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S.O.S. dalla Scala

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allo sbaraglio

allo sbaraglio

Meridione A Milano

Le strutture culturali di, on Chi soffoca la cultura?

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Milano ha sempre vantato, oltre alla supremazia economica e industriale, un primato di strutture e di vita culturale rispetto all'intero paese. Ammesso che l'asserzione sia da prendersi per buona, sarebbe un altro esempio della distorsione profonda dello sviluppo nazionale, che ha sacrificato gran parte delle nostre regioni, il meridione e le isole alla logica della concentrazione capitalistica, sia per quanto riguarda il mercato della manodopera che quello delle risorse intellettuali.

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I Merita della Scala in una stampa dell'800 un vecchio problema, ma se ne è cominciato a parlare quando lo Stato ha imposto alla Scala di tagliare il bilancio '76 di 4 miliardi e 400 milioni. Subito dopo un altro telegramma del ministro del Turismo e dello Spettacolo, Adolfo Sarti, ha ordinato alla Scala di cancellare la tournèe negli Stati Uniti, prevista per il bicentenario dell'indipendenza del paese. Le reazioni sono state immediate e rumorose: la Scala ha lanciato un appello per la sua salvezza sottoscritto dal Consiglio di Amministrazione, dal sindaco Aniasi, presidente della Scala, dalle personalità dell'arte, della cultura e della politica milanese, dal presidente della regione Lombardia e dal presidente della Provincia. In questo documento si afferma da una parte che "è dovere del governo nazionale e del Parlamento mantenere integro il patrimonio d'arte, di storia e di cultura rappresentato dalla Scala di Milano, approfondirne i valori in Italia e all'estero, arricchirne la tradizione e la produzione di nuove esperienze". Dall'altra parte •si mette in primo piano l'impegno della Scala e della cultura milanese -per sostenere con tutte le proprie energie l'azione di riforma delle Attività e delle strutture musicali del nostro paese".

Se ben ricordo,è la prima volta che il nome della Scala si collega all'esigenza di un profondo mutamento della vita musicale italiana.

E mi sembra importante rilevare che ciò avviene attraverso un'iniziativa della municipalità(che, non a caso, è quella del "dopo 15 giu- gno"). È questo forse l'aspetto più positivo del documento, superbo isolaniento scaligero, e si esprime l'esigenza di un rilancio artistico in vista di una collocazione cittadina e regionale che colleghi le istituzioni alle masse popolari.

La Scala, è vero, aveva già iniziato qualche mutamento da quattro anni a questa parte. Infatti da quando, nel 1972, Paolo Grassi è diventato sovraintendente al teatro, ha tentato di conciliare tradizione e novità, aprendo il teatro agli studenti e ai lavoratori, svecchiando il repertorio, senza però rinunciare a un cartellone di prestigio e di alto livello europeo.

Iniziativa che ebbe un certo successo: ricordo bene, ad esempio, le serate del "Gran sole carico d'amore" di Luigi Nono, quando una delle esperienze musicali più moderne trovò un pubblico di lavoratori, studenti, impiegati.

Ma è in modo migliore, più sicuro, istituzionalizzato, e non abbandonato all'iniziativa personale di qualche volonteroso, che bisogna rispondere alla crescente richiesta di cultura e di musica culturalmente qualificata, che va dal jazz, dal canto popolare, alla musica sinfonica, cameristica, operistica Oggi, in Italia per la musica, come per la cultura, si spende molto e male. Lo Stato stanzia per i 13 enti lirici italiani più di 60 miliardi di lire all'anno; non sono tanti in assoluto, ma diventano troppi se si continua a sperperarli così, in maniera clientelare, episodica, per precisi interessi privati, di gruppi industriali. Troppe so- no le voci di sperpero che affliggono la nostra vita musicale: allestimenti sfarzosi, servizi superflui, compensi vertiginosi. I contratti spesso corporativi e l'assenteismo contribuiscono ad aggravare la situazione.

Per porre fine a questo sfacello, a questi deficit paurosi, l'unico rimedio è una generale riforma dell'intero mondo musicale italiano, e in particolare degli Enti' lirici, strutture vecchie, logorate e paralizzanti. Forse con un decentramento regionale in grado di sottomettere la vita musicale al controllo democratico più ravvicinato, di sottrarla ai guasti del sottogoverno, di pubblicizzare la spesa per la musica e il suo modo di gestirla, si potra risanare un settore dove, accanto a grandi tradizioni e straordinarie esperienze (prime fra tutte quelle della Scala), si sono accumulati anche gravi elementi di disordine, di spreco, di clientelismo. Ovviamente alla dimensione regionale dovranno sottostare tutti gli Enti lirici, senza eccezioni, anche se sarà necessario garantire alla Scala la possibilità di finanziamenti straordinari (versati direttamente dallo Stato) per la sua attività internazionale. Perchè credo che non si possa far a meno di riconoscere che in qualche modo la Scala è speciale, che ha un bagaglio di tradizioni e di esperienze splendide conosciute in tutto il mondo, che insomma ha un prestigio e una credibilità che rasentano il mito e che devono essere salvati ad ogni costo.

F.F.

Musica Oggi

La situazione che si sta delineando oggi in . campo musicale, è notevolmente complessa: da una parte abbiamo la musica puramente commerciale, fine a se stessa, strumento di dominio culturale nelle mani della borghesia mercantilistica, che monopolizza il panorama canzonettistico (RAI e festivals di musica leggera); musica che nasce "a tavolino" in funzione dei più recenti orientamenti del gusto musicale del grosso pubblico, musica alienante e paranoica, che a causa della martellante ripetitività con la quale ci viene propinala attraverso i mass-media, tra un annuncio pubblicitario e l'altro, riaffiora dal nostro subconscio, facendoci sorprendere a fischiettarla durante la tosatura mattutina o tra gli scafali del supermercato.

Dall'altra parte abbiamo la musica come riflesso dell'acquisizione da parte delle masse, dei propri diritti anche in campo culturale; musica intesa come autonomia totale dal sistema e dalla logica capitalistica, sia sotto il profilo contenutistico, che sotto quello organizzativo e produttivo. Quindi una musica realmente popolare, nel senso più specificato del termine, non necessariamente semplicistica e ben diversa da sottoprodotti culturali a livello Casadei.

In questi ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio salto musicale medio, e lo dimostra l'interesse sempre crescente che incontrano forme di espressioni musicale quali il Jazz, la musica colta e la musica popolare% (o più anglosassonemente "folk"). Ad un'azione di questo tipo, è corrisposta e corrisponde la puntuale quanto irritante reazione dei centri di potere più o meno istituzionalizzati, che hanno aggiornato ed orientato i propri stilemi musicali verso espressioni di tipo decadentistico,giungendo persino ai limiti di un revival dell'ideologia e dei miti nazisti. Quindi alla spinta e alla necessità delle ma.sse,el consumismo ha risposto con uno sterile cambiamento estetico e formale,appiccicando ai propri "prodotti" musicali tutte le etichette possibili ed immaginabili. Di fronte ad una situazione come questa, è necessario appoggiare ogni iniziativa alternativa al monopolio culturale italiano, atto a concretizzare ed aggermare una musica realmente popolare, nella quale la gente ravvisi problemi, le gioie,i dolori e le lotte della realtà quotidiana, una musica che funga da denominatore comune, polo di attrazione catalizzante in grado di radunare migliaia di persone coinvolgendole in un ascolto collettivo,naturalmente ben diverso dall'ascoltare un disco stando sprofondati in una poltrona, che tra l'altro è un fatto vera- mente elitarico per le limitazioni oggettive di carattere economico insite in sè, in quanto un disco (con relativo impianti di riproduzione più o meno HI-FI) oltre a non rendere mai bene quanto un'esecuzione dal vivo, ha anche il grosso difetto di costare 5.000 lire.

.4 livello di quartiere (pur con le dovute limitazioni e cautele) si possono organiZzare delle manifestazioni musicali, che nell'ambito di un discorso globale più ampio sulla funzione della cultura, facciano da tramite tra espressione artistica politicizzata e realtà locale: nel caso della nostra zona, sappiamo come il Teatro Officina si adopera da tempo per concretizzare queste necessità. Naturalmente .sono lavoratori egli studenti che devono rispondere a proposte di questo tipo, cercando di partecipare a manifestazioni come queste, affinché gli sforzi degli organizzatori non si vanifichino nella solita presenza dei soliti "addetti ai lavori", ma vengano premiati da una partecipazione popolare che dimostri se mai ce ne fosse ancora bisogno, che la presenza attiva delle masse alla gestione culturale, oltre essere una necessità, è anche un dato di fatto.

Roberto Nicosia

Oggi però la crisi ha sverniciato la facciata anche della capitale "morale" e ogni giorno di più mette in luce la miseria e la miopia di una classe dirigente incapace e corrotta, che ha portato allo sbaraglio il paese, creando sacche di "meridione" dappertutto, con la chiusura delle fabbriche, la cassa integrazione, i licenziamenti: Così come mette in luce i guasti insanabili arrecati alle stesse strutture culturali, amministrate per anni con mentalità satrapesca, gonfiate per nepotismi e operazioni di sottogoverno. Diventa cosi emblematica la grave crisi della Scala - anche se il travaglio degli Enti Lirici che ha una dimensione nazionale -, che si configura come una Waterloo della buona borghesia milanese, il suo tramonto inglorioso. Lo stesso Piccolo Teatro attraversa momenti di immobilismo (malgrado l'apparente successo di alcuni spettacoli dove il richiamo strehleriano gioca ancora un suo ruolo), in gran parte proprio a causa delle strozzature economiche. Ma il discorso si potrebbe estendere a tutte le istituzioni culturali cittadine, i Musei ad esempio o le biblioteche la cui drammatica realtà è stata denunciata nel corso della conferenza stampa tenuta a gennaio dall'Assessore alla Cultura del Comune, per la presentazione della programmazione del 1976. Il nostro compito è però quello di verificare, all'interno di questa poco allegra realtà generale, la situazione della zona 10 di Milano, la quale, a voler riprendere il paragone che facevamo all'inizio. — tra tanta opulenza e ben di dio di beni culturali, ahinoi! — è proprio un'isola di sottosviluppo, profondo "meridione" a 3 km. da Piazza del Duomo. Con le sue pur frammentarie e timide iniziative di decentramento attuate negli anni più recenti, sotto la spinta popolare e quel poco di pressione che riuscivano ad esercitare i neonati Consigli di Zona, in vari quartieri cittadini la domanda di vita associativa e di partecipazione democratica è riuscita a strappare modesti ma significativi successi: biblioteche riunali come quelle di Piazza Accursio, di Lorenteggio o di Piazza Martini, sono state al centro di iniziative politiche importanti; il tradizionale "teatro al centro della città" per pochi e per gli "eletti" ha visto affermarsi la sperimentazione di formule nuove, col Teatro Quartiere a Quarto Oggiaro, il tendone in Piazzale Cuoco, col Teatro Uomo a BaggioLorenteggio; a Gratosoglio, intorno al Consiglio di Zona, si tende a creare un Centro Sociale quanto mai articolato. Non è molto, naturalmente; e tuttavia se spostiamo l'obiettivo sulla zona 10, ci sembrano conquiste incredibili.

Questa parte della città (che pur comprende una vasta area con oltre 100 mila abitanti, tra la stazione Centrale e quella di Lambrate all'incirca, da Piazzale Loreto a

-Viale Monza alto) è una delle più depresse e malinconiche, con le sue frange popolari sempre più minacciate dalla speculazione edilizia, con la maggior parte delle sue fabbriche ormai espulse: la lenta emoraggia ha impoverito la vita associativa del quartiere, e arduo appare la ricucitura di un tessuto sociale nuovo.

Le strutture culturali qui sono quasi assolutamente assenti. La zona 10 intanto è una delle poche di Milano ancora prive di una biblioteca, attorno alla quale si sarebbe potuto tentare almeno una qualche aggregazione, per lo meno di giovani, di cui alcune iniziative generose è bene ricordarlo — (vedi Cineforum di Via Oxilia, ricerche e dibattiti al Liceo Carducci) — presentano alterni e discontinui risultati.

Per quanto riguarda lo spettacolo, l'esperienza del Teatro Officina, anch'essa lodevole per quanto si voglia, non è certo tale da farla considerare una realtà della zona: di pubblico popolare ne ha acquistato assai poco, malgrado l'impegno profuso. A parte la modestia logistica della struttura, la proposta culturale è apparsa sempre alquanto confusa e velleitaria. Molti i circoli culturali sulla carta, che non fanno nulla o quasi. Strada in fondo imboccata anche dal Circolo Brecht di Via Padova, che ha un passato glorioso. La struttura, assai modesta per la verità, è tra l'altro all'interno della sezione del PCI, che ha sempre difeso però l'autonomia del Circolo e auspicato una sua direzione unitaria. Ma si stenta a trovare la formula che lo rilanci nuovamente, con criteri diversi che nel passato, qualificandolo come centro associativo poliedrico e non cristallizzato (dibattiti si, ma anche cinema, teatro, musica, mostre di pittura, ricreaziote, sale per lavori di gruppo). A poche centinaia di metri il centro sociale di Via Mancinelli, un capannone occupato dai gruppetti è assai più vivace: chiaro esempio di come non si deve fare politica, ma di come si può fare associazionismo per le masse (del resto sono le stesse feste dell'Unità che hanno insegnato queste cose). Per il Brecht — tanto per provocare — invece che "l'autonomia e la direzione unitaria" nell'immobilismo auspicheremmò una gestione diretta del PCI, previo ....sfratto della sezione, che andrebbe sistemata altrove. .Si fa per dire naturalmenté. Non si può certo chiedere al PCI, così come a nessun altro Partito, di trasformare in centri associativi le sue strutture! È un compito questo che tocca agli Enti Pubblici, allo Stato in particolar modo, alla Regione, e al Comune per quanto è di sua competenza.

La Ripartizione Cultura del Comune, a nostro avviso, dovrebbe porre una particolare cura a questa zona abbandonata della città. Le difficoltà che la nuova Giunta deve affrontare sappiamo che non sono semplici, anche per l'eredità ricevuta. Tuttavia, nell'ambito del bilancio e delle iniziative programmate per ridare, se è ancora possibile, un volto nuovo alla città, un intervento prioritario nei confronti della zona 10 non guasterebbe: nell'immediato, una delle strutture mobili programmate per spettacoli, proiezioni, concerti, ecc. e, a non lunga scadenza, la biblioteca. Su queste due richieste almeno, crediamo che una pressione debba essere esercitata subito dal Consiglio di Zona.

Andrea Genovese

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