valeria e Artem, hanno frequentato la scuola primaria dell’Istituto Comprensivo di Rodengo Saiano in cui il benvenuto è stato, fin dal primo giorno, gioioso e caloroso.

La prima cosa che facciamo quando le famiglie ucraine arrivano a Ciocănari è offrire loro indumenti e un letto dove riposare. Arrivano da giorni difficili, hanno con sé qualche borsa con le prime cose che sono riusciti a portarsi. I bambini hanno i peluche e le bambine le bambole. Esattamente come fossero i nostri figli.

Sono affamati ed assetati. Hanno bisogno di rifocillarsi. Dopo aver riposato li invitiamo a mangiare insieme. Sono silenziosi, spaventati. Hanno visto la guerra e la disperazione. I loro pensieri sono ancora in Ucraina, accanto ai padri, ai mariti, agli amici che sono rimasti là. Ma ora sono al sicuro.

“L’italiano non è un problema, gioco con tutti e mi piace tanto prendere il bus al mattino” ci racconta Artem, appassionato di calcio. “Durante la ricreazione ci piace divertirci con le nostre nuove compagne” dicono Vira e Valeria. L’inserimento a scuola è stato molto importante. Ritornare ad una routine con l’ambiente scolastico è risultato centrale per la loro integrazione e benessere psicologico. In questo modo anche le madri hanno il tempo per frequentare i corsi di italiano e le altre attività. Ma, cosa più importante, le mamme sono felici di questo percorso che stanno facendo i loro figli: continuare ad andare a scuola permette loro di non perdere il ritmo, stare con i loro pari, integrarsi, crescere e responsabilizzarsi e, soprattutto, non pensare a ciò che sta succedendo in patria.

Olga è una ragazza di 33 anni. Abitava a Kiev ed aveva tanti sogni da realizzare.

Tutto si è infranto il 26 febbraio, quando sono arrivate le prime bombe russe a Kiev. “La passione per la moda è diventata il mio lavoro, da qualche anno ho aperto un piccolo laboratorio al centro di Kiev” ci dice Olga che ha vissuto per settimane nei sotterranei della capitale ucraina.

Abitando in una zona vicino all’aeroporto lei e la sua fa-

miglia si sono rintanati in casa e, solo quando le condizioni lo hanno permesso, prendendo pochissimi bagagli, lei e sua nonna sono scappati. Ci hanno impiegato 4 giorni tra bombe, fuoco e paura. Lo stesso sentimento che le vedi in volto quando parla del suo futuro. “Sono certa di non poter tornare alla vita che conducevo prima. Mia nonna mi ha raccontato la guerra ed io non avrei mai immaginato di vivere questa esperienza. Nessuna guerra ha senso, e questa ha distrutto il nostro futuro”.

“La mia famiglia si è spostata in una zona più interna ed io sono qui, a Rodengo Saiano, con mia nonna di 93 anni. Sono felice per noi, ma il mio pensiero va ai tanti connazionali che stanno combattendo e quelli che sono ancora prigionieri in Ucraina”.

Noi non possiamo, purtroppo, ricostruire il futuro di Olga o farle dimenticare ciò che ha visto e vissuto. Possiamo però rendere sereno il suo presente e mettere le basi affinché possa ritrovare la speranza, la serenità e le forze per ripartire.

Anche la nostra cooperativa si è fin da subito attivata per rispondere alle diverse richieste emerse dallo scoppio dell’emergenza ucraina. Durante le prime settimane la situazione è stata sicuramente caotica, ma si sono rese disponibili per dare il proprio contributo, diverse realtà e buona parte della società civile. Siamo stati contatti da singoli cittadini e da Comuni per avere un supporto e qualche informazione in più, sono stati diversi gli incontri fatti in Prefettura come enti CAS e come Coordinamento SAI per mettere in campo tutte le risposte possibili.

In prima battuta abbiamo fatto alcuni spostamenti interni all’interno del nostro CAS e liberato un appartamento di 10 posti a Ospitaletto all’interno del quale abbiamo iniziato ad accogliere i primi profughi. Si è trattato di 4 nuclei familiari: 3 mamme con 5 bambini ed una signora con la mamma anziana.

L’accoglienza di tutta la comunità di Ospitaletto è stata calorosa, è stata molto toccante la testimonianza di

una delle nostre donne durante le celebrazioni del 25 Aprile. Purtroppo la permanenza è durata poco poiché sono poi stati spostati in posti specifici destinanti all’accoglienza di profughi ucraini. Nonostante il trasferimento a Brescia sono rimasti i legami con i vicini di casa e ancora oggi li vediamo camminare in paese per andare a trovare le persone che hanno conosciuto e da cui hanno ricevuto supporto ed aiuto.

L’emergenza ucraina ci ha permesso di ampliare il nostro territorio e la nostra rete di collaborazione, il Comune di Castrezzato ci ha chiesto un supporto nella gestione di un nucleo già presente sul territorio e ci ha dato in gestione un loro alloggio a titolo gratuito per accogliere anche altri profughi. Anche in questo Comune abbiamo trovato un’amministrazione ed una comunità molto attenta e disponibile all’accoglienza.

A Lograto siamo stati contatti dalla famiglia Bortoloni Tomasoni la quale ci ha messo a disposizione un appartamento per accogliere una famiglia ucraina. La signora era stata migrante in Belgio, ci ha raccontato più volte le fatiche e le sofferenze vissute ed oggi voleva evitare che qualcun altro rivivesse il suo stesso dolore. Il giorno che sono arrivati i loro cinque vicini di casa (mamma, papà e tre figli adolescenti) la commozione nei suoi occhi era molta. Nonostante le difficoltà linguistiche li hanno accolti subito come persone di famiglia e si sono prodigati in tutti i modi per aiutarli in ogni loro necessità.

Sempre in una logica di cooperazione e collaborazione abbiamo stretto un accordo con Punto Missione, che ha messo a disposizione 12 posti a Rodengo Saiano.

La modalità di accoglienza delle persone Ucraine è sotto tanti punti di vista diversa rispetto alle modalità alle quali siamo abituati, soprattutto per la risposta della comunità locale.

Si tratta di persone che spesso hanno come progetto di vita il ritorno nel proprio paese, che scappano in gruppi familiari o amicali, che non avrebbero mai pensato di vivere questa situazione e di trovarsi dalla sera alla

mattina a dover lasciare le proprie case, con il pensiero rivolto ai familiari rimasti in Ucraina e che spesso stanno combattendo.

Al di là delle differenze sono persone che stanno abbandonando un luogo pericoloso, che hanno bisogno di un posto sicuro che li accolga, che si trovano in una realtà che non conoscono esattamente come tutti gli altri cittadini provenienti da paesi terzi, che cercano in Italia un luogo in cui costruirsi una nuova vita.

Un’emergenza quella ucraina che non ci ha lasciato indifferenti e che ha spinto il Governo Italiano a sperimentare un sistema di protezione assai diverso da quello previsto per i richiedenti asilo.

Accanto alle strutture del SAI, per i cittadini ucraini in fuga dal conflitto privi di mezzi, vediamo emergere altre possibilità: contributo a favore dell provvede autonomamente alle proprie necessità; contributo a favore di una famiglia che ospita; contributo a favore di organismi del privato sociale operanti al di

fuori del SAI. Questa sperimentazione potrebbe offrire spunti interessati per una revisione del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo.

Concludiamo con le parole di Sara Morlotti, Ricercatrice Settore Legislazione Fondazione ISMU:

“Scrive Judith Sunderland di Human Rights Watch: Un numero impressionante di persone provenienti da Asia, Africa e Medio Oriente muore ogni anno nel tentativo di raggiungere i confini dell’Europa”. “Anche se plaudiamo alla generosità mostrata alle persone che fuggono dall’Ucraina, dobbiamo chiederci perché l’UE non abbia utilizzato la direttiva del 2001 nel 2015, quando più di un milione di siriani, afghani e iracheni sono arrivati sulle coste europee.

È innegabile: il flusso migratorio proveniente dall’Africa non è cessato, la Libia non è certo più lontana

menti inumani e degradanti, pulizie etniche, esecuzioni capitali, occupazioni militari. La guerra, come ricordava sempre Gino Strada, fondatore di Emergency, è uguale dappertutto. Il fatto che un conflitto armato bussi alle porte dell’Europa può e deve risvegliare le conoscenze di ordinamenti giuridici troppo spesso ripiegati sui loro privilegi, e forse lo sta già facendo. Uno shock culturale a pochi mesi da un’altra grave crisi, quella afghana, che forse ha rappresentato il campanello d’allarme per una politica europea intorpidita, troppo spesso quasi apatica di fronte ai conflitti del mondo e alla disperazione dei profughi. La solidarietà che oggi si registra ai diversi livelli potrebbe rimanere: sul piano tecnico politico la decisione europea di attivazione della protezione temporanea sarà un precedente importante anche per altre future crisi, la pronta risposta della società civile e della politica italiana potrà essere d’esempio.

La speranza è che poi da qui non si torni più indietro: d’altro canto proprio la poetessa ucraina Lesja Ukrainka ci esorta a sperare anche nelle situazioni più buie e avverse.”

“Trasporterò un pesante masso

In cima a un’erta montagna sassosa E, portando questo tremendo fardello, Intonerò un’allegra canzone. Nella lunga notte buia, impenetrabile Non chiuderò gli occhi per un attimo, Cercherò la stella polare, La chiara sovrana delle notti buie.” Ukrainka Contra spem spero (estratti)

L’integrazione degli ospiti nella società è, insieme all’autonomia, l’obiettivo principale di qualunque servizio di accoglienza. Le difficoltà sono molteplici e anche dopo parecchi anni di permanenza i risultati non sempre soddisfacenti. Esistono comunque virtuosi esempi d’integrazione, facilitati dall’opera di mediazione degli operatori sociali. La mediazione interculturale contrasta i pregiudizi e altre forme di discriminazione attraverso la risoluzione dei conflitti, l’ascolto attivo e la capacità empatica risultano fondamentali nel processo di fruizione e accesso degli stranieri ai diritti e alla rete di servizi territoriali.

Figura imprescindibile in questo senso è Maimouna Traore, mediatrice culturale del CAS di Comunità Fraternità originaria del Burkina Faso, che mette a disposizione dei richiedenti asilo la sua esperienza e la sua profonda conoscenza delle culture africana ed europea.

Maimouna è un esempio ed un punto di riferimento per gli ospiti, per i quali rappresenta un ponte fra tradizioni diverse, e i suoi consigli vengono sempre ascoltati con un’attenzione particolare. Maimouna si dice soddisfatta di alcuni esempi d’integrazione di cui è stata testimone ed in parte artefice, mediando in particolare riguardo alla diffidenza nei confronti dei “bianchi”, alla difficile gestione dei rapporti con le famiglie in Africa e alla concezione del tempo.

Benedetta e Giulia C.

Comunità Fraternità ha da pochi anni implementato un servizio innovativo per promuovere una specifica tipologia d’integrazione, quella lavorativa: LIN Listening Integration. Diverse aziende, fra cui la REP srl di Bagnolo Mella, hanno riscontrato una serie di criticità che riguardano i lavoratori stranieri: problemi di comprensione che possono derivare da difficoltà linguistiche e difficoltà di adeguamento alle regole; problemi di comportamento sul luogo di lavoro relativi a rispetto delle norme di sicurezza, igiene della persona e cura degli spazi comuni. Il servizio offre un processo d’integrazione per i dipen-

denti stranieri, sviluppato in step e modellato sulle necessità dell’azienda, i cui temi vanno dalla comprensione della lingua e delle caratteristiche culturali alla gestione degli spazi comuni (mensa e spogliatoi), dalla condivisione delle norme igienico sanitarie agli aspetti di sicurezza sul lavoro. Ci si rivolge alle aziende che vogliono migliorare il benessere dei propri dipendenti e che credono che il clima lavorativo influisca sull’organizzazione dei processi, rendendoli più snelli. L’elemento centrale del progetto è la mediazione, la capacità degli operatori di dialogare con diverse culture e connetterle con la cultura aziendale.

Da qualche anno la nostra cooperativa ha iniziato ad accogliere anche donne nei servizi per richiedenti asilo e rifugiati, non occupandosi più soltanto di vulnerabilità maschile. L’obiettivo è creare le condizioni affinché le donne in difficoltà, in particolare con figli, possano gradualmente rendersi autonome, emanciparsi ed integrarsi in società attraverso attività di accompagnamento al lavoro e di conciliazione dei tempi. Proprio per questo è nato il progetto Mimosa, che impegna le donne nella coltivazione in serra di ortaggi, funghi e prodotti etnici, come l’ocra/gombo, l’hibiscus sabdariffa e la melanzana africana, all’interno di due serre di Comunità Fraternità. L’obiettivo finale è quello di creare una filiera biologica a partire dai metodi di coltivazione sino a quelli di smaltimento.

Un altro progetto che investe molto in mediazione ed integrazione è il CAG (Centro di Aggregazione Giovanile) di Lograto, gestito dal Comune e della Parrocchia. Il ruolo di Comunità Fraternità, attraverso la presenza dell’operatore Ruggero Pedrollo, è quello di mediare fra bambini e ragazzi di provenienze culturali diverse cercando di risolvere le problematiche che sorgono di volta in volta. Il CAG si svolge in Oratorio ed è indirizzato a bambini e ragazzi di scuola elementare e media. L’operatore di Fraternità affianca gli educatori aiutando i partecipanti a svolgere i compiti ed organizzando momenti ludici, all’aperto e non. Alcuni bambini mostrano difficoltà nello studio e nell’apprendimento, e per quanto riguarda quelli stranieri le ragioni sono soprattutto linguistiche.

Le potenzialità dal punto di vista dell’integrazione sono evidenti e Ruggero è rimasto colpito dall’aiuto reciproco fra ragazzi che svolgevano gli stessi compiti all’interno di gruppi di studio culturalmente eterogenei. Ogni sforzo ed ogni progetto rappresentano un piccolo passo lungo la complicata strada dell’integrazione e della costruzione di una società pacificamente multiculturale

Giuseppe

“Ciao mi chiamo Numan”. Questo è quanto ad oggi riesce a dire in Italiano il ragazzo che a luglio di quest’anno è arrivato in Italia dopo un viaggio rocambolesco attraversando a piedi Pakistan Iran Turchia, per finire in Grecia.

È partito all’età di 12 anni insieme a dei suoi compaesani poco più grandi di lui per arrivare in Italia e raggiungere il fratello maggiore che prima di lui aveva già affrontato lo stesso viaggio.

5.165,52 km

Quando Numan ti racconta, con l’aiuto del traduttore, come è arrivato in Italia lo fa con il sorriso sulle labbra, ma gli occhi tristi. Non posso immaginare cosa significhi per un ragazzino della sua età dover lasciare la famiglia, mamma, papà e fratelli ed incamminarsi con dei conoscenti verso il viaggio della speranza, senza la certezza di arrivare sano e salvo, patendo fame, sete e freddo.

Racconta che quando finalmente è arrivato in Grecia e lo hanno fermato alla dogana era quasi contento, così finalmente poteva riposare in un luogo sicuro e pulito. Avvalendosi del “trattato di Dublino” (il tratta-

to di Dublino è stato firmato nel 1990 appunto a Dublino in Irlanda) per disciplinare la materia relativa al sistema dell’accoglienza e delle richieste d’asilo all’interno dell’Unione europea. Oltre ai Paesi comunitari, nel documento rientrano anche Norvegia, Svizzera e Islanda. Il trattato è entrato in vigore sette anni dopo, nel mese di settembre del 1997. Uno dei principi cardine che lo costituisce è quello secondo cui è lo Stato di primo approdo del migrante che deve far fronte al “sistema” accoglienza (domanda d’asilo inclusa), la Grecia, ha immediatamente mosso la “macchina” dell’accoglienza internazionale, sapendo dell’esistenza di un fratello in Italia, nello specifico ad Ospitaletto.

È intervenuta così la polizia di frontiera che ha allertato il tribunale dei minori di Brescia e di conseguenza il Comune di Ospitaletto, che ha attivato immediatamente una indagine nei confronti del fratello che avrebbe dovuto accogliere il minore.

Dopo numerosi colloqui e visite domiciliari a casa del fratello, si è appurato che è un ambiente sano ed accogliente adatto per diventare la nuova casa di Numan. Ma il Comune non si è fermato, ha attivato immediata-

mente un progetto a favore del minore al fine di non lasciarlo solo durante le ore in cui il fratello lavora.

Ed è così che è stata coinvolta la nostra cooperativa, attraverso una segnalazione dell’assistente sociale del comune che ha pensato al nostro servizio Toc Tok qual supporto nella presa in carico del minore.

Toc Tok è un nuovo servizio di Comunità Fraternità, un luogo accogliente per adolescenti fragili che hanno bisogno di un supporto specialistico in sinergia con i servizi territoriali.

Vengono promosse Proposte di Valore che si sviluppano su diverse fasce d’età rispondendo a bisogni rilevati e in grado di svilupparsi secondo risorse specifiche. Si affrontano temi chiave che vertono sull’identità, sull’isolamento, sulla socialità, sulla competenza dig le, sul valore del gioco, sulla corporeità e affettività, in connessione col territorio.

L’obiettivo è di insegnare a Numan la lingua Italiana tramite lezioni individuali ed esperienze di vita quotidiana, consentendogli di vivere con spensieratezza la sua giovane età, accompagnandolo nella costruzione del proprio futuro.

Annalisa

“Svegliami quando il mondo sarà un posto migliore

E non conterà la razza o il colore

E non conteranno i beni che hai Ma solamente il bene che dai Svegliami quando non dovrai scappare Da dove sei nato, affidandoti al mare Quando non ci sarà più primo o secondo Siamo tutti cittadini del mondo….”

Testo del brano “Svegliami Quando” dell’artista Jesto CI RACCONTI CHI SEI, COME TI CHIAMI E COME SEI ARRIVATO IN ITALIA?

Io mi chiamo Roberto David Molina Palomino, sono nato in Ecuador il 04/06/1998 e sono arrivato in Italia all’età di circa 4 anni, precisamente a Genova. Di problemi in Ecuador non ce n’erano: avevamo una bella casa, un lavoro stabile e anche qualche agiatezza; mia madre si occupava della casa e dei figli e studiava per diventare pasticcera, mio padre aveva una rivendita di alimentari ben avviata. Non c’era nessun motivo urgente per decidere di cambiare vita ma, animati dalla voglia di offrirci un futuro migliore, i miei genitori hanno deciso di partire. Onestamente non ricordo come mai ci siamo trasferiti proprio in Italia e men che meno a Genova, ma alla fine eccomi qua. Dopo un primo momento di assestamento, mio padre ha aperto un’altra attività commerciale, un negozio di prodotti etnici che si chiamava “la tienda”. Anche questa esperienza ha portato buoni profitti e così è partita la nostra integrazione sul territorio.

COSA RICORDI DEI PRIMI TEMPI DA BAMBINO IN UN PAESE STRANIERO? È STATO DIFFICILE? QUALI SONO STATE LE DIFFICOLTÀ MAGGIORI?

Per me il problema più grande è stato sicuramente non comprendere la lingua e non riuscire ad esprimermi. In questo sono stato aiutato molto dai miei compagni dell’asilo e dalle maestre.

Questa solidarietà mi ha fatto sentire accolto ma, finché non sono stato in grado di comunicare in maniera efficace, devo dire che mi sono sentito anche molto ai margini. Ricordo che da piccolo ripetevo spesso le stesse frasi per acquisirne al meglio il significato, ma questo atteggiamento veniva frainteso e io mi sentivo inadeguato e in qualche modo “sbagliato”. Fortunatamente col tempo la situazione è migliorata e anche io mi sono integrato con i miei pari.

Alle elementari ero già autonomo nella comunicazione, avevo i miei amici e insegnavo ai miei genitori tutto quello che apprendevo: il pomeriggio facevo i compiti e i miei stavano seduti accanto a me per imparare il più possibile l’italiano. La lingua non è stato l’unico scoglio da superare, ho dovuto fare i conti anche con le inevitabili diversità culturali che ognuno di noi porta con sé. I nostri modi di fare e di dire spesso venivano fraintesi: il fatto di essere molto propensi all’ironia e all’umorismo a volte non veniva capito, così come la traduzione letterale di alcuni detti tipici della mia lingua.

Un’altra difficoltà che ho riscontrato è sicuramente il senso di indefinitezza che ho iniziato a provare crescendo: mi sentivo a metà tra due mondi e facevo fatica a trovare la mia identità.

Non apprezzavo il tentativo di mia madre di farmi mantenere la pratica della lingua spagnola e delle nostre tradizioni; quando la maestra mi assegnava un tema lei mi spronava a scriverlo sia in italiano che in

spagnolo e io mi arrabbiavo oggi devo solo ringraziarla perché questa sua tenacia mi ha consentito di non perdere le mie radici e, per quanto io mi senta fondamentalmente italiano, non ho dimenticato da dove vengo. Ora mi sento sereno e con un valore aggiunto, ma per molto tempo questa condizione un po' “ibrida” mi ha fatto solo sentire diverso e molto confuso. Oggi penso di essere una persona più ricca e sono molto grato a coloro che, insegnandomi l’italiano, mi hanno consentito di integrarmi e aumentare il mio bagaglio culturale. Sarà per questo che mi piace molto raccontare agli altri la mia cultura d’origine e improvvisarmi professore di spagnolo, in qualche modo mi sembra di sdebitarmi con i cittadini del paese che mi ha accolto.

QUALI DIFFERENZE E QUALI SOMIGLIANZE TROVI TRA

LA TUA ESPERIENZA MIGRATORIA E QUELLA DEI RAGAZZI CHE ACCOGLIAMO NEI NOSTRI CENTRI?

Sicuramente la mia esperienza è stata meno traumatica: io sono arrivato qui con tutta la mia famiglia, ero piccolo e di conseguenza più facilitato nell’integrazione, non sono arrivato con mezzi di fortuna rischiando la vita ma comodamente su un aereo e anche l’ottenimento dei documenti è stato facile e veloce. Trattandosi di un ricongiungimento con parenti che avevamo in Italia, non abbiamo dovuto affrontare il macchinoso iter legale a cui devono sottoporsi i migranti di oggi.

Per noi è stata una scelta ponderata e tutto sommata serena, per loro probabilmente no: la decisione di abbandonare il proprio Paese diventa spesso l’unica possibilità per tirarsi fuori da situazioni di pericolo o estrema difficoltà.

L’unica similitudine che trovo tra la mia esperienza e quella dei migranti attuali è forse la voglia (per motivi ben diversi) di trovare un futuro migliore, ma per il resto non vedo altre attinenze.

COSA PENSI DELLE MIGRAZIONI CHE INTERESSANO L’ITALIA OGGI?

Prima non ci pensavo molto nonostante anche io sia

stato un migrante. Ultimamente, invece, ci rifletto spesso e provo un grande dispiacere perché penso che in qualche modo chi scappa sia costretto a farlo a causa di situazioni pregiudizievoli per la sua stessa vita.

Penso alla sofferenza di abbandonare un posto caro e conosciuto per avventurarsi verso l’ignoto e, spesso, verso realtà respingenti che guardano con sospetto chi sbarca “a casa loro”.

Mi sento molto solidale con queste persone anche se io non sono stato discriminato per la mia provenienza e sono assolutamente favorevole all’accoglienza.

Diciamo che, anche in base alla mia breve esperienza in Ecuador e ai racconti dei miei familiari, io comprendo perché molte persone vogliano trasferirsi in Europa e anche in Italia: qui avete la sanità pubblica, sostegni ai cittadini come gli assegni familiari, aiuto psicologico in caso di bisogno; in tanti altri posti questa attenzione alle persone e alle loro esigenze non c’è, ad esempio in Ecuador o paghi o nessuno ti presta le cure necessarie.

QUALE CONSIGLIO TI SENTI DI DARE AI RAGAZZI MIGRANTI CHE ARRIVANO IN ITALIA OGGI?

Non saprei, ma questa domanda mi fa venire in mente una riflessione. Anche a Genova mio padre ha aperto un’attività commerciale, una rosticceria vicino al porto antico. Mi è rimasto impresso il ricordo della coda davanti al bancone; tra quelle persone c’erano provenienze e etnie diverse e anche rivali tra loro ad esempio Ecuadoriani e Peruviani. Tuttavia in quel contesto le differenze non contavano, tutti scherzavano e scambiavano battute in attesa del loro turno, il cibo li univa in una convivenza rispettosa e questa per me è la prova che le diversità possono soprattutto unire.

Alla fine non ho consigli da dare, mi sento solo di ricordare a tutti (a chi parte e a chi accoglie) che siamo cittadini del Mondo perché è così che io vedo chiunque, me compreso.

Maria
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