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INTERVISTA A MIRIAM
DA PAZIENTE A MEDICO, LA MIA RICETTA PER CONTROLLARE LA PAURA
M
iriam Colombo è una giovane donna che ha deciso di non farsi travolgere dalla fibrosi cistica. Ha scelto una strategia tutta sua, che richiede forte dedizione e una buona dose di grinta, e che prevede di saltare dall'altra parte della barricata: da paziente a medico per provare a dominare la malattia, per tenere sotto controllo la paura con la conoscenza. Al momento è studentessa al secondo anno di Medicina, macina esami a buon ritmo e, come dice lei, non ha tempo per altro se non lo studio, le terapie e il sostegno alla ricerca.
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Festa di bentornata dopo tre mesi di ospedale
Partiamo da un dettaglio leggero: ballo delle debuttanti di Villa Nobel a San Remo, agosto 2022. È stato come ti aspettavi? È un ambiente di altri tempi che in fondo non mi appartiene, ma ho pensato che dovevo assolutamente andarci perché il mio fine era la ricerca: raccontare alle persone cosa vuol dire vivere con la fibrosi cistica. Quindi è stata una serata di lavoro? Non ho nemmeno ballato! Ma ne è valsa la pena: so che può essere difficile passare dall'atmosfera leggera di un ballo all'ascolto della mia storia, ma in tanti si sono commossi. Cosa vuol dire la tua scelta di studiare medicina? Parte dalla malattia. Il 2018 è l'anno in cui è iniziato il mio declino: lunghezza, frequenza dei ricoveri, complicazioni come il diabete, le polmoniti, la TBC... Da quel momento, ho sentito di voler dare al mondo della medicina tanto quanto ho sempre ricevuto, in primis dal mio stesso reparto FC del Gaslini. Ero in terza superiore e lì ho deciso: faccio Medicina. Piuttosto di essere travolta dalla malattia stai cercando di prendere il comando. Ma in pratica funziona questo tuo metodo? La parte difficile è cominciata nel 2018. Nel 2019 mi diagnosticano la tubercolosi. Il Natale e i miei 18 anni li passo in isolamento; dopo 40 giorni di ricovero torno a casa. Come ho preso la diagnosi? È una notizia che con una malattia di base come la FC spaventa ancora di più, ma ho razionalizzato: "siamo nel 2019, ci sono le armi per combatterla" mi sono detta. Nel 2020 il mio FEV1 tocca il fondo, dopo due mesi di ricovero mi diagnosticano l'aspergillosi broncopolmonare allergica. Inizio il cortisone, non mi riconosco più allo specchio. Mi viene il diabete, inizio l'insulina e metto un sensore fisso per la glicemia. Nello stesso ricovero, a causa dei continui farmaci endovena, vado in sala operatoria per mettere il port-a-cath. Nel 2021, iniziato con i miei vent'anni festeggiati sempre lì, per rimanere stabile devo farmi le flebo di antibiotici anche a casa e, per mangiare, inizio la nutrizione parenterale. Dei primi sei mesi del 2022, quattro li passo in ospedale: l'ultimo ricovero ne è durato tre, da marzo a giugno. Entro con quattro polmoniti, piegata in due per respirare, per il dolore al torace. Mi dicono che non ci sono più antibiotici che funzionano, tentano con uno appena arrivato. Gli effetti collaterali sono così forti che mi posso muovere solo in sedia a rotelle. Non basterebbe un libro per raccontare quante me ne siano successe ma, per rispondere alla domanda, se mi facessi schiacciare ogni volta dalla paura, non mi rialzerei più. Cerco di